#differenze Giappone Italia
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pier-carlo-universe · 2 months ago
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Perché il Giappone può convivere con un debito altissimo e l’Italia no?. Un'analisi tra differenze economiche, politiche e culturali
Perché il Giappone può convivere con un debito altissimo e l’Italia no? Un'analisi tra differenze economiche, politiche e culturali.
Perché il Giappone può convivere con un debito altissimo e l’Italia no?Un’analisi tra differenze economiche, politiche e culturali. Il debito pubblico è uno dei temi più discussi nelle politiche economiche globali. Il caso del Giappone, con un debito pubblico che supera il 260% del PIL, contrasta nettamente con quello dell’Italia, che con un debito attorno al 140% del PIL è spesso costretta a…
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ross-nekochan · 10 months ago
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Oggi la mia collega giapponese ha detto una cosa che ovviamente già sapevo, ma che sentirsela dire, mi ha lasciato molto perplessa.
Praticamente ieri io e il mio collega spagnolo siamo arrivati in ufficio 30min prima e oggi il leader ci ha chiesto se avevamo recuperato, altrimenti saremmo dovuti andare via 30min prima.
In Italia questa cosa si rispetta perché pensiamo: non è giusto far fare lo straordinario, bisogna fare in modo che si rispettino le 8h lavorative perché sono quelle che vengono pagate nello stipendio e basta.
Cosa ha detto la mia collega? "Dobbiamo rispettare le 8h perché altrimenti gli altri pensano di dover imitare e doversi impegnare di più" (come abbiamo fatto noi in questo caso lavorando 30min in più).
In questo paese infatti ogni cosa che fai in più ci si complimenta con 偉い erai.
Io faccio palestra dopo lavoro? Mi si dice: erai ne (=sei proprio brava/da ammirare)
Mi cucino tutti i pasti da sola? Erai ne
In Italia nessuno mi direbbe una cosa del genere, al massimo un "ma come fai, ma chi te lo fa fare ecc ecc".
I giapponesi vogliono essere complimentati per ogni cosa che fanno e sono disposti ad impegnarsi come i pazzi per questo perché come vieni visto è più importante di qualsiasi cosa.
A noi semplicemente ce ne sbatte il cazzo di quello che la gente pensa di noi e vogliamo che le 8h di lavoro vengano rispettate perché non vogliamo vendere nessun minuto in più sotto tortura.
Ed è per questo che questo paese è così tristemente malato...
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mewscarrafone · 2 years ago
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TOKYO MEW MEW REWATCH - EP 29
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-Si avvisano i gentili clienti che il servizio è sospeso per un guasto tecnico.
Le differenze culturali tra Italia e Giappone, quando mai ti direbbero che un treno è sospeso prima di un'ora e mezza di ritardo qui?
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Tutta 'sta confusione perché Ichigo è riuscita a parlare coi gatti ... tecnicamente la prima a comunicare con animali affini è stata Zakuro, che ovviamente si è fatta gli affari suoi e non ha detto a nessuno del suo nuovo potere.
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Giulietta e Romeo dei gatti. Una cosa molto romantica ... a meno che tu non sappia qualcosa di come funziona l'accoppiamento dei gatti.
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Appare un Masaya selvaggio per spiegare come funzionino le esibizioni feline e porconare contro gli umani demmerda che forzano la selezione naturale. Non in queste parole, purtroppo. Comunque bello come se ne stia lì ad ascoltare la sua ragazza e la sua amica che discutono di come infiltrare un gatto randagio a una mostra di gatti pregiati senza reagire.
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Okay, questa scena è stata effettivamente molto dolce e triste. A una certa, gli animali sono gli unici che sanno stare vicini nei momenti difficili senza giudicare, la signora ha fatto bene ad affidare il marito alla gatta.
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Mi sa che dopo una certa gli sceneggiatori si sono dimenticati che Ichigo è l'unica a poter parlare coi gatti per via dei suoi geni, perché ecco Retasu che lo fa tranquillamente. O magari si sono confusi la neofocena con un pescegatto? *ba-dum-tsss*
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In questo episodio non si vede manco l'alieno di turno, e ci sono zero spiegazioni per il motivo dell'attacco. No Mew Aqua, no interazioni con le Mew Mew ...
Il marchio ci permette di identificarlo come uno di quelli di Kisshu. Avrà perso un parassita? Si sarà immedesimato nel gatto maschio piantato in asso?
Comunque un chimero in 'sta puntata è talmente inutile che lo sconfiggono in meno di un minuto.
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E almeno c'è un dolce finale romantico!
(Uncini)
(La scienza ti rovina l'infanzia)
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ecodelmare · 5 years ago
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memoria #21
Fino a cinque anni fa Alberto o’ Grampied insegnava matematica in una scuola di Spoleto. Oggi fa il cantastorie nelle piazze d'Italia. La sua casa è un camper. “Ho centinaia di amici - la mia grande ricchezza - ovunque, da Santa Maria di Leuca alle Alpi”, dice Alberto al VeLino. Alberto o’ Grampied (nome che gli hanno affibbiato in Francia, dove da ragazzo andava a lavorare saltuariamente) è un artista di strada. Quest'estate ha abbandonato il mezzo a motore e ha affidato i suoi bagagli a Cecio, un asinello che lo ha accompagnato dalla Toscana al basso Lazio. “In un mese e mezzo abbiamo percorso circa 600 chilometri. Per dormire io e Cecio ci fermavamo ovunque ci dessero ospitalità: in genere i contadini ci offrivano un angolo di prato”. Alberto partecipa ai festival oppure improvvisa spettacoli nei posti in cui si trova a passare. “Noi artisti di strada portiamo il sorriso in maniera semplice e intelligente, con battute che sono antiche come il mondo, ma naturali e, cosa più bella, coinvolgiamo il pubblico”. Come tutti gli artisti di strada, vive alla giornata. “Ciò che ci caratterizza è la libertà, che da un lato ci permette di partire per una qualsiasi città del mondo anche domani. Ma dall'altro c'è la precarietà di non avere un lavoro sicuro”. Come Alberto, tante altre persone hanno abbandonato un lavoro tradizionale per dedicarsi al teatro di strada. Lo conferma Alessandro Gigli, da 14 anni direttore artistico di Mercantia, la kermesse del teatro di strada più affermata del nostro paese, che ogni anno si tiene a Certaldo, in Toscana. “C'è chi, prima di dedicarsi a questo mestiere, faceva l'insegnante, chi faceva l'esattore delle tasse”, dice al VeLino Gigli, lui stesso burattinaio e cantastorie. Clown, trampolieri, fachiri, funamboli, giocolieri, mimi: al festival di Certaldo hanno partecipato tra il 17 e il 22 luglio scorso più di cento gruppi di artisti. È una manifestazione nata nel 1988 e che ha fatto di Certaldo la patria del teatro di strada. “All'inizio è stato difficile mettere insieme una decina di gruppi, ma quando abbiamo festeggiato il decennale, nel 1997, siamo arrivati a ospitarne 276”, spiega Gigli. “Dall'anno seguente abbiamo cambiato direzione: una volta promossa l'arte di strada, abbiamo curato la qualità e l'internazionalità: oggi a Certaldo arrivano artisti dall'India, dal Giappone, dal Sud America, insomma da tutto il mondo”. Le piazze del piccolo e suggestivo borgo medioevale si trasformano in palcoscenici aperti: ospitano compagnie che rappresentano pezzi teatrali, ma non rifiutano gli artisti che “vanno a cappello”. “Già”, precisa Gigli, “sono quelli che partecipano senza ricevere il cachet, ma che dopo lo spettacolo ricevono sul piattino le offerte del pubblico. Si trovano nello spazio-off”. L'organizzazione del grande evento estivo costa al comune di Certaldo 800 milioni, che vengono quasi completamente ripagati dal biglietto dei visitatori, quest'anno circa 40 mila. “Non è un festival, è una grande festa”, chiarisce Gigli, “dove si va oltre la divisione dei ruoli. Questo è il grande potere del dell'arte di strada: il coinvolgimento del pubblico. Tutto nel nostro mondo è ravvicinato: in una piazza di 50 metri ci sono 15 punti di spettacolo”. Un genere che deve molto alla commedia dell'arte e alla tradizione del giullare di corte. “È un teatro popolare”, sostiene Gigli, “nell'accezione di non borghese, di comunitario. Ed è antico, antico quanto il mondo”. IL PROBLEMA DEGLI ARTISTI DI STRADA è l'assenza di riconoscimento da parte dello Stato. Per informarli e a tutelarli esiste però, da qualche anno, un sindacato, la Fnas (Federazione nazionale artisti di strada). Tuttavia in Italia ci sono luoghi “liberalizzati”. Tra i comuni capofila c'è San Giovanni in Persiceto, 20 chilometri da Bologna, che da sei anni riunisce un centinaio di artisti di strada (la manifestazione si svolgerà alla fine di questa settimana, dal 21 al 23 settembre). “Il comune ha deliberato l'apertura delle strade agli artisti durante tutto l'anno”, spiega Marco Schiavina, direttore artistico di Arte & Città. “Vale a dire che quelli che sono di passaggio in qualsiasi momento dell'anno, al di fuori di kermesse organizzate, possono fermarsi ed esibirsi senza chiedere il permesso”. In questo modo il centro medioevale di San Giovanni (città che conta 23 mila abitanti) mantiene viva una antica tradizione: “Il nostro paese ha dato i natali al poeta e cantastorie Giulio Cesare Croce, creatore del personaggio di Bertoldo”. Sebbene tanti altri comuni sull'esempio di San Giovanni abbiano proceduto a legalizzare questo tipo di arte, il teatro di strada in Italia è meno diffuso di quello tradizionale. Specialmente rispetto ad altri paesi d'Europa, in testa la Francia, dove si svolge il festival storico di Avignone. “È il posto dove si confrontano le più grosse tradizioni teatrali”, commenta la giornalista dell'Espresso Rita Cirio, critico teatrale. “La Francia è la capitale della libertà di espressione e di esibizione. Spettacoli del genere però, si possono vedere facilmente anche a Edimburgo e a Londra”. Ma il fatto che nella nostra nazione l'arte di strada non sia granché istituzionalizzata non dispiace ai diretti interessati. “Manteniamo una certa freschezza e quando andiamo all'estero tutti si accorgono della nostra genuinità”, dice il direttore di Mercantia. Gli fa eco l'artista Paolo Stratta di Torino, che guida l'associazione Qanet. “Legalizzare il teatro significa snaturarlo”, dice Stratta al VeLino. “È come organizzare una festa a sorpresa e poi dire a tutti ci vediamo domani alle sette”.
Articolo del 2001, qui la fonte
Giorni fa ho fatto un viaggio in treno con il cantastorie Albert'o Grampied, ci siamo incontrati ad un convegno di artisti di strada e lui mi ha accompagnato per un pezzo del ritorno raccontandomi di lui.
Non insegna più in una scuola superiore, adesso insegna matematica in un carcere, che insegnare ai criminali è meno faticoso, criminali che spesso son solo dei disperati, magari con già una laurea, che non sanno come mantenersi, ma stanno lì.
Che bello anche io se avessi potuto prendere una seconda laurea e non si sa mai, sceglierei matematica, mi spiace non averla scelta tempo fa eh, ma scommetto che quando io mi laureai a suo tempo tu non eri nemmeno nata, ma va, sembri grande, ma non così grande, beh io mi son laureato nel luglio dell'81, ah ok, hai vinto tu, ma gli anni te lo porti benissimo, lo so, io vado piano, per un po’ ho provato anche a dorso di un asino, ma è difficile.
Sarebbe meglio vivere lentamente, ma in un mondo che va veloce è difficile e doloroso, ci siam detti.
Come mai ci siamo ridotti così? Chi ci ha allontanato dallo spirito del mondo? Perchè tutte queste differenze tra noi stessi?
E allora prima di salutarmi mi ha consigliato il libro del titolo e lo consiglio a tutti e ognuno ne tragga le conclusioni che vuole. (ve l'ho linkato)
E gli ho detto che spero sinceramente di vederlo di nuovo, magari di nuovo tra gli artisti di strada, un altro raduno e lui mi ha risposto, magari prima inshallah.
Inshallah allora e buona fortuna a tutti.
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scienza-magia · 2 years ago
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Classi sociali e declino demografico studio delle motivazioni
“Inverno demografico” In Italia. Un invito al confronto. Questo schematico (ed insufficiente) articolo vuole portare all’attenzione dei lettori e delle lettrici, dati, elementi ed interrogativi per un confronto sulla questione del declino demografico nel nostro Paese. Tutto ciò, non al fine di soddisfare una qualche curiosità quanto invece nella prospettiva dello “studio per l’azione”, allo scopo di avere un quadro (il più possibile) preciso e aggiornato della situazione concreta nella quale si interviene come soggettività organizzata.
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I dati italiani L’Italia è passata da una popolazione di circa 20.000.000 di abitanti nel 1900 ad una di circa 50.000.000 mezzo secolo più tardi. Il picco è stato raggiunto nel 2014, quando eravamo 60.345.000. Quest’ultimo dato però fu reso possibile solo grazie alle varie ondate migratorie che dagli anni ’90 hanno interessato il nostro Paese: se infatti guardiamo l’andamento del saldo naturale (cioè la differenza tra il numero dei nati e il numero dei deceduti), si nota che quest’ultimo è negativo dal 1993, cioè da trent’anni. Secondo i dati del Report Indicatori Demografici, pubblicato dall’Istat nell’aprile 2022 e che si riferisce all’anno 20211, la popolazione residente ammonta a 58.983.000 unità. Il numero medio di figli per donna è 1,25; con differenze di questo dato rispettivamente tra centro-nord e sud del Paese (si va in media da 1,57 figli per donna del Trentino – Alto Adige a 0,99 della Sardegna). Mediamente, in Italia, l’età del (primo) parto è a 32,4 anni. Rispetto agli anni passati, si registra una tendenza a rinviare sempre più in avanti la decisione di avere figli.
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L’età media della popolazione è 46,2 anni (era 45,9 nel 2020). Gli/le over-65 si attestano su 14.046.000 unità e rappresentano il 23,8% del totale della popolazione. Gli/le under-15 si attestano su 7.490.800 unità e rappresentano il 12,7% della popolazione complessiva. Infine gli “individui in età attiva” (dai 15 ai 64 anni) ammontano a 37.446.200 unità e rappresentano il 63,5% sul totale. La percentuale degli over-65 risulta in progressiva crescita ( + 0,3% rispetto all’anno precedente) mentre gli under-15 risultano in diminuzione ( – 0,2 % rispetto all’anno precedente). L’Indice di vecchiaia (il rapporto percentuale tra il numero degli ultrasessantacinquenni ed il numero dei giovani fino a 14 anni e 11 mesi) mostra che ci sono 182,6 anziani ogni 100 giovani. Nel 2018, erano 168,7 su 100: un dato che risultava superiore solo in Giappone. Eravamo quindi “il secondo paese più vecchio del Pianeta”2.
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(Piramide di popolazione dell’Italia – 2021)
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(Andamento nascite e numero medio di figli per donna per cittadinanza della madre – 20183) L’aspettativa di vita alla nascita si attesta mediamente sugli 82,4 anni (80,1 per i maschi e 84,7 per le femmine), con però disparità importanti a livello regionale: i dati ci dicono che al Sud e nelle Isole si muore di più e prima. Infine, un aspetto “curioso” emerge: i 2/3 anni di pandemia da Covid-19 hanno fatto registrare un aumento esponenziale dei decessi (praticamente raddoppiati rispetto alle cifre registrate nel 2019) riguardanti soprattutto la fascia d’età over-65. Neanche questo eccesso di mortalità fra gli anziani ha tuttavia, come abbiamo visto dal Report, frenato l’invecchiamento complessivo della popolazione italiana. Il saldo migratorio, pur tornato in positivo (più persone che dall’estero si stabilizzano entro i nostri confini rispetto a quelle che emigrano), si caratterizza per numeri molto al di sotto rispetto al periodo prepandemico. I dati a livello internazionale Verso la fine del XVIII secolo, agli inizi della rivoluzione industriale, gli abitanti sulla Terra erano circa 750.000.000. Poi, tra 1800 e 1927, vi è stato un incremento che ci ha portati ad essere 2.000.000.000. In soli 47 anni, quindi nel 1974, raddoppiamo. Al principio del nuovo millennio siamo 6.100.000.000, mentre, secondo il rapporto dell’O.N.U. sulla popolazione mondiale4, il 15 novembre del corrente anno (2022) sfonderemo l’ormai vicinissimo traguardo degli 8.000.000.000 di abitanti. Centinaia di migliaia di anni sono occorsi affinché la popolazione toccasse il miliardo, poi in due secoli è cresciuta di sette volte. Gran parte delle analisi demografiche dei più importanti istituti di statistica e centri di ricerca a livello mondiale stima che alla fine del secolo sul Pianeta brulicheranno 10,4 miliardi di individui. Negli ultimi anni tuttavia numerosi sono stati gli studi che hanno messo in dubbio questa stima e che sostengono che vada rivista al ribasso. Plausibile? Il dibattito infuria e le prese di posizione di numerosi illustri ricercatori divergono. Un punto di vista interessante lo offre la statunitense Stephanie H. Murray, public policy researcher e giornalista, che in un recente articolo definisce quello del prossimo secolo un “grande mistero demografico”5. Secondo la studiosa, le considerevoli discrepanze tra le diverse analisi sulle previsioni a lungo termine riflettono una reale impredittibilità. Nuove convinzioni culturali (rapida espansione dell’educazione femminile riguardo alla contraccezione) ma soprattutto le innumerevoli incognite conseguenti all’ormai evidente “global climate change” sono gli elementi più incisivi sullo sviluppo delle popolazioni e che vanno a mettere in dubbio tali previsioni in questo campo. Se il Mondo potrebbe essere meno popolato di quanto si calcola, molto probabilmente la sua popolazione sarà più anziana. Il punto è che già ora in due terzi del mondo si registra un tasso medio di fecondità che permette a mala pena il livello di sostituzione, come mostra la mappa qui sotto.
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(Infografica numero medio di figli per donna nel mondo – 2021) È nei Paesi “sviluppati”, cioè a capitalismo maturo, ma anche in Paesi ancora definiti “in via di “sviluppo” (il Brasile, ad esempio), in cui la “frenata” è pesante e ormai decennale. A guidare invece l’incremento saranno Niger, Uganda, Ciad, Angola, Mali, Congo, Egitto, Etiopia, India, Pakistan, Filippine e Tanzania, dove si dovrebbe concentrare, secondo alcuni analisti, la metà dell’aumento previsto della popolazione mondiale nei prossimi decenni. Riproduzione biologica in relazione al modo di produzione La specie di cui siamo i discendenti, l’Homo Sapiens, ha la sua origine circa 2-300 mila anni fa. Siamo animali particolari: governati dalla dialettica tra istinti (informazione genetica) e conoscenza sociale (informazione extragenetica, frutto della nostra, collettiva, necessità di soddisfare i nostri bisogni materiali con modalità per noi via via sempre più agevoli e proficue). Il nostro cervello, nella sua lunghissima evoluzione, è la “sede” di questa dialettica, che si concreta materialmente in processi biochimici molto complessi, il cui funzionamento ci è noto ancora solo in parte. La riproduzione oggi, in quanto aspetto dell’umano, è parte di questa dialettica: istinto (alla perpetuazione, attraverso la prole, di noi stessi, del nostro clan familiare, della nostra specie) che si scontra con la conoscenza (della realtà materiale di cui facciamo parte con tutte le implicazioni) Per Marx: «La produzione della vita, tanto della propria nel lavoro quanto dell’altrui nella procreazione, appare già in pari tempo come un duplice rapporto: naturale da una parte, sociale dall’altra, sociale nel senso che si attribuisce a una cooperazione di più individui, non importa sotto quali condizioni, in quale modo e per quale scopo. Da ciò deriva che un modo di produzione o uno stadio industriale determinato è sempre unito con un modo di cooperazione o uno stadio sociale determinato, e questo modo di cooperazione è anch’esso una “forza produttiva”; ne deriva che la quantità delle forze produttive accessibile agli uomini condiziona la situazione sociale e che dunque la “storia dell’umanità” deve essere sempre studiata e trattata in relazione con la storia dell’industria e dello scambio. Appare già dunque, fin dall’origine, un legame materiale fra gli uomini, il quale è condizionato dai bisogni e dal modo della produzione ed è antico quanto gli uomini; un legame che assume sempre nuove forme e dunque presenta una “storia” ».6 Nella società pre-capitalistica a predominanza di lavoro agricolo, il bambino, dopo pochissimi anni dalla nascita, cominciava ad essere attivo per la famiglia: partecipando ai processi di coltura o alla raccolta dei frutti, pascolando il bestiame, portando la legna a casa. Spesso moriva giovane, giovanissimo. Se sopravviveva, era una fortuna per la famiglia: le avrebbe portato ricchezza col lavoro delle sue braccia o, quanto meno, le avrebbe garantito la possibilità di sfarmarsi. La riproduzione, quindi i figli, quindi la forza-lavoro era l’elemento di ricchezza della famiglia. Se la famiglia non era in grado di fare figli sarebbe subito caduta in miseria. La famiglia contadina allargata, in cui le generazioni convivevano all’interno di clan spesso molto estesi, era l’unità economica di base, non l’individuo. La produzione agricola, la base di questa società. Poi la borghesia, dopo secoli di lotte, vince ed impone il modo di produzione capitalistico. La rivoluzione industriale, la fabbrica, cambia uno scenario che si era riprodotto quasi uguale, per secoli e secoli, di generazione in generazione. I contadini, espropriati spesso delle terre comuni, ridotti alla fame, arrivano numerosi ad affollare le città, che diventano metropoli. Quella che si portano dietro è la loro conoscenza sociale, la loro visione del mondo, i loro modelli culturali (frutto di una storicamente determinata struttura produttiva): i figli come risorsa, come elemento di sperata ricchezza. E così i figli, ancora bambini, finiscono nella grande fabbrica capitalista. E questi figli, conservando quei modelli culturali e religiosi che hanno “ereditato”, talvolta riescono a sopravvivere e mettono al mondo, a loro volta, un gran numero di individui. Nelle prime società capitalistiche, quindi, la forma della famiglia era ancora simile a quella della società contadina: famiglie numerose, che vivevano in stanze sovraffollate cercando di campare dei loro miseri salari, con i bambini che cercavano di rendersi utili già a tre o quattro anni. Si è sviluppato così il primo proletariato industriale. Da allora ovviamente moltissimo è mutato sotto tutti i punti di vista. Il modo di produzione capitalistico, pur rimanendo uguali le sue leggi di fondo, ha subito enormi trasformazioni e rivoluzioni. E di conseguenza anche la famiglia. Perché si è lentamente passati dalla famiglia numerosa al modello dei due figli e adesso a quello del figlio unico? Perché i proletari non hanno continuato a fare figli, unica loro fonte di ricchezza? Forse perché i figli hanno smesso di essere una ricchezza? Forse che la produzione capitalistica ha richiesto forza-lavoro formata, capace di usare le macchine o di sviluppare sempre più sofisticate innovazioni tecnologiche, e la famiglia si è trovata a sopportare un costo prolungato per fornire questa forza-lavoro (tra gli altri, pagare gli studi)? Forse che i capitalisti, mediante lo sviluppo tecnologico e la progressiva automazione della produzione, non necessitano più di grandi quantità di forza-lavoro? Forse che la produzione capitalistica non richiede più il lavoro alla famiglia (famiglia come unità produttiva, come avveniva al tempo della predominanza del lavoro agricolo) ma all’individuo, che quindi agisce per sia per gli interessi di colui al quale vende la propria forza-lavoro sia per i propri interessi e non più per gli interessi di chi gli aveva permesso, sfamandolo e allevandolo, di diventare “produttivo” (cioé la sua stessa famiglia)? La contraddizione che agisce fra chi riproduce (i genitori) e chi si appropria della ricchezza generata dalla forza-lavoro (i capitalisti e il loro Sistema) ha forse come conseguenza la fine della riproduzione? Per formare gli individui ad essere produttivi nel sistema capitalistico; il costo dei figli, nella società contemporanea, si avvicina a quello di un mutuo. Il capitalismo ha bisogno di tecnici o di laureati, ma chiede ai genitori o all’individuo stesso di farsi sempre più carico del lungo processo formativo generando un cortocircuito: i genitori sono costretti alla povertà per formare questa forza-lavoro, devono limitare il numero dei figli a seconda della possibilità di “mantenerli” fino all’età adulta ed ecco quindi la drastica diminuzione della riproduzione biologica. Ma allora perché si fanno figli? Mancando la base materiale (l’interesse materiale da parte della famiglia di fare i figli), il figlio diventa importante solo come momento di realizzazione di due individui (inoltre, ricordiamocelo, agiscono in noi gli istinti). Siamo ben lontani dal periodo (nella società pre-capitalistica costituita da grandi masse impegnate nella produzione agricola) in cui la coppia “doveva” far figli; “doveva”, se voleva sopravvivere, in primis generare “le braccia da lavoro” per garantire alla famiglia e, più in generale, alla Società i prodotti della terra, quindi la possibilità di sfamarsi; ed, in secundis, la possibilità per i proprietari di quella terra di vendere/commerciare tali prodotti. La religione, in quanto fattore sovrastrutturale, agiva in questo senso – in particolare sulla donna -, imponendo di “adempiere ai doveri coniugali”, di procreare. Sembra quindi abbastanza ragionevole affermare che la parabola osservabile, dall’economia pre-capitalistica all’economia a capitalismo maturo, porta a una modificazione profonda della famiglia e a una tendenziale disgregazione delle reti parentali7. La riproduzione biologica è fortemente condizionata dai cambiamenti generati dal e nel modo di produzione, che il Capitale fa evolvere per continuare a valorizzarsi. All’interno di questa parabola si individuano due eccezioni: la famiglia si perpetua, consentendo almeno di raggiungere il livello di sostituzione (una coppia che genera due figli), quando è ricca o quando vive in Stati o regioni con un articolato e robusto welfare state, in particolare per quanto riguarda le politiche di sostegno alla natalità, ai servizi all’infanzia e di conciliazione lavoro/famiglia (su questo però i dati non sono univoci8). La famiglia della media e alta borghesia, statisticamente, mette al mondo due/tre figli. Oltre che avere le risorse finanziarie per garantire alla prole salute e istruzione, essa possiede anche un patrimonio accumulato e delle attività economiche che richiedono una discendenza a cui trasferirle, così da perpetuare la ricchezza della famiglia. Queste due eccezioni non bastano tuttavia ad invertire la tendenza generale alla diminuzione del tasso di natalità e quindi all’invecchiamento della popolazione. Interrogativi e considerazioni Se, come abbiamo visto, una previsione a lungo termine non è possibile, sul breve periodo è invece possibile individuare delle tendenze, che molto schematicamente e sinteticamente possiamo così delineare: i Paesi a capitalismo avanzato mostrano un progressivo invecchiamento delle proprie popolazioni accompagnato da una diminuzione quantitativa del peso delle fasce giovanili. In poche parole, tanti vecchi e pochi giovani; simbolicamente, una piramide demografica “ribaltata” rispetto a quella delle società pre-capitalistiche. I Paesi in via di sviluppo vivono una dinamica demografica simile, seppur meno radicale. I Paesi “sottosviluppati”, invece, presentano una situazione da società pre-capitalistica: bassa aspettativa di vita alla nascita (si muore relativamente presto), alta mortalità (sia infantile che non), alto tasso di fecondità (quindi un elevato numero medio di figli per donna). Qui la piramide demografica non è ribaltata e la popolazione in età giovanile può arrivare fino al 60-70% del totale (è il caso del Niger, ad esempio). A fronte di tutto ciò, i seguenti interrogativi, relativi al nostro contesto nazionale: - Il declino demografico compartecipa, assieme ad altri importanti fattori noti, a produrre la passività della classe lavoratrice di fronte alla controffensiva del Capitale degli ultimi trent’anni e più? Il minor peso quantitativo delle fasce giovanili nella Società (rispetto, ad esempio, alla fase storica che va dai ’50 ai ’70 del Novecento italiano) ha contribuito alla diminuzione della attivazione e della conflittualità di classe dal basso? Rispetto a questi due interrogativi, mi permetto alcune brevi considerazioni (che so essere impressionistiche e troppo generiche): sotto la pressione della lotta di classe sia internazionale che sviluppatasi all’interno dei nostri confini, la classe lavoratrice italiana aveva strappato e raggiunto livelli notevoli di “benessere economico” sia in termini di salario (diretto, indiretto e differito) che di proprietà (sappiamo, tra le altre cose, che circa l’80% degli italiani vive attualmente in una casa di proprietà). Bene, questa ricchezza privata accumulata (mobiliare e immobiliare) si “scarica”, in progressione geometrica, dai quattro nonni (i due materni e i due paterni), passando per la coppia dei genitori fino al giovane figlio unico di oggi. Quest’ultimo ha avuto e in parte ha ancora, quindi, una base materiale che lo induce a trovare altre vie per sopravvivere nella società, senza protestare e lottare, nonostante la precarietà caratterizzi ormai ogni aspetto della sua esistenza. In riferimento a questo (alla rendita quindi), si è parlato spesso, nella pubblicistica, della società italiana come di una “società immobiliare”. La quale genera… immobilità Read the full article
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purpleavenuecupcake · 4 years ago
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Usa, Blinken: "La Cina mina l'ordine mondiale"
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L'inviato de La Stampa a New York, Paolo Mastrolilli ha intervistato il segretario di Stato americano, Tony Blinken sulle relazioni Italia-Usa, con un focus particolare sulla Cina. Il segretario di Stato sulla via della Seta non ha usato mezzi termini: "Noi e l'Italia adesso restiamo uniti anche se la Cina ci vuole divisi, dovremo lavorare insieme per colmare il divario". Sul versante vaccini ha detto che nei prossimi mesi gli Usa faranno molto di più e saranno i leader per l'accesso globale. Blinken ieri è intervenuto all'Onu via internet presiedendo una riunione del Consiglio di Sicurezza sulla questione umanitaria in Siria. A margine dei lavori ha incontrato i giornalisti sempre in maniera virtuale. Alla domanda del giornalista de La Stampa sulle relazioni con la Cina dell'Europa e dell'Italia ha così risposto: "La nostra relazione con Pechino, come quella di molti alleati, è competitiva in alcuni casi, collaborativa in altri, ed antagonistica in altri ancora. C'è però un denominatore comune, cioè la necessità di affrontare la Cina da una posizione di forza, che parte da solide alleanze, in coordinamento e collaborazione. È vero che gli Usa non forzeranno gli alleati a scegliere tra noi e Pechino, per una semplice ragione. Il punto non è contenere la Cina o tenerla in basso, ma preservare il sistema dell'ordine internazionale basato sulle regole, su cui tutti abbiamo investito così tanto negli ultimi 75 anni, e che ha servito bene i nostri interessi e valori. Quando chiunque sfida questo sistema, la Cina o altri; non gioca rispettando le regole; o cerca di minare gli impegni presi dagli altri, abbiamo tutti motivo di opporci. Questo è il punto: difendere, preservare e rafforzare l'ordine basato sulle regole. E quando vediamo la Cina che agisce minando questo ordine, violando i diritti umani, oppure altri impegni solenni presi da Pechino, allora dobbiamo unirci, far sentire la nostra voce, e agire insieme in sostegno dell'ordine. Sappiamo che i nostri alleati hanno relazioni complesse con la Repubblica popolare, e non sempre si allineano perfettamente. Come noi abbiamo aree dove è giusta la cooperazione con la Cina, così le hanno gli alleati, e lo riconosciamo. Ma vediamo la necessità di navigare insieme queste sfide. Ciò significa lavorare con gli alleati per eliminare le differenze nelle aree dove la Cina cerca di dividerci. È stato un aspetto molto importante dei viaggi che ho fatto in Asia e in Europa". Dossier Corea del Nord: "Siamo nel mezzo della revisione della nostra politica verso Pyongyang. Il processo è arrivato alla conclusione, siamo ansiosi di discuterlo con gli alleati e applicarlo in stretta coordinazione. Di recente abbiamo ricevuto provocazioni, e le abbiamo condannate. Questi destabilizzanti lanci di missili balistici sono oggetto di condanna non solo da parte dei nostri alleati, ma dell'intero sistema Onu, perché violano molteplici risoluzioni e minacciano la regione e la comunità internazionale. Il nostro impegno nella difesa di Corea del Sud e Giappone è ferreo. In questi programmi nucleari e missilistici illegali vediamo una minaccia seria alla pace e alla sicurezza internazionale, e qualcosa che mina anche il regime globale della non proliferazione a cui tutti abbiamo interesse. Le provocazioni di Pyongyang non scuotono la determinazione nostra e degli alleati. Serve un approccio alla Corea del Nord da una posizione di forza. È ciò che stiamo facendo, e avremo altro da aggiungere quando completeremo la revisione e la condivideremo". Questione vaccini con la Cina: "Quando la Cina viola i diritti umani dobbiamo unirci per far sentire la nostra voce non solo per combattere ora il Covid, ma anche per costituire un forte sistema di sicurezza globale per la salute, in modo da prevenire o mitigare la prossima pandemia. Abbiamo contribuito con due miliardi di dollari al programma Covax per ampliare l'accesso ai vaccini nel mondo, più altri 2 nel 2022. Abbiamo fatto un accordo con Giappone, Australia e India allo stesso scopo, e dato contributi ai nostri vicini più prossimi, Messico e Canada, con le dosi. Prevedo che mentre vacciniamo l'intera popolazione americana, potremo fare anche di più nel mondo. Nei prossimi mesi e anni gli Usa saranno il leader per far avanzare l'accesso ai vaccini nel mondo". Siria e cambiamenti climatici: "Dobbiamo fare qualcosa, i canali per il passaggio di aiuti alla popolazione devono restare aperti. Abbiamo invitato 40 leader stranieri, per spingere le maggiori economie ad aumentare le ambizioni collettive. Se chiedi in giro per il mondo, senti che siamo tornati, ascoltiamo i partner, e siamo impegnati sul tema che è una priorità al cuore degli sforzi per costruire un mondo più sicuro e prospero. Crediamo che affrontando la crisi del clima, gli Usa possano anche rivitalizzare l'economia, creare milioni di buoni posti di lavoro, e costruire infrastrutture sostenibili. Il presidente lo vede come un approccio di tutto il governo, per avviarci lungo un cammino irreversibile verso zero emissioni nel 2050. I nostri partner notano che è al cuore della nostra politica estera, e useremo questo anno decisivo per fare veri progressi". Read the full article
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sangha-scaramuccia · 5 years ago
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Un virus insinuato tra pieghe di solitudine di Stefano Bartolini, Francesco Sarracino, Il Sole 24 ore, Domenica 24-05-2020
L’articolo è ripreso e riassunto su : http://www.spazio50.org/il-coronavirus-si-annida-dove-la-solitudine-e-piu-forte/
Nell’articolo si parla della diversa attenzione alla vecchiaia in Italia e in Giappone. Il maestro Taino ha scritto su questo argomento, riferito solo al'Italia, sul notiziario n.220 giugno 2020 (mandato in stampa a fine maggio).
Si invita a leggere l’articolo apparso su Il Sole 24 Ore e a riflettere sulle differenze di affrontare la questione in due paesi che hanno entrambi una popolazione anziana molto ampia. La conclusione sull’Italia è che:
“Prevenire la solitudine degli anziani costerebbe una piccola frazione del costo elevatissimo della prassi attuale, lasciarli a una terza età patogena per poi consegnarli, quando non ce la fanno più, alle badanti, alle case di riposo o a costosissime organizzazioni ad alta intensità di tecnologia e conoscenza - come gli ospedali.
La qualità dell’età avanzata è divenuta una questione cruciale. Se non miglioriamo la qualità della terza età, una popolazione che invecchia diverrà un peso sociale e sanitario insostenibile.”
Su questo tema e sulla scuola di Scaramuccia il maestro ha detto: “È vero che da parte della nostra scuola c'è attenzione a mantenersi in forma facendo attività di meditazione e di sport insieme, compresa la meditazione via WEB che sta avendo tanto successo, però potrebbe stimolare coloro che tendono a non sforzarsi per partecipare.”
Admin Shōju
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perfettamentechic · 5 years ago
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Nino Cerruti è un businessman, designer, stylist, Ha fondato la sua casa di alta moda, Cerruti 1881, nel 1967 a Parigi. Attualmente gestisce l’azienda di famiglia: il Lanificio Fratelli Cerruti, fondata nel 1881 da suo nonno.
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Nato a Biella, in una famiglia di industriali tessili, Cerruti ereditò l’attività alla morte del padre, avvenuta nel 1950, all’età di vent’anni, interrompendo così gli studi di filosofia e giornalismo, per riscoprirsi subito vocato allo stile ed alla moda di più alto livello. Attingendo alla sua esperienza nella produzione di tessuti eccellenti, Cerruti si avventurò nella produzione di abbigliamento alla fine degli anni ’50. Nel corso degli anni investì nella ricerca e nello sviluppo dei materiali e del design, ottenendo risonanza mondiale nel 1957, alla presentazione della sua prima linea di vestiario, la Hitman a Milano, e all’epoca era considerata una rivoluzione nell’abbigliamento maschile. Nel 1962 fonda insieme con Osvaldo Testa il marchio Flying Cross, il primo “Designer Line” che si aggiunge alla linea Hitman. Flying Cross, la prima linea sartoriale di prêt-à-porter maschile di lusso, che nasce da un’idea del sarto e stilista Osvaldo Testa; brand inizialmente più modaiolo, si sviluppa nel tempo con un caratteristico stile “anglo-napoletano”, che combina la tradizione sartoriale napoletana con il gusto anglosassone dei tessuti.
Nel 1967 inaugura la prima “maison de couture” Cerruti 1881 a Place de la Madeleine a Parigi, dove Cerruti sposta la sede dell’azienda per essere più vicina alla capitale internazionale della moda. Nino è il primo stilista italiano a lanciare a Parigi il proprio marchio di prêt-à-porter maschile di alta qualità. Nasce così Cerruti 1881, cui si affianca la boutique monomarca in place de la Madeleine, primo negozio di prêt-à-porter dove vengono esposte contemporaneamente le collezioni maschili e femminili. Vico Magistretti, architetto di fama mondiale, studia per l’occasione un ambiente dal concept del tutto innovativo, in cui gli arredi sono interamente modulabili secondo le diverse esigenze.
La produzione di tessuti con il nome di Lanificio Fratelli Cerruti e l’etichetta Hitman resta in Italia. Cerruti, Lanificio Cerruti di Biella e Hitman, con sede a Corsico, formarono insieme Fratelli Cerruti, il gruppo Cerruti Brothers.
Nel 1996 Nino Cerruti nomina Narciso Rodriguez come direttore creativo di Cerruti. Nel 1997 Cerruti  sostituì Rodriguez con Peter Speliopoulos, designer DKNY.
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Nel 1968 Nino Cerruti realizza la sua prima sfilata: la prima volta nella storia della moda in cui i modelli e le modelle sfilano con gli stessi abiti. Nino Cerruti acquisisce la fama di ideatore del “Casual Chic”, una moda glamour e lussuosa che conquista il mondo e il mercato con uno stile unico e coinvolgente.
Tra le mie clienti affezionate c’era l’incontentabile Coco Chanel, che amava i pantaloni. Solo un uomo, secondo lei, poteva creare pantaloni perfetti, e i miei le stavano benissimo.
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Nino Cerruti è il creativo inarrestabile che con le sue soluzioni innovative suggerirà alla moda un nuovo percorso, in ambiti di assoluta visibilità come quelli del Cinema e dello Sport ai massimi livelli. Tanto da portarlo sul grande schermo: Nino Cerruti è il designer preferito dalle star per eventi quali la cerimonia di consegna dei premi Oscar o il Festival del Cinema di Cannes e compare brevemente nel film “Holy Man” (Il Genio), con Eddy Murphy, dove impersona se stesso: ansioso per il volo, chiede al protagonista di aiutarlo con i suoi poteri ipnotici.
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Nino Cerruti ha recitato nella parte di se stesso anche in: Catwalk, (1996) e Cannes Man, (1996).
Nel corso degli anni, Cerruti ha proposto abbigliamento da donna e uomo, la diffusion line, Cerruti 1881, una lussuosa collezione di ready-to-wear chiamata Cerruti Arte, Cerruti Jeans, la collezione business da uomo Cerruti Brothers, Cerruti 1881 Shapes per il mercato asiatico e fragrances e accessories. Successivamente le linee di abbigliamento furono raggruppate sotto il nome “Cerruti 1881“. Cerruti è da sempre conosciuto per i suoi classici wool suits, completi in lana, cercando sempre di abbinare le sfide quotidiane di chi lo indossa.
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Negli anni settanta nasce la prima giacca decostruita. Vengono anche stabiliti accordi di licenza in Giappone e USA al fine di incrementare la visibilità del brand a livello internazionale e per mantenere i prezzi competitivi in più mercati.
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In questi anni nasce anche la linea donna che vent’anni dopo rappresenterà il 20% del fatturato complessivo dell’azienda. Nel 1975 la Hitman inizia la produzione e la distribuzione della maglieria, delle camicie e della linea casual: Cerruti 1881 Brothers.
Nel 1978 viene lanciato il primo profumo maschile del brand, chiamato semplicemente Nino Cerruti.
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Negli anni ottanta viene creata una nuova linea di sportswear particolarmente apprezzata per l’abbigliamento dedicato al tennis e allo sci, sponsorizzando atleti di fama mondiale come il tennista statunitense Jimmy Connors
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e lo sciatore svedese Ingemar Stenmark.
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La popolarità del marchio aumenta decisamente nel 1994 quando il brand viene nominato designer ufficiale della squadra di Formula 1 della Ferrari.
All’inizio anni novanta vengono lanciati due nuovi profumi: “Cerruti 1881 Pour Homme” e “Cerruti 1881 Pour Femme“, entrambi prodotti e distribuiti da Elizabeth Arden. Inoltre vengono aperti negozi monomarca in Cina, Hong Kong, Thailandia ed Indonesia. Nel 1995 inizia la produzione della linea femminile “Cerruti Arte” posizionato nel segmento “Top Designer“.
Nel 1997 Hitman S.p.A produce 120.000 pezzi all’anno lavorando con un network di circa 10 aziende italiane specializzate nella confezione di cappotti, pantaloni e giacche. Nel 1998 viene presentato il nuovo profumo maschile “Cerruti Image” presso il Guggenheim Museum a Bilbao.
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Nello stesso anno apre il negozio Cerruti a Madison Avenue di New York. Nel 2000 Cerruti apre un flagship store ad Hong Kong. Nello stesso anno viene lanciata la versione femminile del profumo “Cerruti Image“.
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Sempre nel 2000 Nino Cerruti viene nominato Cavaliere del Lavoro dal Presidente della Repubblica.
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Dopo molti film europei tra i quali “Borsalino”, Cerruti veste per la prima volta gli interpreti di un film prodotto ad Hollywood: è “Romancing the stone”, con Kathleen Turner e Michael Douglas. È l’inizio di un lungo sodalizio tra lo stilista e Tinseltown. Grazie al suo approccio innovativo alla moda portata sul grande schermo, Nino Cerruti diventa uno degli stilisti più prolifici per Hollywood e crea abiti esclusivi per moltissimi film. Christian Bale in American Psycho; Harrison Ford in Air Force One; Jack Nicholson in As good as it gets; Marcello Mastroianni in Prêt-à-porter;  Robert Redford in Indecent Proposal; Tom Hanks in Philadelphia; Michael Douglas in  Basic Instinct;  Scott Glenn in Silence of Lambs; Richard Gere in Pretty Woman; Michael Douglas in  Wall Street;  Michael Douglas in  Fatal attraction; Jack Nicholson in The Witches of Eastwick;   Michael Douglas in Jewel of Nile; … e altri.
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  Nell’ottobre 2000 Nino Cerruti vende il 51% della sua azienda a Fin.Part, un gruppo industriale italiano. Meno di un anno dopo il gruppo acquistò il resto dell’azienda e costrinse il 71enne Nino Cerruti a dichiarare “differenze inconciliabili“. Quindi, la collezione Primavera Estate 2002 disegnata da Nino Cerruti, ha segnato la fine della passione di Cerruti.
C’è una grossa differenza tra made in Italy e fatto in Italia. Ciò che ha creato il fenomeno del made in Italy è stata, nel dopoguerra, l’ammirazione degli americani per il nostro stile di vita e la nostra artigianalità, che poi qualcuno è riuscito con grande sapienza a industrializzare. Oggi made in Italy è diventato a volte un’etichetta di comodo, che viene applicata a prodotti che con la nostra cultura hanno ben poco a che fare, e che magari vengono realizzati altrove. Per fame di profitto s’è data una pesante mano di vernice commerciale, che rischia di snaturare tutto.
Nel 2001 Cerruti Holding vende il marchio Cerruti 1881 per concentrarsi sul Lanificio Fratelli Cerruti dove Nino Cerruti lavora ancora oggi ricoprendo il ruolo di presidente.
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Nel 2005, Nino Cerruti, entra nell’ambito dell’interior design ed acquisisce Baleri-Italia, azienda leader del settore. Nello stesso anno è membro della giuria del Festival del Cinema di Berlino. Prima di lui, solo altri due italiani avevano ricoperto questo ruolo nella storia della prestigiosa rassegna, coronando ulteriormente il suo sodalizio col mondo dello spettacolo e del jet set internazionale. Nel 2006 viene inaugurato il nuovo centro direzionale disegnato da Vico Magistretti. E’ l’ultimo progetto realizzato dal famoso architetto nella sua lunga carriera. Nino Cerruti sfida nuovamente il mercato, con il gusto di sempre e mantenendosi saldamente ancorato alla tradizione di ricerca ed innovazione che la sua famiglia rappresenta da oltre duecento anni.
Il problema è che oggi per l’ansia di piacere alla stampa molti designer percorrono strade discutibili, di puro teatro. Trovo al contrario che comfort e naturalezza siano essenziali. L’abbigliamento è la nostra seconda pelle, e dovrebbe essere in armonia con il corpo, oltre che bello e di qualità: non ho mai creduto nel brutto artistico.
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Nino Cerruti è stato il miglior portavoce della propria moda, naturale ed elegante come il motto del lanificio. Oggi, è un distinto ottantenne dal garbo che conquista, considerata l’arroganza media modaiola.
Indosso ancora abiti che ho disegnato io stesso. Ho una conformazione fisica peculiare, e mi è difficilissimo trovare qualcosa che mi stia bene. I miei fantastici sarti mettono a posto tutto, e sono contento così.
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Lo stile è vestire con personalità, l’eleganza è ciò che lo rende naturale.
aggiornato al 18 ottobre 2019
Autore: Lynda Di Natale Fonte: lanificiocerruti.com, moda24.ilsole24ore.com, wikipedia, web
Nino #Cerruti #ninocerrutti #lanificiofratellicerruti #creatoredellostile #creatoredellamoda #style #fashion #perfettamentechic #felicementechic Nino Cerruti è un businessman, designer, stylist, Ha fondato la sua casa di alta moda, Cerruti 1881…
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blogmusic-it-blog · 6 years ago
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LEVY: nel mondo di "Light Blue"
Parliamo dei LEVY e di questo nuovo disco “Light Blue”. Una pubblicazione che oltre a vedere il team di LAYELL label, esce dopo l’evoluzione estetica di testi che abbandonano definitivamente la lingua italiana per sposare le liriche inglesi in tutto e per tutto anche mostrando un certo mood elettrico proprio del brit pop che tanto amiamo. Nuovo capitolo di conferma ed evoluzione che fa seguito al precedente “Bonfires” (2016) e al “Poveroccidente” (2013). Tanti live all’attivo e nel 2018 nel Regno Unito con il “Beautiful Monsters Tour”. Quattro chiacchiere importanti con Matteo Pagnoni.
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Buongiorno ragazzi, chi sono i Levy e come si è formata la band? Esistiamo come band dal 2015, anche se abbiamo avuto alcuni cambi di line up in questi anni. I Levy nascono dopo la “conversione” della precedente formazione Levi in qualcosa di più importante sotto ogni aspetto, a partire dalla lingua. Come formazione stabile invece siamo rimasti io (Matteo Pagnoni) e Damiano, affiancati da Gianmarco da circa un anno.
A fine 2018 è arrivato il vostro nuovo album con l’etichetta Layell label. Com’è andata la realizzazione dell’album e chi vi ha supportato in tutto il lavoro? L’album è davvero nato dopo il tour estivo, qualche canzone l’avevamo già e la proponevamo dal vivo ma il grosso del disco l’abbiamo registrato e composto durante i restanti giorni d’estate. L’atmosfera è stata davvero unica e ci sentivamo molto ispirati, tanto che non abbiamo incontrato grosse difficoltà nella stesura degli arrangiamenti. L’etichetta e Salvatore Imperio ci sono stati molto vicino, quasi quotidianamente, mentre il disco prendeva forma.
Come sta andando “Light Blue”? Da quello che si vede sul web non stanno mancando recensioni che sottolineano un sound fuori dagli standard italiani Si è vero, abbiamo avuto tante ottime recensioni e tutte quante hanno in comune il riconoscimento di un lavoro riuscito e potenzialmente internazionale. Questo non può che farci assolutamente piacere e spingerci a dare sempre il massimo, in studio e in live.
Del singolo, title-track dell’album, ci sarà il videoclip ufficiale che sarà pubblicato nelle prossime settimane? A metà febbraio gireremo il nuovo video per “Light blue”, credo quindi che a marzo potrete vedere il risultato finale. È qualcosa di particolare stavolta, non ci siamo noi al centro della scena, perchè la ministoria prevede degli attori che saranno protagonisti del video.
Parliamo dell’evoluzione dei Levy, dai testi in lingua italiana a quella inglese. Come è avvenuta questa evoluzione? Tutto è nato quando ci siamo accorti che suonavamo sempre più “internazionali” e per molti versi trovare spazi solo in Italia sarebbe stato riduttivo. Poi mi son sempre trovato molto bene con l’inglese, a causa anche dei miei ascolti.Abbiamo successivamente deciso e concretizzato quando abbiamo capito di voler osare un po’ di più anche fuori dai confini nazionali, è così è stato.
Avete trovato differenze, in Italia, sui riscontri che state ricevendo per le vostre canzoni in inglese rispetto a quelle in italiano? Sono rimasto piacevolmente sorpreso dall’accoglienza che il disco sta avendo in Italia. L’unica differenza è per quel che riguarda l’aspetto live. Da noi siamo troppo condizionati dalle correnti musicali del momento. Ecco perchè la media durata di un artista o una band indipendente è di circa 4 anni. Ad ogni nuovo soffio di vento si abbandona un genere e molti mollano del tutto, qualcuno più scaltro invece si “ricicla” con un nuovo nome, nuovo look e nuovo genere. È un po’ un supermercato usa e getta, non fa bene ai musicisti, non fa bene al pubblico.
Anche all’estero “Light Blue” è in rotazione radiofonica. Quali sono gli Stati che hanno acceso un faro sulla vostra realtà? Tanti, davvero, in prima fila Uk, Usa, Germania, Australia, poi anche Canada, Giappone, Spagna, Sud Africa e il resto d’Europa.
Ci sono episodi, all’estero, che riguardano l’album che vorreste sottolineare? Una recensione del nostro precedente album “Bonfires”, nella quale il recensore di Uber Rock UK ammette di aver saputo che eravamo italiani solo dalla biografia successivamente all’ascolto e che in molti frangenti la band è sembrata molto più “british” di molte formazioni britanniche.
Mentre in Italia, cosa vi ha piacevolmente sorpreso dall’uscita dell’album a Novembre 2018? Sicuramente le svariate ottime recensioni che stanno continuando ad arrivare e la molta curiosità sul nostro sound, che pare aver conquistato tutti quelli che hanno avuto modo di analizzare il disco. Personalmente poi l’accostamento a band come quella dei Police per una canzone per me è stato un complimento importante.
Nel 2019 su cosa vi siete concentrati? Sulla musica e i live. Non facciamo molti video, di quelli del tipo mordi e fuggi, troppo promozionalmente passeggeri. È anche vero che nel calderone c’è la realizzazione di un live video di un concerto indoor. Stiamo solo decidendo il periodo in cui realizzarlo.
I Levy e il web. Che rapporto avete e quanto è importante saper utilizzare gli strumenti che “la rete” mette a disposizione? Troppo importante forse, e siamo presenti costantemente. Quello che però ci contraddistingue è un approccio artistico e meno da marketing selvaggio. Troppo marketing e meno musica finirà per rovinare musicisti e musica. Vogliamo portare al pubblico di più la musica rispetto a noi stessi.
Che musica ascoltano i Levy? Tanta e quasi tutta. Ultimamente sto rispolverando tanta black music e live acustici, che poco hanno a che fare con quello che proponiamo. Mi ispirano, mi contaminano, non può essere che positivo.
Ci sono artisti, italiani e stranieri, con cui vorreste duettare, collaborare o esibirvi sul loro stesso palco? Mi piacerebbe collaborare con Tom Yorke e con i Nothing but thieves, artisti che stimo e seguo davvero tanto. In Italia invece trovo piacevolmente tanti giovani artisti con cui mi piacere suonare e cantare, questo paese ha ancora da dare molto al mondo.
https://www.youtube.com/watch?v=9SG4z2Gvy9U
LEVY: nel mondo di “Light Blue” was originally published on Blogmusic
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loomiskennedy0-blog · 6 years ago
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auto cheese nl
Il ministro della Salute Giulia Grillo si è detta favorevole alla legalizzazione delle droghe leggere e all'utilizzo della cannabis a traguardo terapeutico, riconoscendo che ci sono grandi vantaggi every i malati che la usano”. Ad esempio, alcuni pazienti che assumono cannabis segnalano una diminuzione del loro fabbisogno successo farmaci antiinfiammatori steroidei e non steroidei. E dire che every risolvere il problema dell'affollamento delle prigioni potrebbe esserci affrontato a partire dalla depenalizzazione dell'uso delle droghe leggere. Il decreto semplifica la prescrizione dei medicinali successo origine vegetale a base di cannabis e si sancisce l'uso della cannabis nella terapia del dolore in senso ampio. La marijuana, si legge, è un vero tema di sanità pubblica e soprattutto mentale (…). Non si comprende come vi siano ancora opinioni secondo cui tali sostanze non sarebbero pericolose addirittura dotate di effetti positivi every l'organismo”. Ed è lì che la Canapa è considerato arrivata in aiuto: I dottori mi hanno trovato la malattia dopo un fortissimo attacco epilettico - ricorda Venturini -. Fortunatamente prima dell'operazione ho rinomato Gennaro Muscari, un dottore che mi ha prescritto una cura a questione di cannabis. I problemi principali per i pazienti sono rappresentati dalla difficoltà nel reperire la cannabis nelle farmacie, e dai pochi medici il quale conoscono le proprietà mediche della cannabis e quale la prescrivono. E continuamente in accordo con il ministero della Salute seguiamo l'import di cannabis da importatori diversi dall'Olanda, con annessa attività di comando per verificare che sia conforme alle specifiche richieste". In una legge approvata il 2 dicembre del 2016 sono fissati i livelli massimi di Thc che possono essere presenti in prodotti derivati dalla Canapa. Il numero di persone che appoggia l'uso della marijuana continua a crescere. Il Cbd ha molte potenzialità terapeutiche, che attualmente vengono studiate in diverse ricerche scientifiche, soprattutto per i suoi effetti anticonvulsivanti. Dei 3 studi con basso ROB, 1 ha riportato una piccola riduzione non significativa nel ridurre il dolore per 5 settimane, 1 non ha riportato differenze negli outcome e 1 scritto di grandi dimensioni ha riportato che un maggior numero di pazienti del gruppo dei pazienti trattati con cannabis riferiva sollievo dal dolore fisico per 12 settimane (28. 0% vs 18. 7%; P = 0. 028) (33). semi di cannabis contrassegno indagini hanno dimostrato che il sollievo dal dolore cronico è la condizione più comune menzionata dai pazienti che usano cannabis medica. Dal 2014 questa struttura ha attivato una collaborazione con il ministero della Difesa e il ministero della Salute per un progetto pilota per la produzione nazionale di sostanze e preparazioni di origine vegetale verso base di cannabis. Osservando la Italia al momento la cannabis è autorizzata solamente a scopo terapeutico, dietro prescrizione medica, per tenere sotto controllo il dolore cronico in pazienti affetti, ad esempio, da fibromialgia, sclerosi multipla cancro, sottoposti per chemioterapia. La legge però stabilisce che prima di poter utilizzare questi farmaci il paziente deve sostenere nel modo che cure mediche tradizionali. All'entrata alquanto, tutti possono comprare prodotti a base di cannabis a questa legati—cannabis light, cartine, vaporizzatori, alimentari e altro. Giappone - Sono illegali qualsivoglia i preparati che contengono il Thc, principio attivo della cannabis, neppure si prevedono leggi che portino alla sua legalizzazione. I cannabinoidi, sostanza chimica della cannabis, possono permettersi di influenzare l'efficacia e la tossicità di altri farmaci. Da gennaio 2017, accanto alla cannabis legale che proviene dalle serre farmaceutiche olandesi, vengono effettuate arrivate nelle farmacie successo tutto il territorio nazionale le prime tranche di cannabis prodotta in Italia. 2 trial (25, 50) e 3 studi successo coorte (52, 53, 54) hanno esaminato l'efficacia dei preparati a base di cannabis nei pazienti con dolore associato a condizioni varie: fibromialgia, artrite reumatoide, dolore addominale. Il Css raccomanda "che siano attivate, nell'interesse della salute individuale e pubblica ed in applicazione del principio di precauzione, misure atte a non consentire la libera vendita” perché "ritiene che la pericolosità dei prodotti contenenti costituiti da infiorescenze di canapa, in cui viene indicata in etichetta la presenza di 'cannabis' 'cannabis light' 'cannabis leggera', non può essere esclusa.
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bongianimuseum · 6 years ago
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MEETING  OF  RYOSUKE  COHEN  - Pontassieve
XXVII  Rassegna internazionale “Incontri d’Arte” La Barbagianna, una casa per l’Arte Contemporanea  Pontassieve (Firenze), via di Grignano 25
 Performance di  Ryosuke  Cohen
CORPO - AZIONE - MEMORIA
 a  cura  di Sandro Bongiani e  Alessandra Borsetti Venier
Presentazione di Sandro  Bongiani
3  ottobre 2018, dalle ore 15:00 alle 20:00
 Mercoledì 3  ottobre 2018  dalle ore 15:00 alle 20:00   l’artista giapponese Ryosuke  Cohen  presenterà al pubblico la performance Corpo - Azione – Memoria, in occasione dei suoi 70 anni (1948-2018) e del  Meeting Fractal Portrait Project presso la  XXVII Rassegna Internazionale “Incontri d'Arte” curata da Alessandra Borsetti Venier “La Barbagianna – una casa per l’arte contemporanea” di Pontassieve, Firenze.
 Ryosuke Cohen, uno dei più longevi e interessanti artisti giapponesi contemporanei nati negli anni quaranta, nel 1985 ha iniziato il progetto internazionale “Brain Cell”  e  nel 2001 il Progetto “Fractal  Portrait”. Ryosuke Cohen non è nuovo alla performance, è dal 2001 che realizza  performances in occasione dei numerosi  meeting svolti in tutto il mondo (la prima volta è stata  svolta in Italia), con face e body, coinvolgendo migliaia di artisti nel campo della collaborazione e della performance. Un progetto  globale di arte partecipata svolto da Cohen  nel campo dell’arte globale.
Cohen è oggi l’artista contemporaneo che non rappresenta più colui che produce un’opera d’arte secondo le vecchie idee classiciste della tradizione, ma ricopre il ruolo di mediatore e di intermediario tra la realizzazione di un’idea progettuale (la sua) e coloro che vi partecipano. Praticamente, egli si fa promotore di un “fare” diventando regista di un intervento provvisorio che si materializza  nella collaborazione collettiva in cui tutti possono partecipare ed essere positivamente coinvolti. In questa performance di Pontassieve verranno realizzate 5 opere (body) Fractal Portrait Project  di grande dimensione di cm 209x89 ciascuna. Vogliamo evidenziare un lato ancora poco conosciuto dei progetti “Fractal Portrait” ,soprattutto alla conoscenza delle opere “Body” e della serie delle slhouette del corpo  realizzate dall’artista in particolari momenti collettivi unendo insieme diversi fogli Brain Cell in cui i soggetti, gli amici incontrati nei vari tour vengono invitati a  distendersi a terra sopra questi fogli Brain Cell,  con l’artista  impegnato  per l’occasione a  disegnare e rilevare il contorno immediato del corpo. Una sorta di “performance collettiva” che, seppur con le dovute differenze di lavoro, lo lega indissolubilmente al suo caro amico Shozo Shimamoto, divenendo, di fatto,  il naturale attivo continuatore  e interprete dell’arte di ricerca oggi in Giappone.  
Per questo evento  Internazionale  il 3 ottobre 2018 saranno  presenti in mostra 36 opere della serie “Brain Cell” (Cervello Cellula) dal numero 966 dell’8 gennaio  2017 al 999 dell’ 8 novembre 2017 di cui una speciale opera realizzata appositamente per il numero 1000, e tre  lavori Fractal  Portrait Project  body inediti di grande dimensione presentati precedentemente a giugno 2018 a Pontassieve.
 Biografia / Ryosuke Cohen, nato nel 1948, Osaka, in Giappone. Il nome della famiglia è Kouen  ma su consiglio di Byron Black, ha adottato  il nome  inglese 'Cohen' come in ebraico. Cohen scoprì la mail art in Canadà.  Ryosuke è il figlio di un noto scrittore di haiku in Giappone, Jyunichi Koen. I primi lavori di Cohen sono il risultato di un misto di tradizione e immaginario giapponese, numeri  e icone contemporanee  così com’è la sua firma, la lettera "C". L’artista giapponese per lungo tempo è stato interessato al movimento  Dada e Fluxus,  in contatto con Shozo Shimamoto e i membri del gruppo Gutai  condividendo in modo spontaneo e naturale un nuovo modo di fare arte contemporanea. Ryosuke non è il primo artista postale e marginale giapponese, ma sicuramente è l’autore giapponese più interessante nel network internazionale.  Dopo Ray Johnson e  Guglielmo Achille Cavellini, anche Ryosuke Cohen  rimette  ancora una volta in gioco le carte della sperimentazione in  un sistema culturale antiquato che preferisce l’opera creata appositamente per essere mercificata. Lo fa  proponendo un particolare suo progetto “Brain Cell” (Cellula celebrale), iniziato nel giugno 1985 con  migliaia di membri  sparsi in oltre 80 paesi.  Un lavoro che raccoglie  ogni 7-10 giorni circa le immagini di tanti artisti su un'unica pagina allegando un elenco di indirizzi di collaboratori, 55 in media per opera, che lo ha visto coinvolto per oltre  30 lunghi anni,  rifiutando l’opera unica e concetti  consueti come l’originalità e quindi, preferendo maggiormente il gioco, la ricerca e la libertà concreta dell’artista volutamente collocato ai margini dell’attuale sistema culturale. Per questo modo di fare, egli è forse il più  interessante e attivo artista nella rete di chiunque altro per la capacità organizzativa del progetto e per diffusione capillare dell’arte marginale.
Nell'agosto 2001 ha iniziato in Italia  il progetto “Fractal Portrait”, facendo ritratti e silhouette del corpo ai suoi amici artisti in occasione dei  vari Meeting   svolti in diverse parti del mondo; Stati Uniti, Canada, Inghilterra, Irlanda del Nord, Spagna, Jugoslavia, Germania, Olanda, Corea, Italia e Francia.  Cohen è l’artista contemporaneo che non rappresenta più colui che produce un’opera d’arte secondo le vecchie idee classiciste della tradizione, ma ricopre il ruolo di mediatore e di intermediario tra la realizzazione di un’idea progettuale (la sua) e coloro che partecipano al progetto. Praticamente, egli si fa promotore di un “fare” diventando regista di un intervento provvisorio,  che nasce dal contributo degli altri e  si materializza insieme  nella collaborazione collettiva in cui tutti possono partecipare ed essere positivamente e  appassionatamente coinvolti nella  creazione dell’opera. In oltre trent’anni di lavoro ha esposto con mostre e svolto performance  e incontri in numerose e diverse aree geografiche del  mondo. Attualmente vive a Ashiya-City Hyogo in Giappone.
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giornalepop · 7 years ago
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DAITARN 3, UN ROBOT TRA DUE RAGAZZE SEXY
DAITARN 3, UN ROBOT TRA DUE RAGAZZE SEXY
Daitarn 3 (Muteki kōjin Daitān 3) è una serie animata di 40 episodi prodotta da Sunrise, ideata da Yoshiyuki Tomino e Yatate Hajime. È stata trasmessa in Giappone a partire dal 1978 da Tv Nagoya. In Italia è stata trasmessa la prima volta da Milano Tv nel 1980.
La vicenda è ambientata in un vicino futuro, in un tempo non molto diverso dal nostro, con alcune importanti differenze tecnologiche…
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sangha-scaramuccia · 6 years ago
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Sesshin – marzo 2019
Riporto i brani estratti dal notiziario n. 59 Anno 14 Maggio 1989/2520 e n. 60 Anno 14 Agosto 1989/2520, utilizzati dal maestro Taino per il teisho.
Come potrete leggere si racconta della storia di Scaramuccia, della pratica che vi viene seguita e delle fatiche e mutamenti accorsi nel tempo per andare avanti. Si parla anche del fallimento di un modello di monastero che il maestro aveva provato a impostare a Scaramuccia e di come aveva deciso di trasformarlo da monastero per residenti in qualcos'altro.
Nel commento il maestro Taino ha parlato anche della successione della scuola di Scaramuccia che verrà declinata in tanti modi diversi, così come ha dovuto fare lui rispetto al modello giapponese, dai tanti maestri della scuola di Scaramuccia che operano nelle proprie realtà.
Paolo Shōju
Teisho della sesshin di marzo (sabato 2/3/2019)
testo tratto dal: Notiziario di SCARAMUCCIA  n. 59 Anno 14 Maggio 1989/2520
dei Discepoli
Vorrei riuscire a trasmettere la sensazione che provo quando scendo nello zendo, la sera per la meditazione e per recitare la Prajna Paramita e i Quattro Voti, e la mattina per i sutra, sanzen, taici e zazen, nel vedere tutti quei cuscini occupati. Non c'è quasi differenza fra queste presenze e quelle di alcune delle ultime sesshin. A parte questo particolare momento in cui Ghencho è in giro con una troupe della RAI 3, Gunter è andato in Sicilia con la sua ragazza, in genere siamo con Herbert, Antonio, Patrizia e Mauro e altri di passaggio o che abitano nelle vicinanze, un bel gruppetto.
E vorrei riuscire a trasmettere anche altro che nel notiziario sparito m'aveva richiesto tanto per metterlo bene. Voglio dire che la presenza fissa di quattro cinque allievi è bella e importante per la nostra pratica, e mi ci metto anche io. Eppure crea dei problemi, economici soprattutto, perché quelli della convivenza sono un altro aspetto. La regola di Scaramuccia che ho imparato dal mio maestro è che un discepolo, per praticare bene, deve soltanto praticare. Mi accorgo di dire un'ovvietà, ma per farlo chi viene qui non deve pensare al proprio mantenimento a cui deve pensare il monastero. E il monastero a Scaramuccia chi è? In un certo senso sono i residenti, ma essi NON PRODUCONO REDDITO, propria per praticare. Poi ci sono i discepoli che vengono durante le sesshin, e essi con la propria offerta contribuiscono alle spese per sé e per i residenti. E poi c'è il maestro, ovvero Taino, permettetemi di parlare di me in terza persona, che deve mantenere anche una famiglia. Vi prego di fare qualche conto, tenendo presente i redditi provenienti dai campi, specialmente questo anno che non abbiamo seminato, mettendo sulla bilancia le spese per circa dieci persone, per mangiare, abbiamo qualche verdura, e non siamo dei mangioni, gas, luce, telefono, ecc., le due automobili INDISPENSABILI, libri, vestiti, ecc. ecc..
Poi date uno sguardo alle presenze alle sesshin e fate il calcolo di quanto può entrare nelle casse del monastero. Sono proprio i conti della serva. Allora penso che se qualche volta qualcuno non mi trova vuol dire che sono su qualche montagna o qualche pendio di sci per raggranellare un po' di soldi, perché alla fine, per dirla con crudezza tutto ricade sulle mie deboli, sì proprio così, deboli spalle, non bisogna prendersela e pensare: "Ma questo maestro qui non ci sta mai!".
Invece io ci sto appena possibile, e lo sanno i residenti quante corse faccio per essere presente in tutti i momenti significativi della giornata.
Allora vorrei concludere, chiedendo a voi di riflettere, per trovare una soluzione alla nostra sopravvivenza. Scrivendo con il calcolatore, un mezzo così moderno di comunicazione, mi fa pensare, specie adesso che è il mio, che siamo già entrati nell'era della comunicazione telematica, e che io stia comunicando con gli allievi attraverso i terminali del calcolatore. Proprio così, per alcuni allievi ormai sembra che l'unico mezzo per comunicare con Scaramuccia sia SOLTANTO il notiziario. E alle sesshin, tanto sono tutte uguali, ci si viene solo in sogno, con il pensiero. Devo avere esagerato nel citare, qualche numero addietro, alcune frasi in cui si diceva che bisogna vivere di più con il cervello che col corpo.
Qualcuno penserà che è sufficiente pensare FORTEMENTE di essere alle sesshin per esserci veramente. Certo, è pure un grande risparmio di tempo, di energia, e di questi tempi di moda verde va pure bene, e di soldi. E anche le gambe fanno molto meno male. Come ho ammesso tante altre volte nel passato, io NON SO come deve essere di questi tempi, che cambiano così veloci, un luogo di pratica. Scaramuccia è un esperimento che si basa sulla tradizione, e sulla mia volontà di mettere a disposizione la mia esperienza e l'insegnamento che ha ricevuto dal maestro Mumon.
Notiziario di SCARAMUCCIA  n. 60 Anno 34 Agosto 1989/2520
dei Discepoli
Vi sarete chiesti che cosa vuol dire "cominciare il nuovo monastero" che è proprio all'inizio di questo bollettino, perché detto così non ha alcun senso. In questa pagina voglio esporvi quanto è successo da quel giovedì di giugno e che risolve il problema che avevo posto nel numero precedente, anche se ne restano altri.
Prima però voglio ripercorrere le tappe di Scaramuccia. Qualcuno le conosce già, per averle vissute, altri per averle lette o sentite raccontare, ma è bene che le ridica, io che alla fine del 1973 sono tornato dal Giappone con l'idea di fare in Italia, all'italiana, quanto  avevo imparato a Shofukuji. E in quale altro modo avrei potuto fare? Pur interrogandomi in continuazione alla ricerca del sistema migliore di presentare un insegnamento e un modo di vivere in comunità, l'unico modello che io ho sempre avuto è stato quello del monastero in cui sono vissuto e in cui sono vissuti TUTTI i maestri del chan da cui la nostra scuola discende.
Insomma, stabilire in Italia una comunità di praticanti, in un luogo definito, con regole e insegnamenti secondo la tradizione chan, che inizialmente abbiamo chiamata zen, anche se non è il momento di fare confusione con queste differenze di nome.
Questo ha significato che ci fossero delle persone, i residenti, con la voglia e il tempo di praticare tutti i giorni, per un periodo indefinito: un mese o meno, un anno o dieci anni. Già all'inizio, da parte mia, c'è stata l'intuizione di lasciare che i praticanti rimanessero laici, senza istituzionalizzare in maniera religiosa Scaramuccia. Nessuna pretesa di radersi la testa, di vestire con abiti speciali, di ricevere ordinazioni, e così via. E significa pure avere messo a disposizione, PER TUTTI, ed in QUALUNQUE MOMENTO dell'anno, un luogo di pratica.
Per qualcuno degli anni precedenti e anche più recenti, la permanenza di allievi residenti è stata continua, e chi ha letto il notiziario lo sa, anche se siamo stati sempre su numeri da eremitaggio più che da monastero. Soprattutto grazie a Ghencho si è assicurata una presenza costante di qualcuno, altrimenti non avrei avuto la possibilità di assentarmi per i motivi inerenti alla montagna.
Ora però si sono verificate due condizioni: il distacco di Ghencho, per vivere in un altro luogo con una compagna, esattamente Luigia. Questo invito a Ghencho perché uscisse nel mondo, c'era già stato in maniera esplicita già qualche anno fa quando andò a vivere e a lavorare a Roma. E ho continuato a spingerlo fino a quando si è presentata, anche per lui, l'occasione giusta. L'altra condizione, maturata insieme alla prima, è stata la constatazione da parte mia del fallimento della mia idea di monastero.
Mi sono reso conto che in Italia non ci sono neanche un minimo di due tre persone intenzionate a vivere qui per un periodo di cinque sei mesi per praticare in completa immersione. Perché basterebbero anche solo due persone, che si alternassero ogni anno, per mantenere questo posto come un monastero. E ho capito che non ci sono né studenti o disoccupati o pensionati, che hanno più tempo, ma neppure un impiegato, che decida di prendere l'aspettativa o si metta in malattia: chi si ricorda di Vincenzo Pane?, che se ne stia a praticare qui per un periodo più lungo di una sesshin. Forse per un viaggio, io quando lavoravo in banca per due estati presi un mese di aspettativa per andare in montagna, per chissà quale altro motivo, ci si pensa, ma per vivere qua, no.
Così ho deciso di chiudere, cioè si potrà risiedere qui solo durante le sesshin, tranne casi particolari di allievi conosciuti. Così se uno che non conosco telefona per sapere se può trascorrere un giorno o più qui, gli dirò, come ho già cominciato a fare, che non si può.
Che succederà? A dire la verità non lo so, però noi continueremo a sederci tutte le mattine e le sere con quelli che sono venuti a vivere nelle vicinanze e forse, il luogo di pratica del futuro, qui a Scaramuccia, perché in Italia e nel mondo ce ne sono che funzionano diversamente, sarà così.
Questo di cui vi ho parlato è un problema grande e andrebbe sviluppato in conseguenza. Ora non c'è lo spazio, mi aspetto che ci pensiate, ne parliate fra voi, e se avrete tempo di passare, durante le sesshin o in altri giorni, ne potremo parlare anche qui.
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eventicatanzaro-blog · 7 years ago
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Sound diving, workshop a cura di Gianclaudio Hashem Moniri.
http://eventicatanzaro.it/event/sound-diving-workshop-a-cura-di-gianclaudio-hashem-moniri/
“Sound diving” workshop a cura di Gianclaudio Hashem Moniri. 2-3 Dicembre 2017
“Sound Diving” come suggerisce il titolo stesso, è un workshop immersivo di 13 ore basato sulla produzione e post produzione sonora nel campo della musica moderna, dall’Elettronica al Rock. Il programma si estende su due giorni di frequentazione con una giornata di 8 ore ed una di 5 ed è rivolto a coloro che vogliono approfondire le proprie conoscenze nel mondo dell’audio professionale con esempi pratici. Il programma del workshop prevede i seguenti punti: – Gain Staging, impostazione dei livelli in fase di Produzione, Missaggio e Mastering. – Analisi dei Processori di Segnale: Compressore, Equalizzatore, Expander, Exciter, Limiter, Maximizer. – Utilizzo dei processori di segnale in fase di Mix e Mastering. Uso Creativo e Correttivo. – Il Panorama Stereofonico, Mid-Side, Left – Right – Differenze e vantaggi in fase di post produzione. – Saturazione e Distorsione del segnale per ottenere chiarezza in fase di Mix e Mastering. – Analogico e Digitale…come dove e perché. – Analisi dei supporti sui quali verrà riprodotta la nostra musica o la musica per cui stiamo lavorando. Vinile, cd, mp3. – Scelta della strumentazione, Posizionamento dei diffusori all’interno del nostro studio, Trattamento acustico e linearità nell’ambiente di lavoro. Il corso vede l’utilizzo del Software Ableton Live 9, ma i concetti e le analisi sono estese universalmente a qualsiasi DAW o Plug-In trattato. BIOGRAFIA Gianclaudio Hashem Moniri è una figura trasversale nel panorama musicale italiano. Il suo lavoro è noto nella scena elettronica underground per i suoi progetti artistici Plaster e Kaeba. Attivo da più di 10 anni, il background tecnico di Gianclaudio varia tra servizi di post produzione come Mastering, Mix e Restoring fino ad una profonda conoscenza tecnica nel mondo del Doppiaggio. Lavora costantemente come tecnico freelance per grandi società dove le sue competenze professionali sono richieste per film, serie televisive, documentari e cartoni animati. Alcuni dei suoi lavori possono essere trovati in prodotti come I Griffin, Archer, Death Note, I Love Dick e Nashville (solo per citarne alcuni). Il lato artistico di Gianclaudio H. Moniri, lo vede come un esploratore oscuro e sperimentale. Dal 2007 i suoi progetti Plaster e Kaeba sono stati apprezzati in Italia e in tutto il Mondo, portandolo a pubblicare con etichette come Kvitnu, Touchin’Bass, Stroboscopic Artefacts, Farmacia 901 e ad esibirsi in Giappone, Messico attraversando Taiwan e la maggior parte dei paesi europei. La sua musica non è solo legata ai Festival e Club, infatti sono numerose le collaborazioni per spettacoli di danza, 3D Mapping, musica per videogiochi e cortometraggi. Per maggiori info contattateci. #cracart #workshop #gianclaudiohmoniri #soundiving #mastering #soundesign
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paoloxl · 8 years ago
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Il 26 e 27 maggio prossimi, si svolgerà a Taormina il G7, la riunione dei capi di stato e di governo delle sette maggiori potenze mondiali (U.S.A., Canada, Giappone, Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia). La riunione servirà a definire e coordinare linee comuni di intervento sui problemi fondamentali della politica e dell’economia mondiale. In un mondo nel quale gli 8 uomini più ricchi dispongono di risorse uguali alla somma di quelle a disposizione di 3,6 miliardi di persone più povere (in Italia l’1% della popolazione possiede un quarto di tutta la ricchezza nazionale), questa riunione, anche a causa del clima di caccia alle streghe imposto in USA da Trump contro i/le migranti, servirà a ribadire differenze e privilegi. Servirà a confermare ed estendere gli scenari di guerra, la cosiddetta esportazione della democrazia, con la complicità dell’Unione Europea che, di concerto con la NATO, pratica una politica interventista e guerrafondaia: mentre in Europa, come in Ucraina, riemergono logiche populiste e fasciste. Alimenterà le ingiustizie sociali e il razzismo: mentre i/le migranti muoiono le merci sono libere di circolare; non deciderà nulla, nonostante la drammatica crisi ambientale, per fermare la devastazione del pianeta. Voi G8 (in quel caso partecipava anche la Russia) noi 6 miliardi, si gridò a Genova, nel 2001. Anche oggi ribadiamo che gli interessi delle grandi potenze capitalistiche non possono venire prima dei bisogni reali di uomini e donne, delle esigenze della terra, della salvaguardia dei beni comuni e della democrazia. Che Taormina ospiti questo vertice non è, perciò, motivo di vanto. Al contrario, ci sembra drammaticamente coerente con la logica di chi sta trasformando la Sicilia in una terra ostile all’accoglienza di donne, uomini e minori migranti (Frontex, Cara di Mineo, Hot spot), ma disponibile a subire i peggiori disastri ambientali (dai grandi impianti inquinanti, all’aumento d’inceneritori e discariche); mentre si aggravano i processi di militarizzazione, sia rispetto alla circolazione delle idee (controllo della rete), sia disseminando l’Isola di basi militari, italiane, U.S.A. e N.A.T.O. Infine, riteniamo che Taormina sia stata scelta seguendo una logica che vede i territori meridionali in condizioni sempre più subordinate, utili solo come luoghi nei quali smaltire scorie e installare discariche. Per questi motivi, ci mobilitiamo, e invitiamo tutte e tutti a mobilitarsi, perché, in nome di una Sicilia “terra di pace e di accoglienza”, il G7 trovi una radicale e diffusa opposizione sociale. Sabato 13 maggio, ore 17,00 assemblea popolare a Taormina in piazza 9 aprile- RETE CATANESE CONTRO IL G7 Comitato No Muos – No Sigonella, Cobas Scuola, La Città Felice, La Ragna-Tela, L.I.L.A., Rete Antirazzista CT, Partito Comunista Italiano CT, Partito della Rifondazione Comunista CT, Sinistra Anticapitalista CT, USB, Azione Civile, Coordinamento Democrazia Costituzionale-CT, Catania Bene Comune, OPEN MIND lgbt*, FEMMINISTORIE, CittàInsieme, Comitato Antico Corso, Comitato No Pua, Borderline Sicilia, Sinistra italiana-Ct,AGEDO, Animal Theatron , Sunia prov.Ct, collettivo Red Militant
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