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CTRL: come ti sfascio l'influencer in un film dai riverberi interessanti
Quello di Vikramaditya Motwane è un film squilibrato, con una bella intuizione visiva e una certa difficoltà nell'impostare la sua anima da thriller, ma con una coerenza tematica da non scartare. In streaming su Netflix.
Con CTRL continua la proficua collaborazione tra Netflix e Vikramaditya Motwane, uno dei nomi più conosciuti del cinema indiano pop, oltre che un professionista dall'indubbia esperienza. Produttore, sceneggiatore e regista, un nome che si è distinto nel corso della sua carriera per la volontà di sperimentare con il linguaggio e per la capacità di lavorare con i drammi adolescenziali. Entrambe le cose sono rintracciabili nel suo ultimo lavoro.
Ananya Panday in CTRL
La pellicola con protagonista Ananya Panday ha il pregio di unire le ambizioni e la visione artistica di Motwane, l'indole tutta indiana di lavorare con i generi cinematografici (in questo caso romance, coming of age e il thriller) non preoccupandosi di espanderli quasi al punto da renderli caricaturali e il linguaggio pop che la piattaforma del Tu Dum esige per i suoi prodotti, in modo che siano spendibili sempre e comunque su mercato internazionale.
Un ibrido stratificato che, nonostante sia potenzialmente nocivo, viene sopportato (pur con qualche scricchiolio) da una pellicola che vanta un'ottima trovata visiva e si basa su un immaginario narrativo piuttosto collaudato, anche da altri originali dello stesso streamer. Il film quindi, anche se poco compatto nel tono, risulta coerente sia da un punto di vista visivo che da politico con in più una postilla finale piuttosto tetra e poco consolatoria.
"La vita che sogni è tutta un pacco"
Ananya Panday è Nella
La vita da influencer è tutto un gioco di sovraesposizione in cui la realtà piano piano non diventa più un fattore rilevante, scartata dal sacro algoritmo il cui buon funzionamento fa tutta la differenza tra successo e sconfitta, tra realizzazione e disfatta. Ma siamo certi che sia una realizzazione autentica e pienamente soddisfacente?
Ovviamente no, almeno questo ci dice CTRL, mostrandoci la nascita, l'ascesa e la caduta di una coppia di creator di successo, Nella (Panday) e Joe (Vihann Samat), partendo dal loro colpo di fulmine al momento in cui la ragazza sorprende il suo lui baciare un'altra davanti a milioni di followers. Da questa premessa la vera storia parte, mantenendo sempre il punto di vista della ragazza, che è costretta a rifarsi una vita (cioè una vita online) al di fuori del ragazzo, considerato da tutti (anche da lei) la colonna portante del duo.
Se mi lasci ti cancello… dall'online.
Troverà un alleato in un IA di un app chiamata, appunto, CTRL, la quale, dal compito assegnatogli di cancellare Joe dalla memoria in rete di Nella, passerà con il gestirle piano piano l'esistenza, rilanciandone la carriera, ma condannandola a qualcosa di peggio. Intanto Joe non se la passa meglio, anzi, per qualche motivo sparisce improvvisamente (forse la IA ha recepito il comando troppo alla lettera?), lasciando dietro di lui una traccia flebile, ma dalla risonanza potenzialmente esplosiva per tutto il Paese.
CTRL, non CTRL-Z
Le prime vittime di CTRL
Il gioco su cui si basa CTRL è quello di gettare un'ombra oscura sulla vita mostrata sui social dagli influencer, adottando il punto di vista di una di loro per renderla la prima vittima di questo sistema e destrutturandone completamente la sua figura, anche in maniera probabilmente piuttosto semplicista, soprattutto quando parla della sua riaffermazione dopo la scissione della coppia.
La trovata di riprendere (per il 90% del minutaggio) la protagonista attraverso occhi che non sono quelli diretti della cinepresa è un'ottima trovata perché permette di sentire l'artificiosità della vita che il film denuncia a gran voce fin dall'inizio, ma, come ogni thriller dall'eco politico che si rispetti, la posta in gioco è sempre più alta. Ecco allora che una pellicola più piccola diventa un trattato dalle ambizioni quasi antropologiche, alzando costantemente il tiro. Qui c'è il momento in cui il titolo traballa sul serio, ampliando le proprie dimensioni in modo irruento e non propriamente calibrato, peccando dal punto di vista dello sviluppo logico della trama.
I protagonisti del film
Se però, arrivati alla svolta, il film deficita dal punto di vista narrativo, si riafferma dal punto di vista tematico. CTRL fa della sua protagonista l'archetipo di una figura appartenente ad un sistema che ti conquista con l'idea di darti gli strumenti per realizzare i tuoi sogni per poi rivelare come ti possieda e possa fare di te ciò che più gli aggrada. Non c'è possibilità di ribaltamento, e non c'è modo di tornare indietro. Non si possono cancellare le azioni passate e non c'è via di uscita, neanche nella realtà, talmente trasfigurata nella sua versione digitale da averne assorbito tutto il contenuto emotivo. L'unica illusione a cadere è quella di poter fare ancora una distinzione concreta.
Conclusioni
CTRL è un film che ha l'ambizione di fare il salto internazionale pur mantenendo le caratteristiche della sua dimensione cinematografica di riferimento. Cerca di farlo con una tematica ormai socialmente universale, con una protagonista forte come Ananya Panday e un regista stracollaudato come Vikramaditya Motwane. Non tutto è calibrato al millimetro, ma il titolo riesce ad essere sempre coerente, pur con i suoi sbalzi e i suoi cambi di registro, grazie soprattutto ad un'ottima trovata visiva e ad un'ambizione tematica che serve fino alle estreme conseguenze.
👍🏻
La buona prova recitativa di Ananya Panday.
La trovata visiva è funzionale e intelligente.
Il cammino tematico e politico è coerente.
👎🏻
Ci sono dei problemi nel cambio di registro.
Il film scricchiola a livello di costruzione narrativa.
C'è un disequilibrio tra volontà pop e la propria dimensione culturale.
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Megalopolis: il futuro di Coppola è già passato
"Sono due le cose che non si riescono a guardare direttamente negli occhi: il sole e la propria anima". Lo dice Cesar Catilina, il protagonista del film inseguito per metà della propria vita, ma è come se Francis Ford Coppola lo dicesse a se stesso.
Adam Driver e Nathalie Emmanuel in Megalopolis
I cattivi presagi si erano allineati numerosi: la scrittura del film è stata rimaneggiata innumerevoli volte, passati gli anni (e diminuito il potere commerciale del regista) nessuno ha voluto produrre il film. Coppola ha deciso quindi di farlo da solo, mettendo insieme 120 milioni di dollari di budget attingendo dai suoi vigneti in California. Una volta realizzato però nessuno ha voluto distribuirlo, alimentando la leggenda di un film invendibile e senza un pubblico. Poi è arrivato il concorso a Cannes.
Tanta passione, tanta forza di volontà sono ammirevoli e commoventi. Ma è da dire subito: Megalopolis è un film destinato a provocare reazioni forti, di repulsione totale o amore incondizionato. Si può comunque cercare di essere equilibrati nella sua analisi, riconoscendo che accanto a tanti difetti ci siano anche diversi aspetti positivi. Primo tra tutti un amore sconfinato e una fiducia totale nel cinema, diventato scopo e metafora di una vita.
La trama: benvenuto a New Rome
Aubrey Plaza in Megalopolis
La trama di Megalopolis su carta è semplice, ma difficilmente riesce a rendere cosa sia davvero l'esperienza che provoca la visione del film di Coppia. Ci troviamo in un futuro prossimo, a New Rome: una New York che si ispira all'Impero romano. Cesar Catilina (Adam Driver) è un architetto geniale, che immagina una città del futuro ideale, costruita con un materiale di sua invenzione, il megalon, di origine organica.
Il sindaco, Franklyn Cicero (Giancarlo Esposito), non ama il suo modo di pensare e il seguito che ha. I cittadini hanno bisogno di ospedali, di strade, cose concrete, non di sogni. Quando sua figlia, Julia (Nathalie Emmanuel), vede come Cesare sia in grado di fermare il tempo, ne rimane affascinata e gli chiede di insegnarle a piegare spazio e tempo alla propria volontà. Come è facile immaginare, al padre la cosa non fa affatto piacere.
Contemporaneamente la giornalista televisiva Wow Platinum (Aubrey Plaza), con cui l'architetto ha avuto una relazione, comincia a pianificare la vendetta contro di lui dopo essere stata lasciata: sposa suo zio, il milionario Hamilton Crassus III (Jon Voight), e si allea con il figlio, Clodio Pulcher (Shia LaBeouf), che odia il cugino Cesar Catilina e progetta un'ascesa politica.
Il sogno delirante di Coppola
Dal regista di Apocalypse Now e Il padrino non ci si può aspettare niente di meno che una grande ambizione. Questa volta però alla vera e propria megalomania di Coppola non si accompagna un'altrettanto chiara visione. C'è tutto in Megalopolis: la vita, la morte, il passato, il futuro, la critica alla società contemporanea, ormai fatta di assoluti e polarizzazioni, il declino morale, tipico di ogni civiltà che abbia raggiunto un benessere e un potere tali da corrompere e involgarire i suoi componenti. C'è anche un chiaro riferimento a Trump, grazie al personaggio di LaBeouf, e perfino a pop star come Taylor Swift, che catalizzano l'attenzione non facendo pensare ai cittadini cosa stia realmente succedendo. Panem et circenses.
Adam Driver in Megalopolis
Le immagini seguono questa sovrabbondanza di idee e temi, che spaziano dalla filosofia alla medicina, dall'importanza della creazione artistica alla sete di potere. Cesar Catilina, alter ego di Coppola, è ossessionato dal tempo: come un regista sul suo set, il personaggio immagina la propria città ideale, esattamente come l'autore rimaneggia infinite volte, davanti ai nostri occhi, il film inseguito talmente tanto a lungo da diventare parabola della sua stessa vita. Purtroppo però accanto a immagini e idee belle, ce ne sono altrettante completamente stonate, arrivando a momenti e battute (più o meno consapevolmente) imperdonabilmente trash. Guardando l'immagine - realizzata con una computer grafica non all'altezza - di una nuvola che assume la forma di una mano e ruba la luna, non si può non pensare a cosa sarebbe potuto essere Megalopolis se avesse avuto un produttore diverso da Coppola, in grado di frenare il regista nei momenti di delirio immaginifico.
Le donne di Megalopolis
Se ambizione e sovrabbondanza possono essere dei pregi, non lo è la presunzione di immaginare un mondo nuovo, forse addirittura di riscrivere le regole del cinema, rimanendo però ancorato a una vecchia visione del mondo. Coppola invoca continuamente il futuro, ma non è più davvero in grado di mettercisi in comunicazione, perché indissolubilmente legato al passato. Il regista è senza dubbio uno dei grandi del Novecento, ma, appunto, non ha più gli strumenti per essere rivoluzionario.
Coppola sul set di Megalopolis
Questo è evidente se si analizzano i personaggi femminili: tutte le donne di Megalopolis sono relegate a sole due funzioni. Essere madri e aiutare gli uomini di potere che hanno accanto a eccellere nei loro campi. Nel caso di Wow a ostacolarli. Come si può immaginare una società diversa se metà della popolazione è vista e percepita in modo così bidimensionale? Megalopolis mostra quindi l'altra faccia del suo delirio: si tratta del capriccio di un uomo privilegiato, che, per soddisfare il proprio desiderio, ha speso una fortuna, dando sfogo alle sue elucubrazioni filosofiche sul mondo dalla propria posizione di vantaggio, potendosi permettere di non pensare a un pubblico che non sia se stesso. Per molti sicuramente qualcosa di commovente, per altri un atto di pura hubrys.
Conclusioni
In conclusione Megalopolis, il film di Coppola inseguito per quarant'anni è una parabola della vita del regista, che ha nell'architetto Cesar Catilina interpretato da Adam Driver il proprio alter ego. Ambizione, sovrabbondanza di temi e immagini, trash e ridicolo involontario: c'è di tutto in Megalopolis. Sicuramente un'esperienza cinematografica unica, ma non un film riuscito.
👍🏻
Il coronamento di un sogno da parte di un grandissimo del cinema.
Alcune immagini e idee.
👎🏻
Il trash più o meno volontario.
Lo spaesamento di diversi membri del cast.
La cattiva fattura di molti effetti speciali.
La scrittura dei personaggi femminili.
#megalopolis#francis ford coppola#adam driver#aubrey plaza#nathalie emmanuel#shia labeouf#giancarlo esposito#recensione#review
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The first trailer for the ‘UNTIL DAWN’ live-action film has released Releasing April 25
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First poster for ‘DAREDEVIL: BORN AGAIN’ Premiering March 4 on Disney+
#daredevil born again#daredevil#daredevil comics#marvel daredevil#marvel characters#marvel mcu#marvel cinematic universe#marvel comics#mcu#marvel movies#marvel television#foggy nelson#matthew murdock#defenders
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NEW trailer for Daredevil: Born Again, set to premiere March 4 on Disney+!
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Operazione Speciale: Lioness, un thriller spionistico al femminile
Taylor Sheridan oramai è di casa su Paramount+, avendo creato gran parte dell'offerta seriale originale attualmente presente sulla piattaforma. Eccezion fatta per Yellowstone, da cui tutto è partito e che da noi è disponibile in esclusiva su Sky e NOW per una questione di diritti, i suoi spin-off 1883 e 1923 e le serie separate da quell'universo, Mayor of Kingstown e Tulsa King, costituiscono l'ossatura del recente servizio streaming.
Punto di vista inedito?
Operazione Speciale Lioness: Zoe Saldana in una scena
Questo nuovo thriller spionistico, che conferma la capacità di Taylor Sheridan di maneggiare il genere e la materia, inizia quasi come la miniserie Maid, ovvero con una giovane donna, Cruz (Laysla De Oliveira) che prova a fuggire dal fidanzato violento in un quartiere degradato, per poi diventare qualcos'altro, quando lei si ritrova in un avamposto dei Marine, che potrebbe mostrarle una nuova strada dove incanalare tutta la sua rabbia e che potrebbe "salvarla". A quel punto arriva il reclutamento nel programma militare americano Lioness, realmente esistente, che addestra giovani donne non solo ad essere spietati soldati ma soprattutto a mascherarsi nella folla sotto copertura per entrare in contatto con possibili fonti in Medio Oriente nella lotta al terrorismo. Le fonti sono donne anche loro: figlie, sorelle, mogli, madri che potrebbero aiutare l'esercito statunitense ad arrivare ai loro figli, fratelli, mariti, padri per fermarli.
Propaganda militare?
Operazione Speciale Lioness: una scena
Il punto di vista sembra quindi inedito per la solita storia di lotta al terrorismo raccontata oggigiorno, soprattutto alla serialità che a Homeland deve molto se non tutto, ma la serie è stata tacciata di propaganda guerrafondaia che ha in fondo sempre caratterizzato la serialità di Sheridan. Anche qui, pensandoci, c'è una distinzione fin troppo netta tra buoni e cattivi, tra amici e nemici. Allo stesso tempo però risulta interessante vedere la messa in atto di quest'operazione sui generis, tra gite al mercato e incontri in gioielleria piuttosto che tra le dune di sabbia nel deserto o in covi in edifici segreti.
Operazione Speciale Lioness: un'immagine della serie
Il bilanciamento tra vita privata e professionale è sicuramente il core di Operazione speciale: Lioness, come dimostrano anche gli altri personaggi. Sheridan ha messo in piedi un cast stellare ancora una volta, dopo la coppia Ford-Mirren in 1923 e Renner e Stallone protagonisti di Mayor e Tulsa: Zoe Saldana, reduce dai successi delle saghe di Guardiani della Galassia e Avatar, imbraccia le vesti di Joe, un'agente della CIA che fatica a mantenere in piedi il proprio matrimonio con Neil (Dave Annable), un oncologo pediatrico, e il proprio rapporto con le loro due figlie. C'è molta onestà in questa relazione, bisogna ammetterlo, dato che la coppia parla con disinvoltura di relazioni casuali extraconiugali rispettive per poter sopravvivere e "sentire qualcosa", quando si ritrovano dopo mesi sotto lo stesso tetto.
Cast stellare
Operazione Speciale Lioness: un momento della serie
Creata da Sheridan insieme a Jill Wagner, che nella serie interpreta la leader della squadra, Bobby, la serie ha come fiore all'occhiello sicuramente la caratteristica di poter vantare nel proprio arsenale anche Michael Kelly (reduce dal successo di un'altra serie spionistica, Tom Clancy's Jack Ryan) nei panni del supervisore della CIA Byron Westfield e Nicole Kidman in quelli del supervisore di Joe, Kaitlyn Meade, e infine Morgan Freeman nel ruolo di Edwin Mullis.
Operazione Speciale Lioness: una scena della serie
Quello che viene messo in piedi è quasi un passaggio di testimone generazionale tra le donne dello show, che nei rari momenti di quiete possono condividere e confrontare le proprie esperienze sul campo e nella vita. Non è detto che la guerra là fuori sia l'unica che queste donne vivono e non è detto nemmeno che sia la più pericolosa. In questo ricorda quasi un Army Wives - Conflitti del cuore al contrario. Operazione speciale: Lioness è la serie che fa al caso vostro se volete un intrattenimento complesso ma non troppo, che guarda fuori dalla finestra per raccontare lo spionaggio oggi, soprattutto quello relativo al fermare un eventuale prossimo 11 settembre e le conseguenze che ciò comporta sulle famiglie dei soldati che decidono di arruolarsi.
Conclusioni
In conclusione Operazione Speciale: Lioness è l’ennesima serie di Taylor Sheridan per Paramount+ che si muove pericolosamente tra l’innovativo e il vecchio stampo, proponendo un intrattenimento non troppo impegnato che guarda all’attualità e ai delicati rapporti tanto dentro casa quanto sul campo di battaglia, e non è detto che questi ultimi siano i più difficili da gestire.
👍🏻
Il punto di vista inedito femminile sia per quanto riguarda i Marine che le fonti che queste devono avvicinare.
Il cast stellare coinvolto.
La messa in scena e i dialoghi asciutti ad alta tensione.
👎🏻
Il rischio di propaganda militare, di cui è stata tacciata la serie, c’è.
#special operations lioness#lioness#paramount plus#paramount#operazione speciale lioness#zoe saldana#nicole kidman#taylor sheridan#recensione#review
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Saturday Night: un grande film che ci porta dietro le quinte della storia della tv
La frenesia, il caos, l'anarchia. E ovviamente il divertimento. La cronaca in tempo reale firmata da Jason Reitman dei 90 minuti che precedono il debutto di un'programma che ha segnato la storia della televisione americana.
11 ottobre 1975. La data in cui debuttava il Saturday Night Live, uno dei programmi che hanno avuto il maggior impatto sulla storia della televisione americana, (ri)definendo i canoni della comicità e del costume americano, dell'intrattenimento e dello spettacolo. Quasi cinquant'anni di un live show che ha ospitato i più grandi comici e personaggi dello show-biz americano, volti che tutti abbiamo imparato a conoscere e amare anche dalle nostre parti. Dai Blues Brothers John Belushi e Dan Aykroyd con i Ghostbusters originali, a Chevy Chase, Andy Kaufman, Jane Curtin e un'infinità di volti che hanno popolate il sabato sera americano travolgendo il pubblico.
Un mondo che Jason Reitman ha deciso di omaggiare, appunto, in Saturday Night. Un'operazione costruita ad hoc per trasmettere in senso di caos controllato, anarchia e follia che serpeggiava nel dietro le quinte del format. Un'operazione cinematografica che qui da noi è arrivato in sala con un'uscita evento di tre giorni dopo il lancio alla Festa del Cinema di Roma. Perché per quanto iconico, il SNL purtroppo è argomento per (soli) appassionati.
Il caos e l'anarchia, in tempo reale
Gabriel LaBelle nei panni di Lorne Michaels con Cory Michael Smith (Chevy Chase) e Kaia Gerber (Jaqueline Carlin)
Una prima puntata da mandare in onda, dal vivo, una forma ancora da trovare. Nel cuore e la mente di Lorne Michaels, il celebre creatore del programma, regna la stessa confusione che anima i corridoi del dietro le quinte, tra i troppi sketch e numeri da sfoltire, riordinare, provare, e i tanti comici che vagano alla ricerca di uno spazio da conquistare, tra quelli più esuberanti, sicuri di sé, affermati come Chevy Chase o Dan Aykroyd, quelli problematici come John Belushi, quelli che vorrebbero una maggior certezza di ciò che li aspetta, come Billy Crystal o il creatore dei Muppet, Jim Henson. Il tutto mentre i responsabili della NBC non cercano altro che una scusa per fermare tutto e ribadire che è meglio mandare in onda le repliche di grandi classici della tv come il Johnny Carson Show. Un caos a cui dar forma, per trovare la quadra di un programma difficile da definire, perché nuovo e innovativo, rivoluzionario e avanti con i tempi, coraggioso e anarchico. Nel senso migliore del termine, quello capace di smuovere lo status quo con la sua energia ribelle.
Dietro le quinte di un mito
Jason Reitman ha vissuto quel mondo, da figlio di Ivan e coinvolto con il programma e i suoi volti storici. Ne ha respirato la frenesia e l'anarchia creativa, che ha voluto portare su schermo in Saturday Night con l'espediente del backstage da farci vivere in tempo reale. La sua camera si muove (apparentemente) senza controllo tra i corridoi del teatro, tra camerini, set da ultimare e copioni ancora da finalizzare o addirittura mancanti, tra incidenti, imprevisti e organizzazione ancora da trovare. È il senso dello spettacolo dal vivo che emerge in tutta la sua prepotenza, con virtuosismi di regia abilmente mascherati dall'apparente disordine, al servizio di un racconto capace di immergerci in quella situazione caotica quanto creativa, fucina di un cambiamento epocale, di una rivoluzione culturale, che stava per arrivare nel palinsesto della NBC (e non solo).
Il caotico set del Saturday Night Live
Un lavoro di regia impeccabile che si accompagna a uno altrettanto solido di scrittura, per una sceneggiatura curata dallo stesso Reitman insieme a Gil Kenan che tratteggia con cura tutte le figure coinvolte, senza mai scadere in eccessi o nella macchietta, riuscendo a sottolineare l'importanza del momento e definendo la situazione televisiva americana del periodo con rapide ma efficaci pennellate di dialoghi e situazioni. Una qualità di costruzione narrativa su cui poggiano alla perfezione le prove di tutti i membri del cast, a cominciare dal protagonista Gabriel LaBelle, che ci conquista con il suo Lorne Michaels, a Nicholas Braun impagabile nel doppio ruolo di Andy Kaufman e Jim Henson, fino a Matt Wood che riesce a incarnare la struggente malinconia di John Belushi.
Saturday Night Live, un fenomeno da conoscere
Il Saturday Night di Reitman è un tuffo in quel mondo, in cui gli appassionati ritroveranno riferimenti e citazioni infinite di un qualcosa che già conoscono e amano, ma il film ha la capacità di essere anche un modo per conoscere un fenomeno soprattutto americano di cui una fetta considerevole di pubblico nostrano potrebbe non essere adeguatamente a conoscenza. Il valore dell'opera di Jason Reitman è quindi duplice: da una parte di sentito e doveroso omaggio alla soglia del mezzo secolo di vita, ma dall'altro di far trapelare e capire l'importanza di quel programma e di quel momento storico anche a chi dovesse esserne a digiuno.
Il cast del film di Jason Reitman
In quei frenetici 90 minuti c'è il brivido di un qualcosa di grande che sta per accadere, in bilico su quell'incredibile linea sottile tra la gloria e il baratro, che riesce per miracolo ad allineare tutti gli elementi dando vita a quel miracolo che è stato, ed è ancora, lo show creato da Lorne Michaels. Un film che è un regalo da parte di Jason Reitman e che non possiamo far altro che accettare e godere della sua profonda bellezza.
Conclusioni
In conclusione è un gran film il Saturday Night di Jason Reitman, un'opera preziosa per ciò che racconta e per come ci immerge in uno spaccato del mondo dell'intrattenimento e della cultura americana, ma anche per come lo fa, con una qualità di scrittura e di regia elevatissima. Non sono da meno gli interpreti, dal protagonista Gabriel LaBella a Matt Wood e Nicholas Braun, che portano su schermo versioni credibili e autentiche delle loro controparti. Non bisogna fare l'errore di credere che sia un film capace di parlare solo agli estimatori del Saturday Night Live, perché Reitman riesce a parlare anche a chi ne è a digiuno, che perderà qualche riferimento ma imparerà a conoscere una rivoluzione, ancora in corso, di tutto ciò che è cultura e intrattenimento americano.
👍🏻
La regia di Jason Reitman, un apparente caos controllato e puntuale.
La scrittura, solida e capace di approfondire un mondo con rapide pennellate.
Il cast, tutto, che restituisce su schermo i grandi protagonisti di quel fenomeno che è stato ed è ancora il Saturday Night Live.
Lo sguardo dietro le quinte di un fenomeno di costume e di uno spettacolo di questa importanza.
👎🏻
I non conoscitori perderanno qualche riferimento, ma impareranno a conoscere l'anarchia creativa di quel mondo.
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Inganno: sesso thriller per Monica Guerritore e Giacomo Gianniotti
Pappi Corsicato esplora i rapporti umani affrontando uno degli ultimi tabù: la relazione di una donna matura con un uomo più giovane. Peccato che la serie stimoli solo il voyeurismo invece che il cervello. Su Netflix.
Guardando Inganno, serie in sei episodi diretta da Pappi Corsicato, su Netflix, viene in mente il film di Woody Allen Basta che funzioni. Un maturo Larry David (storico co-creatore di Seinfeld e protagonista di Curb Your Enthusiasm), nel ruolo dello scienziato Boris Yellnikoff, nonostante all'inizio non ne voglia sapere, finisce per innamorarsi della molto più giovane Melody, ragazza del Mississippi scappata a New York, interpretata da Evan Rachel Wood. La loro è una coppia che su carta è assurda, ma, come dice il protagonista: "Qualunque amore riusciate a dare e ad avere, qualunque felicità riusciate a rubacchiare o a procurare, qualunque temporanea elargizione di grazia: basta che funzioni".
Monica Guerritore e Giacomo Gianniotti in Inganno
È lo stesso anche nella serie scritta da Teresa Ciabatti, Eleonora Cimpanelli, Flaminia Gressi, Michela Straniero a partire dall'originale inglese Gold Digger, con protagonisti Julia Ormond e Ben Barnes. Nella versione italiana, ambientata in una stupenda villa sulla Costiera Amalfitana, a cercare di "rubare un po' di felicità" sono Gabriella, proprietaria sessantenne della lussuosa dimora, hotel di prestigio di cui si occupa personalmente, ed Elia, skipper italo-americano trentenne. I due si incontrano per caso, o almeno così sembra all'inizio. E scatta immediatamente una passione irresistibile, tanto che, nonostante tutti, anche se stessa, le facciano pesare la differenza d'età, la donna accetta di sposarlo.
A interpretare questa "coppia che scotta" sono Monica Guerritore e Giacomo Gianniotti, prima dottor Andrew DeLuca nella serie Grey's Anatomy, poi sostituto di Luca Marinelli nella trilogia su Diabolik dei Manetti Bros. Ma l'attrazione che Elia prova per Gabriella è sincera, oppure, come credono i tre figli di lei, si tratta di un imbroglione che sta semplicemente cercando di mettere le mani sull'eredità? Testimone di tutti gli intrighi e i colpi di scena è il corgi Rocco, ribattezzato presto "Guaio" che, come noi, sembra farsi una domanda: ma Inganno è la "Caprera" di Pappi Corsicato (chi ha visto Boris capirà al volo il riferimento)?
Sesso senza amore?
Una scena di Inganno
Purtroppo ci sono tante cose che non funzionano in Inganno. A cominciare dai dialoghi (quando sentirete le parole "ho preso la zoccola" saprete che si è raggiunto l'acme, o il fondo, a seconda dei punti di vista) e dagli attori. Giacomo Gianniotti ha la giusta presenza scenica, ma sembra più a suo agio nelle scene di nudo che con le battute. Emanuel Caserio, che ha il ruolo di Stefano, primogenito della protagonista e avvocato, pronto a ricorrere all'infermità mentale per impedire il matrimonio con Elia, è da tanti anni tra i volti principali di Il paradiso delle signore, e porta alla serie un sapore di soap opera.
Scene madri che arrivano all'improvviso, urla, scene di sesso che arrivano ancora più all'improvviso delle litigate: Inganno non va troppo per il sottile, solleticando il lato voyeuristico dello spettatore, più che il cervello. Quando poi ci sono dubbi, o vuoti, interviene una colonna sonora piena dei brani più diversi, da July Tree di Nina Simone ad Anna di Liberato. Non si può negare però che Monica Guerritore si conceda in modo generoso e senza paura sullo schermo: è lei la cosa migliore della serie.
Anche perché, in potenza, Inganno avrebbe potuto essere una riflessione interessante su uno degli ultimi tabù della nostra società: ovvero le relazioni tra donne più grandi e uomini più giovani. Siamo abituati al contrario, ma una donna matura che prova desiderio per un ragazzo che potrebbe essere suo figlio fa, ancora oggi, scalpore. Un retaggio radicato, forse perché qualcuno non accetta l'idea che il desiderio sessuale fine a se stesso ce l'abbiano anche le donne. A maggior ragione una donna che non deve più occuparsi di niente e nessuno se non di se stessa. Peccato che questo aspetto interessante sia invece sepolto sotto una coltre spessissima di trash.
Conclusioni
In conclusione Inganno di Pappi Corsicato racconta la passione tra una donna di 60 anni e un uomo con la metà dei suoi anni. A interpretarli Monica Guerritore e Giacomo Gianniotti, che si concedono generosamente nelle scene di intimità. Purtroppo però ci sono molte cose che non funzionano, a partire dai dialoghi e da diversi interpreti non all'altezza. Nonostante uno spunto interessante, ovvero esplorare il desiderio femminile in età più matura, tutto diventa presto irrimediabilmente trash.
👍🏻
Il coraggio di Monica Guerritore.
La villa sulla Costiera Amalfitana che fa da set.
Il corgi.
👎🏻
I dialoghi da soap opera.
La recitazione di diversi interpreti.
La frequente mancanza di consequenzialità delle reazioni dei protagonisti.
Il trash che finisce per inglobare tutto.
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Le piccole cose della vita: Kathryn Hahn supera se stessa
Esiste forse un unico lato positivo della sofferenza, di qualsiasi forma essa sia: "Un giorno tutto quel dolore ci sarà utile", forse anche solo per poter dire a chi soffre che non è solo, che in quel posto buio della mente e dell'anima, ci siamo stati anche noi, in maniera diversissima ma maledettamente uguale. Questo approccio è la filosofia dietro il successo di una rubrica di consigli, Dear Sugar, portata avanti dalla scrittrice Cheryl Strayed in forma anonima per anni sulla rivista americana online The Rumpus fino al 2012, anno in cui ha dichiarato di esserne l'autrice. Diventata un libro che raccoglieva le lettere più significative, è stato prima adattato come opera teatrale dalla candidata all'oscar Nia Vardalos ed ora, nelle mani della Hello Sunshine di Reese Witherspoon e prodotta da quest'ultima e Laura Dern è diventata una miniserie sbarcata su Disney+ nel 2023. Di Le piccole cose della vita, questo il titolo del libro e della serie in 8 episodi di 30' creata da Liz Tigelaar, la stessa di Little Fires Everywhere, con Kathryn Hahn nel ruolo della protagonista scrittrice Clare Pierce, non si può non elogiare l'intensità e la profondità con cui le parole e l'esperienza di Strayed dalla carta hanno preso vita sul piccolo schermo.
Le piccole cose della vita: un'immagine della serie
Cheryl Strayed è la stessa autrice di un successo letterario e poi cinematografico, Wild (2015) interpretato da Reese Witherspoon. A giudicare dalla resa di questi otto episodi, è già evidente che sia Witherspoon che Laura Dern abbiano, da produttrici esecutive, un occhio abile e allenato ad individuare i temi che colpiscono al cuore e come toccarli, soprattutto quando a parlare sono le donne. La serie si apre su Clare nel punto forse più caotico e fuori controllo della sua vita: è in crisi con il marito Danny (Quentin Plair) con cui fanno terapia di coppia; sua figlia Rae (Tanzyn Crawford) la incolpa e le scarica addosso, neanche troppo subdolamente, tutte le frustrazioni dell'adolescenza; lavora in una casa di riposo, quando invece era una promettente scrittrice.
Le piccole cose della vita: una foto di scena
Mentre si crogiola sul fondo, un vecchio amico scrittore, ricordando la sua bravura con le parole, le chiede di sostituirlo in una rubrica di consigli, anonima, Dear Sugar. Nonostante non si senta in diritto e in grado di dare consigli a nessuno, man mano che la sua vita va avanti, Clare torna indietro con la memoria alla sé ventenne, al ricordo della madre che ha perso per un cancro e trova, magicamente, la forza e la saggezza di rispondere. Diventa Sugar e la serie acquista la cadenza narrativa di una lettera ad episodio. Kathryn Hahn si consacra la magnifica e umile attrice che è, sostenuta da un cast che trova il suo più grande pilastro in Sarah Pidgeon, interprete della protagonista da giovane. Solo chi non ama gli show che ti chiamano in causa emotivamente, troverà qualcosa da ridire, perchè Le piccole cose della vita è un po' come andare in terapia, devi voler veramente e fortemente lavorare su se stesso, per entrare nello stato d'animo giusto, altrimenti, chiamando in causa il nostro commento iniziale, tutto questo dolore sarà inutile.
Il voice over come una carezza
Le piccole cose della vita: un momento della serie
Diciamocelo chiaramente, la tecnica del voice over, al cinema come nella serialità, è spesso abusata. Escamotage facile e veloce per semplificare sceneggiatura e produzione, è il famoso "lo dimo" (ve lo diciamo invece di farvelo vedere) alla Boris. La voce di Kathryn Hahn nel ruolo di Clare che risponde alla lettera di turno, accompagnandoci dentro il suo passato senza raccontarlo ma riflettendoci solamente su, è invece l'eccezione, il sussurro riflessivo e la carezza che volevamo e vogliamo sentire per elaborare quella storia, quelle storie, così lontane da noi ma così tanto vicine. Come ha detto la stessa Hahn in un'intervista, il suo passato per Clare è il pozzo dove va ad attingere per poter entrare in empatia con chi le scrive, comprenderne dubbi e sofferenze. Il guardarsi indietro diventa così fluido e mai forzato, i fantasmi della donna sono davanti a lei, la circondano, le fanno compagnia, la tormentano ma la più presente è la lei da giovane, Sarah Pidgeon, con il viso tra i più sereni, disperati, entusiasti e ansiosi che la serialità abbia mai visto.
Kathryn Hahn
Le piccole cose della vita: una scena
Del potenziale infinito di Kathryn Hahn ce ne siamo sfortunatamente accorti tardi, solo, veramente, negli ultimi 10 anni, avendola relegata, nel fior fiore degli anni cinematografici, a spalla ironico-comica di più avviate star, vedi Kate Hudson in Come farsi lasciare in 10 giorni. Dal mancato successo della serie Mrs. Fletcher passando per le Bad Moms al cinema, possiamo sicuramente ringraziare il personaggio di Agatha Harkness in WandaVision, pur essendo uno dei ruoli più fantastici e lontani dalla realtà (essendo Marvel) interpretati dall'attrice, le ha permesso di mostrare i suoi lati più drammatici, oscuri, profondi, pur riuscendo a farli coesistere con lo spirito della commedia che mai ha abbandonato Hahn, che ha portato poi ad uno spin-off tutto suo Agatha All Along. Il risultato, e le sapienti produttrici Witherspoon e Dern lo sapevano, è una Clare a tutto tondo, bellissima perché costantemente fallace e umana.
Clare ha 49 anni e non uno di più, non si pettina mai e non si lega mai i capelli, si agita spesso e suda, la notte rielabora i traumi del giorno e di sempre e li trasforma in incubi astrusi e contorti. Ha un conto in sospeso con il padre e non è mai venuta a patti con il fatto che l'uomo non ha mai veramente voluto lei e suo fratello. Ha il terrore dell'abbandono e non pensa mai troppo prima di sparare a zero o rispondere a tono. La bravura di Hahn è esaltata ancora di più dai suoi compagni di serie e di squadra, dalla sua controparte giovane Sarah Pidgeon alla figlia di Clare, interpretata da Tanzyn Crawford ed a sua madre, una Merritt Wever che farebbe e farà venire la nostalgia per la propria mamma a chiunque, ad ogni età.
Ama
Le piccole cose della vita: una scena della serie
Non c'è sigla di apertura in Le piccole cose della vita e la musica arriva veramente solo a fine episodio per aiutarci a metabolizzare ed elaborare quanto appena visto, come se fossimo a fine seduta dopo la terapia. È come se la lettera a Sugar/Clare in effetti gliel'avessimo scritta anche noi per esorcizzare le paure, per capire cosa fare del nostro essere troppo figli o troppo genitori, non esserlo e volerlo essere, non volerlo essere, non poterlo essere. Ci sentiremo nostalgici e malinconici dell'amore che abbiamo ricevuto o nuovamente rancorosi verso chi non ci ha amato come doveva. Le piccole cose della vita è una pacca sulla spalla e uno schiaffo in faccia, di quelli a cui segue uno scossone, uno "svegliati e goditi le piccole cose".
"La cosa migliore che tu possa fare nella tua vita è amare": questa la lezione impartita a Clare da sua madre, questo il miglior consiglio che la scrittrice proverà ad impartire ai suoi lettori ed a se stessa, anche quando significherà forse lasciare andare le persone che ama, farle scegliere con la propria testa e la propria voce interiore. Le piccole cose della vita chiude il suo percorso di otto episodi trovandoci un po' più consapevoli che la nostra esistenza è esattamente uno "shitshow" una schifezza, come quella degli altri, tanto vale abbracciare il caos e le nottate stesi sull'erba ad aspettare di incontrare dei bellissimi e surreali cavalli bianchi.
Conclusioni
Concludo questa recensione de Le piccole cose della vita con Kathryn Hahn con ancora un po’ di commozione, malinconia e nostalgia addosso, quella di chi ha intrapreso un percorso con la protagonista nel guardare al passato e rielaborarne ricordi e traumi. Questa miniserie tratta dall’omonimo libro (e rubrica) di Cheryl Strayed, autrice del pluripremiato Wild, trasforma in immagini in movimento gli stessi sentimenti provati attraverso le pagine del libro. Kathryn Hahn si conferma l’ottima e intensa attrice che è, mentre Reese Witherspoon e Laura Dern rinnovano il loro essere produttrici illuminate.
👍🏻
Kathryn Hahn è vera, umana, perfetta.
La serie funge da seduta psicoanalitica per lo spettatore.
Fa venire voglia di abbracciare il proprio caos e i propri fallimenti con amore.
👎🏻
Premette una predisposizione dello spettatore a volersi emotivamente mettersi in gioco.
Sfortunatamente è una miniserie e non ci saranno altre stagioni.
A volte tende alla positività tossica.
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The new trailer for ‘THE LAST OF US’ Season 2 has been released. Releasing in April on HBO
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Lezioni di chimica: impara la scienza e mettila in cucina
Lezioni di chimica, la serie che riporta Brie Larson in tv dopo United States of Tara, su Apple Tv+, per raccontare in modo avvincente e dolce la storia della scienziata Elizabeth Zott che riuscì ad unire chimica e cucina negli anni '60.
The Bear ci ha insegnato che cucina e salute mentale possono andare a braccetto e sono spesso co-dipendenti l'una dall'altra. C'è una nuova serie che potrebbe farvi scoprire che lo stesso vale per cucina e scienza. Ne parleremo nella recensione di Lezioni di chimica, limited series in otto episodi con protagonista la Captain Marvel Brie Larson su Apple Tv+, che conferma ancora una volta la qualità produttiva del servizio streaming e il suo riuscire a raccontare storie così diverse sempre in modo accattivante e coinvolgente, tanto dal punto di vista della scrittura quanto da quello della messa in scena.
Lezioni di vita
Lezioni di chimica: Brie Larson in una scena
Lezioni di chimica è basata sul romanzo best-seller omonimo della scrittrice, editrice scientifica e copywriter Bonnie Garmus, adattato per la tv da Lee Eisenberg - già creatore per la piattaforma di WeCrashed e Little America, nonché di Hello Ladies per HBO e Jury Duty per Freeve. Il suo sguardo cinico, nonsense eppure incredibilmente dolce è facilmente ritrovabile in questa nuova miniserie, che riporta in tv Brie Larson 12 anni dopo United States of Tara, ben prima che salvasse l'universo insieme agli Avengers nel MCU e fosse prigioniera di un sequestratore abusivo sul grande schermo, qui anche produttrice insieme a Susannah Grant e Jason Bateman.
Lezioni di chimica: una foto di scena
Siamo negli anni '60 e Larson è Elizabeth Zott, una tecnica di laboratorio in una prestigiosa università, che sogna di concludere il proprio dottorato e diventare una scienziata a tutti gli effetti agli occhi dei colleghi maschi. Quella in cui si trova infatti non è una società patriarcale solamente nella vita quotidiana e personale ma anche e soprattutto in quella lavorativa. Reduce da una brutta esperienza che non le ha permesso di continuare la specializzazione, è costretta a lavorare in un laboratorio dove è più intelligente dei suoi colleghi uomini eppure deve fare loro da assistente e preparare il caffè, senza poter eseguire nessun esperimento da sola… almeno durante l'orario lavorativo.
Gli opposti si attraggono
Un'immagine della serie Lezioni di chimica
Elizabeth, tratteggiata in modo perfetto da Brie Larson, è divisa a metà tra il proprio carattere non sempre sociale e socievole (un po' Amy Farrah-Fowler), il rifiuto per ciò che è ritenuto adatto ad una donna nella società americana di Mad Men, e il voler essere parte di quel mondo che tanto pare disprezzare, dopotutto. Una possibile occasione fortuita sarà l'incontro con Lewis Pullman (Top Gun: Maverick, Outer Range), che interpreta Calvin Evans, uno scienziato altrettanto particolare, dedito alla forma fisica che preferisce correre per andare e venire dal laboratorio, facendosi la doccia direttamente lì, che non capisce il senso della discriminazione di genere nei confronti della collega. Nella chimica si dice che gli opposti si attraggono e chissà se questo varrà anche per Elizabeth e Calvin, ma anche per la protagonista e gli altri personaggi che popolano il suo colorato mondo.
Lezioni di chimica: un momento della serie
Un ricco e variegato cast interpretato da Stephanie Koenig (L'assistente di volo, The Offer), Kevin Sussman (l'ex Stuart di The Big Bang Theory), Patrick Walker (Gaslit, Gli ultimi giorni di Tolomeo Grey) e Thomas Mann (Winning Time: L'ascesa della dinastia dei Lakers). Abbiamo detto colorato non a caso, perché - come spesso su Apple Tv+ che sembra essere la nuova HBO in tal senso - c'è un'enorme attenzione nella ricostruzione delle scenografie e nella cura dei colori pastello, tenui e uniformi, che devono rappresentare non solo la società dell'epoca, ma anche il laboratorio, che risulterà tutt'altro che freddo agli occhi del pubblico. O ancora i quartieri fatti di abitazioni una uguale all'altra, con giardino annesso, in cui vivono i personaggi. Compresa Harriet Sloane, interpretata dalla vincitrice del NAACP Image Award Aja Naomi King (Le regole del delitto perfetto, Il risveglio di un popolo), che rappresenta il lato black della tematica discriminatoria che viene raccontata attraverso la scienza.
Scienza e fede o chimica e cucina?
Un momento della serie Lezioni di chimica
Se il binomio che ha popolato la serialità dai primi anni 2000 (ovvero post-Lost) fino ad oggi è stato quello dedicato a scienza e fede, negli ultimi anni ci si è occupati di salute mentale nelle più svariate risonanze e abbinamenti. Ma se vi dicessimo che chimica (e quindi scienza) e cucina (e quindi arte) non sono antitetiche ma anzi complementari? Una delle caratteristiche peculiari del riuscito personaggio di Elizabeth è l'essere appassionata anche di cousine ed essere piuttosto brava. Anche perché, in fondo, le ricette altro non sono che un insieme di leggi scientifiche applicate in cucina. Ed è questo il mix vincente di Lezioni di chimica, che unisce umanità, scienza, sentimenti, colpi di scena inaspettati, la critica di una società patriarcale senza voler essere didascalici. Uno sguardo dolce e intimo su una figura femminile che arriverà nelle abitazioni di tutte le casalinghe d'America attraverso un programma che, insegnando ricette, svelerà loro in realtà le leggi della chimica e, perché no, anche qualche utile lezione di vita.
Conclusioni
Abbiamo parlato di una società patriarcale che non ha i colori dell’oppressione ma quelli della speranza. Questo perché il viaggio della protagonista Elizabeth Zott, interpretata da un’azzeccata Brie Larson, è pieno di sorprese, a volte drammatiche a volte divertenti, e la porterà nel salotto di molte case americane pronta a mescolare sapientemente conoscenze scientifiche, velleità culinarie e un pizzico di carisma per ricordarci che non tutte le ciambelle riescono col buco, soprattutto nella vita, e che per fare una frittata bisogna necessariamente rompere qualche uovo.
👍🏻
Brie Larson è perfettamente divisa tra le due anime del personaggio.
I colori utilizzati per raccontarci la vita e gli ambienti di Elizabeth.
Lo sguardo quasi ingenuo di Lewis Pullman.
Il mescolare chimica e cucina per parlarci di vita vera.
👎🏻
La protagonista potrebbe risultare respingente come spesso capita coi ritratti di geni scientifici.
La serie procede con cautela nel raccontarci le varie tappe della vita della protagonista.
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Come uccidono le brave ragazze: una serie gialla teen, tra Veronica Mars e Broadchurch
Tratta dall'omonima trilogia letteraria di Holly Jackson, Come uccidono le brave ragazze vede protagonista Emma Myers nei panni di una studentessa che vuole risolvere un caso di omicidio: porterà alla luce verità che nessuno in paese voleva sapere. In streaming su Netflix.
Nel 2004 fece capolino in tv un'adolescente detective destinata a cambiare molte cose in tv: stiamo parlando di Veronica Mars. Ora, un ventennio dopo, arriva su Netflix Pippa Fitz-Amobi, colei che vorrebbe essere in un certo senso la sua erede ma allo stesso tempo se ne discosta, anche a livello di tematiche affrontate. Questa volta però il soggetto non è totalmente originale.
Emma Myers in una scena di Come uccidono le brave ragazze
Come uccidono le brave ragazze, tratta dal romanzo di debutto A Good Girl's Guide to Murder di Holly Jakcson e adattata per la tv da Poppy Cogan, ha scalato la rapidamente la Top 10 di Netflix, date tutte le caratteristiche che la rendono perfetta per l'algoritmo, pur essendo stata prodotta per BBC nel Regno Unito e solamente acquisita a livello globale dal colosso dello streaming.
Chi ha ucciso Andie Bell?
La determinata protagonista di Emma Myers
Nel 2019, in un paesino dell'entroterra inglese, in cui tutti o quasi si conoscono, Andie Bell, un'adolescente più grande della protagonista di questa storia, scompare misteriosamente: il corpo non viene mai ritrovato ma il fidanzato confessa il suo omicidio, e poi si suicida. A quel punto la famiglia diventa un paria e tutti cercano di dimenticare il terribile accaduto. Cinque anni dopo Pip (Emma Myers) non si sente soddisfatta di quella risoluzione e decide di utilizzare un EPQ - ovvero un progetto che si prepara in Inghilterra e nel Galles per entrare in alcuni college - come pretesto per avviare a titolo personale nuove indagini che facciano luce su quel caso. Ovviamente in paese, soprattutto per quanto riguarda le famiglie coinvolte, nessuno vuole rivangare il passato e il dolore che ha causato a tanti, e quindi nessuno è disposto a parlare con Pip. Lei però, determinata e cocciuta, non si fermerà davanti a nulla pur di scovare la verità, anche a proprio discapito.
Come uccidono le brave ragazze vs Veronica Mars
Pip insieme agli amici di una vita
Impossibile non fare paragoni con il teen detective drama (ma definirlo tale è riduttivo, lo sappiamo bene), anche se fisiologicamente impari, anche solo per la profondità di scrittura e caratterizzazione dei personaggi, che qui rimangono molto più in superficie e servono semplicemente a svolgere il proprio compito di tasselli del puzzle giallo che gli spettatori si possono divertire a ricomporre, pur provando a raccontarne backstory e dinamiche. Emma Myers è un'ottima protagonista che tiene in piedi il serial ma allo stesso tempo non è abbastanza carismatica e, soprattutto, coinvolta: ciò che la smuove è sempre qualcosa di personale come Veronica, ma con molto meno trasporto emotivo di quanto vorrebbe farci credere. Lo stesso avviene per gli sviluppi pieni di colpi di scena e cliffhanger da fine episodio pensati per il binge watching di un target giovane: tutto è molto meccanico e consequenziale, gli eventi si susseguono anche in modo un po' irrealistico e non sempre con una perfetta congiunzione di causa-effetto.
Una cittadina piena di segreti nella serie teen mystery
Ravi, il Watson di Pippa (o viceversa)
Il paesino protagonista di Come uccidono le brave ragazze, proprio come Twin Peaks prima di lei, utilizza il pretesto della scomparsa/morte della ragazza della porta accanto, reginetta di bellezza e amata da tutti, per mostrare il marcio che si cela dietro quelle porte e quelle finestre: strizzando un po' l'occhio anche a Broadchurch, complice l'ambientazione inglese, lo show mostra quanti segreti può racchiudere un'unica cittadina e quanto le brave ragazze non siano forse in realtà tali, come da titolo. Spesso "è l'acqua cheta che rovina i ponti" come dice il celebre proverbio e Andie Bell potrebbe racchiudere proprio questo prototipo. A differenza di altri serial, in questo caso non si parla tanto di disparità sociale o di liberazione sessuale, ma di discriminazione e amore, a diverse età. Mostra ciò che non sempre si è pronti e disposti a vedere per non voler guardare nell'abisso dell'umanità, dei propri vicini e amici fidati, soprattutto quella di provincia.
Conclusioni
Come uccidono le brave ragazze è una buona serie gialla teen d��intrattenimento ma si ferma ad una certa freddezza e meccanicità del racconto, facendoci appassionare solo fino ad un certo punto alla storia di Pip, al suo legame con la ragazza scomparsa e con il ragazzo accusato del suo omicidio. Così come ai suoi amici e alla sua famiglia, a tutti coloro che le gravitano intorno e che formano i coloriti abitanti di un paesino pronto a mostrare il suo lato peggiore e più nero, fatto di rivelazioni sopite troppo a lungo e pronte ad esplodere. Qual è la reale natura umana?
👍🏻
Emma Myers.
Il mistero di fondo appassiona.
Il finale, anche se ricco di eventi.
👎🏻
Caratterizzazione e profondità dei personaggi rimangono un po’ in superficie.
Manca un certo livello di coinvolgimento emotivo.
I fatti si susseguono in modo meccanismo, a volte anche irrealistico.
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Wicked: il potere del grande musical
Adattamento dell'omonimo successo di Broadway a cui è estremamente fedele, il film di Jon M. Chu è un grande spettacolo trascinato dalle splendide protagoniste: Cynthia Erivo e la sorprendente Ariana Grande.
In Il mago di Oz, sia nel film del '39 con Judi Garland che nel libro di L. Frank Baum, tutti gioiscono per la morte della Malvagia Strega dell’Ovest. Ma perché era così odiata? E soprattutto: come si è guadagnata l'appellativo di malvagia? Lo è sempre stata, oppure è successo qualcosa che l'ha resa la villain del mondo di Oz? Lo scrittore Gregory Maguire si è fatto queste domande e nel 1995 ha pubblicato il primo di una serie di romanzi che espande l'universo creato da Baum: Strega - Cronache dal Regno di Oz in rivolta. È proprio da questo libro che prende ispirazione il musical Wicked di Winnie Holzman e Stephen Schwartz, un classico di Broadway da 20 anni, a cui, a sua volta, si ispira il film di Jon M. Chu, arrivato al cinema.
Cynthia Erivo e Ariana Grande in Wicked
Anzi, non "si ispira": il Wicked cinematografico è uno degli adattamenti più fedeli mai visti di un musical. Al punto che, per non tagliare nulla, Universal Pictures ha deciso di dividerlo in due parti: la seconda arriverà a novembre 2025. Gli amanti dello spettacolo possono quindi stare tranquilli: chi ha realizzato il film è a sua volta un grande fan dell'opera originale.
Messi in conto quindi una grande disponibilità di mezzi e professionisti per la parte tecnica (lo sfoggio di costumi e scenografie è abbagliante), per far sì che Wicked fosse magico era fondamentale trovare le giuste protagoniste. L'impresa è riuscita: la "cattiva" Elphaba Thropp è Cynthia Erivo, dalla voce potentissima. La Strega Buona del Nord, Glinda, è invece Ariana Grande: la vera sorpresa del progetto. Sapevamo infatti che la pop star sapesse cantare, ma non che fosse un così grande talento comico. Le due in scena fanno, letteralmente, scintille.
Wicked: un cattivo non è mai solo un cattivo
Le fiabe, i miti e anche gran parte dei classici Disney ci hanno insegnato che esistono i buoni e i cattivi. Il viaggio dell'eroe (o dell'eroina) ha sempre al centro qualcuno che opera in funzione del bene, contro un antagonista che in genere è la sua ombra: ha uguale carisma (spesso anche di più), ma impegna le proprie capacità verso il male. E quindi, è matematico: l'eroe trionferà sul villain. Da qualche decennio però questo manicheismo è passato di moda: in nome di una maggiore complessità, i cattivi non sono più soltanto cattivi. Così come i buoni scoprono di avere dei lati oscuri.
Con Wicked accade esattamente questo: Elphaba è evitata da tutti perché ha la pelle verde. E poi perché è in grado di far accadere cose strane. In un regno guidato dal grande e potente Oz (Jeff Goldblum), che dice di essere un mago, quasi nessuno in realtà è davvero dotato di magia. Lei invece sì. Ed è per questo che diventa l'allieva di Madame Morrible (Michelle Yeoh), che vuole incanalare la sua rabbia per farle sviluppare sempre di più i suoi poteri. Per una serie di coincidenze, diventa amica di Glinda, la ragazza più popolare della scuola di magia. Il loro rapporto le porterà ad aprire gli occhi su una verità scomoda: la città di Smeraldo non è il regno perfetto che credevano.
Meglio volare liberi o non volare soli?
In un turbinio di glitter, magia e gorgheggi, Wicked è uno spettacolo emozionante, che non smette di fare domande allo spettatore. Dietro a ogni numero musicale si cela infatti un tema importante: sicuramente l'accettazione di chi è diverso, il bullismo, l'amicizia e perfino una riflessione su come trattiamo gli animali. Il cuore di tutto però è la ricerca della verità. Elphaba lo dice più volte ai suoi compagni di classe: come reagire una volta scoperto come stanno le cose? Meglio stare zitti, oppure battersi per ciò in cui si crede? Come spesso abbiamo scoperto in questi anni di social, la verità è una delle cose che oggi più fa paura: ed è proprio per questo che Elphaba diventa una figura scomoda. Perché non vuole piegarsi alle menzogne, azzerando le certezze di tutti.
Una scena di Wicked
Nella scena più importante di Wicked, quella della canzone Defying Gravity, la strega si dice: "Anche se volo da sola, almeno volo libera" (And if I'm flying solo/At least I'm flying free). Che prezzo ha inseguire la verità? A quanto pare essere ricordata come la cattiva della storia. Ecco, il musical, tra un brano e l'altro, ci dice proprio questo: i mostri spesso sono semplicemente persone incomprese. E i veri cattivi sono quelli che sorridono, mentre ci tolgono la libertà.
Conclusioni
Tra gli adattamenti più fedeli dell'opera originale mai visti sul grande schermo, se siete fan dello spettacolo di Broadway Wicked non vi deluderà. Certo, se non amate i musical questo film non fa per voi, perché è "tutto cantato, tutto ballato, un grande spettacolo"! come si dice in Moulin Rouge! di Baz Luhrmann. Straordinarie le due protagoniste Cynthia Erivo e Ariana Grande, la vera sorpresa del film: era scontato sapesse cantare, meno che fosse anche un'attrice brillante. E non è finita: questa è la prima parte, la seconda arriverà nel 2025.
👍🏻
La fedeltà al musical originale.
La potenza vocale di Cynthia Erivo.
La sorpresa Ariana Grande: oltre a saper cantare è anche un'attrice brillante.
La sfarzosità di costumi e scenografie.
La presenza di due fuoriclasse come Jeff Goldblum e Michelle Yeoh.
👎🏻
Se non amate i musical questo film non fa per voi.
La divisione in due potrebbe lasciare con l'amaro in bocca nel finale della prima parte.
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Heartstopper 3: la serie teen sull’identità di genere diventa più matura
Nick e Charlie stanno crescendo, e quindi affrontano argomenti ancora più "da grandi" come il disordine alimentare e la transfobia. E con loro, torna la dolcezza adolescenziale su Netflix.
Squadra che vince non si cambia, ma diventa grande. Heartstopper si è sempre distinta, prima nei graphic novel originari di Alice Oseman e poi nell'adattamento televisivo che lei stessa ha curato per Netflix. Si è distinta per la delicatezza quasi surreale con cui ha trattato la scoperta dell'identità di genere di un gruppo di ragazzi inglesi: l'autrice ha scritto la storia su come avrebbe voluto che fosse la propria adolescenza, quindi non necessariamente iper-sessualizzata come spesso quella rappresentata oggi, nella realtà e soprattutto nell'audiovisivo, da Euphoria alle colleghe streaming Élite e Sex Education. Non si smentisce nemmeno in questi nuovi otto episodi, ma allo stesso tempo allunga leggermente il minutaggio per parlare di questioni ancora più "serie".
Diventare (giovani) adulti nella serie Netflix
Tutto (ri)parte da Nick e Charlie
Già accennato nella stagione precedente, il disordine alimentare di Charlie (Joe Locke) diviene centrale per la nuova narrazione: non si tratta solo di cibo, ma di stress, di ansia perenne, di stanchezza fisica dovuta al mangiare poco, di un turbinio di emozioni rappresentate ancora una volta perfettamente con gli effetti visivi fumettosi che rendono il serial un unicum nel panorama attuale, soprattutto tra i teen drama. Lui e Nick (Kit Connor) sono sempre dolcissimi, come tutti i protagonisti del resto che si ritrovano tutti accoppiati dopo gli sviluppi del secondo ciclo.
Il gruppo affiatato di Heartstopper
Tao (Wlliam Gao) e Elle (Yasmin Finney) sono nella fase "luna di miele" in cui devono stare sempre insieme soprattutto ora che lei deve ricominciare alla scuola d'arte; Tara (Corinna Brown) e Darcy (Kizzy Edgell) convivono dopo che quest'ultima se ne è andata di casa, ma devono trovare un'altra soluzione dalla nonna della prima (new entry fantastica). D'altronde, sono pur sempre adolescenti per affrontare problemi tanto più grandi di loro, come lo stesso Nick. Dalla sua avrà la zia psicologa Diane (Hayley Atwell), insieme ad un terapista specializzato (Eddie Marsan) e forse anche un professore seguito sui social media (Jonathan Bailey).
Isaac, alter ego di Alice Oseman
Nelle nuove puntate, che affrontano anche tematiche come la transfobia, centrali diventano gli "outsider" del gruppo, ovvero quelli rimasti non accoppiati, ampliando quindi il discorso sull'identità di genere. Imogen (Rhea Norwood) potrebbe comprendere meglio i propri gusti mentre l'avido lettore Isaac (Tobie Donovan), personaggio inventato appositamente per la serie tv, poiché autobiografico per l'autrice, deve affrontare la propria asessualità e aromaticità**, cercando di capirci qualcosa e di farla comprendere anche al suo gruppo di amici.
I protagonisti pronti ad affrontare nuove sfide
L'amicizia è importante tanto quanto l'amore: questo sembra essere il mantra cardine di tutta la terza stagione, che potrebbe essere la penultima per lo show, visto il materiale originario. La caratterizzazione dei personaggi continua ad essere uno dei punti di forza di Heartstopper, tanto da premiare sia gli interpreti che stanno crescendo insieme ai loro personaggi, regalandoci non solo un comfort show che ci fa tornare adolescenti ma anche qualche lacrimuccia per i temi più maturi inseriti nel racconto, sia la scrittura e rappresentazione della Oseman: puntuale, completa e mai forzata.
Heartstopper 3: la nostra copertina di Linus
Kit Connor
L'altro elemento strutturale fondamentale è, come accennavamo, la resa visiva delle onomatopee e delle animazioni su carta per comunicare, prima agli spettatori che agli stessi personaggi, cosa sentono dentro di sé. Prima di riuscire a dare un nome a quell'emozione e a comprenderla fino in fondo. Iniziano anche le pulsioni sessuali per i protagonisti eppure non si esagera mai su quel fronte. Del resto, non c'è mai stato quell'intento dello show. D'altronde ci sono altri titoli se si cerca quel tipo di visione.
Conclusioni
La terza stagione di Heartstopper conferma le qualità che l’avevano caratterizzata fin dal suo esordio, provando ad alzare l’asticella con argomenti ancora più maturi come il disturbo alimentare e la transfobia. Alcune dinamiche si ripetono, ma i personaggi evolvono e mostrano nuovi lati di loro stessi, mentre le coppie si sfaldano e si riformano, e nuove consapevolezze di genere vengono alla luce, a partire dal bellissimo personaggio di Isaac. New entry succose ed effetti visivi fumettosi oramai peculiari dello show fanno il resto.
👍🏻
Nick e Charlie e le altre coppie, insieme alle loro maturazioni.
I temi più adulti come il disordine alimentare e la transfobia.
L’evoluzione del personaggio di Isaac, alter ego di Alice Oseman.
La resa visiva dei sentimenti dei personaggi.
Le new entry adulte preziose ma non ingombranti.
👎🏻
La dolcezza quasi disarmante di alcune sequenze potrebbe infastidire qualcuno (però come fate a non sciogliervi di fronte a questi adolescenti?)
Oramai si ripete un certo tipo di schema narrativo.
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The Penguin la serie con Colin Farrell: più I Soprano che Batman
Dopo aver affrontato il Batman di Robert Pattinson, Colin Farrell torna a interpretare Il Pinguino nella serie The Penguin: più che nell'universo dell'Uomo Pipistrello sembra però di essere in una copia sbiadita di I Soprano.
Il tema musicale di Michael Giacchino e la fotografia che vira sui toni del rosso sangue a incorniciare l'Oswald Cobblepot di Colin Farrell nella prima scena di The Penguin, dedicata a Il Pinguino, tra i nemici storici di Batman, ci fanno illudere che la serie sia la diretta continuazione dello splendido The Batman di Matt Reeves, con Robert Pattinson nel ruolo del Cavaliere Oscuro. In effetti la miniserie in otto episodi, ideata e scritta da Lauren LeFranc, è ambientata una settimana dopo i fatti del film, ma, se quella che vediamo non si chiamasse Gotham City, potrebbe trattarsi di una qualsiasi storia crime nata per emulare I Soprano.
Colin Farrell è Il Pinguino
The Penguin racconta l'ascesa di Oswald Cobblepot - detto Il Pinguino per via dell'andatura claudicante - nella scena criminale di Gotham City, appunto. Nell'opera di Reeves l'abbiamo conosciuto come uno degli scagnozzi di Carmine Falcone e qui, dopo la sua morte, lo vediamo determinato a prenderne il posto. Deve quindi vedersela con i figli del boss, Alberto e soprattutto Sofia (Cristin Milioti) Falcone, rinchiusa per dieci anni nell'Arkham Asylum, il manicomio criminale della città, e intenzionata a vendicarsi di chi l'ha tradita.
Apparso per la prima volta nel numero 58 dei fumetti Detective Comics nel 1941, Il Pinguino è uno dei villain più importanti e famosi di Batman. In più di 80 anni di storia ha avuto diverse riscritture, passando dal ladro delle origini al magnifico freak interpretato da Danny DeVito in Batman - Il Ritorno di Tim Burton a inizio anni '90. In questa ennesima nuova vita il personaggio è stato rimaneggiato con un chiaro riferimento in testa: il Tony Soprano di James Gandolfini. Purtroppo però si tratta di una copia sbiadita.
Il Pinguino come Tony Soprano
Iconograficamente Il Pinguino ha sempre avuto il naso aquilino e bassa satura: la versione interpretata da Colin Farrell mantiene quel profilo, ma ha una fisicità molto più imponente. E delle cicatrici a segnarne il volto. Lo stile e la parlata poi non sono più quelli di una persona appartenente a una famiglia benestante che lo ha ripudiato, ma ha l'accento italoamericano e un gusto tipico da gangster, con catena d'oro al collo e macchina sportiva viola. Anche le sue motivazioni sono diverse: se Burton ne ha intuito il potenziale drammatico ritraendolo come una persona rifiutata perfino dai genitori per via dell'aspetto mostruoso, qui il suo desiderio di riscatto è tutto indirizzato nell'acquisizione di soldi e potere. Nella versione di Farrell si perde quindi la vena più romantica del personaggio.
Anche perché gli affetti vengono completamente ribaltati: nella serie la madre di Oswald Cobblepot, che qui preferisce farsi chiamare Oz Cobb, non solo è ancora viva, ma è praticamente in simbiosi con il figlio. Esattamente come succede in I Soprano, in cui il boss Tony Soprano comincia ad andare in terapia all'insaputa di tutti per via del suo rapporto complicato con la terribile madre Livia.
La serie di Cristin Milioti
Se sotto alla pesante maschera di gomma che ne stravolge i connotati Colin Farrell non sembra particolarmente ispirato, potendo fare sfoggio delle proprie abilità soprattutto grazie a voce (su cui ha fatto un lavoro praticamente di imitazione del compianto James Gandolfini) e andatura, a prendere in mano la serie è soprattutto Cristin Milioti nel ruolo di Sofia Falcone. Il personaggio, apparso per la prima volta nella storia Batman: Il lungo Halloween, scritta da Jeep Loeb e pubblicata tra il 1996 e il '97, ci dà infatti la possibilità di scoprire la vita quotidiana ad Arkham: non esattamente una passeggiata. È lei ad avere l'arco più interessante, spiccando sia rispetto al protagonista che al personaggio, creato appositamente per la serie, interpretato da Rhenzy Feliz, ovvero Victor Aguilar, adolescente che diventa il tuttofare di Cobb.
Sete di potere, crimine, vendette, alleanze: in otto episodi Batman non viene praticamente mai nominato, al contrario dei tanti cliché del genere, tutti presenti. Anche troppo. The Penguin non aggiunge praticamente nulla a quanto visto nel film di Reeves e finisce per essere una pallida imitazione del modello di partenza. Citando una battuta pronunciata proprio da Colin Farrell nel film In Bruges - La coscienza dell'assassino di Martin McDonagh, potremmo definire The Penguin come il Tottenham, la squadra di calcio: "Il purgatorio è una via di mezzo. Non hai fatto proprio schifo ma non sei neanche stato un granché. Come il Tottenham".
Conclusioni
La serie The Penguin racconta l'ascesa di Oswald Cobblepot, detto Il Pinguino, nella scena criminale di Gotham City. Ambientata una settimana dopo i fatti del film The Batman di Matt Reeves, con protagonista Robert Pattinson nel ruolo dell'Uomo Pipistrello, non aggiunge molto alla pellicola, rivelandosi una copia sbiadita di I Soprano. Sotto la pesante maschera di gomma Colin Farrell si lancia infatti in un'imitazione di James Gandolfini.
👍🏻
L'interpretazione di Cristin Milioti nel ruolo di Sofia Falcone.
L'atmosfera cupa di Gotham City.
Le scene nell'Arkham Asylum.
👎🏻
Questo Pinguino deve troppo a Tony Soprano e poco all'universo di Batman.
La storia contiene tutti i cliché del genere gangster.
Il personaggio di Victor Aguilar è debole.
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Ops! È già Natale: festività fuori stagione in una commedia per tutti
Atmosfera natalizia, buon cast, buoni sentimenti per la commedia family diretta da Peter Chelsom con Danny DeVito, Andie MacDowell e la giovanissima Antonella Rose.
Alberi decorati, luci, regali, le classiche Christmas Songs. È una festa amatissima come il Natale a far da sfondo, in qualche modo, a un classico film per tutti, una commedia family che ha le carte in regola per assicurare un'ora e mezza di leggerezza al proprio pubblico. Questo è Ops! È già Natale, il film diretto da Peter Chelsom che si ispira al nostrano Improvvisamente Natale per raccontare una storia di buoni sentimenti nell'incantevole ambientazione delle Dolomiti.
Si balla in Ops! è già Natale
Il tutto con un gran cast in cui spiccano Danny DeVito ed Andie MacDowell, ma la cui figura centrale è la giovanissima Antonella Rose, pronti ad accogliere gli spettatori in sala per Natale.
Natale ad agosto nella storia del film
Sul set
Siamo nelle Dolomiti ed è il mese di agosto. Abbie e Jacob vi si recano con la figlia Claire per andare a trovare il nonno Lawrence nel suo hotel in quella splendida zona d'Italia. È una visita che di solito fanno per Natale, ma l'occasione è diversa dal solito, meno festiva, più delicata: Abbie e Jacob sono in procinto di separarsi e non sanno come dirlo alla figlia, che ha soli dieci anni, così decidono di lasciare che sia il nonno, a cui la bambina è particolarmente legata, a comunicarle la notizia. La ragazza è però sveglia e capisce subito che qualcosa non va, così come si rende conto che il loro classico Natale in famiglia non ci sarà più, così decide, pretende, che lo festeggino subito, ad agosto, con tutto quel che comporta, compreso far arrivare gli altri nonni dagli Stati Uniti. Lo scopo: mettere in piedi un piano elaborato per riappacificare i genitori. Ci riuscirà?
Un gran cast per una commedia brillante
Commedie leggere per la famiglia come queste hanno bisogno di un cast che sappia accogliere lo spettatore, che le faccia sentire in qualche modo a casa nel corso della visione. E Ops! È già natale ha la giusta amalgama di attori e attrici per assolvere a questo scopo, a cominciare dalla giovane protagonista Antonella Rose che dà vita a una Claire con cui si riesce a empatizzare e partecipare. Inutile dire che le punte di diamante di questo gruppo di interpreti siano Danny DeVito ed Andie MacDowell, due star assolute che non possono non catalizzare l'attenzione, ma con quella delicatezza e mestiere che permette loro di non mettere in ombra chi li circonda.
La famiglia protagonista del film
Al cast si affida Peter Chelsom per sostenere la leggerezza del film, anche laddove il ritmo cala come nella parte centrale dell'intreccio, mettendo in piedi un film che sa curare con attenzione i personaggi e la loro costruzione anche in fase di scrittura, riuscendo a intrattenere con delicatezza e garbo, senza strafare ma anche senza scadere in eccessive banalità. Un film che vuole intrattenere e accogliere, con consapevolezza e quel pizzico di furbizia che a volte serve per conquistare il pubblico.
L'atmosfera festiva di Ops! È già Natale
L'elemento del Natale, seppur fuori stagione nell'economia narrativa del racconto, è ovviamente parte integrante di questa furbizia a cui abbiamo accennato, con tutto il repertorio del caso: canzoni natalizie, i rossi e verdi delle decorazioni, lucine e regali, ma soprattutto i buoni sentimenti che li accompagnano in modo quasi naturale, creando la giusta miscela di ingredienti, la ricetta gustosa che gli amanti di questo tipo di commedie non vede l'ora di assaporare. Non è ovviamente il film che farà innamorare del Natale i detrattori di questa festa all'insegna di determinate emozioni e sensazioni, ma chi ci si ritrova a suo agio troverà abbastanza per passare una serata piacevole.
Conclusioni
Ha l'atmosfera giusta Ops! È già Natale, quella che tanti amano delle festività di fine anno, tra alberi, luci e tutto il necessario per celebrare quella ricorrenza. Ed ha anche il tono giusto da commedia family il film di Peter Chelson, al netto di qualche problema di ritmo nel suo segmento centrale, anche grazie a un cast in parte guidato dalla giovanissima Antonella Rose coadiuvata da big del grande schermo come Danny DeVito ed Andie MacDowell. Leggerezza e buoni sentimenti, gli ingredienti che tutti ci aspettiamo da questo tipo di produzioni. E va bene così!
👍🏻
L'atmosfera del Natale, anche se fuori stagione.
La protagonista Antonella Rose e tutto il cast, a cominciare dalla presenza magnetica di due big come Danny DeVito ed Andie MacDowell.
Il tono, quello giusto, per questo tipo di produzioni.
👎🏻
Qualche caduta di ritmo nella parte centrale della storia.
Inutile dire che chi cerca qualcosa di più profondo non lo troverà in Ops! È già Natale.
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Citadel Diana: anche in Italia sappiamo fare le serie spionistiche
Quando gli spin-off sono meglio della serie originale. Succede in Citadel: Diana con Matilda De Angelis, in streaming su Prime Video.
Citadel è davvero un unicum nel panorama seriale contemporaneo. Un progetto che è partito nel 2023 con una serie ad altro budget con un cast stellare e la produzione affidata ai fratelli Russo, che hanno creato per Prime Video il loro universo narrativo condiviso. Questa volta niente supereroi, ma spie. Un genere che ben si presta ad un mondo espanso e tentacolare, che si snoda attraverso vari Paesi in giro per il mondo. Il primo ad avere questa responsabilità come spin-off è proprio l'Italia con Citadel: Diana.
Tra Manticore e Citadel Italia
Diana in azione
Quella di Citadel: Diana è la storia di Diana Cavalieri (Matilda De Angelis, convicente, reggendo tutto sulle proprie spalle), una giovane spia che lavora in Manticore e che forse sta facendo il doppiogioco per Citadel. Siamo nel 2030 a Milano, dove il Duomo è visibilmente distrutto e militari e polizia hanno presidi ovunque in giro per la città. La conosciamo in medias res, nel mezzo di una missione finita male, e quindi autori (Gina Gardini e Alessandro Fabbri) e regista (Arnaldo Catinari) vogliono farci capire subito di che pasta sono fatte la serie e la sua protagonista. Non siamo dalle parti né delle fiction né degli altri prodotti in streaming nostrani, ma si cerca di alzare l'asticella il più possibile. Presto scopriamo anche il passato di Diana: un trauma nel passato che l'hanno portata a diventare l'agente che è oggi con un salto temporale avanti ed indietro che ricorda molto la struttura del Citadel originale. Del resto, otto anni possono cambiare tutto.
Citadel: Diana, una spy story riuscita
A quel punto inizia una spy-story appassionante e coinvolgente, grazie soprattutto alla costruzione e all'approfondimento dei personaggi, che sono mossi come spesso capita nel genere spionistico da una vendetta personale oppure da una sorta di rivalsa, in cui sentimenti e razionalità creano un mix pericoloso. Accanto a Diana c'è la famiglia Zani (nominata nella serie madre), i rappresentati di Manticore Italia, ovvero il perfido boss Maurizio Lombardi (una conferma della sua bravura), la silenziosa moglie Julia (Thekla Reuten), dallo sguardo tagliente, e il figlio Edoardo (Lorenzo Cervasio, una bella scoperta da tenere d'occhio), idealista e allo stesso tempo progettista di armi all'avanguardia. Le loro strade si incrociano irrimediabilmente portando alla luce segreti del loro passato che avrebbero preferito mantenere sepolti.
Nel passato della protagonista c'è Gabriele
Parallelamente conosciamo la famiglia di Diana, ovvero la sorella Sara (Giordana Faggiano), totalmente all'oscuro del suo lavoro, fonte di frequenti litigi tra le due, e Gabriele (Filippo Nigro) che l'ha addestrata per diventare un'agente col piede in due scarpe. Proprio come nel serial originale, qui i doppi giochi spesso diventano tripli e i colpi di scena non mancheranno fino alla fine, quando i pezzi del puzzle saranno più chiaramente incastrabili.
I principali rappresentanti della famiglia Zani
La componente action è analogica, come ha dichiarato lo stesso regista, e ne guadagna il realismo della storia, pur mostrando una tecnologia all'avanguardia e un setting che spesso non ci appartiene e che proprio per questo è soddisfacente vedere sullo schermo. Si prova a mettere continuamente in scacco lo spettatore ed a riflettere su una situazione geopolitica globale, a partire dai rappresentanti di Manticore Francia e Germania, Cecile Martin e Wolfgang Klein, che portano un misto di lingue a donare ulteriore realismo al racconto.
Una programmazione anomala per la serie Prime Video
Quello che lascia perplessi di Citadel: Diana, oltre a qualche ingenuità di scrittura, sono i riferimenti ai cugini americani, presenti tra easter egg più o meno evidenti ma che avremmo voluto più incisivi per costruire un universo ancora più saldamente incastonato. A stupire è inoltre la programmazione: è evidente che sia stata scritta e pensata per una messa in onda settimanale, come Citadel, e che avrebbe continuato così a riempire le settimane in streaming fino a Citadel: Honey Bunny, lo spin-off indiano, in arrivo a dicembre.
Scegliere di pubblicare la stagione per intera denota, infatti, poca lungimiranza da parte della piattaforma. Perché non sfruttare al massimo i propri prodotti, invece di riconfermare quanto già fatto (in modo discutibile) con Mr. And Mrs. Smith (per restare in tema spy-story), nel quale era addirittura presente "la missione della settimana"? Certo è, che le modalità di release non inficiano di certo sulla qualità di Diana, che anzi continuiamo a lodare per il suo coraggio e per la sua spettacolare efficienza.
Conclusioni
Citadel: Diana è un interessante apporto dell’Italia al genere spy story, facendolo proprio e locale pur mantenendo la visione globale dei fratellI Russo, coi quali avremmo voluto qualche collegamento in più. Se l’originale era improntata sull’action e sulla perfezione scenica quasi asettica, qui si punta maggiormente sui rapporti tra i personaggi, senza però dimenticare la componente stunt estremamente curata. Un unicum nel panorama italiano che speriamo possa servire da lezione ad altri che si approcceranno alla serialità di genere. Matilda De Angelis guida un cast internazionale in parte, che conferma che, cambiando registro e ricercando i dettagli, si può fare qualcosa di (molto) buono anche da noi. Basta volerlo davvero.
👍🏻
Matilda De Angelis riesce a reggere il progetto sulle proprie spalle.
Maurizio Lombardi è una conferma di talento del nostro Paese, mentre Lorenzo Cervasio è da tenere d’occhio.
La componente action al servizio dei personaggi (e non viceversa).
La regia avvincente.
La storia si inserisce bene nel progetto Citadel…
👎🏻
…ma avremmo voluto qualche riferimento in più.
Qualche ingenuità di scrittura e recitazione su cui però soprassediamo volentieri.
La programmazione non settimanale lascia perplessi.
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