#Alessandria autonomia
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Autonomia regionale: la Lega chiede un’accelerazione per una gestione locale della Protezione Civile.
Verso una maggiore autonomia: un’opportunità per il Piemonte e le Regioni coinvolte.
Verso una maggiore autonomia: un’opportunità per il Piemonte e le Regioni coinvolte. Il dibattito sull’autonomia regionale si intensifica, con un focus particolare sulla gestione della Protezione Civile. Dopo la seconda riunione congiunta tra il Ministero per gli Affari Regionali e le Regioni Piemonte, Lombardia, Liguria e Veneto, il Gruppo Lega del Consiglio regionale del Piemonte ha richiesto…
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È il 5 settembre del 1974 quando per Roma e dintorni inizia a girare una notizia tanto allarmante quanto inaspettata: stanno sgomberando a San Basilio!
Chi, rispondendo all’appello, si precipita nel quartiere trova uno scenario da guerra civile. Come vere truppe d’occupazione, le forze dell’ordine hanno invaso la storica borgata romana ma, dopo aver allontanato una prima volta gli occupanti dalle proprie case, non possono impedire una nuova occupazione degli appartamenti la sera stessa.
Il Comitato di Lotta per la Casa, insieme a un fronte sempre più ampio di sodali, rinforza la difesa, ma il 6 la storia si ripete:
La polizia arriva la mattina in forze per effettuare lo sgombero in via Montecarotto, ma trova una resistenza organizzata all’innesto della via Tiburtina con via del Casale di San Basilio, dove nella notte era stata alzata una barricata. Iniziano gli scontri con lanci di lacrimogeni e ripetute cariche a cui i manifestanti rispondono con un fitto lancio di molotov e sassi. La polizia comunque riesce a transitare da via Nomentana, circonda le case e inizia un fitto lancio di lacrimogeni sparati anche sui balconi e si fa largo a colpi di manganello: una bambina di 12 anni rimane ferita. In alcuni appartamenti si verificano focolai di incendio (Massimo Sestili, “Sotto un cielo di piombo. La lotta per la casa in una borgata romana. San Basilio settembre 1974”, in “Historia Magistra” n.1, 2009).
Le case sgomberate, in ogni caso, vengono nuovamente occupate nella stessa giornata. E proprio grazie alla determinazione di chi resiste, il 7, sabato, si respira aria di tregua, con gli avvocati di Movimento che riescono anche a recarsi in Prefettura per cercare di far ritirare l’ordinanza di sgombero. Potrebbe sembrare tutto finito, eppure è proprio la domenica il giorno atteso dalla polizia per sferrare l’attacco più feroce. Alle otto riprendono le operazioni di sgombero, ma non trova persone disponibili ad abbandonare ciò che hanno conquistato senza lottare. Intorno alle 17, addirittura, una donna di 24 anni imbraccia un fucile da caccia e, dalla finestra di casa, spara contro i poliziotti, ferendo un vicequestore. Alle 18, l’assemblea popolare riunita per cercare di capire il da farsi viene attaccata con i lacrimogeni: la reazione della folla è compatta e la celere, lanciata alla carica, perde la testa insieme alle sue posizioni.
È la guerra: il popolo da una parte, le forze dell’ordine dall’altra. Il quartiere è isolato, i pali della luce divelti, qualunque cosa utile a essere lanciata viene utilizzata allo scopo e i mezzi di trasporto, parcheggiati per provvedere alla deportazione degli sgombrati, vengono dati alle fiamme.
Le armi da fuoco, è vero, non sono soltanto appannaggio della polizia. Ma su questo versante, ovviamente, gli occupanti non possono competere con chi indossa la divisa. Si supplisce con il cuore e con la solidarietà. Le barricate chiamano e Roma risponde. La polizia, però, continua a sparare. Proiettili come se piovesse in via Fiuminata dove, a essere colpito al petto da una pallottola calibro 7,65, è un ragazzo con il casco rosso.
Quel ragazzo ha appena diciannove anni. Vive a Tivoli, dove milita nel Comitato proletario, un organismo di Autonomia Operaia. Suo padre fa il netturbino, la mamma è casalinga. Lui, dopo gli studi alla scuola alberghiera, aveva lavorato in diversi bar e ristoranti prima di provare a trasferirsi in Francia. Tornato in Italia, ci sarebbe stata una buona notizia ad aspettare la sua famiglia. Dopo una lunga attesa, finalmente era arrivata l’assegnazione di una casa popolare a Villa Adriana. Quell’8 settembre, prima di correre a San Basilio per difendere le case occupate, aveva aiutato con il trasloco… alle 19 e 15 circa si ritrova su un taxi, impegnato in una corsa disperato verso il Policlinico. Quando il mezzo arriva a destinazione è troppo tardi. Il ragazzo con il casco rosso è morto: si chiamava Fabrizio Ceruso; «per loro non eri nessuno», dice A Fabrizio Ceruso, una delle canzoni anonimamente dedicate al ragazzo di Tivoli:
Soltanto 19 anni per loro non eri nessuno / soltanto 19 anni e per loro non eri che uno / uno come tanti, un cameriere, un garzone d’officina / un operaio, un disoccupato un emigrante…
Nemmeno la data dell’omicidio di Fabrizio sembra frutto del «caso». L’8 settembre del 1943, con l’esercito italiano allo sbando, era stata la milizia popolare a tentare la resistenza contro i nazisti. A Tiburtino III, non lontano da San Basilio, la memoria del cadavere della popolana Caterina Martinelli, ammazzata dalle SS mentre con altre donne del quartiere assaltava un forno nel vano tentativo di conquistarsi il pane con cui sfamare la famiglia, riallaccia il legame con gli ideali di una Resistenza che, trasformata in lotta per la casa, significa davvero giustizia e libertà. E se Caterina Martinelli era diventata la martire della lotta contro la fame, dopo l’8 settembre del 1974 Fabrizio vive in ogni casa che viene occupata.
*
Accettare, come effettivamente è avvenuto nelle aule dei tribunali, che la morte di Fabrizio Ceruso resti archiviata con un non luogo a procedere «essendo ignoti gli autori del reato» non significa solo trascurare le numerose testimonianze che individuano in un poliziotto che si inginocchia ed esplode quattro colpi l’autore del gesto. Significa, in una situazione di estrema gravità, provare a dimenticare la situazione repressiva vissuta dall’Italia nel corso del 1974: l’anno della strage di Brescia (28 maggio; 8 morti e 102 feriti) e del treno Italicus (4 agosto; 12 morti e 45 feriti); ma anche l’anno in cui la rivolta scoppiata nel carcere di Alessandria (9 maggio; 5 morti tra detenuti e ostaggi) viene soffocata nel sangue dall’assalto deciso e diretto dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Il tentativo di sgombero di San Basilio, in un simile clima, è un altro capitolo della strategia della tensione e, inaugurando la futura «linea della fermezza» adottata nella repressione dei fenomeni d’insorgenza sociale, segna la scelta di attaccare deliberatamente un movimento in crescita come quello della lotta per la casa nel tentativo di stroncarlo, impedendo all’autorganizzazione di diffondersi, alle famiglie coinvolte di predisporre una resistenza efficace e alle occupazioni abitative di moltiplicarsi. Analizzato in questi termini, il tentativo fallisce. Al contrario, a San Basilio fu proprio nel momento in cui il quartiere apprese dell’assassinio di Ceruso che la lotta si trasformò in una battaglia autenticamente popolare, senza distinzione alcuna tra occupanti e assegnatari. E, come recita Rivolta di classe, un’altra canzone popolare dedicata alla battaglia di San Basilio, «la casa si prende, la casa si difende» continuerà a essere lo slogan di qualunque episodio di riappropriazione:
La casa compagni si prende / l’abbiam gridato tante volte / e dopo la si difende / da padroni e polizia…
Le case, dunque, saranno occupate ancora, i diritti rivendicati, le conquiste sociali difese: «Sarebbe sbagliato», si scrisse allora, «“mitizzare” lo scontro di S. Basilio in quanto ancora episodio (anche se tra i più belli e i più profondamente radicati nella coscienza di classe) e non già acquisizione permanente di quel comportamento da parte del movimento per la casa».
Un’affermazione, proveniente dall’area dell’Autonomia Operaia, con cui si sottolineava come, partendo dall’abitare, fosse inevitabile arrivare allo scontro con strutture di potere disposte a tutto pur di non cedere un centimetro del proprio interesse alla classe contrapposta. E in effetti, ad appena un giorno di distanza dalla morte di Ceruso e dopo che, inferocita per l’omicidio del ragazzo di Tivoli, tutta San Basilio si era scagliata contro la polizia ingaggiando una guerriglia lotto per lotto, la Regione Lazio si decideva a riconoscere il diritto alla casa popolare a chiunque, vantando i necessari requisiti, avesse occupato un alloggio prima dell’8 settembre del 1974.
Per molti palazzinari simili provvedimenti rappresentavano – e rappresentano – un danno concreto. Il rischio di una perdita economica nel nome della quale si potrebbe tranquillamente tornare ad ammazzare ancora.
(Tratto da “La Scintilla. Dalla Valle alla Metropoli, una storia della lotta per la casa”)
BIBLIOGRAFIA:
Cristiano Armati, Cuori rossi, Newton Compton, Roma, 2006.
Massimo Carlotto, San Basilio, in In ordine pubblico, a cura di Paola Staccioli, Fahrenheit 451, Roma 2005
Raimondo Catanzaro – Luigi Manconi, Storie di lotta armata, Il Mulino, Bologna 1985.
Gian-Giacomo Fusco, Ai margini di Roma capitale. Lo sviluppo storico delle periferie: San Basilio come caso di studio, Edizioni Nuova Cultura, Roma, 2013.
Ubaldo Gervasoni, San Basilio: nascita, lotte e declino di una borgata romana, Edizioni delle Autonomie, Roma, 1986.
Sandro Padula, San Basilio, 8 settembre 1974: Fabrizio Ceruso e la lotta per il diritto alla casa, in «Baruda.net», 8 settembre 2014.
Massimo Sestili, Sotto un cielo di piombo. La lotta per la casa in una borgata romana. San Basilio settembre 1974, in «Historia Magistra», n.1, 2009.
Pierluigi Zavaroni, Caduti e memoria nella lotta politica. Le morti violente della stagione dei movimenti, Carocci, Roma, 2010.
A cura di «Progetto San Basilio – Storie de Roma» è in corso di preparazione un film documentario sui fatti del settembre 1974 intitolato La battaglia – San Basilio 1974
da http://www.armati.info/8-settembre-1974-fabrizio-ceruso-e-la-battaglia-di-san-basilio
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ALESSANDRIA. LA CRISI DI GOVERNO SPIEGATA DA RICCARDO MOLINARI:"DAI PIENI POTERI AL TRONO DI SPADE, ALLA FINTA BAMBINA DI BIBBIANO"
ALESSANDRIA. LA CRISI DI GOVERNO SPIEGATA DA RICCARDO MOLINARI:”DAI PIENI POTERI AL TRONO DI SPADE, ALLA FINTA BAMBINA DI BIBBIANO”
MATTEO SALVINI PROSEGUE LA SUA PERSONALE INFINITA CAMPAGNA ELETTORALE, SCARICA SUGLI EX ALLEATI LE COLPE DELLA CRISI DI GOVERNO, MA IL CAPOGRUPPO DELLA LEGA ALLA CAMERA, RICCARDO MOLINARI, DURANTE UNA CHIACCHIERATA LO SMENTISCE E SPIEGA CHE AL DI LA’ DELLE DIFFERENZE CON I 5 STELLE SU TAV, FLAT TAX, GIUSTIZIA E AUTONOMIA DIFFERENZIATA IL VERO MOTIVO DELLA CRISI E’ LA FINANZIARIA CHE DOVRA’…
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L’enigma dello Sparviero, l’aereo scomparso nel Sahara: la marcia nel deserto dell’aviere Romanini e la donna che lo attese per dieci anni. Dialogo con Antonio Zamberletti
Una lunga scia di sangue misto a petrolio cola, terribile, sotto ai nostri occhi miopi, dentro le geometriche linee di confine della Libia. La sabbia, del deserto e del tempo, insinuandosi, copre i solchi delle ferite. La storia è vecchia, puzza di una guerra lontana, il sangue, poi, ha perso il suo colore e le sue croste. È passato poco più di un secolo da quando Giolitti, ai primi di ottobre, 1911, allungava le mani, in forma extraparlamentare, sulla Libia. Conquistata e riconquistata, colonia italiana. E la guerra, la seconda guerra mondiale. In mezzo, massacri di civili. Spargimenti di sangue e petrolio. La guerra finisce ed è ottobre, del 1960. Enrico Mattei è ancora vivo, sarebbe morto due anni dopo – in volo da Catania, precipita nella campagna pavese, il 27 ottobre. Alcuni tecnici dell’Eni scoprono, tra le dune del deserto, la carcassa di un aereo da combattimento italiano, è il 5 ottobre 1960. E loro sono tecnici della compagnia CORI (Compagnia Ricerche Idrocarburi) del gruppo ENI, impegnato in ricerche petrolifere nel deserto libico. Nella squadra si trova anche Gian Luca Desio, il figlio del famoso esploratore Ardito. A bordo, ancora chiuso nella cabina di pilotaggio, il comandante, ormai uno scheletro mummificato. Sotto un’ala, due cadaveri dei soldati dell’equipaggio, al riparo dal sole. Non ci sono le piastrine di riconoscimento, sono state strappate via dai predoni del deserto. Una mitragliatrice invece rimane, un simbolo senza tempo, ancora sul dorso dell’aereo, probabilmente, senza munizioni, non interessa a nessuno.
Mentre mi racconta la storia senza tempo dello Sparviero, Antonio Zamberletti – autore di gialli e spy-story, due volte semifinalista al Premio Scerbanenco per il miglior noir italiano dell’anno, sceneggiatore e soggettista presso la Sergio Bonelli Editore, sulle testate di Zagor, Dampyr, Nathan Never e Tex – con la pazienza di un monaco, mi mette a parte dei misteri che ancora avvolgono questo velivolo che lui ha visto, fedelmente ricostruito, qualche anno fa, nel museo di Volandia, alla Malpensa. Oggi il modello non è più visitabile, resta, a Volandia, solo una manciata di sabbia e l’impronta del relitto. Faccio un’inutile fotografia. Immagino. Lo Sparviero era un bombardiere leggero, ricognizione a lungo raggio, trasporto tattico e aerosilurante. Sedici metri di lunghezza, apertura alare di venti, alto quattro metri, sei tonnellate di peso, tre motori e quasi duemila chilometri di autonomia. Lo spettacolo che ha ideato Zamberletti, “L’ultimo volo dello Sparviero” affonda le radici nel fatto storico, poi lascia il campo alle ipotesi. La carcassa – uno scheletro con qualche brandello di pelle – di un vecchio aereo di guerra. Così, probabilmente, appare nel deserto, a vent’anni dalla tragedia, lo Sparviero, quando viene ritrovato. Era scomparso, senza lasciare tracce, dopo il decollo dalla base italiana di Berka, in Libia. Base K2 a Berka, un sobborgo di Bengasi.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, lo Sparviero era uno degli aerei da combattimento più impiegati dall’Aeronautica Militare Italiana, il Savoia Marchetti SM 79. Soprannominato dagli inglesi della Royal Air Force il gobbo maledetto per via della sua forma che presenta una gobba sul dorso, dove è situata la postazione del mitragliere, ma anche per la sua incredibile capacità di incassare numerosi colpi e per la difficoltà, che hanno i caccia inglesi, gli Spitfire e gli Hurricane, ad attaccarlo da dietro. Lo Sparviero in questione aveva matricola MM 23881 (dove MM sta per matricola militare) ed era inquadrato nella 278^ Squadriglia Autonoma Aerosiluranti, il cui nome era I quattro gatti ed era schierata in svariate basi in prossimità del Mediterraneo. I quattro gatti hanno come simbolo quattro gatti su un siluro, ideato da un sottotenente della Regia Aeronautica, Alessandro Maffei, e un motto: pauci sed semper immites, pochi ma sempre indomiti. Era il 20 aprile del 1941- una data forte: il compleanno di Hitler – lo Sparviero arriva in Libia. Il 21 aprile – altra data forte: la nascita di Roma – il gobbo maledetto parte per la sua ultima missione. Prima di sparire dai radar. A bordo dello Sparviero sei uomini formavano l’equipaggio: di loro, dei loro resti, non si seppe nulla fino all’ottobre del 1960, quando alcuni tecnici dell’Eni fecero i primi ritrovamenti. Pilota, secondo pilota, osservatore, marconista, motorista e mitragliere.
Chi c’è a bordo dello Sparviero? “Ci sono il capitano Oscar Cimolini, 33 anni, comandante pilota, nato a Trieste il 26 novembre 1908, il Maresciallo Cesare Barro, 27 anni, secondo pilota, veterano della guerra nell’Africa Orientale Italiana. Barro è il più giovane dei marescialli piloti della Regia Aeronautica. Nato a Conegliano, provincia di Treviso, il 16 maggio del 1914, Cesare Barro ha una figlia, e sua moglie aspetta la seconda, che non conoscerà mai suo padre, il Tenente di Vascello Franco Franchi, 29 anni, Regia Marina Militare, osservatore, nato a Fiume l’11 ottobre del 1912, il Sergente Maggiore Amorino De Luca, 26 anni, marconista, nato a Frascati il 7 febbraio del 1915. De Luca ha in tasca una licenza già firmata, ma gli viene ordinata un’ultima missione, il primo Aviere Quintilio Bozzelli, 26 anni, motorista, nato a Pistoia il 5 maggio del 1915. Bozzelli è nell’equipaggio che il 15 agosto del 1940 partecipa all’incursione aerea sulla base navale inglese di Alessandria d’Egitto. Il Primo Aviere Giovanni Romanini, nato a San Polo di Torrile (Parma) il 28 ottobre del 1916”.
A Volandia, la ricostruzione dello Sparviero misteriosamente scomparso
Una ricostruzione fedele ed evocativa del disastro dello Sparviero, fino a pochi anni fa, si poteva vedere a Volandia, dove un SM 79 era stato prestato dall’Aereonatica dal 2010, anno di fondazione del museo, fino a novembre 2016, quando è ritornato all’Aereonautica per restauro. Ma – chiedo a Zamberletti – perché ti sei gettato, a capofitto, sulla storia dello Sparviero? “Il relitto esposto non era quello originale, ma la suggestione era enorme. Ho iniziato a informarmi sulla vicenda, che, sinceramente, fino ad allora ignoravo. Lo Sparviero avrebbe dovuto silurare una petroliera inglese. Quello che mi ha colpito di più è stata la marcia dell’aviere Romanini, partito alla ricerca di soccorsi e morto di sete e fatica nel deserto”. Com’era la situazione in Libia? La situazione tattica: attività aeronavale febbrile. Gli inglesi stanno iniziando l’evacuazione del loro corpo di spedizione dalla Grecia sotto continui attacchi aerei italo-tedeschi. Gli aerei italiani partono dalle basi in Sicilia, dalla Libia, da quelle nel Dodecaneso. A Sud di Creta, i ricognitori italiani avvistano un convoglio composto dalle petroliere Breconshire e British Lord e, da almeno quattro navi da trasporto, scortate da unità di superficie, fregate e cacciatorpediniere. In zona, a Sud di Malta, c’è la portaerei Formidable, in navigazione con i suoi settanta intercettori e il suo gruppo da combattimento, composto dagli incrociatori Orion, Ajax e Perth. Le condizioni meteo sulla costa libica sono difficili. Ci sono fortissimi venti da Nord Ovest e visibilità scarsa a causa di nubi basse e densa foschia. Un’altra ricognizione italiana avvista i trasporti inglesi Bankura e Urania con le relative scorte. Alle ore 16 e 50, da Berka, decolla lo Sparviero del Tenente Guido Robone, il quale attacca la petroliera British Lord, colpendola e danneggiandola gravemente, e fa rientro alla base. Con lui dovrebbe decollare il nostro Sparviero, che però ritarda la partenza, forse per problemi a uno dei motori, decollando solo alle ore 17 e 25, senza fare più rientro alla base. Dopo due giorni di ricerche in mare, la 278^ Squadriglia informa il Ministero della Difesa di quanto successo con il seguente comunicato: Comunicato dalla 278^ Squadriglia Aerosiluranti a Ministero Difesa Aeronautica. Comunicasi che giorno 21 aprile at ore 17,25 apparecchio S-79 mm 23881 partito da Berka seguito comando 5^ Squadra Aerea per attacco convoglio scortato segnalato quadratino 5881 precedente rotta Uno-Zero-Cinque velocità otto miglia, non è rientrato. Da questo momento, lo Sparviero e il suo equipaggio sono dati per dispersi. L’unico cadavere ritrovato con la piastrina è riconosciuto dai bottoni dell’uniforme.
“A più di novanta chilometri di distanza dall’aereo, era stato ritrovato il corpo di uno degli uomini dell’equipaggio, Giovanni Romanini, identificato grazie alla piastrina di riconoscimento, che era partito alla ricerca di soccorsi, camminando tra le dune del deserto per almeno quattro giorni prima di crollare, ucciso dalla sete, dal caldo e dalla fatica. Con una borraccia che poteva contenere mezzo litro d’acqua. Il suo corpo era a circa otto chilometri dalla pista di Gialo Giarabub, che porta dalla costa verso l’interno. I corpi di due uomini dell’equipaggio non furono mai più ritrovati. Gli altri quattro vennero riportati in patria”. L’aviere Giovanni Romanini da Parma, classe 1916, camminò per novanta chilometri nel deserto alla disperata ricerca d’aiuto. Ora Romanini è sepolto al Cimitero di Collecchio, mentre i suoi compagni, rimpatriati e rimasti ignoti, senza nome, sono al Sacrario dei Caduti d’Oltremare, a Bari.
L’episodio drammatico presuppone uno scenario più vasto, la Seconda guerra mondiale. “La storia dello Sparviero e del suo equipaggio verrà collocata, infatti, all’interno di un contesto storico molto più ampio. Si inizierà dalla campagna di Libia del 1911 per proseguire con la Grande Guerra e le imprese dei pionieri del volo, per poi entrare nella Seconda Guerra Mondiale. Il tutto sarà documentato in maniera rigorosamente storica, a parte, per ovvie ragioni, gli ultimi momenti dello Sparviero e, soprattutto, la lunga marcia dell’aviere Romanini. Dobbiamo immaginare i suoi pensieri nei novanta chilometri di deserto, da quando lasciò il relitto dello Sparviero, iniziando la disperata missione di soccorso, fino a quando, sparato l’ultimo razzo a illuminare la notte africana, si coricò sulla sabbia, attendendo la fine. Saranno momenti in sospeso sul labile, sottile confine tra l’eroismo di Romanini e il suo dramma, tra la desiderata normalità di un ragazzo di venticinque anni mandato in guerra e la missione che sta compiendo, tra i ricordi di casa, della sua terra, della famiglia e la durezza del deserto africano”. Qual è l’aspetto più problematico nella ricostruzione teatrale? “Ci sono molti aspetti problematici. Ad esempio, nessuno non è mai riuscito a spiegare con certezza come mai lo Sparviero sia finito fuori rotta, terminando il suo volo a quasi quattrocento chilometri di distanza dalla base. Noi ci affideremo chiaramente, nei limiti del possibile, a una documentazione storica ineccepibile, grazie anche all’aiuto dell’Ufficio Storico dell’Aeronautica Militare”.
Quale idea ti sei fatto su come siano andate veramente le cose, su cosa sia andato storto? “Il relitto si trovava a più di 400 chilometri a Sud della base di partenza e di rientro. Si presume che, spinti fuori rotta dal vento forte, i piloti abbiano scambiato il deserto per la superficie del mare, esperienza che hanno riferito equipaggi in volo non strumentale anche in tempi recenti. Terminato il carburante, lo Sparviero ha tentato un atterraggio di emergenza, finendo il suo volo nelle sabbie del Sahara. Romanini avrebbe a questo punto tentato di raggiungere la pista di Gialo Giarabub, l’unico posto dove trovare aiuto, camminando per quattro o cinque giorni tra le dune, percorrendo circa cento chilometri, prima di morire”. Dei sei membri dell’equipaggio, due sono i militari che ancora oggi risultano dispersi; cosa pensi che sia successo loro? “Anche questo è un particolare che nessuno è mai riuscito a spiegare. È probabile che altri membri dell’equipaggio siano partiti alla ricerca di soccorsi, ma siamo nel campo delle ipotesi”. Avete raccolto notizie sui familiari dell’equipaggio dello Sparviero? “Abbiamo svolto diverse ricerche. Sono ancora in vita le due figlie del secondo pilota dello Sparviero, il Maresciallo Cesare Barro di Conegliano Veneto, alla cui memoria è intitolata la locale sezione dell’associazione arma aeronautica, che sta collaborando in maniera entusiastica al progetto”. Come si spiega il fatto che questa vicenda non sia nota come altre tragedie di guerra? “È una vicenda nota soprattutto agli appassionati di storia del volo e della Seconda guerra mondiale. Probabilmente se ne è perso il ricordo nel corso del tempo, è finita con il diventare una delle molte, tantissime tragedie di quella guerra, dalle quali si differenzia, forse, per la marcia di Romanini. Anche se è giusto non dimenticare che sullo Sparviero perso del deserto c’erano altri cinque uomini, ognuno con la sua storia. La seconda figlia del Maresciallo Cesare Barro, ad esempio, non conobbe mai suo padre e la moglie attese per anni notizie del marito, ufficialmente disperso assieme ai suoi compagni di volo”.
Romanini aveva una fidanzata, a Parma, Carla, che attese il suo ritorno per dieci anni prima di sposarsi. Al rientro della salma in Italia, andò al suo funerale, di nascosto, e pianse lacrime amare. Quando è stato ritrovato, il corpo ormai mummificato di Romanini, non aveva in tasca la foto di Carla. La bella Carla. Forse qualcuno aveva rubato anche la sua foto. Il suo sorriso, i suoi begli occhi. Romanini aveva con sé una pistola lanciarazzi – ha forse lanciato l’ultimo razzo prima del sorgere del sole, prima di morire – e indossava due orologi. Forse non era solo durante la marcia, forse il secondo orologio apparteneva ad un suo compagno, che era morto prima di lui. Giovanni, per gli amici Gianni, e Carla erano fidanzati, prima della guerra, erano andati a ballare la notte in cui è nata Giovanna Romanini, la nipote del grande aviere, che è stata chiamata così perché lo zio è stato il primo uomo a prenderla in braccio, quando è nata. A cullarla, teneramente, fra le sue forti braccia.
Linda Terziroli
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Luce e colore. Venezia e l'Italia settentrionale del primo Cinquecento
Luce e coloreVenezia e l'Italia settentrionale del primo Cinquecento Venezia, che infiniti traffici legavano all'Oriente, era stata più lenta degli altri centri italiani ad accettare lo stile rinascimentale e l'applicazione brunelleschiana delle forme classiche dell'architettura. Ma una volta accettato lo stile, vi infuse una gaiezza nuova, uno splendore e un calore che evocano, la grandiosità delle grandi città mercantili del periodo ellenistico, Alessandria e Antiochia.
Jacopo Sansovino. "Libreria" di San Marco a Venezia. 1536
La "Libreria" di San Marco. Architetto fu un fiorentino, Jacopo Tatti, detto il Sansovino (1486-1570), il quale però aveva adattato stili e modelli allo spirito del luogo, alla smagliante luce di Venezia che, rifless dalla laguna, abbaglia con il suo splendore. Il piano inferiore, con la vigorosa fila delle colonne doriche, obbedisce alla maniera più tradizionale: il Sansovino ha seguito fedelmente le regole architettoniche del Colosseo. Seguì la stessa tradizione adattando al piano superiore l'ordine ionico, che regge il cosiddetto "attico" coronato da una balaustra e sormontato da una fila di statue. Sui pilastri le aperture ad arco, come nel Colosseo, il Sansovino le appoggiò su un gruppo di colonne ioniche più piccole, raggiungendo così un ricco effetto di ordini intrecciati. Grazie alle balustre, alle ghirlande e alle sculture, riuscì poi a conferire all'edifcio qualcosa dell'ornato che era stato in uso nelle facciate gotiche di Venezia. E' una costruzione caratteristica del gusto dell'arte veneta del Cinquecento. L'atmosfera laggunare, sfumare i contorni troppo netti delle cose e fondere il calore in una luminosità diffusa, può avere insegnato ai pittori di quella città a usare il calore con maggio consapevolezza e attenzione di quanto non avessero mai fatto fino ad allora gli altri pittori italiani. Forse furono anche i rapporti con Costantinopoli e i suoi manoscritti a incrementare tale tendenza. I pittori medievali non si curavano del "vero" colore delle cose più di quanto si occupassero della loro vera forma. Nelle miniature, negli smalti e nelle pale amavano stndere i colori più puri e preziosi di cui disponevano: l'oro splendente e il puro azzurro oltremare erano la combinazione preferita. I grandi riformatori fiorentini si interessavano più al disegno che al colore. Questo non significa che i loro quadri non avessero una tonalità squisita, pochi consideravanno il colore come uno dei mezzi principali per ottenere la fusione delle varie figure e forme di una pittura in uno schema unico, I pittori veneziani non consideravano i colori un ornamento accessorio della pittura già disegnata su tela.
Giovanni Bellini. Madonna con i santi. 1505
Entrando nella chiesa di San Zaccaria a Venezia e osservando il quadro, posto sull'altare dipinto nel 1505 dal grande pittore veneziano Giovanni Bellini (1431-1516), ci accorgiamo subito che il suo atteggiamento verso il colore era ben diverso. Sono la pastostià e la ricchezza delle tinte a colpire, ancora prima che si cominci a considerarsi il soggetto rappresentato. La Vergine troneggia, con il Bambino che solleva la manina a benedire i devoti davanti all'altare. Un angelo ai piedi dell'altare suona dolcemente la viola, mentre i santi in atteggiamento tranquillo si raccolgono ai lati del trono: san Pietro con la chiave e il libro, santa Caterina con la palma del martirio e la ruota spezzata, santa Lucia e san Gerolamo, il dotto che tradusse la Bibbia in latino, e che Bellini quindi rappresenta immerso nella lettura. Bellini seppe infondere vita in una disposizione semplice e simmetrica senza sovvertirne l'ordine, come pur seppe trasformare le figure tradizionali della Vergine e dei santi in esseri vivi e reali senza privarli della loro dignità e del loro carattere sacro. Non sacrificò nemmeno la varietà e l'individualità della vita reale, come, aveva fatto il Perugino. Santa Caterina dal sorriso sognante, e san Girolamo, il vecchio dotto assorto nel suo libro, sono a loro modo abbastanza vivi, per quanto anch'essi, non meno delle figure del Perugino, sembrino appartenere a un altro mondo più sereno e più bello. Giovanni Bellini apparteneva alla stessa generazione del Verrocchio, del Ghirlandaio e del Perugino. Egli era padrone di una bottega assai operosa, dalla cui cerchia uscirono, Giorgione e Tiziano. I pittori veneziani seguivano Giovanni Belliniche aveva impiegato con tanto successo i colori e la luceper conferire unità alle sue pitture. Fu in questa sfera che Giorgio da Castelfranco, detto Giorgione (1478-1510), raggiunse i risultati più rivoluzionari.
Giorgione. La Tempesta. 1508
Non siamo del tutto certi di ciò che rappresenta il più completo di essi, La Tempesta: forse una scena tratta da quache autore classico o imitatore dei clasici, dato che gli artisti veneziani del tempo avevano riscoperto il fascino dei poeti greci e dei loro temi. Amavano illustrare storie idilliche di amore pastorale e ritrarre la bellezza di Venere e delle ninfe. Può essere la storia della madre di qualche futuro eroe cacciata con il suo bimbo dalla città nelle selve, dove viene scoperta da un giovane e gentile pastore. Questo sembra il tema che Giorgione ha voluto rappresentare. Per quanto le figure non siano disposte con eccessiva cura e la composzione sia piuttosto semplice, il dipinnto raggiunge una sua unità grazie alla luce e all'atmosfera che lo permeano: è luce misteriosa di tempesta, e, per la prima volta, pare che il paesaggio in cui gli attori si muovono non sia un semplice sfondo, ma abbia una sua autonomia e sia il vero tema del quadro. Giorgione non ha dipinto cose e persone per poi disporle nello spazio, la natura gli era presente fin dal primo istante: terra, alberi, luce, aria e nubi ed esseri umani con città e ponti sono concepiti come un tutto unico. Giorgione morì troppo giovane per poter raccogliere tutti i futti dellaa sua grande scoperta. Lo fece al suo posto il più famoso di tutti i pittori veneti, Tiziano Vecellio (1485-1576). Nacque in Cadore, raggiunse una fama che eguagliò quasi quella di Michelangelo. Perfino il grande imperatore Carlo V glli aveva fatto l'onore di chinarsi a raccogliere un pennello che egli aveva lasciato cadere. La personificazione del potere terreno che si inchina davanti alla maestà del genio. Era innanzi tutto un pittore, ma un pittore la cui sapienza nei colori eguaglia la maestria di Michelangelo nel disegno.
Tiziano. Madonna con i santi e membri della famiglia Pesaro. 1519-1526
La sua estrema perizia gli permise di trascurare le venerate regole della composizione e di affidarsi al colore per ripristinare un'armonia da lui apparentemente infranta. Basta guardare il quadro "Madonna con i santi e membri della famiglia Pesaro" (1519-1526) per comprendere che impressione la sua arte deve avere fatto ai contemporanei. Era un ardimento inaudito spostare la Vergine al centro del quadro e fare dei due santi intercessori - san Francesco, riconoscibile dalle stimmate, e san Pietro, che ha deposto la chiave sui gradini del trono - due personaggi attivi dellla scena anziché due simmetriche figure di contorno come aveva fatto Giovanni Bellini. La pittura fu eseguita in ringraziamento per una vittoria sui turchi a opera del patrizio veneto Jacopo Pesaro, e Tiziano lo ritrae inginocchiato dinanzi alla Vergine mentre un porta-stendardo in carrozza trascina dietro di lui un prigioniero turco. San Pietro e la Verginelo guardano benevoli, e san Francesco, dal lato opposto, attira l'attenzione del Bambino Gesù sugli altri membri della famiglia Pesaro inginocchiati negli angoli del quadro. Tutta la scena sembra svolgersi in una corte scoperta, fra due gigantesche colonne che si levano verso le nuvole, dove due vivaci angioletti reggono la croce. L'insolita composizione serve solo ad animarlo e a renderlo più vivace senza turbare l'armonia dell'insieme, e questo è dovuto, al modo con cui Tiziano trasse partito dall'aria, dalla luce, dal colore per l'unità della scena.
Tiziano. Il giovane inglese. 1540-1545
La maggior fama di Tiziano presso i suoi contemporanei si basò sui ritratti. Basta guardare una testa come quella comunemente detta del Giovane inglese, è semplice ed esente da qualsiasi traccia di sforzo. Quì non vi è più il modellato minuzioso della Monna Lisa di Leonardo, eppure questo giovane sconosciuto è altrettanto e non meno misteriosamente vivo. Pare fissarci con uno sguardo tanto intenso e spirituale che riesce quasi impossibile credere che questi occhi sognanti non sono altro che un pò di terra colorata, spalmata su un pezzo di tela.
Tiziano. Papa Paolo III con Alessandro e Ottavio Farnese. 1546
Ritratto di papa Paolo III ora a Napoli. Il vecchio pontefice si volge verso un giovane parente, Alessandro Farnese, che sta per rendergli omaggio mentre il fratello Ottavio guarda calmo lo spettatore. Tiziano aveva visto e ammirava il ritratto di papa Leone X coni suoi ccardinali dipinto da Raffaello circa ventotto anni prima, ma voleva anche superarlo quanto a vivezza dei caratteri. l'incontro di questi pesonaggi è così realistico e commovente che non possiamo fare a meno di riflettere su quali dovevano essere i loro pensieri e sentimenti Il quadro rimase incompiuto quando il maestro lasciò Roma chiamato in Germania per fare il ritratto all'imperatore Carlo V. Colui che dalle generazioni successive venne considerato il più "progressista" e ardito pittore di tutto il periodo condusse vita solitaria nella cittadina di Parma. Il suo nome era Antonino Allegri, detto il Correggio (1489-1534). Leonardo e Raffaello erano morti e Tiziano era già salito di fama quando il Correggio dipinse le sue opere più importanti, imparando il particolare trattamento del chiaroscuro. Fu in questo campo che egli elaborò effetti completamente nuovi, destinati a influire grandemente sulle scuole posteriori.
Correggio. Natività. 1530
La figura mostra una delle sue pitture più famose, la Natività. Il pittore ha appena avuto la visione dei cieli spalancati in cui gli angeli cantano i loro "Gloria a Dio nell'alto dei cieli". Nelle oscure rovine della stalla egli vede compiersi il miracolo: il Bambino appena nato che irraggia luce tutt'intorno, illuminando il volto bellissimo della madre felice. Il pastore si arresta e si toglie con mano impacciata il berretto dal capo, pronto a inginocchiarsi e ad adorare. Vi sono due servette, l'una abbagliata dalla luce che emana dalla mangiatoia, l'altra che guarda beata il pastore. San Giuseppe, nell'oscurità fitta dello sfondo, rigoverna l'asino. La composizione pare semplice, casuale; la scena affollata di sinistra non sembra bilanciata da un gruppo corrispondente a destra, ma solo dall'accentuaazione luminosa sul gruppo della Vergine e del Bambino. Il Correggio sfruttò, la scopertà della possibilità di equilibrare le forme mediante il calore e la luce, e di far convergere il nostro sguardo nei punti voluti. Siamo noi che accorriamo con il patore verso la scenaa, siamo noi a vedere ciò che egli vede: il miracolo della luce che rischiarò le tenebre, di cui parla il Vangelo di san Giovanni.
Correggio. Assunzione
Egli si forzò di dare ai fedeli, raccolti nella navata sottostante, l'illusione che la volta si fosse spalancata nella visione della gloria dei cieli. La padronanza ddegli effetti di luce diede modo al Correggio di riempire la volta di nubi illuminate dal sole fra le quali paiono librarsi stuoli celesti, con le gambe penzoloni. Quando si è nella scura, tenebrosa cattedrale medievale di Parma e si guarda verso la cupola, indubbiamente l'impressione è grandiosa.
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Tornitori e fresatori tradizionali - Piemonte - Alessandria
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" Vita indipendente": la nuova proposta del Cissaca
Il CISSACA, Consorzio servizi sociali di Alessandria, è impegnato nella realizzazione di un progetto denominato “Vita indipendente”, finanziato dal Ministero del Lavoro e Politiche Sociali e coordinato dalla Regione Piemonte. E’ rivolto alle persone affette da gravi disabilità e si prefigge di garantire la completa inclusione delle persone disabili all’interno della società (secondo quanto stabilisce la Convenzione ONU del 2006). La piena partecipazione delle persone con disabilità alla vita comunitaria è garantita dalla figura dell'assistente personale, un operatore che può sostituire le gambe, le mani, la vista, la parola, se espressamente richiesto dalla persona assistita. Per formare questa importante figura, il Cissaca ha previsto un ciclo gratuito di incontri settimanali con una durata di 25 ore, che prenderanno il via oggi, 18 maggio p.v. presso il Centro Vita indipendente di Alessandria, via Cesare Battisti n. 46. Il ciclo di incontri sarà così strutturato: 10 ore tenute dal Dott. Alessandro Zaccheo, psicologo, consulente della Coop. Il Gabbiano, partner del progetto; 10 ore di testimonianze dirette di assistenti personali in servizio, di persone beneficiarie del progetto “Vita Indipendente”, di esperti sulle norme che regolano il contratto di lavoro; 5 ore di esperienza diretta presso la Comunità “Rosanna Benzi”, dove sarà possibile incontrare operatori professionali ed osservare la quotidianità della relazione d’aiuto con la persona disabile. All'assistente personale si richiede la disponibilità di adattarsi agli orari e alle necessità delle persone assistite, elasticità, riservatezza, una buona attitudine all’ascolto e all’empatia. Il corso vuole fornire maggiori strumenti informativi agli assistenti personali che già operano e a tutti coloro che sono interessati a svolgere questo lavoro in futuro. Pur privilegiando operatori che hanno già maturato competenze (o.s.s., infermieri, educatori, ecc.), possono partecipare anche persone che, pur non possedendo titoli di studio specifici, manifestano un autentico interesse verso questa attività. Si invitano quindi gli assistenti personali che già operano accanto a persone disabili, e tutte le persone interessate, a iscriversi inviando una mail all’indirizzo di posta: [email protected], indicando le proprie generalità e un recapito telefonico per essere ricontattati, oppure telefonando direttamente al n. 3355240043. Al termine del ciclo di incontri verrà rilasciato un attestato di frequenza da inserire nel curriculum professionale. Il progetto Vita indipendente del Cissaca si muove su due assi di intervento: - sostenere progetti di deistituzionalizzazione di persone disabili e tutte le forme di abitazione in autonomia * realizzare azioni di sistema, ovvero interventi di formazione e informazione rivolta ai care giver e agli assistenti personali, figure chiave nel processo di autorealizzazione della persona con disabilità, nonchè azioni di sensibilizzazione sul tema dei diritti alla vita indipendente. Il centro Vita indipendente, aperto in via Cesare Battisti 46, all’interno del Condominio Anziani, grazie ad un accordo con Atc, si prefigge di diventare una sede di attività aggregative, informative e formative. Attualmente è attivo un gruppo di Photovoice con giovani, studenti universitari e di scuole superiori con disabilità motorie, che si ritrova settimanalmente. Attraverso la presentazione di proprie immagini, foto scattate o reperite in rete, il gruppo riflette su temi diversi che spaziano dalla consapevolezza di sé alla bellezza della città e ai suoi contrasti. L’uso dell’immagine per dare voce e visibilità a chi, come i giovani disabili motori, supera mille ostacoli nell’affrontare i compiti della vita quotidiana, è un’interessante attività aggregativa, sociale, aperta a mille potenzialità, compresa quella di sensibilizzare costruttivamente le istituzioni sul tema del miglioramento della qualità della vita per tutti. Il gruppo di Photovoice è facilitato dal Dott. Alessandro Zaccheo, psicologo della Coop. “Il Gabbiano�� e la Dott.ssa Marina Fasciolo, assistente sociale, referente del progetto per il CISSACA. http://dlvr.it/P9m6fb
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Proposta lavoro indipendente - Piemonte - Alessandria
Se stai cercando un lavoro da casa, da gestire come tu vuoi in piena autonomia, che ti permetta di stare dietro alla tua vita, potrei avere quello che fa per te. Non ti prometto l’impossibile ma qualche ...
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L’impatto dei Mass Media sull’Apprendimento delle Lingue Straniere. Un nuovo approccio per acquisire competenze linguistiche.
I mass media hanno rivoluzionato l’apprendimento delle lingue straniere, offrendo strumenti interattivi, contenuti autentici e un accesso globale a risorse diversificate.
I mass media hanno rivoluzionato l’apprendimento delle lingue straniere, offrendo strumenti interattivi, contenuti autentici e un accesso globale a risorse diversificate. Attraverso TV, film, social media e app educative, gli studenti possono immergersi nelle lingue target in modi mai immaginati prima. 1. Esposizione a Lingue Autentiche.I mass media espongono gli studenti a pronunce native,…
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Groenlandia: L’isola del ghiaccio tra sogni geopolitici e realtà strategiche
Dal tentativo di acquisto di Truman alla sovranità danese, una storia di interessi globali
Dal tentativo di acquisto di Truman alla sovranità danese, una storia di interessi globali La Groenlandia, crocevia di cultura e strategia La Groenlandia, con i suoi sterminati ghiacciai e la sua posizione strategica tra l’Europa e il continente americano, è molto più di un’isola ricoperta di ghiaccio. Da decenni rappresenta un punto focale per le grandi potenze mondiali, che vedono in questa…
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Ayn Rand: Una Filosofa del Capitalismo e dell’Individualismo
La Visionaria che ha Rivoluzionato il Pensiero Economico e Letterario del XX Secolo.
La Visionaria che ha Rivoluzionato il Pensiero Economico e Letterario del XX Secolo. Introduzione.Ayn Rand, una delle figure più influenti del XX secolo, è nota per aver sviluppato una filosofia unica e provocatoria: l’oggettivismo. Attraverso le sue opere letterarie e saggistiche, Rand ha promosso l’individualismo, il capitalismo laissez-faire e l’importanza della ragione come guida della vita…
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Fragilità e non autosufficienza negli over 65: l'approccio del Fasi
Un focus sull’importanza del sostegno agli anziani e sul modello di assistenza promosso dal Fasi.
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Perché il Giappone può convivere con un debito altissimo e l’Italia no?. Un'analisi tra differenze economiche, politiche e culturali
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Italia tra Referendum e Nuove Leggi: Autonomia Differenziata e Concorrenza al Centro del Dibattito
La Corte di Cassazione legittima il referendum sull’Autonomia differenziata, mentre il Parlamento approva la legge sulla Concorrenza: due fronti che ridefiniscono il futuro legislativo italiano.
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Rossi (PD): Al via le consultazioni per la PDL n.54 sulla pianificazione degli insediamenti logistici
Un passo importante per la regolamentazione del territorio piemontese e la tutela ambientale.
Un passo importante per la regolamentazione del territorio piemontese e la tutela ambientale. La Proposta di Legge n.54 dal titolo “Norme per la pianificazione degli insediamenti logistici a rilevanza sovracomunale”, promossa dal gruppo del Partito Democratico e firmata dal consigliere regionale Domenico Rossi, è ufficialmente entrata nella fase operativa. Oggi, nella commissione competente del…
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"La paura delle strade buie: un'ombra sulla sicurezza urbana.". Di Alessandria today
Una riflessione sulle cause e sulle possibili soluzioni per migliorare il senso di sicurezza nelle aree urbane.
Una riflessione sulle cause e sulle possibili soluzioni per migliorare il senso di sicurezza nelle aree urbane. L’insicurezza urbana: una questione di età e ambiente.Con l’avanzare dell’età, molte persone sviluppano una crescente apprensione nel camminare in alcune aree delle città, specialmente quelle poco illuminate e scarsamente frequentate. Questo fenomeno, diffuso soprattutto tra gli…
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