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Business online: Definizione e Idee per Guadagnare
INDICEDefinizione di business online Conto corrente per business online Come aprire un business online? È possibile iniziare un business online da Zero? Che requisiti bisogna avere per creare un business online da zero? Come funziona un business online? Idee di business online per guadagnare Tipologie di business per guadagnare online Modelli di business per guadagnare online Partendo dalla definizione, il business online si riferisce a qualsiasi attività economica condotta tramite Internet, che può includere la vendita di prodotti fisici o digitali, la prestazione di servizi, il marketing di affiliazione e altro ancora. Secondo le statistiche più recenti, il commercio elettronico ha registrato una crescita significativa negli ultimi anni. Nel 2020, le vendite al dettaglio online hanno superato i 4,2 trilioni di dollari, rappresentando il 18% del totale delle vendite al dettaglio globali. Questo dimostra l'ampio potenziale di guadagno offerto dal business online. Passando alle idee di business online, sono molteplici le opportunità che puoi considerare. Ad esempio, l'e-commerce continua ad essere un settore in rapida crescita, con un incremento delle vendite online del 27,6% nel 2020 rispetto all'anno precedente. Altre idee interessanti includono la creazione e vendita di contenuti digitali, che ha generato entrate per un valore di oltre 305 miliardi di dollari nel 2020, e il marketing di affiliazione, che ha generato commissioni per un totale di 16,7 miliardi di dollari nel solo 2020.
online business e idee per fare soldi online
Definizione di business online
Il business online, noto anche come e-commerce, è un modello commerciale in cui le transazioni di beni e servizi avvengono attraverso Internet. Esso coinvolge l'utilizzo di piattaforme digitali, come siti web, applicazioni mobili e social media, per promuovere, vendere e distribuire prodotti o servizi ai consumatori. Secondo le statistiche più recenti, nel 2021 le vendite al dettaglio online hanno raggiunto il valore di 4,28 trilioni di dollari, rappresentando circa il 18% delle vendite totali al dettaglio a livello mondiale (Fonte: Statista, 2021). Questo valore è in costante crescita negli ultimi anni, con un tasso di crescita annuo composto (CAGR) del 20,7% tra il 2017 e il 2021. L'adozione sempre maggiore del business online è guidata da diversi fattori. Prima di tutto, l'aumento dell'accessibilità a Internet e l'espansione della connettività mobile hanno reso più facile per le persone connettersi e fare acquisti online. Inoltre, l'ampia disponibilità di opzioni di pagamento e la crescente fiducia dei consumatori nel fare acquisti online hanno contribuito alla crescita del settore. Le aziende che adottano il business online possono beneficiare di una serie di vantaggi. Innanzitutto, l'apertura di un negozio online consente alle imprese di raggiungere un pubblico globale, superando le limitazioni geografiche dei negozi fisici. In secondo luogo, il business online offre una maggiore flessibilità in termini di orari di apertura, consentendo alle aziende di essere operative 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Inoltre, l'automazione dei processi di vendita e di gestione degli ordini può portare a una maggiore efficienza operativa e a una riduzione dei costi.
Conto corrente per business online
Il conto corrente per business online è un conto bancario dedicato alle operazioni finanziarie di un'attività commerciale che opera su Internet. Secondo uno studio condotto da Small Business Trends nel 2021, il 70% delle piccole imprese negli Stati Uniti possiede un conto corrente separato per gestire le loro operazioni commerciali. Questo tipo di conto consente alle imprese di ricevere pagamenti online attraverso diversi strumenti di pagamento come carte di credito, carte di debito, bonifici bancari e servizi di pagamento online. Secondo un rapporto di Statista, il volume mondiale di pagamenti digitali nel 2021 è stato stimato a oltre 5,4 trilioni di dollari. Il conto corrente per aziende online è uno dei requisiti necessari al buon funzionamento del business online ed è inoltre un passo che rispetta normative di legge di paesi specifici
Come aprire un business online?
Per aprire un business online, è importante seguire un approccio strategico che includa diversi elementi chiave. Innanzitutto, è fondamentale condurre una ricerca di mercato accurata per comprendere il settore di riferimento, l'andamento del mercato e l'identificazione dei potenziali clienti. Questa fase di analisi può includere la raccolta di dati, come le statistiche di mercato, le tendenze di consumo e i comportamenti dei clienti. Successivamente, sarà necessario definire una proposta di valore unica che differenzi il tuo business online dai concorrenti. Ciò può includere la scelta di un prodotto o servizio distintivo, l'identificazione di un target di clientela specifico e la creazione di un brand riconoscibile. Una volta definita la tua proposta di valore, dovrai sviluppare una solida strategia di marketing digitale. Questo può comprendere la creazione di un sito web professionale e user-friendly, l'implementazione di strategie SEO per migliorare la visibilità online, l'utilizzo dei social media per promuovere il tuo business e la pianificazione di campagne pubblicitarie online mirate. È possibile iniziare un business online da Zero? Sì, è possibile avviare un business online da zero. Internet ha reso accessibile l'avvio di un'attività online senza la necessità di una base consolidata. Gli imprenditori possono sfruttare le opportunità offerte dal mercato online e adottare strategie efficaci per distinguersi dalla concorrenza. Che requisiti bisogna avere per creare un business online da zero? Per creare un business online da zero, è necessario possedere conoscenze di base di Internet e tecnologia. È importante comprendere l'utilizzo di computer, la navigazione online e gli strumenti digitali comuni. Inoltre, acquisire competenze di marketing digitale è fondamentale per promuovere il business e raggiungere il pubblico di riferimento. La ricerca di mercato è un aspetto cruciale per comprendere il mercato di riferimento, le esigenze dei clienti e la concorrenza. La gestione efficace del tempo e delle risorse, insieme a una mentalità di determinazione e perseveranza, sono fondamentali per superare le sfide lungo il percorso. La capacità di adattarsi ai cambiamenti e di continuo apprendimento sono altresì importanti, poiché il panorama online è in continua evoluzione.
Come funziona un business online?
Un business online opera attraverso l'utilizzo di Internet come principale strumento per condurre le attività commerciali. Essenzialmente, il funzionamento di un business online si basa su tre elementi chiave: presenza online, promozione e transazioni. La presenza online è costituita da un sito web o una piattaforma digitale che rappresenta il punto centrale del business. Questo sito web può contenere informazioni sui prodotti o servizi offerti, descrizioni dettagliate, immagini, recensioni dei clienti e metodi di contatto. La presenza online può essere integrata con funzionalità aggiuntive, come blog, chat in tempo reale o forum, per interagire con i potenziali clienti. La promozione è un aspetto fondamentale per far conoscere il business online e attirare traffico qualificato. Ciò può essere realizzato attraverso varie strategie di marketing digitale, tra cui l'ottimizzazione dei motori di ricerca (SEO), la pubblicità online, il content marketing e la presenza sui social media. L'obiettivo è aumentare la visibilità del marchio, generare interesse e attirare potenziali clienti verso il sito web. Le transazioni online sono la parte cruciale del business online. Questo può includere l'implementazione di un sistema di e-commerce per vendere prodotti direttamente attraverso il sito web, consentendo ai clienti di selezionare e acquistare articoli e di effettuare pagamenti online in modo sicuro. Nel caso di servizi, le transazioni possono implicare prenotazioni online, pagamenti anticipati o la fornitura di informazioni personalizzate.
Idee di business online per guadagnare
L'e-commerce rappresenta un'opportunità significativa nel panorama dei business online. Secondo le statistiche, il valore globale delle vendite al dettaglio online è in costante crescita e si prevede che raggiungerà i 4,5 trilioni di dollari entro il 2021 (Fonte: Statista). Questo dimostra l'enorme potenziale di guadagno nel settore dell'e-commerce. Oltre all'e-commerce, i servizi online offrono un'altra possibilità redditizia. Secondo una ricerca condotta da McKinsey, il mercato globale dei servizi online sta crescendo costantemente e si prevede che raggiungerà un fatturato di oltre 200 miliardi di dollari entro il 2025. Questo indica una domanda significativa per servizi come consulenza, progettazione grafica, scrittura di contenuti e marketing digitale, offrendo opportunità di guadagno interessanti. Un altro modello di business online redditizio è il marketing di affiliazione. Secondo le statistiche, il marketing di affiliazione ha registrato un aumento delle entrate di oltre il 10% nel 2020. Questo modello permette di promuovere prodotti o servizi di terzi e guadagnare una commissione per ogni vendita generata. L'aumento delle entrate nel settore del marketing di affiliazione evidenzia il suo potenziale di guadagno. La creazione e la vendita di contenuti digitali rappresentano un'altra opportunità di business online. Con l'aumento della domanda di contenuti digitali come e-book, corsi online, musica e video, il mercato dei contenuti digitali è in crescita. Si stima che il tasso di crescita annuo del mercato dei contenuti digitali raggiungerà il 7,6% fino al 2024, offrendo opportunità di guadagno interessanti per chi crea e vende contenuti digitali. Esistono altre idee di business online per aumentare i propri guadagni e con l'avanzare delle nuove tecnologie nuove idee stanno nascendo, la nicchia del business online è una nicchia sempre in movimento e sempre in cambiamento e che richiede un costante aggiornamento
Tipologie di business per guadagnare online
Ci sono diverse tipologie di business online che offrono opportunità di guadagno. L'e-commerce è una delle opzioni più comuni, dove è possibile vendere prodotti fisici o digitali tramite un negozio online. I servizi online offrono un'altra possibilità, consentendo di offrire consulenza, progettazione grafica, scrittura di contenuti o altri servizi tramite piattaforme digitali. Il marketing di affiliazione è un modello di business in cui si promuovono prodotti o servizi di terzi e si guadagna una commissione per ogni vendita. Inoltre, la creazione e la vendita di contenuti digitali come e-book, corsi online o musica possono generare entrate consistenti. Infine, ci sono molte altre opportunità di business online, come la consulenza, la creazione di app o software, la vendita di prodotti digitali o l'offerta di servizi specializzati. È importante valutare le proprie competenze, interessi e risorse disponibili per identificare la tipologia di business online che si adatta meglio alle proprie esigenze e obiettivi finanziari. Modelli di business per guadagnare online Ci sono diversi modelli di business online che offrono opportunità di guadagno. Uno di questi modelli è la vendita di prodotti o servizi attraverso un negozio online. Questo può includere la vendita di prodotti fisici o digitali, offrendo una vasta gamma di opzioni di vendita. Un altro modello è quello di fornire servizi online. Questo può riguardare la consulenza, la progettazione grafica, la scrittura di contenuti, il marketing digitale o altre competenze specializzate. Offrire servizi online consente di raggiungere un'ampia base di clienti e di fornire valore attraverso la propria esperienza. Il marketing di affiliazione è un altro modello di business online popolare. In questo caso, si promuovono prodotti o servizi di altre aziende e si guadagna una commissione per ogni vendita generata attraverso i propri sforzi di marketing. Un'altra opzione è la creazione e la vendita di contenuti digitali come e-book, corsi online, podcast o altri tipi di contenuti digitali. Questo modello richiede la creazione di contenuti di valore che possono essere monetizzati attraverso la vendita diretta o il coinvolgimento di un pubblico che paga per accedere al contenuto. Infine, ci sono modelli di business basati sulla pubblicità, dove si genera guadagno attraverso la visualizzazione di annunci pubblicitari sul proprio sito web, blog o canali social. Questi sono solo alcuni dei modelli di business online disponibili, e la scelta dipenderà dalle proprie competenze, interessi e obiettivi finanziari. È importante valutare attentamente il modello di business più adatto alle proprie esigenze e dedicare tempo ed energia per svilupparlo in modo efficace. Business online senza partita iva È possibile avviare un business online senza avere una Partita IVA, a condizione di rispettare le leggi e le normative fiscali del paese in cui si opera. Ad esempio, nel caso del marketing di affiliazione, è possibile collaborare con reti di affiliazione o programmi di marketing online senza la necessità di registrarsi come impresa o ottenere una Partita IVA. Tuttavia, se il tuo business online coinvolge la vendita diretta di prodotti o servizi, potrebbe essere richiesta la registrazione come impresa e l'ottenimento di una Partita IVA per adempiere alle normative fiscali e commerciali. Per esempio, in Italia, quando il fatturato annuo supera i 65.000 euro, è obbligatoria l'apertura di una Partita IVA e la registrazione come impresa. Allo stesso modo, in molti altri paesi, sono previste norme simili per la registrazione e la dichiarazione delle entrate derivanti da un'attività commerciale online. Read the full article
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Mangiare sano senza rinunciare al gusto: la storia di Fitporn
Avete mai sentito parlare del termine "foodporn"? Quei video che ci appaiono sui social di persone che giorno dopo giorno visitano i più nascosti posti d'Italia e del mondo per far vedere le migliori "leccornie" culinarie. Tanto cibo, però, ci fa sempre pensare allo stare bene ed una domanda sorge spontanea: mangiare sano senza rinunciare al gusto, è possibile? L'abbiamo chiesto al protagonista della storia di oggi: la startup napoletana Fitporn. Cosa vuol dire "foodporn"? Con la definizione #foodporn dunque si intende un contenuto visivo con protagonista un alimento che è in grado di catturare e mantenere su sé stesso l’attenzione del pubblico. Più un contenuto è particolare ed esagerato e più riscuote successo e proprio per questo spesso il foodporn viene associato a un altro concetto molto conosciuto sui social: il junk food, ovvero il cibo spazzatura. Intervista a Luca Carbone, CEO di Fitporn Eccoci arrivati al momento dell'intervista per la storia odierna. Abbiamo scambiato quattro chiacchere con Luca Carbone, CEO di Fitporn: Le storie hanno sempre un punto di partenza: come nasce Fitporn? In particolare, io Luca Barone, (cofondatore e CEO di Fitporn Srl) lavoravo nel quartiere generale di Myprotein in Inghilterra. Analizzando i dati di vendita di prodotto mi accorsi che il settore del food funzionale stava crescendo velocemente e, dopo aver coinvolto quelli che poi sono diventati i miei cofondatori (Valentina, Paolo, Alessio e i Raffaele e Caterina – anche conosciuti come 2foodfitlovers – tutti con importanti esperienze in ambito culinario e/o social), sono tornato in Italia per far partire il progetto. Inizialmente, abbiamo registrato il marchio ma temevamo che la burocrazia italiana, nella quale non avevamo esperienza, potesse darci delle lezioni di vita imprenditoriale a caro prezzo per cui abbiamo messo in piedi un accordo con un mio ex cliente in cui la sua azienda ci dava la possibilità di far crescere la nostra idea all’interno della loro struttura prima di organizzarne la separazione come entità a sé stante. Nel primo anno di vita del marchio abbiamo fatturato più di 400.000 € e, fatti i conti, ci siamo resi conto che potevamo raggiungere l’obiettivo di essere in attivo a bilancio se avessimo costituito la nostra Srl. Per cui abbiamo fatto il salto, e a marzo 2023 siamo riusciti ad ottenere il riconoscimento di startup innovativa dalla Camera di Commercio di Napoli. Cos'è, quindi, Fitporn e di cosa si occupa? Fitporn è il marchio di alimenti dietetici ma buoni quanto quelli tradizionali. Perché noi stessi non ci accontentiamo di mangiare sano, a meno che non sia anche goloso, per cui ricreiamo ricette tradizionali (ad esempio il famoso bacio perugina o il pangoccioli della Mulino Bianco) modificandone la composizione, al fine di rendere il prodotto più salutare ed inclusivo, cercando di mantenere alta l’asticella del gusto. Come e quanto sta crescendo la startup? Quali sono stati i risultati ottenuti fino ad ora? Tanto, e a volte ci chiediamo se è normale che sia così. Dopo aver coinvolto già più di 30.000 clienti, avere ottenuto il listing in diverse insegne della GDO a livello nazionale, ci prepariamo a fare il salto di qualità. Ma riveleremo tutto a tempo debito Mangiare gustoso ma in maniera salutare: in che modo? I nostri 2foodfitlovers (Raffaele e Caterina) col supporto di Paolo (ex-chef per professione, ora solo per passione) lavorano instancabilmente tutti i giorni per sperimentare ingredienti e ricette innovative, spesso documentando il tutto sui social (principalmente Instagram, Tiktok e Youtube con lo username omonimo “2foodfitlovers”). Questo crea hype nella community (e spesso i prodotti vanno sold out nel giro di giorni dal lancio!) e, avendo il contatto diretto coi consumatori, ci consente di fare indagini e ricerche di mercato che ad altre aziende costerebbero decine di migliaia di Euro. Così, col feedback dei consumatori, affiniamo le ricette e le lanciamo poi quando tutti sono soddisfatti, sia internamente che esternamente. Quali sono i prossimi step e progetti di Fitporn? Potendo contare su di una community davvero importante, la vogliamo coinvolgere ancora di più a sentirsi parte del progetto e lanceremo una campagna di equity crowdfunding, per la quale già abbiamo ricevuto già tante adesioni informali. Read the full article
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Marco Zanni su separazione tesoro banca centrale , debito pubblico e agenzie di rating Fonte del video
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Il premier dipende - Dodici domande a Giuseppe Conte, pur sapendo che non risponderà (....)
1. MES O si è a favore o contro. Difficile sostenere «decide il Parlamento», mentre sul resto vanno bene i dpcm. Conte è a favore o contro il Mes? E se è a favore (o contro) perché non mette la sua leadership e anche il suo stesso governo esplicitamente a rischio in caso di scelta non condivisa dal Parlamento? Trentasei miliardi sono davvero molti. Impossibile dire «non decido io».
2. PNRR Investimenti o sussidi, e in quale percentuale? Se il piano sarà fatto di investimenti, su quali temi e con quali ritorni economici e in quanto tempo? Sui teorici 209 miliardi, quanti vanno a finanziare spese già definite a bilancio e quanti sono ex novo? La lista della spesa tipo due arance, tre banane e quattro zucchine è inaccettabile, gli slogan “verde, digitale e circolare” sono abusati. Perché non specificare gli investimenti, i ritorni in termini di crescita, di nuovi posti di lavoro, di base imponibile in modo esplicito? Quale è la risposta sui 62 punti di Matteo Renzi, che all’opposto di Conte entra nei contenuti in modo netto?
3. PROTEZIONE DEL LAVORO O PROTEZIONE DEL LAVORATORI Caso Alitalia come esempio qualificante. Proteggiamo i lavoratori, con adeguati scivoli sociali, oppure proteggiamo il lavoro inefficiente che costa dieci volte tanto (molto di più nel tempo)? Non si può pretendere di fare entrambe le cose e Alitalia è solo uno delle migliaia di casi che in primavera si porranno alla scelta. Se un’azienda non è in grado di sostenersi si creano dilazioni e sussidi per tenerla viva artificialmente (a spese del contribuente) o si proteggono i lavoratori e si fa fallire l’azienda? Non si può dire «non lo so» o «dipende». La scelta è chiara, ineludibile. Cassa integrazione e blocco licenziamenti sono una scelta. Allora diciamolo e siano chiari i costi (enormi).
4. PRESENZA DELLO STATO NELL’ECONOMIA Quale è la posizione di Conte? Riflette le convinzioni di Mariana Mazzucato da lui nominata consigliere economico? Auspica una maggiore o una minore presenza dello Stato nell’economia rispetto a oggi? Non si può dire, anche qui, «dipende». Certo che esistono situazioni diverse, ma rispetto allo status quo di oggi Conte auspica una maggiore o una minore presenza dello Stato nell’economia attraverso la partecipazione diretta in imprese? Non lo sappiamo.
5. AUMENTO TASSAZIONE E SPESA PUBBLICA O RIDUZIONE TASSAZIONE E SPESA PUBBLICA Sentire i politici (di destra e di sinistra) che predicano su come spendere è francamente disgustoso. La legge di bilancio è la peggiore da 20 anni con una dose di spreco senza eguali in mancette elettorali, dai rubinetti ai presepi al cargo bike. In futuro non potremo più fare deficit perché il rapporto deficit/pil al 170 per cento post Recovery plan è chiaramente un limite superiore invalicabile. Quindi per definizione o si spende di più e si tassa di più, ma bisogna dire anche cosa si tassa di più, oppure si tassa di meno e si spende di meno ma bisogna anche dire dove si spende meno. Non si può non si potrà dire «dipende». O l’uno o l’altro. Si potrà semmai dire dove si spende (o si risparmia) e dove si tassa (o si detassa). Scommetto che la posizione di Conte sarebbe quella di lasciare tutto com’è… pur di non esprimersi e di non scontentare l’anima di spesa del Od o l’anima contraria a ulteriori tasse di tutto il paese. In sintesi qual è il piano di incidenza percentuale della spesa pubblica sul Pil nel tempo? Qual è il saldo primario? Qual è la crescita economica prevista e quindi i saldi di finanza pubblica in termini di debito/pil?
6. EURO Siamo in modo dichiarato definitivo e indiscutibile a favore dell’Europa e dell’euro senza alcun dubbio, oppure condizioniamo la nostra appartenenza a euro ed Europa a qualche evento particolare? Questo non significa rinunciare a riformare le istituzioni europee, ma le riforma dell’Europa si fanno in 27 e spesso all’unanimità, perciò è necessario definire se a prescindere dallo sforzo di riforma (sulla base di convinzioni di vario genere) restiamo agganciati con convinzione al treno europeo, oppure se la nostra convinzione è condizionata da come l’Europa andrà riformandosi. Non è la stessa cosa e non si può più giocare o restare nell’ambiguità. Anche se è difficile da digerire per i Cinquestelle (e anche di più per la Lega).
7. POLITICA ESTERA Siamo per una scelta atlantista fino in fondo e quindi molto chiari nella politica di rapporto commerciale, ma non subordinato nei confronti della Cina o della Russia, oppure pensiamo che sia possibile una via italiana più sganciata dall’atlantismo? Si intende ritornare ad avere un ruolo nel vicinissimo nord Africa o si continua a essere irrilevanti? Inutile continuare ad adombrare la Via della Seta o altre baggianate simili. Da che parte stiamo nello scacchiere geopolitico mondiale che si sta creando? Con la nuova Amministrazione Biden sarà più difficile essere tutto e il contrario di tutto. America is back.
8. IMMIGRAZIONE Quale è la posizione sull’immigrazione? Vogliamo frontiere sostanzialmente aperte per umanitarismo sull’egida dell’accogliamo tutti perché è etico e giusto, o decidiamo di non accogliere tutti e di porre limiti precisi all’immigrazione con tutte le conseguenze del caso anche spiacevoli come rimpatriare subito chi arriva oppure di controllare in modo proattivo gli sbarchi come fanno altri paesi? I tentativi di sbarco continueranno così come l’immigrazione clandestina, vista la collocazione dell’Italia nel Mediterraneo. Urge una scelta precisa con tanto di numeri di immigrazione accettata e anche qualità dell’immigrazione accettata.
9. AMMINISTRAZIONE PUBBLICA Si vogliono introdurre criteri stringenti di controllo della performance dei dipendenti pubblici e premiare il merito come peraltro già previsto da leggi in vigore (ma mai attuate seriamente) oppure si preferisce continuare a tollerare enormi differenze tra diversi territori e tra diverse funzioni nell’ambito della pubblica amministrazione? In altre parole, si vuole finalmente introdurre un criterio di meritocrazia e di rapporto stretto tra produttività e salario anche nella pubblica amministrazione oppure continuiamo a considerare il pubblico impiego sostanzialmente slegato da qualsiasi logica di efficienza? E non si dica che non si può perché, volendo, si può benissimo fare, ma sappiamo bene che avrebbe un costo di sanguinose reazioni da parte dei sindacati del pubblico impiego e di vasti strati dell’elettorato.
10. RAPPORTO PUBBLICA AMMINISTRAZIONE/CITTADINO La filosofia di fondo del rapporto tra la pubblica amministrazione e il cittadino prevede una rapporto fiduciario e la sanzione dei comportamenti sleali o, all’opposto, una selva di regole astruse tra loro contraddittorie e nei fatti l’impunita per carenza di adeguati controlli? Siamo per la definizione di congiunto in due pagine di testo e per la definizione del numero di commensali a tavola il giorno di Natale, o per una norma di buon senso e nella fiducia che il cittadino la rispetti?
11. EVASIONE FISCALE Al di là della parole e delle dichiarazioni di intenti si intende combattere l’evasione fiscale attraverso una verifica del rapporto redditi/patrimoni e attività di controllo a campione anche se questo va a scapito di vaste fasce di popolazione e anche di territori dove l’evasione è molto diffusa fino a diventare quasi un collante sociale? Si è pronti ad affrontare impopolarità per richiedere il pagamento di tasse come l’Imu ampiamente evase? Si è pronti a dichiarare ex ante una percentuale di controlli a campione per categoria con verifica dei conti correnti bancari e relative multe ben sapendo dove sono le fasce di evasione e le relative lobby? Si è pronti a superare l’assurda logica del cash back per combattere l’evasione e all’opposto ad andare su controlli accurati, su base informatica e a comminare le sanzioni previste?
12. GIUSTIZIA Si vuole lavorare sulla prescrizione o all’opposto sulla durata dei processi? Quale è la posizione sulla responsabilità della magistratura in caso di errore materiale? Quale è la posizione sull’utilizzo delle intercettazioni e sulla loro pubblicazione?
Come osa Linkiesta porre quesiti al Poderoso Statista?! Ciuseppi ha sempre ragione e non deve rispondere a nessuno, soprattutto in stato di emergenza... ... No, wait a second!
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LISTA CIVICA PIU’ SOLBIATE: Dichiarazione di voto sul Rendiconto 2019
OGGETTO: Dichiarazione di voto relativa al punto 2 in o.d.g. del Consiglio Comunale del 26.05.2020 avente ad oggetto ESAME ED APPROVAZIONE DEL RENDICONTO DELLA GESTIONE ANNO 2019. Nel ribadire quanto già evidenziato a fine 2019, in particolare riguardo alla progressiva diminuzione dei trasferimenti statali agli enti locali e alla situazione di deficit strutturale riguardante le partite correnti, deficit che risulta coperto, negli anni precedenti, solamente da entrate straordinarie, questo inizio 2020, ci vede impegnati ad affrontare una situazione emergenziale, che, a livello globale viene definita come la più difficile dal dopoguerra, con risvolti inevitabilmente negativi, a livello locale. Nonostante siano arrivati trasferimenti statali ad hoc per fronteggiare questa pandemia, sono comunque risorse insufficienti, considerando tutte le implicazioni socio-economiche ad essa collegate. Già nel corso del 2019 si è evidenziato un trend in crescita per la spesa sociale, con un impatto negativo sul bilancio. Rispetto alle situazioni critiche che si sono palesate fin dai primi mesi dall’insediamento dell’attuale giunta, vogliamo rimarcare l’impegno nello studio di soluzioni il cui obiettivo è stato, e sarà sempre, quello di una gestione oculata del bene pubblico: - Per la Farmacia Comunale si è ridiscusso l’accordo con Saronno Servizi per evitare perdite ulteriori per l’anno 2020 ed i successivi; - Per la Piscina comunale, che rappresenta un onere sempre più insostenibile per la nostra comunità, è in fase di valutazione con Saronno Servizi la revisione del relativo accordo di gestione; - Sono in corso di definizione anche interventi di efficientamento energetico degli edifici pubblici che porteranno a una riduzione della spesa per tali voci in bilancio; - Il nostro impegno è stato portato avanti anche nell’attività di recupero dell’evasione dei tributi, che permetterà una maggiore entrata per l’anno 2020; - Sono state introdotte le fasce ISEE per la determinazione delle rette relative ai servizi scolastici e culturali ed è stato attivato il fondo sociale, come strumenti di sostegno alle famiglie in difficoltà, soprattutto in questi mesi di emergenza sanitaria: un passo avanti per costruire maggiore equità; - Non ultima l’ottimizzazione della gestione del patrimonio pubblico, con la razionalizzazione nella gestione degli appartamenti e le scelte verso l’efficientamento energetico, che permetteranno funzionalità, economie e migliori servizi. Saranno purtroppo inevitabili, nel 2020, gli aumenti tariffari relativi alla gestione dei rifiuti da imputare alla scelta, ereditata, di acquistare a listino dal gestore il servizio di spazzamento delle strade anziché metterlo a bando. A peggiorare la situazione anche il contenzioso con la caserma che ha portato ad accantonare un fondo rischi per 67 mila euro, sempre eredità del passato. Dobbiamo anche tenere in debito conto, per l’anno 2021 gli inevitabili ripianamenti dei deficit delle partecipate (Saronno Servizi ha già annunciato pesanti perdite), la situazione finanziaria in sofferenza della piscina e la diminuzione degli incassi da tributi, primo fa tutti l’addizionale IRPEF. Nonostante queste premesse, al momento, non è previsto l’aumento dell’addizionale Irpef che graverebbe ulteriormente sui nostri concittadini e, quindi, sui loro bilanci familiari. Proprio, alla luce degli avvenimenti di questi primi mesi del 2020, si stanno valutando nuove idee e soluzioni post covid-19, in quanto questa esperienza ci insegna come sia fondamentale guardare avanti e cambiare il nostro modo di approcciare le problematiche. Sarà indispensabile puntare all'efficienza, attraverso la tecnologia e la velocità, piuttosto che rimanere fermi al passato. Questo sarà certamente un grande impegno per il futuro. Infine, con rammarico, dobbiamo constatare che finora, la minoranza, si è distinta per la mancanza di proposte concrete, per l’incapacità di svestire, anche in questo particolare momento, il ruolo che si è data e che porta con orgoglio del “fare le pulci” cioè del “cercare accanitamente i difetti e gli errori di qualcosa o di qualcuno con spirito animosamente pignolo e malevolo”, solo per citarne il significato dal dizionario, e per lo spirito di competizione, spesso inopportuno, del chi arriva prima e fa meglio, quando invece, lo ribadiamo fortemente, negli scorsi mesi ed in quelli a venire, speriamo veramente pochi, l’unico valore da mettere in campo è e sarà, l’unione di forze ed energie nella gestione di attività straordinarie come quelle conseguenti alla pandemia in atto. Altri lo hanno fatto, nel silenzio e nella discrezione che si confà ad una situazione come quella attuale. Una minoranza che, ancora una volta, ha perso un’opportunità: quella di dimostrare che il desiderio di visibilità non è la loro priorità. Per tutti questi motivi esprimiamo il nostro voto favorevole. Solbiate Olona, 26.05.2020 Lista civica Più Solbiate I consiglieri
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L’eredità di Draghi: un pilota automatico sulla via dell’austeritàdi Coniare Rivolta *
Al di là della retorica di queste ore, in cui si celebra la fine del suo mandato come Presidente della Banca Centrale Europea (BCE), la figura di Mario Draghi è una chiave utile a comprendere gli aspetti fondamentali dell’attuale contesto economico e politico europeo. Il suo operato alla guida dell’autorità monetaria passa per alcuni snodi fondamentali: dalla lettera a Berlusconi che firmò da Governatore della Banca d’Italia fino al “whatever it takes” con cui – si dice – abbia salvato l’euro, dalla repressione del dissenso greco nel 2015 al cosiddetto Quantitative Easing con cui ha inondato di liquidità i mercati finanziari europei.
Tuttavia, se fossimo stati invitati alla sua cerimonia di commiato che si è tenuta lunedì scorso a Francoforte, avremmo scelto come sintesi della sua eredità politica l’immagine del “pilota automatico”, che coniò nel lontano 2013.
Anno significativo, il 2013 anticipa tutto quello che vedremo svolgersi in Italia fino ai giorni nostri. Si apre, infatti, con le prime elezioni politiche che vedono la partecipazione del Movimento 5 Stelle, un partito che al suo ingresso nel panorama politico parlamentare si aggiudica circa il 25% dei consensi.
Si trattava di un marcato mutamento degli assetti politici tradizionali: all’indomani della fallimentare esperienza del Governo Monti, nessuna opzione politica – tra quelle che avevano scandito gli ultimi venti anni di vita politica italiana – appare percorribile: archiviato il bipolarismo, salta lo schema dell’alternanza tra centro-destra e centro-sinistra e si rendono necessarie nuove strategie e alleanze. Da lì in avanti assisteremo ad un disordinato rimescolamento della classe politica italiana, a partire dal Governo Letta – che vede convergere il centro-sinistra con pezzi consistenti del centro-destra – fino all’inedita alleanza tra PD e Movimento 5 Stelle che governa oggi.
Quell’anno inaugura dunque un’apparente instabilità politica che non sembra ancora esaurirsi, ma quando viene interpellato sui rischi di questa instabilità, il Presidente della BCE Mario Draghi stupisce tutti:
“L’Italia prosegue sulla strada delle riforme, indipendentemente dall’esito elettorale. Le riforme continuano come se fosse inserito il pilota automatico“.
In qualche maniera, la risposta delude i cronisti che stavano seguendo con passione i continui stravolgimenti del panorama politico nazionale: secondo Draghi, questo caos è solo un’apparenza, sotto alla quale resiste – solido – un disegno di società, un modello di politica economica che si va rafforzando “indipendentemente dall’esito elettorale”, cioè a dire indipendentemente dalla volontà espressa dal popolo sovrano circa la direzione da prendere per organizzare la nostra società.
Volendo riassumere in poche righe l’eredità politica che Draghi lascia all’Europa, nulla è più efficace della figura del pilota automatico. Dietro a quell’immagine c’è un attento lavorio, con il quale le istituzioni europee – la cui punta di diamante è la BCE guidata da Draghi – hanno usato la crisi del 2009 per perfezionare i meccanismi disciplinanti con cui governano l’economia ed impongono ad un intero continente una medesima linea politica, quella del neoliberismo più sfrenato, della deregolamentazione dei mercati, dello smantellamento dello stato sociale e della svalorizzazione del lavoro.
Ma quali sono i pilastri di questa architettura politico-economica che Draghi chiama pilota automatico? Superata l’Europa di Maastricht, meno efficace nelle decisioni ed incapace di accompagnare il rapido evolversi del quadro economico internazionale, Draghi lascia alle sue spalle un’Europa nuova, più flessibile e per questo capace di rafforzare il suo governo dell’economia, un controllo che passa per due momenti fondamentali: sorvegliare e punire.
Sorvegliare
Appena insediatosi a Francoforte, parlando ad un Parlamento Europeo diviso sul percorso da intraprendere per riformare l’Europa in piena crisi economica, Draghi indica una via. Mettere da parte le divisioni e concentrarsi immediatamente sulla disciplina fiscale:
“Credo che la nostra unione economica e monetaria abbia bisogno di un nuovo contratto di finanza pubblica – una riscrittura fondamentale delle regole di bilancio da associare agli impegni dei Paesi della zona euro”.
Un contratto fiscale, un accordo sulla disciplina dei conti pubblici scorporato da tutte le altre questioni sulle cui i politici europei si sarebbero potuti continuare a confrontare per lustri: è la nascita del Fiscal Compact, che impone ai paesi europei non più l’indicativa soglia del 3% massimo di deficit pubblico, ma un rigido pareggio di bilancio accompagnato da un monitoraggio costante dei conti pubblici, il Semestre Europeo. Si tratta di un vero e proprio salto qualitativo rispetto allo schema di Maastricht, uno schema che aveva consentito continue eccezioni alla regola, lasciando ampi spazi ai governi europei per aggirare la disciplina di bilancio.
Con il Fiscal Compact, il disavanzo pubblico di medio termine viene sostanzialmente bandito, costringendo tutti i Paesi ad una stretta fiscale. Con il Semestre Europeo, le istituzioni europee hanno la possibilità di vagliare ogni singolo passaggio nella definizione della politica economica dei Paesi membri, costretti a trasmettere a Bruxelles con anticipo tutti i documenti fondamentali di finanza pubblica.
La Commissione Europea controlla così la scrittura stessa della Legge di Bilancio, e può indicare a ciascun Paese i passi che deve intraprendere per tornare sul percorso di riduzione del debito pubblico imposto dal Fiscal Compact. Questo schema consente dunque una sorveglianza totale sulla politica economica dei singoli Paesi da parte delle istituzioni europee.
Punire
Questo meccanismo disciplinante sarebbe però inefficace se non prevedesse un’adeguata punizione per i Paesi restii a seguire le prescrizioni del Fiscal Compact. E qui interviene, direttamente, l’azione dell’autorità monetaria. Tutti i nuovi strumenti di politica monetaria introdotti sotto la Presidenza Draghi (dalle Operazioni Monetarie Definitive, le OMT, al Quantitative Easing, il QE) hanno condotto sul proscenio del governo dell’economia europea la sua banca centrale, confinata fino ad allora ai compiti tradizionali di gestione dei mercati finanziari e valutari.
Quando Draghi dichiarò che avrebbe fatto tutto il necessario per salvaguardare la tenuta della moneta unica, il famoso “whatever it takes”, sancì l’inizio di una dominanza monetaria sull’economia europea che passava per una impetuosa inondazione di liquidità. Più che triplicando la dimensione del proprio bilancio, la BCE si è posta al centro del funzionamento del sistema economico e, ciò che più conta, si è messa nella posizione di poter condizionare pesantemente le politiche fiscali nazionali.
La politica fiscale, ovvero la politica di bilancio di uno Stato, concerne le scelte di spesa pubblica e di finanziamento della stessa che può avvenire o tramite i tributi o in deficit (tramite il ricorso al debito pubblico): controllare i meccanismi e le condizioni dell’indebitamento pubblico significa, di fatto, controllare una parte rilevante della politica di bilancio di un Paese. Esattamente quello che la BCE sta facendo negli ultimi anni.
In che modo? Tra i più importanti strumenti concreti di conduzione della politica monetaria adottati da una banca centrale vi sono le compravendite di titoli sui mercati finanziari: si tratta di operazioni che consentono di immettere e ritirare moneta dal sistema economico. L’oggetto principale degli acquisti condotti dalla BCE dal 2015 ad oggi sono stati i titoli del debito pubblico dei Paesi membri, ed oggi l’autorità monetaria è il principale creditore di tutti i governi europei.
Questa posizione di dominio gli permette di attestarsi un ruolo di vertice anche nelle scelte di politica fiscale dei singoli Paesi. Ad esempio, se un governo prova a realizzare un deficit di bilancio maggiore di quello consentito dalla Commissione Europea, il tentativo viene immediatamente rilevato dal capillare meccanismo di sorveglianza dei conti e scatta la punizione: la BCE inizia a ridurre gli acquisti dei titoli del Paese indisciplinato, o addirittura inizia a vendere sui mercati lo stock di quei titoli in suo possesso.
Ciò provoca una diminuzione del prezzo del titolo e, parallelamente, un aumento del tasso d’interesse: appare così lo spread, ed il Paese indisciplinato inizia a ballare la rumba dell’instabilità finanziaria. Ecco che, usando la leva monetaria, cioè tutta la potenza di fuoco inaugurata con il “whatever it takes” e messa in campo con il QE, la BCE ha il potere di ricattare i governi europei: o accettano il percorso disegnato dal Fiscal Compact, e cioè la linea politica dell’austerità, oppure sono condannati all’instabilità finanziaria e alla crisi.
Ecco il pilota automatico. Noi possiamo certamente votare, in via ipotetica, per ricostruire lo stato sociale, per migliorare la legislazione sul lavoro, per nazionalizzare i settori strategici o per ogni altra misura che possa avvantaggiare le classi subalterne, ma l’Italia, piaccia o non piaccia al popolo sovrano, deve proseguire lungo i binari dell’austerità fiscale e della distruzione del modello sociale europeo, indipendentemente dall’esito elettorale.
Perché la nostra moneta, l’euro, non è un neutrale strumento di gestione dell’economia: è un progetto politico preciso, a cui Draghi ha conferito la forza di imporre disoccupazione, precarietà e sfruttamento fuori da ogni controllo democratico. Sì, Draghi ha salvato l’euro, ma per farlo ha condannato 500 milioni di europei ad un modello di società incentrato sul profitto di pochi e sulla precarietà di molti, il cui perimetro di definizione è scritto a chiare lettere nei trattati dell’Unione Europea.
Questa è la sua eredità.
* Coniare Rivolta è un collettivo di economisti – https://coniarerivolta.org/
31 Ottobre 2019 - © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
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Cos’è il debito pubblico italiano e come si calcola
Cos’è il debito pubblico italiano e come si calcola
Il Debito pubblico è uno dei parametri fondamentali per capire la salute di uno Stato. Ecco cos’è e come si calcola.Economia, Economia italiana, Guide Ogni Stato deve far fronte a delle spese per il suo sostentamento e il debito pubblico è l’ammontare complessivo di indebitamento che uno Stato contrae per coprire i propri fabbisogni. Questa è, in estrema sintesi, la definizione di debito…
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http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o51979:e1
Alla prospettiva dei "sovranisti" di destra e di sinistra,
che è catastrofica per i lavoratori di tutto il mondo, contrapponiamo
il fronte unico proletario anti-capitalista, internazionale e internazionalista!
(25 Ottobre 2018)
Dalla sua nascita fino ad oggi, il governo Lega-Cinquestelle gode di un largo consenso popolare. Ha saputo accreditarsi come un governo che sa affrontare a muso duro i "poteri forti", anzitutto l'UE. Un governo che comincia finalmente a restituire ai lavoratori qualcosa di ciò che è stato loro rapinato in trenta e più anni di "austerità neo-liberista" targata centro-destra e centro-sinistra. La decisione di "tirare dritto" dopo che Bruxelles ha bocciato la finanziaria per il 2019 rafforza questa immagine. La rafforza anche tra le organizzazioni politiche e sindacali della sinistra non (ancora) parlamentare, per le quali il governo Salvini-Di Maio sarebbe addirittura un governo "progressista" da sostenere nel suo conflitto con i suddetti "poteri forti", o rispetto al quale restare neutrali.
Si tratta di un colossale abbaglio, se ci riferiamo ai lavoratori comuni, di una canagliata, se ci si riferisce a ex-militanti di sinistra. Il "sovranismo", il nazionalismo "populista", in nome del quale il governo in carica conduce la sua politica sul modello-Trump, è una prospettiva catastrofica per i lavoratori. Perché si basa su una ricetta - "Prima gli italiani", "America First", "Prima i francesi", etc. - che spinge gli sfruttati gli uni contro gli altri in una concorrenza al ribasso da cui hanno tutto da perdere. Incluse la libertà di lottare per sé, la dignità e, a tempo debito, la vita.
Del resto, se si hanno gli occhi per vedere, il primo importante provvedimento di questo governo, il decreto-Salvini, parla chiaro. Anzi, chiarissimo. Perché:
1)costringe centinaia di migliaia di richiedenti asilo e di lavoratori immigrati a restare senza permesso di soggiorno, condannandoli al super-sfruttamento e alla povertà;
2)colpisce le lotte per la casa e le lotte operaie, in particolare quelle dei facchini della logistica, introducendo pene durissime contro gli occupanti di case e gli autori di blocchi stradali, e con ciò cerca di intimidire ogni futuro movimento;
3)regala alle organizzazioni mafiose la possibilità di riacquistare i beni loro sequestrati e mette nelle loro mani un altro po' di immigrati privi di tutto da usare e buttare all'occorrenza.
Noi saremo in piazza il 27 ottobre a Roma anzitutto contro questo decreto e la politica razzista del governo Lega-Cinquestelle che con i mezzi più infami cerca di scagliare i proletari italiani contro i proletari immigrati, per favorire, con la loro divisione, il massimo sfruttamento degli uni e degli altri da parte delle imprese, legali e "illegali", di ogni tacca. "Prima gli italiani"? (sottinteso: i più bisognosi tra gli italiani). Macchè. Prima i capitalisti, i palazzinari, le false cooperative, i "poteri forti" (a proposito...) della logistica e della malavita organizzata! E poco importa se sono italiani o stranieri, dal momento che proprio sotto questo governo, il capitalismo made in the USA sta facendo man bassa di imprese - ultime il Milan, la Versace e la Magneti Marelli. E, si badi bene sempre a proposito di "poteri forti", l'UE non ha fatto alcuna obiezione al decreto-Salvini perché condivide in pieno la guerra senza tregua agli emigranti e agli immigrati di cui si vanta il governo fasciostellato, che è una guerra a tutti gli sfruttati - prima lo comprendiamo, meglio è.
Ma il 27 ottobre saremo in piazza a Roma anche contro la "politica sociale" della banda Salvini-Di Maio. Perché, nonostante l'assordante battage propagandistico su altri temi, gli elementi centrali di tale politica sono: la sostanziale conferma delle infinite agevolazioni fiscali al grande capitale varate dai governi precedenti; il largo condono a padroncini, commercianti e professionisti evasori (del resto, la Lombardia, terra di insediamento storico della Lega, "è la terra degli evasori", lo ha certificato il procuratore di Milano, Greco); l'abbassamento dell'aliquota fiscale per le nuove imprese fino al 5% per 5 anni, mentre la tassazione minima dei salari operai resta al 23%, quindi aumenta il fiscal drag. E per il biennio 2020-2021 sono previsti l'aumento dell'Iva e altri capitoli della flat tax, di cui curiosamente nessuno parla. Questa politica fiscale ha un inequivocabile segno di classe pro-capitalista.
Il reddito di cittadinanza e l'uscita pensionistica anticipata hanno forse un segno opposto? No.
Il "reddito di cittadinanza", giustamente ridenominato da più parti reddito di sudditanza, è un amo avvelenato. Come in Germania le misure dell'Hartz IV su cui è modellato (al ribasso), darà qualcosa (si vedrà quanto, probabilmente un obolo), a tempo (si vedrà per quanto tempo), a un po' di persone in difficoltà (si vedrà a quante); ma lo fa con lo scopo di rendere i precari, specie i giovani, sempre più ricattabili costringendoli ad accettare qualsiasi tipo di lavoro e in qualsiasi luogo, perché se non l'accettano, perdono anche il sussidio. Con 780 euro come tetto massimo, si istituzionalizza la povertà, altro che abolizione della povertà! Servirà semmai a normalizzare il lavoro al nero e il lavoro gratuito obbligatorio, cioè proprio quei rapporti di lavoro che mantengono le persone nella povertà o a rischio di povertà. E in sovrappiù creerà un controllo statale soffocante sui più poveri, minacciati dal giustiziere Di Maio di beccarsi fino a 6 anni di carcere se faranno spese "immorali" (gli indigenti, si sa, sono sempre inclini all'immoralità, a differenza dei benestanti, morali per definizione). Evidentemente, non gli bastava avere reintrodotto i voucher tanto cari a Renzi&Co., altra efficacissima misura anti-povertà...
La stessa "quota 100" per andare in pensione servirà più alle imprese che ai lavoratori: perché mentre la pensione dei lavoratori sarà tagliata, da un minimo dell'8% fino al 21%, le imprese potranno sostituire i pensionati, se li sostituiranno, con stagisti e precari che a loro costeranno molto di meno. Tria ha confessato che molti imprenditori gli hanno raccomandato questo provvedimento per ridurre i costi del personale e aumentarne la produttività. Per non parlare del fatto che, molto probabilmente, l'esodo maggiore sarà dal pubblico impiego (i medici anziani in prima fila), e poiché non sono previste nuove assunzioni (salvo che nella polizia), si produrrà un peggioramento dei servizi, specie nella sanità pubblica.
C'è poi una questione fondamentale: una volta di più, a pagare le spese per le mancate entrate del condono agli evasori, per gli incentivi alle imprese, per il reddito di sudditanza e le pensioni anticipate sarà l'insieme dei lavoratori. Come? Con l'aumento del debito di stato - che è un debito di classe fatto dai capitalisti e dallo stato per proteggere gli interessi del capitale, ma pagato dagli operai e dai salariati. Solo nel 2017, lo stato ha pagato ai suoi creditori, che non sono di sicuro dei nullatenenti, 65 miliardi di euro di interessi! - una valanga di euro che ha riempito le casseforti delle banche e svuotato le tasche dei lavoratori.
L'UE, il FMI, la Confindustria fanno delle critiche al governo perché pretenderebbero misure anti-operaie ancora più drastiche. L'UE in particolare fa pressione su Roma anche perché teme che il piano nascosto del governo italiano sia quello di far saltare in aria l'euro. Salvini&Di Maio resistono in parte a questa pressione - meno di quanto le loro roboanti dichiarazioni fanno credere - perché sanno che tra i lavoratori a cui hanno promesso mari e monti, c'è un enorme malcontento che potrebbe esplodere da un momento all'altro. Per questo preferiscono rinviare la stangata violenta a maggio-giugno 2019. La nuova manovra lacrime e sangue è pronta nei loro cassetti. Il più fesso della compagnia, Conte, l'ha ammesso in tv la sera del 22 ottobre: nel caso ci siano difficoltà di bilancio, ha assicurato, faremo una manovra correttiva che comporterà sacrifici. Ha detto proprio così: sacrifici. Facendo ricomparire il tema-chiave, la lugubre parola-chiave degli ultimi trent'anni. Più abile, Salvini, ha detto la stessa cosa in modo accorto: nel caso ci siano difficoltà, "non faremo alcuna patrimoniale", cioè non toccheremo i miliardari e i milionari. Ma se non saranno toccati i capitalisti e i superparassiti, chi pagherà il conto ai creditori-avvoltoi dello stato? Lo stesso Bannon, il consigliori yankee del governo, ha avvertito i suoi assistiti: dovete tener conto dei "mercati", a cominciare dai tre colossi finanziari statunitensi che hanno nelle loro mani la Borsa di Milano (e 3/4 del governo). Il ragionier Tria garantisce che se ne terrà conto: nel caso, promette, taglieremo le spese. Le spese sociali, si capisce (per intanto già sono stati tagliati 100 milioni alla scuola, il resto verrà). A nessuno di costoro può venire in mente la soluzione proletaria: disconoscere il debito di stato!
Insomma: se il FMI, l'Unione europea, le Borse sono nemici giurati dei lavoratori, lo è altrettanto questo governo di razzisti, repressori, truffatori e bari che ha con loro qualche attrito, ma non certo nell'interesse dei lavoratori. Saremo in piazza a Roma il 27 ottobre contro FMI, UE e Borse, ma anche contro la demagogia e il "populismo" di questi travestiti da Robin Hood che operano per scagliare lavoratori italiani contro altri lavoratori italiani, lavoratori italiani contro lavoratori immigrati e contro lavoratori degli altri paesi europei, della Cina e degli altri continenti, in una spirale di competizione e di scontro che preannuncia, oltre le guerre commerciali, guerre vere e proprie di inimmaginabile distruttività.
A proposito di "poteri forti", vi dice qualcosa la parola NATO? Ebbene, noi che ne ricordiamo la potenza e il suo storico ruolo criminale, saremo in piazza contro questo governo che chiude i suoi porti agli emigranti e li spalanca alla NATO, facendo propri i progetti statunitensi di guerra nel Mediterraneo. Contro questo governo che aumenta la spesa militare e intensifica l'aggressione ai popoli dell'Africa e del Medio Oriente. E fa del militarismo, della repressione delle lotte sociali, e dell'autoritarismo nelle scuole, nelle città, nei luoghi di lavoro, la sua bandiera.
Saremo in piazza contro questo governo fascioleghista che un passo dopo l'altro ha aperto una guerra reazionaria contro le donne, il loro diritto al lavoro extra-domestico, il loro diritto all'autodeterminazione e all'aborto assistito; che avalla la violenza domestica, riproponendo una concezione della famiglia ripresa dalla tradizione fascista così cara al ministro "competente" in materia. Un governo che è spietato con le donne che emigrano dall'Africa, consegnandole nelle mani degli aguzzini dei campi di concentramento in Libia, Niger, etc.
Saremo in piazza il 27 a Roma contro questo governo anti-ecologico che, fregandosene del tutto della messa in sicurezza dei tanti territori fragili di cui è costellata la penisola, rilancia le "grandi opere" utili solo alla grande corruzione di stato e ai profitti delle grandi imprese; che è il governo del sì-Tap, sì Ilva (senza nessuna seria protezione degli operai e dei cittadini di Taranto), e anche, probabilmente, del sì-Tav; il governo sotto il quale sta crescendo - nel silenzio generale - la massa degli infortuni e dei morti sui luoghi di lavoro.
Mentre alcune componenti della sinistra "estrema" e del sindacalismo di base, chi più chi meno, ricercano con questo governo un dialogo da collaboratori subalterni, il SI Cobas ha osato chiamare alla lotta contro di esso senza se e senza ma.
Le giornate del 26 e del 27 ottobre danno un nuovo significato, una nuova efficacia agli stessi scioperi generali autunnali del sindacalismo di base, che fino a qualche anno fa erano quasi sempre relegati a una sterile, autoreferenziale testimonianza dei cicli di lotta passati ed esauriti. Questo avviene anzitutto grazie alle lotte e alle mobilitazioni di nuove generazioni di operai, in larga parte immigrati. Il fatto che la quasi totalità del sindacalismo di base (CUB, SI Cobas, Adl Cobas, Slai, USI, Sgb) abbia indetto uno sciopero generale per il 26 ottobre, mentre Cgil-Cisl-Uil restano ferme a guardare le manovre del governo, è indicativo di una chiara scelta di campo: da un lato chi non intende piegarsi allo stato di cose esistente e che, come ieri chiamava alla mobilitazione contro i governi a guida PD, oggi fa altrettanto contro le politiche reazionarie di Lega e 5 stelle; dall'altro chi, come i vertici di Cgil-Cisl-Uil-Ugl, si piega in maniera servile davanti alle esigenze padronali (vedi il cosiddetto "patto della fabbrica" siglato nel marzo 2018), e concede anche al governo Lega-Cinquestelle una tregua a tempo indeterminato. Anche i vertici dell'Usb si guardano bene dal proclamare una sola ora di sciopero contro il governo, pur di lasciare aperta la porta alla possibilità (tanto inquietante quanto delirante) di proporsi come sponda politico-sindacale al governo Conte - gli esiti disastrosi di tale decisione sono stati già visibili nella vertenza-Ilva a Taranto, suggellata da un referendum in cui, senza una sola ora di sciopero, padroni e sindacati firmatari hanno estorto alla maggioranza degli operai un “SI” con la pistola puntata alla tempia.
A fronte di questa chiara divisione dei campi le realtà politiche che si richiamano all'anticapitalismo e all'internazionalismo sono chiamate, tutte, a schierarsi in maniera altrettanto chiara. Laddove, come oggi, è in gioco l'agibilità delle lotte e lo stesso diritto di sciopero, richiamarsi a un'astratta unità "di tutti" facendo finta di non vedere la profonda divaricazione di contenuti, di percorsi, di pratiche e di prospettiva che oggi attraversa tanto il movimento sindacale quanto il campo degli attivisti politici, significa assumere una condotta opportunista che non aiuta lo sviluppo di un fronte di lotta più ampio. Il necessario ampliamento del fronte di lotta non può passare attraverso gli appelli a mini-burocrati sindacali e mini-capi politici che non ne vogliono assolutamente sapere di lottare contro il governo e contro il padronato, ma attraverso il coinvolgimento e l'attivizzazione di contingenti sempre più vasti di proletari e di giovani oggi disorientati e passivi. Benvenute dunque le giornate di lotta del 26 e del 27 ottobre che non saranno affatto, come scrive qualche mascalzone, delle entità invisibili.
Anzi, è proprio grazie alla spinta che viene dalle mobilitazioni operaie di questi anni con in prima fila i proletari immigrati, e alla spinta che viene dai primi scioperi internazionali, dalle lotte operaie, contadine e popolari del Sud del mondo (dalle indomite masse palestinesi per prime), da imponenti manifestazioni antirazziste come quella del 13 ottobre a Berlino e da non meno imponenti cortei di donne in lotta, è giunto il momento di iniziare a lavorare con determinazione, in modo sistematico, per la rinascita di un'organizzazione internazionalista rivoluzionaria degli sfruttati che sia all'altezza dei tempi, e precorra e accompagni la nascita di un nuovo movimento proletario.
Siamo oggi in un passaggio-chiave della situazione economica e politica internazionale. Con l'avvento di Trump e dei suoi alla Casa Bianca la competizione inter-capitalistica e inter-imperialista si è violentemente acutizzata. E si acutizzerà ancora di più se gli Usa attueranno per davvero la denuncia dei trattati militari con la Russia. È evidente, poi, che Washington, mentre lavora a indebolire e disgregare l'Unione europea, si prepara a urti sempre più frontali con la Cina.
La grande crisi del 2008 è stata parzialmente "superata" solo con mezzi che hanno gettato le basi per una crisi di proporzioni ancora più devastanti che appare ormai all'orizzonte, e darà il colpo definitivo al vecchio ordine politico internazionale. In questo contesto, le politiche "populiste" e "sovraniste", cioè nazionaliste, di destra e di sinistra, che promettono l'uscita dalla crisi dei singoli paesi attraverso politiche "espansive" costituiscono una grande, tragica truffa che serve solo a tentare di compattare i lavoratori di ogni nazione dietro i propri sfruttatori nell'illusione di salvare la pelle.
Viceversa è questo il modo più sicuro per perderla. La storia dice che il percorso su cui è avviato il capitalismo globale è un percorso obbligato, dettato dalle sue ferree leggi interne che a nessun governante è dato di rovesciare. E la posta in gioco nel caos attuale non è il destino dell'Italia o dell'euro (come i sovranista di destra e di sinistra vorrebbero far credere); è il destino delle masse sfruttate e oppresse di tutto il mondo. Che si trovano sempre più davanti a un'alternativa radicale che esclude terze vie: o lasciarsi triturare dalla violenta dinamica di decomposizione, dai crescenti conflitti del sistema capitalistico, fungendo da carne da macello dei rispettivi capitalismi nazionali; o regolare i conti definitivamente con questo sistema oramai marcio, e aprirsi la strada con la lotta rivoluzionaria, verso una nuova formazione sociale fondata sul possesso e l'uso collettivo dei mezzi di produzione comuni, senza padroni né sfruttati, senza concorrenza tra lavoratori, libera da ogni tipo di discriminazione fondata sulla nazionalità, sulla "razza", sul genere.
La battaglia senza se e senza ma contro il governo Salvini&Di Maio e contro ogni forma di servile collaborazione con esso, o di altrettanto colpevole neutralità, sta tutta dentro questo quadro di scontro di classe globale. E a deciderne l'esito non saranno certo le elezioni: né quelle locali, né quelle europee. Sarà solo ed esclusivamente il massimo sviluppo della lotta di classe degli sfruttati, italiani e immigrati, giovani e meno giovani.
I tempi e i modi dello scoppio su grande scala del conflitto di classe sono imprevedibili. Non lo sono, invece, i punti caratterizzanti di un programma politico adeguato alle contraddizioni esplosive dei nostri giorni e necessario per dar vita al fronte unico proletario anticapitalista e internazionalista:
-la battaglia contro le politiche e le ideologie razziste promosse dal governo Lega-Cinquestelle e dall'UE, per l'unità nella lotta tra proletari autoctoni e immigrati sulla base di una piena ed effettiva parità di trattamento, per la regolarizzazione immediata di tutti gli immigrati costretti alla irregolarità, per il permesso di soggiorno unico europeo incondizionato a tutti gli immigrati residenti in territorio europeo e a chiunque sbarca sulle coste italiane ed europee in fuga dalle guerre e dalla miseria provocate dai poteri neo-coloniali;
-la lotta per forti aumenti salariali egualitari, sganciati dalla produttività e dalla redditività delle imprese, che consentano di recuperare il potere d'acquisto perduto nell'ultimo ventennio, e per il salario pieno (il salario medio operaio) garantito a precari e disoccupati finanziato con un prelievo fiscale sulla classe capitalistica;
-la lotta per la riduzione drastica, generalizzata, incondizionata dell'orario di lavoro (a parità di salario), e per il lavoro socialmente necessario, che è l'unica soluzione alla triplice dissipazione di energia vitale degli uomini e della natura, nel super-sfruttamento del lavoro, nella disoccupazione e precarietà di massa, nel saccheggio delle risorse naturali - e come mezzo di contrasto alla crescita delle morti sul lavoro;
-la lotta per spezzare l'oppressione di genere, base fondante del sistema capitalistico, con la sua sistematica violenza, discriminazione, supersfruttamento e svalorizzazione della forza-lavoro e del corpo delle donne, e per opporsi alla demolizione del welfare e all'ideologia familista e reazionaria tipica del governo Lega-Cinquestelle (e non solo);
-la lotta contro il sistema bancario per l'annullamento del debito di stato in quanto debito di classe, un vero e proprio cappio al collo degli operai, dei precari, dei disoccupati, come si è visto pure in questo frangente. Una lotta che va collegata e coordinata a livello internazionale alla denuncia dell'indebitamento privato e del debito estero che sta strangolando i lavoratori dei paesi del Sud del mondo, ed è tra le cause primarie delle migrazioni internazionali;
-la lotta contro il montante militarismo, a cominciare dalla denuncia della riconfermata fedeltà dell'esecutivo Salvini&Di Maio alla NATO e ai suoi obiettivi di guerra nel Mediterraneo, in Africa, nel Medio Oriente e sul fronte russo, per il ritiro immediato di tutte le truppe di stato italiane e dei contingenti privati militari italiani dislocati all'estero, per la drastica riduzione delle spese belliche.
24 ottobre 2018
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https://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/quot-fedez-39-nulla-ddl-zan-sinistra-confonde-diritti-269614.htm?fbclid=IwAR1ALtWIAvJs1cWY0IkGZV2LclkfexWQcbx0KMzj6hKdwTJrT0Xzucami70 HANNO FATTO IL DESERTO E L'HANNO CHIAMATO PROGRESSOQuando guardo oltre la mia sfera di comfort ideologico conservatore e ritrovo dei concetti interessanti e su cui riflettere solo nell'estrema sinistra di Marco Rizzo o di Diego Fusaro, mi rendo conto che c'è stata una catastrofe, qualcosa come la scomparsa di Atlantide.Ormai tutta l'area che un tempo era definita moderata tanto cattolica quanto socialista o progressista è sprofondata, annichilita nel seguire i moderni falsi scopi, un modo gentile per definire tutte quelle balle* eco-green-gender-politically correct che vengono spacciate quotidianamente come priorità assolute.Per tutta quell'area lobotomizzata, ormai l'economia è solo gestione del debito in essere e auspicio di debiti a venire; la sovranità è un concetto da annacquare, se non neutralizzare, in aree più grandi o organizzazioni globali in cui non contiamo nulla; l'ordine pubblico è principalmente minacciato da chi cerca di vivere una vita normale; i diritti individuali sono pietre d'inciampo sul percorso dello Stato-organismo di cui i singoli sono solo cellule o, come dice bene Rizzo, sono desideri più o meno inconsueti da rendere leggi; la proprietà privata è sottrazione di risorse al Grande Disegno; l'impresa è per definizione non-etica laddove lo Stato E' l'Etica; la famiglia è vista come prima causa dei problemi e la scuola è meglio che sia una madrassa laica del Pensiero Unico.In questo mondo politico distopico, quell'architrave della democrazia che era il pensiero moderato, pratico e pragmatico è venuto a mancare e l'impalcatura sta crollando.La vera domanda è: è venuto a mancare il pensiero pragmatico o ne sono venuti a mancare i contenitori? Dicendo meglio: sono rincoglioniti gli Italiani o sono impazziti i corpi intermedi?Oggi i corpi intermedi tutti (politici, sociali, sindacali) inneggiano al Modello Futuro, al Next.Ma guardandosi in giro non si vede futuro ma gente spaventata, attività chiuse, voglia di espatriare, rapporti incarogniti, mancanza di speranza, assenza di fiducia nelle istituzioni.Il deserto delle idee e dei valori è già tra noi. Ma l'hanno chiamato Progresso.* (nella prima stesura avevo scritto puttanate, non balle, e non sono sicuro che addolcire il termine sia stata cosa giusta)[P.B.]
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Messina. Operazione antidroga della Polizia di Stato
Eseguite 52 misure cautelari personali e sequestri patrimoniali La Polizia di Stato di Messina, con l’impiego di circa 350 operatori, ha condotto una vasta azione anticrimine che ha portato all’esecuzione di 52 misure cautelari emesse a carico di altrettante persone ed al sequestro di beni mobili, immobili ed altre utilità economiche. Il provvedimento cautelare dispone la misura della custodia in carcere per 26 indagati, quella degli arresti domiciliari per 13 soggetti e quella dell’obbligo di presentazione alla P.G. per 9 persone nonché il sequestro di immobili (appartamenti e garage-cantine), autoveicoli, motoveicoli e altre utilità economiche. L’operazione, denominata “Market Place”, rappresenta l’epilogo delle più recenti indagini condotte dalla Squadra Mobile e coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Messina, su un’ampia e pericolosissima struttura delinquenziale, formata da più cellule, dedita al traffico di sostanze stupefacenti. L’attività di indagine nasce dagli approfondimenti svolti a seguito dell’agguato avvenuto il 25 gennaio 2017 ai danni di due uomini, padre e figlio, i quali furono raggiunti da colpi di arma da fuoco agli arti inferiori. Giorni dopo, nella stessa zona, veniva incendiata una Smart in uso al figlio, mentre pochi mesi prima, nel settembre del 2016, un parente dei due uomini, era rimasto vittima di un attentato analogo. Gli episodi sembravano tra loro collegati e sono divenuti oggetto di approfondimento da parte dei magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia messinese e degli investigatori della Squadra Mobile. Fin da subito le indagini si sono indirizzate sulle componenti malavitose operanti nel quartiere di Giostra e si sviluppavano scandagliando le dinamiche criminali, soprattutto nell’ambito del traffico degli stupefacenti. In quella zona di Messina si era già registrato, nel 2016, un altro allarmante episodio; all’interno di un bar erano stati esplosi dei colpi d’arma da fuoco contro diversi soggetti lì riuniti gravati da precedenti di polizia. Il tutto lasciava supporre che, attorno al popoloso quartiere cittadino, ruotassero interessi da parte di più cellule criminali che, armi alla mano, si stavano affrontando per contendersi la supremazia sul territorio ed assicurarsi i migliori proventi derivanti dagli illeciti affari in materia di importazione e commercializzazione degli stupefacenti. L’approfondimento investigativo, condotto dai poliziotti della Squadra Mobile, ha consentito di fare luce sugli efferati ferimenti dei due congiunti e ha restituito molti elementi indicativi di un intenso traffico di sostanze stupefacenti, gestito all’interno di un comprensorio edilizio, residenza della famiglia dei due uomini. Le intercettazioni telefoniche ed ambientali, la visione delle immagini delle telecamere di osservazione, i tantissimi servizi dinamici sul territorio e gli innumerevoli riscontri all’attività di spaccio hanno condotto, all’emersione di un’articolata associazione criminale, operante nel rione messinese di Giostra, dedita alla gestione di un imponente traffico di droghe di varie tipologie, destinate ad essere immesse sul mercato messinese attraverso la creazione di una vera e propria “centrale dello spaccio”. Questa struttura criminale era articolata in molti “punti vendita” collocati nelle diverse palazzine del complesso, gestiti da vari associati e utilizzati sia per lo smercio al dettaglio ai tossicodipendenti, sia come base per la distribuzione degli stupefacenti a molti pushers, di regola anch’essi clienti, che provvedevano a loro volta allo spaccio al minuto per autofinanziarsi, contribuendo a incrementare così il mercato del sodalizio. All’interno di ciascun appartamento preposto alla rivendita e gestito da uno dei sodali (di regola un membro dell’assetto familiare interessato) la collaborazione del nucleo familiare, spesso allargato, consentiva il protrarsi dell’attività giorno e notte, senza soluzione di continuità. Il complesso popolare era strutturato come una vera e propria roccaforte munita di impianti di videosorveglianza che controllavano gli accessi permettendo, mediante schermi collocati all’interno delle abitazioni, la tempestiva constatazione della presenza delle forze dell’ordine. Inoltre, ad integrare i sistemi tecnologici di rilevazione di presenze “indesiderate”, veniva utilizzato il metodo del “passaparola”, sia tra i “condomini” che tramite i clienti pronti ad avvisare gli spacciatori di eventuali controlli in corso nonché quello delle vedette. L’associazione poteva, avvalersi di un’ampia rete di fornitori indispensabile per garantire il costante flusso di sostanza stupefacente di varie tipologie (cocaina, marijuana, hashish, skunk), che consentiva di far fronte ad un’incessante domanda d’acquisto. A testimoniare l’imponenza dell’organizzazione criminale è la definizione data da un collaboratore di giustizia: “la Scampia di Messina”. L’attività di indagine ha portato alla luce un modus operandi ricorrente nella cessione dello stupefacente, effettuato secondo uno schema fisso che prevedeva la ricezione dell’ordine davanti alla porta di casa, l’attesa dell’acquirente sul pianerottolo e la consegna della droga sempre all’esterno dell’abitazione. In caso di impedimento temporaneo o permanente del “referente principale”, la distribuzione degli stupefacenti veniva gestita dagli altri membri della famiglia, sempre all’interno della stessa palazzina, o demandata ad altri soggetti che gestivano le altre piazze di vendita riconducibili allo stesso gruppo criminale. La posizione centrale nel gruppo criminale era ricoperta dall’uomo ferito nell’agguato (il padre) che, secondo le risultanze, ricopriva importanti funzioni di coordinamento delle diverse piazze di spaccio del comprensorio e di gestione del fiorente traffico illecito, curando l’approvvigionamento della droga, gestendo le negoziazioni sui quantitativi e sui prezzi, decidendo se e a chi condonare un debito o concedere uno “sconto” per l’acquisto di droga e risolvendo altre eventuali problematiche, per lo più connesse ai controlli delle forze dell’ordine (ad esempio, con il frequente ricorso a delle vere e proprie “vedette” che potessero tempestivamente dare notizia dell’arrivo di persone o autovetture “sospette”). Ciascuno degli indagati era coadiuvato nell’attività di spaccio da altri componenti del gruppo familiare: il fratello, la moglie, la suocera (sorella di due collaboratori di giustizia) i cognati ed altri. Tutti i soggetti, al pari dei numerosi altri destinatari dei provvedimenti cautelari, fornivano il loro contributo all’associazione indirizzando i clienti, segnalando eventuali situazioni sospette e rendendosi protagonisti di alcuni episodi di cessione. Di non poco conto era la “copertura” data da un uomo, già collaboratore di giustizia e raggiunto dalla misura cautelare del massimo rigore eseguita nell’ambito dell’Operazione Antimafia denominata “Predominio”. Inoltre le investigazioni condotte evidenziavano l’esistenza di un’altra organizzazione criminale, anch’essa operante nel quartiere Giostra, dedita all’acquisto, alla detenzione ed alla cessione di sostanze stupefacenti dì vario tipo (cocaina, marijuana ed hashish) nonché allo spaccio al minuto di tali sostanze. Capo promotore di tale associazione era da individuarsi in un soggetto, ed altri soggetti deputati a detenere lo stupefacente del gruppo, nonché a svolgere attività di spaccio al minuto, riscuotere i proventi dell’attività e di bonificare i luoghi ove potessero essere installate delle microspie. Un’associazione, quest’ultima, che, peraltro, poteva contare sulla disponibilità di armi da utilizzare per assicurare un efficace controllo del territorio e del mercato dello spaccio. Una disponibilità avvalorata non solo dai ferimenti dai quali l’indagine ha tratto spunto, ma anche dalle conversazioni captate, dalle immagini raccolte e visionate. Elementi cui deve aggiungersi anche, seppur a carico di ignoti, quello del rinvenimento di munizioni del 23 giugno 2017, in uno spazio condominiale delle case popolari oggetto di indagine. Condividendo l’imponente quadro indiziario raccolto dagli investigatori della Squadra Mobile, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Messina – Direzione Distrettuale Antimafia, ha richiesto ed ottenuto, la misura cautelare del massimo rigore per 26 indagati, quella degli arresti domiciliari per 13 soggetti e quella dell’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria per altri 13 individui. La ricostruzione delle consistenze patrimoniali di alcuni degli indagati e dei relativi nuclei familiari e il rilevamento dei redditi annualmente conseguiti da ciascuno di essi permetteva di ravvisare una sproporzione tra i beni posseduti e le loro effettive capacità economiche. Pertanto il G.I.P., nel provvedimento cautelare in argomento, disponeva anche il sequestro preventivo di beni mobili (autovetture e motoveicoli), immobili (appartamenti, garage, cantine) ed utilità economiche presenti in conti correnti riferibili ai destinatari della misura cautelare. Il tutto per un valore complessivo di oltre 300.000 Euro per il rintraccio e la cattura dei destinatari del provvedimento restrittivo, gli investigatori della Squadra Mobile, unitamente al Servizio Centrale Operativo, ha agito sotto il diretto coordinamento della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato che ha inviato in Messina numerosi equipaggi dei Reparti Prevenzione Crimine provenienti dalla Sicilia, dalla Calabria, dalla Campania, dal Lazio e delle Squadre Mobili di Palermo, Reggio Calabria, Catania, Caltanissetta, Siracusa, Ragusa ed Enna. All’attività ha anche collaborato personale dei Commissariati di Pubblica Sicurezza Distaccati e Sezionali della Provincia di Messina, della D.I.G.O.S., dell’Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico e di ogni altra articolazione della locale Questura nonché della Polizia Penitenziaria operante nelle Case Circondariali ove si trovavano già ristretti alcuni soggetti destinatari delle misure cautelari emesse. 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STATI PARALLELI
Visto che la ``simulazione`` o ``gamification`` di aspetti del mio vivere si fa via via piu` invasiva, con la scomparsa della gattina il giorno della mia ``partenza virtuale``, il 22 Dicembre, annunciata su telegram, proseguo con alcuni spunti di analisi tratti da questi chilometri, ormai vicini ai 1000, gia`percorsi. Assodato che vi sia un`organizzazione di tipo mafioso che opera anche su Luang Prabang, non resta da capire in che modo aspiri a dirigere il mio scrivere o la mia stessa esistenza verso un`agenda narrativa ``simbolo`` o `proxy` che permetta di ordinare vita e pensiero attraverso una pedagogia dell'aggressione passiva e molecolarmente diretta. Per farlo questa volta vorrei scomodare una teoria un tempo cara alla mafiologia, quella degli stati paralleli. In Italia, le verita` giudiziarie l`hanno via via confutata ma rappresenta un ottimo strumento di analisi in contesti socio-politici in cui esistono frange militariste molte attive e con obiettivi politici di piu` o meno lungo periodo a volte contrastanti, come capita oggi lungo le frontiere cinesi.
Dovrei citare molti testi ma vorrei partire direttamente da un libro fondativo della mia formazione post-economica in antropologia dello sviluppo. Si tratta di ``The Anti-Politics Machine``, l`adattamento della tesi di dottorato in antropologia sociale di James Ferguson. Il libro racconta l`economia `non governativa` di un piccolo paese africano, il Lesotho, incastrato, si fa per dire, dentro il Sud Africa. Trattandosi di un libro del 1996, utilizzava il termine `anti-politica` con un`accezione molto diversa da quella di oggi. Sintetizzando, il nucleo del suo studio riguarda la nozione di `sviluppo` come sistema di conoscenza su cui vengono pianificati una serie di interventi mirati e fondati su un `sapere esperto`. Questa rappresentazione narrativa e finanziaria delle criticita` locali porta con se un gran numero di effetti non `previsti` ne` dai progetti implementati, ne` dal sapere esperto che li giustifica. Tra essi Ferguson notava la progressiva creazione di un apparato burocratico statale di vaste dimensioni il cui scopo era unicamente l`interazione con i donatori internazionali e la creazione di uno spazio di concertazione per definire la direzione dei fondi. In paesi con scarsa capacita` fiscale e con budget autonomi estremamente poveri, questi spazi di concertazione sono diventati preminenti nella definizione delle linee strategiche di spesa governative, coadiuvate spesso da un vasto numero di consulenti non governativi. Sebbene la nozione di `sviluppo` anestetizzasse la pretesa politica degli interventi, era evidente invece che la ridefinizione dei meccanismi decisionali avesse profonde implicazioni politiche. Cio` accadeva in Lesotho e in molti altri paesi del cosiddetto `sud del mondo`.
Sono passati 25 anni da quello studio ed immagino che in Lesotho ci siano stati molti cambiamenti che non conosco. Utilizzare pero` alcuni dei contributi di Ferguson, potrebbe generare tutta una serie di ipotesi interessanti da verificare in un paese senza sbocchi sul mare e chiuso tra giganti come il Laos, con inoltre una storia di una lunga guerra civile alle spalle. La prima ipotesi e` allora proprio quella che da` il titolo a questo post circa la coesistenza di veri e propri stati paralleli su uno stesso territorio. Dalla fine della guerra fredda certe dinamiche e sentimenti anti-comunisti o anti-servi dell`occidente non sono cambiati molto. Prendendo ad esempio un luogo che conosco un po` meglio, Luang Prabang ha trovato un equilibrio attraverso la distribuzione di moneta dentro l`economia del turismo. In pochi anni ha arricchito alcune persone oltre le loro aspettative anche se gli effetti di ricaduta economica sulle aree rurali `impoverite`, sugli ospedali locali o sulle scuole sono stati parziali e insufficienti rispetto ai fondi mobilizzati in altri settori. Tutto cio` e` stato sostenuto e reso possibile da un modello duale, fatto di duplicazioni di enti, tra pubblico e privato, gestiti parallelalmente e in quasi autonomia. Il loro `incontro` avviene per lo piu` attraverso sistemi clientalari e corruttivi che servono proprio a mantenere una pax prettamente economica e di prestigio/onore localmente definibili. Vi sono poi alcuni casi di eccezione, come il modello degli alberghi `Yo Lapa`, in cui vasti appezzamenti di terre sono stati privatizzati e monopolizzati per essere protetti dalla catena alberghiera. L`accesso ad intere zone naturali, con sorgenti acquifere minerali annesse, si articola dentro un vero e proprio sfondamento del privato nelle competenze pubbliche e segue un vecchio adagio neoliberale per cui l`unico attore credibile per realizzare la messa a reddito e la protezione delle risorse naturali e paesaggistiche deve essere privato.
Su questa dinamica si innesta il passato coloniale del paese. La post-colonia si fonda infatti su di un`organizzzione dedita alla pressione, una lobby abbastanza ramificata ed inter-istituzionale, che in alcune circostanze sembra un vero e proprio governo ombra ``super-etnico``, capace, in nome di una certa codificazione di quel sistema di conoscenza che si chiama `sviluppo`, di mettere in moto meccanismi difensivi della proprieta`, del libero mercato e delle posizioni monopolistiche riconquistate anche attraverso diverse forme di aggressione passiva. Tra queste cito il mobbing, lo stalking, la marginalizzazione preventiva, la diffusione di falsi pettegolezzi o l`azione combinata in un altrove attraverso un sistema sovranazionale di scambi di favori e di fondi. Qui convergono probabilmente gli attori che hanno deciso di eseguire un articolato sistema di minacce e di pressione sulla mia vita. Lo scopo però non è il controllo totalitario dell'individuo, ma un marketing in senso stretto volto ad incitare, tra le altre cose, un'autodifesa qualsiasi e quindi ulteriore economia.
A tutto ciò si aggiunge infatti un altro elemento di estrema importanza; la necessaria legittimita` che la lobby deve costruire dentro diversi segmenti popolazionali. A questo proposito lo sviluppo locale ha prodotto come effetto piu` tangibile una classe media e medio-alta con diverse aspirazioni e modelli di consumo e di vita rispetto a quelle tradizionali. A definire il loro emergere, oltre ai gusti e le mode internazionalizzati, c`e` la progressiva affermazione di un rinnovato potere terriero che si manifesta nell`investimento dei proventi dei servizi nell`acquisto di terre e nella speculazione edilizia, settori cardine delle economie urbane. Cio` ha permesso l`affermazione di un segemento popolazionale super-etnico ed internazionalizzato i cui redditi sono non governativi e che reclama maggiore accesso ad essi. Dentro questo segmento popolazionale medio e medio alto, locale o globalizzato, si costruisce e si articola una parte importante della dualita` citata.
Un`ultima notazione riguarda poi i grandi progetti infrastrutturali che stanno ridisegnando la cartografia laotiana aggiungendo risorse allo sfilacciamento istituzionale locale ma di più difficile identificazione nelle dinamiche quotidiane urbane. La domanda principale che in molti fanno un po` ovunque riguarda come faccia, un paese a basso budget come il Laos a finanziarli e cosa stia impegnando per potersi dotare di ferrovie, autostrade, strade moderne e dighe. E` evidente che il project financing di infrastrutture cosi` costose sia vario e molto complesso e non riguardi solo l`accesso a un debito gestito da banche cinesi che impegneranno per molte decadi il governo laotiano a pagare interessi con fondi gia` scarsi, che e` la narrazione dominante a Luang Prabang. Prima di tutto, andrebbe riconosciuto che tra le imprese di costruzione vi sono molti attori, tra tailandesi, holding di Hong Kong e Singapore, sud coreani e si anche molti cinesi. Tuttavia, come la storia della costruzione di strade e ferrovie in giro per il mondo insegna (penso ad esempio alla piu` che centenaria storia della ferrovia e della superstrada Buenaventura-Cali in Colombia), altrettanto importanti sono i sistemi di pagamento contestuali alla creazione dell`infrastruttura. Mi riferisco cioe` alle concessioni per lo sfuttamento di minerali piu` o meno pregiati (oro, argento o sabbia per costruzioni ma anche legnami e quello che si trova scavando), alla vendita preventiva di larghi appezzamenti di terra per future costruzioni in prossimita` delle arterie di comunicazione e molte altre soluzioni creative disponibili. A questo proposito in giro per il paese e` gia` possibile osservare le vecchie sedi delle imprese per la produzione di cemento, tailandesi e cinesi, convertite poco alla volta in residence di lusso e palazzi di pregio anche in localita` al momento improbabili, veri e propri pugni nello stomaco in paesaggi dominati dall`umilta` di case in legno. In ogni caso, e` evidente che queste dinamiche si intrecciano in maniera sostanziale con quelle citate in precedenza, aumentando la complessita` e la necessita` di dati e storie attendibili.
Ecco quindi spiegato, seppur parzialmente, perche` in questi giorni, seguendo il cammino del Mekong lungo la frontiera con la Tailandia mi e` parso di scorgere questo movimento parallelo. Qui coesistono interessi che difficilmente si incontreranno ma che, per il momento, hanno trovato una forma di stato duale che permette un`accettazione reciprica ma dentro un tacito patto, propriamente omertoso, che obbliga ogni altro attore locale a non svelarne il segreto neoliberale che li sostiene. Ad essere disponibile e` invece una narrazione del conflitto prestabilita che suscita interesse mediatico e che e` basata su dicotomie alla moda come governo corrotto/giovani democratici, Cina totalitaria/Hong Kong baluardo di liberta`, per citare le maggiori rimaste in dote grazie ai governi dell`estrema destra di Washington e di Londra (con Parigi in un comodo silenzio). Spero per questo che la piccola Momo continui a volare nonostante tutto, ovunque sia, insieme ai gattini che aspetta.
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Immobiliare, ricchezza perduta senza una visione politica
“La ricchezza immobiliare privata italiana sfiora i 6mila miliardi di euro. Mentre quella in mano alle pubbliche amministrazioni italiane vale tra i 460 e i 480 miliardi di euro, ma si tratta di asset che vanno mantenuti e valorizzati”. E’ una dichiarazione della ministra alla Pubblica Amministrazione, Fabiana Dadone, rilasciata nel corso del Re-Italy Forum organizzato da Monitor Immobiliare. Una dichiarazione su cui ho rimuginato per settimane, tra l’infastidito e l’incredulo, prima di decidere di espormi in una considerazione collettiva che, spero, troverà eco e riscontri in un mercato complesso che di tutto ha bisogno, tranne che di una tanto avvilente ovvietà. Ma come? – mi sono chiesto – sono decenni che si parla di come affrontare e sostenere in una visione complessiva e nazionale la risorsa del patrimonio immobiliare delle Pubbliche Amministrazioni, e la giovane ministra, invece di arrivare a ragionare di norme, proposte, strategie, incentivi, traiettorie possibili per rilanciare il mercato, tira fuori dal cilindro la formula della banalità? Allora è vero che siamo alla frutta, che il mercato è abbandonato a se stesso e che il vero nodo della politica italiana è la mancanza di consapevolezza, prima ancora che di strategia? Ma certo che è così. Un Paese che perde mesi di dibattito politico per rompere un principio basilare della Costituzione come la prescrizione; che si taglia da solo le gambe, approvando norme di pura intimidazione alle imprese e ai funzionari della Pubblica Amministrazione come quelle sulla corruzione o sulle intercettazioni; e che si paralizza per un allarme influenzale ancorché grave come quello da coronavirus, è destinato al default per la mancanza un ingrediente basilare della vita economica generale: la politica. So di apparire come il solito Pierino guastafeste, che magari vuol portare acqua al proprio mulino, ma invito tutti i colleghi imprenditori – e anche i manager grandi e piccoli della nostra burocrazia – a fare un esame oggettivo della situazione e a negare l’oggettività di quanto ho appena affermato. Per pura demagogia si parla di mettere sul mercato i beni immobiliari dello Stato, ben sapendo che con quelli non si farà mai cassa, e mai sufficiente, comunque, a risanare anche un piccolo frammento del nostro debito pubblico. E nessuno dice che invece il nodo è la valorizzazione e la messa reddito degli stessi, con politiche normative finalizzate a rigenerare il mercato e il suo indotto. Non basta. Da anni si fanno battaglie demagogiche (A Roma, Milano, Napoli e in tutte le grandi e piccole città italiane) per riportare la gestione (del property e del facility) dei patrimoni pubblici territoriali a una gestione internalizzata, rinunciando alle professionalità del mercato, con esiti devastanti in termini di redditività degli stessi patrimoni (dalle dismissioni ai canoni, per non parlare soprattutto delle regolarizzazioni contro evasione ed elusione) aprendo voragini abissali nei bilanci degli enti proprietari, siano essi Comuni o grandi Enti, con un depauperamento e una dispersione delle risorse, che grida vendetta rispetto alle opportunità reali che si potrebbero perseguire, se solo si avesse una visione politica – appunto – di che cosa serve, per quanto tempo, e con quali finalità. Non diversamente si parla di gestione e manutenzione del territorio e delle città, senza però che mai un filo conduttore sia steso a far da guida a discussioni e progettazioni del futuro. L’importante, infatti, è sempre e solo rispondere a una emergenza. Spesso nemmeno reale, ma banalmente quella che più colpisce l’opinione pubblica in quel momento. Grandi metropoli come Roma, Milano e Napoli hanno perso la capacità di ottenere la migliore redditività dai loro patrimoni; il territorio italiano si sbriciola tra frane e crolli, e l’unico risultato è una battaglia demagogica non per risanare, ma per tamponare e non recuperare il giusto dalle concessioni. Il caso del ponte di Genova è indicativo: si ricostruirà tra squilli di tromba in un anno il “simbolo del peccato”, ma non si avvierà una autentica politica di risanamento della rete stradale e autostradale, perché il ritiro delle concessioni aprirà vertenze giuridiche e non cantieri, che invece si potrebbero attivare proprio facendo leva sulle concessioni. E allo stesso modo non si coglierà l’occasione del clima generale, per mettere al centro della pianificazione economica nazionale la “leva-città” la quale, tra risanamento edile, riqualificazione energetica, riorganizzazione e modernizzazione gestionale, ampliamento dei servizi alle comunità complesse che oggi fanno delle città il centro nevralgico di ogni evoluzione e sviluppo economico, potrebbe rappresentare il punto di partenza di un gigantesco rilancio economico di sistema e di lungo periodo, dunque non solo congiunturale per l’Italia. E invece la ministra Dadone, risolve dicendo che i beni immobiliari della PA devono essere manutenuti e valorizzati. Brava, sette più, avrebbero detto Cochi e Renato 50 anni fa. Non mi aspetto, in verità, che la giovane ministra sappia chi fossero i due grandi comici, né che sappia, ovviamente di cosa sta parlando. Per questo, anche da queste colonne lancio ancora una volta un appello per aprire al più presto una conferenza dei servizi sul tema “Città d’Italia, motore della rinascita”. Confrontiamoci, portiamo progetti, suggeriamo rivoluzioni normative, creiamo nuova fiducia tra politica e impresa, abbattiamo il muro del pregiudizio, che fa di chi lavora un sospettato per definizione. Ridiamo opportunità ai nostri figli rigenerando il Paese a partire dalle sue città- Usciamo da questo Medioevo dell’intelletto che relega ogni speranza nell’angolino buio creato da chi governa e amministra senza sapere di che cosa sta parlando, senza sapere come se ne potrebbe parlare. Sono sicuro che la ministra Dadone, e molti suoi compagni politici (quale sia lo loro collocazione di parte, dentro e fuori il governo), rimarrebbero allibiti nello scoprire quante cose mirabolanti e meravigliose – e utili e durature – si potrebbero fare per il bene di questa amata Italia, se solo si sedessero intorno a un tavolo con gli odiati imprenditori, i sospetti amministratori, gli inaffidabili esperti.
Immobiliare, ricchezza perduta senza una visione politica was originally published on Alfredo Romeo
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Manovra, Cottarelli: “Nostro debito troppo alto, aumento deficit non fa ridurre rapporto con Pil” "Non esistono Paesi avanzati come il nostro che abbiano ottenuto persistenti riduzioni nel tempo del rapporto debito pubblico-Pil, aumentando solo il deficit".
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DEBITO PUBBLICO - definizione in Wikipedia
DEBITO PUBBLICO – definizione in Wikipedia
Il debito pubblico, attualmente, in economia è il debito dello Stato nei confronti di altri soggetti economici nazionali o esteri – quali individui, imprese, banche o Stati esteri – che hanno sottoscritto un credito allo Stato nell’acquisizione di obbligazioni o titoli di stato (in Italia BOT, BTP, CCT, CTZ e altri) destinati a coprire il fabbisogno monetario di cassa statale, ovvero l’eventuale…
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“La sua morte, per quanto tragica, è una vittoria”. Mishima parla di James Dean
Quando muore James Dean, il 30 settembre del 1955, Mishima Yukio, di sei anni più grande, è già lo scrittore di Confessioni di una maschera, Colori proibiti, La voce delle onde. È sedotto dall’apparenza, dall’apparire. Si dà al teatro, sorseggia il cinema, lo affascina la coincidenza – o la dissonanza – tra opera d’arte, per pochi, e clamore pubblico. Gli piace, appunto, forgiare il corpo, tramite la pratica del body building, come una maschera, come un romanzo. Con il 1955 “iniziano gli anni di intensa visibilità attraverso i mass media, anni affetti da un certo presenzialismo. Il personaggio pubblico Mishima, con la sua poliedricità, focalizza su di sé l’attenzione degli ambienti più eterogenei, evadendo incessantemente dallo stretto ambito letterario” (Virginia Sica). Lavora a Il padiglione d’oro; nel 1956 comincia, con successo, a essere tradotto negli Stati Uniti.
*
Mi sembra un incrocio curioso, determinante. Nel 1956 Truman Capote – pressoché coscritto di Mishima, dotato di analoga precocità – vola in Giappone: vuole intervistare Marlon Brando per il “New Yorker”. Brando è lì per girare un film piuttosto modesto, Sayonara (che pure vince quattro Oscar). Brando è l’opposto di James Dean: non si è sottratto a film ‘di cassetta’ pur recitando in capolavori assoluti, è stato sfregiato dal pubblico, divorato, la sua innocenza è maschia, il suo candore feroce. Marlon Brando è una specie di Moby Dick del cinema, un imperatore. James Dean, al contrario, è una divinità di vetro: immortale per imperfezione, eterno per una promessa risolta a metà. Uno è inquieto, l’altro nichilista; uno è tutto e l’altro il nulla; uno è l’abisso l’altro la quisquiglia. Il comando imperiale contro il bel gesto. Brando ha sempre sfiorato la morte; James Dean è morto. Questo affascina Mishima. La vita di James Dean, benedetta dalla tragedia, è più interessante di quella di Marlon Brando perché il caso (o il fato) ha scelto James Dean. Tutto il resto si misura in termini di carisma, di talento, di gloria, cioè vita – misure, per definizione, parziali, incapaci. James Dean trascende ogni misura: il contatto tra Jim Stark, il protagonista di Gioventù bruciata – parte che doveva andare a Brando – e il suo interprete è lacerante e totale, fino allo schianto. La Porsche 550 Spyder di James Dean è la spada di Mishima.
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Bisogna leggere sinotticamente il testo di Capote, Il Duca nel suo dominio, e quello di Mishima su James Dean – riprodotto in Star, edito da New Directions – per capire le differenze. Capote, con sinuoso talento, investiga l’intimo del titano, lo denuda, quel Buddha sdraiato sopra una piramide di dolciumi. Gli importa il meccanismo della venerazione, il potere della fama, i labirinti del carisma, il buco nero dentro il sole. A Mishima interessa la vita, cioè la morte. Apparenta James Dean ad Alessandro Magno, ad Antinoo, a Raymond Radiguet. Gli interessa estrarre l’assioma, la norma, l’emblema, l’amuleto. Gli interessa il punto di congiunzione tra il fato e il vero; gl’importa il prediletto degli dèi, non l’artista di rilievo, il chiamato alla celebrità. (d.b.)
***
La bellezza dovrebbe morire giovane, tutto il resto, che viva il più a lungo possibile. Sfortunatamente, il 95% delle persone ha opinioni opposte: uomini straordinari vivono fino a ottant’anni e clamorosi idioti muoiono a 21. La vita non è prevedibile, e noi, i vivi, siamo raccolti nella sua commedia, nella scommessa.
La mitologia greca narra di come Achille sia stato costretto a scegliere tra un’esistenza lunga e aliena dalla gloria e una morte gloriosa, precoce. Senza esitazione, optò per quest’ultima. Tutti, a parte il più prosaico degli uomini, sceglierebbero, se gli fosse data opportunità, la stessa opzione.
Ognuno di noi anela, segretamente, a una vita degna di essere immortalata nel canto – oppure, come Alessandro Magno, nella pietra. Per decreto, tutte le statue del grande re dovevano essere realizzate raffigurandolo a 21 anni. Per fortuna, è morto poco dopo i 30, ma se fosse vissuto fino a 70 la discrepanza tra quelle statue e il vecchio che ne era rappresentato sarebbe stata una triste farsa. Alessandro idolatrava Achille e commisurò la sua intera esistenza alla leggenda di quel mito. Sognava di morire giovane, desiderava la morte precoce.
Si è chiacchierato molto della morte di James Dean, se sia stato un banale incidente d’auto o un suicidio. Possiamo essere d’accordo sul fatto che soltanto chi sogna la morte può guidare una Porsche fino all’ultima luce rossa, in una gara di strada. Prendendo a prestito una frase di Hugo von Hofmannsthal sul tragico destino di Oscar Wilde, “è sbagliato livellare ogni cosa al disastro”. Sono certo che James Dean stesse mirando a qualcosa che ha cercato per tutta la vita, era nato per inseguire quel qualcosa. La sua morte, per quanto tragica, è una compiuta vittoria.
Ho sentito la stessa attrazione. Da ragazzo, sono rimasto profondamente colpito dalla morte precoce di Raymond Radiguet. C’è stato un tempo in cui ero certo che sarei morto giovane, come lui, all’età di vent’anni, dopo aver creato un capolavoro in grado di rivaleggiare con il suo, ero certo che la mia morte sarebbe stata pianta in modo altrettanto potente. Mi sbagliavo: quello non era il mio destino. Solo il più raro dei romanzieri può cavarsela morendo a vent’anni. Non accadde nulla. Ho continuato a vivere, arrancando, romanzo dopo romanzo, come una commedia: se fossi morto allora, la commedia sarebbe stata irreparabile. Sono stato risparmiato. Forse anch’io ho un angelo custode.
Le condizioni necessarie a una morte precoce sono crudeli. Intanto, devi essere perfetto per il ruolo; il caso, poi, deve fare la sua parte, deve glorificarti. James Dean ha realizzato in modo impeccabile entrambe le condizioni.
C’è poco da dire su un attore di vent’anni, e il viso di James Dean, per quanto attraente, non era quello di Adone o di Antinoo. Ma aveva una sensibilità eccezionale, un portamento scontroso, un’espressione che incarnava il suo modo di vivere, un modo mistico, direi, la statura di una bestia giovane, contratta nell’angoscia, che si scrolla, come se le braccia fossero ferite, con un sorriso oscuro e infantile. Se la morte non fosse stata così rapace, tutto sarebbe svanito, perché James Dean era un attore, una star del cinema, sul ciglio di una professione spietata. Davvero crediamo che gli anni a venire avrebbero permesso all’attore una maturazione artistica spensierata e anarchica? L’unica certezza è che a tempo debito sarebbe stato contaminato. Scrivendo di Raymond Radiguet, Albert Thibaudet affermò: “L’amato amante, la più grande bellezza di tutta la Francia, sulla cima di un vortice infido”. Rispetto a Radiguet, James Dean era ancora più prossimo alla “più grande bellezza di tutta la Francia” e occupava un ruolo ben più pericoloso.
La mente popolare è difficile da capire. Il pubblico cinematografico ha marchiato innumerevoli “volti nuovo e freschi”, per poi sbatterli a terra. Un anno dopo la sua morte, quelli che avrebbero voluto la rovina di James Dean ancora lo piangono, sconvolti. Ma è davvero un peccato che le loro mani non abbiano potuto offuscarlo? È davvero un peccato che abbia fatto la prima mossa, prendendo il comando, librandosi, oltre la portata delle masse rapaci? Il pubblico indica l’inesorabile passaggio del tempo, il tempo vince sempre, ma non si scuoterà mai il ricorso di questa fiera, rara, inestimabile sconfitta.
Yukio Mishima
*In copertina: James Dean fotografato da Dennis Stock, 1955
L'articolo “La sua morte, per quanto tragica, è una vittoria”. Mishima parla di James Dean proviene da Pangea.
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