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Walter Crane - Oedipus and the Sphinx, 1895
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La gran tragedia de los siete contra Tebas
Primera parte
Los desterrados Polinices y Tedeo
El rey Adrasto de Argos tenía dos hijas llamadas Egialea y Deípile, ambas en edad casadera. A la ciudad llegaron muchos hombres de diferentes nacionalidades para pedir la mano de alguna de las mujeres; dos de esos pretendientes eran los jóvenes Polinices y Tideo. El primero era hijo del desdichado rey Edipo y tenía un hermano mellizo de nombre Eteocles. Cuando Edipo fue desterrado de Tebas tras haberse descubierto que asesinó a su propio padre y desposó a su madre, tanto Polinices como Eteocles se convirtieron en reyes de la ciudad, alternando año con año. En el primer año de su reinado, el ambicioso Eteocles se negó a darle el trono a su hermano y lo desterró. Por su parte, Tideo era hijo de Eneo de Calidón y había matado a su hermano Melanipo durante una cacería. Los habitantes de la ciudad no creyeron que esto fuese un accidente, pues un oráculo había vaticinado que alguien de nombre Melanipo lo mataría, y se pensó que el joven había querido evitar semejante destino. Al igual que Polinices, Tideo fue desterrado de Calidón.
Temeroso de crearse enemigos poderosos con su elección, el rey Adastro decidió consultar al oráculo de Apolo para elegir a los yernos más apropiados. Este le dijo: “Unce a un carro de dos ruedas el jabalí y el león que luchan en tu palacio”. Resultó, pues, que los elegidos fueron Tideo y Polinices, pues el jabalí era emblema de Calidón, así como el león lo era de Tebas. En la noche en que Adrasto comunicó su decisión, prometió a los jóvenes que los ayudaría a recuperar sus reinos, comenzando por Tebas, que estaba más cerca de Argos.
Adrasto se preparó para la guerra contra Tebas llamando a los mejores jefes argivos: Capaneo, Hipomedonte y Partenopeo, este último nativo de Arcadia e hijo de Hipómenes y Atalanta. Anfiarao, cuñado del rey, también fue llamado a la guerra, pero en un principio se negó, pues tenía el don de la videncia y vaticinó que todos morirían, a excepción de Adrasto. Finalmente, por intercesión de Polinices y su propia esposa Erifile, Anfiarao aceptó ir. Así, los siete guerreros partieron a tierras tebanas.
Continuará...
Segunda y tercera parte.
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«Todo dirigir la atención hacia una cierta realidad, especialmente cuando esta realidad es la humana, muestra que se ha convertido en problema. Era un gran paso, nunca antes dado –que sepamos- pues la tragedia poética mostraba la desesperada situación del hombre en concreto, de un hombre perseguido por el destino bajo la sombra de un oscuro Dios y en ella se reclamaba, especialmente en la de Edipo, un conocimiento. La Esfinge había presentado a Edipo un enigma cuya solución encontró inmediatamente: el hombre. Mas Edipo no sabía que el hombre es a su vez un enigma; Sócrates sí, y por eso hizo de este enigma el centro de su continuo filosofar.»
María Zambrano: Persona y democracia, la historia sacrificial. Ediciones Siruela, pags.139-140. Madrid, 2004
TGO
@bocadosdefilosofia
@dias-de-la-ira-1
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No escribo para que nadie me lea, solo para buscarme y si tengo suerte encontrarme alguna vez a mi mismo.
Siempre mis deseos más íntimos por escrito han sido rechazados. Han aceptado mi cuerpo pero no las palabras que salen de mi mano y se posan en el papel en blanco, eran palabras para expresar mi deseo, mis frustraciones de vida, mi edipo obligado, mi sometimiento infantil al deseo de una persona adulta.
Nunca fui entendido. Nunca aceptado por entero. Y siempre usado, nadie quería saber de mi, solo usarme para satisfacerse y luego ...y otro luego...y otro...
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@queenjocasta7 El gato es el ser más feliz de la tierra, conozco bien esa sensación, recuerdo cuando fui niño y me tomabas entre tus brazos, bajabas tu blusa por un costado y me amamantabas amorosamente, yo inmediatamente succionaba ese pezón hinchado mientras con mis pequeñas manos apretaba esos senos llenos de mi alimento, te amo madre, y te necesito nuevamente para mí!
The cat is the happiest being on earth, I know that feeling well, I remember when I was a child and you took me in your arms, you lowered your blouse to one side and you nursed me lovingly, I immediately suckled that swollen nipple while with my small hands I squeezed those breasts full of my food, I love you mother, and I need you again for me!
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Henri de Toulouse Lautrec - Bartet and Mounet-Sully, in Antigone.
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Freud ci parla del complesso di Edipo (per la controparte maschile) e quello di Elettra (per la controparte femminile). Sono, difatti, delle metafore che spiegano come l'infante provi attrazione per il genitore di sesso opposto ed un antagonismo nei confronti del genitore dello stesso sesso, per poi imitarlo ed identificarsi in una specifica identità di genere.
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quadro Edipo e la sfinge di Gustave Moreau, sito nel Metropolitan Museum Of Art
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La vicenda di Edipo Re viene narrata da Sofocle ed è una delle tragedie più lette. Edipo è noto per aver ucciso suo padre, Laio, ed aver giaciuto con sua madre, a sua insaputa, tuttavia è conosciuti anche per le imprese che Edipo compì a Tebe nel risolvere gli indovinello della sfinge
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Capitolo 31 - Il sonno della coscienza genera mostri
“… intorno a lui fu consultato il vate profetico per sapere se avrebbe visto i lunghi giorni di una matura vecchiaia: «Se non si conoscerà» egli disse. La profezia dell’augure a lungo sembrò menzognera, ma la confermarono la fine, gli avvenimenti, nonché il genere di morte e la singolarità della follia.”
Metamorfosi di Ovidio
Il lui della citazione è Narciso e come ci racconta Ovidio, era un giovane di straordinaria bellezza che dopo essersi specchiato nelle acque di un lago, s’innamora follemente della sua immagine riflessa e nel tentativo di afferrarla cade in acqua e muore annegato. La singolarità della follia è quella di amare sé stesso più di qualsiasi altro essere al mondo e come da profezia, la morte avviene nel momento in cui si conosce, si vede per la prima volta.
Il mito di Narciso è tra i più conosciuti della mitologia greca e tra i più utilizzati in psicologia come in letteratura per raccontare individui insensibili e manipolatori o descrivere società basate sull’egotismo e l’apparenza.
In Introduzione al narcisismo (1914), Sigmund Freud definisce narcisismo originario un particolare stadio dello sviluppo psichico durante il quale il bambino, o la bambina, basta a sé stesso, nel senso che il suo corpo è il punto di partenza e di arrivo delle pulsioni e del piacere. È quel momento in cui dipendiamo completamente dall’accudimento materno, il momento in cui ogni nostra necessità viene soddisfatta senza che sia necessario far nulla fuorché piangere, è il momento in cui la simbiosi con chi ci accudisce è assoluta, non siamo capaci di distinguere ciò che è io da ciò che è il corpo dell’adulto che ci accudisce. Abbiamo fame, sete, vogliamo dormire, essere coccolati oppure vogliamo giocare o essere cambiati e senza nessun altro sforzo che sia quello di agitarci scompostamente e piangere, otteniamo ciò che desideriamo, quello di cui abbiamo bisogno. Nel momento di massima dipendenza siamo quasi come degli dei, otteniamo pronta soddisfazione senza la necessità di affidare alle parole la nostra richiesta e solo con il movimento.
Crescere comporta però ripetere continuamente l’esperienza dell’essere incapaci, da soli, di soddisfare le nostre necessità, di essere fisicamente e psicologicamente inadatti a rispondere alle richieste dell’ambiente; crescendo ci scontriamo con i limiti che l’educazione pone al soddisfacimento del nostro piacere e con la frustrazione che deriva dai divieti morali e civili che la nostra società impone. Questo è il momento edipico, un momento fondamentale secondo Freud nello sviluppo psichico normale e in quello patologico dell’essere umano e per spiegarlo prende a prestito un altro mito di origine greca, quello di Edipo.
Questa volta a consultare l’indovino Tiresia sono il re Laio e sua moglie Giocasta, al quale pongono la stessa domanda che i genitori di Narciso posero all’augure: il loro primogenito vivrà sereno e abbastanza a lungo da godersi la vecchiaia? Sì, il bambino vivrà a lungo, abbastanza da invecchiare ma sarà causa di morte per il padre, è la risposta del veggente. I genitori sconvolti dalla profezia, decidono di uccidere il bambino, ma non essendo capaci di farlo affidano il neonato a un cacciatore, chiedendogli di abbandonarlo nel bosco così che muoia di fame e di freddo. Il cacciatore compassionevole non esegue però l’ordine del re, salva il bambino affidandolo alle cure di altri due genitori regali, senza figli, che lo accolgono con immensa gioia.
Una volta cresciuto, Edipo per dimostrare il suo valore di uomo e di futuro re, si mette in marcia, esercito a seguito, con l’intenzione di conquistarsi un proprio regno. Durante il cammino giunge dinnanzi ad una strettoia, all’altro capo della quale c’è Laio con il suo esercito in marcia. Nessuno dei due sa chi sia l’altro, ma entrambi sanno che il diritto di passaggio spetta a Laio in quanto re e in quanto anziano. Come sappiamo Edipo freme dalla voglia di mostrare le sue doti virili e i suoi talenti da guerriero così, invece di cedere il passo a Laio in rispetto alle leggi e agli dei, comanda al suo esercito di attaccare per imporre il suo diritto di passare per primo. Sarà proprio la sua spada ad uccidere il padre. Edipo trionfante e inconsapevole conquista il regno di Laio, sposa la madre e dall’unione dei due nascono ben quattro figli. Dei miti greci e delle leggende la cosa che più mi piace è che la verità anche se giace nascosta per anni e anni, trova sempre il modo di manifestarsi e una volta nota a tutti, la giustizia segue implacabile. Edipo venuto a conoscenza dell’orrida verità, si accecherà con le sue stesse mani e si costringerà a una vita in esilio vagando per strade sconosciute coperto di stracci.
Freud utilizza il mito di Edipo per spiegare un passaggio fondamentale della maturazione psichica durante il quale l’Io smette di trovare godimento in sé stesso e si rivolge all’ambiente, cerca di soddisfare i suoi bisogni nella relazione con i genitori, uno dei quali diventa l’oggetto del suo amore, l’altro diventa oggetto d’identificazione e d’imitazione, una sorta di ideale. Il primo atto costitutivo dell’Io come Essere in relazione con è una scelta d’amore e contemporaneamente è il desiderio di voler essere come quel modello in grado di possedere l’oggetto amato.
Il processo di identificazione è alla base del complesso edipico, il bambino s’identifica con l’oggetto amato che vuole per sé e con il quale non ammette distanza o separazione, ma s’identifica anche con il rivale in amore, l’altro genitore al quale vuole somigliare, che imita e che vorrebbe sostituire. L’identificazione è il primo legame emotivo che istauriamo con un’altra persona perché sia nell’innamoramento che nell’ammirazione tendiamo a emulare il comportamento delle persone amate e ammirate, in Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921) Freud dice che a volte l’Io copia la persona amata a volte quella non amata (quella ammirata) e che l’identificazione è immedesimazione, la stessa che utilizziamo per comprendere l’Io estraneo di altre persone, la stessa che sta alla base dell’empatia. L’Io dunque crea un legame emotivo identificandosi con il soggetto che ammira e dunque con ciò che vorrebbe essere oppure con l’oggetto e dunque con ciò che vorrebbe avere.
Il legame emotivo che si istaura mediante l’identificazione è ambivalente, tende all’avvicinamento e alla tenerezza con l’altro con cui ci si identifica ma allo stesso tempo tende all’allontanamento e a cercare di separarsi da questo. Le forme di relazione basate sull’identificazione sono forme primordiali di relazione, l’altro è vissuto come un oggetto, come qualcosa che si vuole avere interamente, o in parte appropriandosi dei suoi attributi, in questo aspetto predatorio e aggressivo risiede l’ambivalenza del legame.
Narciso vuole afferrarsi ed Edipo non vuole solo diventare re, vuole essere re come Laio, vuole il suo regno, il suo esercito e la sua regina.
“[L’identificazione] Si comporta come una propaggine della prima fase orale dell’organizzazione libidica nella quale l’oggetto bramato e apprezzato veniva incorporato durante il pasto e perciò distrutto in quanto tale. Come è noto il cannibale rimane fermo a tale stadio; egli ama i nemici che mangia e non mangia se non quelli che in qualche modo può amare.”
Tre saggi sulla teoria sessuale (1905)
È sempre Freud a parlare e sembra far eco al poeta che dal carcere di Reading canta:
“Troppo poco si ama, o troppo a lungo;
C’è chi vende l’amore e chi lo compra,
Chi commette il delitto lacrimando
E chi senza un sospiro:
Poiché ogni uomo uccide ciò che ama,
Ma non per questo ogni uomo muore.”
Infatti a morire sono solo le donne che vengono divorate da uomini che amano solo sé stessi. I dati circolati dopo la morte di Giulia Tramontano, la giovane donna incita di sette mesi uccisa dal suo compagno, dicevano che in Italia 3 donne al giorno sono vittime di violenza e l’85% di loro muore uccisa da compagni, mariti, padri e figli, proprio da quegli uomini che le amano di quel tipo d’amore che le considera soltanto oggetti utili al loro nutrimento e al loro piacere. Ecco che tipo di amore è quello di ogni uomo che uccide ciò che ama, lo stesso tipo di amore in nome del quale chi mi stalkerizza giustificava la sua azione abusante nei miei confronti. In questi anni mi sono chiesta come potesse una persona, che mi ossessionava con la sua presenza sempre lì dov’ero io ad ascoltare ogni mio respiro, a guardare ogni mia azione, sempre pronto a sottolineare i miei gesti, gli eventi della mia vita con poesie d’amore, canzoni, articoli, sempre lì a ripetere le mie parole, i miei argomenti, a imitare i miei gesti, i miei modi di dire, che a ogni mio tentativo di liberarmi da questa sorveglianza globale rispondeva che sarebbe rimasto per sempre perché mi amava troppo, come può questo uomo non aver mai nemmeno tentato, di avere una relazione normale con me? Non aver mai cercato d’incontrarmi o di parlarmi per comunicare, non soltanto per ripetermi come un’eco infinita. In linea con Freud ritengo che la risposta stia proprio nella fame smodata e insaziabile dell’oralità, e nella violenza dell’identificazione come esporrò nel prossimo capitolo.
Adesso, dopo aver parlato di uomini, di miti e di parole ripetute, mi piacerebbe concludere con la storia di un personaggio femminile Eco, la ninfa ripetente, così come l’ho trovata nel libro di Christoph Ransmayr, Il mondo estremo.
La storia è ambientata agli estremi confini del mondo conosciuto, nella città di Tomi, sul Mar Nero, dove Ovidio fu esiliato e dove morì. Il protagonista è Cotta, amico del poeta, che aveva assistito al suo ultimo discorso pubblico a Roma prima dell’esilio. Cotta si reca nella città selvaggia perché vuole rintracciare le ultime tracce di Ovidio e delle Metamorfosi, muovendosi in un mondo in cui il mito si trasfigura in realtà. In questo romanzo Eco è una donna straniera, povera e sola, dalla pelle così chiara e delicata che se si espone al sole inizia a squamarsi e a decomporsi, per questo vive in una caverna in cima alla montagna. Eco è capace di discorrere di molte cose, sa molto e ha vissuto a servizio di Ovidio fino alla morte di quest’ultimo, ma a Tomi generalmente quando le rivolgono la parola si limita a ripetere le ultime parole di chi le ha parlato. Essendo una straniera, povera e donna, gli uomini della città ferrigna, si presentano di notte nella sua caverna e portando polli, stoffe, grano o farina pretendono di accoppiarsi con lei, lei per sopportare quei momenti, rimane in silenzio e immagina di trovarsi a passeggiare per sentieri di montagna. Cotta è l’unico a sapere che Eco non ripete soltanto parole, ma parla in modo tale da fargli venire il sospetto che Ovidio stesso possa aver scritto le Metamorfosi ripetendo le storie ascoltate dalla donna. Nonostante questo, o forse proprio per questo, anche Cotta la violenta.
Roma, 12 giugno 2023 h 9.33 a. m. – 15 giugno 2023 h 3.05 p. m.
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LA BAMBINA DENTRO
Laila abiit. Laila è andata via con la sua bambina dentro, è partita come la sua bambina dentro, a suo tempo e in quel tempo. Aveva in mano una candela per ricordare, per rischiarare il cammino, il suo e quello delle madri a braccia vuote. Laila era una pellerossa americana, un’indiana d’America, una maremmana erede di Pecos Bill, una donna verace come le vongole rigate della fangosa marina di…
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Imaginen … la disfunción de la anagnórisis. CLVII.
Un profesor de Historia. Un profesor de Literatura. Otro de Química. Edipos fallidos. Fue temprano el conocimiento de lo reaccionario en vuestro pagador. No obstante, aún recorréis el laberinto y saludáis al minotauro. No se dio, no se da, la mudanza y su acción, quiero decir. Imagino que hemos dejado de ser trágicos, porque ya no sabemos ser honrados.
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Dal Dialogo di Edipo e di un mendicante, di Cesare Pavese.
(Una raffigurazione art nouveau della Sfinge)
Edipo: Vorrei cadere anche più in basso, vorrei perdere tutto - è la sorte comune. Ma non essere Edipo, non essere l’uomo che senza saperlo doveva regnare. Vorrei essere l’uomo più sozzo e più vile purché quello che ho fatto l’avessi voluto. Non subíto così. Non compiuto volendo far altro. Che cosa è ancora Edipo, che cosa siamo tutti quanti, se fin la voglia più segreta del tuo sangue è già esistita prima ancora che nascessi e tutto quanto era già detto?
Mendicante: Forse, Edipo, qualche giorno di contento c’è stato anche per te.
Edipo: Mi duole di prima, di quando non ero ancora nulla e avrei potuto essere un uomo come gli altri. E invece no, c’era il destino. Dovevo andare e capitare proprio a Tebe. Dovevo uccidere quel vecchio. Generare quei figli. Val la pena di fare una cosa ch’era già come fatta quando ancora non c’eri?
Mendicante: Vale la pena, Edipo. A noi tocca e ci basta. Lascia il resto agli dèi.
Edipo: Non ci son dèi nella mia vita. Quel che mi tocca è più crudele degli dèi. Cercavo, ignaro come tutti, di far bene, di trovare nei giorni un bene ignoto che mi desse la sera un sollievo, la speranza che domani avrei fatto di più. Nemmeno all’empio manca questa contentezza.
Mendicante: Ma credi che gli altri - anche i servi, anche i gobbi o gli storpi - non amerebbero esser stati re di Tebe come te? Hai pure vissuto la vita di tutti; sei stato giovane e hai veduto il mondo, hai riso e giocato e parlato, non senza saggezza; hai goduto delle cose, il risveglio e il riposo, e battuto le strade.
Edipo: So che anche il servo o l’idiota se conoscesse i suoi giorni, schiferebbe anche quel povero piacere che ci trova. I disgraziati che han cercato il mio destino, sono forse scampati al proprio?
Mendicante: Chi lo sa? Quel che è certo, dovevo cambiare. Si cerca una cosa e si trova tutt’altro. Se anche non ho trovato la Sfinge, e nessun oracolo ha parlato per me, mi è piaciuta la vita che ho fatto. Tu sei stato il mio oracolo. Tu hai rovesciato il mio destino. Mendicare o regnare, che importa? Abbiamo entrambi vissuto. Un giorno non c’eravamo, Edipo. Dunque anche le voglie del cuore, anche il sangue, anche i risvegli sono usciti dal nulla. Sto per dire che anche il tuo desiderio di scampare al destino, è destino esso stesso. Non siamo noi che abbiamo fatto il nostro sangue. Tant’è saperlo e viver franchi, secondo l’oracolo.
Edipo: Fin che si cerca, amico, allora sì. Tu hai avuto fortuna a non giungere mai.
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CULTURA NEL Iº E NEL IIº SECOLO d.C.
Dalla morte di Augusto nel 14 d.C. fino al 200 circa, gli autori romani enfatizzarono lo stile e sperimentarono nuovi e sorprendenti modi di espressione. Tra i poemi epici si ricordano le Argonautiche di Gaio Valerio Flacco, che seguono le vicende di Giasone e degli Argonauti alla ricerca del vello d'oro, la Tebaide di Stazio, che segue il conflitto dei figli di Edipo e dei Sette contro Tebe, e i Punica di Silio Italico, che trattano la seconda guerra punica e le invasioni di Annibale in Italia. Per mano di Marziale, l'epigramma raggiunse la qualità pungente che ancora oggi gli viene associata. Giovenale satireggiava il vizio. Lo storico Tacito dipinse un quadro indimenticabilmente cupo del primo impero nelle sue Storie e negli Annali, entrambi scritti all'inizio del II secolo. Il suo contemporaneo Svetonio scrisse le biografie dei 12 governanti romani da Giulio Cesare a Domiziano. Le lettere di Plinio il ...
continua a leggere su: https://www.greciaroma.com/cultura-antonini
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Les comparto el artículo más reciente sobre mitología grecolatina en Blurt.
English version comes out tomorrow in my WordPress!
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Table Lamp by M.Barbaglia for Edit Italy
Tischleuchte von Mario Barbaglia & Marco Colombo für Edipo Paff Studios, Italy aus den 80er Jahren.Material Polypropylen, Weisser Plexi Reflektor. Schwerer Stand und sehr guter Zustand mit dezenten Gebrauchsspuren. H 60 cm, B 57 cm, T 30 cm Preis 550 €
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Que no hay que irritarse con los hombres y qué cosas son pequeñas y cuáles grandes entre los hombres
¿Cuál es la causa de asentir a algo? El que nos parezca que es. Por tanto, no es posible asentir a lo que parezca que no es. ¿Por qué? Porque ésta es la naturaleza del discernimiento: afirmar lo verdadero, rechazar lo falso, abstenerse ante lo indiferente. ¿Qué prueba hay de esto? «Siente ahora, si puedes, que es de noche». No es posible. «No sientas que es de día». No es posible. Siente o no sientas que el número de las estrellas es par». No es posible. Cuando alguien asiente a lo falso, sábete que no quería asentir a lo falso -pues toda alma se ve privada de la verdad contra su voluntad, como dice Platón"- sino que la mentira le pareció verdad. Vamos al caso de las acciones, ¿qué criterio tenemos, como aquí el de lo verdadero o lo falso? El deber y lo que no es el deber, lo conveniente y lo no conveniente, lo que tiene que ver conmigo y lo que no tiene que ver conmigo y criterios semejantes a éstos.
Entonces, ¿no puede uno pensar que algo le conviene y no elegirlo? No puede. Como la que decía:
Me doy cuenta de qué maldades voy a cometer pero mi pasión es más fuerte que mi voluntad.
Porque eso mismo, satisfacer la pasión y castigar a su marido, lo considera más conveniente que salvar a sus hijos.
Sí, pero estaba engañada. Muéstrale claramente que está engañada y no lo hará; pero, mientras no se lo muestres, ¿qué otra cosa ha de seguir sino la apariencia? Nada. Entonces, ¿Por qué enfadarse con ella porque la desdichada anda equivocada sobre lo más importante y se ha vuelto una víbora en vez de un ser humano? En todo caso, ¿no compadecerás más bien -igual que compadecemos a los ciegos, igual que a los cojos- a los que están ciegos y cojos en lo más importante?
Cualquiera que recuerde esto claramente, que para el hombre la medida de toda acción es la apariencia (por lo demás, o la apariencia es acertada o desacertada; si acertada, es irreprochable; si desacertada, él mismo recibe el castigo, pues no puede ser uno el que anda equivocado y otro el perjudicado [En el sentido estoico no hay otros males ni perjuicios que los tocantes al albedrío, y el error ajeno no atañe al propio albedrío.]), no se irritará con nadie, no se enfadará con nadie, a nadie insultará, a nadie hará reproches, no odiará, no se impacientará con nadie.
¿Así que incluso tan grandes atrocidades tienen como origen la apariencia?
Ése y no otro. La Ilíada no es otra cosa que una representación y un uso de las representaciones. A Alejandro se le representaba que había raptado a la mujer de Menelao, a Helena se le representaba que le seguía. Si Menelao hubiera tenido la representación de que sentía que era una ventaja verse libre de tal mujer, ¿qué habría sucedido? ¡Adiós la Ilíada, y no sólo ella, sino también la Odisea!
--¿De semejante minucia dependen tales cosas?
--Pero, ¿a qué llamas tales cosas? A las guerras y las revoluciones y la muerte de muchos hombres y a las destrucciones de ciudades? ¿Y qué tiene eso de grande?
--¿Nada?
--¿Qué tiene de grande el que mueran muchos bueyes y muchas ovejas y que se incendien y destruyan muchos nidos de golondrinas y cigüeñas?
--Entonces, ¿es lo mismo lo uno que lo otro?
--Completamente igual. Murieron cuerpos de hombres; y de bueyes y ovejas. Se incendiaron casuchas de hombres; y nidos de cigüeñas. ¿Qué hay de grande y atroz? O muéstrame en qué se distinguen como moradas una casa de hombre y un nido de cigüeña.
--Entonces, ¿es semejante una cigüeña a un hombre?
--¿Qué dices? En el cuerpo son de lo más semejante; excepto en que el uno construye las casitas con vigas y tejas y ladrillos y la otra con ramas y barro
--Entonces, ¿no difieren en nada el hombre y la cigüeña?
--¡Claro que sí! Pero en esto no son distintos.
--Entonces, ¿en qué son distintos?
-Busca y hallarás que son distintos en otra cosa. Mira si no será en comprender lo que hace, mira si no será en la sociabilidad, si no será en la lealtad, en el respeto, en la cautela, en la inteligencia. ¿En qué reside el mayor bien y el mayor mal de los hombres? En donde reside la diferencia. Si salva eso y lo mantiene defendido y no destruye el respeto ni la lealtad ni la inteligencia, entonces se salva también él mismo. Pero si alguna de estas cosas se echa a perder y es conquistada, entonces también él se echa a perder. Y en esto radican los asuntos importantes. ¿El gran fracaso de Alejandro fue cuando llegaron los griegos y cuando tomaron Troya y cuando murieron sus hermanos? De ningún modo, pues nadie fracasa por labor ajena, sino que entonces se destruyeron nidos de cigüeñas. El fallo fue cuando perdió el respeto, la lealtad, la hospitalidad, la decencia. ¿Cuándo fracasó Aquiles? ¿Cuándo murió Patroclo? Desde luego que no, sino cuando se encolerizó, cuando lloró por una muchacha, cuando olvidó que estaba allí no para conseguir amantes, sino para pelear. Ésos son los fracasos humanos, eso es el asedio, eso es la destrucción, cuando las opiniones correctas son echadas abajo, cuando se echan a perder esas cosas.
--Entonces, cuando se llevan a las mujeres y esclavizan a los niños y cuando a ellos mismos los degüellan, ¿eso no son males?
--¿Por qué te imaginas eso? Explícamelo a mí también.
--No, sino que ¿por qué dices tú que no son males?
--Volvamos a las reglas, recurre a las presunciones.
Y por esto no hay quien se admire bastante de lo que sucede. Cuando queremos juzgar sobre pesos, no juzgamos al azar; cuando sobre lo derecho y lo torcido, tampoco lo hacemos al azar. En pocas palabras: en lo que nos importa conocer la verdad del caso, ninguno de nosotros hará nunca nada al azar. Mientras que en lo que reside la primera y única causa de acertar o equivocamos, de llevar una existencia feliz o desdichada, de ser infortunado o afortunado, sólo allí actuamos al azar y a la ligera. Por ninguna parte nada parecido a una balanza, nada parecido a una regla, sino que me parece una cosa, y al punto hago lo que me parece. ¿Soy yo mejor que Agamenón o que Aquiles para que aquéllos, por seguir las apariencias, hiciesen y sufriesen tantos males y a mí me baste la apariencia? ¿Y qué tragedia tiene otro principio? ¿Qué es el Atreo de Eurípides? La apariencia. ¿Qué es el Edipo de Sófocles? La apariencia. ¿Fénix? La apariencia. ¿Hipólito?. La apariencia. No hacer ningún caso de esto, ¿de quién os parece propio? ¿Cómo se llama a los que hacen caso de cualquier apariencia?
-Locos.
-¿Estamos nosotros haciendo acaso otra cosa?
--Epicteto en sus "disertaciones"
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