#narrativa di successo
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pier-carlo-universe · 9 hours ago
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Recensione di "L'Ora Blu" di Paula Hawkins: Un Thriller Intenso e Psicologico. A cura di Alessandria today
Un viaggio tra misteri e tensioni in un romanzo che cattura fin dalla prima pagina
Un viaggio tra misteri e tensioni in un romanzo che cattura fin dalla prima pagina. “L’Ora Blu”, l’ultimo thriller psicologico di Paula Hawkins, conosciuta per il suo successo mondiale con “La ragazza del treno”, rappresenta un’altra avvincente esplorazione della fragilità e dell’oscurità umana. In questo libro, la scrittrice ci conduce in un mondo di segreti e paure, scandagliando le vite dei…
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queerographies · 2 months ago
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[A nessuno è fregato un cazzo di cosa è successo a Carlotta][James Hannaham]
Il racconto tragicomico del primo weekend di libertà di Carlotta, donna nera trans che, dopo vent’anni passati in un carcere maschile, deve confrontarsi per la prima volta col mondo esterno
Una donna trans e nera, finalmente libera: la rinascita di Carlotta in una New York che cambia Titolo: A nessuno è fregato un cazzo di cosa è successo a CarlottaScritto da: James HannahamTitolo originale: Didn’t Nobody Give a Shit What Happened to CarlottaTradotto da: Giovanni Maria RossiEdito da: Edizioni ClichyAnno: 2024Pagine: 336ISBN: 9791255511021 La trama di A nessuno è fregato un cazzo…
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gregor-samsung · 9 months ago
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" La Russia non sta vincendo la guerra dell’informazione e non sembra destinata a recuperare. Probabilmente, non vuole nemmeno recuperare. Infatti, la guerra dell’informazione che si sta combattendo non è rivolta alla Russia, ma a tutto l’Occidente, e in particolare a noi europei. In Russia non arriva molto della propaganda ucraina, e ciò che arriva è così smaccatamente antirusso che può generare una sorda repulsione nella popolazione e un motivo in più per indurre i vertici politici e militari a reagire in modo ancora più violento. La propaganda ucraina sta però riuscendo a penetrare nel nostro sistema di pensiero dopo averlo fatto, in profondità, nelle strutture politiche e nei conglomerati mediatici internazionali. È una propaganda facile, perché sfrutta gli effetti delle tragedie di tutte le guerre separandoli dalle cause, spostando nel tempo e nello spazio le responsabilità. Sfrutta l’emotività a danno della razionalità. Tutte tecniche “standard” nel marketing, come negli show televisivi. Ma il suo successo dipende soprattutto dalla garanzia che tale propaganda sia l’unica a disposizione della gente e degli stessi analisti della guerra. Da mesi sappiamo del conflitto soltanto ciò che viene dalla parte ucraina e lo vediamo amplificato in tutto il mondo. Non si tratta soltanto di essere privati dell’accesso alla verità, ma anche della facoltà di valutare la narrativa dell’avversario, necessaria per individuare quali sono i temi più sensibili, quali i punti deboli delle forze in campo, i loro scopi dichiarati messi a confronto con quelli resi evidenti dalle operazioni. E questa privazione diventa una vulnerabilità del nostro sistema istituzionale, politico e militare. "
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Brano tratto da Le guerre dentro e per l'Ucraina, saggio di Fabio Mini raccolto in:
Franco Cardini, Fabio Mini, Ucraina. La guerra e la storia, Paper First; prima edizione: maggio 2022 [Libro elettronico]
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multiverseofseries · 3 months ago
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Ahsoka: Star Wars torna a splendere su Disney+
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L'hype può essere uno strumento incredibilmente pericoloso, in particolar modo quando ci si confronta con franchise od in generale realtà dalla lunga storia. Prendiamo ad esempio la Marvel, post-Endgame, diversi aspetti relativi al Multiverso - come abbia realmente avuto inizio, quali siano le reali conseguenze e dove prima o poi sfoceranno - stiano creando una confusione terrificante per i fan, che quasi ad ogni nuovo film o serie tv vengono introdotti a regole e funzionamenti piuttosto in contrasto tra di loro. Dopo la saga dell'Infinito, quanta attesa c'era per il prossimo grande arco? Dopo Thanos, quanta spasmodica voglia di ammirare l'inedito villain? Che spada di Damocle graverà sulla testa di The Kang Dynasty e Secret Wars, dopo Infinity War ed Endgame? Star Wars non è in una situazione tanto differente.
E dunque è comprensibile perché Andor abbia avuto l'incredibile successo di critica ma anche di pubblico che ha avuto, in fondo nessuno si aspettava chissà cosa da uno spin-off prequel di Rogue One. Che Ahsoka sia riuscita ad offrire un livello qualitativo molto simile con le enormi aspettative della fanbase è, invece, un capolavoro targato Lucasfilm ancora superiore ed una commovente dimostrazione di cosa possa essere Star Wars a quasi 50 anni da Una Nuova Speranza.
Far, far away…
Cerchiamo però di ricapitolare brevemente dove si colloca questa serie e cosa vuole raccontare: ambientata dopo gli eventi della terza stagione di The Mandalorian e prendendo tuttavia inizio dal quinto episodio della sua seconda stagione (che a questo punto possiamo considerare un vero backdoor pilot), Ahsoka narra le gesta dell'omonima protagonista (Rosario Dawson) mentre cerca di capire dove sia finito il Grand'Ammiraglio Thrawn (un perfetto Lars Mikkelsen), dopo aver sentito voci di un suo possibile ritorno nella galassia come erede dell'Impero, e di conseguenza anche lo scomparso Ezra (Eman Esfandi).
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In The Mandalorian l'avevamo vista alle prese con Morgan Elsbeth (Diana Lee Inosanto), alleata chiave di Thrawn, e qui veniamo a scoprire l'esistenza di una mappa che indica la posizione proprio del Chiss dagli occhi fiammeggianti, ma per aprirla avrà bisogno dell'aiuto della sua ex-apprendista Sabine (Natasha Liu Bordizzo) e presto scoprirà di non essere la sola interessata a questa ricerca. Ora, credo sinceramente sia il caso di indicare subito l'elefante nella stanza, reso già evidente da questa semplice sinossi, ovvero che Ahsoka non è una serie aperta a tutti. Con ciò intendo che pezzi fondamentali della sua trama nonché le caratterizzazioni, i rapporti e i comportamenti della maggior parte dei personaggi non sono purtroppo accessibili a chi non ha visto determinate produzioni. Dispiace, eppure non c'è modo di addolcire la pillola in quanto la serie non fa assolutamente nulla per colmare simili mancanze come ad esempio faceva The Mandalorian.
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E forse Filoni e soci non hanno neppure tutti i torti, perché sarebbe stato impossibile inserire qualche dialogo chiarificatore riguardo personaggi dalla storia su schermo tanto lunga. Insomma, è necessaria la conoscenza pregressa di alcuni archi di The Clone Wars e della quasi interezza di Rebels, altrimenti proprio sul piano narrativo ed emotivo la serie rischia di non trasmettervi nulla. Ma, una volta scansata tale problematica, com'è Ahsoka?: Ahsoka è Star Wars al 100%, che non ha paura di usare le sue armi migliori e soprattutto non teme di espandere la lore di un franchise monumentale.
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È una serie che catapulta lo spettatore immediatamente al centro dell'azione - proprio perché è una continuazione diretta e come tale non necessita di un prologo - e, escluse alcune pause a dir poco clamorose, non si ferma mai fino all'ultimo minuto disponibile. Però paradossalmente la narrativa è forse la componente meno importante, d'altronde non è altro che una lunga missione di ricerca e/o salvataggio, una sfrenata corsa contro il tempo dalle poste in gioco estremamente alte e delicate. Narrativamente non c'è altro - se non giusto qualcosina di intrigante sul finale - e perciò le luci della ribalta vengono occupate dai protagonisti, che bucano in continuazione lo schermo.
Il vero show
Rosario Dawson, Natasha Liu Bordizzo, Eman Esfandi, Mary Elizabeth Winstead - che interpreta Hera Syndulla - e Lars Mikkelsen sono stati semplicemente straordinari nel dare vita, dalle movenze ai modi di parlare, a personaggi preesistenti, a catturare perfettamente le loro peculiarità, che sia la giovialità in qualunque situazione di Ezra o la sfacciataggine di Hera. Così come sono stati clamorosi il compianto Ray Stevenson e Ivana Sakhno nei panni di due Jedi Oscuri, delle new entry tra le più interessanti in Star Wars nell'ultimo decennio. Sono letteralmente loro a fare lo show: il rapporto complesso tra Ahsoka e Sabine e, di riflesso, quello tra la Togruta e il suo vecchio maestro Anakin, l'irraggiungibile carisma e freddezza spietata e calcolatrice di Thrawn predominante in ogni scena che lo vede presente, i dilemmi morali che il ritrovamento di Ezra comporta, la disturbante aura di magia sinistra intorno alle Sorelle della Notte, la dialettica maestro-allievo presente anche in Baylan Skoll e Shin; Ahsoka esegue magistralmente tutti questi punti, inondando lo spettatore con un maremoto continuo di misteri, emozioni, sorprese.
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Un risultato stupendo esaltato infine da delle sequenze d'azione - come in Andor e in The Mandalorian, - ben realizzate, tra cui uno scontro tra astronavi in volo che non si conclude in 10 secondi o finisce per diventare un amalgama indistinto di laser ed esplosioni casuali. Se c'è da trovare un difetto nella nuova serie Star Wars, è la sua natura di ponte perlomeno in questa prima stagione, perchè in fondo non è altro che un ulteriore passaggio verso il film crossover che intende realizzare Filoni. Con un'ipotetica seconda stagione, però, le potenzialità di espandere il materiale di base sarebbe meravigliosamente infinite.
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teredo-navalis · 1 year ago
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AAA CONSIGLIO CERCASI
Due settimane fa, mentre ero ancora in vacanza, mi ha scritto un amico dicendomi che il tizio del bar dove andiamo sempre gli ha chiesto se sto ancora cercando lavoro, perché a lui serve una persona.
Così l'ho contattato, chiedendogli quali fossero gli orari -risposta: "mattina, ora di pranzo"- e dicendogli che nel caso sarei stata disponibile a iniziare dal lunedì successivo ma attendevo ulteriori informazioni; lui mi ha chiesto se avessi esperienza (no) e voglia di mettermi in gioco(sì) e dopo aver letto le mie risposte mi ha ghostato.
Sono passati giorni e io giustamente ho pensato che semplicemente avesse trovato qualcun altro ma invece mi riscrive l'amico in questione, chiedendomi se fossi andata al bar e dicendomi che il tizio a lui aveva detto che ci dovevamo vedere.
Allora avantieri riscrivo al tizio, spiegandogli quello che era successo e chiedendo se avessi quindi capito male (non c'era niente da capire male: mi ha semplicemente ghostato ma ok), lui dice che effettivamente si aspettava che sarei passata da lui lunedì per parlare (e come dovevo capirlo io, se non me l'aveva mai detto? ma ok) allora addirittura mi scuso e scrivo testualmente: "Visto che non ci siamo più sentiti io nel frattempo ho preso un altro impegno fino a domani, quindi eventualmente lunedì potremmo vederci per parlare come avevi pensato tu o per fare una prova", lui di nuovo visualizza e non risponde.
*ed è tipo l'unico luogo con le birre senza glutine
**dicendo che non mi sento tranquilla ad iniziare un rapporto di lavoro con questi presupposti dato che chiaramente non ci capiamo/intendiamo tra di noi (questa è l'opzione che vorrei attuare, ma mi fa anche arrabbiare perché da un certo punto di vista mi sembra che vada ad alimentare la narrativa dei giovani che non vogliono lavorare e questa cosa mi fa girare i coglioni)
Tra l'altro anche per andare solo a parlare di persona con questo tizio, io devo spendere due euro e cinquanta "a buono a buono" mah
L'altra cosa che mi frena è che sto aspettando esca la maledettissima graduatoria per andare a fare le pulizie all'ospedale, cosa che a questo punto preferirei dato che me ne starei per i cazzi miei a pulire in tranquillità, anziché interfacciarmi con 'sti boriosi malati di testa
P.s. il tizio non ha scritto direttamente a me per orgoglio, perché "io non sono il tipo che ti manda un altro messaggio" ma ha scritto al mio amico chiedendogli di me, cosa che trovo francamente ridicola.
Non so davvero se dargli un'opportunità potrebbe essere una scelta sensata, se potrebbe essere meno criptico in futuro o mi vado solo a creare i guai o dovrei comunque provarci così magari faccio un periodo di prova e metto comunque qualche soldino in saccoccia o no. Il vero problema è che sono povera.
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lalacrimafacile · 4 months ago
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My Lady Jane: Quando la Storia si Trasforma in Magia e Risate
Lady Jane Grey: La Regina dei Nove Giorni... o dei Nove Episodi?
Lady Jane Grey è conosciuta nei libri di storia come la "Regina dei Nove Giorni". Una figura tragica che fu usata come pedina politica e che trovò una fine prematura. Tuttavia, la serie televisiva My Lady Jane prende questa narrativa e la stravolge completamente.
La serie offre a Jane un destino radicalmente diverso. In questa versione della storia. La protagonista, infatti, non è una vittima passiva degli eventi, ma una giovane donna intelligente e determinata. In questo mondo fantastico è in grado di cambiare il suo destino con l'aiuto di una buona dose di magia.
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Tudorland: Benvenuti nel Regno di Maghi e Metamorfosi
L'ambientazione della serie rimane l'Inghilterra Tudor, ma è arricchita da elementi fantastici che rendono il mondo di My Lady Jane unico nel suo genere.
Tanto per dirne uno: il regno è popolato da persone che possono trasformarsi in animali (what?!). Inoltre, le già intricate dinamiche politiche sono complicate ulteriormente da questi elementi soprannaturali.
Questi cambiamenti non solo aggiungono un tocco di magia alla narrazione, ma permettono anche ai personaggi di esplorare le loro identità in modi nuovi e inaspettati.
Risate Reali: Quando la Storia si Prende una Pausa
Uno degli aspetti più affascinanti di My Lady Jane è la sua capacità di trattare temi seri con un tocco di leggerezza e ironia. La serie non si prende mai troppo sul serio. Questo approccio rende la visione estremamente piacevole.
I dialoghi sono frizzanti e pieni di battute argute, e le situazioni assurde in cui si trovano i personaggi sono gestite con una comicità brillante. Questo stile distintivo è uno dei motivi principali per cui My Lady Jane si distingue tra i numerosi adattamenti storici.
Non ha niente a che vedere con le serie televisive Starz come The White Princess, The White Queen o Becoming Elizabeth.
La protagonista non è più la storia. Al centro brilla la fantasia e la libertà di cambiare il destino storico di un personaggio drammatico come quello di Jane Grey.
Un Cast da Fiaba: Principesse e Principi (e Animali) Incantati
Il successo di My Lady Jane non sarebbe stato possibile senza un cast eccezionale. La giovane attrice protagonista porta sullo schermo una Jane Grey piena di vita e spirito. Gli altri membri del cast offrono interpretazioni altrettanto memorabili.
Ogni personaggio, dai principali ai secondari, è caratterizzato da una profondità e complessità che rendono la storia ancora più coinvolgente.
L'eroina : Jane è una ragazza che vuole ampliare le proprie conoscenze. È intelligente e curiosa. Nonostante la costrizione al matrimonio da parte di sua madre, Jane non perde lo spirito. Per l'intera serie la ragazza dimostra di essere però anche leale. Essa è pronta a rischiare la sua vita per gli amici e per le sue convinzioni.
Il bello e dannato : Guildford viene introdotto come un ragazza senza un vero scopo. In un bar recita versi "poetici" e beve come se non ci fosse un domani. Tuttavia il suo personaggio diventa uno dei più particolari e complessi. Il suo passato continua a tormentarlo e il pubblico finirà per tifare per lui.
Il re malato: Edward non è solo un bambino malaticcio. In questa versione, in cui il monarca inglese è un ragazzo di colore interessato agli uomini (altro che licenza poetica), Edward prende in mano il suo destino.
Dal Libro allo Schermo: Una Magia Diversa, ma Sempre Incantata
Pur rimanendo fedele allo spirito dei libri, la serie televisiva My Lady Jane introduce diverse modifiche rispetto ai romanzi. Alcune sottotrame sono state semplificate o eliminate. Inoltre, nuovi personaggi sono stati aggiunti per arricchire la narrazione.
Questi cambiamenti non fanno che migliorare l'adattamento, rendendolo più adatto al formato televisivo e mantenendo l'attenzione del pubblico. Inoltre, l'elemento visivo della trasformazione degli esseri umani in animali è reso con effetti speciali che aggiungono un ulteriore livello di fascino alla serie.
Conclusione
My Lady Jane è un esempio brillante di come un adattamento televisivo possa prendere una storia conosciuta e trasformarla in qualcosa di completamente nuovo e affascinante. Con la sua combinazione di storia, ironia e magia, la serie offre un'esperienza di visione unica che riesce a intrattenere e sorprendere ad ogni episodio. Se siete alla ricerca di una serie che sappia mescolare abilmente passato e fantasia, My Lady Jane è sicuramente una scelta imperdibile.
Ho trovato questa serie brillante, ma ancora di più la capacità dei creatori di spingere l'hyper per uno show anche relativamente semplice. La storia non è un racconto epico e complesso. Tuttavia cattura il pubblico con colpi di scena e un focus intelligente su certe tematiche rilevanti.
Ovviamente tanto fa anche la chimica tra i due protagonisti, cosa che non fa male ad una storia semplice e senza troppi personaggi.
Ho visto le nove puntate tutte d'un fiato in soli tre giorni. La storia è organizzata bene affinché il pubblico sia spinto a guardare lo show in poco tempo.
Se amate le serie come me, non perdetevi gli altri articoli.
Stay Tuned, la vostra EasyTears.
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bibliotecasanvalentino · 10 months ago
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Lunedì 22 Gennaio 2024 alle ore 20.30 il GdL "Chiave di Lettura", presso i locali della Biblioteca San Valentino, si incontrerà per discutere insieme del libro di Carmelo Samonà “Fratelli”.
"Fratelli" venne pubblicato nel 1978 e diventò subito un caso editoriale. L'autore, noto ispanista, era alla sua prima prova narrativa e le 30.000 copie della tiratura andarono immediatamente esaurite mentre critici come Giorgio Manganelli, Natalia Ginzburg, Alfredo Giuliani lo accolsero come un capolavoro.
"Vivo, ormai sono anni, in un vecchio appartamento nel cuore della città, con un fratello ammalato". In una vasta casa di una città imprecisata vivono due fratelli. È il più grande a raccontare, l'altro è affetto da disturbi che riguardano "l'attività del pensiero" che non vengono comunque mai precisati, il ricovero in ospedale, predisposto da anni, "sembra di là da venire". Il rapporto tra i due è tormentato, la comunicazione è difficile, fatta di poche parole, di molti sguardi, silenzi, contatti fisici - il fratello maggiore accudisce l'infermo, lo lava, lo veste, lo segue da una stanza all'altra del grande appartamento, semivuoto di mobili, colmo comunque di ricordi, "arnesi dall'uso incerto" che "interrompono, di tanto in tanto, la sequenza dei vuoti", residui di una intimità familiare ormai perduta.
Carmelo Samonà (1926 – 1990) è stato un ispanista e scrittore italiano. Proveniente dalla famiglia aristocratica siciliana Samonà, era figlio dell'architetto Giuseppe Samonà. Si stabilì a Roma nel 1936 e si laureò in lettere, alla Sapienza, nel 1948. Dal 1961 insegnò letteratura spagnola all'Università "La Sapienza" di Roma al Magistero, e dal 1978 a Lettere, dedicandosi in particolare a quella del Seicento. Come ispanista, si ricorda, fra le altre, l'opera La letteratura spagnola dal Cid ai Re Cattolici (con Alberto Varvaro, 1972). Nel 1973 promosse la costituzione dell’Associazione ispanisti italiani. Dal 1976 collaborò con il quotidiano la Repubblica con articoli sulla letteratura moderna spagnola e ispanoamericana. Accademico dei Lincei dal 1987, ottenne il premio Juan Carlos dell'Accademia spagnola (1984).
Viene ricordato anche come scrittore (il suo esordio nel 1978), in particolare per due romanzi di successo, pubblicati da Einaudi: “Fratelli” (prima opera, parzialmente autobiografica) e “Il custode” (1983). “Fratelli” racconta il rapporto della voce narrante con il fratello affetto da una malattia mentale (nella realtà, si tratta del rapporto di Samonà con il figlio); è stato vincitore del Premio Mondello e finalista del Premio Strega nel 1978, finalista nel 1985 al Premio Bergamo e vincitore nel 2002 del Premio Pozzale Luigi Russo. Oltre ai due romanzi, Samonà scrisse il racconto Casa Landau (Garzanti, 1990) e il testo teatrale “Ultimo seminario”.
Contattateci all'indirizzo mail: [email protected] oppure all'indirizzo, sempre mail, [email protected] e riceverete, in prossimità dell’incontro, il link di riferimento. Vi aspettiamo per confrontarci insieme su questa lettura e scoprire un romanzo basato su una storia vera che non lascerà per nulla indifferenti, non mancate!!!
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noneun · 2 years ago
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"Stiamo cercando di fermare la guerra che è stata scatenata contro di noi usando il popolo ucraino". Il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, ripete la narrativa ufficiale del Cremlino sul conflitto in Ucraina e la sala scoppia a ridere. E' successo alla conferenza Raisina Dialogue in India, che ha avuto luogo dopo la riunione ministeriale del G20 a New Delhi. Lavrov è stato costretto a interrompere, e poi ripetuto tre volte: la guerra "ha influenzato, influenzato, influenzato" la politica russa. Il video è stato pubblicato dal Moscow Times e rilanciato dalla testata indipendente Meduza.
A me non fa ridere, pensando a quanti ancora credono fermamente nella propaganda russa.
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seoul-italybts · 2 years ago
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[✎ ITA] Intervista : RM - "Infine, Park Chan-wook" | 25.02.23⠸
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Infine, Park Chan-wook
Intervista con Namjoon (Pagg 181-191)
Volume da Collezione Dedicato al Regista Park Chan-wook ("Decision to Leave") per i Suoi 30 Anni di Carriera
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INTRO
Dire di aver “guardato” Decision to Leave è riduttivo. Non c'è dubbio sia un' “esperienza”, ma se devo trovare un termine ancor più adatto, direi che lo si “vive”. Tra le persone che hanno vissuto Decision to Leave ve ne sono alcune che l'hanno sperimentato più profondamente e l'hanno riguardato più e più volte. Costoro si definiscono “헤친자/ Hechinja” (*Pazzi per Decision to Leave).
RM dei BTS ha confidato di essere tra coloro che vanno matti per Decision to Leave. Ha guardato il film 6 volte già solo al cinema, ha bevuto il whiskey apparso nel film, ha acquistato la sceneggiatura, ha concluso un'escursione in montagna con alcune battute di Decision to Leave. Questi sono i tipici sintomi di un Hechinja. Abbiamo chiesto a RM - musicista noto a livello globale, estimatore d'arte nonché appassionato di Decision to Leave - com'è stato vivere, soffrire ed amare questa pellicola. Come direbbe il regista Park Chan-wook, se dovessimo definire quest'intervista in 4 sillabe, diremmo “以心傳心” (cuore a cuore). Se anche voi andate matti per Decision to Leave, non potrete non approvare il viaggio di RM, il quale si è smarrito tra le “nebbie di Ipo*” e si è lasciato conquistare da quell'amore segreto.
* Ipo, “Città della nebbia”, luogo in cui è ambientato il film, n.d.t.
D: Stai partecipando a quest'intervista come rappresentante deə 헤친자 / hechinja (appassionati di DtL). Cosa ne pensi?
RM: Innanzi tutto, dato che sono sia un artista che un fan, (il film) ha suscitato moltissimi pensieri. Mi trovo un po' in imbarazzo, ma è anche una cosa positiva. So che ci sono molte altre persone ancor più appassionate di me e mi scuso (con loro) per essere io a fare da rappresentante per quest'intervista. Sono riuscito a darmi un contegno e a tenere la cosa privata fino alla mia 5a visione (del film), ma poi è uscito un articolo a riguardo e la cosa è diventata di pubblico dominio. Dato che ormai era cosa nota, ho deciso di dimostrare attivamente d'essere un fan. La sceneggiatrice Jung Seo-kyeong è stata ospite nella 3a puntata del programma che co-presentavo, il Dizionario delle Conoscenze Umane Inutili (tvN). Se guarderete lo show, vedrete che sono un vero fan.
D: C'è forse un qualche motivo speciale che ti ha spinto a guardare Decision to Leave? Puoi dirci cosa hai provato la prima volta che l'hai guardato?
RM: Mi erano già piaciuti i lavori precedenti del regista Park Chan-wook. E poi ho scoperto che era un film diventato virale tra i miei amici. Guardare film è da sempre uno dei passatempi preferiti della mia famiglia. La prima volta, l'ho guardato da solo. Probabilmente è perché l'ho iniziato senza sapere nulla della storia e della struttura narrativa, ma ero talmente preso dalla trama che credo di essermi perso tutti i dettagli della messa in scena ed i significati nascosti. Alla fine chi era il colpevole? “Quindi SeoRae ha ucciso HaeJoon?”, “Chi è il cattivo della situazione?”, “Cos'è successo?”, “(SeoRae) È morta?”, pensieri ed interrogativi simili continuavano a frullarmi in testa e non ero soddisfatto, mi sentivo un po' a disagio.
D: Dopo la prima visione, quindi, non ne sei rimasto soddisfatto, ma non riuscivi a togliertelo dalla mente, dunque sei andato al cinema e lo hai riguardato più e più volte. Saremmo curiosi di capire un po' meglio quella sensazione di disagio che hai menzionato.
RM: Ho pensato il film fosse proprio come la “nebbia di Ipo”, che appare nella pellicola. Non sono poi un così gran cinofilo o appassionato di film. Senza dubbio, ci sono volte in cui cerco specificamente pellicole indipendenti o che preferisco il cinema d'autore, quindi mi consideravo uno spettatore abituato a questo tipo di “film (che sono) come nebbia”.... Ma dopo aver visto Decision to Leave, mi son chiesto “E allora? Cos'è successo?”. Quindi ho realizzato che l'opera di questo regista era arte, è un film che è come nebbia e, il che, mi metteva un po' a disagio. È così che è andata la mia prima visione.
D: Nonostante ciò, non riuscivi a “smettere di pensarci, quindi, tornato al cinema, hai finito per rivederlo più volte”. È ciò che hai dichiarato, corretto?
RM: La prima volta che ho visto Decision to Leave era intorno agli inizi, quando è uscito, circa un mese dopo. Avevo molti impegni e stavo ultimando i preparativi per il mio album, quindi era un periodo un po' confuso per me, sotto diversi aspetti. In un certo senso, credo il tempismo sia stato perfetto. Circa un mese dopo, mi è tornato in mente Decision to Leave quindi sono andato a rivederlo per l'ennesima volta, cosa che di solito non faccio quasi mai. Era come se qualcosa mi attirasse. Credo il tempo sia un bene prezioso, e ci sono talmente tanti film e contenuti da consumare, che di solito non guardo mai una stessa cosa due volte. Eppure, come posso dire? Volevo liberarmi di quella sensazione di disagio. Ora che l'hai già visto, conosci la storia, non sarebbe male riguardarlo, no? Probabilmente riuscirai a concentrarti su altri aspetti, al di là della trama, giusto? È possibile ci sia dell'altro? E alla fine mi son deciso ad andare (a riguardarlo), forte di questo presentimento, c'era qualcosa che mi sfuggiva.
D: Quindi Decision to Leave è il primo film che hai riguardato più e più volte?
RM: Ci sono anche altri film che ho rivisto 2 o 3 volte, ma Decision to Leave è l'unico che ho riguardato più di 4 volte.
D: Quante volte hechinja-RM ha guardato Decision to Leave?
RM: L'ho visto 6 volte
D: La cosa più bella di questo film è che ogni volta che lo riguardi, noti cose nuove. Immagino che ciò che hai capito, le parti che hanno catturato la tua attenzione e ti hanno commosso fossero diverse dopo la seconda, terza e poi sesta visione. Sarebbe interessante capire cos'è cambiato di volta in volta, per te.
RM: La seconda visione è stata piuttosto drammatica, visto che ormai sapevo cosa succedeva. La prima volta mi ero concentrato su SeoRae (dato che sono anche un fan di Tang Wei), mentre la seconda ho prestato più attenzione alle battute di HaeJoon, al suo tono di voce ed espressioni facciali. Mi chiedo se fosse perché volevo capire il suo punto di vista, in quanto spettatore: “Perché diavolo ha agito così?”, “Quando ha iniziato ad innamorarsi?”. So che potrà sembrare una domanda piuttosto “sciocca”, ma perché?...Perché si è innamorato? Perché? Ho continuato a chiedermelo per tutta la durata del film.
D: Mentre guardavi il film, c'era forse qualcosa che avresti voluto chiedere al regista Park Chan-wook?
RM: Quale tipo di esperienze sentimentali ha vissuto il regista? Si ritiene forse un “변태 / perverso”?
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D: Quando ti ho visto citare le battute dette da Ki Do Soo (Yu Seung-mok) in Decision to Leave, durante quell'escursione, ho subito pensato fossi in piena modalità “hechinja (appassionato di DtL)” [ride]. Ho anche visto che hai postato uno screenshot della sceneggiatura del film sui tuoi social media. Ma apprezzare un film è una cosa, comprarne la sceneggiatura a stampa è un'altra. C'è forse un qualche motivo?
RM: Innanzi tutto, c'è da dire che ho scoperto che la sceneggiatura era stata pubblicata in formato libro tramite altri amici. Esteticamente, la copertina era anche molto bella. Non sono pratico di recitazione o dei meccanismi e processi che stanno dietro un film, quindi volevo farmene un'idea attraverso la sceneggiatura. Mi piace provare cose nuove. Volevo vedere come fosse leggere un film semplicemente in parole e battute stampate, senza l'aspetto recitativo e visivo, e tanto conoscevo quasi tutti i dialoghi. Visto che sono un fan, è stato un po' come comprare del merchandise, sa? (ride) E poi mi piace acquistare libri. Gli appassionati di lettura non fanno che comprare nuovi libri, anche se ne hanno ancora pile intere da leggere.
D: E, rispetto al film, com'è stato leggere la sceneggiatura?
RM: Ci sono molte parti diverse dalla pellicola, quindi mi sono chiesto come sarebbe stata una versione integrale di Decision to Leave. Dato che sono io stesso un artista e creativo, mi sono spesso posto la domanda “con che logica questa scena è stata tagliata?”. Alcune delle parti che nel film erano diverse avevano senso, di altre non ne capivo il senso. Ed avendo guardato prima il film e poi letto il libro, mi riusciva davvero terrificante immaginare che gli interpreti di HaeJoon e SeoRae sarebbero potuti non essere Park Hae-il e Tang Wei. Credo sia proprio questa la forza della recitazione e dei film. È ciò che ho realizzato. Ma soprattutto, ho proprio provato rinnovato rispetto per gli attori, gli autori, il regista e tutto lo staff. Credo quella filmografica sia proprio un'arte completa e grandiosa.
❝Ho detto di avere ancora una dignità, ricordi? Sai da cosa nasce la dignità? È frutto dell'autostima. Io ero un poliziotto stimato, ma mi sono innamorato follemente di una donna e ho mandato a monte le indagini, sai? Ero semplicemente... distrutto. Getta quel telefono in mare. Giù, giù, in profondità, così che nessuno possa trovarlo.❞ (battuta di Jang HaeJoon in Decision to Leave / * postata da Namjoon su IG)
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D: Hai scelto questa battuta di HaeJoon come tua preferita. Perché?
RM: Realizzare che la dignità nasce dall'autostima è stato come un colpo in testa. Non so di preciso perché io mi sia innamorato di questa battuta, ma penso sia anche per come è espressa da Park HaeJoon, con quale tono la dice. Credo di averla notata solo dalla 3a visione. In realtà, credo che in amore la dignità non significhi nulla, ma è qualcosa che deve già esistere. L'autostima è la prima cosa di cui si parla (nella battuta), poi viene menzionata la passione per una donna, il fallimento delle indagini...è un graduale processo di disintegrazione. E poi la frase riguardo al gettare il telefono in mare. Credo siano le parole usate e il modo in cui vengono enunciate a creare quella certa tensione e crescendo fino all'esplosione finale.
D: In questa battuta, troviamo una persona che ha vissuto con integrità ed autostima tutta la sua esistenza fare una pazzia e lasciarsi tutto alle spalle, sia il lavoro che i suoi ideali. È una scena che ci mostra letteralmente il “tracollo” di HaeJoon, ed è anche una dichiarazione d'amore, anche se l'uomo non se ne rende conto. C'è una qualche parte di questa battuta che ti ha colpito particolarmente?
RM: Più che la battuta di per sé (anche se inizialmente mi è sembrata molto d'impatto), è la messa in scena – con la finestra di ricerca che mostra la definizione di 'tracollo': “crollare, andare in frantumi”, la voce del traduttore automatico a metà strada tra il maschile ed il femminile e l'inquadratura su HaeJoon attraverso lo schermo del telefono – che, più passa il tempo, più mi sembra memorabile.
D: L'amore mostrato in Decision to Leave è particolare perché non potrà mai concretizzarsi e, al contempo, ne è la rappresentazione più profonda ed assoluta, indistruttibile. In particolare, il modo in cui SeoRae ama è diverso da quello di HaeJoon. Se tu dovessi indicare un personaggio che ti rappresenta e ti ha commosso maggiormente, chi sceglieresti tra questi due?
RM: Credo sceglierei HaeJoon.
D: E ora passiamo al finale del film. È un film profondamente toccante. Saremmo curiosi di sapere che emozioni hai provato nel guardare il finale di Decision to Leave?
RM: SeoRae che scende dalla montagna e torna sulla spiaggia e HaeJoon, che piange disperatamente seppur con un sorriso desolato, sono memorabili. Infine, il vero amore si è concretizzato o, fin dall'apertura, non è stato che l'inizio di una tragedia per entrambi? Mi ha fatto riflettere. Sono stati felici o è solo un amore sfortunato? O forse è entrambe le cose? È davvero come la nebbia? Il vestito blu, la montagna ed il mare ed il continuo contrasto tra i vari estremi. La vita e l'amore, si sa, sono davvero complessi e multi-sfaccettati. Non è facile distinguere tra il blu ed il verde. Non è forse qualcosa di molto soggettivo e personale?
D: Durante i titoli di coda, la sala si riempie delle profonde voci di due artistə, Jung Hoon-hee e Song Chan-Sik. La canzone finale, 'Fog' è protagonista a sua volta in quanto si fa espressione dei sentimenti ed emozioni che ci lascia il film. Tu sei un musicista, quindi immagino ne avrai avuto una percezione diversa e particolare. Come ti è parsa?
RM: Credo sia stata una scelta magnifica. Non è forse proprio per questo che i film sono una forma d'arte così completa? La canzone finale si sposa alla perfezione con l'estetica e la messa in scena del film, creando una certa sinergia. E poi si intitola “Fog (nebbia)”, quindi mi ha fatto pensare alla nebbia (del film). Ha un che di disperato e solitario, ma è meno triste di quanto si potrebbe immaginare, e riesce a toccare alcune delle nostre corde più sensibili.
D: In quanto musicista ed amante del cinema, immagino non ti dispiacerebbe provare a scrivere colonne sonore?
RM: Mmh... Credo prima di dovermi concentrare sul mio album. A volte si è più felici come semplici fan.
D: In quanto artista con un profondo interesse e conoscenza dell'arte, quale ti è sembrata la scena migliore sotto il punto di vista artistico? Che cosa ti ha colpito?
RM: Forse gli sfondi (le ambientazioni)? E poi, non so se possano essere definite artistiche, ma la scena in cui HaeJoon osserva SeoRae attraverso un binocolo e sembra siano l'uno di fianco all'altra, o quella in cui lui ha in mano una sigaretta e poi ci viene mostrato attraverso lo schermo del telefono.. trovo fossero davvero belle e piacevolmente innovative.
D: Credo Decision to Leave sia un film che permette allo spettatore di apprezzare e godersi appieno la visione di una pellicola in sala. Se dovessi scegliere la scena che ti ha commosso di più, quale sarebbe? Per caso hai versato qualche lacrima guardando il film?
RM: In realtà, non credo di aver pianto. Trovo sia un film emozionante e coinvolgente. Forse proprio perché è un “film (misterioso come la) nebbia”. Probabilmente è la scelta di molti, ma direi il grido finale di HaeJoon: “Dignità, autostima, tracollo”. E poi anche la scena sul monte Homi, quando SeoRae punta la torcia da capo sul volto di HaeJoon e lui si umetta le labbra, non potendo guardarla in viso. Sappiamo che per tutto il film ha sempre dovuto usare delle gocce per gli occhi, ma ciò che rimane impresso è la sua espressione e la realizzazione che, di fatto, non l'ha mai messa veramente a fuoco, vista con chiarezza. Credo tutti questi dettagli siano davvero memorabili.
D: Hai detto di amare i lavori del regista Park Chan-wook già da prima di Decision to Leave. Quand'è stata la prima volta che hai visto un suo film? Che pellicola era e perché l'hai guardata?
RM: Mi sembra fosse Oldboy. Immagino sia lo stesso per molti. L'ho visto perché si diceva fosse imperdibile.
D: Prima, hai osservato che Decision to Leave è un po' diverso rispetto ai lavori precedenti del regista Park Chan-wook. Come mai?
RM: Credo sia un'impressione condivisa da molti. Me ne sono reso conto particolarmente durante la mia 2a e 3a visione, ma ora che sono diventato un fan, non riesco più ad essere obiettivo a riguardo. In realtà, non saprei. Credo sia perché Decision to Leave è l'unico che ho visto più di due volte, tra i lavori del regista Park.
D: Credo tu abbia già praticamente risposto a questa domanda, ma se dovessi scegliere il tuo film preferito tra i lavori del regista Park Chan-wook, quale sarebbe?
RM: Ad esser sincero, non ho ancora visto tutti i film del regista Park, ma se devo dire quale amo di più, sicuramente Decision to Leave.
D: Ultima domanda: ti chiederemmo di lasciare un messaggio e dire ciò che vuoi al regista Park Chan-wook, che, nel 2022, ha festeggiato i suoi 30 anni di carriera.
RM: Regista Park, ha fatto un lavoro magnifico e.. spero continuerà così (ride). Se ci sarà mai l'occasione di incontrarci e bere qualcosa insieme, spero vorrà raccontarmi tanti retroscena e storie interessanti. Non vedo l'ora di guardare i suoi prossimi film. Grazie a lei, gli ultimi mesi sono stati molto piacevoli e divertenti.
⠸ eng : © fIytomyR00M ; © KNJsSource | ita : © Seoul_ItalyBTS⠸
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siciliatv · 1 year ago
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Perché Stanley Kubrick è stato uno dei più grandi cineasti di tutti i tempi
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Non c’è bisogno di essere dei grandi esperti e appassionati di cinema per conoscere il nome di Stanley Kubrick. Il regista americano, nato a New York il 26 luglio 1928 è considerato uno dei più grandi registi di tutti i tempi, ed è stato elogiato per il suo stile visivo distintivo, la sua attenzione ai dettagli e la sua esplorazione di temi complessi e stimolanti. I film di Kubrick spaziano da generi diversi, tra cui il dramma, la commedia, la fantascienza, il mistero e il thriller. Alcuni dei suoi film più famosi includono 2001: Odissea nello spazio, Arancia Meccanica, Shining, Full Metal Jacket e Eyes Wide Shut. Kubrick era un perfezionista che ha preso il controllo di ogni aspetto dei suoi film, dalla sceneggiatura alla fotografia alla regia. Era noto per le sue lunghe riprese e i suoi ripetuti ciak, e spesso trascorreva anni a sviluppare i suoi film. Il lavoro di Kubrick ha avuto un'influenza significativa sul cinema. I suoi film sono stati analizzati e discussi da critici e studiosi per decenni, e continuano a essere fonte di ispirazione per i registi di tutto il mondo.   I motivi per cui Stanley Kubrick è considerato un grande regista cinematografico Kubrick era un maestro della fotografia e del montaggio, e i suoi film sono caratterizzati da immagini vivide e sequenze cinematografiche memorabili; un perfezionista che prestava attenzione a ogni dettaglio dei suoi film, dalla scenografia ai costumi agli effetti speciali. I film di Kubrick affrontano spesso temi complessi e stimolanti, come la natura umana, la violenza, la follia e la realtà. Stanley Kubrick è stato un regista rivoluzionario che ha lasciato un segno indelebile nel cinema. I suoi film continuano ad essere apprezzati e ammirati da milioni di persone in tutto il mondo. Ci sono molti registi moderni che sono stati influenzati dallo stile di Stanley Kubrick. Alcuni dei più noti includono il regista del momento, Christopher Nolan e altri illustri colleghi come Guillermo Del Toro, Darren Aronofsky, Wes Anderson e molti altri. Questi sono solo alcuni esempi dei molti registi moderni che sono stati influenzati dallo stile di Stanley Kubrick. Il suo lavoro continua a ispirare i registi di tutto il mondo, e il suo impatto sul cinema sarà sentito per molti anni a venire.   La filmografia di Kubrick dagli esordi fino alla morte avvenuta nel 1999 Stanley Kubrick ha diretto 13 film in un periodo di 40 anni, dal 1953 al 1999. I suoi film sono stati apprezzati dalla critica e dal pubblico per il loro stile visivo distintivo, la loro complessità narrativa e la loro esplorazione di temi complessi e stimolanti. I film di Kubrick spaziano da generi diversi, tra cui il dramma, la commedia, la fantascienza, il mistero e il thriller. Alcuni dei suoi film più famosi includono: 2001: Odissea nello spazio (1968): Un film di fantascienza che esplora il significato della vita, della morte e dell'universo. Arancia Meccanica (1971): Un film distopico che esplora la natura della violenza e della libertà. Shining (1980): Un film horror psicologico che esplora la follia e la famiglia. Full Metal Jacket (1987): Un film sulla guerra del Vietnam che esplora la natura della violenza e dell'orrore. Eyes Wide Shut (1999): Un film drammatico sulla relazione tra marito e moglie. I film di Kubrick hanno avuto un'influenza significativa sul cinema. Sono stati analizzati e discussi da critici e studiosi per decenni, e continuano a essere fonte di ispirazione per i registi di tutto il mondo.   Perché 2001: odissea nello spazio è considerato uno dei migliori film della storia del cinema 2001: Odissea nello spazio è uno dei migliori film di fantascienza della storia del cinema. È stato elogiato per il suo stile visivo iconico, la sua complessità narrativa e la sua esplorazione di temi complessi e stimolanti. Il film è stato un successo di critica e pubblico, e ha vinto quattro Oscar, tra cui il miglior montaggio e la miglior scenografia. È stato anche nominato per l'Oscar al miglior film. 2001: Odissea nello spazio ha avuto un'influenza significativa sul cinema. Ha contribuito a definire il genere della fantascienza e ha ispirato molti altri film, tra cui Star Wars, Alien e Blade Runner. Ecco alcuni dei motivi per cui 2001: Odissea nello spazio è considerato uno dei migliori film di fantascienza della storia del cinema: Stile visivo iconico: Il film è caratterizzato da immagini iconiche, come il monolito nero e la sequenza del viaggio nello spazio. Complessità narrativa: Il film è complesso e stimolante, e ha lasciato spazio a diverse interpretazioni. Esplorazione di temi complessi: Il film esplora temi complessi, come il significato della vita, della morte e dell'universo. 2001: Odissea nello spazio è un film che ha resistito alla prova del tempo. È un classico della fantascienza che continua ad essere apprezzato e ammirato da milioni di persone in tutto il mondo.   Qual è stata l'influenza di Kubrick nel cinema di fantascienza? perché è così importante ancora oggi? L'influenza di Stanley Kubrick nel cinema di fantascienza è stata significativa e duratura. I suoi film, come 2001: Odissea nello spazio, Arancia Meccanica e Shining, hanno contribuito a definire il genere e continuano ad essere fonte di ispirazione per i registi di tutto il mondo. Kubrick è stato un maestro della narrativa e della visione, e i suoi film sono caratterizzati da uno stile visivo unico e da una complessità narrativa che ha sfidato il pubblico a pensare in modo nuovo. 2001: Odissea nello spazio, in particolare, è un film che ha avuto un impatto duraturo sul cinema. Il film ha esplorato temi complessi, come il significato della vita, della morte e dell'universo, e ha utilizzato tecniche innovative per creare un'atmosfera enigmatica e suggestiva. Kubrick è stato anche un pioniere nell'uso degli effetti speciali. I suoi film hanno utilizzato effetti speciali innovativi per creare immagini realistiche e memorabili. Il regista era un noto appassionato del gioco degli scacchi, motivo per cui nelle sue opere questo tipo di elemento, a volte scenografico è stato più volte messo in evidenza o sfruttato come effetto subliminale. Anche un regista come il celebre Steven Soderbergh per il film Ocean Eleven, ambientato a Las Vegas nel circuito dei live casinò, ha tratto ispirazione da tale elemento per la sua messa in scena sfarzosa e magniloquente. Del resto quando si parla di gambling, l’elemento spettacolare deve essere sempre messo in risalto, come nel caso dell'online casino di Betway, per dare una dimensione del fenomeno sempre attuale del gioco digitale.   I motivi per cui l'influenza di Kubrick nel cinema di fantascienza è così importante I film di Kubrick hanno contribuito a definire il genere della fantascienza, stabilendo standard di qualità e innovazione che hanno influenzato i film successivi. Ha esplorato temi complessi, come il significato della vita, della morte e dell'universo, in modo stimolante e provocatorio. I film di Kubrick hanno utilizzato tecniche innovative, come l'uso degli effetti speciali, per creare immagini e storie memorabili. Kubrick è stato un regista rivoluzionario che ha lasciato un segno indelebile nel cinema. I suoi film continuano ad essere apprezzati e ammirati da milioni di persone in tutto il mondo.   Qual è il rapporto tra il cinema di Nolan e quello di Kubrick e Spielberg? Il cinema di Christopher Nolan è stato influenzato da entrambi Stanley Kubrick e Steven Spielberg. Nolan ha ammesso di essere un grande fan dei film di Kubrick, e ha spesso citato 2001: Odissea nello spazio, Arancia Meccanica e Shining come alcune delle sue influenze più importanti. Nolan condivide con Kubrick un interesse per i temi complessi e stimolanti, e per l'utilizzo di tecniche innovative per creare immagini e storie memorabili. I film di Nolan, come Inception, Interstellar e The Dark Knight, sono caratterizzati da una complessità narrativa che sfida il pubblico a pensare in modo nuovo, e da un uso innovativo della tecnologia per creare sequenze visive memorabili. Nolan condivide anche con Spielberg un interesse per l'azione e l'avventura. I film di Nolan, come Inception e Dunkirk, sono caratterizzati da sequenze d'azione adrenaliniche e da scene di suspense eccitanti.   Gli elementi che Nolan ha preso in prestito da Kubrick, Spielberg e dai grandi cineasti che lo hanno preceduto sono: - Tematiche complesse, ma stimolanti Nolan è interessato a esplorare temi complessi, come il significato della vita, della morte e dell'universo. Questi temi sono presenti in molti dei suoi film, come Inception, Interstellar e The Dark Knight. - Tecniche innovative Nolan è un maestro dell'uso della tecnologia per creare immagini e storie memorabili. I suoi film utilizzano tecniche innovative, come il montaggio, la fotografia e gli effetti speciali, per creare sequenze visive memorabili. - Azione e avventura Nolan è interessato a creare film d'azione e d'avventura che siano anche stimolanti e coinvolgenti. I suoi film presentano spesso sequenze d'azione adrenaliniche e scene di suspense eccitanti. Nolan è un regista originale che ha creato un proprio stile unico. Tuttavia, la sua opera è chiaramente influenzata dai due grandi registi che lo hanno preceduto.   L'eredità artistica di Stanley Kubrick nel cinema attuale L'eredità artistica di Stanley Kubrick nel cinema contemporaneo è significativa e duratura. I suoi film, come 2001: Odissea nello spazio, Arancia Meccanica e Shining, continuano ad essere apprezzati e ammirati da milioni di persone in tutto il mondo. Kubrick è stato un maestro della narrativa e della visione, e i suoi film sono caratterizzati da uno stile visivo unico e da una complessità narrativa che ha sfidato il pubblico a pensare in modo nuovo. I suoi film hanno esplorato temi complessi, come la natura umana, la violenza, la follia e la realtà, in modo stimolante e provocatorio. Read the full article
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pier-carlo-universe · 3 days ago
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La Pietra al Collo di Carlo Barbieri: Un Intricato Thriller Siciliano con il Commissario Mancuso. Recensione di italianewsmedia.com
Carlo Barbieri ci guida tra le strade di Palermo in un'avvincente caccia all'assassino tra misteri, rituali e colpi di scena
Carlo Barbieri ci guida tra le strade di Palermo in un’avvincente caccia all’assassino tra misteri, rituali e colpi di scena La Pietra al Collo, romanzo di Carlo Barbieri, è il primo episodio della serie siciliana che vede protagonista il commissario Mancuso, un poliziotto palermitano immerso in un caso di omicidio dai tratti inquietanti e complessi. La vicenda inizia in un agosto che sembra…
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personal-reporter · 2 years ago
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Henry James, tra fantasmi e realismo
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Lo scrittore che segnò un punto di svolta nella narrativa americana… Henry James nacque il 15 aprile 1843 al 2 di Washington Place a New York e durante la sua infanzia viaggiò tra Londra, Parigi e Ginevra, prima di giungere a Newport, nel Rhode Island, dove conobbe il pittore John La Farge, che lo avvicinò alla letteratura francese, in particolare a Balzac. Nel 1861, mentre stava cercando di spegnere un incendio,  James subì un infortunio alla schiena e ne sentì le conseguenze per il resto della sua vita, al punto che in occasione della Guerra Civile Americana venne reputato inadatto al servizio militare. A diciannove anni Henry si iscrisse alla Harvard Law School, ma la frequentò senza successo, essendo più interessato all'attività di scrittore. Nel 1864 pubblicò in forma anonima il suo primo racconto breve, A tragedy of error, per poi dedicarsi unicamente alla scrittura, anche grazie alle collaborazioni con diversi giornali come Scribner's, Harper's, The Atlantic Monthly e The Nation. James  nel 1871  pubblicò il romanzo Watch and Ward, conosciuto in italiano come Tutore e pupilla e nel 1875 diede alle stampe Roderick Hudson. Successivamente si trasferì a Parigi, per poi andare a vivere nel 1876 in Inghilterra, prima visse a Londra, ma a partire dal 1897 si spostò nel Sussex orientale, presso la Lamb House di Rye. Nel 1877 pubblicò L'americano, seguito un anno dopo da  Gli europei e nel 1880 da  Fiducia. Dopo aver scritto  la novella Piazza Washington, nel 1881 completò Ritratto di signora, sul fallimento sentimentale di una giovane americana in  Europa, e nel 1886 scrisse Le bostoniane, cui seguirono Principessa Casamassima, prima di Il riflettore, satira sulla stampa, e La musa magica. James nel 1896 pubblicò il suo capolavoro, il racconto lungo Giro di vite, su una giovane governante che sospetta i piccoli Flora e Miles, suoi pupilli, di essere vittime dell’influenza di due fantasmi, che furono il giardiniere della dimora dove si svolge la storia e la precedente governante. Nel 1904 Henry James tornò negli Stati Uniti, ma decise di interrompere i suoi viaggi al di là dell'Oceano Atlantico dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. A quel punto lo scrittore manifestò l'intenzione di diventare un cittadino britannico, in segno di protesta nei confronti della decisione assunta dagli americani nel conflitto di non intervenire, ma il 2 dicembre 1915 fu  vittima di un attacco di cuore a Londra. Henry James morì il 28 febbraio 1916 e le sue ceneri sono state tumulate nel cimitero di Cambridge, nel Massachusetts. Dal punto di vista letterario James fu il padre della teoria secondo la quale gli scrittori sono chiamati a presentare, attraverso le loro opere, una visione del mondo e, grazie al punto di vista soggettivo, il monologo interiore e vari tipi di narrazione psicologica, ha dato una significativa svolta al romanzo moderno. Read the full article
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gregor-samsung · 2 years ago
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“ Alcuni anni fa Roberto Benigni girava l’Italia con uno dei suoi indimenticabili Tuttobenigni. Era quasi alla fine di una lunga tournée. Lo spettacolo, dopo tante repliche, aveva raggiunto la perfezione: garantiva quasi due ore di risate continue. Un bel giorno Benigni accettò di recitare alla Festa nazionale dell’Unità. Salì sul palcoscenico e si vide davanti una folla spropositata, che arrivava fino allo svincolo autostradale. Vedeva migliaia di teste nella nebbiolina accesa sotto i lampioni lontani. Ebbe un tuffo al cuore che gli fece perdere la sensibilità della pelle e dei muscoli. Malgrado lo spavento cominciò a recitare come aveva sempre fatto (o almeno così credeva), sbracciandosi e rimbalzando sulla pedana un po’ più del solito. Il successo fu straordinario, memorabile. Ma quando finalmente Benigni, dopo i bis, uscì di scena, si rese conto che lo spettacolo non era durato più di un’ora. Non aveva tagliato neanche una battuta eppure, senza accorgersene, era arrivato quasi a dimezzare la durata dell’esibizione. Evidentemente aveva recitato a un ritmo forsennato, trinciando le battute e abbreviando le frasi. Niente virgole e punti e virgola, era andato avanti a colpi di punti e a capo. Invece del fioretto aveva usato il cannone. Ogni serata, in misura diversa, richiede e implica da parte del comico la capacità di creare un tono. Sarà poi questo tono che detterà la forma dell’improvvisazione. Eduardo De Filippo diceva che l’attore deve sempre guardare con un occhio il pubblico e gli deve porgere una sola mano, altrimenti «…ti tira giù!». Vale a dire che il comico recita e nello stesso tempo studia il pubblico per regolarsi, per eventualmente modificarsi. E vale a dire anche che non deve rincorrere le risate, la cui ingordigia fa perdere all’attore ogni controllo drammaturgico. Il vero segreto della comicità sta infatti nel nascondere l’intenzione di suscitare ilarità. “
Vincenzo Cerami, Consigli a un giovane scrittore. Narrativa, cinema, teatro, radio, Garzanti, 2002; pp. 175-176.
[1ª edizione: Einaudi, 1996]
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crazy-so-na-sega · 2 years ago
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Chi non ha messo le mani (o gli occhi) su una bella distopia ultimamente? La distopia negli ultimi dieci-quindici anni è diventato un genere accettato dalla cultura mainstream, e l’uso dell’aggettivo “distopico” non spaventa più chi scrive le fascette dei libri o le descrizioni dei film in streaming. Eppure, proprio questa diffusione sembra aver snaturato da una parte il senso della stessa parola “distopia”, rendendolo più vago e sbiadito, un non-genere capace di contenere storie che a ben guardare di distopico hanno poco o nulla. Proviamo a fare mente locale e stabilire cosa si intende per distopia e perché questo termine viene sempre più spesso usato a sproposito.
“Non è solo distopia”
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Con l’evolversi della narrativa commerciale e la codifica di confini tra i diversi generi, la distopia è stata tradizionalmente posizionata all’interno della fantascienza: trattando infatti delle possibili evoluzioni della società, si colloca a buon diritto all’interno di quella narrativa speculativa che cerca di indagare le possibili conseguenze di sviluppi scientifici e sociali. Non sono rari infatti i casi di distopie basate sull’introduzione di particolari tecnologie o sulle conseguenze di innovazioni nei rapporti sociali.
È successo però che alcuni grandi classici della distopia (e la menzione scontata è per 1984, Il mondo nuovo, Fahrenheit 451) facessero presa su critica e cultura e finissero così per essere isolati dal più ampio contenitore della fantascienza a cui appartenevano. Per quello strano fenomeno per cui se un libro di fantascienza con qualità letterarie “non è solo fantascienza”, per molti la distopia vive come un genere a sé, forse per la sua più esplicita componente politica che la fa assimilare a letteratura più “impegnata”.
Il peggiore dei mondi possibili?
Ma indipendentemente dalla sua classificazione, quali sono i caratteri fondamentali della distopia? Per essere inquadrata come distopica, una storia deve essere ambientata in un qualche tipo di società distorta, in cui alcuni aspetti poco desiderabili che già si trovano nel mondo sono esasperati e costituiscono la base stessa del potere. Razzismo, sessismo, classismo, fondamentalismo religioso, consumismo, capitalismo, complottismo, scientismo: tutti questi -ismi sono materiale valido per l’impostazione di una società distopica, che di solito prevede l’imposizione di questi valori a tutta la popolazione e un severo controllo affinché nessuno si discosti dai precetti del regime.
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Un’altra caratteristica fondamentale ma spesso trascurata è riassunta dall’adagio “l’utopia di qualcuno è la distopia di qualcun altro”. Questo significa che la distopia deve essere in qualche modo seducente: perché un sistema politico si instauri c’è bisogno infatti che ottenga un certo grado di consenso, e quindi è naturale che una parte (maggioritaria) della popolazione creda nei valori del regime. Una storia in cui l’Impero Del Male, Inc. ha conquistato il potere con la repressione e la violenza e mette a morte chiunque sbadigli non può considerarsi una distopia, perché è evidente che un tale sistema non potrebbe mai avere nessuno dalla sua parte.
Si può obiettare che la storia ha dimostrato che regimi del genere sono stati davvero capaci di arrivare al potere e mantenerlo per anni, ma come sempre la realtà dei fatti è diversa dalla realtà narrativa. Lo scopo di una distopia non è lo stesso del giornalismo d’inchiesta che si occupa di indicare le malefatte dei potenti, ma piuttosto quello di suggerire in maniera più sottile come ciò che per certi versi ci può sembrare giusto e auspicabile potrebbe diventare il cardine di un regime capace di privarci della libertà, magari con il nostro pieno sostegno.
In questo senso, come l’utopia ci mostrava il migliore dei mondi per evidenziare le differenze con il nostro, la distopia ci mostra il peggiore dei mondi per mostrarci le affinità con il nostro.
La distopia è roba da ragazzi
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Le storie young adult sono in sostanza storie di formazione di adolescenti che prendono coscienza del loro ruolo nel mondo. E quindi quale migliore contesto per esplorare l’angst adolescenziale che quello di una società repressiva? La battaglia del giovane protagonista contro il potere costituito rappresenta quella più universale dell’individuo per affermare la propria individualità nei confronti della famiglia e delle pressioni sociali in generale. Non si può quindi condannare come inappropriato il collegamento tra questi due ambiti della narrativa.
Il problema semmai è stata proprio la massificazione di questo tipo di storie, che ha portato inevitabilmente a un ribasso costante nella qualità e nella densità delle opere. Se Hunger Games si può ancora considerare una buona storia distopica, molti dei suoi emuli si limitano a descrivere le avventure di un gruppo di protagonisti in lotta contro un Impero Del Male, Inc. che ha ben poco di accattivante e non si capisce come eserciti il suo potere visto che tiene in prigione metà della popolazione mondiale. In questo caso si assiste spesso a una reductio ad hitlerum, quel cliché narrativo per cui i cattivi sono cattivi sotto tutti i punti di vista, incarnano tutte le peggiori caratteristiche dell’umanità e si configurano come una rappresentazione nemmeno tanto velata del nazismo hollywoodiano. Gli eroi quindi non possono fare altro che combattere visto che è in gioco la loro stessa sopravvivenza, e di conseguenza manca quella componente di seduzione che la distopia dovrebbe esercitare sui suoi cittadini.
Un altro punto di confusione che si ritrova spesso nelle distopie young adult (ma che poi si è diffuso anche a quelle “per adulti”) è la sovrapposizione fra distopia e postapocalittico: se è vero che da una devastazione globale si può innescare un regime distopico, non basta parlare di un mondo in rovina per ottenere la qualifica di distopia. Infatti un asteroide o un’invasione aliena, un collasso climatico o un attacco zombie non si possono considerare come mezzi tradizionali di costruzione di un sistema politico. Possono esserne la causa scatenante, ma non rappresentano di per sé la condizione sufficiente per parlare di distopia, che invece deve essere una scelta cosciente operata da una parte della società.
Se tutto è distopia niente è distopia
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Il problema è che con questo criterio tutto diventa distopia. Poiché non esiste a memoria d’uomo una società perfettamente equilibrata, tant’è che per immaginarle ci siamo inventati appunto l’utopia, va a finire che una qualunque storia ambientata in un qualunque periodo storico o mondo immaginario diventa una distopia. E se tutto è distopia, niente è distopia. Con questa definizione, si potrebbe parlare di distopia anche per X-Files, in cui un governo corrotto nasconde le informazioni ai cittadini; potrebbe essere una distopia Star Wars, perché l’Imperatore ha conquistato il potere e usa la forza per mantenere il controllo; e che dire del Signore degli Anelli, in cui il Signore Oscuro controlla la Terra di Mezzo grazie al potere dell’Anello?
In tutte queste storie è chiaramente presente un livello di conflitto tra gli individui e il mondo di cui fanno parte, ma questo è un elemento di base di qualunque storia. Si potrebbe in alcuni casi dire che certe opere hanno elementi di distopia, così come si può dire che abbiano elementi del thriller o del romance, ma una distopia vera e propria è quella che costruisce la storia proprio intorno all’idea di società disequilibrata in cui il potere si basa su valori distorti.
La distopia del Covid
Negli ultimi mesi la distopia è diventata un trending topic per via delle misure previste per contenere l’epidemia di Covid19. La parola “distopia” così si è affacciata nei titoli dei giornali, nei talk show politici e nei tweet dei capipartito. L’associazione è diventata immediata nel momento in cui le esigenze sanitarie hanno reso necessaria una (discutibile quanto si vuole) limitazione delle libertà personali.
Questo ha portato la distopia nel dibattito pubblico e ne ha ulteriormente snaturato il senso, perché è diventato argomento di attualità e soprattutto di campagna elettorale.
La verità è che, quando mai ci troveremo a vivere all’interno di una distopia, non ce ne accorgeremmo nemmeno. Anzi, probabilmente saremmo i primi a sostenere l’affermazione di questo Mondo Nuovo che non potrà che portare pace e prosperità.
Di  Andrea Viscusi -6 Agosto 2020
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pleaseanotherbook · 2 years ago
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Membrana di Chi Ta-wei
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«"Godersi la pesca" è un modo di dire cinese che viene da una storia molto antica. Indica un'amicizia speciale tra due persone, che soltanto loro possono capire. Dai, spartiamocela, metà ciascuna, come pegno d'amore!»
“Membrana” di Chi Ta-wei edito in italiano da Add Editore è una distopia taiwanese che è capitata tra le mie cose da leggere perché mi sono innamorata della copertina mentre la osservavo dalla vetrina della Libreria Bodoni di Torino. E devo dire che mi ha molto colpito, perché non me lo ero minimamente immaginato così.
Siamo nel 2100, nella città sommersa di T. L’umanità è migrata in fondo al mare per sfuggire ai devastanti cambiamenti climatici e il mondo, dominato da potenti conglomerati mediatici, si basa sullo sfruttamento del lavoro degli androidi. Momo, famosa estetista della pelle, conduce una vita introversa e nostalgica. Ha una ferita con cui fare i conti: la madre, da cui è separata da oltre vent’anni, si ripresenta nella sua vita innescando un percorso di esplorazione di sé che metterà in dubbio la sua stessa esistenza, la natura del proprio corpo e la sua identità di genere. Il processo di trasformazione, mutamento e reinvenzione che investe Momo pone questioni radicali, al punto da chiedersi se gli esseri umani siano ancora padroni della propria memoria e del proprio futuro. Pubblicato a Taiwan nel 1995, Membrana è un classico della narrativa speculativa in cinese. Chi Ta-wei, con talento predittivo, immagina la saturazione provocata dai social media e il monitoraggio corporeo, intrecciandoli a temi distopici come il dominio della tecnologia e dei regimi capitalisti.
Adoro leggere distopie fin da ragazzina quando mi è capitato per le mani per la prima volta “1984” un po’ perché mi piace immaginare il futuro e un po’ perché mi rendo conto che abbiamo bisogno di moniti, di esperienze che ci fanno riflettere, di possibilità. Restiamo a guardare inerti noi che ci complichiamo la vita ma non siamo capaci di riconoscere i segnali di pericolo. Chi Ta-wei immagina un mondo che si sviluppa sotto il mare perché l’atmosfera terreste è diventata irrespirabile e fa parlare Momo, una estetista famosissima che cura la pelle nel suo centro estetico esclusivo e conduce una vita ritirata ed esclusiva che indulge il suo essere timida ed introversa. Tutta la sua vita è una risposta incredula e brutale ai comportamenti della madre. Dai suoi primi ricordi alla sua vita adulta da venticinquenne, tutta la sua esistenza è una domanda, un dubbio, una esplorazione. Momo si interroga, ogni volta che ha un momento per riflettere. Che cosa è successo? Che cosa c’è dietro il suo lavoro? Dove è sua madre? I suoi successi sono solo i passi per liberarsi dall’interesse morboso della sua genitrice o un modo per attirare la sua attenzione. Momo è una ragazza che ha successo, che ha studiato con impegno, che ha superato una fase difficile della sua infanzia e ne è uscita più forte. Momo esplora la sua natura e la sua solitudine, rapportandosi anche a una delle sue clienti, una giornalista che le racconta che cosa succede nel mondo, che la interroga e le offre gli strumenti per darsi delle risposte. Ogni episodio che le torna in mente rappresenta un aspetto da studiare. Ricorda la madre e scopre sé stessa. Ha paura di essere abbandonata, ha paura di non riconoscersi, ma allo stesso tempo ha paura di mischiarsi con gli altri, ha paura di prendersi cura di qualcun altro che non sia se stessa. Momo è fragile ma allo stesso tempo capace, è inquieta, ma piena di sollievo. Non c’è solo il lavoro e il rapporto un po’ antagonista con la madre, ma questo libro è anche pieno di amore, quello della madre per la figlia, quello tra due innamorati, quello di amicizia, quello che devasta ogni prospettiva. E se di Momo veniamo a conoscenza di mille sfumature non sappiamo molto della città sommersa di T, non sappiamo molto di questo 2100 confezionato per noi. I dettagli non sono molto importanti, ma le domande si affastellano durante la lettura per essere tutte risolte nel finale. È come se mano a mano che la lettura procede, la spirale in cui cade Momo avvolga anche il lettore. I confini si fanno labili e le accuse rivolte allo spazio ristretto in cui si muove la ragazza si fanno anche di chi guarda impotente. È di fatto un racconto molto intimo, nutrito della realizzazione che non serve inventarsi che atmosfere per interrogarsi su se stessi. Ma le domande non bastano e le fasi di stallo vanno risolte e il confronto non sempre porta le risposte che vogliamo e ci immaginiamo.
Il particolare da non dimenticare? Un cagnolino…
Una membrana è un involucro e una protezione e la storia di Chi Ta-wei esplora entrambe le accezioni della parola, Momo è protezione e contenimento, è una forza dirompente e una serie di riflessioni ben calibrate, calate in una atmosfera incerta e oscura che rendono la lettura ancora più interessante e unica.
Buona lettura guys!
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conte-olaf · 2 years ago
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😎ll Times la considera «la nuova voce di una generazione», Ken Loach ha definito il suo libro «straordinario... un'esplosione di forza, ironia e rabbia».
🎉 in libreria il nuovo titolo della nostra collana #workingclass diretta da Alberto Prunetti: "La porca miseria. Memoir di una madre single nei quartieri poveri di Londra".
Cash Carraway è una donna londinese working class e in questo libro racconta la sua storia – tragica e insieme esilarante – di madre single che lotta contro la miseria e la colpevolizzazione a cui viene sottoposta dal governo conservatore e dai media mainstream che descrivono le donne povere come parassite e «welfare queen».
Cash, mentre vive in una casa rifugio per donne vittime di violenza domestica, si trova a fare mille impieghi precari, passando da un lavoro come spogliarellista alla scrittura di copioni teatrali e televisivi. Senza riuscire a superare la soglia di povertà.
Un libro divenuto a sorpresa un best seller in Gran Bretagna, che si inscrive in un filone di narrativa di crescente successo che incrocia femminismo e classe sociale ma che al tempo stesso alimenta un interesse pruriginoso dei lettori che nelle storie delle donne povere cercano solo il "misery porn" e una forma di voyeurismo narrativo. Cash Caraway, con una scrittura schietta e provocatoria, fa saltare consapevolmente il peep-hole da cui la cultura mainstream vorrebbe spiare i corpi e le storie delle donne working class.
⏳Cash sarà tra le principali ospiti del Festival di letteratura working class che si svolgerà dal 31 marzo al 2 aprile presso la fabbrica Gkn a Campi Bisenzio (Firenze).
🛠La working class scrive la sua storia
L'illustrazione di copertina è come sempre del nostro Antonio Pronostico Sileo
https://edizionialegre.it/product/la-porca-miseria/
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