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Multiverse Of Series
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Movies and TVSeries are my Multiverse of Madness
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multiverseofseries · 20 hours ago
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New look at Scarlett Johansson in Gareth Edwards’ ‘JURASSIC WORLD REBIRTH’
Also starring Mahershala Ali and Jonathan Bailey.
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(Via @VanityFair | vanityfair.com/hollywood/stor…)
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multiverseofseries · 2 days ago
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‘A GOOD GIRL’S GUIDE TO MURDER’ has been renewed for Season 2.
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multiverseofseries · 2 days ago
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Tomb Raider - La leggenda di Lara Croft: ma adattare le icone è possibile?
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Su Netflix è disponibile la serie animata dedicata alla celebre eroina dei videogiochi. Una storia inedita e adatta anche ai non appassionati, ma ben ancorata alla più recente trilogia Survivor.
Che voi siate appasionati di videogiochi o no, che abbiate giocato a buona parte dei numerosi titoli dedicati oppure no, che abbiate chiuso il maggiordomo nella mitica cella frigorifera oppure non sappiate nemmeno di cosa stia parlando, poco importa: Tomb Raider è un brand che non potete non aver sentito almeno una volta nella vostra vita, così come la sua celeberrima protagonista, Lara Croft. Complici i diversi tentativi di adattamento ad opera di Hollywood, la saga dell'archeologa videoludica più famosa del mondo ci ha proposto, nel corso degli anni, diverse incarnazioni in live action ma, si sa, adattare i videogiochi non è per nulla cosa facile. Ci si scontra con storie spesso esili e un immaginario che per essere compreso spesso deve essere vissuto in prima persona.
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Lara Croft durante un combattimento
È per questo che all'annuncio di Tomb Raider: La leggenda di Lara Croft sino rimasta un po' perplessa, seppur intrigata dal cambio di mezzo espressivo, l'animazione, così vicina al mondo dei videogiochi, scelta che potenzialmente può dare una libertà di espressione pressoché illimitata e che per questo può risultare sia un'occasione ghiotta che un'insidia. Disponibile su Netflix, quindi, questa serie ci presenta una Lara palesemente ispirata alla giovane donna conosciuta nella trilogia Survivor, serie di videogiochi più recente che torna alle origini del personaggio, mostrandoci la sua crescita.
Vivere con il senso di colpa
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Una scena di Tomb Raider: La leggenda di Lara Croft
In La leggenda di Lara Croft, infatti, scopriamo un'eroina ancora in erba ma che porta sulle spalle il pesante fardello del senso di colpa. Dopo la morte del suo mentore la protagonista si sente persa: dilaniata dal rimorso sente che la cosa migliore da fare è tagliare i ponti col passato per poter lasciare andare quei fantasmi che ancora nei suoi incubi la tormentano. Decide così di mettere all'asta buona parte dei cimeli stipati nell'enorme maniero di suo padre, ed è durante la serata scelta per le compravendite che un pezzo viene rubato davanti a tutti i presenti. L'artefatto sottratto si rivela essere parte di un puzzle che, se completato, potrebbe portare il mondo alla rovina. Lara, anche se restia a coinvolgere i suoi amici in questa situazione, cercherà di venire a capo del mistero che si cela dietro la storia di queste antiche e pericolose reliquie.
Una storia avvincente
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Lara Croft imbraccia l'arco
Se c'è una cosa nella quale Tomb Raider: La leggenda di Lara Croft riesce è quella di garantire una continuity con la trilogia Survivor rendendo, però, il titolo perfettamente comprensibile e godibile anche ai non videogiocatori. L'impavida Lara, durante gli 8 episodi che compongono la stagione, si troverà a dover combattere, investigare e risolvere enigmi proprio come nei giochi, grazie ad una struttura narrativa che rimane fedele nello spirito alla fonte originaria pur adattando tutto al nuovo mezzo, ovvero il piccolo schermo, e ad una fruizione che incoraggia il binge watching, anche se non lo impone. Dietro, quindi, scelte ben calibrate c'è la mano di Tasha Huo, che aveva già ricoperto questo ruolo per Netflix con la serie The Witcher: L'origine del sangue. Per quanto riguarda adattamento e scrittura, quindi, la serie funziona e centra gli obiettivi dando allo spettatore un prodotto divertente e appassionante perfetto per i momenti di relax.
Cosa si perde nell'adattamento
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La protagonista alle prese con la lava
Qualche problema, però, arriva quando si va ad analizzare la resa tecnica. Le animazioni per la maggior parte del tempo presentano una qualità piuttosto in linea con la maggior parte delle produzioni animate seriali americane, se non per alcuni momenti durante i quali subiscono qualche calo significativo risultando all'occhio piuttosto legnose. Va anche detto che se l'adattamento narrativo è sicuramente pregevole quello visivo sortisce quei problemi che spesso si hanno nel trasporre un videogioco: alcune prodezze che con il pad o una tastiera in mano funzionavano alla perfezione qui sembrano un po' eccessive.
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Lara si lancia in un cratere
È tutta questione di punti di vista, ma non intesi come opinioni, bensì come l'effettivo coinvolgimento attivo che il giocatore ha nella storia ma che viene meno quando si parla di serie tv. Il punto di vista passivo dello spettatore rende quindi i salti quasi sovrumani della protagonista esagerati ed improbabili, così come la sua incredibile resistenza agli urti e a diverse problematiche a cui si trova a far fronte. Questa prima stagione, quindi mi ha soddisfatto, anche se con qualche, migliorabile, riserva. Tuttavia, è la dimostrazione che adattare i mostri sacri è possibile, ovviamente se alle spalle si hanno idee originali.
Conclusioni
In conclusione Tomb Raider: La leggenda di Lara Croft è una serie che si prefigge l’arduo compito di far funzionare sul piccolo schermo le vicende dell’avventuriera più famosa dei videogiochi. In linea di massima ci riesce grazie ad una storia ben costruita che riesce ad agganciarsi, anche piuttosto saldamente, alla trilogia Survivor ma che allo stesso tempo risulta assolutamente fruibile anche da chi non conosce nulla dei giochi. Qualche problema arriva con le animazioni che in alcuni momenti presentano un calo significativo della qualità.
👍🏻
Una scrittura intelligente.
La struttura della serie, ben equilibrata.
I riferimenti ai videogiochi che però non ostacolano la visione a chi non conosce il titolo.
👎🏻
Qualche calo evidente nella qualità delle animazioni.
Alcune prodezze di Lara Croft non funzionano nella serie.
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multiverseofseries · 3 days ago
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First teaser for the final act of ‘ARCANE’
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multiverseofseries · 3 days ago
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First poster revealed for the live-action 'How to Train Your Dragon' remake. Into theaters on June 13.
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multiverseofseries · 3 days ago
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First official look at Matt, Foggy and Karen in ‘DAREDEVIL BORN AGAIN’
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(Source: https://empireonline.com/tv/news/daredevil-born-again-is-a-continuation-of-the-netflix-show-a-lot-of-the-history-follows-on/…)
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multiverseofseries · 3 days ago
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THE FIRST TEASER TRAILER OF HOW TO TRAIN YOUR DRAGON LIVE ACTION IS NOW HERE
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multiverseofseries · 3 days ago
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Cameron Diaz and Jamie Foxx are BACK IN ACTION. Premiering January 17.
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multiverseofseries · 3 days ago
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‘ALICE IN BORDERLAND’ Season 3 will release in 2025 on Netflix.
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multiverseofseries · 4 days ago
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Atlas: tra mecha e IA, il film con J-Lo è una gradita sorpresa
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Atlas, diretto da Brad Peyton, e dedicato all'attualissimo tema dell'IA, è un intreccio futuristico che mischia azione e riflessione. Molto meno scontato di quanto atteso. Su Netflix.
Se c'è un argomento che tiene banco nell'entertainment nell'ultimo anno questo è certamente l'intelligenza artificiale. Dalla sua applicazione ai preoccupanti pericoli, dagli scioperi di settore alle polemiche relative ai titoli di testa di Secret Invasion, da The Creator di Gareth Edwards a quest'ultimo Atlas di Brad Peyton. L'IA è uno di quei temi che dalle Sorella Wachowski a Steven Spielberg, da Alex Garland a Spike Jonze, ha sempre incuriosito e ispirato i cineasti contemporanei, soprattutto per la plasticità e relativa versatilità del soggetto, adattabile a tanti contesti differenti in un mix di generi comunque predominato dalla fantascienza.
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Atlas, Jennifer Lopez si confronta con Smith
Il fatto è che il futuro è sempre più vicino e oggi più di ieri l'IA intriga e stuzzica il mondo, venendo già utilizzata concretamente in tanti ambiti diversi. Il tema è sostanzialmente più attuale che mai e ci riguarda ormai da vicino, pure se l'evoluzione delle intelligenze artificiali ha da poco superato la fase embrionale. Il dominio dei "robot" sugli uomini è ancora distante, per così dire, e l'apocalittica e schopenaueriana visione di Matrix o quella minacciosa di Io, Robot di Alex Proyas sono ancora degli oscuri miraggi. Al netto di ciò, comunque, anche Atlas con Jennifer Lopez guarda con estrema fascinazione a quelle stesse paure e quegli stessi what if dei registi passati, e pur risultando derivativo sotto ogni punto di vista la verità è che sa come far funzionare discretamente più o meno tutti gli elementi in gioco.
A caccia di IA
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Jennifer Lopez in un primo piano
Il futuro in cui è ambientato Atlas è privo di coordinate, ma la storia comincia a Los Angeles. Come immaginato negli scritti di Isaac Asimov (che viene citato direttamente) e poi riproposto nei decenni da tanto altro cinema, tv e letteratura, l'Uomo convive da anni con i bot. Lo sviluppo dell'intelligenza artificiale ha infatti permesso l'introduzione di questi robot in ogni ambito della società e del quotidiano, operativi in realtà sanitarie, culturali, di difesa e casalinghe. Improvvisamente, un'IA di nome Harlan (un freddissimo ma convincente Simu Liu) creata da Val Shepherd comincia a modificare i codici dei bot che iniziano a ribellarsi all'umanità, dando il via a un vero e proprio massacro globale. Viene creata la ICN (Conferenza Internazionale delle Nazioni) per far fronte ad Harlan e al suo esercito, poi un giorno il leader terrorista IA fugge nello spazio, promettendo di tornare e "finire ciò che aveva iniziato".
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Un'immagine del film di Brad Peyton
28 anni dopo, Atlas (J-Lo), figlia di Val, è un'analista della ICN che riesce a scoprire il nascondiglio di Harlan e che viene inviata dal Generale Jake Boothe (Mark Strong) in missione sul campo, affidata alle cure del Colonnello Elias Banks (Starling K. Brown). L'obiettivo è catturare Harlan sul pianeta GR-39, e per farlo la ICN ha messo a punto degli innovativi mecha IA ad uso militare con cui ogni soldato è però costretto a interfacciarsi a livello neuronale. Atlas non si fida però delle intelligenze artificiali, non più, trovandosi però suo malgrado costretta a collaborare con una di queste per sopravvivere in territorio ostile.
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Una scena del film Netflix
Se l'incipit vi ricorda The Creator, non sbagliate: il film di Edwards è una palese musa cinematografica di Atlas, da cui "ruba" l'idea del terrorismo IA e di una guerra senza quartiere tra robot e umani. Altro paragone non c'è, comunque, perché l'opera di Peyton comincia poi a guardare oltre, allo spazio, a Ultron, al videogioco (Lost Planet di Capcom), dimostrandosi un grande miscellanea d'ispirazioni. Il racconto è di per sé derivativo nello sviluppo e nell'intreccio, eppure è nella scrittura dei dialoghi tra la protagonista e la sua nuova IA, Smith, che il film ingrana la marcia giusta dal punto di vista introspettivo e riflessivo, lasciando poi ad azione ed esplorazione il compito d'intrattenere.
In da mecha
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Jennifer Lopez in una sequenza di Atlas
Quello che sorprende di Atlas è la sua grande capacità di sapersi muovere adeguatamente nella sua stessa derivazione. Al di là dei titoli già citati ma persino oltre il cinema, la sci-fi con J-Lo pesca da manga e anime l'attrattiva per i mecha e una nomenclatura già nota ("link neuronale") per unire esoscheletri simili a quelli di Avatar a concetti sfruttati in lungo e in largo da Evangelion a Pacific Rim. Suddiviso in tre atti ben distinti tra loro, il film trova la sua più grande forza nel corpo centrale dell'opera, quando Atlas è dentro il mecha e deve interfacciarsi con il programma IA che lo ospita. Lo scontro-dialogo tra i due apre a interessanti interrogativi sull'eventuale ponte che la collaborazione uomo-intelligenza artificiale potrebbe creare verso un domani d'intesa e non di guerra, dove nessuno è mero nemico o strumento e dove l'integrazione è l'unica scelta possibile. Nel mentre di queste riflessioni (per nulla scontate e anzi gestite a modo) Atlas e Smith si muovono tra i diversi e sconcertanti biomi di un pianeta totalmente inospitale, cominciando a conoscersi tra diffidenza e sarcasmo.
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Un'immagine del film di fantascienza disponibile su Netflix
Il film si completa di buone sequenze d'azione che soffrono però a singhiozzo una CGI non sempre di livello, a tratti leggermente posticcia ma comunque capace di regalare allo spettatore alcuni scorci alieni immaginifici e immersivi, tra inquadrature e soggettive cinematografiche e d'estrazione videoludica. Atlas dimostra la buona volontà della Lopez di adeguarsi ai differenti generi e proporre qualcosa di appagante che, pur senza pretese o velleità intellettuali, senza chissà quale originalità né innovazione, sappia a suo modo convincere.
Conclusioni
Atlas è uno di quei titoli capaci di sguazzare nella loro stessa indole derivativa sapendo perfettamente come restare a galla. Guarda a The Creator e al genere mecha tra oriente e occidente, a Big Hero 6 e ad Ultron, ai videogiochi Capcom e ad Avatar, eppure resta in piedi, intrattiene e compiace, al netto di una CGI non sempre di livello e di una prestanza action soddisfacente ma non ottimale. L'obiettivo era quello di parlare di IA e d'integrazione tra uomo e macchina in un lungometraggio di genere che sfruttasse gli insegnamenti di Asimov e la nomenclatura giappo in un prodotto streaming fantascientifico ed esplosivo con ricercati picchi introspettivi e riflessivi. Considerando il cinema di Brad Peyton e l'ultima incursione di genere di J-Lo, posso dirmi sinceramente sorpresa e discretamente soddisfatta.
👍🏻
La riflessione sulle IA.
Il rapporto tra Atlas e Smith, i loro dialoghi.
L'idea di unire le fascinazioni mecha alle questioni sull'intelligenza artificiale.
Alcune scene d'azione ben confezionate…
👎🏻
… Al netto di una CGI non sempre all'altezza.
Il terzo atto è inferiore ai precedenti.
Mark Strong e Sterling K. Brown per nulla sfruttati.
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multiverseofseries · 7 days ago
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New look at Matt Murdock and Wilson Fisk in ‘DAREDEVIL: BORN AGAIN’ Premiering March 4 on Disney+
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multiverseofseries · 7 days ago
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First look at Hiccup in the live-action ‘HOW TO TRAIN YOUR DRAGON’ remake. In theaters on June 13, 2025.
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(Source: www.empireonline.com/movies/news/...)
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multiverseofseries · 7 days ago
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New look at Daredevil in ‘DAREDEVIL: BORN AGAIN’ Premiering March 4 on Disney+
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multiverseofseries · 7 days ago
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Florence Pugh, Hailee Steinfeld, Elizabeth Olsen, and other MCU actors will voice their respective characters in the animated series Marvel Zombies set to release next year.
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(Via: Disney/Marvel)
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multiverseofseries · 7 days ago
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Florence Pugh, Hailee Steinfeld, Elizabeth Olsen e altri attori del MCU doppieranno i loro rispettivi personaggi nella serie animata "Marvel Zombie" in uscita il prossimo anno.
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(Fonte: Disney/Marvel)
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multiverseofseries · 7 days ago
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Sophie Turner is in talks to star as Lara Croft in the live-action ‘TOMB RAIDER’ series.
(Source: Deadline)
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multiverseofseries · 7 days ago
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Il Gladiatore II: Un Viaggio Epico tra Politica e Cinema
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Sangue, rabbia e una narrazione epica per un sequel potente e, a tratti, visionario. Un film che può essere letto anche alla luce delle problematiche contemporanee. Sullo schermo, Paul Mescal, Pedro Pascal e un magistrale Denzel Washington sono i protagonisti.
Il titolo stesso, Il Gladiatore II, ha un impatto gigantesco. Un film che mira a riportare sul grande schermo un tipo di cinema spettacolare, emotivo e maestoso, che sembra essere scomparso, ormai rivolto solo a un pubblico più distratto. Ma, sin dalla prima scena, Ridley Scott ci trasporta in un universo che richiama i grandi kolossal del passato: Ben-Hur, Quo vadis? e Spartacus, con tanto di omaggi. Eppure, nonostante l’omaggio al passato, Il Gladiatore II non è solo un grande seguito, ma un progetto che guarda anche al futuro, pur mantenendo il legame con la tradizione del cinema epico.
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Le premesse erano alte, eppure il risultato non ha solo soddisfatto le aspettative, ma le ha superate. Creare un seguito per un film leggendario come Il Gladiatore - che ha segnato una generazione - non era certo facile, ma Ridley Scott è riuscito a mantenere intatto lo spirito originale, pur dando vita a un film indipendente, contemporaneo e quasi visionario. Inoltre, con la sceneggiatura di David Scarpa, il film risulta essere uno dei più politici del regista, un'opera che, soprattutto in un'epoca in cui pochi autori osano esprimere opinioni forti, si propone come una dichiarazione di intenti chiara e potente.
Il Gladiatore II: Il Testimone di Massimo Decimo Meridio
Tra vendetta, redenzione e un viaggio che tocca anche dimensioni spirituali, Il Gladiatore II si fa portatore di un messaggio forte. Pur essendo ambientato in un mondo antico, la storia è un riflesso critico di un mondo moderno, in cui il potere e la guerra sono il terreno fertile di una politica corrotta e amorale. È un mondo che, sfortunatamente, somiglia molto al nostro. In questo contesto, la Roma che viene ritratta nel film è sull’orlo del collasso, e la trama riesce a rendere tangibile questa sensazione di decadenza.
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A vent'anni dalla morte di Massimo Decimo Meridio, l'eredità del leggendario gladiatore viene raccolta da Lucio Vero (Paul Mescal), un uomo ridotto in schiavitù dopo essere stato deportato dalla Numidia (l'antico nome del Nord Africa) dalle legioni di Marco Acacio (Pedro Pascal), sotto il dominio degli imperatori Caracalla e Geta. Arrivato a Roma, Lucio viene costretto a combattere come gladiatore per il crudele Marcrinus (Denzel Washington), uno schiavista senza scrupoli che trama per raggiungere il potere.
Il sogno di Roma e il crollo dell'Occidente
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Ciò che distingue Il Gladiatore II da tanti altri sequel è la sua forte componente politica, che va oltre la trama e si intreccia perfettamente con la narrazione storica e i temi trattati. La storia, infatti, si presta a una lettura che richiama le analogie tra l'Impero Romano e gli Stati Uniti moderni. Il sogno di Roma, incarnato da Lucio e poi da Marco Acacio, è il medesimo sogno tradito dell'“American Dream” – una promessa di libertà e giustizia ormai svuotata di significato.
Con una regia impeccabile, che riesce a catturare l'essenza del passato con grande maestria, Scott affronta temi come la democrazia, l'oppressione, la civiltà, la rivoluzione e la resistenza. La scenografia, la fotografia (firmata da John Mathieson) e la colonna sonora (di Harry Gregson-Williams, che si fa portavoce della grande tradizione musicale di Hans Zimmer e Lisa Gerrard) accompagnano lo spettatore in un viaggio visivo che fa vibrare ogni singola scena. Eppure, un avviso: non cercate una riproduzione storicamente fedele; il cinema, come sempre, è prima di tutto un'arte, non una lezione di storia.
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In questo contesto, Lucio, interpretato da Paul Mescal, emerge come una figura potente e moderna, ancora più incisiva di quella di Massimo Decimo Meridio (Russell Crowe), che pur non essendo presente, si fa comunque sentire. Lucio è l'emblema di un eroe che cerca giustizia e libertà, ma che si scontra con la realtà di un mondo ormai corrotto. La sua lotta per il sogno di Roma è una riflessione sulla fine di un impero e sulla ricerca di un ideale che ormai è sfocato. In qualche modo, Lucio rappresenta un tentativo di riscatto in un’epoca che sembra incapace di cambiare. È la rivalutazione del sogno di Roma, ormai svuotato di significato e destinato a crollare sotto il peso della sua stessa corruzione. Una riflessione che si estende anche al nostro presente, dove le stesse dinamiche di potere e paura sembrano prevalere.
Conclusioni
Il Gladiatore II di Ridley Scott è un sequel che non solo rispetta, ma espande l'eredità del film originale. È un'opera cinematografica potente e significativa, che si distingue per il suo spirito politico e la sua visione. Con ogni scena, Scott ci regala un'esperienza che mescola perfettamente spettacolarità e riflessione profonda, facendo di questo sequel una delle migliori esperienze cinematografiche recenti.
👍🏻
Una regia imponente e maestosa.
L'approfondimento politico e sociale.
La performance di Denzel Washington.
Il sequel che mantiene lo spirito dell'originale.
👎🏻
Inaspettatamente, il film potrebbe sembrare durare meno rispetto alla sua ambizione narrativa.
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