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Multiverse Of Series
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Movies and TVSeries are my Multiverse of Madness
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multiverseofseries · 3 hours ago
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New teaser for The Last Of Us Season 2
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multiverseofseries · 2 days ago
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Maleficent 2 – Signora del Male: la storia di Malefica continua in maniera sorprendente
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L'eredità, o heritage come la chiamano gli inglesi, è la storia, il vissuto, la tradizione che un brand, cioè una marca si porta dietro. La Disney, lo sappiamo, ha un infinito archivio di grandi storie e grandi personaggi, quelli dei grandi film d'animazione che ci hanno fatto compagnia quando eravamo bambini e ora incantano, ancora, i nostri figli.
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Maleficent: Mistress of Evil, Angelina Jolie affronta Elle Fanning
Da qualche anno Disney ha cominciato a riscrivere queste storie, a raccontarle con i mezzi che oggi abbiamo a disposizione. Una delle strade scelte è fare dei remake live action (che poi sono in realtà in computer grafica realistica) di storie come Il libro della giungla o Il Re Leone, tanto perfetti quanto piuttosto freddi. L'altra è provare a raccontare le storie da un altro punto di vista, come nel Dumbo di Tim Burton, un remake ma anche un sequel del Dumbo a cartoni, o Maleficent: un film che, nel 2014, aveva raccontato la storia de La bella addormentata nel bosco, ma dal punto di vista della cattiva, la strega Malefica, trovando una certa originalità. Vista la buona idea, e il successo del film, la Disney ci riprova con questo sequel, aggiungendo nuove idee, provando a trarne un messaggio attuale, e portando la storia verso nuovi territori. Ma il rischio è quello di andare troppo lontano, e di snaturare la favola di partenza.
La trama: la storia di Malefica prende strade nuove
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Maleficent: Signora del Male, un primo piano di Michelle Pfeiffer in scena del film
Avevamo lasciato Aurora (Elle Fanning) e Malefica (Angelina Jolie) piuttosto unite, dopo che l'incantesimo del fuso era stato sconfitto. Maleficent: Signora del male inizia con il principe Phillip che chiede ad Aurora di sposarla. Lei accetta immediatamente, convinta di coronare non solo il suo sogno d'amore, ma anche quello di unire i due regni, quello del suo principe e quello di cui è regina, la Brughiera. Prima delle nozze, però, i genitori si dovranno conoscere. E così Malefica viene invitata alla corte, dove di fatto a comandare è un'altra donna, la regina Ingrith (Michelle Pfeiffer). Sin dalle prime scene capiamo come sia interessata alle armi: crede che, per risolvere i problemi tra i due regni, la soluzione sia la guerra. E, nella sera in cui incontra Aurora e Malefica, dice qualcosa che fa infuriare quest'ultima.
Malefica? Non è cattiva, la disegnano così…
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Maleficent: Signora del Male, un primissimo piano di Angelina Jolie
Già nel primo Maleficent avevamo visto che quella che avevamo conosciuto come la strega Malefica non era poi così cattiva. È che la disegnavano così. Scherzi a parte, avevamo visto la storia da un altro punto di vista, avevamo capito che il maleficio era nato a causa di un equivoco e che Malefica aveva provato a salvare la figlia adottiva. Ora, per un sequel, serviva trovare un vero villain, un avversario all'altezza. La regina Ingrith di Michelle Pfeiffer, in questo senso, è una vera sorpresa: ambigua, affascinante, poi perfida, è un personaggio molto attuale, una persona che odia l'altro, il diverso, ma perché non lo conosce e ne ha paura. Sappiamo bene che, mettendo accanto a un "cattivo", se di questo si può parlare, uno ancora più cattivo, il primo ci sembrerà quasi buono. Malefica che, certo, mantiene una certa minacciosità e un carattere non proprio facile, da subito ci appare il personaggio positivo del film. Siamo dalla sua parte, e questo toglie un po' dell'ambiguità e della sorpresa del primo film.
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Maleficent: Signora del Male, Angelina Jolie durante una scena del film
Siamo streghe o Avatar?
Ma per costruire un sequel da una storia che, tutto sommato, sembrava autoconclusiva e compiuta come quella di Maleficent, è stato scelto di ampliare l'orizzonte, di spostare la storia verso altri territori. Parliamo di territori fisici, come il luogo da dove viene Malefica e dove vivono i suoi simili, e di territori filmici, visto che Maleficent - Signora del Male, andando a cercare le origini di Malefica e introducendo non solo nuovi personaggi, ma un intero nuovo popolo, dalla favola si sposta verso il fantasy action alla Avatar o quello più epico de Il Signore degli Anelli.
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Maleficent: Signora del Male, un'immagine di Malefica, interpretata da Angelina Jolie
Ma è soprattutto il film di Cameron ad essere vistosamente ripreso, anche a livello visivo, mentre il personaggio di Malefica, volante e in grande sfoggio di poteri, più che la strega di una favola di Perrault sembra un supereroe da cinecomic, alla stregua di una Captain Marvel.
Il trattamento, insomma, è molto ardito, e rischia di snaturare il mondo da cui partiva, un mondo incantato e fiabesco che il primo Maleficent, pur innovando molto, rispettava. Angelina Jolie ha raccontato che si era pensato anche di far diventare Aurora una guerriera, in stile Giovanna D'Arco. Per fortuna in questo caso ci si è fermati. Ma è un esempio dei rischi che si possono correre spingendosi troppo in là con adattamenti troppo arditi.
Siamo nel 2019: si parla anche di guerre e ambiente
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Maleficent: Signora del Male, un primo piano dell'attrice Angelina Jolie
Maleficent - Signora del Male ha anche un bisogno di essere attuale. Al centro ci sono ovviamente i temi del rispetto dell'ambiente e quello della guerra, o meglio del partito, che, in ogni stato, si adopera per procurare guerre più che di evitarle (ogni riferimento alle amministrazioni repubblicane americane non è puramente casuale). Potrebbe essere quasi un pamphlet anti trumpiano, visto che mette in agenda, a volte rimarcandolo anche troppo, la difesa dell'ambiente, la condanna delle guerre e delle discriminazioni verso chi è diverso.
Conclusioni
Maleficent 2 - Signora del Male, vista la buona idea e il successo del primo film, la Disney ci abbia riprovato con questo sequel, aggiungendo nuove idee, provando a trarne un messaggio attuale, e portando la storia verso nuovi territori. Ma il rischio è quello di andare troppo lontano, e di snaturare la favola di partenza.
👍🏻
La regina Ingrith di Michelle Pfeiffer è una vera sorpresa: ambigua, affascinante, perfida.
Angelina Jolie è perfetta nel ruolo.
👎🏻
Dalla favola ci si sposta verso il fantasy action alla Avatar o quello più epico de Il Signore degli Anelli, rischiando di essere derivativi.
Il trattamento è molto ardito, e rischia di snaturare il mondo da cui partiva.
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multiverseofseries · 3 days ago
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‘THE LAST OF US’ Season 2 release schedule
• Episode 1: Sunday, April 13
• Episode 2: Sunday, April 20 (Easter)
• Episode 3: Sunday, April 27
• Episode 4: Sunday, May 4
• Episode 5: Sunday, May 11
• Episode 6: Sunday, May 18
• Episode 7: Sunday, May 25 (FINALE)
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multiverseofseries · 3 days ago
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A motion cover with new footage from ‘THE FANTASTIC FOUR: FIRST STEPS’ has been released by Entertainment Weekly. In theaters July 25, 2025.
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multiverseofseries · 3 days ago
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New stills from ‘THE FANTASTIC FOUR: FIRST STEPS’ have been released.
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(via: EW)
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multiverseofseries · 4 days ago
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‘THE LAST OF US’ has been renewed for Season 3 at HBO
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multiverseofseries · 4 days ago
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The Witcher, la recensione: a caccia del proprio destino tra spade e magia
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Il Continente non è posto per cuori deboli. Nel Continente, terra impregnata di maledizioni, oscure profezie e immonde creature, vivere è un lusso per pochi. Per tutti gli altri c'è la sopravvivenza. The Witcher la serie Netflix non racconta solo la storia dello strigo che le dà il nome, ma è anche un lasciapassare per un mondo intero. Un mondo vasto, ricco denso di mito e di leggenda. Un mondo di cui ci apprestiamo a scoprire soltanto la punta dell'iceberg.
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L'incontro tra Renfri e Geralt
The Witcher riparte dagli albori, si ispira solo e soltanto ai romanzi, tralascia i videogame e si dedica ai primi racconti dedicati al Lupo Bianco. Preparatevi a conoscere un giovane Geralt, una Yennefer ancora fragile prima di rinascere indomita e una Cirilla spaesata prima di tirare fuori gli artigli della leonessa di Cintra.
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Yennefer, Geralt e Cirilla in un'immagine promozionale Non priva di difetti e mancanze, The Witcher ci ha appassionato con una narrazione complessa ma mai complicata. Una serie molto fedele ai romanzi che trasuda passione e rispetto per la fonte. Una serie di pura evasione che intrattiene con estrema disinvoltura senza preoccuparsi di mostrarsi diversa da com'è. Nessuna imitazione, nessun desiderio di mettersi sulla scia di altri show. The Witcher non è Il trono di spade. Non ha mai voluto esserlo. E va benissimo così.
Il destino infame dello strigo
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The Witcher: un primo piano di Henry Cavill
Né umani, né mostri. Un po' predatori, un po' prede. I witcher vivono incastrati in un purgatorio tutto loro. Frutto di una dolorosa manipolazione alchemica che concede loro poteri sovrumani e l'utilizzo di magie elementari, ogni witcher è guardato con sospetto da una popolazione grezza, intollerante e ostile alla diversità. Lo sa bene Geralt di Rivia, che apre lo show ricordandoci subito il suo ruolo nella storia: un cacciatore di mostri, un mercenario assoldato per ripulire il Continente da ogni aberrazione possibile e immaginabile. Riluttante, solitario e consapevole di essere maldigerito dalla gente, Geralt sa di essere percepito come il male minore, accettato dal popolo solo finché le sue straordinarie abilità vengono richieste all'occorrenza. Tutte sfumature che Henry Cavill restituisce molto bene (grazie anche a un timbro di voce roco e sporco), dando forma a un Geralt carismatico e credibile, misurato nell'espressività, ma sempre efficace quando c'è da mettere in mostra lo sdegno e la noncuranza di un uomo che si trascina di città in città, di missione in missione. Una visione del mondo che ha inciso anche sulla scrittura stessa degli episodi, che riprendono la raccolta di racconti dei primi libri di Sapkowski (Il guardiano degli innocenti più di tutti). Ogni episodio ricalca la dinamica di una quest da risolvere, di una missione a cui prendere parte oppure rifiutare.
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Geralt in una scena di The Witcher
Perché The Witcher è soprattutto una storia di dubbi morali, in cui il Bene e il Male non sono affatto delineati da confini visibili, ma spesso si specchiano nella percezione personale di Giusto e Sbagliato. Pur mantenendo una continuità trasversale al racconto, che procede a piccoli passi verso la creazione di un disegno più ampio, la serie opta per questa scelta vintage di episodi quasi circolari. Il vivere alla giornata di Geralt, uomo disincantato che per questo non disegna affatto i fugaci piaceri della vita, si rispecchia nella struttura degli episodi dello show. Una serie che, nonostante il nome che porta, non è solo questione di abili strighi armati di spada con un cavallo come migliore amico.
Il cigno nero e la leonessa
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The Witcher: un'immagine della serie
No, The Witcher non parla solo del nostro strigo. Nonostante il nome dello show faccia pensare all'assoluta centralità di Geralt, The Witcher è una serie corale, in cui i destini di tre personaggi inizialmente lontani si avvicinano poco per volta sino a legarsi a vicenda. Al fianco alle sessioni di caccia di Geralt, scopriamo le tristi esistenze di due donne agli antipodi: Cirilla, principessa decaduta e Yennefer, ragazza storpia che trova nella magia la sua rivalsa personale. Una caduta e un'ascesa, due donne che in qualche modo entrano nell'orbita di Geralt. Tre segmenti narrativi a cui corrispondono tre declinazioni diverse di una serie poco omogenea nel tono del racconto. Se la storia di Cirilla è quella più drammatica e ricca di pathos, quella di Yennefer assomiglia molto a una fiaba oscura dai tratti esoterici, in cui un brutto anatroccolo rinasce sotto forma di cigno nero, fiero e indomito. Dopo un primo episodio perfetto nel mettere in chiaro la brutalità e la violenza del Continente, invece, le vicende di Geralt diventano leggermente più spensierate e leggere, complice anche l'arrivo dello scanzonato bardo Jaskier, a fungere da contraltare comico (a volte riuscito, altre stucchevole).
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Cirilla nella prima stagione dello show
Alla storia manca volutamente un respiro epico, perché al centro del racconto non c'è un destino collettivo ma vicende personali. Nessun gioco di potere, nessuna fame di conquista, solo persone che cercano di trovare il proprio posto nel mondo. Geralt, Yennefer e Cirilla sgomitano per ottenere la propria autodeterminazione, contro un mondo soffocato da maledizioni, ordini e profezie opprimenti. Chi sono io? Qual è il mio scopo? Domande a cui The Witcher risponde con una scrittura tanto semplice quanto efficace, persino soddisfacente quando riesce a giocare bene con il tempo e con lo spazio. La sensazione è quella di essere avvolti da una sceneggiatura paziente, che parte da lontano per poi avvolgere personaggi e spettatori nella sua tela.
Alla ricerca della giusta alchimia
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Geralt alle prese con una kikimora
Dosare gli ingredienti, valutare gli effetti delle varie pozioni, trovare la ricetta giusta. Gli autori hanno cercato di imitare la nobile arte degli alchimisti, cercando la migliore miscela tra l'avventura, il mistero e il disimpegno. Tra alti e bassi, possiamo dire, che l'intruglio è alquanto riuscito. L'unico aspetto che ci ha fatto storcere il naso sono alcune lacune nell'aspetto tecnico. Alcuni effetti visivi troppo posticci sulle creature, qualche calo nella cura fotografica e un trucco poco credibile per un contesto fantasy risultano alquanto stranianti. Senza dimenticare qualche costume troppo "pulito" e poco vissuto per risultare davvero credibile. Peccato perché il resto della confezione di The Witcher è molto curata: le musiche (che ricordano molto quelle amate nel videogame) sono evocative e trascinanti, le ambientazioni appaiono molto varie e caratterizzate e le scene d'azione ben coreografate.
In particolare le sequenze action dedicate a Geralt, tutte girate da Cavill stesso, dosano molto bene fisicità possente e agilità. Senza dimenticare l'uso dei segni magici, capaci di dare molta varietà ai duelli. The Witcher è un fantasy puramente sword and sorcery (spada e stregoneria) che vi trascinerà nel cuore di un mondo sporco e fangoso, ma non privo di sano intrattenimento.
Conclusioni
La serie Netflix ha avuto cura e rispetto della densa e intrigante mitologia immaginata da Andrzej Sapkowski, attraverso un racconto dedicato a tre personaggi che cercano il loro posto in un mondo cruento e ostile. I fan dei romanzi e del videogame troveranno in Henry Cavill un Geralt carismatico e credibile, affiancato da due personaggi femminili come Cirilla e Yennefer tutt'altro che secondari. Nonostante qualche pecca sul lato tecnico, The Witcher ha tutto il potenziale per diventare la nuova saga fantasy televisiva dal futuro assai longevo.
👍🏻
Il ritmo del racconto: mai noioso, sempre cadenzato da eventi intriganti.
Henry Cavill è un Geralt di Rivia credibile, granitico e carismatico.
Il modo in cui la trama avvicina lo strigo ai destini di Cirilla e Yennefer.
Le musiche evocative renderanno felici i fan del videogame.
Si ha la sensazione di aver solo sbirciato dentro un mondo vastissimo.
👎🏻
Spesso la convivenza tra toni drammatici e spensierati non è gestita al meglio.
Alcuni effetti visivi risultano davvero troppo posticci.
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multiverseofseries · 6 days ago
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New trailer for ‘MISSION IMPOSSIBLE: THE FINAL RECKONING’ has been released. In theaters May 23.
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multiverseofseries · 6 days ago
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Maleficent (2014)
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C'era una volta….o forse no
Dopo il revisionismo storico e quello politico non poteva mancare anche quello fiabesco. O magari si. A dire il vero, però, questa attività di rimaneggiamento è stata iniziata dallo stesso Walt Disney che, prendendo in prestito le favole della tradizione europea, le ha debitamente epurate dagli aspetti più cruenti e da una morale punitiva per costruire, anche se con qualche intoppo necessario, il tanto desiderato "e vissero felici e contenti". Nonostante questa passione per il lieto fine a tutti i costi, Disney però ha sempre mantenuto intatta la struttura drammaturgica, consapevole del fatto che, per far funzionare l'andamento narrativo, ad una delicata donzella doveva corrispondere sempre una forza malvagia intenzionata a sconvolgere il tranquillo fluire della sua quotidianità.
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Maleficent: Angelina Jolie spalanca le ali del male in una scena del film
E su questo teorema sono state costruite anche le moderne interpretazioni in live action di Biancaneve. Entrambe, quella diretta in chiave umoristica da Tarsem Singh con Julia Roberts nei panni di Grimilde, per l'occasione battezzata Clementianna, e Biancaneve e il cacciatore, che dona un piglio da guerriera all'eroina con il volto di Kristen Stewart, presentano fieramente un'interpretazione personale della Matrigna malvagia toccando punte di sublime cattiveria con l'interpretazione della statuaria Charlize Theron. Tanto per dimostrare quanto fascino conserva in se la malvagità. Alla luce di tutto questo, però, viene spontaneo interrogarsi sul senso di un film come Maleficent di Robert Stromberg che, prodotto da una moderna Disney, gioca sull'intenzione di rendere "umana" e comprensibile, se non addirittura scusabile, la figura della strega de La bella addormentata nel bosco. In questo modo, però, si toglie chiaramente al personaggio gran parte della sua funzione narrativa andando, automaticamente, ad indebolire la vicenda.
Malefica o Benefica? Questo è il problema
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Maleficent: Angelina Jolie in un'intensa scena del film
Secondo la visione originale di Disney Malefica è in assoluto la strega, la rappresentazione del potere occulto che agisce per orgoglio o per il semplice motivo di voler imporre la sua visione oscura del mondo. Alla base di questa interpretazione c'è la considerazione che il male spesso non ha cause o motivazioni, ma si esprime esclusivamente come una irragionevole forza distruttiva. E solamente i cuori più impavidi e valorosi possono opporsi a lui sperando di arrestarlo. Da questo incontro/scontro inevitabile nasce il senso stesso della favola come racconto mitologico, percorso evolutivo e divulgazione di un insegnamento. E' chiaro, dunque, che se si elimina o si indebolisce il villain del momento si andrà a raccontare tutta un'altra storia, correndo il rischio di perdere lungo la strada elementi come l'avventura e l'epica. Questo è quanto accaduto alla versione di Stromberg che, pur avvalendosi del volto noto di Angelina Jolie e di una notevole strategia di marketing, indebolisce così tanto la personalità del suo personaggio da renderlo quasi una comparsa.
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Maleficent: Angelina Jolie nel ruolo di Malefica in una scena tratta dal film
Fin dall'inizio è chiaro che l'intenzione del film è costruire una comunicazione tra la "fata" e il pubblico, seguendola nei suo anni giovanili, nell'incontro con Stefano, un ragazzo di umili origini che ovviamente diventerà Re, e, soprattutto, nell'innamoramento e nel più cocente dei tradimenti. Ossia quello dei sentimenti. E' così che Malefica, derubata soprattutto del suo cuore, diventa malvagia, cerca la sua rivalsa e per ottenerla maledice la neonata Aurora, figlia del suo perduto amore. Fino a qui nulla di troppo sconvolgente, ma Stromberg e i suoi sceneggiatori deviano decisamente verso una strada pericolosa quando decidono di dare una giustificazione al male e, soprattutto, costruiscono in Maleficent l'immagine di una strega in piena crisi di maternità negata, che si è persa lungo i viali del risentimento ma che si ritroverà grazie alla tenerezza di una bambina. Così, mentre le tre fate Fiorina(Lesley Manville), Giuggiola (Imelda Staunton) e Verdelia (Juno Temple), si prendono maldestramente cura della neonata, Malefica manda il corvo Fosco, interpretato da Sam Riley, a cullarla e sfamarla. Perché puoi anche aver gettato su di lei una maledizione perenne, ma non è certo carino farla morire di fame o lasciarla cadere da un dirupo. Il risultato è la costruzione di una bisbetica, più che di una strega, pronta a farsi redimere a colpi di sorrisetti e occhioni sgranati da una Elle Fanning, con una perenne espressione di stupore stampata sul volto e i suoi continui richiami ad una improbabile "fata madrina". Questa è la dimostrazione che non è sufficiente riprodurre in modo efficace l'immagine di Malefica, con tanto di corna demoniache, labbra rosso fuoco e zigomi appuntiti creati ovviamente al computer, per fare di un personaggio un protagonista.
A.A.A. Principe Azzurro cercasi
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Maleficent: tre elfe magiche in una scena del film
Le ultime opere di animazione della Disney, soprattutto quelle realizzate dalla Pixar, hanno messo in evidenza un cambiamento nelle caratteristiche che definiscono l'eroina romantica. Possiamo dire, prendendo in prestito le parole di una certa Carrie Bradshaw, che oggi una principessa invece di aspettare dormiente il bacio del vero amore, rifiuta le mela avvelenata, si rimbocca le maniche, trova un lavoro, firma una polizza assicurativa e si colloca in un appartamento possibilmente ad affitto bloccato con vista su Central Park. Naturalmente, anche la figura del principe azzurro ha subito dei cambiamenti. Oggi, all'irreprensibile eroe dal ciuffo ribelle e dal coraggio indomito in groppa ad un destriero bianco, si preferisce di gran lunga una simpatica canaglia con cui sconfiggere insieme i "draghi" della vita e affrontare un costante testa a testa caratteriale. Insomma, più che eroe e principessa indifesa, si preferisce parlare di una squadra, un team che agisce attraverso e nonostante le differenze dell'altro.
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Maleficent: Elle Fanning in una scena con Brenton Thwaites
Quando Disney pensò al personaggio del valoroso principe de La bella addormentata, decise di chiamarlo Filippo , come il consorte della Regina Elisabetta II. Questo perché doveva rimandare alla mente degli spettatori dell'epoca l'immagine regale più vicina ad una immaginario popolare. Oggi , invece, Stromberg opta per un look alla Disney Channel e per un personaggio che, non solo sembra sempre arrivare da tutt'altra situazione e in modo del tutto casuale, ma, in maniera altrettanto immotivata, compare e scompare incerto, alla fine, di fare il suo dovere. Ossia baciare Aurora per svegliarla dal suo sonno.
Conclusione
Nonostante il trucco sapiente, l'abbondanza di effetti visivi e un 3D che non aggiunge molto all'insieme estetico, Maleficent risente di una evidente perdita di identità della sua protagonista mettendo insieme momenti e personaggi che sembrano sempre casualmente e momentaneamente collegati alla vicenda.
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multiverseofseries · 8 days ago
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The first trailer for ‘TRON: ARES’ has been released. In theaters on October 10.
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multiverseofseries · 9 days ago
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New poster for Fantastic Four
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multiverseofseries · 9 days ago
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Il diritto di contare: alla conquista dello spazio e dei diritti civili
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La sceneggiatura di Ted Melfi e Allison Shroeder appaia la battaglia per diritti civili alla sfida della NASA per la corsa allo spazio nei primi anni '60, raccontando la storia vera di tre donne importanti e misconosciute: Katherine G. Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson.
C'è un'ineluttabile amarezza nel ricordarli oggi, quegli anni di battaglie e di speranze. Nei primi anni Sessanta l'America sognava di esplorare le stelle, oggi si rinchiude nei suoi confini, accecata dal terrore. Il diritto di contare è un film particolarmente rilevante, oltre che un successo pazzesco: incassò solo in USA più di 130 milioni di dollari a fronte di un budget di 25, conquistando anche tre candidature agli Academy Awards, inclusa quella come miglior film.
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Il diritto di contare: Taraji P. Henson, Glen Powell e Octavia Spencer in una scena del film
Oscar o non Oscar, non è un'opera destinata a rimanere nella storia del cinema per i suoi traguardi artistici quella di Theodore Melfi. Gli manca decisamente la voglia di osare e c'è qualche debolezza tipica del biopic convenzionale, ma la storia che racconta è talmente incredibile che siamo perfettamente disposti ad apprezzarlo per le sue intenzioni quanto per i suoi meriti effettivi, e a difendere l'attenzione che ha ricevuto: Il diritto di contare non ha bisogno di essere pionieristico quando le pioniere, le rivoluzionarie dell'impegno e della solidarietà sono le sue protagoniste.
Mai più invisibili
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Il diritto di contare: Janelle Monae in una scena del film
Il titolo orginale del film (e del libro di Margot Lee Shetterly da cui è tratto) è Hidden Figures, un pun un po' diverso da quello rappresentato dal non disprezzabile titolo italiano: le hidden figures sono cifre e formule matematiche cruciali per la pianificazione dei lanci spaziali, ma anche figure storiche rimaste nell'oscurità nonostante la loro importanza. In decine e decine di film dedicati alle missioni spaziali - una delle più nobili espressioni della curiosità e della tenacia della nostra specie - abbiamo incontrato decine e decine di astronauti, controllo missione, e dirigenti della NASA che erano quasi sempre maschi bianchi. Niente di nuovo sotto il firmamento hollywoodiano, ma è semplicemente inaccettabile che, a oltre cinquant'anni dagli eventi narrati nel film, non si sia mai sentito parlare di personaggi come Katherine G. Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson.
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Il diritto di contare: Taraji P. Henson in una scena del film
Il diritto di contare pone rimedio a questo oltraggio con una sceneggiatura, firmata dallo stesso Melfi e da Allison Schroeder, che altera parzialmente eventi e cronologia nell'ottica della drammatizzazione, ma fa soprattutto un ottimo lavoro nell'inquadrare storicamente i fatti: non solo le difficoltà e le frustrazioni di queste brillanti scienziate costrette a lavorare in un regime di segregazione razziale, ma anche il clima di paranoia e tensione generale degli anni della Guerra Fredda, con la corsa allo spazio a rappresentare una forma di competizione pacifica, ma non per questo meno vitale, coi sovietici.
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Il diritto di contare: una scena del film
Il genio umile
Nonostante i suoi meriti nell'inquadramento e nell'elaborazione del soggetto, Il diritto di contare non sarebbe il film accattivante che è senza le sue interpreti Octavia Spencer, Janelle Monae e sorpattutto Taraji P. Henson, un'attrice dalla presenza scenica incandescente che dopo aver conquistato immense platee televisive con il ruolo memorabile di Cookie Lyon in Empire si dimostra perfettamente a suo agio anche nei panni della nerd un po' imbranata.
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Il diritto di contare: Taraji P. Henson in un momento del film
Nonostante l'equilibrio dello script, attento agli spazi personali e alle sfide professionali di tutte e tre le sue eroine e con tutte munifico in materia di momenti esaltanti, potremmo ben definire la sua Katherine la vera protagonista del film, se non altro per quel prologo che sottolinea quale tesoro, scovato in circostanze proibitive, sia la sua intelligenza. La chiamata di Katherine Johnson nel circolo che conta, ovvero nella task force che si occupa della missione spaziale che deve portare l'astronauta John Glenn a diventare il primo americano nello spazio, è frutto di una contingenza mai verificatasi prima: la necessità di dare una possibilità a chi è effettivamente più bravo degli altri pur essendo una donna di colore (la "rivalità" di Katherine con il dottor Stafford interpretato da Jim Parsons è uno degli elementi più gustosi del film, anche se ad esclusivo appannaggio degli spettatori di The Big Bang Theory).
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Il diritto di contare: Octavia Spencer in un'immagine di gruppo del film
Prima dell'avvento di Katherine, Dorothy e Mary, le "computers" di colore, matematiche a cui erano affidati i calcoli prima della rivoluzione informatica, lavoravano isolate dal resto del personale in uno scomodo casermone, con affollate toilette destinate all'uso dei "coloured"; Il diritto di contare illustra dunque la storia di come John Glenn arrivò in orbita, e di come loro, non grazie a un uomo liberatore ma grazie al proprio ingegno, vennero fuori dalla reclusione. Per unirsi a una causa comune: perché un'altra cosa che ci piace - e si può persino definire abbastanza originale - dell'impostazione narrativa del film è la scelta di raccontare con Katherine e le sue amiche non il genio visionario, isolato ed egocentrico di tanti film dedicati alle grandi menti scientifiche, ma un'intelligenza umile e generosa al servizio di un'intera comunità e di un'intero paese.
Uno sforzo comune
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Il diritto di contare: Kevin Costner in una scena del film
Le "figure nascoste" sono state dunque non superstar, ma elementi di un vasto ingranaggio volto a ottenere un trionfo scientifico e tecnologico, e quando non è impegnato a rivelare la dedizione e l'umanità di Katherine, la generosità e la pazienza di Dorothy e la determinazione e l'orgoglio di Mary, a sfruttare, insomma, il carisma delle sue brillanti prime attrici, Melfi si profonde senza troppi guizzi in una messa in scena corale che ci restituisce il messaggio più attuale del film: l'inclusione fa la forza. Un pensiero che gli autoindulgenti e abulici nemici del "politically correct" chiameranno forse sempliciotto e buonista, ma la mancanza di complessità non è necessariamente semplicismo e l'approccio del film alle questioni razziali è anzi piuttosto apprezzabile: non predica, non accusa e non minaccia; non offre facili e ipocrite soluzioni, ma mostra il cauto ottimismo e la dignitosa pazienza di persone che attendono di poter brillare e dare il proprio contributo, e nell'attesa si sostengono e si supportano generosamente. Finendo per rendere loro - finalmente - l'onore che meritano.
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multiverseofseries · 11 days ago
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4. Il regno del pianeta delle scimmie: Wes Ball ci riporta nel mondo avventuroso della saga
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Il regno del pianeta delle scimmie: il film di Wes Ball che ci riporta nel mondo della saga dopo la trilogia terminata nel 2017, con la Freya Allan di The Witcher come protagonista umana.
Non sentivamo il bisogno di un nuovo film della saga de Il pianeta delle scimmie. Non ne sentivamo la necessità in primo luogo perché il ciclo di storie, andato avanti dal 2011 al 2017, era risultato compiuto in tutto e per tutto. In fin dei conti, una trilogia è un qualcosa che percepiamo in automatico come completo, perché soddisfa la nostra esigenza di un inizio, uno svolgimento e una fine. Cose che abbiamo avuto con L'alba del pianeta delle scimmie, il suo seguito Apes Revolution e infine The War. Poi sono successe un paio di cose che hanno acceso i riflettori sul nuovo progetto, un quarto film che è in realtà un nuovo inizio.
Nel nome di Cesare
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Il regno del pianeta delle scimmie, un nuovo inizio
La storia de Il Regno del Pianeta delle Scimmie si pone nel futuro rispetto al capitolo precedente, un futuro vago, definito solo da un generico "Molte generazioni dopo". Cesare non c'è più, le scimmie sono la specie dominante e vivono in armonia tra loro, mentre gli umani sono costretti a tenersi nell'ombra. Un contesto molto diverso da quello che avevamo lasciato, sullo sfondo del quale un nuovo leader emerge e cerca di costruire il proprio impero con metodi tirannici e tradendo il nome di Cesare a cui si ispira. In questo contesto si muove la storia di Noa, una giovane scimmia che inizia il proprio viaggio con intraprendenza, imbattendosi in un'umana che mette alla prova le sue idee e trovandosi a dover mettere in discussione tutto ciò che conosceva del passato, arrivando a dover fare delle scelte per poter ridefinire il futuro. Per se stesso, per le scimmie e per gli umani.
Guardare avanti
La scelta di spostarsi nel futuro rispetto ai capitoli precedenti, e di tenerlo un tempo non meglio definito, permette alla sceneggiatura di Josh Friedman di muoversi con molta libertà, di poter costruire l'ambientazione che fa da sfondo al racconto senza rigidi vincoli né col passato e la trilogia conclusa, né col futuro conosciuto nei film degli anni '70: il film di Wes Ball è un nuovo interessante inizio che in questo modo va a riempire una duplice caselle, sequel da una parte, prequel dall'altra. Il regno del pianeta delle scimmie si muove in modo agile in questo spazio che si è andato a creare da solo e con intelligenza, facendo da ponte tra due anime del franchise che abbiamo già conosciuto. E riesce a farlo raccontandoci una buona avventura, un viaggio che riesce ad appassionarci alle figure che lo compiono.
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Freya Allan con i coprotagonisti scimmie
A cominciare da Noa, giovane scimmia che deve scoprire il mondo e mettere in discussione ciò che credeva di sapere, resa con profondità dal suo doppiatore Owen Teague e il team degli effetti visivi, un duplice lavoro, artistico e tecnico, che lo rende una figura tridimensionale, credibile, con cui è facile empatizzare. Questo sforzo nella costruzione visiva viene messo continuamente alla prova da Wes Ball, che non si tira indietro quando si tratta di osare sul piano dei mezzi da mettere in gioco e non rinuncia a mostrare a schermo un numero elevato di scimmie, e quindi personaggi totalmente creati in digitale, e altre importanti sfide per tutto il comparto tecnico.
L'umanità e la conoscenza
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Freya Allan è Mae
Il mondo de Il regno del pianeta delle scimmie è visivamente imponente nella sua decadenza, con scenografie e ambienti che trasmettono il senso di tempo passato, le "tante generazioni" a cui fa riferimento la didascalia iniziale: è il nostro regno ormai decaduto, pronto a diventare quello delle scimmie, abili ad attingere a ciò che trovano per sfruttarlo e farlo proprio. È un mondo di passaggio, ben rappresentato anche dai pochi personaggi umani, dalla Mae di Freya Allan al Trevathan di William H. Macy. Perché c'è umanità nel film di Wes Ball, al di là di loro, nelle scimmie e in una conoscenza che va preservata o conquistata. Perché è lì che risiede il vero potere: nella conoscenza, in quel sapere che rischia di decadere come il nostro mondo umano. Un monito che accogliamo in tempi che appaiono fin troppo di declino.
Conclusioni
Non ne sentivamo il bisogno, ma alla fine ci ha convinti: Il regno del pianeta delle scimmie è un buon film d’avventura che sfrutta il tempo passato dalla fine dei capitoli precedenti per costruire qualcosa di nuovo e personale, andandosi a collocare in quel vuoto narrativo che c’è tra la trilogia conclusa nel 2017 e i classici degli anni ’70. Wes Ball riesce a creare l’atmosfera giusta e sfrutta buoni effetti visivi per tratteggiare il suo mondo che si colloca tra la fine dell’umanità e l’esplosione della civiltà delle scimmie, lasciandoci con la curiosità di vedere come questa storia tra essere sviluppata ulteriormente.
👍🏻
La scelta di collocarsi in un tempo indefinito e lontano dai film visti di recente.
Gli effetti visivi, che sanno costruire un mondo decadente, desolato e credibile.
La recitazione dei (tanti) personaggi virtuali.
I pochi personaggi umani, ben costruiti e calibrati.
👎🏻
Non tutti i passaggi della storia funzionano a dovere.
Alcune riflessioni restano in superficie… ma potranno essere sviluppate in futuro.
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multiverseofseries · 13 days ago
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‘HOUSE OF THE DRAGON’ Season 3 has entered production.
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multiverseofseries · 13 days ago
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Milly Alcock on the set of ‘SUPERGIRL: WOMAN OF TOMORROW.’ In theaters June 26, 2026
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multiverseofseries · 13 days ago
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The War - Il pianeta delle scimmie: Ape-calypse Now
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Matt Reeves chiude la nuova trilogia della saga di Il pianeta delle scimmie con un capitolo spiazzante, in cui l'impressionante fotorealismo si concentra sull'emotività dei propri protagonisti, in un viaggio all'interno del significato di umanità che somiglia più a un western crepuscolare che a un film di guerra.
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The War - Il pianeta delle scimmie: una scena del film di Matt Reeves
"Sei troppo emotivo!": la frase chiave di The War - Il pianeta delle scimmie, la pronuncia Woody Harrelson, un colonnello folle che sembra una fusione tra il suo personaggio in Assassini nati (1994) e il Kurtz di Apocalypse Now (1979), nel terzo atto del film, in cui si scontra faccia a faccia con Cesare, lo scimpanzé super intelligente protagonista del nuovo ciclo di avventure della saga di Il pianeta delle scimmie, cominciato nel 2011 con L'alba del pianeta delle scimmie.
Autoproclamatosi la "scimmia nuda", l'uomo ha conquistato il mondo grazie al suo pollice opponibile e alla capacità di costruire strumenti e immaginare mondi complessi. Consapevole della propria natura mortale, l'homo sapiens vive il paradosso di poter concepire l'infinito nella propria mente essendo però costretto a trascinarsi in un corpo mortale. Evolutosi in maniera esponenziale attraverso diverse civiltà e tecnologie, l'essere umano continua però a non fare i conti con le proprie origini, creando un'immagine di se stesso razionale che non corrisponde alla realtà, perché non tiene conto dei nostri insopprimibili istinti primordiali.
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The War - Il pianeta delle scimmie: Woody Harrelson in una scena del film
Dal terzo, e conclusivo, capito della nuova trilogia di Il pianeta delle scimmie ci si poteva aspettare un semplice film d'azione realizzato con una tecnologia sempre più avanzata e realistica, invece il regista Matt Reeves ha deciso di mettere in scena un racconto che è quasi un trattato di sociologia, in cui le vere esplosioni sono nelle rughe d'espressione e negli occhi dei protagonisti, che vivono un conflitto interiore costante, dal valore universale, perché è quello di ogni creatura dotata di coscienza.
Un western animale
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The War - Il pianeta delle scimmie: un'immagine tratta dal film
"Sei troppo emotivo", dicevamo. Dopo una spettacolare scena d'apertura che ricorda i grandi film di guerra dedicati al conflitto del Vietnam, che accontenta gli amanti duri e puri del genere, The War - Il pianeta delle scimmie preme improvvisamente il freno, per cambiare ritmo e respiro, diventando un western crepuscolare, in cui Cesare e tre dei suoi più fidati compagni, Maurice (Karin Konoval), Rocket (Terry Notary) e Luca (Michael Adamthwaite), intraprendono un viaggio a cavallo in mezzo a boschi innevati, per cercare di stanare ed eliminare il Colonnello, in modo da mettere fine alla guerra tra uomini e scimmie. L'incontro con una bambina muta, Nova (Amiah Miller), incapace di parlare a causa di un virus che sta togliendo agli esseri umani le principali caratteristiche che li rendono tali, sconvolge ancora di più Cesare, combattuto tra la sua voglia di vendetta nei confronti del Colonnello e la consapevolezza di assomigliare sempre di più al nemico che tanto odia.
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The War - Il pianeta delle scimmie: un momento del film
Si può essere umani senza la nostra emotività? E si può allo stesso tempo esserlo senza provare compassione per il prossimo e per le forme di vita che ci circondano? Ridotti a figure stereotipate o silenti, gli uomini del racconto sono come delle figurine su un libro stampato, che ripetono gli stessi errori di sempre, incapaci di cambiare; al contrario le scimmie, e in particolare Cesare, si pongono domande, soffrono, tornando ogni volta al punto cruciale del film: possiamo imparare dai nostri errori o no? In un perfetto scambio di prospettiva, è la scimmia ad avere la maggiore lucidità: consapevole di non potersi liberare totalmente della propria emotività, che ha dato origine al conflitto, Cesare prova pietà per gli esseri umani e per se stesso, capendo che la scintilla della guerra è e sarà sempre presente nel suo cuore, anche se la testa gli dice che non è naturale.
Le scimmie siamo noi
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The War - Il pianeta delle scimmie: Woody Harrelson in un momento del film
Grazie a un costante gioco di specchi, Reeves fugge la facile trappola del "chi ha ragione e chi ha torto", elemento che non ha nessuna importanza, mettendo in scena un riassunto degli errori che l'umanità compie ciclicamente: in The War - Il pianeta delle scimmie c'è la rappresentazione di ogni scontro, di ogni atto di terrorismo, di ogni tortura, pescando a piene mani anche dall'iconografia religiosa, con un Casare crocifisso e frustato, a cui viene negato da bere, come Gesù imprigionato dai romani. A sorpresa, l'ultimo anello di Il pianeta delle scimmie è dotato di una complessità inaspettata, in cui il protagonista si rende conto dei propri errori e di quelli del nemico, cercando di capire come arginare i danni di un'aggressività incontrollabile, che ritorna prepotentemente ogni volta che il conflitto tocca personalmente ognuno di noi, restringendo lo sguardo dal macroscopico al microscopico. In questo senso l'unica speranza per gli esseri umani è tramandare i nostri errori alle nuove generazioni, confidando nel fatto che un giorno capiscano come evitare di lasciarsi trasportare dalla propria natura e innescare le fiamme della guerra ancora e ancora e ancora.
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The War - Il pianeta delle scimmie: Amiah Miller in un momento del film
Il personaggio della bambina, Nova, diventa quindi l'incarnazione stessa della speranza: silenziosa e compassionevole, non si perde in discorsi solenni o in complicate strategie di guerra, ma, semplicemente, con il suo sguardo puro e il tocco delicato, fa quello che sembra impensabile, ovvero fare del bene anche a chi ci ha causato una perdita, addirittura tendendogli la mano per offrirgli del cibo e quindi la vita, perché anche lui soffre come noi. In un ulteriore cambio di prospettiva, la bambina è come un animale senza macchia, muto e innocente, che non capisce cosa sia l'odio o la vendetta, facendo ricordare a Cesare che una volta anche lui era come lei.
Fotorealismo all'ennesima potenza
L'introspezione psicologica del film non sarebbe possibile senza la prova straordinaria di Andy Serkis, ormai riferimento assoluto nel campo della recitazione in motion capture: il suo Cesare è di un'umanità disarmante. Matt Reeves mette al servizio dell'attore l'incredibile fotorealismo della tecnologia usata concentrandosi soprattutto sul suo sguardo e sul volto, inquadrando insistentemente il protagonista in primo piano, allargando il campo solo quando è strettamente necessario ai fini della storia, a dimostrazione ancora una volta che la guerra che gli interessa è quella nella mente dei suoi personaggi. A impreziosire il tutto la fotografia di Michael Seresin e la musica di Michael Giacchino, che contribuiscono a creare un'atmosfera decadente e intimista, illuminata solo a tratti da una luce di speranza e di umorismo, incarnato dal personaggio di Bad Ape (scimmia cattiva, interpretato da Steve Zahn), anello di congiunzione tra le scimmie in stato di natura e quelle evolute, che forse ci ricorda più di tutti quanto siamo buffi quando ci sforziamo di soffocare i nostri istinti cercando di comportarci come esseri razionali.
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multiverseofseries · 15 days ago
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“Wicked: For Good” poster in high quality.
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