Cl. '69, giornalista e scrittore, già dirigente d'azienda, 2 Master e 3 lauree da 110 e Lode: 1 in Comunicazione e 2 in Beni Culturali. "Sapere Aude": basterà una vita?
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IL MESTIERE DELL'EDITOR - di Gianpiero Menniti
CARILLON
Testo leggero e sognante scritto da due poeti - Angela Ada Mantella e Gaetano Interlandi - riuniti ciascuno con il proprio decalogo di liriche.
Ma non solo: la realizzazione, per ogni testo, di un'immagine realizzata con l'intelligenza artificiale.
Ne è scaturito un vero cammeo, un "Carillon" che ho avuto il piacere di curare nell'editing e nella redazione del "commento critico" affiancato all'ottima "prefazione" di Rossella Rafele.
Leggero e sognante ma non per questo meno intenso e profondo: una riflessione sulla limpidezza e la fragilità, l'amore materno e gli interrogativi incessanti sull'esistenza.
Ecco uno stralcio dal commento critico che ho intitolato "Melodia disarmata":
[...] Sullo sfondo, la sensazione di solitudine, freddo passaggio di una ricerca già sbiadita prima d’iniziare, destinata a stemperarsi come i sogni, i ricordi, il giorno che declina verso il tramonto. Passeggeri di una nave trascinata della corrente, ogni immagine scorre lontano. Imprigionati nei corpi sferzati dal declino e dal malanno imponderabile, memoria nostalgica di gioventù vigorosa o di gioventù interrotta e mai vissuta. Quanta pena nell’affanno di vivere come appendici di muscoli irrorati di misteriosa energia. Così, quando la fragilità ignorata e vilipesa si pone di fronte ai nostri occhi, è come il risveglio della coscienza sopita, ancestrale traccia, evidenza nascosta. “Carillon” è questa limpida, delicata, riscoperta: da leggere con muta partecipazione, a mo’ di preghiera, come riposta, antica carezza spezzata dalla hỳbris (ὕβρις), l’insolente tracotanza che già la cultura greca pose all’indice, pericolosa fonte del disastro, eccedenza smodata carica di egoismo. Carezza che scioglie il tormento, che rende onore al sorriso innocente di una fanciullezza perenne, alla delicatezza di un animo che mai sarà macchiato dalla prudenza della parola e del gesto. Tutto è terso, il nitore del cielo macchiato di leggere nuvole candide pennella il colore del mare increspato per rompere il silenzio con la cadenza di onde: anche loro sono un lieve tocco, tenera moina, lusinga amorevole. Dieci poesie di Angela Ada Mantella e dieci poesie di Gaetano Interlandi: da par loro, i due fecondi autori danno vita a recessi carichi di malinconico romanticismo: divengono parole per una voce mai udita. In questo, mi pare, si possa cogliere la semantica della piccola ma intensa raccolta di versi che dialogano a distanza per raccontarsi la nascosta bellezza della mancanza, della malinconia tramutata in sorriso da un’inspiegabile eppure percepita ricchezza interiore. Una percezione che può appartenere solo ai poeti. [...]
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SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
LO STILE DI UN 'VAN GOGH' SPENTO
Il soggetto della tela non è originale: "La ronda dei carcerati" (1890) è ripreso con pedissequa ri-presentazione da un'incisione di Gustave Doré, "Newgate: The Exercise Yard" che risaliva al 1872.
Dunque, un van Gogh inedito: tiene in esercizio il proprio talento artistico ma solo per la qualità tecnica.
Non è creativo.
Allora, quale giudizio si può attribuire a un'opera che manchi di espressione?
Nessuno.
Ma è davvero così?
Davvero questa tela si può considerare priva di valore perchè la scena è la riproposizione di un atto artistico già esistente e originale?
Se si trattasse di un testo scritto, riproporlo sarebbe un plagio privo di contenuto.
Ma per un dipinto l'affermazione non regge: esiste qualcosa che lo caratterizza e lo differenzia.
Si tratta dello "stile".
Una traccia indelebile, un solco: come nel caso dello "stilo", lo strumento utilizzato per scrivere sulle tavolette di cera nell'antichità.
Stile: termine che deriva, paradossalmente, dalla già richiamata similitudine con i segni grafici, la calligrafia, l'ortografia.
Lo stile non racconta ma desta un sentimento indecifrabile che attrae o respinge.
È dunque, riflettendo bene, un modo d'espressione pieno, che caratterizza, che definisce un'identità, che provoca un illusorio, intenso, frenetico moto alla ricerca di parole descrittive, difficili, talvolta impossibili da trovare: così come lo stile non racconta, allo stesso modo non si può narrare, non si può indicare fino in fondo nelle sue caratteristiche.
Ma c'è.
S'impone alla vista e provoca lo spalancarsi di un abisso: manca la parola, domina il silenzio.
Infine, si afferma un principio inatteso: l'arte è un apparire dell'insostenibile gravame costituito dalle immagini mentali di un essere umano.
Così, mentre la penna tenta una descrizione, il pennello scorre attingendo a flussi caotici incessanti di sguardi interrotti.
Fino a quando la penna, esausta, si arresta mentre la mano del pittore rimane viva nel desiderio di lasciare sulla riva quel mare di figure e di scenari per abbandonarsi alla purezza di un'intonazione muta capace di rifondare l'atto creativo esclusivamente nello stile, inimitabile e per questo originale e a suo modo immutabile.
Ecco la ragione per la quale si ammira un'opera come questa di van Gogh: non si viene attratti dal contenuto ma solo dal riconoscere la mano dell'artista.
Forse, il complimento migliore che si possa attribuire a un'anima creativa.
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SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
LA CRISI VISTA DA BOTTICELLI
"La calunnia" (Uffizi, Firenze) viene considerata una tavola appartenente a una terra di mezzo, tra la fine delle illusorie certezze umaniste di matrice neoplatonica e l'inizio di una consapevolezza intensa e profonda.
Risale a un periodo compreso tra il 1491 e il 1495, anni di svolta nella Firenze che assiste alla scomparsa di Lorenzo de Medici e all'ascesa effimera del frate ferrarese Girolamo Savonarola, con la successiva costituzione della "repubblica" che vedrà in Niccolò Machiavelli il più acuto tra i suoi protagonisti.
Sandro Botticelli (1445 - 1510) di quell'età di mutamenti radicali se ne fece imprevisto interprete: da artista di profonda sensibilità, artefice che aveva dipinto la gloria della "Signoria" medicea, seppe tuttavia intuire prima del tempo l'esigenza espressiva della crisi incombente, di una cupa caduta, dell'inesorabile e lunghissimo scivolamento che lascerà solo vestigia mute in una Firenze ingessata nel vanto fuggevole di impareggiabili forme architettoniche e artistiche.
Le fiamme alte dei "fuochi delle vanità" non bastarono a illuminare fino in fondo le piazze della città: quanta produzione artistica venne bruciata, sacrificata sugli altari di una rivoluzione di parole.
Ma non quest'opera del maestro della "Nascita di Venere" e della "Primavera": un quadro che segna, nei suoi chiaroscuri e nella concitazione drammatica della scena, l'avvento del tragico e grandioso "rinascimento" cinquecentesco.
Con la "Natività mistica", del 1501, il ciclo inaugurato da "La calunnia" si chiuse in un delirante, inascoltato appello.
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SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
L'ILLUSIONE DELL'ONFALO
Lo stile è davvero uno dei segni tangibili dell'arte, di ogni espressione, sia essa un testo pittorico o plastico, un'architettura oppure un'opera di scrittura.
In un luogo, qualcosa accade.
Si staglia, s'imprime nello sguardo e suscita un irrefrenabile moto d'animo.
È il primo passo.
Prima lentamente e poi con impeto, i luoghi si moltiplicano: non per mera imitazione ma per slancio creativo.
Così, quando nel 1874, a Parigi, nello studio del fotografo Nadar sul Boulevard des Capucines si tenne la prima mostra "Impressionista", il fuoco di quello stile già diffondeva i suoi lapilli nell'emisfero sud del globo, in Australia, a Melbourne.
Lì si formò la scuola detta di "Heidelberg" - dal nome di una località a est, nella periferia rurale della città - e sempre a Melbourne si tenne, nel 1889, la prima mostra passata alla storia con questo titolo: "9 by 5 Impression Exhibition".
Tra i 183 dipinti, almeno 40 erano di Arthur Streeton, non meno di 46 di Charles Conder, assieme ai contributi minori di Frederick McCubbin e Charles Douglas Richardson.
Ma la parte più cospicua spettò, con 63 opere, a Tom Roberts (1856 - 1931) artista di origine britannica.
E britannica sembra essere l'influenza "impressionista" - Turner, Whistler - che colse la vena figurativa di quella che venne annoverata come la prima scuola artistica veracemente australiana.
Ma il ceppo originario s'era già formato nella seconda metà degli anni '80, il "Box Hill artists' camp", con il gruppo di artisti "en plein air" che in seguito costituirono l'ossatura della "Heidelberg School".
Certamente, Roberts fu il più intenso nel lasciarsi cogliere dallo slancio di misurarsi con la cattura dell'istante nella naturalezza del primo impatto.
E se è vero che le sue tele echeggiano Whistler pur concedendosi inizialmente all'impronta vaga di Constable, le stesse mostrano un notevole coraggio nell'esplorare i fondamenti della visione sensibile, della costruzione im-mediata dell'immagine pittorica.
Così, le tracce irrequiete dell'arte migrarono lasciando l'Europa, annebbiata dalla "Belle Époque", nella tragica illusione di essere l'omphalòs (ὀμφαλός), l'ombelico del mondo.
- "Going home", 1889, National Gallery of Australia; "Treno serale per Hawthorn", 1889, Art Gallery of New South Wales; "Andante", 1889, Art Gallery of South Australia.
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IL RACCONTO DELL'IMMAGINE - di Gianpiero Menniti
SETTE ANNI
Ero un adolescente alla metà degli '80, quando il "secolo breve" prese la via del suo ripido declino.
I muri, patologia del confine, cominciarono lentamente a sgretolarsi come gesso sotto una minuta pioggia.
I "due blocchi", inatteso ma inevitabile residuo delle guerre suicide d'Europa della prima metà del '900, si affacciarono da un'unica soglia rimasta per un quarantennio nascosta.
L'aria aveva l'odore di una primavera di speranza e Sting cantava "Russians":
«[...] Condividiamo la stessa biologia, indipendentemente dall'ideologia. Ma ciò che potrebbe salvarci, me e te, è se anche i russi amassero i loro figli. »
Era il 1985, il mese di Marzo.
Michail Sergeevič Gorbačëv divenne Segretario Generale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica.
La sua parabola durò fino all'estate del 1991.
L'anno prima era stato insignito del Premio Nobel per la Pace.
Mentre in Sudafrica Nelson Mandela riacquistava la libertà.
E nel 1989 la "cortina di ferro" di churchilliana memoria veniva abbattuta tra lo stupore e l'entusiasmo generale.
In quei sette anni di formidabile accelerazione degli eventi non finiva la storia, come qualcuno improvvidamente profetizzò: la storia riapriva i suoi volumi impolverati.
Nulla, poi, andò come previsto.
Il fragore sordo e potente del "Muro di Berlino" fece sentire i suoi effetti sismici in un mondo da tempo ridotto alla sua globalità.
E la mia generazione, senza più la macchina da scrivere ma catturata dagli schermi dei primi pc, orfana di un modello politico e incerta del futuro, visse l'ultimo decennio in corsa verso il XXI secolo osservando il paesaggio come su un treno che lascia appena l'istante di un'immagine sfocata.
Eppure, in quei sette anni, l'illusione della luce fu più ardente della sua stessa ombra.
- Michail Gorbačëv (1931 - 2022) fotografato da Francis Giacobetti (classe 1939)
#thegianpieromennitipolis#racconti brevi#fotografia#francis giacobetti#Michail Gorbacev#gianpieromenniticopywriter
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SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
IL SACRO NELL' ARTE DEL PRIMO NOVECENTO
Non è la prima volta che il sentimento del "sacro" e le espressioni dell'arte contemporanea s'incrocino nelle mie ricerche critiche.
È stato tema di almeno due conferenze, di un lungo video che lasciato sul mio canale YouTube, di riflessioni sparse nei libri che ho pubblicato.
Non si tratta di teologia: l'arte nasce dall'impulso a rendere contemplabile l'invisibile, le immagini di pensiero, l'anelito verso la forma irrealizzabile, il noumeno, l'archè (ἀρχή).
Ma non basta.
L'indagine scientifica sempre più fitta e profonda, tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento, seminò dubbi sulla validità dei modelli "causali" tradizionali per introdurre alla conoscenza dell'incorporeo, dell'immateriale, del nascosto.
Questi due elementi, l'antico afflato religioso e l'approccio alla fisica atomica e alla rivelazione di nuove frontiere nella percezione dello spazio-tempo, influenzarono varie correnti spiritualiste come l'antroposofia e la teosofia oltre a movimenti artistici impegnati in un esasperato simbolismo, l'attività dei "Nabis" e così di tutto l'espressionismo che caratterizzò quell'epoca di passaggio - da Munch a van Gogh a Gauguin, da Kandinsky a Mondrian a Malevic - nel contesto generico della febbrile indagine "modernista".
In quel crogiolo maturò anche la figura della svedese Hilma af Klint, la prima ad aver concepito la pittura astratta, prima di Wassily Kandinsky, eppure rimasta sconosciuta al pubblico per moltissimi decenni.
Nata nel 1862, perì in un incidente stradale nel 1944.
Lasciò le sue tele, circa 1.200, con la clausola della loro diffusione a distanza di vent'anni dalla sua morte, a un nipote.
Tuttavia, la scomparsa prematura di quest'ultimo depositò su quelle opere la patina silenziosa dell'oblio per altri decenni, fino alla metà degli anni '80 dello scorso secolo.
Al loro apparire, quei dipinti offrirono scorci di uno sguardo intensamente originale, maturato nella congerie di una struggente riflessione artistica: come un respiro bloccato, come desiderio imprecisato, come inquieta esplorazione di forme inattingibili.
Eppure, queste sorgono alla vista.
E affermano per l'arte il suo esserci come segno del "sacro", il "distante" che diviene manifesto dell'impossibile.
- Caos primordiale, n.16, 1906/07; Albero della conoscenza, n.1, 1913/15; Gruppo X, n.1, Pala d'altare, 1915; Caos Primordiale n. 7, 1906/07; Gruppo X, n. 2, Pala d'altare, 1915
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IL MESTIERE DELL'EDITOR - di Gianpiero Menniti
RAPSODIE DI LUCI E OMBRE
Ancora una volta per Angela Ada Mantella, vulcanica drammaturga e poeta.
Sue anche le immagini fotografiche, interne e di copertina.
Ancora una volta un testo che sorprende per l'originalità creativa.
Ne ho curato l'editing e scritto la prefazione.
Da quest'ultima traggo un brano significativo della mia riflessione sull'opera:
[...] nessun pensiero è privo della base linguistica che ci precede. Le strutture profonde teorizzate da Noam Chomsky rispetto agli effetti superficiali del linguaggio, indicano la relazione tra una competenza innata e le espressioni in atto ma nemmeno questo schema è in grado di ridurre la singolarità a manifestazione universale, l’unicità a riproducibilità se non nella prospettiva di un tempo infinito nella quale ipotizzare un “eterno ritorno”. Suggestioni. Echi nietzschiani. Questo è il naufragio nel quale si annega di fronte ai testi di Angela Ada Mantella: un naufragio cercato, anelato, talvolta perfino necessario. Il lettore è chiamato a lasciarsi travolgere nella improvvisa, inspiegabile certezza di aver compiuto il viaggio più atteso. Paradossale, come l’ossimoro latino che recita «Nunc bene navigavi, cum naufragium feci»: «Posso dire di aver ben navigato, solo dopo aver fatto naufragio». Apparentemente paradossale: occorre portare se stessi all’estremo confine, fino a quel limite sul quale il baratro dell’effetto drammatico possa compiersi e fin tanto che non si produca, tracci la distanza rispetto al perfezionamento, l’adempimento che tolga ogni strada, dove ogni prospettiva scompare divenendo ἀπορούμενον" (aporoumenon), incessante ricerca, un volgere lo sguardo verso l’origine che mai trova chiaro fondamento. Così è la febbrile, coinvolgente e sconvolgente scrittura dell’autrice di origine canadese. Una scrittura che non lascia il conforto della sosta ma è viaggio esasperato tra i marosi, in una tempesta di sentimenti che richiamano il lettore verso un palpitante dissesto delle certezze. Semmai, paradossale è la convivenza del misero e del grandioso: l’umana fragilità tuttavia capace di dare forma espressiva alla sovrastante, immane potenza della natura. [...]
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ARTISTI CONTEMPORANEI - di Gianpiero Menniti
LA FORMA DELL'ENERGIA
La prima sensazione a colpire di lei è il sorriso: contagioso, fanciullesco, autentico.
Si accende nei suoi occhi e non passa.
Ma c'è di più: Antonella Di Renzo è anche la piacevole scoperta di una pittura che le somiglia non solo nella vividezza dello sguardo quanto nell'intensità del gesto, nel corpo che usa quasi come in una coinvolgente "performance" danzante.
Direi che pensa e si muove come dipinge.
E si esprime nel linguaggio parlato con il medesimo temperamento che promana dalla sua produzione artistica.
Una sorta d'introiezione tra l'artista e l'opera.
Il suo modo di fare arte è avventuroso.
Volutamente si misura con una forma di ricerca volta verso uno scopo molto preciso: cogliere la forma dell'energia.
Per lei, l'energia è "verità".
Si potrebbe dire che la sostanza della materia si rivela nella sua scomposizione, nel suo dissolversi: la pluripremiata artista vibonese riesce a strapparle la maschera della forma compatta che non è il suo volto reale.
Questo è ben più profondo, racchiuso proprio nell'energia che crea la massa e la tiene stretta.
Fino a quando una forza esplosiva non la frantumi liberandola dai vincoli della gravità.
Così, la materia riprende la sua leggerezza originaria e invade lo spazio, lo colora di luminosità, lo percorre senza sosta come impazzita per quella che la pittrice appella come felicità.
Le tele di Antonella Di Renzo sono queste immagini di parola, tra la potenza del colore e la suggestione del movimento, gli sfondi anch'essi dinamici e i materiali che sorgono in rilievo come fossero corpi in espansione.
L'energia fluttua, l'energia non ha "nómos".
Oppure, l'energia possiede regole: sono le leggi del caos, nonostante queste siano ancora sconosciute nella loro apprezzabilità scientifica, ancora avvolte nell'universo dell'indeterminatezza.
Tutto è davvero possibile in un modello statistico basato su principi inconcepibili solo un secolo fa, quando l'archiviazione della fisica newtoniana in favore degli sviluppi discendenti dalla fisica quantistica, da Boltzmann fino ad Heisenberg e alla relazione indissolubile tra ordine e disordine, hanno prodotto una tale mole di evidenze che nulla può ritenersi più reversibile nella spiegazione dei fenomeni dell'esserci.
Antonella Di Renzo è tra le epigoni di questa ormai secolare riflessione espressiva proiettata a risolvere sulla tela la domanda incessante di conoscenza, una domanda che prese corpo già con gli "Impressionisti" fino a spargersi lungo il '900.
Quella domanda di conoscenza è ancora attuale.
Dunque, c'è ancora spazio per artiste come lei.
Uno spazio sconfinato.
Costellato di soglie ancora in attesa di essere attraversate.
- Nelle Immagini: una foto di Antonella Di Renzo che tiene in mano "Amore malato" del 2015 e di seguito altre opere dell'artista
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SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
OLTRE LO SGUARDO
Esistono volti fatti per noi.
Irresistibili, attraenti, spiccano nella folla.
Volti, ma alla fine, occhi.
Capienti fino alla vertigine.
Narrano l'intenso sgomento del precipizio.
Anelano la parola che non sorgerà.
Accarezzano il respiro incerto.
Infine, rimangono memoria dell'incompiutezza, racconto spezzato dall'apparizione fugace.
Sono ritratti, nostalgia di futuro, struggente sorriso.
Così dipingeva Amedeo Modigliani: come a trarre un segno, un gesto, una parola che mai entreranno in scena.
Maschere per un solo spettatore in un teatro muto.
Talvolta gli occhi scompaiono: lo sguardo non è più sufficiente, chiede l'oltre, si riduce a sipario sospeso sul baratro.
In attesa.
- Amedeo Modigliani (1884 - 1920): "Madame Kisling", 1917 circa, National Gallery of Art di Washington.
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ARTISTI NASCOSTI - di Gianpiero Menniti
LA FRAGILITÀ DELLA CONCHIGLIA
Se c'è bellezza nel mio "mestiere" di critico d'arte, ebbene questa giace tra angoli dimenticati, sotto mucchi di cose che nascondono sguardi incantati sul mondo.
Sono tracce di artisti rimasti nell'ombra, in un tempo carsico che scorre dimenticato.
Ne incontro tanti che lasciano passare la luce.
Pochi, invece, come suoni improvvisi nel silenzio: è il primo segno.
Un cenno timido.
E il silenzio perde la malinconia: diventa forma sospesa.
È fragile, tra i primi raggi di luce, di occhi nuovi.
L'espressione si fa parola e apre l'incanto su una soglia inesplorata oltre quale nessun passo è stato mai tentato.
Così, una inaspettata bellezza si rivela oltre la forma del dipinto ma nella sua voce.
Racconta, fino a riempire occhi avidi del gesto, del colore, della scena e, sopra ogni cosa, del pensiero incerto, misteriosa perla, sorprendente fragile difesa della conchiglia.
Presto rivelerò le opere e il volto di una nuova, antica artista.
Nel frattempo, un'immagine - e dettagli - lasciata dai suoi occhi.
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ARTISTI CONTEMPORANEI - di Gianpiero Menniti
L'ARTE E L'ECO DEL SENSO
Sono particolarmente affezionato alla sensibilità, delicata, sommessa eppure di rara forza espressiva di Amneris Ulderigi, poetessa, fotografa e artista marchigiana, di Recanati, neanche a dirlo celebrato luogo natio di uno dei più grandi poeti e filosofi italiani, Giacomo Leopardi.
E quel grandioso antico respiro echeggia in alcune sue opere del 2022, intense, struggenti, di impressionante inventiva.
Si tratta d'inserzioni fotografiche in "lastre" radiografiche, presentate in una mostra, proprio a Recanati, dal titolo:
"E l'anima vola... Respiri di cielo. Relazioni d'amore".
Immagini che racchiudono un racconto di affetti, di storie, di un vissuto che ha l'apparizione coinvolgente di un sorriso, l'intensità di uno sguardo, anche nel dolore della scomparsa, nella fragilità della perdita, nella conclusione ineluttabile, infine nella possibilità, nella speranza.
Così, il freddo di una lastra capace di illuminare la materia sotto la pelle, il simbolo contemporaneo dell'antico oracolo, perde la sua funzione tecnica, abbandona la sua parola inospitale, dimentica la sua figura di spettro fino a trasformarsi in traccia sorprendente, in atto di memoria, in presenza che sboccia ancora da inaspettate radici rimaste sottili.
Una sorta di rizoma che si prolunga in mille direzioni, allargandosi, infittendosi, colmando lo spazio e respingendo il buio, riannodando fili solo apparentemente spezzati.
Il segno compie un nuovo percorso.
E il simbolo diventa immagine: ricompare.
E risponde alla domanda di senso, ancestrale, incessante: si tratta di una "rifondazione".
Insufficiente?
Priva della parola?
Relegata al suo apparire silenzioso?
No.
Transita.
Deve compiere il suo cammino.
Non impone ma disvela.
Giunge alla "riconciliazione".
Nasce un dialogo nuovo.
Come un afflato spirituale intenso: un'espressione di fede che trasforma quelle immagini in qualcos'altro ancora, in un atto collocabile a ridosso del margine estremo, quell'assenza di luce sullo sfondo che simboleggia la possibilità e non più l'annullamento.
L'arte come tramite, l'arte che nel contemporaneo lambisce il sacro, lo ripropone, lo lascia riemergere.
È questa, direi, la traccia più feconda dell'opera di Amneris Ulderigi.
- Nelle Immagini: foto di Amneris Ulderigi e alcune opere dell'artista.
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ARTISTI CONTEMPORANEI - di Gianpiero Menniti
LA PASSIONE E LA MATERIA
L'incontro con gli atti espressivi di Monica Isabella Bonaventura, nata in provincia di Venezia, poliedrica e pluripremiata artista, lascia una traccia: seguirla impone l'addentrarsi fin dentro le viscere della Terra, l'immergersi in un tunnel scavato a mani nude.
La sensazione del contatto è gravida, intensa, vivida.
Possiede grida afone, toni lontani, rumori d'attrito.
Eppure, si avverte una mancanza, un distacco, un anelito, come se l'apparire dell'evento espressivo portasse con sé la nostalgia della mano, la struggente ricerca del contatto tattile perduto, la sensualità del gesto ormai ricordo.
E di sapore e di odore terragno, acre, pastoso.
Questo indizio, indelebile, rimane impresso sulle sue tele come in ogni oggetto sottoposto alla sua sensibilità, alla pregnanza della sua violenza dolce e appassionata sulla materia.
Ogni incontro con la materia è un atto di violenza necessaria al suo divenire, al suo apparire: il mare non si può solcare senza ferirlo.
Allo stesso modo, l'incontro artistico con Monica Bonaventura è una ferita che pulsa, che non può essere ignorata, che rimane fusa nelle sue opere.
Un calore perenne.
Di materia incandescente.
Di materia ansimante, che impone spazio all'espandersi del respiro.
Semplicemente, di materia, ormai sua.
In dono a chi sa coglierne la preziosa origine.
- Nelle Immagini: foto di Monica Isabella Bonaventura e alcune opere dell'artista, nell'ordine "Vento", "Sands desert", "Oltre", "Aura", "Albori", "Raggio di Sole", "Aurora", "Flam" e "Punto G"
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CONFERENZE - POLIS di Gianpiero Menniti racconta la Comunicazione l'Arte e la Politica
OTTOCENTO: LA SVOLTA MODERNA E CONTEMPORANEA
Un'epoca che segna la modernità stagliandosi nel cuore del cosiddetto "secolo lungo" teorizzato da Eric Hobsbawm e collocato tra la Rivoluzione Francese di fine '700 e la Grande Guerra d'inizio '900.
L'arte recepisce il cambiamento, lo assume nelle sue forme espressive, per certi versi lo plasma e lo esalta.
Non solo con il celebrato "Impressionismo".
In Francia con il "Neoclassicismo" e nel nord Europa, in Inghilterra in particolare.
Con Turner e Ruskin, la confraternita dei "Preraffaeliti" ispirati dal movimento "nazareno" costituitosi in Italia ai primi del secolo.
Prende corpo il sentimento romantico, intensi fermenti sociali animano l'Europa che s'avvia a mutare profondamente volto, tra la retorica accesa dei nazionalismi e società sempre più complesse che popolano e dilatano a dismisura lo spazio urbano.
E l'Italia, pur marginale, vive la sua stagione risorgimentale.
Con artisti oggi dimenticati come Hayez e Sartorio, i "Macchiaioli" toscani e la "Scapigliatura" milanese, fino a Giovanni Boldini tra i migliori interpreti della "Belle Époque" che annuncia il suicidio del vecchio continente.
Sfiorando Cézanne e un'arte che avanza oltre la presunta crisi dettata dall'avvento dell'immagine fotografica.
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Da: SGUARDI SULL'ARTE LIBRO TERZO - di Gianpiero Menniti
LE PAROLE NASCOSTE
Esistono presenze che marcano l'assenza.
Senza più sguardi.
In un bacio sbiadito, in una carezza mancata.
Il dolore scava l'angoscia quotidiana.
Le giornate corrono spente.
Lungo trincee senza orizzonte.
Volontà tradite formano cortine impenetrabili d'oracolo.
A lungo desiderati, sono gli amori sbagliati.
Restano enigmi irrisolti.
Consumati invano nei silenzi trattenuti.
Mentre attonite parole nascoste recano già il responso di amori finiti.
Arnold Böcklin (1827 - 1901): - "Ulisse e Calipso", 1883, Kunstmuseum, Basilea Giorgio De Chirico (1888 - 1978): - "L'enigma dell'oracolo", 1910, collezione privata - "L’enigma dell’arrivo e del pomeriggio", 1911/12, collezione privata
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Da: SGUARDI SULL'ARTE LIBRO QUINTO - di Gianpiero Menniti
L'INASPETTATO
Edgar Degas (1834 - 1917) dipinge "Ballerina che fa un saluto", 1878, conservato al Museo d’Orsay a Parigi.
Le forme scompaiono nel colore, riappaiono tra sfumature e contrasti.
Nel 1890 dipinge "Russet Landscape" (Paesaggio color ruggine) e nel 1892 compie sperimentazioni ulteriori con la tecnica del "monotype" che coniuga incisione, disegno e pittura.
Ulteriori poichè già nel 1876 aveva prodotto opere come "Dancer Onstage with a Bouquet" (Ballerina sul palco con un Bouquet, collezione privata).
Potremmo chiuderla qui aggiungendo che si tratti di una direzione di "ricerca" poco nota dell'artista francese.
Qualcosa che nasce nel medesimo contesto dei soggetti tradizionali della sua pittura.
Certo.
Ma perchè?
Ne realizzò circa centoventi di stampe con questa tecnica.
Eppure, negli anni '90 del XIX secolo scompaiono le classiche figurazioni per dare vita a immagini che annullano la forma sondando esperienze visive abissali.
Tuttavia, sullo sfondo delle altre due opere citate, queste rappresentazioni emergevano.
L'irrazionalismo non è una corrente viva nel solo Novecento: è già negli aforismi di Nietzsche, nelle immagini poetiche di Baudelaire e nelle strutture visive dell'Impressionismo.
Degas s'immerge in questa radicale percezione, l'anticipa nell'arte, la rivela facendo segno alla parola del suo tempo.
La realtà non possiede un fondamento e la concezione tragica pervade la lunga stagione che segue alla rivoluzione scientifica e illuminista dei due secoli precedenti.
Per dirla con le parole di Dostoevskij, tratte da "I fratelli Karamazov" (1880):
«Se Dio e l’immortalità dell’anima non esistono tutto è possibile».
Nel 1882, ne "La gaia scienza", Nietzsche afferma perentoriamente:
«Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? [...] Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di piú sacro e di piú possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatòri, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione?».
In entrambi i casi, la fine della "cristianità" - non significa la fine del "cristianesimo" - s'annida nell'espressione figurativa che abbandona ogni certezza e muta in invocazione metafisica: semplicemente, la vocazione alla verità s'infrange con il baratro delle inattingibili origini.
Il '900 comincia da lì, anche da un inaspettato Degas.
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IL RACCONTO DELL'IMMAGINE
POLIS di Gianpiero Menniti racconta la Comunicazione l'Arte e la Politica
OCCHI OLTRE UN VELO
Esiste la vanità dell'orpello.
Illusione vacua.
Eppure proficua.
Persino remunerata.
Destinata a un bagliore.
Ma esiste il suo riflesso: la consistenza.
Sguardo che apre la luce oltre il velo.
Di occhi densi, carichi di racconti mai uditi.
Photo Credits: Gaetano Interlandi, "Dama sul marciapiede"
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO SECONDO - di Gianpiero Menniti
PARADIGMI DELLA RAPPRESENTAZIONE
Due modi d'interpretare, non solo il tema religioso ma il proprio tempo: simbologie opposte.
Il Cristo di Piero della Francesca è una rappresentazione di onnipotenza disincantata, la forza della verità che si erge, maestosa eppure solitaria e rassegnata, lascia dietro di sé le tracce del mondo sconfitto dalla sterile condizione dell'umanità immersa nel sonno della ragione.
Risorgere potrebbe apparire inutile.
Eppure, è il segno potentissimo che rivela la radicalità della scelta, tra salvezza e morte.
Al contrario, il "Risorto" di Paolo Veronese è trionfante, posseduto dalla mistica ascesa al cielo, ormai incurante delle vicende terrene, come un dio pagano si erge al di sopra della materialità e delle miserie umane, avvolto nella luce che acceca e spaventa, mentre l'angelo sul fondo, in una scena lontana, indica alle pie donne il compimento del disegno divino.
Il primo è un Cristo messaggero che invita gli uomini a destarsi per contemplare la dualità della storia e la necessità della scelta.
Ed un Cristo che imprime la sua "auctoritas" sulla realtà terrena in una plateale, solida fissità capace di suscitare un ineluttabile moto di conversione.
Il secondo è un "redentore" che offre il mistero della sua resurrezione come implacabile superiorità del divino sull'umano, come luce sulle tenebre, come leggerezza che vince la "gravitas" dell'esistenza terrena.
Ma che guarda in alto.
E si lascia contemplare nella sua apoteosi.
Due narrazioni della cristianità, opposte, inconciliabili.
Tra la severità che accoglie e l'alterità che allontana.
- Piero della Francesca (1416-1492): "La Resurrezione",1460-1465, Museo Civico, Borgo San Sepolcro (AR) - Paolo Veronese (1528-1588): "La Resurrezione di Cristo",1570 circa, Museo dell'Ermitage, San Pietroburgo
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