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New characters poster for ‘THE LAST OF US’ Season 2. Premiering April 13 on Max.









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Godzilla e Kong - Il nuovo impero: come abbattere lo status quo del MonsterVerse

Godzilla x Kong - Il nuovo impero, sequel che estremizza forma e stile del franchise sotto la firma di Adam Wingard, regalando un possente spettacolo action che va oltre il senso di ciò che racconta.
Dopo l'incredibile successo internazionale di Godzilla: Minus One, che prosegue "la linea nipponica" dedicata al kaiju per eccellenza, è ora il momento di rituffarci nel più occidentale MonsterVerse targata Legendary Pictures e Warner Bros con Godzilla e Kong - Il nuovo impero. Un titolo impegnativo che pone le basi di una costruttiva collaborazione tra i due sovrani del franchise cinematografico da 2 miliardi di dollari.

Godzilla e Kong: Il Nuovo Impero - Kong in una foto
Siamo al quinto capitolo della saga e al secondo crossover, e se la rivalità era il motore scatenante dell'azione e della distruzione in Godzilla vs Kong, nel secondo lungometraggio del MonsterVerse diretto da Adam Wingard è la reciproca ricerca d'aiuto che traina il film verso il suo esplosivo atto finale. Non una corsa ma una maratona, comunque, percorsa in due ore più o meno soddisfacenti da cui traspare però una certa stanchezza narrativa, soprattutto fuori dalle dinamiche relative ai Titani e invece dedicate agli umani, che sembrano non aver imparato davvero nulla dalla scrittura di Monarch: Legacy of Monsters.
Godzilla e Kong, sopra e sotto

Godzilla E Kong - Il Nuovo Impero, una delle creature mostruose del film
A distanza di alcuni anni dalla devastante battaglia di Hong Kong tra il Predatore Alpha e il Re delle Scimmie, regna un delicato quanto funzionale status quo tra Godzilla e Kong. I due titani sono infatti sovrani e protettori di due mondi differenti ma intrinsecamente uniti: la Superficie e la Terra Cava. Mentre Godzilla difende e reclama il suo territorio da altri titani infuriati, proteggendo di conseguenza la civiltà umana, nella Terra Cava Kong trova la sua casa, anche se triste e solitario. Una vita per nulla facile, quella dei due sovrani, fatta di continui scontri per la supremazia e la sopravvivenza. La Monarch è ormai a capo di tutte le operazioni che riguardano non solo il monitoraggio ma anche la collaborazione e la salvaguardia dei Titani e la mappatura della Terra Cava, che resta per la maggior parte ancora inesplorata.

Godzilla e Kong: Il Nuovo Impero - una scena d'azione
Da uno di questi punti oscuri del sottosuolo comincia ad arrivare un misterioso segnale intercettato dalla mente di Jia, ultima sopravvissuta della tribù Iwi di Skull Island, che a quanto pare ha un curioso legame con il luogo. Nel frattempo Godzilla parte per il suo tour europeo (tocca Italia, Francia e Spagna, probabilmente per la prima volta in assoluto) alla ricerca di centrali nucleari con cui nutrirsi e ricaricarsi, mentre Kong entra in contatto con una civiltà sopravvissuta di scimmie guidate dal perfido King Scar. Tre fronti destinati a unirsi in una monumentale battaglia conclusiva per salvare le sorti della Superficie e della Terra Cava, dei Titani e dell'Umanità.
Quella parte umana un po' così

Godzilla e Kong: Il Nuovo Impero - Rebecca Hall, Dan Stevens, Kaylee Hottle in una scena
Godzilla x Kong - Il nuovo impero tenta di abbattere quella delicata armonia del MonsterVerse creatasi dopo lo scontro tra i due titani protagonisti. A dirla tutta, è più un film su Kong che su Godzilla, e questo già per la seconda volta, quasi ad ammettere una povertà d'idee per la continuity del Predatore Alfa, che resta più sullo sfondo rispetto al Re delle Scimmie, in un moto narrativo pretestuoso per utilizzarlo ma con parsimonia, raccontarlo senza approfondirlo. Kong è invece umanizzato all'eccesso, quasi che dai suoi occhi è possibile leggere una leggera depressione di fondo. Quando poi incrocia il suo cammino con Baby Kong, il senso di famiglia e comprensione si fa ancora più forte nonostante qualche iniziale attrito. La storia si muove per lo più dal basso della Terra Cava - come detto, il regno di Kong-, per cui è normale dare spazio a chi pattuglia e difende tale territorio, tant'è che anche gli umani protagonisti (Dan Stevens interpreta un veterinario dei titani ispirato ad Ace Ventura) vengono spediti da sceneggiatura e regia lì in fondo, questa volta alla ricerca di risposte per Jia.

Godzilla e Kong: Il Nuovo Impero - Kong incontra Suko in una scena
In linea di massima la scrittura dei personaggi è banale e mediocre, ma funziona come sollievo comico grazie al già citato Trapper di Stevens - un po' eccentrico ed hippie - e al ritorno del Bernie Hayes di Brian Tyree Henry, mentre è ripetitivo e poco convincente il rapporto madre-figlia tra la Dottoressa Andrews (Rebecca Hall) e la bambina iwi. Poco male, essendo un lungometraggio cinematografico da 140 milioni di dollari su dei giganteschi mostri pronti a darsele di santa ragione, e sarebbe stato ottimo se avessero sfoltito molta più run time dedicata al fronte umano per perseguire l'obiettivo ultimo del MonsterVerse sul grande schermo, che è quello degli scontri tra kaiju.
Un team up soddisfacente

Godzilla e Kong - Il Nuovo Impero: un'immagina tratta dal film
Dal punto di vista dell'azione, della messa in scena e dei combattimenti, Adam Wingard prosegue sulla cifra estetica e cinematografica del precedente capitolo, ampliando ed estremizzando ogni elemento possibile. Ci sono più Titani (alcuni molto famosi, per la gioia dei fan più sfegatati) e i confronti occupano più spazio all'interno del racconto, soprattutto guardando al percorso di Kong e alla sua evoluzione. Il fascino di un mondo inesplorato e pericoloso è ben restituito, e la ferocia del Re delle Scimmie sul campo di battaglia è bilanciata con la sua parte meno ferina e umana. Quello di Godzilla e Kong un viaggio che che parte da poli opposti ma con la stessa destinazione, ed è infatti nell'ultimo atto che il regista imbastisce uno scontro epico e monumentale tutto costruito su team up opposti, power up sorprendenti e una direzione che valorizza il senso primordiale e cinematico della sfida, sfruttando anche la gravità come elemento narrativo dell'azione.

Godzilla e Kong: Il Nuovo Impero - Godzilla e Kong in una foto
Al netto dell'indubbio divertimento che si cela dietro a questi conflitti e al maestoso impatto visivo, va detto che il film non riesce a superare il livello di spettacolarizzazione e "novità" di Godzilla vs Kong, perché nobilita in misura ridotta l'effetto scenico di alcune intuizioni action pur adoperandosi molte volte e con tono solenne nell'inquadrare i titani per esaltarne stazza, unione e contrasti. Un team up soddisfacente, questo di Godzilla x Kong - Il nuovo impero, da cui forse ci aspettavamo qualche virtuosismo in più e qualche rivelazione in meno dall'esorbitante materiale promozionale, che a dire il vero riesce persino a rovinare qualche sorpresa. Il Predatore Alfa e il Re delle Scimmie restano però una delle coppie dell'anno, pronte a fare danni.
Conclusioni
Un team atteso che non delude gran parte delle aspettative, Godzilla x Kong - Il nuovo impero. Tirando le somme, il secondo crossover del MonsterVerse diretto da Adam Wingard ha un carattere cinematografico deciso che estremizza la formula del franchise, creando spettacolo e divertimento, ma al contempo non sembra aver imparato la grande lezione di Monarch: Legacy of Monsters nello sviluppo dei personaggi umani, al netto di un Dan Stevens convincente nei panni di un veterinario per titani alla Ace Ventura. Non raggiunge i livelli di Godzilla vs Kong ma sa regalare momenti feroci ed entusiasmanti tra kaiju, ed è questo che va considerato prima di tutto.
👍🏻
Il personaggio di Dan Stevens, sopra le righe e molto carino.
Adam Wingard perfeziona la sua cifra monsterversale, e funziona.
Il percorso di Kong e le sua scene d'azione.
L'ultimo e spettacolare atto.
👎🏻
Godzilla non è sfruttato a dovere per due terzi del film.
La scrittura dell'intreccio e dei personaggi umani lascia un po' a desiderare.
Qualche virtuosismo registico in più non avrebbe guastato.
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‘HOUSE OF THE DRAGON’ Season 3 has reportedly begun filming

(via: UnBoxPHD)
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Godzilla 3: Godzilla vs. Kong: battaglie sontuose per mostri iconici

Godzilla vs. Kong, il nuovo film del MonsterVerse di casa Warner che mette a confronto i due leggendari mostri del cinema.

Godzilla vs. Kong: Godzilla emerge dalle acque
Con un ruggito e un urlo di battaglia, così mi appresto ad affrontare Godzilla vs. Kong, che riprende e amplifica quanto fatto nel capitolo precedente: in occasione di King of Monsters avevo parlato di un "film esagerato" e va detto che il passo successivo nel cammino nel MonsterVerse di casa Warner enfatizza questo aspetto.
Scontro tra icone

Godzilla vs. Kong: Kong e la sua piccola amica
Lo dice il titolo, Godzilla vs. Kong: nel nuovo film i due mostri provenienti da due culture cinematografiche diverse si trovano finalmente faccia a faccia dopo il cammino preparatorio dei capitoli precedenti, sviluppato nel corso di una decina d'anni. Uno scontro che si verificherà quando le loro strade si incroceranno, con Kong da una parte, accompagnato dai suoi protettori in un viaggio per trovare la sua vera casa, e Godzilla dall'altra, infuriato e impegnato nel seminare distruzione in giro per il mondo. Si parte da Skull Island, cinque anni dopo gli eventi del film precedente, dove Kong è tenuto sotto osservazione in una replica del suo habitat dal team guidato dall'antropologa Ilene Andrews, e dove l'iconico scimmione ha stretto un forte legane con Jia, un'organa locale non udente che la dottoressa ha adottato e cresciuto e che riesce a comunicare con Kong mediante la lingua dei segni. Ma alle spalle del loro conflitto si nasconde un mistero più grande da indagare.

Godzilla vs. Kong: Godzilla e Kong lottano per la supremazia
Umani alla finestra

Godzilla Vs Kong: Alexander Skarsgard ed Eiza Gonzalez in una scena
Quello tra i due titani, come il MonsterVerse definisce questi mostri giganti del cinema, è uno scontro sontuoso e atteso che i personaggi umani di Godzilla vs Kong non possono far altro che guardare con la stessa espressione ammirata di noi spettatori. Non che non si sia fatto nessuno sforzo per dar spessore e valore alle loro vicende, sia con scelte di casting importanti come l'Alexander Skarsgård che interpreta Nathan Lind, un geologo che lavora a contatto con la celebre scimmia gigante, sia con il personaggio della piccola Jia, che riesce a fornire ulteriori sfumature alla figura di Kong con cui interagisce. Allo stesso modo intriga la costruzione narrativa che riguarda la porzione complottista della storia e il mistero riguardo le forze che condizionano la furia di Godzilla. Sforzi apprezzabili, ma in fin dei conti di impatto relativo sull'economia del film, perché sappiamo tutti che il cuore pulsante di questo tipo di storie è nella sua capacità di generare spettacolo. E Godzilla vs Kong non si tira indietro quando si tratta di farlo.
Le dimensioni che (non) contano

Godzilla vs. Kong: Kong sfugge al raggio atomico di Godzilla
Uno spettacolo mai così imponente, che raggiunge il suo culmine nella sontuosa battaglia in città, tra distruzioni, luci al neon e sonoro martellante, che resta tra le più possenti e d'impatto del filone kaiju. Adam Wingard punta tutto su questo aspetto del film e vince la scommessa, realizzando un film che è gioia per gli occhi spalancati degli appassionati dei kaiju e i loro scontri, ma difficilmente potrà accontentare chi non si lascia coinvolgere da questi iconici mostri del cinema.

Godzilla Vs Kong: Godzilla in una scena
Conclusioni
il nuovo capitolo del MonsterVerse Warner, diretto a Adam Wingard, dà al pubblico quello che desidera e di cui ha bisogno, ovvero sontuose battaglie tra mostri giganti mentre gli umani se ne stanno al loro posto senza interferire più di tanto, né distogliere l’attenzione dal cuore pulsante della storia. D’altra parte, come potrebbero? Da questo punto di vista, il film enfatizza quanto fatto in King of Monsters, e risulterà esaltante per chi ama i kaiju e quel che li riguarda, un po’ meno per chi cerca una storia con un maggior spessore.
👍🏻
La forza evocativa di due iconici mostri del cinema.
Il livello della CGI, mai così accurata nel rendere l’espressività di Kong, rafforzata dal suo rapporto con la piccola Jia.
Spettacolo sontuoso e assicurato mentre i mostri se la danno da santa ragione, con menzione speciale per la battaglia in città.
Il tentativo di dar dignità e valore anche alla componente narrativa e i personaggi umani…
👎🏻
… ma è uno sforzo d’impatto relativo sull’economia di un film che non conquisterà chi non ama i kaiju e i loro scontri.
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First clip from the live-action ‘LILO & STITCH’ remake. In theaters on May 23.
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‘COCO 2’ is officially in the works at Pixar In theaters in 2029.

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New poster for ‘THE LAST OF US’ Season 2. Releasing April 13 on HBO.

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Godzilla 2: King of the Monsters, recensione: un sequel “esagerato”
Godzilla II: King of the Monsters (Godzilla 2), film di Michael Dougherty con Kyle Chandler, Vera Farmiga e Millie Bobby Brown.
La maggior difficoltà di scrivere di Godzilla II: King of the Monsters non è tanto dire se sia bello e riuscito o meno il film di Michael Dougherty, ma far trasparire per chi, per quale tipologia di pubblico, possa esserlo. Perché è inutile girarci intorno: Godzilla 2 può essere un'esaltazione assoluta così come un semplice blockbuster con poco spessore, a seconda che siate da una parte o l'altra di quella grande barricata che è l'immaginario relativo al popolare mostro nipponico e le sue diverse chiavi di lettura, se vi sentiate più affini a un approccio potente o profondo alle storie del re di tutti i kaiju.

Godzilla II: King of the Monsters, Godzilla e Ghidorah in uno scontro
L'umanità in pericolo nella trama di Godzilla 2
La trama di Godzilla II: King of the Monsters ruota attorno all'agenzia di cripto-zoologia Monarch e i suoi membri, alla sua ricerca e sfida ai mostri giganti che un tempo popolavano la Terra e che ora si stanno risvegliando reclamandola. Il loro ritorno non può che avere un pericoloso impatto sulla razza umana e la vita sul nostro pianeta: le loro lotte sono imponenti e colossali, nonché drammatiche per ciò che le circonda e i protagonisti della storia che ci viene raccontata, ma proprio nella terribile minaccia rappresentata da Godzilla potrebbe risiedere una speranza di ostacolare gli altri essere giganti che stanno creando distruzione e morte.
Qualche conferma e tante novità tra i personaggi di Godzilla 2

Godzilla II: King of the Monsters, Ken Watanabe, Sally Hawkins in una scena del film
Se la Monarch è nota allo spettatore già dal capitolo precedente del 2014, lo è altrettanto uno dei suoi scienziati, il dottor Ishiro Serizawa interpretato da Ken Watanabe, ma tante sono le novità tra i personaggi di Godzilla 2. L'intreccio principale ruota, infatti, attorno alla famiglia Russell, composta dal padre Mark, la madre Emma e la figlia adolescente Madison: il Mark di Kyle Chandler è infatti un comportamentista animale, ex dipendente Monarch, co-inventore del dispositivo Orca che può permettere di comunicare con i mostri; Vera Farmiga è invece Emma, la sua ex moglie, paleontologa ancora al servizio dell'agenzia cripto-zoologica che ha ripreso e completato il lavoro dell'ex-marito e per questo è mira di una misteriosa organizzazione che è interessata a questa rivoluzionaria tecnologia… e ai mostri.

Godzilla II: King of the Monsters, Millie Bobby Brown in un momento del film
Scelta di casting importante è quella relativa alla quattordicenne Madison, per la quale è stata scelta la star di Stranger Things Millie Bobby Brown, ragazzina brillante, portata per la scienza e tormentata dall'assenza del padre dopo il divorzio dalla madre. Attorno ai Russell orbita un cast di grande spessore, che, oltre ai nomi già citati, comprende Sally Hawkins nel ruolo della paleozoologa Vivienne Graham, Charles Dance nella veste del leader del gruppo paramilitare interessato all'Orca, e Zhang Ziyi. Un cast prezioso che non sempre il film riesce a sfruttare fino in fondo, sia perché non tutti i personaggi hanno il sufficiente spazio e tempo a disposizione, sia perché di tanto in tanto lo script chiede loro di affidarsi ad alcune battute a effetto che non sarebbero state necessarie e hanno un che di dissonante.
Da M.U.T.O. a Titani: tanti kaiju per Godzilla 2

Godzilla II: King of the Monsters, una scena con il mostro Ghidorah
E poi ci sono, ovviamente, i kaiju, non più considerati neutri M.U.T.O. (Massive Unidentified Terrestrial Organism) come nel film precedente, ma Titani. È evidente già in questa scelta la volontà del Godzilla del 2019 di sottolineare e promuovere l'alone mitico e semi-divino delle creature che racconta, che non si limitano al solo Godzilla ma comprendono anche Rodan, Mothra, King Ghidora e altri con meno spazio a disposizione. Una scelta che si concretizza anche e soprattutto nel modo in cui si mostrano, agiscono e vengono messi in scena, con una cura e ricerca visiva che rende ogni loro apparizione iconica e visivamente suggestiva, quasi delle illustrazioni inserite nel contesto del film: tutto ciò che riguarda i kaiju in Godzilla II è potente, possente, eccessivo, smodato… insomma, pensiamo di aver reso l'idea di un film che cerca di essere esagerato e dare la sensazione di trovarsi al cospetto degli antichi dominatori della Terra.
Nel mezzo dell'azione

Godzilla II: King of the Monsters, uno scontro tra i mostri giganti
Michael Dougherty, che è anche autore dello script del film, sceglie la potenza come cifra stilistica del suo Godzilla e declina tutto lo sviluppo della pellicola in tal senso. Non manca la chiave di lettura ecologista e la critica alla società umana, né un'attenzione ai personaggi, almeno quelli principali che muovono la narrazione, ma la vera ragion d'essere di questa nuova tappa del MonsterVerse Warner è nella gioia e lo spettacolo roboante dei combattimenti tra mostri. Dougherty si porta nel cuore di un'azione che è lunga, diffusa e trainante, che in molti casi prosegue anche in secondo piano, mentre il regista si concentra sui suoi personaggi, dandoci la sensazione di trovarci lì con loro, immersi in un caos e una distruzione senza controllo e senza fine. Un'azione che in molti casi prende il sopravvento sulla storia, che diventa la storia stessa in modo eclatante e prorompente, tra effetti visiva sontuosi e sonoro vibrante.

Godzilla II: King of the Monsters, un'immagine del film
Per questo parlavamo di essere da una parte e dall'altra, perché se siete tra quelli che hanno amato alcune incarnazioni più riflessive dell'universo di Godzilla, come la trilogia anime presente su Netflix, lo Shin Godzilla di Hideaki Anno e la sua vena politica ma anche il prequel diretto di questo lungometraggio firmato da Edwards, che ha tutt'altro ritmo e costruzione, allora è probabile che l'impostazione scelta dal nuovo regista Michael Dougherty non faccia per voi, perché sacrifica l'approfondimento a vantaggio dello spettacolo. Se invece pensate che un film di Godzilla debba essere l'occasione per mettere in scena lotte furiose e vigorose tra esseri imponenti, allora non potete lasciarvelo sfuggire perché da questo punto di vista è tra le cose più esaltanti.
Conclusioni
In conclusione ribadiamo che la potenza di Godzilla II: King of the Monsters la si trova nella costruzione visiva del film e nell’efficacia dell’impostazione scelta da Michael Dougherty nel mettere in piedi un film che predilige i combattimenti tra mostri piuttosto che l’approfondimento. L’azione diventa la colonna portante di Godzilla 2, la potenza ne è il cuore palpitante e la principale ragion d’essere e può deludere chi si aspetta un approccio più profondo e riflessivo al popolare mostro nipponico e i suoi temi.
👍🏻
Il mondo dei kaiju in tutta la loro potenza, con resa dei singoli mostri riuscita sia nel comportamento che nella costruzioni visiva.
Alcune immagini che riescono a essere poetiche nella loro potenza visiva.
La solidità e forza delle lotte tra i mostri, mai così vigorose per impatto visivo e sonoro.
L’efficacia nella resa dell’impostazione narrativa scelta da Dougherty e basata sull’azione e i combattimenti tra kaiju.
👎🏻
Alcune battute messe in bocca ai personaggi risultano forzate e fuori luogo.
Inadatto a chi preferisce un approccio più profondo al mondo di Godzilla.
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Godzilla (2014)

Con questo reboot, Gareth Edwards cancella il ricordo dell'ipertrofica versione di Emmerich del 1998, rispettando le caratteristiche del Godzilla della Toho, e raggiungendo un buon equilibrio tra un mood retro, fedele al genere e al soggetto, e le esigenze di un moderno blockbuster.
Rifare Godzilla significa confrontarsi con un'icona della cultura popolare moderna. L'occasione, d'altronde ha una forte valenza simbolica, in quanto celebrazione di quello che, in un sessantennio di vita e circa una trentina di film, è diventato di diritto uno dei grandi mostri dello schermo; la creatura gigante di origini nipponiche, generata e fatta crescere dalle radiazioni nucleari, incarna inoltre inquietudini che, dal dopoguerra in poi, sono diventate parte integrante dell'immaginario moderno, a prescindere dai periodi e dalle latitudini. C'era poi da far dimenticare il primo, ipertrofico e poco riuscito remake statunitense del 1998, diretto da Roland Emmerich: un prodotto che trasportava di peso la creatura in un immaginario ben poco attinente al suo contesto originale, fortemente legato al periodo e all'universo plastificato e innocuo, da luna park, che aveva caratterizzato tutti i cloni e le derivazioni dello spielberghiano Jurassic Park. Godzilla, insomma, andava restituito alla sua dimensione di icona sì universale ma carica di tutti quei sottotesti di angoscia per la modernità che avevano caratterizzato la sua apparizione originale. Il team creativo che ha riportato la creatura sullo schermo è sembrato da subito avere le carte in regola per assolvere al compito: il regista Gareth Edwards si era messo in luce, nel 2010, con l'interessante thriller fantascientifico Monsters, mentre a occuparsi del copione ci sono, tra gli altri, nomi di peso del cinema fantastico degli ultimi decenni, quali David S. Goyer e Frank Darabont.
Rielaborazione creativa
I colori lividi della locandina, e la distruzione ivi ritratta, rendono da subito evidente il mood perseguito da Edwards e dagli sceneggiatori per questo remake. C'era tuttavia da fare i conti con una tradizione cinematografica lunga e variegata, che ha visto il soggetto adeguarsi di volta in volta ai tempi, mutando considerevolmente i suoi tratti di base, nelle sue tante incarnazioni filmiche. Pur incarnando sempre le stesse inquietudini, Godzilla non è rimasto sempre uguale a se stesso: per larghi tratti della sua storia, il mostro si è trasformato di fatto in un eroe (seppur nero), un difensore della Terra che si contrapponeva ad altri, e più temibili, nemici. Questa nuova versione sceglie di tenere ben presente quella determinata fase della storia della creatura: simbolo fortemente legato all'ansia di dominio dell'uomo sulla natura, e alle sue aberrazioni, il Godzilla del 2014 rappresenta la forza primordiale che ha il compito di ristabilire quell'ordine che la razza umana ha violato. Una sorta di divinità (così la definisce lo scienziato Ichiro Serizawa, che nel film ha il volto di Ken Watanabe) spietata, potente e guidata da una logica difficilmente riducibile ai concetti umani di bene e male. Di fronte a lei, pienamente in linea con la tradizione dei kaiju eiga, che ha visto spesso lo scontro tra creature giganti, due M.U.T.O. (Massive Unidentified Terrestrial Organism): parassiti a loro volta provenienti da un tempo antichissimo, a loro volta nutriti dalle radiazioni, e resi potenti dall'opera dell'uomo. Lo scontro, che si articolerà tra le locations del Giappone, della località hawaiiana di Honolulu e dell'entroterra americano, avrà dimensioni epiche e si lascerà dietro, prevedibilmente, un notevole carico di distruzione.
Sapore antico, resa moderna

Godzilla: il mostro in tutto il suo splendore
Una delle caratteristiche che colpiscono del film di Edwards, in effetti (al di là di un 3D ormai scontato per produzioni di queste dimensioni, ma qui non strettamente necessario) è il riuscito mix tra un mood dal sapore retrò, filologicamente fedele alla tradizione a cui si ricollega (in sé artigianale, e caratterizzata da una certa anarchica ingenuità) e l'uso di un budget da grande produzione. Questo Godzilla può definirsi, per molti versi (e sappiamo quanto una definizione del genere sia rischiosa) un b-movie trasporatato nel cinema di serie A: del cinema fantastico low budget, e della tradizione dei kaiju, ha quella carica genuinamente eversiva, destabilizzante nella sua semplicità, che riempie di significati angosciosi e di metafore, fosche quanto facilmente leggibili, immagini di distruzione dalla forte presa spettacolare. Il tutto, però, viene filtrato attraverso un uso consapevole, intelligente ma non furbo, dei mezzi del moderno blockbuster hollywoodiano: il regista, durante le due ore di durata del film, tiene sotto controllo la messa in scena, ne contiene la naturale tendenza all'ipertrofia, puntando per tutta la prima parte sull'accumulo della tensione e sulla suggestione dei dettagli, visivi e non; il tutto ad anticipare la successiva, catartica esplosione di morte e distruzione in digitale, per la gioia (in questo caso giustificata) dei fans del genere. Quando lo scontro tra i giganti radioattivi arriva, non si sorride mai, ma si tengono piuttosto gli occhi incollati allo schermo; la sospensione dell'incredulità, sapientemente preparata da una buona gestione della narrazione, viene raggiunta con mestiere e sicurezza.
Affetti e complotti

Godzilla: Bryan Cranston e Aaron Taylor-Johnson in una scena
La preparazione di cui si diceva è frutto di un plot che vede la presenza di personaggi semplici, ma non stereotipati, all'interno di una vicenda che, articolata in un ampio arco di tempo, presenta all'inizio i contorni della cospirazione politica: la fuga di radiazioni, nel prologo, che provoca la morte della moglie dello scienziato interpretato da Bryan Cranston, la tenace, costante ricerca della verità che anima quest'ultimo, la presa di coscienza e il percorso di crescita personale del figlio (un efficace Aaron Taylor-Johnson), i dilemmi morali incarnati dal personaggio interpretato da Watanabe, memore dell'incubo nucleare. La scelta di mostrare individui comuni alle prese con eventi apocalittici, e di puntare sulla spinta alla preservazione degli affetti (e sull'elaborazione del lutto) quale motore per gesta ed azioni eroiche, rappresenta una strategia di sicura efficacia per il raggiungimento dell'empatia. Con mestiere, gli sceneggiatori preparano il terreno per l'azione che riempie la seconda metà del film, organizzando gli eventi in un semplice quanto efficace climax. Si può forse recriminare, almeno agli occhi di chi scrive, per un mancato approfondimento di quella dimensione "mitica", da semi-divinità, che lo script ha scelto di conferire (in modo più suggerito che compiuto) alla creatura: il personaggio di Watanabe, che introduce nei suoi discorsi tale elemento, aveva in questo senso tutte le potenzialità per dare ad esso ulteriore spazio. Compito rimandato a un ipotetico sequel?
In conclusione
Chi è cresciuto con i kaiju eiga, ma anche chi ama più in generale il fantastico di qualità, non può che salutare favorevolmente questo reboot. Il "misfatto" di Emmerich è cancellato, e lo spirito del Godzilla della Toho sostanzialmente rispettato.
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First trailer and poster for ‘Freakier Friday’ In theaters on August 8

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Nosferatu: il vampiro come metafora della salute mentale

"Vieni da me", sussurra una stravolta Lily-Rose Depp, nel ruolo di Ellen Hutter, sposa che vive nel senso di colpa costante. Lo prova perché pensa di essere sbagliata a cercare "la mano della morte", come la chiama lei. Nei suoi sogni evoca infatti un'ombra, al contempo terrificante e seducente. È quella di un vampiro, un demone: Nosferatu. Ovvero "il non morto". Ma è lei ad averlo chiamato a sé, oppure è lui a essersi insinuato nella sua mente? Probabilmente se lo chiede da tutta la vita anche Robert Eggers nella sua versione della storia raccontata cento anni fa da Murnau.

Lily-Rose Depp in Nosferatu
Il regista ha visto il film dell'autore tedesco quando aveva nove anni e da allora ne è rimasto folgorato. Tanto da dirigere uno spettacolo teatrale dedicato al vampiro a soli 17 anni. E ora, dopo anni di preparazione (Nosferatu avrebbe dovuto essere il suo secondo film, con Anya Taylor-Joy come protagonista), tutto il suo studio del personaggio e del folclore legato agli strigoi (i vampiri nella mitologia romena) sono confluiti in quello che non è un semplice remake, ma una complessa rielaborazione di un mito fondante del cinema e, prima di tutto, della letteratura.
Nosferatu è in realtà Dracula: non avendo i diritti del romanzo di Bram Stoker, Murnau e la casa di produzione Prana-Film decisero di cambiare nome al protagonista e agli altri personaggi, spostando l'ambientazione dall'Inghilterra alla Germania. Questo stratagemma non impedì però di perdere la causa mossa dagli eredi dello scrittore, che portò lo studio tedesco alla bancarotta e alla distruzione di tutte le copie del film, tranne una. Proprio come quell'unica copia, che ha tramandato Nosferatu a noi, i vampiri continuano a contagiare e affascinare pubblico e autori, che ogni volta adattano il significato di questo mostro iconico ai tempi in cui vivono. Eggers è uno di loro e il morso del Conte Orlok lo ha indotto a plasmare una figura che rappresenta una delle più grandi paure del nostro tempo, ovvero la precarietà della salute mentale e la repressione del corpo (e della sessualità).
Nosferatu e la salute mentale
I sogni di Ellen si fanno sempre più vividi: l'ombra che vede avvicinarsi a lei le provoca sensazioni fisiche. La sua reazione è sconvolgente agli occhi degli altri: il corpo si contorce, gli occhi si girano, le urla diventano assordanti, in una flessione muscolare che sembra qualcosa a metà tra un attacco epilettico e un orgasmo. Tutti pensano sia pazza. E sporca. Eppure Ellen è l'unica che sembra davvero in connessione con una grande minaccia che incombe sulla città, la fittizia Wisborg, e i suoi cari. Il marito Thomas (Nicholas Hoult), per fare carriera, accetta infatti un incarico impegnativo: andare in Transilvania per la firma di un contratto con il Conte Orlok (Bill Skarsgård). Non sa che, così facendo, sarà il tramite fisico tra la bestia e la moglie.
Al contrario di Murnau e Werner Herzog, che ha trasformato Nosferatu in un eroe romantico, schiacciato dalla solitudine e dal desiderio, Eggers dà una rappresentazione inedita e brutale del personaggio, che, anche nell'aspetto, richiama una natura primordiale e violenta, un predatore, incarnazione del male puro. Questa forza è irresistibilmente attratta da Ellen, che, a differenza di tutte le altre persone che la circondano, non reprime questi istinti per conformarsi alle regole della società. E, per questo, dubita di se stessa, mette in discussione la propria mente e somatizza questa sofferenza di spirito e cuore.
Questo dolore viene reso per immagini dall'eccezionale fotografia di Jarin Blaschke, che lavora con Eggers fin dal suo esordio, The Witch. Più Ellen perde forza vitale, più le immagini si fanno desaturate, al punto da sembrare quasi in bianco e nero: come se il film perdesse sangue insieme alla sua protagonista.
La centralità della donna

Nicholas Hoult in Nosferatu
Ancora una volta la figura della donna è fondamentale per Eggers: è attraverso di lei (e il suo corpo) che si crea il legame tra la società e Nosferatu. Tramite Ellen il vampiro interagisce con le grandi istituzioni che condizionano le nostre vite: la famiglia, incarnata dal marito Thomas, il capitale, rappresentato dai coniugi Harding (Aaron Taylor-Johnson ed Emma Corrin), dal patrimonio consistente, e la scienza, ovvero il Professor Albin Eberhart Von Franz, interpretato da Willem Dafoe, ormai attore feticcio di Eggers, al terzo film con il regista (e non è certamente un caso che Dafoe sia stato Max Schreck, interprete del Nosferatu di Muranau, nel film L'ombra del vampiro).

Willem Dafoe in Nosferatu
Laddove gli altri personaggi non riescono a contrastare, e soprattutto a comprendere e riconoscere, la forza insopprimibile e inarrestabile di Orlok, è proprio Ellen la figura chiave tra la razionalità e l'inimmaginabile. Perché lei, mortificata dalla società nella mente e nel corpo in quanto donna, ha da tempo riconosciuto, grazie alla continua repressione di ogni istinto e libertà, il male dentro di sé e può quindi guardarlo negli occhi. Questo è evidente in un finale molto interessante, che tradisce l'originale e, ovviamente, non vi sveliamo.
Per dire tutto questo Eggers ha costruito un film dalla cura formale impeccabile, in cui l'accuratezza storica si fonde con il suo amore per i classici del cinema, a cominciare dall'espressionismo tedesco. Più che un remake, questo Nosferatu è quindi un dialogo tra i grandi del passato e il nostro presente, che diventa sempre più incerto e soffocante. Se soffrite di ansia e claustrofobia la visione potrebbe essere catartica. Oppure terrificante. In ogni caso, ci troviamo di fronte a una svolta per l'autore, che torna alle origini, realizzando il suo film più vicino al magnifico The Witch, e contemporaneamente si libera dell'eredità ingombrante di chi l'ha preceduto.
Conclusioni
Splendido esteticamente, grazie soprattutto alla fotografia di Jarin Blaschke, il quarto film di Robert Eggers segna un punto di svolta nella carriera del regista. Realizzando il remake del film che più lo ha segnato, è ora pronto per una nuova fase. Grazie a questo punto di vista originale sul classico di Murnau (che a sua volta è una rivisitazione di Dracula), lo spettatore può fare un viaggio nel proprio subconscio. Un'esperienza che, nel bene e nel male, non lascia indifferenti.
👍🏻
La bellezza delle immagini di Eggers: ogni inquadratura sembra un dipinto.
La fotografia di Jarin Blaschke.
L'interpretazione sorprendente di Lily-Rose Depp, qui alla sua prova migliore finora.
La bravura di Willem Dafoe.
👎🏻
La rielaborazione dell'aspetto di Orlok potrebbe lasciare spiazzati.
Alcune scene sono volutamente esagerate e potrebbero non convincere tutti.
Nella seconda parte c'è un'accelerazione di ritmo che contrasta con la sensazione di paralisi della prima, risultando un po' forzata.
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New poster for ‘THE LAST OF US’ Season 2. Streaming on Max April 13

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The first trailer for the live-action ‘LILO & STITCH’ remake has been released. In theaters on May 23.
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La legge di Lidia Poët 2: Matilda De Angelis è la nostra Signora in giallo

Una seconda stagione che non tradisce lo spirito del personaggio e ci dà una certezza: Matilda De Angelis nel ruolo di Lidia Poët è sempre più la nostra Jessica Fletcher.
Ispirata a una figura realmente esistita, ovvero la prima avvocata in Italia a entrare nell'Ordine professionale, il personaggio televisivo creato da Guido Iuculano e Davide Orsini - ormai è evidente - è vicinissimo a un'icona della tv: la Signora in giallo. Sì, Matilda De Angelis in La legge di Lidia Poët è la nostra Jessica Fletcher. E questo è ancora più evidente nella seconda stagione della serie Netflix.

Eduardo Scarpetta e Matilda De Angelis in La Legge di Lidia Poët
Con il primo ciclo di episodi abbiamo imparato a conoscere Lidia: intelligente, testarda, attenta ai dettagli. E determinata nel cambiare le cose: si batte senza risparmiarsi per fare in modo che anche le donne possano iscriversi agli ordini professionali e ottengano il voto. Nel frattempo però vuole anche costruirsi una carriera nello studio legale del fratello. E, guarda un po', si sceglie proprio i casi più difficili, quelli che nessuno vuole, passando agilmente da esperta di legge a eccellente detective.
È proprio qui la somiglianza con la signora Fletcher interpretata da Angela Lansbury: ogni nuova puntata della serie ci presenta un caso da risolvere. E in La legge di Lidia Poët 2 si fa il passaggio successivo: la protagonista praticamente si imbatte in omicidi freschi sempre più frequentemente. Scatta quindi una certezza: se la signorina Poët arriva in un posto, allora è sicuro che ci scappa il morto. Torino come Cabot Cove.
Un nuovo mistero per Lidia Poët
Nella seconda stagione di Lidia Poët la trama verticale dei singoli episodi si fonde poi a una trama orizzontale: la protagonista, insieme a Jacopo Barberis (Edoardo Scarpetta), giornalista della Gazzetta Piemontese che la aiuta nelle indagini e che è anche suo interesse amoroso, deve infatti scoprire cosa sia successo a una persona conosciuta da entrambi e misteriosamente scomparsa. A loro - formando un triangolo non soltanto lavorativo - si aggiunge anche un nuovo personaggio: il procuratore Fourneau, interpretato da Gianmarco Saurino.
Il trio non si fa mancare niente: abbiamo serial killer, preti sospetti, attentati, c'è perfino un cameo di Cesare Lombroso! Il vero medico e criminologo studiò i detenuti nel carcere di Torino e qui lo vediamo confrontarsi proprio con Lidia che, avanti su tutto, esprime diverse perplessità sulle teorie del luminare, che ha basato gran parte della sua carriera sulla fisiognomica, ovvero la pretesa di dedurre la psicologia delle persone basandosi sul loro aspetto.
La forza di La legge di Lidia Poët 2? non è solo il cast
Tornano Matteo Rovere e Letizia Lamartire alla regia, e a loro si aggiunge Pippo Mezzapesa; torna la fotografia morbida di Francesco Scazzosi, che fa sembrare la protagonista una donna preraffaellita; tornano i magnifici costumi di Stefano Ciammitti; torna anche la colonna sonora di Massimiliano Mechelli, che alterna brani e suoni moderni a un accompagnamento più classico. Tutto il valore produttivo della serie Netflix è alto e curato, ma è il cast, così valorizzato, a rubare la scena.

I protagonisti di La legge di Lidia Poët
Matilda De Angelis è ormai, di fatto, la "golden girl" del nostro cinema: lavora tantissimo ed è anche sempre più un'attrice internazionale. È lei il cuore pulsante della serie. Eduardo Scarpetta, dopo tanta tv, è pronto per un ruolo da protagonista al cinema, ma è Gianmarco Saurino la rivelazione di questa seconda stagione. Il suo procuratore tormentato, che non ha più molta voglia di vivere, ma che quando conosce Lidia forse ci ripensa, è la nuova grande sfida, l'ennesimo mistero da risolvere per la nostra avvocata. Tra tutti i prodotti televisivi italiani pensati per il pubblico estero, La legge di Lidia Poët, con la sua leggerezza e lo stile ben definito, si conferma quindi come uno dei più riusciti.
Conclusioni
La legge di Lidia Poët si conferma come una delle serie italiane pensate specificamente per un pubblico internazionale più riuscite. Cast, costumi, colonna sonora, fotografia, regia: tutto è curato e ben confezionato. Tra le novità più interessanti c'è il nuovo personaggio interpretato da Gianmarco Saurino. Se avete amato la prima stagione, la seconda non vi deluderà.
👍🏻
L'alto valore produttivo della serie.
Il magnetismo di Matilda De Angelis.
La regia di Matteo Rovere.
La fotografia e i costumi.
La colonna sonora di Massimiliano Mechelli.
Il cast: in questa seconda stagione spicca la new entry Gianmarco Saurino.
👎🏻
Questi nuovi episodi sono un "more of the same", ma se avete gradito la prima stagione non vi deluderanno.
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My Old Ass: un profondo e dolcissimo inno generazionale

La saggezza dei 39 anni dialoga con l'entusiasmo passionale dei 18: My Old Ass è un film che non si dimentica.
Non fate l'errore di perdervi My Old Ass (su Prime Video), un piccolo film destinato a perdersi nella marea di offerta on demand della piattaforma e che invece merita di essere estratto, amato e ricordato. Non capita spesso un film sentimentale così, capace di essere contemporaneamente "generazionale" (per come racconta l'epoca specifica in cui viviamo e chi è giovane oggi) e "universale" (per come la vicenda che racconta non può che riecheggiare nel vissuto di tutti, a prescindere dalla generazione a cui appartengono).
My Old Ass ha una premessa quasi magica, eppure è uno dei film più veri dell'anno. Come in un classico di Frank Capra o Richard Curtis, il soprannaturale irrompe nel reale non per fare un fantasy, ma per illuminare la realtà. Durante un campeggio con le amiche, Elliot (Maisy Stella, eccezionale) riceve la visita di sé stessa da grande (Aubrey Plaza, strepitosa e che ve lo dico a fare). A ritmo di irresistibile commedia si confrontano sul futuro di una/passato dell'altra: cosa abbiamo fatto? Cosa stiamo per fare? Perché dobbiamo stare lontane da un ragazzo di nome Chad (Percy White)?

Il genio di My Old Ass (tutto farina nel sacco di Megan Park che lo ha scritto e diretto) sta nel non fare una commedia soprannaturale. Anziché spremere l'interazione meravigliosa di due grandi attrici fino all'inevitabile momento in cui la premessa fantastica perde novità, inizia ad annoiare e si banalizza nel tentativo di conciliare il mondo vero con un personaggio che parla da solo, Park toglie subito di mezzo "my old ass" (come Elliot chiama affettuosamente la sua alter ego) facendola rimanere una presenza-assenza, un numero in rubrica da chiamare una volta ogni tanto, ma che lascia il campo libero alla protagonista e alla riflessione esistenziale scatenata da questo confronto con il (proprio) futuro.
Su questa premessa di una diciottenne ancora spensierata ma che inizia a guardare avanti - cioè a maturare - My Old Ass costruisce un character study così riuscito e commovente da illuminare con la sua forza un intero pezzo di mondo e di presente. Raramente si ha il privilegio di conoscere un personaggio così a fondo come Elliot, partecipando - spesso ridendo e altrettanto spesso con le lacrime agli occhi - ai suoi sforzi per trovare una direzione da seguire e una conciliazione con le persone che ha intorno.
Elliot è una figlia di contadini che vuole cambiare vita per studiare in Canada, e che meraviglia il modo in cui Parker lavora su quegli ambienti di periferia, i prati, il fiume con le barche, i campi, di cui già ci fa sentire la nostalgia prima di averli lasciati. È una ragazza che si è sempre considerata gay e che invece scopre che forse le piacciono anche i ragazzi (quanto poche sono - perfino oggi - le belle rappresentazioni di identità bisessuali al cinema). È una Gen Z-er fino al midollo, che partecipa in pieno alla rivoluzione identitaria di questi anni, ma in My Old Ass non troverete neanche un fotogramma predicatorio o falso-progressista. Queste sono persone vere coi loro affetti, aspirazioni e paure. E questo è uno dei film dell'anno.
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New Trailer for second season of The Last Of Us is out
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Back in Action: un'operazione simpatia per il ritorno in scena di Cameron Diaz

L'attrice fa coppia con Jamie Foxx nella commedia d'azione diretta da Seth Gordon. Il risultato? Godibile, nonostante tutto. In streaming su Netflix.
Per misurare il grado di Back in Action vi riportiamo un esempio eclatante: Jamie Foxx, mentre Cameron Diaz è al volante, sfrecciando tra automobili, riesce a far saltare per aria una macchina gettando dentro l'abitacolo una bottiglia di Coca-Cola riempita di Mentos. A memoria, una scena tanto assurda quanto inconfondibile, e riprova di quanto il regista, Seth Gordon, le abbia tentate tutte per districare il film dal solito approccio standardizzato di certi prodotti Netflix (scritti seguendo il famigerato algoritmo).

Cameron Diaz in Back in Action
Sarà l'alchimia tra i protagonisti, saranno le scene action - ben girate e, il meno banali possibile - ma Back in Action si dimostra un'action comedy abbastanza riuscita, e misurata secondo lo schema streaming di un pubblico casalingo. Né più, né meno.
Back in Action: tornare in azione

Cameron Diaz e Jamie Foxx in Back in Action
Nemmeno a dirlo, lo script di Back in Action, firmato da Gordon insieme a Brendan O'Brien, scorre via senza intoppi, nella sua prevedibile lettura. Colpi di scena compresi. La trama gira attorno ad Emily e Matt (interpretati appunto da Cameron Diaz e Jamie Foxx) che, abbandonata la vita da agenti della CIA, mettono su famiglia. Peccato che, come spesso accade, il passato torni a bussare (anzi, a sparare) alla loro porta.
Portando con loro i propri figli - in età pre-adolescenziale, e quindi la sfida si fa impossibile - Emily e Matt perdono la loro copertura, venendo nuovamente trascinati in una missione ad alto rischio. Che, però, rinsalderà il legame famigliare.
La simpatia di Cameron Diaz e Jamie Foxx

Una scena con Jamie Foxx
Back in Action, essenzialmente, gioca su una domanda: cosa accadrebbe se una spia avesse un figlio? Da qui in poi, pensando già ad un possibile sequel, il film alterna azione e umorismo in quasi due ore, portando a favore di camera sia Foxx che Diaz. Non c'è dubbio che il maggior punto attrattivo di Back in Action siano proprio i due protagonisti. Tra l'altro, con un titolo profetico, la pellicola riporta in azione Cameron Diaz a dieci anni (!) dall'ultimo film (era Annie - La felicità è contagiosa, e nel cast c'era anche l'amico Foxx). Insomma, potrebbe bastare (e avanzare) questo per rendere l'opera passabile di visione, senza ragionare in termini di originalità narrativa, né in termini di rilevanza cinematografica.
Ammiccando a Jason Bourne e Mr. and Mrs. Smith, Gordon corre sul doppio binario action a prova di utenti (distratti): le sequenze più movimentate sono enfatizzate dai soliti brani occasionali tipici dei prodotti Netflix, riempiendo poi la sottotraccia con una narrazione che illumina le incomunicabilità peculiari della famiglia moderna, nonché divenendo il collante degli eventi, più o meno (ma soprattutto più) telefonati. Tuttavia, se messo a paragone con altri titoli similari, Back in Action ha, dalla sua, una certa simpatia che lo rende godibile.
Conclusioni
Il ritorno di Cameron Diaz in un film d'azione che punta alla simpatia. Carta vincente, insieme al cast e a diverse intuizioni sceniche particolarmente divertenti. Una visione piacevole, al netto di una pur palese prevedibilità, frutto di uno schema narrativo ben rodato dalle operazioni streaming Netflix.
👍🏻
La presenza di Cameron Diaz.
Dieverse scene action azzeccate.
L'alchimia tra i protagonisti.
👎🏻
Niente di originale, anzi.
Troppo lungo.
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