#inflazione debito pubblico
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pier-carlo-universe · 2 months ago
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Perché il Giappone può convivere con un debito altissimo e l’Italia no?. Un'analisi tra differenze economiche, politiche e culturali
Perché il Giappone può convivere con un debito altissimo e l’Italia no? Un'analisi tra differenze economiche, politiche e culturali.
Perché il Giappone può convivere con un debito altissimo e l’Italia no?Un’analisi tra differenze economiche, politiche e culturali. Il debito pubblico è uno dei temi più discussi nelle politiche economiche globali. Il caso del Giappone, con un debito pubblico che supera il 260% del PIL, contrasta nettamente con quello dell’Italia, che con un debito attorno al 140% del PIL è spesso costretta a…
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antonellanews · 3 months ago
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Il "Divorzio" del 1981 tra Tesoro e Banca d'Italia: la mossa che ha condannato l'economia italiana?
Scopri le conseguenze del "divorzio" del 1981 tra Tesoro e Banca d'Italia: un'analisi dettagliata su come questa decisione ha influenzato debito pubblico, inflazione e l'economia italiana fino a oggi.
Come la separazione tra Ministero del Tesoro e Banca d’Italia ha influito su debito pubblico, inflazione e crescita economica, portandoci all’Euro e alle sfide odierne. Scopri le conseguenze del “divorzio” del 1981 tra Tesoro e Banca d’Italia: un’analisi dettagliata su come questa decisione ha influenzato debito pubblico, inflazione e l’economia italiana fino a oggi. Il 12 febbraio 1981…
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57-channels-and-nothing-on · 5 months ago
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Prezzi auto e potere d'acquisto nel 1960 e nel 2024 | Gazzetta.it
Un fisco meno affamato — A quell’epoca l'Italia aveva un sistema fiscale meno complesso e meno oneroso rispetto a quello attuale. Le aliquote fiscali erano più basse e meno progressive rispetto a oggi. Per esempio, la tassazione diretta sul reddito delle persone fisiche era relativamente limitata, con aliquote che variavano a seconda del reddito, ma che raramente superavano il 15-20% per la maggior parte dei lavoratori. Inoltre, non esistevano molti dei contributi e delle imposte aggiuntive che oggi incidono sui redditi, come l'Irpef (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche) che è stata introdotta nel 1973. Quindi un insegnante nel 1960, con uno stipendio mensile di circa 70.000-80.000 lire lorde, poteva contare su una quota significativa del suo reddito, potenzialmente intorno a 60.000-65.000 lire nette al mese, una volta sottratte le imposte e i contributi sociali.
Perché nel 1973 è stata introdotta l'IRPEF?
Perché nel 1971 Nixon ha sospeso la convertibilità in oro del dollaro, creando di fatto la valuta fiat, quella che non ha più un sottostante fisico (l'oro) e può essere stampata a piacimento.
Questo genera inflazione, che riduce il potere d'acquisto ed il valore del risparmio. Di conseguenza, lo stato ha la necessità di aumentare la tassazione per pagare il debito pubblico e i cittadini non hanno alcun interesse a risparmiare perché la moneta si svaluta continuamente. Ecco la vera causa del consumismo, dell'usa&getta, della bassa qualità dei prodotti e la fine del settore di ricerca e sviluppo delle industrie.
Oggi siamo arrivati all'epilogo di questa ruberia nelle nostre tasche da parte di quei camerieri dei banchieri che sono i politici.
Oggi esiste di nuovo una moneta che non si svaluta e che consente il risparmio, anzi si apprezza continuamente e aumenta il suo valore anno dopo anno. Una moneta che lo stato non può prelevare forzatamente dal conto corrente, che nessuno può censurare ed impedire di usarla, che garantisce la privacy e può essere usata in tutto il mondo.
Si chiama Bitcoin.
Adesso la scelta se essere schiavi delle banche o essere liberi e proprietari dei nostri soldi è tutta nelle nostre mani!
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scienza-magia · 1 year ago
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L'Argentina userà il Dollaro come valuta corrente
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Dollarizzare l’Argentina? Tutti i rischi di un’operazione con pochi precedenti. La nuova presidenza vuole adottare la valuta Usa e abbandonare il peso ma la situazione finanziaria del paese rende la transizione molto rischiosa, anche sul piano geopolitico. Dollarizzare l’Argentina: ma è davvero un’opzione possibile? L’elezione alla presidenza di Javier Milei, che si dice anarco-liberista, pone ora all’ordine del giorno uno dei punti chiave della sua campagna elettorale: l’abbandono del peso e l’adozione del dollaro Usa per contrastare l’inflazione, che ha ora raggiunto il 142% (in sostanza, l’11.75% mensile). Un’operazione che costa 40 miliardi di dollari e che deve fare i conti con le volontà di Pechino. L’esperienza di Quito e San Salvador I dubbi sono tanti. Nessun Paese delle dimensioni dell’Argentina ha mai provato ad abbandonare la propria moneta (l’eurozona ne ha adottata una nuova, è un esperimento totalmente diverso). A Panama, dove stampare banconote è vietato dalla Costituzione dal 1904, in Ecuador, a El Salvador la moneta Usa circola liberamente, e con qualche vantaggio economico, ma sono paesi decisamente più piccoli. L’Ecuador ha adottato il dollaro nel 2000: dal 2004 al 2022 – dopo quindi tre anni di “convalescenza” dall’alta inflazione – ha registrato un’inflazione media (geometrica) annua del 2,8%, con una crescita media del 6,9%. Nello stesso periodo El Salvador ha registrato un’inflazione del 2,5% e una crescita del 4,8, e Panama un’inflazione del 2,5% con una crescita media del 9,5% malgrado la maxirecessione del 2020 (-18%). Dollaro e moderazione fiscale Uno sguardo alle finanze pubbliche mostra anche una certa moderazione fiscale: il debito 2022 in rapporto al pil – che non può essere “gonfiato” dall’inflazione – è del 57,7% in Ecuador, e del 53,7% a Panama. Più complessa la questione di El Salvador, che ha di recente portato il suo debito pubblico al 75,1% dall’88,1% del 2020: era al 46,8% nel 2004, segno che la dollarizzazione non impone una sana gestione dei conti pubblici. Come cinque Ecuador e diciassette El Salvador L’Argentina è un’altra cosa: a parità di potere d’acquisto – un’unità di misura necessaria, vista l’elevata inflazione del paese – le sue dimensioni misurate dal pil 2022 sono pari a cinque Ecuador, diciassette El Salvador (e mezzo), e sette Panama. C’è un evidente problema di dimensioni: il governo di Quito ha dollarizzato praticamente grazie alla Coca Cola, e alla sua controllata Tonicorp, attiva anche nel settore dei latticini, che riusciva a distribuire dollari anche nei villaggi più piccoli. Non sono mancate, proprio in quel caso, tensioni sociali e politiche: i primi depositi in dollari avevano un tasso di interesse negativo. Milei in cerca di 40 miliardi di dollari La transizione dal peso al dollaro può diventare onerosa. Lo stesso Milei ha valutato in 40 miliardi di dollari, da recuperare, l’intero costo dell’operazione; e questo anche se gli argentini, per mantenere fermo il loro potere d’acquisto, possedevano già, a fine 2022, nei loro conti bancari o in contanti 246 miliardi in valuta Usa: più del 50% del pil in dollari del 2021, il 39% di quello del 2022 (la svalutazione morde…). La sola scelta del tasso di cambio – tra tassi ufficiali e tassi del mercato nero – può avere conseguenze enormi. È vero che l’operazione può avvenire in un tempo relativamente lungo: El Salvador ha impiegato due anni, l’Ecuador sei mesi. Riserve valutarie negative Occorre però fare attenzione alle riserve detenute dalla banca centrale: Melei dice di volarla abolire (anche se Ecuador ed El Salvador la conservano), ma in ogni caso le sue attività e le sue passività, tra le quali ci sono riserve e banconote, sono parte del bilancio allargato dello Stato. A maggio, sulla base dei tassi di cambio allora vigenti, era stato calcolato un fabbisogno di dollari pari a 5,5 miliardi, non poco, solo per l’autorità monetaria. In ogni caso, con 23,8 miliardi di dollari di riserve valutarie lorde (e -10 miliardi di riserve nette, perché prevalgono le passività, secondo il Fondo monetario internazionale) l’Argentina «non ha abbastanza dollari per dollarizzare - come ha spiegato Alejandro Werner, ex direttore per l’Emisfero occidentale per l’Fmi, all’Americas Quarterly – e non ha accesso ai mercati per ottenere dollari». La bomba fiscale dei Leliq La Banca centrale, inoltre, sta emettendo titoli di liquidità, i Leliq, per drenare moneta dal sistema e tenere sotto controllo l’inflazione: l’ammontare complessivo è in riduzione, ma l’autorità monetaria è ancora esposta per 22.581 miliardi di pesos, pari a 62,8 miliardi di dollari al cambio ufficiale, sui quali riconoscono un tasso del 130%. Sono il triplo della base monataria argentina e il triplo delle riserve valutarie lorde: per l’economista Ramiro Castiñera sono l’equivalente di uno schema Ponzi. Secondo Roberto Cachanovsky, economista anch’egli ultraliberista – propone come Friedrich Hayek l’uso di qualunque moneta, in concorrenza tra loro – e favorevole alla dollarizzazione fino al 2019, questa massa di debito impedisce ora l’adozione della valuta Usa. Non mancano soluzioni più o meno creative, che consistono in una ristrutturazione dell’intero bilancio della Banca centrale o, in alternativa, l’ennesimo ricorso ai prestiti del Fondo monetario. Un’antica proposta, mai realizzata Il passaggio, insomma, è delicato e gli aspetti tecnici, fondamentali per la riuscita del programma, sono molto complessi. Un ennesimo default non si può escludere. Non si può dimenticare che l’idea di dollarizzare l’economia non è nuova: fu proposta nel 1999 anche da Carlos Saúl Menem, il presidente che varò nel ‘91 il currency board, il cambio fisso con la moneta Usa. Fu istituito un gruppo di lavoro alla banca centrale, ma la sola notizia determinò un aumento dei tassi, nel timore di una nuova svalutazione, dopo quella decisa a gennaio di quell’anno. La storia dei mesi successivi, tra l’elezione di Fernando de la Rúa, e l’introduzione del Corralito e poi del Corralón per evitare la corsa agli sportelli, e infine il rovinoso crollo del currency board spinsero il progetto sullo sfondo, anche se gli economisti hanno continuato a discuterne. Allora, come oggi, la proposta fu avanzata durante una fase di crisi, quando l’intera operazione era decisamente più complicata. Obiettivi irrealistici L’esperienza del currency board mostra anche cosa ci si può realisticamente attendere da una dollarizzazione: la stabilità monetaria, ma niente di più. L’Argentina non cederebbe più alla tentazione di monetizzare il proprio debito pubblico, e tornerebbe ad avere un’inflazione ragionevole. Non male, per un paese colpito ripetutamente da un surriscaldamento dei prezzi che, alla fine, punisce i più deboli. La dollarizzazione però non garantirebbe una sana gestione fiscale e soprattutto non sarebbe sufficiente, da sola, per stimolare la crescita, per la quale occorre innanzitutto innovazione. Durante il currency board, l’aumento della produttività e quindi dei salari reali fu piuttosto limitato. Il tutto al costo di un forte irrigidimento della politica economica: niente politica monetaria, niente politica valutaria. Il ruolo di Pechino Non manca un versante geopolitico. Una quota importante delle riserve valutarie sono a disposizione dell’Argentina grazie a uno swap bilaterale, attivato nel 2014 e valido fino al 2026, tra la banca centrale di Buenos Aires e la Banca del Popolo cinese, che ha quindi un ruolo importante nel sostenere i pagamenti internazionali del Paese. Dei 23,8 miliardi di dollari di riserve lorde, a metà agosto 17,9 miliardi risultavano forniti dalla Pboc cinese, anche se finora l’Argentina ha effettivamente attivato lo swap per 6,5 miliardi. I molti swap attivati dalla Cina sono operazioni che, secondo molti analisti, danno a Pechino un forte potere sui paesi assistiti, e la cosa è ancora più evidente per l’Argentina, in evidenti difficoltà finanziarie: i contratti sono formalmente simmetrici, ma è difficile che la Pboc abbia bisogno dell’assistenza di Buenos Aires. Il dilemma di Milei Milei ha adottato finora una forte retorica anti-cinese, ma è verosimile che abbia ora bisogno anche di Pechino, subito e a maggior ragione durante e dopo un’eventuale dollarizzazione (la Cina aiuta anche il dollarizzato Ecuador). Forse sarà addirittura necessario un via libera da parte della Cina. A meno che la dollarizzazione non avvenga con il sostegno pieno, e un’intesa formale, con gli Usa. Operazione semplice con un’eventuale nuova presidenza Trump - “the Donald” è apparso entusiasta per l’elezione di Milei - più difficile, a meno che non prevalga un pragmatismo di carattere geopolitico, con Biden o un suo successore democratico. Read the full article
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pollicinor · 2 years ago
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Permacrisi, “new normal”: sono molte le definizioni coniate, oltre alla vecchia stagflazione, per descrivere questo scenario. Sostanzialmente, si tratta di una fase che dovrebbe riscontrare una crescita altalenante, con inflazione alta, diffusa e costante nel tempo, da affrontare con tassi che paiono alti ma che in realtà sono ben distanti da quelli che c’erano negli anni 70 e 80 quando l’inflazione stava sopra il 10%. Al di là delle formule, la verità è che il denaro è tornato a costare, come non accadeva da molto tempo. Ed è difficile resettare le abitudini. A cominciare da quelle di una classe politica che è stata capace di sprecare in modo criminale un decennio abbondante di condizioni strafavorevoli, che mai erano capitate e che, come ci stiamo accorgendo ora, difficilmente torneranno. Basti pensare che prima del “quantitative easing” la quantità di titoli del nostro debito pubblico detenuti dalla Bce era inferiore al 5% del totale, mentre oggi è al 26% perché la banca centrale ha effettuato acquisti netti di titoli per oltre 400 miliardi
Dall’articolo "Fine della stagione del denaro a costo zero" di Enrico Cisnetto
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notiziariofinanziario · 2 years ago
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La salute della nostra economia dipende in gran parte dalla stretta correlazione tra inflazione e tassi di interesse.
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L'impatto sulla nostra economia dell'Inflazione e dei tassi di interesse è significativo. I tassi di interesse sono lo strumento delle Banche centrali per controllare il costo del denaro. L’aumento di questi, quindi, è una misura che le Banche centrali mettono in atto per cercare di ridurre la circolazione del denaro e quindi l’inflazione. Quando i costi del prestito sono bassi, le persone e le imprese tendono a spendere di più, generando inflazione. Per limitarla, le Banche centrali aumentano i tassi di interesse in modo da incentivare il risparmio. La maggior parte degli esperti ritiene che l’inflazione scenderà in modo significativo in primavera/estate ma non finirà nel 2023. Storicamente abbiamo visto che i cicli a tassi elevati non durano troppo a lungo e di solito si invertono in 2-3 anni. Considerato che siamo già a circa 9 mesi in questo ciclo, i segnali di un cambiamento del ciclo dei tassi di interesse arriveranno dalle tendenze dell’inflazione, che infatti sta iniziando a scendere. Quando l’inflazione inizia a diminuire, le Banche centrali interrompono gli aumenti dei tassi di interesse: questo è il primo segnale che le cose iniziano a cambiare. Come investire con i tassi in aumento Gli investitori dovrebbero essere consapevoli degli effetti delle variazioni dei tassi sui diversi strumenti finanziari, dato che l’aumento ha un impatto significativo sui mercati finanziari e sugli investimenti. In un contesto di tassi di interesse elevati, le decisioni circa gli investimenti non sono facili da prendere, anche perché è semplice andare nel panico e commettere poi degli errori. Non è semplice infatti stabilire quali settori siano positivi durante un aumento dei tassi di interesse, perché, osservando le performance passate, non abbiamo dei riscontri univoci. Si può dire con certezza però che un aumento dei tassi di interesse comporta un maggior costo del debito pubblico. Buoni del Tesoro Questo significa che gli Stati emetteranno in maniera regolare dei Buoni del Tesoro (i BTP, ovvero obbligazioni emesse dal Ministero dell’Economia e delle Finanze per conto dello Stato) per finanziare il proprio debito, e pagheranno a scadenze regolari degli interessi a chi li acquisterà. Obbligazioni L’aumento dei tassi di interesse quindi rende più remunerativi e più convenienti gli investimenti in obbligazioni, che siano statali ma anche corporate, ovvero emesse da aziende o società private. Sarebbe meglio però orientarsi sulle obbligazioni di breve termine, in grado di offrire degli interessi più elevati, mentre invece quelle di lungo periodo risultano spesso maggiormente rischiose, visto che rischiano di svalutarsi ancora di più nel futuro. In un contesto attuale, quindi, conviene orientarsi su obbligazioni e titoli di Stato. Conti deposito Un altro strumento che beneficia dell’aumento dei tassi di interesse sono i conti deposito. Questi consentono di proteggere i risparmi dall’erosione naturale alla quale vanno incontro se restano fermi sul conto corrente. Cosa non fare quando i tassi d’interesse sono alti Sono sconsigliati tutti i tipi di indebitamento, che siano mutui e/o prestiti. Quando i tassi di interesse sono alti, infatti, allora sarà maggiore anche il costo dei finanziamenti erogati ai clienti delle banche. Quando la Banca centrale alza o riduce i tassi di interesse, i costi di indebitamento delle altre banche ne risentono. A loro volta, queste lo riflettono sui propri clienti, applicando tassi più alti o più bassi nei propri servizi finanziari commerciali e al dettaglio, a seconda della situazione. L’aumento dei tassi di interesse si riflette poi sul risparmio delle famiglie, andando ad erodere i conti correnti e dunque il potere d’acquisto delle persone. Da evitare anche le azioni. Le azioni generalmente soffrono a causa di tassi di interesse più elevati. Se i tassi di interesse salgono, il costo del capitale per le imprese sale. Questo, come immediata conseguenza, fa aumentare ulteriormente le spese per interessi, riduce i profitti e diminuisce la capacità di un’azienda di investire nella crescita. I mercati vedono chiaramente queste dinamiche. Quando i tassi di interesse salgono, le azioni vengono rivalutate e i prezzi delle azioni, in particolare delle società ad alto debito, sono sotto pressione. Guardando alle imprese, però, è vero anche che tassi più alti sono spesso positivi per le imprese perché eliminano i concorrenti deboli. Le aziende più deboli hanno difficoltà a onorare il debito esistente o ad aumentare il debito, rendendole non competitive. Read the full article
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pettirosso1959 · 2 years ago
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UN RACCONTINO GREEN, dal Blog di Giovanni:
Un certo stato, chiamiamolo X, è governato da un re megalomane, chiamiamolo Tizio.
Un bel giorno viene in mente a Tizio una grande idea. Sui tetti di tutte le case del suo regno dovranno essere costruite statue di Tizio, per immortalarne l’immagine nei secoli. Qualcuno ha delle perplessità: dove troveranno i proprietari delle case i soldi per simili, costosi lavori? Niente paura, dicono i regali economisti: lo stato finanzierà le opere tramite il sistema bancario, inoltre, aggiungono da solerti keynesiani, ci sarà un incremento di occupazione che stimolerà consumi ed investimenti.
I lavori iniziano. Le imprese edili lavorano al rafforzamento dei tetti, artisti ed artigiani costruiscono le statue, abili muratori le fissano su solide basi.
Ci sono più occupati, nel sistema circola più denaro che alimenta un certo flusso di investimenti aggiuntivi, anche se di dimensioni assai modeste.
Tutto bene allora? Non proprio. Si, perché muratori, artisti ed artigiani cosa hanno prodotto? Forse beni che interessano in qualche modo i consumatori? Merci che si possono trovare sui banchi dei mercati? NO. Non hanno prodotto generi alimentari, televisori, automobili, nuove abitazioni, solo statue di Tizio. La quantità di beni che la gente compra è rimasta invariata o è aumentata di poco. La maggiore liquidità immessa nel sistema, non trovando il corrispettivo di una maggior quantità di beni si traduce in incremento dell’inflazione.
Non solo: le banche che hanno finanziato i lavori hanno ora dei crediti nei confronti dello stato, ma questo crea una situazione molto difficile. Lo stato non ha i soldi per pagare i suoi debiti. Per farlo può solo aumentare il disavanzo pubblico o stampare moneta, cioè, in ogni caso, creare inflazione, oppure può NON pagare il suo debito nei confronti delle banche, ma questo può portarne molte al fallimento, con conseguenze disastrose per tutto il sistema economico.
Quella che sembrava, oltre che un doveroso omaggio al grande Tizio, una intelligente politica economica si rivela come un’avventura che può portare il paese X al disastro.
Ora, sostituiamo le statue di Tizio con l’efficientamento energetico delle abitazioni ed avremo chiaro ciò che significa la decisione presa dal parlamento europeo in tema di “case green”.
Una follia, economicamente devastante e con effetti irrisori, se non negativi, sull’ambiente.
Qualcosa di simile ai monumenti sui tetti delle abitazioni, solo che non si tratta di Tizio ma di Greta Thunberg.
#casegreen #greta #economia
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ultimaedizione · 2 years ago
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Tra inflazione e recessione - di Antonio Mascolo
Tra inflazione e recessione – di Antonio Mascolo
Dove va l’economia? C’è un rallentamento globale, con fase di stagnazione, con una tendenza alla riduzione della crescita e attraverso l’aumento dell’inflazione e dei tassi di interesse, attraverso la guerra in atto tra Russia e Ucraina con la conseguente crisi energetica, l’economia globale ha incominciato prima a ristagnare, poi ad entrare in stagflazione ed ora si avvicina alla fase pericolosa…
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samdelpapa · 4 years ago
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Sì può svincolare l'euro anche con la sovranità fiscale e la inflazione a garanzia ( fiscalità a scambio) perché tutte le monete sono private dalla 1944 Woody che fondò pure Word Bank e FMI.
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LO STATO DEVE BATTERE MONETA, TUTTO IL RESTO SONO CHIACCHIERE
in data aprile 28, 2021
Qualcosa non funziona:
Noi, il Popolo sovrano, non riusciamo a mettere un nostro uomo a Capo del Governo;
a Capo del Governo c'è un banchiere;
il Governo, amministratore delle ricchezze del Popolo, invece di battere una moneta nazionale di proprietà popolare, cede la gestione della moneta alle note famiglie di banchieri internazionali;
noi, il Popolo sovrano, unico legittimo proprietario di tutte le risorse presenti nel Paese, siamo indebitati con i banchieri di un debito inestinguibile;
il Governo, invece di dare al Popolo ciò che gli appartiene, chiede al Popolo sovrano, con le tasse, il denaro necessario ad arginare la carenza di moneta creatasi in seguito alla cessione ai banchieri.
Cos'altro c'è da capire?
Lo Stato deve battere moneta: tutto il resto sono chiacchiere per intrattenere il pubblico pagante.
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btpspread-blog · 6 years ago
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Marco Zanni su separazione tesoro banca centrale , debito pubblico e agenzie di rating Fonte del video
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pier-carlo-universe · 3 months ago
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BTP dello Stato Italiano: Cosa Sono, Perché Investire e Come Farlo
Scopri i vantaggi, i rischi e le opportunità di investimento nei Buoni del Tesoro Poliennali.
Scopri i vantaggi, i rischi e le opportunità di investimento nei Buoni del Tesoro Poliennali. I Buoni del Tesoro Poliennali (BTP) sono titoli di Stato emessi dal governo italiano per finanziare il debito pubblico. Questi strumenti finanziari offrono rendimenti fissi e rappresentano una delle scelte preferite dai risparmiatori italiani e internazionali per costruire un portafoglio stabile.…
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vadaviaaiciap · 5 years ago
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Il Corriere ripete che stampare moneta crea inflazione.
La Bce ha stampato 2,5 trilioni di euro con il QE.
Inflazione eurozona? 0,7%.
Non solo Ci dicono che la lira era "debole".
Con la lira, eravamo quarta potenza.
Con l'euro forte, siamo al collasso.
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accidya · 6 years ago
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più inflazione per tutti, ma in fondo raga “scherzavano” con il nostro debito pubblico
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scienza-magia · 1 year ago
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Debito pubblico italiano verso quota 3000 miliardi di Euro
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L’(in)sostenibilità del debito pubblico. Il debito pubblico italiano resta su livelli elevati ed è destinato a crescere ancora. Numeri che tornano a preoccupare anche gli investitori internazionali. C’è chi lo definisce un fardello, chi un macigno. Qualunque sia l’etichetta che gli venga attaccata la crescita inarrestabile del debito pubblico italiano, tra i più alti d’Europa e del mondo, è proiettata verso quota 3.000 miliardi di euro. A impensierire gli osservatori è la sua sostenibilità nel lungo periodo. La temono i mercati, ma anche le organizzazioni internazionali come l’Fmi che ha esortato il Governo ad intervenire visto che il rapporto debito-Pil dell’Italia potrebbe restare ancora al di sopra della soglia del 140%, almeno fino al 2028. Dalle pagine del Financial Times anche il governatore uscente dalla Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha sollecitato il premier Giorgia Meloni ad affrontare i timori crescenti degli investitori.Appelli che si sono intensificati dopo la pubblicazione a fine settembre dei numeri della NaDef (Nota di aggiornamento del Def, la cornice economica della Legge di Bilancio). Le indicazioni sul futuro dei conti pubblici hanno riportato agli occhi degli investitori internazionali il ‘caso/rischio Italia’. In particolare, è stata mal digerita l’intenzione di fare più deficit. Nella nota di Palazzo Chigi si legge che “nello scenario programmatico il deficit è del 5,3% nel 2023 (stimato al 4,5% lo scorso aprile) e del 4,3% nel 2024”. Debito proiettato verso quota 3mila miliardi. L’esecutivo stima per il 2023 un debito pubblico pari a 2.874 miliardi, con un aumento di 116 miliardi rispetto a fine 2022. Le prospettive non appaiono rosee. Anzi, l’escalation è destinata a proseguire: partito lo scorso gennaio da quota 2.757 miliardi ha raggiunto a luglio 2.859 miliardi. “Da qui in avanti la dinamica sarà più regolare, con oscillazioni verso l’alto e verso il basso, per terminare in una fascia compresa tra 2.839 e 2.875 miliardi”, segnala Mazziero Research nell’ultima pubblicazione dedicata ai conti pubblici italiani. In termini assoluti, però, il debito continuerà a crescere con una dinamica accentuata che porterà, secondo le stime della NaDef, a sfiorare i 3.000 miliardi di euro il prossimo anno, per poi superare stabilmente questa soglia dal 2025. Il debito, una storia che ha radici lontane. Il problema debito non è una novità per l’Italia, ma una questione che ha radici lontane. Certo, gli ultimi anni, tra la crisi finanziaria, quella del debito Ue e lo scoppio della pandemia quando il rapporto debito/Pil è volato oltre il 150%, hanno complicato lo scenario. Osservando l’analisi della dinamica del debito, Bankitalia ricorda come questa rifletta “essenzialmente il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche e l’andamento dell’economia”. Una dinamica che si è distorta sempre più negli anni con la spesa pubblica in aumento costante ed entrate fiscali in calo. Ora, la situazione resta difficile se si considera l’elevata inflazione e gli alti tassi di interesse. Tanto che nella NaDef si legge che nel prossimo triennio ci saranno diversi fattori a esercitare una maggiore pressione sul rapporto debito/Pil. “L’incertezza del contesto internazionale influirà negativamente sulla crescita economica che vedrà un rallentamento, almeno fino al 2024. Inoltre, una maggiore quota dei titoli di debito recepirà i maggiori tassi di rendimento derivanti dall’aumento dei tassi Bce, spingendo al rialzo la spesa per interessi”. Per le casse dello Stato, si legge nella NaDef, il quadro potrebbe ulteriormente peggiorare nei prossimi anni fino al 2026 con la spesa per interessi verso la soglia dei 100 miliardi. Chi ha in mano il debito pubblico italiano? Secondo i dati diffusi a ottobre da Palazzo Koch, la quota del debito detenuta dalla Banca d’Italia è lieve calo al 25,1%, mentre a luglio (ultimo mese per cui questo dato è disponibile) quella nelle mani dei non residenti e dagli altri residenti (famiglie e imprese non finanziarie) si attestano rispettivamente al 27% e al 12%. Per far fronte al proprio debito, il Governo continua a macinare emissioni, rivolgendosi sempre più ai risparmiatori italiani come nel caso del BTP Valore. Un modus operandi che continuerà: secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio nel 2024 le emissioni lorde dei titoli di Stato sono stimate a 479 miliardi rispetto ai 316 del 2022 e ai 437 miliardi di quest’anno. Read the full article
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pollicinor · 6 years ago
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Come è brutta, sporca e cattiva la moneta unica. Quella moneta unica che ci ha esentato dal signoraggio – questo sì – della inflazione, che aveva disarticolato la base produttiva italiane negli anni Settanta, ponendo le condizioni perché non fosse conveniente per gli imprenditori fare crescere di dimensione e di capitalizzazione le loro aziende. Quella moneta unica che ha permesso a imprese e a famiglie di indebitarsi, negli ultimi dieci anni, con tassi bassissimi. Non vi preoccupate: grazie alla specifica abilità di adoperare la leva del debito pubblico, grazie alla scelta di tutti gli ultimi governi di fare correre la spesa corrente e di quello attuale in particolare di spostare il denaro pubblico dalle imprese alle persone, tutto questo presto finirà: i tassi saliranno presto. E, mentre la domanda internazionale si contrae ogni giorno e la globalizzazione ogni giorno arretra, qualcuno inizierà a non trovare più con molta facilità, al Bazaar dell’economia internazionale, i nostri prodotti. La recessione tecnica non esiste. La recessione è recessione e basta. Andate a parlare con un imprenditore che fa prosciutti a San Daniele del Friuli o che produce componenti per auto a Torino o che realizza scarpe di lusso nella Riviera del Brenta. Vi spiegherà bene che la recessione tecnica non esiste. E, soprattutto, vi spiegherà che la recessione è già qui.
Dall’articolo "La recessione tecnica non esiste. In Italia è recessione e basta" di Paolo Bricco
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notiziariofinanziario · 2 years ago
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Siamo arrivati al momento della nuova emissione del Buono del Tesoro Poliennale
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Il nuovo Buono del Tesoro Poliennale parte oggi. Il BTP sarà indicizzato all’inflazione, proprio durante un periodo in cui il costo della vita è aumentato in un modo davvero repentino. La scadenza di questo BTP è pari a 5 anni. La cedola Nella tarda mattinata del 3 marzo il MEF ha comunicato la cedola reale annua minima della diciannovesima emissione del BTP Italia, al via da lunedì 6 marzo, che è fissata al 2,00%. La cedola definitiva verrà invece stabilita con una prossima comunicazione all’apertura della quarta giornata di emissione, nella mattinata di giovedì 9 marzo e potrà essere confermata o rivista al rialzo rispetto a quella oggi comunicata. Le fasi del collocamento Il titolo verrà emesso per i piccoli risparmiatori tra il 6 e l’8 marzo, e la conclusione del collocamento sarà il 9 marzo. Le due fasi daranno così suddivise: - dal 6 all’8 marzo: per i risparmiatori privati; - il 9 marzo: per gli investitori istituzionali. Btp Italia marzo 2023: rendimento, caratteristiche e cedola Come abbiamo già visto si tratta di un titolo indicizzato all’inflazione, anche se al momento non sappiamo ancora quale sarà il rendimento minimo del titolo stesso. La cedola verrà infatti comunicata il 3 marzo 2023, secondo le indiscrezioni di stampa dovrebbe avvicinarsi al 2%. Sappiamo comunque che le cedole verranno pagate ogni sei mesi, e che verranno maggiorate dal recupero della perdita del potere di acquisto che si realizza poi nel periodo di riferimento. Al momento sappiamo soltanto che il BTP “normale” con scadenza pari a 5 anni ha un rendimento del 3,58%. Il rendimento di questo titolo invece sarà variabile, in quando presenta una cedola fissa, alla quale poi si aggiunge la componente che viene appunto misurata rispetto all’inflazione rilevata dall’Istat. Proprio in relazione a questo, se l’inflazione dovesse mantenersi oltre una certa soglia, allora il titolo indicizzato renderebbe di più rispetto a quello a cedola fissa, e viceversa. Premio fedeltà Gli investitori che parteciperanno all’emissione primaria e manterranno il titolo in portafoglio fino alla scadenza si vedranno riconoscere un rendimento aggiuntivo pari allo 0,8%. Per ottenere il premio fedeltà quindi occorre tenere il titolo fino al 14 marzo 2028. Costi I costi sono sempre una parte da considerare, quando parliamo di qualsiasi investimento. Non sono previste commissioni per il piccolo risparmiatore (quindi, per chi acquista nella prima fase del collocamento). La tassazione è quella sui titoli di Stato, ovvero pari al 12,5%. Come acquistarli? Gli investitori che scelgono di acquetare questi BTP Italia potranno farlo attraverso la propria banca, sia recandosi in filiale che utilizzando l’home banking; basta possedere un conto titoli. Un’altra possibilità è recarsi presso gli uffici postali. Il collocamento avverrà sempre sul MOT (il mercato telematico delle obbligazioni e dei titoli di Stato di Borsa Italiana). Conviene comprare BTP Italia marzo 2023? I BTP sono sempre stati degli strumenti presi in considerazione e spesso scelti dagli investitori italiani. Dal momento che siamo in un momento di grande inflazione, questi titoli dovrebbero appunto servire a fronteggiare questo problema, e quindi a fornire una protezione contro di essa. Il BTP è sicuro, anche se come dobbiamo sempre ribadire non esiste un investimento sicuro al 100%, quando piuttosto esistono degli investimenti più sicuri di altri. Se consideriamo però il rischio Italia, dobbiamo tenere presente che si tratta pur sempre di un paese con un debito pubblico molto elevato (cha potrebbe arrivare al 150% del PIL). Il premio fedeltà potrebbe far riflettere alcune persone e spingere alcuni investitori a voler investire, ma siamo sicuri che sia davvero una buona idea? Potrebbero esserci comunque delle alternative, se stai cercando una copertura dal rischio inflazione, e questa potrebbe essere quella degli ETF obbligazionari, ovvero fondi a gestione passiva che investono nei titoli di Stato obbligazionari in tutta Europa. Read the full article
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