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pier-carlo-universe · 13 days ago
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Tramonto d'Inferno di Antonella Di Martino: Un Thriller Psicologico tra Vita e Morte. Recensione di Alessandria today
Antonella Di Martino esplora l'oscurità della mente umana in un thriller avvincente dove poche ore possono cambiare tutto.
Antonella Di Martino esplora l’oscurità della mente umana in un thriller avvincente dove poche ore possono cambiare tutto. In Tramonto d’Inferno, Antonella Di Martino ci presenta una storia di tensione e introspezione, un thriller psicologico che si svolge in poche, cruciali ore al tramonto. La narrazione segue Max, un uomo la cui decisione sembra irrevocabile: togliersi la vita prima che arrivi…
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cinquecolonnemagazine · 6 months ago
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Gli anni novanta: un decennio di esplorazione letteraria in Italia
Gli anni Novanta rappresentano soprattutto un decennio di grande fermento nella letteratura italiana. In questo periodo, emersero nuove voci e si consolidarono quelle già affermate, dando vita a un panorama letterario ricco e variegato. I romanzi di questo periodo riflettono i profondi cambiamenti sociali, politici e culturali che l'Italia stava vivendo, offrendo al lettore uno spaccato autentico della società italiana di quel tempo. Anni novanta: i grandi romanzi italiani "Sostiene Pereira" (1994) di Antonio Tabucchi: Un thriller storico ambientato nel Portogallo fascista di Salazar. Pereira, un mite archivista, si ritrova invischiato in un intrigo politico che lo porterà a confrontarsi con la brutalità del regime e con la propria coscienza. "Oceano mare" (1993) di Alessandro Baricco: Un romanzo breve che narra la storia di un violinista e del suo violino Stradivari. Attraverso una scrittura evocativa e poetica, Baricco esplora il rapporto tra l'uomo e l'arte, la bellezza e la morte. "Io non ho paura" (1999) di Niccolò Ammaniti: Un romanzo di formazione che narra la storia di due amici dodicenni alle prese con un mistero inquietante. Ammaniti, con il suo stile narrativo coinvolgente e ricco di suspense, dipinge un ritratto vivido e commovente dell'infanzia. "Tutti giù per terra" (1990) di Giuseppe Culicchia: Un romanzo generazionale che racconta le vicende di un gruppo di giovani precari nella Roma degli anni Ottanta. Culicchia, con ironia e disillusione, descrive la disoccupazione, la mancanza di prospettive e il malessere di una generazione. I grandi classici della letteratura italiane "recente" Oltre a questi titoli, gli anni Novanta hanno visto la pubblicazione di numerosi altri romanzi di grande valore, tra cui "Il male oscuro" di Giuseppe Bufalino, "Le parole di Giovanni" di Andrea De Carlo e "Un amore" di Margherite Duras. La letteratura italiana degli anni Novanta si caratterizza soprattutto per la sua ricchezza di temi, stili e voci. Gli scrittori di questo periodo hanno saputo raccontare le trasformazioni della società italiana con sguardo acuto e sensibile, offrendo al lettore opere che continuano ad appassionare e commuovere a distanza di anni. Gli anni Novanta rappresentano anche un decennio di grande importanza per la letteratura italiana. In questo periodo, sono nati romanzi che hanno segnato la storia letteraria del nostro Paese e che continuano ad essere letti e apprezzati da lettori di tutto il mondo. Foto di Tom da Pixabay Read the full article
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yesiamdrowning · 7 years ago
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so and so (o sul fascino di trovare Pasolini dove non te lo aspetti).
Sentirsi un po’ così non è esattamente come essere depressi, le cose non vanno poi troppo male, sarà che fuori piove debolmente, nemmeno un bel acquazzone come si deve che pulisca l’aria, sarà che il giovedì non è sabato, che questa mattina volevamo dormire e invece ci siamo svegliati lo stesso alle sei e un quarto. Sarà che l’appuntamento di stasera sembra meno attraente di come ci appariva l’altro ieri, sarà che avremmo potuto mettere un altro maglione che così sembriamo solo una brutta copia di un bimbominchia. Sarà che la torta è buona ma le candeline sono sempre una rottura di palle. Sarà che avremmo un po’ tutti voluto suonare rock e invece non è andata così. Sarà che, stringi stringi, abbiamo un po’ tutti quel “ovo sodo dentro che non va né su né giù e ormai ci fa compagnia come un vecchio amico”. Giorni fa riflettevo su come parlare del quarantennale dell’uscita di Easter di Patti Smith, uscito nel marzo del 1978, all’interno della stessa stagione creativa che aveva portato alla luce i componimenti di Babel, senza ribadire i soliti concetti vomitati in ogni dove per uno degli album più apprezzati e fortunati della carriera di Patricia, contenente quella che è la più celebre “catastrofe” del suo repertorio musicale, Because the Night che, come tutte i successi di fama interplanetaria, poi finisce per svilire tutto il resto del lavoro svolto.
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Il disco, un tripudio di chitarre elettriche e tecniche di cantato recitato sopraffino, è stato definito “trascendente e pienamente riuscito, è un album che racchiude ossessioni Cristiane, in particolare quella della morte e della resurrezione, sia reale che simbolica” e si configura come uno dei tentativi più organici di fusione tra musica, liriche poetiche, spiritualità di matrice evangelica (a partire dal titolo stesso, Pasqua), impegno sociale e irriverenza punk.
Nelle liner notes dell’Lp, vale a dire le note interne al libretto, la cantante statunitense decide di fare riprodurre - addirittura a penna nell’edizione originale - tutti gli appunti privati e le fascinazioni artistiche che avevano condotto alla creazione di ogni singola traccia, sotto forma di citazioni, immagini, richiami, riproduzione di versi al fine di comporre un vero e proprio collage dal sapore postmoderno. Per anni non ci avevo mai prestato tanta attenzione, preso dalla musica e timoroso di imbattermi in uno di quei pipponi che hanno caratterizzato molti degli artisti di quella generazione. Intendiamoci, nel 1978 già Allen Ginsberg spesso sembrava un sacchetto di plastica in testa, figuriamoci emuli come Patti Smith. Signore, pietà. Ho scoperto quasi per caso che nel commento testuale relativo al brano di apertura, Till Victory, appare incredibilmente la figura di Pier Paolo Pasolini, uno che per certo di giornate così e in attesa di un certo non so che migliore (terreno e/o ultraterreno) era un grande conoscitore. Invocato e apertamente nominato all’inizio dell’opera come se ci si trovasse di fronte a un Inno alle Muse di memoria classica.
a vienna c’è un’area che circonda e passa attraverso l’hotel de france. i motociclisti italiani. il negozio dei preti. giubotti di pelle fatti in paradiso modellati sulla pelle di alain delon. qui c’è la strada dei camion. qui il vicolo della lanterna dove tizi tosti si appoggiano, si pavoneggiano e si mettono in posa per il passaggio di pasolini.
L’architettura testuale è, come accennato e come sovente accade in Patti Smith, di matrice beat: assenza di maiuscole, uso particolare dell’interpunzione, giustapposizione di gergale (thru) e arcaico (shoppe), assonanze e allitterazioni, ripetizioni e rime al mezzo (trucks… bucks). La posizione del soggetto reale del brano (il passaggio di Pasolini) non sembra affatto casuale e suggerisce un rovesciamento sintattico dell’ordine della frase al fine di creare un effetto suspense, di attesa, che riesca a condurre attraverso le strade viennesi in un’atmosfera notturna, immaginiamo underground, fino alla comparsa del protagonista di questo vagare, Pier Paolo Pasolini. Che può essere prosaicamente visto come “la svolta" della serata o magari dell'intera esistenza. Pensate a quanti, nelle notti romane, hanno mutato diametralmente il loro pensiero sulla vita dopo l'incontro con l'intellettuale bolognese, dai futuri attori di fama Franco Citti a Ninetto Davoli passando per Ettore Garofolo e “Accattone”, al secolo Antonio Mancini, affiliato della Banda della Magliana che fu l'unico dichiaratamente di sinistra, amante sentito di cinema e lettura.
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La suggestione letteraria, ritrovata poi in altri frammenti d'intro-spiegazione, così come nei versi di High On Rebellion, appare affine ad alcune tra le più realistiche descrizioni dei giovani incompiuti che popolavano le borgate nelle pagine di Ragazzi di Vita e Una Vita Violenta, il primo e il secondo romanzo scritti da Pasolini, ipotesi linguisticamente e cronologicamente avvalorata dalle traduzioni dei romanzi stessi; dal momento che la casa editrice che pubblicò profeticamente in lingua inglese The Ragazzi e A Violent Life fu la Grove Press che, si badi bene, aveva sede proprio nella New York della poetessa rock. In entrambe le edizioni sono contenuti ritratti e descrizioni affini a quelli evocati da Patti Smith: dread-afraid feeling, leather jacket, unhingen lantern, eternity rides the wave, older boys with mototbikes, eccetera. In aggiunta al raffronto, una ulteriore fonte potrebbe essere stata costituita da alcune suggestive scene di Accattone, primo lungometraggio di Pasolini, guarda caso usato per il lancio internazionale con una proiezione-evento a New York nel 1966, con lo stesso regista presente. In particolare il vissuto di Vittorio/Citti in perenne ricerca di un'eventualità migliore rispetto a un presente amaro e inconcludente. Può apparire un'analisi emo-romanzata, con un utilizzo persino semplicistico di Pasolini, rispetto alla complessità della sua opera e alla levatura del suo pensiero, ma del resto quella di Patti Smith non vuole essere certo una analisi socioculturale e - soprattutto - lo vuole ricollocare in quel contesto punk-rock che a lei è più congeniale. E il punk è per antonomasia semplice e diretto, dove non c'è nulla da decifrare e le allegorie, se ce ne sono, sono estremamente basiche. Eppure, non cadono mai nella banale messinscena. Till Victory quindi, ovvero finché le cose non andranno un po’ meglio di “così”.
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sguardimora · 7 years ago
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Conversazione con Gemma Carbone
Durante la sua residenza creativa al Teatro Dimora di Mondaino ho incontrato Gemma Carbone che - insieme al fotografo Samirluca Mostafa Aly che ci ha concesso le due immagini all’interno dell’intervista - mi ha raccontato l’ultimo progetto artistico della compagnia @naprawski​ Gul - uno sparo nel buio. 
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[Un-retouched preview by Samirluca Mostafa Aly]
Mi parli di Gul – uno sparo nel buio?
Il progetto è nato la scorsa estate e coniuga due elementi che a prima vista possono sembrare molto contrastanti ma credo che nello scontro di forme possa esserci qualcosa di interessante. Il primo elemento è il giallo, il poliziesco. Il secondo elemento è un dramma, un fatto reale, l’omicidio del premier svedese Olof Palme nel 1986. Questo omicidio è a tutti gli effetti un cold case: un assassinio violento avvenuto in centro a Stoccolma, un venerdì sera dopo il cinema, di cui non sappiamo niente; sappiamo tutto in realtà, abbiamo tutti i moventi, nessun alibi, però non siamo mai arrivati a una condanna o a una soluzione. È un enigma scandinavo, un thriller politico che rimane quasi cristallizzato in questo mistero che in Svezia è doloroso. Se chiedi a chiunque dove fosse e cosa facesse il 28 febbraio del 1986 quando sono iniziate a uscire le prime notizie dell’assassinio, tutti ricordano esattamente. È una specie di 11 settembre per il popolo svedese. Una frase che ricorre spesso in relazione a questo evento è che “in quel giorno abbiamo perso la nostra innocenza”. È detta da tutti, è stata scritta sui giornali, è una frase caratterizzante. In una società utopica perfetta come può essere quella svedese questo evento è un neo, un cancro, un rimorso, un rancore che non dovrebbe esserci stato. Invece c’è, c’è stato e ha avuto degli effetti non solo politici, non solo sociali ma risvolti storici incredibili di cui poche persone sanno.
 Come è nato lo scontro con il genere?
 Il fatto che ci sia una storia così tragicamente presente nella nostra contemporaneità, nella formazione dell’Europa, nella formazione di noi come cittadini, nell’idea che noi abbiamo della socialdemocrazia che è stata radicalmente condizionata dalla vita e dalla morte di Olof Palme ma nessuno di noi sappia niente, è strano. Quando sento parlare dell’omicidio di Palme mi sembra di sentire una di quelle saghe nordiche, una leggenda, qualcosa di “brutto”, non risolto e misterioso: un labirinto di buio. La domanda che mi sono posta è stata come fare entrare il pubblico in questo evento e come far passare attraverso questa la forma del giallo, del thriller scandinavo, qualcosa che veramente è successo. Viaggiare attraverso il giallo, il poliziesco, il gioco del genere, il gioco di una storia inventata, e a un certo punto svelare che questa non è una storia qualsiasi ma la Storia con la S maiuscola, la realtà. Questo contrasto mi ha accesa. Il giallo è un genere che se usato bene espone degli elementi sociali forti. Il modo in cui la vittima è uccisa, l’efferatezza del delitto, la colpevolezza, la condanna dell’assassino, il tipo di fobia che si crea intorno a questa cosa, ci parlano, se il giallo è scritto bene, del tipo di paura sociale che esiste nella realtà.
Come avete scelto la forma monologo?
Il giallo svedese è quasi sempre un esterno, la persona piccola immersa in un panorama immenso. È azione, sparatoria, è qualcuno che sta nell’ombra, è suspense, colpo di scena. Il monologo è stato da un punto di vista attorale e registico una sfida che ci siamo voluti prendere, un paletto che abbiamo scelto con la produzione. A un certo punto è stato chiaro che questa figura solitaria in scena traslasse dall’estetica del noir a un thriller più psicologico assolutamente compatibile con la poetica del giallo scandinavo. C’è questa figura solitaria che si barcamena in questo immenso paesaggio di personaggi e complotti, di passioni e politica, di spazi e paesi – si parla di Svezia ma in questo omicidio sono coinvolti tutti, dall’Iran al Sud Africa, dalla CIA all’Italia, etc. Questa diversa focale, questa lente che va al contrario, può dare una prospettiva scenica diversa. Nel monologo è una persona sola a essere la chiave dello svelamento e della memoria.
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 [Un-retouched preview by Samirluca Mostafa Aly]
Come compagnia avete prodotto un altro spettacolo, You Are Here (so don’t take things so seriously), dove lavoravate confrontandovi con un altro genere letterario, la fantascienza, Isaac Asimov. Dalla fantascienza passate ora al giallo due generi letterari considerati minori ma che riletti attraverso il teatro possono illuminare la grande Storia. Come avviene il cortocircuito?
Questa fa parte di uno degli indirizzi della mia ricerca artistica. Sono cresciuta con i romanzi di fantascienza. Asimov è stato uno dei miei autori di riferimento fin dagli anni della pubertà. Credo che in questi generi considerati minori si possa ritrovare una connessione più semplice e più immediata con il pubblico. Ognuno di noi ha letto un giallo, un romanzo di fantascienza, questi generi fanno parte della nostra vita, del tempo libero, dello svago. Sono generi riconoscibili e questo mi piace molto. Tirare fuori la nostra Storia è il lavoro che abbiamo fatto sul ciclo di sette romanzi di Asimov che parlano di una psicostoria umana del futuro. È una storiografia precisa di quello che avverrà tra ventimila anni ma tra le righe si parla chiaramente di quello che stava succedendo negli anni in cui Asimov scriveva – il mondo diviso tra mondo sovietico e occidentale, c’è Reagan e altri - e i lettori, il pubblico, lo riconoscono come parte della loro vita, della loro quotidianità. Ma con una maschera. Vale a dire: la realtà è mascherata attraverso un altro tipo di tempo, spazio e atmosfera, e così la prospettiva su quella storia, la tua, si sposta. Gli strumenti quotidiani che normalmente sei abituato a usare per osservare e giudicare non valgono più ma vale un’altra posizione, una posizione cosmica, più umana, più sana forse, perché pone una distanza. Oggi si ha la tendenza a perdere questo tipo di prospettiva, di visione, siamo sempre immersi nell’azione, nel fatto, nell’informazione, nell’identità. L’astrazione che danno questi due generi è interessante perché traslano la prospettiva in maniera ironica e, credo, diano strumenti più ricchi, divertiti, per poter essere consapevoli. Lavorando con le tragedie greche, il ruolo del coro - in qualche maniera – torna anche qui. Certo, anche se molto trasformato. Ci sono dei momenti di confronto diretto tra quello che avviene in scena e te che stai a guardare, c’è la parabasi. Insomma, il teatro avviene anche nella fantascienza o nel giallo perché colui (o colei) che sta in scena ha il “ruolo” e la responsabilità di comunicarti una data cosa. L’ascolto che si innesca non è passivo ma è creativo.
 Come avete scelto Giancarlo de Cataldo per la scrittura del giallo?
È una storia di incastri felici. Ero ad Atene dove stavo lavorando e nel ragionare anzitempo a Gul e a questo mondo del giallo ho iniziato a pensare a chi proporne la scrittura. Ho scartato il mondo svedese e, confrontandomi anche con Cantieri Teatrali Koreja che produce il lavoro, ho deciso che fosse più interessante capire come un non svedese potesse trattare il fatto. Ho contattato Marina Fabbri, presidentessa del Premio Raymond Chandler e co-direttore del Festival Noir a Milano, le ho confusamente raccontato quello che avevo in testa. Mi ha suggerito tre scrittori italiani. Il primo nome è stato Giancarlo de Cataldo. Lui aveva già collaborato con Cantieri Teatrali Koreja per Acido Fenico qualche anno fa. L’ho contattato, ci siano incontrati e nell’incontro sono già fiorite idee per il testo, per il personaggio.
 Come avete lavorato alla scrittura del personaggio?
Con Giancarlo de Cataldo abbiamo instaurato una collaborazione di scrittura forte: è stato un processo aperto e ci siamo scambiati i testi tra me, De Cataldo e i miei assistenti - Giulia Maria Falzea e Riccardo Festa - e insieme abbiamo composto questo testo. I vari personaggi sono stati  caratterizzati seguendo un processo aperto. Per esempio ad un certo punto, mentre lavoravo sul personaggio principale ho detto a Giancarlo che non riuscivo a trovare più il giallo e se c’è un personaggio che deve portare questo è proprio lei, la poliziotta. Come la stavo costruendo non funzionava forse mancavano termini tecnici. Lui mi rimanda una scrittura perfetta di quello che avevo cercato di proporre: c’è un paragrafo in cui lei spiega precisamente come funziona il colpo della pistola che cambia tutta la scena. Era perfetto. Giancarlo respira il genere e ha un modo di far venire fuori l’atmosfera che è eccezionale. Davvero esaltante poter imparare da lui. 
Che tipo di lavoro si è sviluppato durante questa residenza a Mondaino?
Questa seconda tappa di residenza è molto importante. È il primo confronto vero e proprio con la stesura definitiva del testo. Ora iniziano le difficoltà. Se con Asimov c’erano sette testi pronti e fatti qui c’è stata anche la testimonianza partecipata a un processo di scrittura, cosa che non avevo mai fatto. All’inizio del percorso mi sono resa conto di avere una posizione schizofrenica: quando ci mettevamo a scrivere io già pensavo a una visione registica ed era totalmente confusionario. In seguito ho dovuto abbandonare quel tipo di sguardo per scrivere. L’Arboreto è stato l’incontro con questo testo e quindi abbiamo fatto un lavoro di analisi, di destrutturazione e ristrutturazione per capire come rendere in teatro quel tipo di suspense e di atmosfera tipica del giallo. Stiamo esplorando il testo, stiamo giocando con gli elementi del giallo svedese e stiamo immaginando lo spazio scenico e gli strumenti che userà il personaggio in scena. Siamo in filo diretto con la musicista Harriett Ohlsson, un’artista svedese che sta curando l’impianto sonoro e musicale.  
 Tu lavori molto all’estero. Ci sono molte differenze tra la scena estera e quella italiana?
Si.
*Nella residenza #Gul - uno sparo nel buio  
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pangeanews · 5 years ago
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Era come Hemingway e amava 007. Riscopriamo Bartolo Cattafi, il poeta più sottovalutato del Novecento (e tra i più grandi)
L’ultimo sgarbo glielo fecero poco prima di morire. Morì il 13 marzo di quarant’anni fa. L’anno prima, il 2 gennaio del 1978, aveva sposato, in forma religiosa, Ada: erano all’Ignatianum di Messina, Vanni Scheiwiller tra i suoi testimoni, si legge una sua poesia, Oggi. “Oggi ignorando tutto/ di questo giorno,/ se d’Avvento o Passione,/ ignorando i colori, le pianete,/ m’inginocchio nella tua casa/ sotto la tenda che portiamo ovunque/ per aprirla per chiuderla a tua offesa,/ aprirla ancora, nei boschi/ in fuga, su secche, su frangenti,/ dal capolinea a un punto della corsa”. La figlia Elisabetta era nata nel 1975. Quella poesia, Oggi, appartiene a una delle raccolte più grandi del poeta, L’osso, l’anima. Pubblicata da Mondadori. Come altri libri, personalissimi, feroci come morsi, come ideogrammi slanciati su una stele. L’aria secca del fuoco, La discesa al trono, Marzo e le sue idi. Eppure, Pier Vincenzo Mengaldo non ritiene di installare Bartolo Cattafi tra i Poeti italiani del Novecento. Il poeta si arrabbia, pensa, scrive. Il 18 gennaio 1979 spedisce una lettera ufficiale alla Mondadori, che forse riassume il rapporto anticonformista, polemico – per natura propria, mica per spirito di polemica –, alieno di Cattafi riguardo al piccolo mondo della poesia italiana. “L’antologia del Prof. Mengaldo è a mio avviso il frutto di un’operazione bizzarra, snobistica, estremamente opinabile, rozzamente partigiana”. Non è il solo a pensarla così – di solito Cattafi non le mandava a dire. Morirà, appunto, meno di due mesi dopo. Fu l’ultima lotta. “Nel quadro della poesia italiana del secondo Novecento quello di Bartolo Cattafi rappresenta il caso più clamoroso di sottovalutazione critica”, scrive, da subito, Raoul Bruni, introducendo il volume-monstre che raccoglie Tutte le poesie di Cattafi (Le Lettere, 2019), quasi mille pagine, comprese Notizie dei testi e Bibliografia della critica, per la cura di Diego Bertelli. Ribadendo i fatti oggettivi (poi non li dico più): Cattafi è tra i cinque/sei poeti potenti degli ultimi sessant’anni. Cioè: è uno che impone una lingua nuova, ricca di svariate, contradditorie fonti – Bruni fa un ottimo lavoro sviscerando la biblioteca di Cattafi, che va da Kafka e Michaux a “molteplici riferimenti all’alchimia”, fino all’hard boiled, la spy story (con una certa predilezione per Ian Fleming, citato in una poesia, L’aliscafo), “certa letteratura e cinematografia noir” – un linguaggio lirico che il tempo non ha degradato, anzi. Poi, certo, c’è la leggenda del poeta conradiano, che fa il dandy esistenzialista a Milano, zona ‘Giamaica’, già amico dei poeti, Un poeta alla Hemingway, come sintetizzò Giovanni Giudici – d’altronde, a lui piaceva alimentare la corrusca vitalità: “certi suoi viaggi in Europa e in Africa e relative situazioni avventurose sono già oggetto di favola tra gli amici”, scrive, autoritraendosi, nel 1955. Giocava all’enigma e al vizio della virilità, Cattafi: “A Siviglia sfuggii per un soffio alla lama di un gitano geloso della sua splendida e infedele fidanzata. Ad Orano, nel 1953, ero perseguitato da alcuni contrabbandieri: la polizia mi dette una scorta di due flic con i quali potei visitare anche le case più segrete della città araba… A Dublino, non sapevo una parola d’inglese e non avevo in tasca un soldo: decisi di fare il cieco e mi misi a battere col bastone sul marciapiede”, racconta, questa volta nel 1972. Eppure, la balordaggine del vitalismo – a volte un giogo – non intacca la disciplina pura con cui il poeta lavora, a colpi di bisturi la sua poesia. “Tu continui a scrivere delle bellissime poesie in un modo sempre più alieno dalla poesia… la poesia resta ancora il primo mezzo di dissenso, di protesta, di revisione”, gli scrive Vanni Scheiwiller. L’alieno, l’avventuriero, il poeta che si avventa nell’avvenire. (d.b.)
Intanto. In sede introduttiva Bruni sottolinea un paio di cose sacrosante. Primo: la letteratura italiana è fatta, in gran parte, di “irregolari”, “marginali”, “eccentrici”. Tra cui va inserito Cattafi, “il caso più clamoroso di sottovalutazione critica”. Come si spiega questa sottovalutazione? Cecità congenita a certa critica; inappetenza di Cattafi ai club intellettuali; idiosincrasia politica; voce lirica, la sua, troppo ‘altra’ rispetto al canone dominante?
Raoul Bruni: Molte sono le ragioni che possono spiegare la travagliata fortuna critica di Cattafi, anche se nessuna di esse è tale da giustificare un simile ostracismo: a quelle da te suggerite, va aggiunta la scarsa attitudine autopromozionale e la sua assoluta refrattarietà a ogni programma poetico condiviso. Il capolavoro poetico di Cattafi, L’osso, l’anima esce sintomaticamente nel 1964, giusto un anno dopo la fondazione del Gruppo 63; eppure la distanza di Cattafi dall’esibito sperimentalismo dei protagonisti di quella stagione poetica appare siderale. Cattafi rimase sempre una figura appartata, non perché gli mancassero amici e estimatori influenti (da Sereni a Raboni), ma per scelta, anzi per vocazione.
Vi chiedo di riassumere in pochi tratti il carisma lirico di Cattafi: da cosa si compone, dove nasce?
Diego Bertelli: Volendo adoperare un termine caro a Raboni e usato a proposito da Adele Dei, Cattafi non è stato un poeta “tempestivo”. Con questo intendo dire che a differenza di molti altri poeti a lui coetanei la sua lingua non ha risentito del peso del tempo e del suo tempo. Pensiamo alla vicinanza temporale tra Qualcosa di preciso, L’osso, l’anima e la Neoavanguardia (di cui si parlava prima), oppure tra Cattafi e Pasolini, nati entrambi nel 1922, o tra Cattafi e Giudici, di poco più giovane. Se leggiamo questi altri poeti, in parecchi casi sentiamo una distanza, è un fatto inevitabile; per quel che riguarda Cattafi, invece, quella distanza non si percepisce: la sua lingua non si è storicizzata come le altre. Il suo carisma lirico, come lo definisci, risiede prima di tutto in questo. In più, c’è lo sviluppo di un ritmo, di una prosodia cattafiana, specie nelle serie di nomi, verbi, aggettivi che si accumulano e variano all’ultimo, come un dribbling. Con questa lingua Cattafi arriva da solo a conclusioni cui anche altri poeti sono arrivati negli stessi anni ma senza il sostegno di poetiche forti o di ideologie forti. Sua è la forza di un’intuizione lirica portata alle estreme conseguenze. Specie gli anni Sessanta sono il momento in cui si ha un cambiamento di registro e di stile epocale per la poesia italiana del tempo; per Cattafi, nello specifico, in quegli anni si compie una maturazione dei temi e dello stile personalissima. Cattafi in un curioso articolo a suo nome del 1961 nel quale annunciava la vittoria al Premio Carducci con Qualcosa di preciso afferma questo di sé: “è considerato tra le voci più valide della ‘linea lombarda’”. Si tratta di un raro esempio di auto-classificazione, che nel caso di Cattafi risuona ancor più significativo, considerando l’idiosincrasia del poeta al riguardo. In ogni caso partire da qui, dalla poesia in re che serve come base di una visione straniante ma netta del reale, in cui impulso biologico e prosodia danno vita a uno dei risultati più originali della poesia italiana della seconda metà del Novecento.
Nell’introduzione si citano alcune fonti di Cattafi. Certe sono ‘sporche’, penso alla “letteratura poliziesca”, a Ian Fleming, a Chandler. Cosa c’entrano queste letture con il poeta, come entrano nella sua poesia? Soprattutto: cosa leggeva Cattafi?
Raoul Bruni: Un aspetto che anche i critici più attenti di Cattafi avevano finora trascurato riguarda la sua cultura eclettica, molto più profonda di quanto comunemente si creda. Nel catalogo della biblioteca personale dell’autore si trovano, accanto a classici della letteratura contemporanea, volumi di esoterismo e alchimia, e, appunto, molti polizieschi, hard boiled e spy stories (di Ian Fleming, per esempio, Cattafi possedeva un’ampia collezione di volumi e, a quanto testimonia la vedova Ada De Alessandri, andava spesso al cinema a vedere i film della serie 007). Anche queste lettura che, soprattutto all’epoca in cui Cattafi scriveva, erano confinate tra la letteratura di consumo, hanno contribuito a rendere unica la poetica dell’autore. Nell’opera di Cattafi compaiono infatti pistole e armi da fuoco, e alcune poesie sono attraversate dallo stesso sentimento di suspense che distingue i romanzi noir. Tornando a Fleming, nessuno aveva notato che in una poesia dell’Aria secca del fuoco (L’aliscafo), Cattafi rende esplicitamente omaggio al romanzo Thunderball (da poco ritradotto presso Adelphi).
Mi sorprende il lungo tratto di silenzio lirico – “più di otto anni”, testimonia Raboni – di Cattafi, quasi che la poesia sia mostro e turbamento, cosa che non ha stagionatura quotidiana, lotta al silenzio. Cosa accade in quegli otto anni?
Diego Bertelli: Io credo che nulla valga di più di queste parole di Raboni: “[…] per più di otto anni, Cattafi non scrive una sola poesia, un verso che non sia uno. Chi non conosce Cattafi (voglio dire l’uomo Cattafi) può credere che si tratti di un’esagerazione o di un modo di dire. Non è così. Posso assicurare che, in quegli anni, Cattafi ha fatto di tutto – ha viaggiato, pagato debiti, offerto pranzi; si è costruito una casa; ha dipinto dei quadri, alcuni dei quali decisamente belli; si è persino sposato – tranne che scrivere poesia. A chi gli chiedeva notizie o spiegazioni della cosa, opponeva un sorriso cortese e un po’ ironico. Non ha mai teorizzato il silenzio, né durante né dopo; si è limitato a praticarlo, per quanto ne so senza alcuna particolare fierezza ma anche senza pentimenti o patemi e, in ogni caso, senza il minimo trucco o patteggiamento. Niente abbozzi cestinati, tentativi, dubbi, crisi. Niente di niente; non una riga, non una parola”. Eppure è molto interessante un documento inedito ritrovato da Giada Moneti, che ha recentemente ricostruito il carteggio Cattafi-Machiedo, l’amico e traduttore croato, di cui abbiamo riportato poche ma significative righe nel libro: “Ora dovrei spiegarti perché non ti ho scritto in tutti questi anni. La medesima risposta dovrei darla a tutti gli altri amici che ho sparsi per il mondo. La risposta è semplice, brutale, veritiera: pazzia, blocco psichico, nevrosi, astenia, grafofobia”. Siamo nel 1970, Cattafi sarebbe tornato a scrivere di lì a poco poesia e quel riferimento a Machiedo e agli altri amici può essere letto anche in relazione agli anni in cui non scrive versi.
Che rapporti ha – di affinità letteraria, di amicizia – Cattafi con i poeti del suo tempo?
Diego Bertelli: Cattafi è stato un poeta e un uomo che ha avuto strenui sostenitori (per quel che riguarda nello specifico Raboni sarebbe il caso di andare a vedere quanto Cattafi abbia esercitato su di lui un’influenza vera e propria come poeta) o, viceversa, strenui oppositori. Alla sua poesia, così come alla sua figura di uomo, non si addicono le vie di mezzo. A Milano Cattafi ha conosciuto davvero tutti a partire dalla seconda metà degli anni Quaranta e ancor più tra la fine degli anni Cinquanta e la fine dei Sessanta. Ora, Cattafi non è il tipo che fa complimenti a nessuno né tanto meno recensisce gli amici o i poeti che potrebbero a sua volta recensirlo. Quell’atteggiamento schietto è stato in certo senso il motivo del suo isolamento, insieme al fatto di non partecipare, vestendo i panni dell’intellettuale organico, al dibattito ideologico del suo tempo. Le affinità letterarie vanno cercate fuori dei confini italiani, come si sottolinea nell’introduzione, ampliando nella sua introduzione il ventaglio dei riferimenti finora fatti. Quello che mi ha sempre sorpreso è invece l’atteggiamento dei molti, specie dopo la sua morte, che ben riassume Andrea Inglese quando scrive: “Cattafi era conosciuto da tutti ma nessuno ne parlava. Se proprio se ne doveva parlare, se ne parla bene, ma per subito passare ad altro”.
Estrapolate una poesia esemplare di Cattafi, oppure un verso, un distico e spiegateci perché è importante. 
Diego Bertelli: Ho recentemente tradotto una serie di poesie di Cattafi insieme alla poetessa statunitense Catherine Barnett per una prossima pubblicazione su rivista, e tra queste ho scelto quella che amo di più. Si tratta di Niente, una poesia recuperata tra i suoi inediti da Paolo Maccari nel 2003 e uno dei testi più esemplari di Cattafi:
È questo che porti arrotolato con cura, piegato in quattro, alla rinfusa sgualcito, spiegazzato
ficcato ovunque negli angoli più oscuri. Niente da dichiarare niente devi dire niente. Il doganiere non ti capirebbe. La memoria è sempre contrabbando.
Credo che il testo sia un esempio efficace della lingua cattafiana, con quei suoi accumuli e scarti e impennate, distesa e poi veloce oppure il contrario, quasi sempre imperniata su una seconda persona singolare che è tutto tranne un istituto come in Montale; lingua dominata da un elemento di inquietudine costante, che riassorbe passato e presente in oggetti descritti o più spesso osservati, fissati a lungo, come attraverso una lente deformante.
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Un’area
Un’area molto estesa nel tempo e nello spazio. Ebbe feste, bandiere, usi e costumi rilassati, abitanti abili dediti a commerci redditizi, mercanti, meretrici, giocolieri. Nazione di losco splendore fu sempre amata dall’intimo dell’anima per la pronta destrezza, l’ingegno perverso, l’impossibile ingresso nel suo cuore.
*
La pesca delle aguglie
Protesi sugli abissi di nottetempo mettono a soqquadro con clamore e lampare le acque chete con forcine fiocine forchette bucano il banco d’aguglie i mille rivoli d’argento filante. Ed i colpi più forti dove più fitte sono le fibre notturne a proteggere la vita che comunque offre il fianco baluginante.
*
Ripudio
Chi entra in una chioma d’albero si sofferma là dentro si rigira e rinverdito ne esce rinfrescato inerme e agguerrito in un’altra sfera le pianure riarse ripudia le masse impure operanti nel cuore i nemici lucenti come scaglie in ordine sparso sulle nostre pianure.
*
Ossi
Ora spoglie di tutto – vesti e carni corrotte – sono linee e giunture ossi liberi e lieti in un mondo più puro.
Bartolo Cattafi
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pier-carlo-universe · 6 days ago
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Il Ponte dell'Impiccato di Corrado Peli: Un Viaggio nell'Oscurità tra Segreti e Fantasmi. Recensione di Alessandria today
La seconda avventura della serie "La Balotta dei Tramonti" è una ghost story avvincente e ricca di suspense
La seconda avventura della serie “La Balotta dei Tramonti” è una ghost story avvincente e ricca di suspense. Corrado Peli ritorna con il secondo volume della serie La Balotta dei Tramonti, intitolato Il Ponte dell’Impiccato. Pubblicato il 27 settembre 2024 da Fanucci Editore, questo romanzo cattura i lettori con una ghost story intensa, carica di mistero e suspence. Ambientato durante le vacanze…
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pier-carlo-universe · 10 days ago
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Ninfa Dormiente di Ilaria Tuti: Un Cold Case nelle Profondità delle Alpi. Recensione di Alessandria today
Un’indagine intensa e viscerale condotta dal commissario Teresa Battaglia nei misteri delle montagne italiane.
Un’indagine intensa e viscerale condotta dal commissario Teresa Battaglia nei misteri delle montagne italiane. Recensione: Ilaria Tuti, con Ninfa Dormiente, porta i lettori nelle Alpi friulane, tra boschi e montagne intrisi di mistero. Protagonista è Teresa Battaglia, commissario di polizia specializzato in profiling, impegnata in un caso freddo inquietante, radicato nel passato. Questa indagine…
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pier-carlo-universe · 11 days ago
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"Assassinio Senza Delitto": Un Enigma che Sfida il Genere Giallo. Recensione di Alessandria today
Massimiliano Borghi Mazza intreccia umorismo e mistero in un thriller che ridefinisce i confini del delitto
Massimiliano Borghi Mazza intreccia umorismo e mistero in un thriller che ridefinisce i confini del delitto. Recensione: Nel romanzo “Assassinio Senza Delitto” di Massimiliano Borghi Mazza, pubblicato il 4 agosto 2023, il lettore viene trascinato nella tranquilla ma oscura periferia di New Barnet, alle prese con il ritrovamento del cadavere di un uomo brutalmente torturato. L’indagine è affidata…
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pier-carlo-universe · 13 days ago
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Domino: Intrighi e Oscurità nella Terza Avventura dell'Investigatore Dante Baldini. Recensione di Alessandria today
Riccardo Bruni ci riporta a Rocca Tirrenica con un thriller intenso, tra misteri irrisolti, setta satanica e una città inondata da giochi di potere.
Riccardo Bruni ci riporta a Rocca Tirrenica con un thriller intenso, tra misteri irrisolti, setta satanica e una città inondata da giochi di potere. Nel terzo capitolo della serie dedicata a Dante Baldini, investigatore privato dalla mente acuta e dai modi pragmatici, Riccardo Bruni costruisce un intreccio di suspense e mistero che cattura il lettore fin dalle prime pagine. Ambientato nella…
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pier-carlo-universe · 13 days ago
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Una Lettera per Sara di Maurizio de Giovanni: Un’Indagine tra Ragione, Sentimento e Oscuri Fantasmi del Passato. Recensione di Alessandria today
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Maurizio de Giovanni ci conduce in una Napoli velata di mistero, dove i conti col passato si intrecciano con un’indagine che sfida il confine tra il personale e il professionale. Una lettera per Sara è uno dei romanzi più intensi di Maurizio de Giovanni, un autore che ha saputo conquistare il pubblico italiano e internazionale grazie alla sua capacità di unire la profondità psicologica dei…
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pier-carlo-universe · 15 days ago
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"Caccia all'Orsa" di Giuseppe De Renzi. Un thriller denso di suspense e mistero tra le montagne. Recensione di Alessandria today
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Caccia all’Orsa, scritto da Giuseppe De Renzi e pubblicato da Leone Editore, è un thriller che trasporta il lettore in un’atmosfera carica di tensione e mistero, ambientato tra le montagne, dove il paesaggio naturale diventa un personaggio tanto importante quanto gli stessi protagonisti. La trama ruota attorno a una caccia senza tregua, dove la natura selvaggia si mescola a misteri da svelare.…
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pier-carlo-universe · 17 days ago
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Il funerale di Orlando: Un omicidio in famiglia dai risvolti sorprendenti. Il romanzo di Paolo Navi esplora le dinamiche familiari, gli intrighi e le tensioni di una famiglia napoletana dopo un misterioso omicidio. Recensione di Alessandria today
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pier-carlo-universe · 19 days ago
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pier-carlo-universe · 19 days ago
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Un viaggio nell’oscurità dell’anima e nelle ombre della storia Recensione: La meccanica delle ombre è il romanzo noir di Fabio Bezzan che porta il lettore in un viaggio tra segreti, misteri e riflessioni profonde. Ambientato in un contesto affascinante e al tempo stesso inquietante, il libro esplora le zone d’ombra dell’animo umano e dei luoghi stessi che si fanno custodi di verità…
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pier-carlo-universe · 19 days ago
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Segreti, intrighi e suspense nel nuovo noir di Maurizio De Giovanni Recensione: Un volo per Sara è l’ultimo capitolo della serie di Maurizio De Giovanni dedicata a Sara Morozzi, la “donna invisibile”. La protagonista, ancora una volta, si trova al centro di un’indagine complessa e carica di tensione, in cui segreti ben celati riemergono in seguito a un misterioso incidente aereo. Sara, ex…
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pier-carlo-universe · 19 days ago
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Un viaggio nell’Italia medievale tra scienza, fede e segreti nascosti Recensione: Cuore di ferro è un romanzo storico di Alfredo Colitto, che trasporta i lettori in un’epoca affascinante e oscura: l’Italia del XIV secolo. In questo nuovo capitolo delle sue avvincenti storie, Colitto ci immerge in una trama ricca di misteri, in cui la scienza dell’alchimia e i complotti politici si intrecciano…
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