#mistero e tensione
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Io Sono Tornato: Brian Freeman e il fascino del thriller psicologico. Recensione di Alessandria today
Un viaggio nella mente umana e nei segreti più oscuri, firmato da un maestro del thriller contemporaneo.
Un viaggio nella mente umana e nei segreti più oscuri, firmato da un maestro del thriller contemporaneo. Biografia dell’autore: Brian Freeman Brian Freeman, nato nel 1963 a Chicago, è uno degli autori più acclamati nel panorama del thriller psicologico. Conosciuto per la sua abilità nel costruire trame avvincenti e personaggi profondamente complessi, Freeman ha ricevuto numerosi premi, tra cui…
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🛑12 DICEMBRE 1969:
IL PERCORSO DELLA BOMBA
CHE FECE LA STRAGE
GLI ULTIMI DUECENTO METRI🛑
Si è soliti dire che persista più di un mistero riguardo alla strage del 12 dicembre 1969 in piazza Fontana. Nulla di più falso. Sappiamo moltissimo, quasi tutto, di questa tragica vicenda. Non ci si lasci ingannare dalle sentenze. Nelle attività di indagine sono state acclarate le ragioni che ispirarono la strage in funzione di un salto di qualità nel percorso della “strategia della tensione” e messo a fuoco il complesso dei mandanti, tra vertici militari e ambienti Nato, complici ampi settori delle classi dirigenti e imprenditoriali, tentati da avventure eversive. Sono anche stati individuati gli esecutori materiali, ovvero gli uomini di Ordine nuovo, con il riconoscimento delle responsabilità personali di Franco Freda, Giovanni Ventura e Carlo Digilio.
Sulla base delle carte che si sono accumulate, interrogatori, confessioni, incrocio di indizi, sarebbe addirittura possibile ricostruire il percorso compiuto dalla bomba collocata all’interno della Banca nazionale dell’agricoltura. Ne riassumiamo i passaggi fondamentali, omettendo doverosamente alcuni nomi che pur sono emersi. Sono mancati, infatti, quei riscontri inoppugnabili che altrimenti avrebbero determinato dei rinvii a giudizio. Personaggi comunque ad oggi non tutti più processabili, dato il venir meno delle loro esistenze negli anni precedenti le indagini.
DALLA GERMANIA IN ITALIA
Sulla provenienza dell’esplosivo siamo in possesso di due versioni diverse. La prima è stata fornita dal generale Gianadelio Maletti, ex capo dell’Ufficio D del Sid, che in più occasioni (sia nel 2001 a Milano nel corso del dibattimento di primo grado nell’ultimo processo e sia in una lunga intervista nel 2010) ha sostenuto che fosse «esplosivo di tipo militare» e provenisse da una base Nato della Germania, poi transitato con un tir dal Brennero per essere alla fine consegnato a una «cellula» di neofascisti del Veneto. Questa versione è stata in parte ribadita dall’allora vice presidente del Consiglio Paolo Emilio Taviani che nelle sue memorie scrisse testualmente «un americano […] portò dell’esplosivo dalla Germania in Italia».
La seconda versione la fornì Carlo Digilio, l’armiere di Ordine nuovo, che parlò di un esplosivo prodotto in Jugoslavia, il Vitezit 30. Come noto un foglio di istruzioni per l’utilizzo di questo esplosivo fu rinvenuto nell’abitazione di Giovanni Ventura.
DA MESTRE A MILANO
L’esplosivo che sarà alla fine rinchiuso in una cassetta metallica Juwel (poco meno di tre chili), trasportato da due esponenti di Ordine nuovo nel bagagliaio di una vecchia 1100, venne periziato qualche giorno prima del 12 dicembre in un luogo tranquillo ai bordi di un canale a Mestre dall’esperto in armi della stessa organizzazione, Carlo Digilio. Il timore era che potesse deflagrare lungo il tragitto verso Milano. L’esperto li rassicurò a patto che venisse utilizzata un’altra vettura, con sospensioni adeguate. I due gli fecero presente che già si era pensato a una Mercedes di proprietà di un camerata di Padova. Una figura nota nell’ambiente, protagonista di azioni squadriste, con anche un ruolo pubblico nella federazione del maggior partito cittadino di estrema destra. La notte prima del viaggio, destinazione Milano, la Mercedes, di color verde bottiglia, venne posteggiata sotto la casa di un ancor più noto dirigente ordinovista.
L’esplosivo doveva essere consegnato in un luogo sicuro, un ufficio in corso Vittorio Emanuele II con un’insegna posta all’esterno che all’imbrunire si accendeva di un color rosso. Qui la bomba, meglio le bombe (una era destinata alla Banca Commerciale Italiana di piazza Della Scala), vennero assemblate. I temporizzatori che dovevano innescarle, acquistati da una ditta di Bologna, davano un margine di un’ora. Gli uffici in questione offrivano un riparo sicuro, bisognava percorrere solo qualche centinaio di metri per raggiungere i posti prescelti per gli attentati. Nel caso di un qualche intoppo o contrattempo si poteva tornare velocemente sui propri passi e disinnescare gli ordigni. Un’operazione di questo genere non poteva essere certo affidata all’improvvisazione. Non si poteva neanche lontanamente pensare alla toilette di un bar o l’interno di una vettura posteggiata. Troppo rischioso.
DA CORSO VITTORIO EMANUELE II
ALLA BANCA NAZIONALE DELL’AGRICOLTURA
La bomba per la Banca Nazionale dell’Agricoltura venne portata a mano. Chi la trasportava non era solo. Uno di loro se ne sarebbe in seguito anche vantato in una festicciola tra camerati e con l’armiere del gruppo.
Provenienti da corso Vittorio Emanuele II, attraversata la Galleria del Corso, in piazza Beccaria, al posteggio dei Taxi, uno degli attentatori metterà in opera una delle più grossolane operazioni di depistaggio per incastrare gli anarchici. Rassomigliante a Pietro Valpreda farà di tutto per farsi riconoscere dal taxista Cornelio Rolandi. Si farà portare per 252 metri fino in via Santa Tecla, distante 117 metri a piedi dalla banca, per poi tornare al taxi, percorrendo in totale 234 metri a piedi, per non farne 135, ovvero la distanza da piazza Beccaria all’ingresso della Banca nazionale dell’agricoltura. Si farà infine scaricare in via Albricci, dopo soli 600 metri, a soli 465 metri dalla banca.
Forse sappiamo tutto, anche cosa accadde negli ultimi duecento metri o poco più. Sarebbe possibile anche fare i nomi, ma siamo costretti a far finta di non saperli e a raccontare le mosse e gli atti di costoro come in un film o in un romanzo.
SAVERIO FERRARI
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Stamattina mi sono imbattuta in questo brano di Osho. Richiede qualche minuto, ma vi invito a leggerlo. Un'esortazione a riconoscere che ciò che incontriamo nell'altro, come in noi, e' qualcosa di piu'complesso che richiede una sospensione, un'osservazione. Indagare che cosa ci muove per davvero e conoscerci, abbracciarci sempre di piu'.
VIVERE CON IL MISTERO
Dentro di me non sono mai tranquillo. C'è ancora della rabbia che non comprendo. Qualcosa mi dice di essere calmo, di stare zitto, ma per me è molto difficile ascoltare quella voce interiore che mi dice di stare tranquillo. Mi fa paura.
Semplicemente non reprimere più la rabbia. Tutta quella che è rimasta, dev’essere portata all’esterno, perché questo è l’unico modo di essere veramente tranquilli.
Ti puoi forzare a essere tranquillo, ma questa tranquillità prima o poi verrà turbata perché al di sotto di essa la rabbia bolle, aspettando il momento e l’occasione giusta. Così sei sempre seduto su un vulcano. Tutto è apparentemente tranquillo quando il vulcano non sta eruttando, non è attivo, ma all’interno si sta preparando. Una parte della rabbia è venuta fuori, una parte è ancora lì – e quella che è venuta fuori era superficiale. La rabbia che deve venire fuori è più profonda – ecco perché è difficile da comprendere.
Una parte della rabbia è comprensibile perché è collegata a persone o situazioni. Puoi comprendere il motivo della tua rabbia – la causa è chiara. Ma quando questo strato – lo strato superficiale della rabbia – viene buttato fuori, di colpo arrivi a una sorgente di rabbia che non è collegata a un fatto esterno, che è semplicemente parte di te. Nessuno ti ha insultato, non c’è in realtà alcuna scusa per arrabbiarsi – eppure la rabbia c’è. La comprensione diventa difficile perché non puoi gettare la responsabilità su un altro. Ora è qualcosa che è dentro di te, che appartiene a te. Ci hanno insegnato che la rabbia accade solo in una certa situazione di tensione. Ma questo non è vero.
Nasciamo con la rabbia; è parte di noi.
In certe situazioni viene a galla, in altre è inattiva, ma è sempre presente. Quindi prima devi far uscire la rabbia che è in relazione a qualcos’altro, e poi arriverai alla sorgente più profonda di rabbia che non è in relazione a nessun altro – quella con cui sei nato. È un’emozione non indirizzata a nessuno, e per questo è difficile comprenderla. Ma non occorre comprenderla. Buttala fuori, non su una persona, ma su un cuscino, sul cielo, su Dio, su di me! Buttarla fuori è l’importante.
E dato che non è collegata a qualcosa, è per forza assurda. Non sai su chi o che cosa riversarla, come buttarla fuori. Se la butti su qualcuno, ti sentirai molto colpevole, perché l’altro non se l’è meritata affatto. Questo è il suo mistero, e ti disturba moltissimo, ti sconvolge.
Questo accade con tutte le emozioni. C’è una parte di amore che è in relazione a qualcuno. Poi, se vai più in profondità, un giorno arriverai alla sorgente di amore che non è indirizzato a qualcuno in particolare. Non si muove verso qualcuno; esiste semplicemente, è lì dentro di te. La stessa cosa è vera per tutto ciò che senti. Tutto ha due parti.
Una parte, quella inconscia, quella più profonda, è semplicemente lì dentro di te, mentre la parte superficiale è l’operare di questo livello profondo nelle tue relazioni. Chi rimane in superficie si dimentica sempre completamente dei propri tesori interiori. Quando butti fuori la rabbia interiore, arrivi faccia a faccia con il tuo amore e la tua compassione presenti al tuo interno. La spazzatura dev’essere buttata fuori in modo che tu possa arrivare all’oro puro contenuto dentro di te.
Tienilo come punto fisso – non cercare di comprenderla.
Questo è uno dei problemi fondamentali che l’Occidente, la mente moderna, deve affrontare; cerchiamo di comprendere tutto… ma la vita è di base un mistero.
Puoi viverla, ma non puoi comprenderla. Se insisti a volerla capire, rimarrai superficiale.
L’intelletto funziona solo in superficie, solo fino a un certo punto, ma poi non riesce ad andare più in profondità. La profondità non è la dimensione dell’intelletto; la lunghezza è la sua dimensione. Quindi se vuoi conoscere i dettagli, l’intelletto te ne darà tantissimi, quanti ne vuoi, ma non potrà andare in profondità; non potrà scavare in un fatto nella dimensione della profondità, verticalmente. Lascia perdere; non occorre comprendere.
La rabbia è presente; è sufficiente sapere questo. Dev’essere buttata fuori, perché se rimane in te non ti sentirai mai calmo e tranquillo; continuerà a bruciare come un fuoco dentro di te. Continuerà a trovare pretesti all’esterno e, se non la butti fuori senza alcun pretesto, la butterai fuori con qualche pretesto – e allora il problema sarà ancora più complicato. La butterai sulla moglie, sui figli, sull’amico, su qualcuno. Ma così creerai ancora più complicazioni per te stesso perché non avrai afferrato il punto. Quindi la tua è una buona intuizione; usala.
Osho
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Amore è solo la chiave che ci apre le porte della nostra vita emotiva di cui ci illudiamo di avere il controllo, mentre essa, ingannando la nostra illusione, ci porta per vie e devianze dove, a nostra insaputa, scorre, in modo tortuoso e contraddittorio, la vitalità della nostra esistenza.
Tutti, chi più chi meno, abbiamo esperienza del fatto che l'amore si nutre di novità, di mistero e di pericolo e ha come suoi nemici il tempo, la quotidianità e la familiarità. Nasce dall'idealizzazione della persona amata di cui ci innamoriamo per un incantesimo della fantasia, ma poi il tempo, che gioca a favore della realtà, produce il disincanto e tramuta l'amore in un affetto privo di passione o nell'amarezza della disillusione.
L'amore svanisce perché nulla nel tempo rimane uguale a se stesso, specialmente quando si ha a che fare con le persone che la vita costringe a un inarrestabile cambiamento. Ma non è il cambiamento a degradare l'amore, siamo piuttosto noi a fare di tutto per degradarlo. [...]
Privo di desiderio, l'amore garantisce tenerezza, intimità, sicurezza, ma non prevede l'avventura, la tensione e il senso del rischio che alimentano la passione. Dal canto suo il desiderio senza amore è stimolante, eccitante, vibrante, ma non ha l'intensità e il senso di un'elevata posta in gioco che rendono profonda la relazione. Non ci è dato, se non per brevi attimi, di fare esperienza nello stesso tempo dell'amore e del desiderio verso la stessa persona. E questo perché l'amore, che nasce sotto il segno della stabilità e dell'eternità, vuole ciò che il desiderio rifiuta.
Il desiderio, infatti, non sa cosa vuole. È un attimo infondato che trova insopportabile ogni gesto della ripetizione volto a confermare se stesso. Come una forza incontrollata irrompe nella stabilità dell'ordine, producendo nel senso, da tempo codificato, quel contro - senso che fa ruotare i discorsi senza immobilizzarli intorno a un dispositivo reale. Per questo nel discorso provoca la parentesi, l'interposizione. Insinuandosi come un incidente nella propria vita la fa traboccare, esponendola a un altro senso, quasi sempre fuorviante rispetto all'esigenza unitaria di una biografia.
E questo perché il desiderio, a differenza dell'amore che vuole costruzione e stabilità, è un movimento verso un punto di perdita. Non produce un altro linguaggio parallelo, autonomo o alternativo a quello dell'amore, ma solo eventi il più delle volte tra loro irrelati, che mirano alla dissoluzione di tutto ciò che pretende di porsi come unico, come esemplare, come subordinate la ricchezza e la varietà del molteplice. Per questo, nel suo impulso, il desiderio non predispone una risposta e non contiene una soluzione. Non si lascia presiedere da alcuna logica. Se mai è cio che rompe la logica del discorso, la sua grammatica, la sua sintassi. Il desiderio è ciò che nel discorso fa problema.
U. Galimberti, Le cose dell'amore
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Midnight Mass: Un Venerdì Santo da Paura in Sette Puntate
Midnight Mass: Benvenuti nell'Altare del Terrore Televisivo
Cosa ottieni se mescoli il sacro con il profano, l'horror con il dramma, e aggiungi un pizzico di mistero soprannaturale? Ottieni "Midnight Mass", una miniserie che ridefinisce il concetto di genere televisivo. Diretto da Mike Flanagan, noto per i suoi lavori nel campo dell'horror psicologico, "Midnight Mass" si distingue per la sua capacità di fondere elementi di horror classico con riflessioni esistenziali e morali. Chi avrebbe mai pensato che una serie ambientata su un'isola sperduta, con un prete carismatico e una congregazione di fedeli, potesse diventare un cult del piccolo schermo?
Non è la prima volta che l'horror viene imbastito all'interno di un contesto religioso. Sono moltissimi gli esempi di film dove preti e suore vengono posseduti da entità maligne. Tuttavia nel mondo della serialità, "Midnight Mass" diventa un esempio di miniserie paurosa ma anche elegante e profonda.
Flanagan e la Scalata Tensiva: Prendete i Popcorn, ma Non Abbiate Fretta
Mike Flanagan, il maestro dell'horror contemporaneo, dimostra ancora una volta di sapere come costruire una narrazione intensa e coinvolgente. La tensione in "Midnight Mass" cresce come un’onda di marea, lenta ma inesorabile. Ogni episodio aggiunge un pezzo al puzzle, portando lo spettatore sempre più vicino all'inevitabile climax. Questo non è uno show da binge-watching distratto; richiede attenzione e pazienza, ma la ricompensa è una storia che ti tiene incollato allo schermo.
La Recitazione: Un'Ensemble di Talenti Celestiali
La recitazione in "Midnight Mass" è semplicemente stellare. Zach Gilford, Kate Siegel, Hamish Linklater e il resto del cast offrono performance che sono tanto intense quanto credibili. Linklater, in particolare, brilla nel ruolo di Padre Paul, il misterioso sacerdote che porta con sé un'aria di inquietudine e segreti oscuri. I personaggi sono ben sviluppati, e gli attori riescono a trasmettere una gamma di emozioni che vanno dalla devozione cieca alla disperazione più profonda.
Infatti, è proprio l'eterogeneità del cast che rende questo racconto speciale e intenso, secondo me. Dagli adulti ai pochi giovani presenti sull'isola, l'umanità viene incarnata in questa piccola ma speciale comunità.
Monologhi Lunghi e Dialoghi Teatrali: Shakespeare, Prendi Appunti
Una delle caratteristiche più distintive di "Midnight Mass" è l'uso di riprese lunghe e dialoghi che sembrano monologhi teatrali. Ogni parola è pesata e ogni silenzio carico di significato. Questi momenti possono sembrare lenti, ma sono essenziali per costruire l'atmosfera e sviluppare i temi della serie.
È come se Flanagan avesse deciso di portare il teatro in televisione, regalando agli spettatori scene di pura intensità emotiva che rimangono impresse nella memoria.
Il Messaggio: Non Solo Vampiri e Messa di Mezzanotte
"Midnight Mass" non è solo una storia di terrore; è una riflessione profonda sulla fede, il fanatismo religioso, il senso di colpa e la redenzione. Attraverso i suoi personaggi, la serie esplora le motivazioni che spingono le persone a credere e a sacrificarsi per ciò in cui credono. Il risultato è un messaggio potente che invita a riflettere su ciò che significa veramente avere fede e su quanto possa essere pericoloso quando diventa cieca e incontrollata.
Musica da Brividi: Un Coro di Note Angoscianti
La colonna sonora di "Midnight Mass" è un altro elemento chiave che contribuisce all'atmosfera inquietante della serie. Composta da The Newton Brothers, la musica utilizza cori angelici e melodie spettrali per amplificare la tensione e l'angoscia.
Ogni nota sembra avvolgere lo spettatore, immergendolo ancora di più nel mondo oscuro e misterioso dell'isola di Crockett. La musica non è mai invadente, ma sempre presente, come un sussurro inquietante all'orecchio.
Drammaticità e Impatto Emotivo: Preparati a Lacrime e Riflessioni
Il finale di "Midnight Mass" è un vero e proprio pugno nello stomaco emotivo. La drammaticità delle ultime scene, accompagnata dai dialoghi profondi e toccanti. Vengono toccati infatti temi universali come la fede e la morte.
I personaggi, giunti al loro momento di resa dei conti, offrono riflessioni che non solo danno senso alle loro azioni, ma costringono anche il pubblico a interrogarsi su ciò in cui crede. Il finale porta lo spettatore a pensare non solo alla fede ma anche sul significato della vita e della morte.
È un finale che lascia un segno profondo, sia per la sua potenza narrativa che per l'intensità emotiva, rendendo "Midnight Mass" una visione che resta nel cuore e nella mente ben oltre l'ultimo episodio.
Un'Esperienza Divina (ma Spaventosa) da Non Perdere
"Midnight Mass" è una miniserie che si distingue per la sua capacità di combinare elementi di horror e dramma con una narrazione profonda e riflessiva. Mike Flanagan ha creato un'opera che è tanto affascinante quanto inquietante.
Una serie che richiede attenzione ma ripaga con momenti di pura tensione e riflessione. Con una recitazione straordinaria, dialoghi che sembrano monologhi teatrali e una colonna sonora perfettamente calibrata, "Midnight Mass" è un must per chiunque ami le storie che fanno pensare e, al contempo, tremare di paura.
Non perdetevela, ma ricordate: guardatela a luci spente e con il cuore pronto a un bel batticuore.
Se vi è piaciuta come serie, commentate qui sotto. Non perdetevi i prossimi articoli e gli aggiornamenti sul mio profilo TikTok.
La vostra Easy Tears.
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Il termine enjo kōsai (traducibile come "appuntamento sovvenzionato" o "incontrarsi per un aiuto") indica un fenomeno sociale del Giappone contemporaneo, riguardante le studentesse tra i 12 e i 17 anni, ma anche le casalinghe, che in cambio di denaro o di regali sono disposte a frequentare di nascosto uomini adulti.
In pratica le ragazze/donne che praticano l'enjo kōsai sono da considerarsi delle escort a tutti gli effetti.
Il fenomeno apparve agli inizi degli anni novanta, quando i mass media nipponici iniziarono a interessarsi della giovane età delle ragazze e a domandarsi il perché di questo fatto.
Queste ragazze infatti provengono perlopiù da famiglie perbene e dispongono di una buona educazione, a differenza delle sukeban, le ragazze teppiste degli anni settanta.
Si può parlare, dunque, di prostituzione? A volte, purtroppo sì.
Infatti alcune ragazze si limitano ad accompagnare gli uomini ai locali di karaoke o al ristorante, altre si spingono oltre, arrivando ad avere rapporti sessuali.
Gli incontri avvengono tramite il computer, il telefono cellulare o i telekura. Gli uomini che frequentano le ragazze sono soprattutto professori, avvocati e i cosiddetti salaryman, ovvero uomini d'affari.
Talvolta il giro dell'enjo kōsai viene gestito da vere e proprie organizzazioni, le stesse che mettono in contatto i clienti con le ragazze fornendo loro numeri di cellulare, fotografie e quant'altro.
Non è un caso trovare attaccati alle cabine telefoniche dei quartieri 'a luci rosse' i biglietti da visita che ritraggono, spesso anche solo con un disegno in stile manga, le giovani prostitute, descrivendone il servizio offerto.
Biglietti che possono essere staccati da chiunque, per essere immediatamente rimpiazzati da personale apposito.
Gente che agisce per lo più nella clandestinità, ma al contempo sotto gli occhi di tutti.
Le ragazze spendono i soldi ricevuti principalmente in vestiti o borse firmate. Ma a parte questo, che cosa spinga un'adolescente a vendere il proprio tempo ed eventualmente il proprio corpo, è un mistero ancora da chiarire.
Abbiamo infatti appurato che queste ragazze non provengono da famiglie con problemi finanziari e non hanno problemi d'integrazione sociale, tutt'altro, ma il fenomeno è comunque in preoccupante espansione.
La polizia giapponese ha affermato che nel 1995 più di 5.000 ragazze tra i 14 e i 19 anni sono state fermate per problemi riguardanti la prostituzione, mentre nel 1996 nella sola città di Tokyo sono state fermate più di 1.000 studentesse.
Una ricerca del governo metropolitano di Tokyo ha appurato che il 3,5% delle studentesse delle scuole medie e il 4,4% delle studentesse delle scuole superiori ha praticato almeno una volta l'enjo kōsai.
Le cause di questo fenomeno potrebbero essere da ricercare anche in famiglia e nelle scuole.
Parlando di società giapponese, infatti, ci riferiamo a un ambito in cui una famiglia può difficilmente permettersi più di un figlio. Un tempo, il cosidetto 'nucleo familiare allargato' garantiva la sicurezza della solidarietà tra parenti, consigli e la trasmissione di valori che si stanno perdendo.
Come le famiglie europee, quelle giapponesi hanno sempre meno tempo da dedicare ai figli, prese come sono dal lavoro e dall'obiettivo del raggiungimento di una elevata posizione sociale. Nello stesso modo, e forse di conseguenza, anche il sistema educativo appare in crisi: le scuole giapponesi pretendono sempre di più, e qualsiasi errore viene mal tollerato: l'obiettivo è quello di ottenere sempre ottimi risultati, di frequentare le scuole migliori, superare gli esami per le università più prestigiose, trovare un lavoro che sia stabile, redditizio... e diventare ricchi.
Tutto questo sottopone gli studenti a un grado di stress che li porta e sfogare sui più deboli l'aggressività accumulata. Una tensione che sfocia in maltrattamenti verbali e, nei peggiori dei casi, fisici, e a isolare chi viene distinto come 'diverso': perchè non si comporta in un determinato modo o non possiede determinati beni che ne attesterebbero l'appartenenza a un gruppo piuttosto che alla massa anonima e standardizzata.
Da qui, probabilmente, il bisogno di chiudersi in casa, di non frequentare più la scuola, per rendersi invisibili; oppure, al contrario, la necessità di procurarsi, indipendentemente da come, quello che hanno gli altri. Per essere come loro.
L'enjo kōsai, dunque, forse è solo uno dei tanto modi in cui si manifesta una sofferenza che spesso dà risultati se possibile ancora più tragici: pestaggi a scopo di rapina o per divertimento, effettuati da bande di bambini, ai danni di anziani o barboni; delitti, suicidi. Esperienze che segnano non solo chi subisce violenza, ma anche chi le commette: guai con la legge che si ripercuotono su tutta una vita; problemi di coscienza per via di leggerezze che si sarebbero potute evitare. Le stesse giovani che si lasciano coinvolgere nel giro dell'enjo kosai non ne sono immuni, perchè quando si pentono d'essersi buttate via per motivi futili, per poter soddisfare un capriccio, calpestando la propria dignità per privilegiare il materialismo o entrare a far parte di un gruppo incapace di apprezzarle per ciò che sono... è già troppo tardi.
All'enjo kōsai ricorrono spesso le kogal, per ottenere i soldi necessari per i loro divertimenti.
Fonti: GiapponeOnline, Wikipedia, Gals Style
Personalmente penso che questo sia il risultato del voler "apparire" piuttosto che "essere", e che sia un fenomeno a cui la società ti COSTRINGE con forza, soprattutto se sei così giovane, cercando di farti credere che se non hai determinate cose, oggetti, stile, giri di amicizie, non appartieni alla società stessa.
Questo fenomeno di "coercizione" è presente anche in Italia, non solo in paesi così lontani come il Giappone.
Autrice del forum: @adaralbion
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Oggi il nonno compra le stesse cose dei suoi nipoti, non è mai successo nella storia umana. Quella differenza era un fatto salutare, ognuno viveva il tempo giusto della sua esistenza. Oggi i genitori vogliono essere più giovani dei figli, tutto questo appiattisce e amicalizza un rapporto che invece deve essere fondato sul riconoscimento dei ruoli. Non esiste più il capitano, il punto di riferimento. È forse il compimento del ‘68, dalla rivolta anti-autoritaria. Ma ora una generazione che ha contestato i padri è diventata serva dei propri figli. Non è capace di dire i no, di orientare senza usare l’autoritarismo, ma l’esperienza.
C’è un armistizio: io ti faccio fare quello che vuoi, tu non mi infliggi la tensione di un conflitto.
Ma così si spegne il desiderio di autonomia, l’ansia di recidere i cordoni, l’affermazione piena della propria identità.
Il conflitto generazionale è sparito. E non è un bene».
«Se hai tutto, non cerchi nulla. Una delle applicazioni di intelligenza artificiale più usate dai ragazzi si chiama “Replica”. Non è assurdo? Ogni generazione ha cercato di creare, non di replicare. Si voleva non ribadire, ma stupire, non accettare il frullato di quello che c’è, ma l’invenzione del nuovo.
Noi stiamo diventando soli e ne siamo contenti. Abbiamo smesso di parlarci. Nelle scuole, in famiglia, nelle sezioni, nelle parrocchie, nei circoli o nelle piazze. Se vogliamo salvarci dobbiamo disallinearci, dobbiamo rinunciare all’ovvio, vivere la vita da un punto di vista originale. Non dobbiamo replicare, dobbiamo inventare».
E la sessualità?
«Oggi è vissuta senza desiderio. I ragazzi che frequentano giovanissimi i siti porno aumentano la fruizione ma finiscono col banalizzare il meraviglioso mistero del sesso. L’erotismo è scoperta, non fruizione. Casanova diceva “L’erotismo è l’attesa” e invece ora è tutto spiattellato. Troppo e troppo presto. Celebriamo la libertà sessuale uccidendo l’erotismo.
Paolo Crepet
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Mia mamma non amava i Beatles. Ai genitori di oggi piacciono i Maneskin. Il conflitto è diventato una sorta di baratto. La rivoluzione dei ragazzi è stata taciuta dalla comunità, che l’ha avvolta in un conservatorismo estremo. Pasolini sarebbe molto preoccupato, la sua denuncia del consumismo si è inverata. Oggi il nonno compra le stesse cose dei suoi nipoti, non è mai successo nella storia umana. Quella cesura era un fatto salutare, ognuno viveva il tempo giusto della sua esistenza. Oggi i genitori vogliono essere più giovani dei figli, tutto questo appiattisce e amicalizza un rapporto che invece deve essere fondato sul riconoscimento dei ruoli. Non esiste più il capitano, il punto di riferimento. È forse il compimento del ‘68, dalla rivolta antiautoritaria. Ma ora una generazione che ha contestato i padri è diventata serva dei propri figli. Non è capace di dire i no, di orientare senza usare l’autoritarismo, ma l’esperienza. C’è un armistizio: io ti faccio fare quello che vuoi, tu non mi infliggi la tensione di un conflitto. Ma così si spegne il desiderio di autonomia, l’ansia di recidere i cordoni, l’affermazione piena della propria identità. Il conflitto generazionale è sparito. E non è un bene».
«Se hai tutto, non cerchi nulla. Una delle applicazioni di intelligenza artificiale più usate dai ragazzi si chiama “Replica”. Non è assurdo? Ogni generazione ha cercato di creare, non di replicare. Si voleva non ribadire, ma stupire, non accettare il frullato di quello che c’è, ma l’invenzione del nuovo. Noi stiamo diventando soli e ne siamo contenti. Abbiamo smesso di parlarci. Nelle scuole, in famiglia, nelle sezioni, nelle parrocchie, nei circoli o nelle piazze. Se vogliamo salvarci dobbiamo disallinearci, dobbiamo rinunciare all’ovvio, vivere la vita da un punto di vista originale. Non dobbiamo replicare, dobbiamo inventare».
E la sessualità?
«Oggi è vissuta senza desiderio. I ragazzi che frequentano giovanissimi i siti porno aumentano la fruizione ma finiscono col banalizzare il meraviglioso mistero del sesso. L’erotismo è scoperta, non fruizione. Casanova diceva “L’erotismo è l’attesa” e invece ora è tutto spiattellato. Troppo e troppo presto. Celebriamo la libertà sessuale uccidendo l’erotismo
Paolo Crepet
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Moon Knight: Una folle corsa tra mistero e avventura
Non posso nascondere l'entusiasmo nello scrivere le prime righe di questa recensione di Moon Knight. La serie che ha per protagonisti Oscar Isaac e Ethan Hawke è infatti un'operazione ben costruita su un personaggio molto intrigante e che permette ai Marvel Studios di andare in una nuova direzione e aggiungere un ulteriore e importante tassello al mosaico che sta componendo sulla piattaforma streaming Disney+.
La nuova serie Marvel adatta un affascinante personaggio a fumetti creato da Doug Moench e Don Perlin nel 1975. La costruzione dei primi episodi della serie è tale da conquistare e spiazzare lo spettatore, soprattutto se a digiuno del materiale di partenza. Lo fa sin da un incipit suggestivo, che ci fa fare la conoscenza del protagonista Steven Grant e la sua monotona vita da impiegato del negozio di souvenir del British Museum, ma fatta anche di qualcosa di dissonante, tra comportamenti spiazzanti che gli vediamo compiere sin dalle prime battute e una frammentarietà di azioni e ricordi che ci fanno capire fin da subito che sotto l'apparenza di ordinario impiegato giace qualcosa di diverso. Un qualcosa di cui lui stesso è all'oscuro.
Il montaggio e la costruzione del primo episodio sono perfetti per farci entrare fin da subito nel mondo del protagonista, sia dal punto di vista della routine in cui appare impantanato e dalla quale è completamente oppresso, sia sul versante opposto in quel qualcosa di fuori dal comune che viene evocato prima e mostrato poi. Oscar Isaac è il perfetto interprete di questa duplicità, nell'incarnare lo schivo Steven ed evocare, con sempre maggior spazio e convinzione, Marc Spector, il mercenario che condivide il suo corpo: l'attore si rivela in perfetto equilibrio tra i due, così come tra i diversi toni che compongono la serie, che non rinuncia a stemperare la cupezza di fondo con sprazzi di quella leggerezza a cui i Marvel Studios hanno abituato i loro spettatori.
Non è però l'unica nota positiva di un cast che si fregia della presenza di un altro grande interprete, un Ethan Hawk altrettanto in parte e altrettanto efficace nel ruolo di un antagonista tutto da scoprire. Intrigante anche il grande lavoro fatto sulle canzoni che accompagnano l'azione, sullo sfondo di un'ambientazione e un contesto narrativo che attinge a piene mani dalla mitologia dall'antico Egitto, le sue divinità e il suo suggestivo e iconico immaginario.
Un immaginario che ben si sposa con lo stile dinamico alla Indiana Jones, che Moon Knight sviluppa con gusto, e che prendono il sopravvento in alcuni degli episodi. Ma sarebbe inesatto definire Moon Knight come una serie d'avventura, così come lo è considerarla una serie di stampo superoistico classico o un thriller a base di tensione e toni dark: la nuova produzione Marvel, sviluppata da Jeremy Slater, attinge a toni e generi diversi per proporre al suo pubblico qualcosa che possa stuzzicarlo, intrattenerlo e sorprenderlo, così di catturare lo spettatore in una sorta di attrazione da parco a tema, capace di cambiare le carte in tavola e spiazzare ulteriormente una volta che si pensa di averla inquadrata.
Come già detto Moon Knight è una serie che mescola toni e generi diversi, divertendosi a spiazzare lo spettatore nel presentarci il nuovo personaggio interpretato da Oscar Isaac, un'ottima aggiunta al corposo cast dell'Universo Marvel. Non è da meno Ethan Hawke, che completa il quadro con un antagonista da indagare, sullo sfondo del suggestivo immaginario mitologico dell'antico Egitto e con un interessante lavoro sulla selezione di canzoni.
👍
- Oscar Isaac, ottima aggiunta al già corposo cast dell'MCU.
- Ethan Hawke, antagonista all'altezza della situazione.
- L'immaginario dell'antico Egitto che aggiunge fascino e suggestioni interessanti.
- La miscela di generi, dal thriller all'avventura, per proporre qualcosa che possa intrattenere e spiazzare.
👎
- La componente più leggera può deludere chi avrebbe preferito una storia del tutto cupa e matura.
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Nessun ripensamento - D.S. Butler. Un thriller che svela il lato oscuro delle scelte e delle conseguenze. Recensione di Alessandria today
Nessun ripensamento, scritto da D.S. Butler e tradotto da Marco Zonetti, è un thriller psicologico avvincente che si muove tra suspense e tensione emotiva.
Trama.Nessun ripensamento, scritto da D.S. Butler e tradotto da Marco Zonetti, è un thriller psicologico avvincente che si muove tra suspense e tensione emotiva. La protagonista si trova a fare i conti con il passato quando una notte tranquilla si trasforma in un incubo. Una figura sconosciuta la costringe a prendere una decisione impossibile, che cambierà la sua vita per sempre. Ogni scelta ha…
#Alessandria today#Colpi di scena#D.S. Butler#gialli psicologici#Google News#introspezione narrativa#introspezione psicologica#italianewsmedia.com#lettura coinvolgente#letture 2024#Letture avvincenti#libri consigliati#libri emozionanti#Marco Zonetti traduzione#mistero e tensione#narrativa contemporanea#narrativa di qualità#narrativa inglese#narrativa internazionale#narrativa investigativa#narrativa Kindle#narrativa noir#narrativa psicologica#narrativa thriller#Nessun Ripensamento#Pier Carlo Lava#romanzi bestseller.#romanzi con colpi di scena#romanzi di D.S. Butler#romanzi di successo
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Non mi servono i dettagli. Non mi serve conoscere i posti e gli espedienti, i passi che ti hanno portato davanti alla mia porta. Sei qui. Ti amavo senza condizioni. Perché? Perché dò valore al mistero. All'ignoto. È ciò che sostiene la tensione di un rapporto e ci obbliga ad essere la versione migliore di noi stessi. Il fattore "chissà". Chissà se qualcuna l'ha amato meglio? Una più carina, intelligente, che lo svegliava ogni giorno con una colazione e un bel pompino. Chissà se ha avuto ragazze migliori. Chissà se sogna qualcun’altra. . . più loquace, una ragazza con dei bei fianchi e un vero sedere invece di questi fagiolini coperti di pelle. Senti, credo di sapere qual è il tuo tipo ma non arrivo a farmi paralizzare dalle insicurezza e dai dubbi. Così ogni giorno, quando mi sveglio, e ti parlo e metto questi vestiti firmati del cazzo e ti tengo la mano, io provo ad essere la ragazza migliore che tu abbia mai avuto. E tu vieni a dirmi che devo competere con questa Kiki di Sant Louise, in una vasca a forma di cuore? A quel punto me ne strafrego alla grande. Non so dove stai andando, non ho finito.
Ho capito anche un’altra cosa. Il motivo per cui non sei geloso è che tu non dai valore a quel mistero, vero? E tu non gli dai valore per la stessa ragione per cui non ti chiedi se mi sia fatta di meglio, se sia mai stata con una persona più brillante, gentile o con più talento. È perché è inconcepibile per te che altri uomini a questo mondo siano più interessanti di te. La tua mancanza di curiosità è semplicemente un'estensione del tuo narcisismo, della tua megalomania, della tua visione egoistica del mondo. E non dubitando mai di te stesso, non hai mai pensato di chiederti: "Come divento un compagno migliore?"
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO SECONDO - di Gianpiero Menniti
L'INCERTEZZA E LA COSCIENZA
In arte, la tensione verso la vita è sempre un richiamo alla fragilità dell’esistenza. La stessa rappresentazione è tentativo effimero di superamento dell’ineluttabile, anche quando la figurazione pittorica o plastica sembri voler cogliere accenti di illusoria fede metafisica, di grandezza e di fasto tendenti all’espressione eterna: è esigenza antropologica di finalismo. Vita e morte convivono nella sensibilità dell’artista. Anche il richiamo più potentemente prosaico al reale materico, risulta essere rappresentazione del limite invalicabile, di un buio lasciato ai margini. Ogni rappresentazione, sia che abbia carattere sacrale che mondano o profano, lascia sullo sfondo del suo divenire visione ipostatizzata l’incertezza dell’astratto come di una domanda mai soddisfatta e sempre incombente sul significato dell’esistenza. È per questa ragione profonda che un’opera pittorica o plastica suscita passioni inesplicabili: rappresenta il riverbero di una lacerante incertezza colta nel suo presentarsi al cospetto delle coscienze. Così, anche l'annuncio più rivoluzionario della storia non lascia alcuna traccia di grandiosità, ma solo di lirismo rarefatto, di comprensione austera, di dramma accennato. È aspirazione alla salvezza che sconta i limiti di un mistero ineluttabile, non risolve la relazione tra l'umano e il divino se non in un gesto di attesa, di sospensione, di indugio colto in un istante. Un istante che dura da duemila anni.
- Antonello da Messina (1430 - 1479): "Annunziata" (1474 - 1476), Palazzo Abatellis (Galleria regionale della Sicilia), Palermo
- In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto", 1975, collezione privata
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Mia mamma non amava i Beatles. Ai genitori di oggi piacciono i Maneskin. Il conflitto è diventato una sorta di baratto. La rivoluzione dei ragazzi è stata taciuta dalla comunità, che l’ha avvolta in un conservatorismo estremo. Pasolini sarebbe molto preoccupato, la sua denuncia del consumismo si è inverata. Oggi il nonno compra le stesse cose dei suoi nipoti, non è mai successo nella storia umana. Quella cesura era un fatto salutare, ognuno viveva il tempo giusto della sua esistenza. Oggi i genitori vogliono essere più giovani dei figli, tutto questo appiattisce e amicalizza un rapporto che invece deve essere fondato sul riconoscimento dei ruoli. Non esiste più il capitano, il punto di riferimento. È forse il compimento del ‘68, dalla rivolta antiautoritaria. Ma ora una generazione che ha contestato i padri è diventata serva dei propri figli. Non è capace di dire i no, di orientare senza usare l’autoritarismo, ma l’esperienza. C’è un armistizio: io ti faccio fare quello che vuoi, tu non mi infliggi la tensione di un conflitto. Ma così si spegne il desiderio di autonomia, l’ansia di recidere i cordoni, l’affermazione piena della propria identità. Il conflitto generazionale è sparito. E non è un bene».
«Se hai tutto, non cerchi nulla. Una delle applicazioni di intelligenza artificiale più usate dai ragazzi si chiama “Replica”. Non è assurdo? Ogni generazione ha cercato di creare, non di replicare. Si voleva non ribadire, ma stupire, non accettare il frullato di quello che c’è, ma l’invenzione del nuovo. Noi stiamo diventando soli e ne siamo contenti. Abbiamo smesso di parlarci. Nelle scuole, in famiglia, nelle sezioni, nelle parrocchie, nei circoli o nelle piazze. Se vogliamo salvarci dobbiamo disallinearci, dobbiamo rinunciare all’ovvio, vivere la vita da un punto di vista originale. Non dobbiamo replicare, dobbiamo inventare».
E la sessualità?
«Oggi è vissuta senza desiderio. I ragazzi che frequentano giovanissimi i siti porno aumentano la fruizione ma finiscono col banalizzare il meraviglioso mistero del sesso. L’erotismo è scoperta, non fruizione. Casanova diceva “L’erotismo è l’attesa” e invece ora è tutto spiattellato. Troppo e troppo presto. Celebriamo la libertà sessuale uccidendo l’erotismo
Paolo Crepet
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no aspe in che senso si baciano due donne in 7 donne e un mistero??? da quando si può fare che in film prodotto in questa italica peninsula (/gay)
Ebbene sì, anonim_ compatriota! I tempi sono giunti in cui nella patria landa si chiude la nonna nello sgabuzzino e si limona safficamente in salotto. Una grande vittoria, ne converrai.
E ti dirò di più! Perché in questa pregevole pellicola (ambientata per giunta durante il Santo Natale!) turbinano gli ormoni, e c'è una seconda accoppiata in questo cast che ha una tensione non da poco...
Visione consigliatissima, anche solo per vedere Margherita Buy spaccare una bottiglia in testa alla Vanoni. L'Italia è il paese che amo.
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DIOR - EAU NOIRE - LA COLLECTION PRIVÉE CHRISTIAN DIOR - Edizione Limitata 2022 - Eau de Parfum - Let’s feel ‘em. Fragrances that whisper softly to senses. Born in the shadow of bright emotions. Always in flight, so close and far away, into endless dark nights, in search for more lights to skim over and love. . Ci sono fragranze che rimangono ancorate alla mente, non perchè ti riconducano ad un ricordo preciso, semplicemente sono più tue, più stimolanti e piacevoli da indossare, inducono una sensazione di piacere diffuso che dà essa stessa corpo al ricordo. Vale per Eau Noire dell'esclusiva La Collection Privée Christian Dior, sbocciata dal talento di Francis Kurkdjian nel 2004, creazione di intraprendente impatto olfattivo e visivo, con quel liquido verde muschio intenso che intercettava lo sguardo. Silenziata per qualche tempo, Eau Noire è oggi riproposta in un'edizione limitata, nell’interpretazione attualizzata che Kurkdjian le restituisce nel fatidico trittico croma-odoroso con Cologne Blanche e Bois d'Argent, certa che saprà ricevere la meritata acclamazione dalla falange di estimatori che ne attendeva il ritorno. Eau Noire ritrova lo splendore di un tempo, essenziale e contemporanea nell'impianto compositivo, filtrata dalla maestria del Naso nell'accurata giustapposizione del chiaroscuro, nel sapiente equilibrio tra aroma e sensazione, freschezza e mistero, in una scrittura libera, fluida, di raffinatezza estrema, distante da quella dimensione erbacea speziata incisiva e coriacea delle origini. Emozionante la sottile armonizzazione verde, la generosa presenza della lavanda espressa in una combinazione di rare assoluta ed essenza, emanazione di felicità, la delizia fruttata balsamica del mirto, l'incisione speziata liftante del timo bianco e quella avvincente traccia di liquirizia che al mio naso è passione senza regole, alla mia pelle è tenerezza e fantasia all'ennesima potenza. Spontanea e maliosa nella sua evoluzione, senza spigoli ed arzigogoli di fatua opulenza, avvinta dalla nuance boisè del cedro, dalla rotonda soavità della mirra, dalla lusinga gourmand della vaniglia. È sincera, suggestiva, di eleganza vera, senza compromessi.
“La riedizione di Eau Noire, Cologne Blanche e Bois d’Argent è riuscita a ripetere l’atto creativo che ha portato a La Collection Privée Christian Dior. Quando sono entrato a far parte della Maison Dior, mi hanno chiesto di riunire le fragranze per tornare a raccontare la loro bellissima storia. La storia di un primo incontro, impegnativo ed elegante. Un ritorno alla tensione tra tradizione e modernità. L’espressione di un’estetica olfattiva che ho sempre seguito.” Francis KurkdjianDirettore Creativo Fragranze Dior Creata da Francis Kurkdjian. Edizione Limitata 2022. Eau de Parfum 40,125, 250 ml. Nelle boutique Dior e online
©thebeautycove @igbeautycove
#dior#la collection privee christian dior#eau noire#perfume#niche perfumes#livelovesmell#thebeautycove
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The Killing: un viaggio oscuro tra delitto e redenzione.
Introduzione alla serie
The Killing è una serie televisiva crime disponibile su Disney+, remake di un prodotto danese tratto dalle opere dello scrittore David Hewson. La serie statunitense è divisa in quattro stagioni. Le prime due narrano il caso dell’omicidio di una diciannovenne Rosie Larson. Mentre la terza e la quarta trattano altri due casi diversi. Le prime tre stagioni sono composte da 13 episodi mentre l’ultima da sole 6 puntate.
I protagonisti sono una coppia di detective della squadra omicidi: Sarah Linden e Stephen Holder. Insieme dovranno affrontare il crimine nella città di Seattle e affrontare i drammi delle loro vite.
La serie è stata accolta molto positivamente dal pubblico e dalla critica. Personalmente è stata una tra le serie televisive più interessanti e coinvolgenti che io abbia mai visto.
L’ambientazione e l’atmosfera noir di Seattle
I protagonisti sicuramente sono i detective e le famiglie delle vittime, specialmente nella prima e nella seconda stagione. Ma da padrona la fa Seattle. I suoi angoli nascosti, la pioggia costante che infradicia i vestiti di Holder e i capelli di Linden.
Il clima rafforza ancora di più l’atmosfera cupa e asfissiante della trama. Come se la pioggia simboleggiasse il mistero e gli ostacoli che circondano i due detective. Il peso dei vestiti grondanti di pioggia è lo stesso peso che grava su Sarah e su Stephen.
Il tutto è immerso in una fotografia quasi grigia e tonalità che ricordano la tradizione noir. L’inquietudine e la tensione che viene costruita una puntata dietro l’altra.
I personaggi principali e la loro evoluzione
Sarah Linden: il ritratto di una detective tormentata
Sarah Linden è impersonata da Mireille Enos. Il personaggio della detective è scritto meravigliosamente. La tenacia e il coraggio di Sarah vanno pari passo con la sua testardaggine e ostinatezza. Le sue difficoltà familiari e il suo passato travagliato hanno profondamente segnato il suo modo di essere. Quello che ha passato durante la sua infanzia ha segnato in modo radicale le sue relazioni. Tuttavia le sue capacità investigative e il rapporto che instaura con le vittime la rende una detective molto determinata.
Procedendo nelle stagioni le sue difficoltà con il figlio aumentano. Il suo lavoro la travolge e il legame che sente con le vittime diventa sempre più opprimente. Troverà nel suo nuovo collega un punto saldo e un amico su cui contare.
Stephen Holder: il partner con un passato oscuro
Linden nella prima puntata ha in programma di lasciare la centrale di Seattle, partire per la California con il suo fidanzato e suo figlio. Il suo sostituto, Stephen Holder, arriva alla omicidi dalla squadra narcotici e dovrebbe ricevere i casi della sua collega. Tuttavia, le cose non vanno così. Linden rimane a Seattle, troppo presa dal caso della giovane Rosie.
Anche se si capisce che Holder ha dei segreti sembra essere volenteroso di imparare e mettersi in gioco, anche se i suoi colleghi non lo lasciano esprimere il suo potenziale.
Nel corso delle puntate il rapporto tra i due detective si rafforza. Entrambi hanno dei fantasmi del loro passato che stanno provando ad affrontare. Holder è un ex drogato che cerca di rimanere sobrio e risanare il rapporto con la sua famiglia. Holder e Linden saranno l’uno la spalla dell’altro.
La chimica tra i due protagonisti e come influenza la narrazione di The Killing
Sicuramente uno dei punti di forza della serie è proprio il rapporto tra i due poliziotti. Le difficoltà che devono affrontare, l’intensità dei casi e la loro complessa vita privata li legano e li avvicinano sempre di più.
Da fan della serie ovviamente la loro relazione diventa uno dei traini della storia. L’affetto che si vede negli occhi di Holder quando guarda Linden e il modo in cui la fa ridere. Nel corso degli episodi, tuttavia, possiamo vedere Linden irrigidirsi sempre di più, faticare gradualmente a lasciarsi voler bene da Holder. Le difficoltà di lui si aggravano quando sente il loro rapporto vacillare. Insieme allo svolgimento delle indagini, l’evoluzione della loro relazione è uno dei focus più intriganti.
L’indagine al centro della narrazione
Ogni episodio introduce nuove scoperte, ma anche nuovi dubbi, alimentando un senso di incertezza che cresce progressivamente. La serie non è mai affrettata nel rivelare dettagli cruciali, anzi, gioca con la pazienza degli spettatori, mantenendo alta la tensione fino alla fine. Questo è uno degli elementi distintivi di The Killing: non ha paura di rallentare il ritmo per esplorare a fondo i personaggi e i loro segreti.
Fin dal primo episodio, ci troviamo immersi in un mondo cupo e malinconico, con la pioggia incessante che cade su Seattle come una metafora del dolore e del mistero che permea la storia. Questo clima si riflette non solo nell’atmosfera generale, ma anche nel ritmo stesso della serie, che rifiuta di svelare la verità in fretta. Al contrario, dilata il tempo, costruendo un senso di attesa prolungata che si traduce in un’esperienza di visione intensamente immersiva.
Ogni episodio introduce nuove scoperte, ma anche nuovi dubbi, alimentando un senso di incertezza che cresce progressivamente. La serie non è mai affrettata nel rivelare dettagli cruciali, anzi, gioca con la pazienza degli spettatori, mantenendo alta la tensione fino alla fine. Questo è uno degli elementi distintivi di The Killing: non ha paura di rallentare il ritmo per esplorare a fondo i personaggi e i loro segreti.
Il gioco del sospetto: chi è il colpevole?
Uno degli aspetti più avvincenti di The Killing è il modo in cui riesce a far sospettare di chiunque. Ogni personaggio, dal più marginale al più centrale, sembra avere qualcosa da nascondere. La protagonista, la detective Sarah Linden, interpretata in modo magistrale da Mireille Enos, è spinta a seguire una serie di false piste che portano lo spettatore a sospettare di diversi potenziali colpevoli. Ogni episodio offre nuovi indizi che, anziché avvicinare alla verità, complicano ulteriormente la trama.
Le dinamiche familiari, politiche e personali di ciascun individuo vengono lentamente rivelate, creando una rete intricata di relazioni e motivi che potrebbero portare chiunque a essere il responsabile dell’omicidio al centro della storia.
The Killing gioca con le aspettative del pubblico, mettendo in evidenza come nessuno sia completamente innocente. Questa costruzione del sospetto diventa quasi una danza: ogni volta che si è convinti di aver individuato il colpevole, la serie introduce un nuovo dettaglio che sconvolge tutto. È proprio questa continua oscillazione tra certezza e dubbio che mantiene alta la tensione emotiva.
Temi principali: colpa, redenzione e il lato oscuro della società
Uno degli aspetti più potenti di The Killing è la profondità con cui esplora la vulnerabilità dei suoi personaggi. Sarah Linden è una detective straordinariamente competente, ma anche una donna fragile, costantemente in bilico tra il suo dovere e i suoi demoni personali. La sua ossessione per il caso e la sua difficoltà a separare il lavoro dalla vita privata sono temi ricorrenti che rendono il suo personaggio incredibilmente umano.
Anche Stephen Holder, con il suo passato segnato dalla droga e dalla corruzione, è un personaggio profondamente sfaccettato. La sua lotta per mantenere la sua integrità e guadagnare la fiducia di Sarah è una delle dinamiche più interessanti della serie, che riflette la complessità delle relazioni umane in un contesto di estrema pressione.
La serie non si limita a rappresentare un'indagine poliziesca, ma esplora il lato oscuro della società: la disuguaglianza, la corruzione e il dolore della perdita. Ogni personaggio, anche quelli secondari, è tratteggiato con attenzione, e tutti hanno un ruolo nel complicare il puzzle che Linden e Holder cercano di risolvere.
Conclusioni: perché The Killing è un must-watch per gli amanti del crime
The Killing non è una serie per chi cerca una risoluzione rapida o facile. La sua struttura dilatata e la capacità di mantenere costante il sospetto su tutti i personaggi la rendono un’esperienza unica nel panorama delle serie crime. Con il suo ritmo lento ma intenso, riesce a coinvolgere lo spettatore non solo nella ricerca del colpevole, ma anche nelle vite complesse e vulnerabili di chi cerca giustizia.
Se sei un amante del crime, apprezzerai l’attenzione ai dettagli e la profondità emotiva che questa serie offre. È un viaggio oscuro e complesso, che richiede pazienza, ma che alla fine ripaga con una narrazione avvincente e personaggi indimenticabili.
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La vostra Easy Tears.
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