#edipo
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lascitasdelashoras · 1 year ago
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Walter Crane - Oedipus and the Sphinx, 1895
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mitosenespanol · 10 months ago
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La gran tragedia de los siete contra Tebas
Primera parte
Los desterrados Polinices y Tedeo
El rey Adrasto de Argos tenía dos hijas llamadas Egialea y Deípile, ambas en edad casadera. A la ciudad llegaron muchos hombres de diferentes nacionalidades para pedir la mano de alguna de las mujeres; dos de esos pretendientes eran los jóvenes Polinices y Tideo. El primero era hijo del desdichado rey Edipo y tenía un hermano mellizo de nombre Eteocles. Cuando Edipo fue desterrado de Tebas tras haberse descubierto que asesinó a su propio padre y desposó a su madre, tanto Polinices como Eteocles se convirtieron en reyes de la ciudad, alternando año con año. En el primer año de su reinado, el ambicioso Eteocles se negó a darle el trono a su hermano y lo desterró. Por su parte, Tideo era hijo de Eneo de Calidón y  había matado a su hermano Melanipo durante una cacería. Los habitantes de la ciudad no creyeron que esto fuese un accidente, pues un oráculo había vaticinado que alguien de nombre Melanipo lo mataría, y se pensó que el joven había querido evitar semejante destino. Al igual que Polinices, Tideo fue desterrado de Calidón. 
Temeroso de crearse enemigos poderosos con su elección, el rey Adastro decidió consultar al oráculo de Apolo para elegir a los yernos más apropiados. Este le dijo: “Unce a un carro de dos ruedas el jabalí y el león que luchan en tu palacio”. Resultó, pues, que los elegidos fueron Tideo y Polinices, pues el jabalí era emblema de Calidón, así como el león lo era de Tebas. En la noche en que Adrasto comunicó su decisión, prometió a los jóvenes que los ayudaría a recuperar sus reinos, comenzando por Tebas, que estaba más cerca de Argos. 
Adrasto se preparó para la guerra contra Tebas llamando a los mejores jefes argivos: Capaneo, Hipomedonte y Partenopeo, este último nativo de Arcadia e hijo de Hipómenes y Atalanta. Anfiarao, cuñado del rey, también fue llamado a la guerra, pero en un principio se negó, pues tenía el don de la videncia y vaticinó que todos morirían, a excepción de Adrasto. Finalmente, por intercesión de Polinices y su propia esposa Erifile, Anfiarao aceptó ir. Así, los siete guerreros partieron a tierras tebanas. 
Continuará...
Segunda y tercera parte.
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besos-con-saliva · 1 year ago
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No escribo para que nadie me lea, solo para buscarme y si tengo suerte encontrarme alguna vez a mi mismo.
Siempre mis deseos más íntimos por escrito han sido rechazados. Han aceptado mi cuerpo pero no las palabras que salen de mi mano y se posan en el papel en blanco, eran palabras para expresar mi deseo, mis frustraciones de vida, mi edipo obligado, mi sometimiento infantil al deseo de una persona adulta.
Nunca fui entendido. Nunca aceptado por entero. Y siempre usado, nadie quería saber de mi, solo usarme para satisfacerse y luego ...y otro luego...y otro...
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mysterious-secret-garden · 2 years ago
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Henri de Toulouse Lautrec - Bartet and Mounet-Sully, in Antigone.
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loveint-diario · 2 years ago
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Capitolo 31 - Il sonno della coscienza genera mostri
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“… intorno a lui fu consultato il vate profetico per sapere se avrebbe visto i lunghi giorni di una matura vecchiaia: «Se non si conoscerà» egli disse. La profezia dell’augure a lungo sembrò menzognera, ma la confermarono la fine, gli avvenimenti, nonché il genere di morte e la singolarità della follia.”
Metamorfosi di Ovidio
Il lui della citazione è Narciso e come ci racconta Ovidio, era un giovane di straordinaria bellezza che dopo essersi specchiato nelle acque di un lago, s’innamora follemente della sua immagine riflessa e nel tentativo di afferrarla cade in acqua e muore annegato. La singolarità della follia è quella di amare sé stesso più di qualsiasi altro essere al mondo e come da profezia, la morte avviene nel momento in cui si conosce, si vede per la prima volta.
Il mito di Narciso è tra i più conosciuti della mitologia greca e tra i più utilizzati in psicologia come in letteratura per raccontare individui insensibili e manipolatori o descrivere società basate sull’egotismo e l’apparenza.
In Introduzione al narcisismo (1914), Sigmund Freud definisce narcisismo originario un particolare stadio dello sviluppo psichico durante il quale il bambino, o la bambina, basta a sé stesso, nel senso che il suo corpo è il punto di partenza e di arrivo delle pulsioni e del piacere. È quel momento in cui dipendiamo completamente dall’accudimento materno, il momento in cui ogni nostra necessità viene soddisfatta senza che sia necessario far nulla fuorché piangere, è il momento in cui la simbiosi con chi ci accudisce è assoluta, non siamo capaci di distinguere ciò che è io da ciò che è il corpo dell’adulto che ci accudisce. Abbiamo fame, sete, vogliamo dormire, essere coccolati oppure vogliamo giocare o essere cambiati e senza nessun altro sforzo che sia quello di agitarci scompostamente e piangere, otteniamo ciò che desideriamo, quello di cui abbiamo bisogno. Nel momento di massima dipendenza siamo quasi come degli dei, otteniamo pronta soddisfazione senza la necessità di affidare alle parole la nostra richiesta e solo con il movimento.
Crescere comporta però ripetere continuamente l’esperienza dell’essere incapaci, da soli, di soddisfare le nostre necessità, di essere fisicamente e psicologicamente inadatti a rispondere alle richieste dell’ambiente; crescendo ci scontriamo con i limiti che l’educazione pone al soddisfacimento del nostro piacere e con la frustrazione che deriva dai divieti morali e civili che la nostra società impone. Questo è il momento edipico, un momento fondamentale secondo Freud nello sviluppo psichico normale e in quello patologico dell’essere umano e per spiegarlo prende a prestito un altro mito di origine greca, quello di Edipo.
Questa volta a consultare l’indovino Tiresia sono il re Laio e sua moglie Giocasta, al quale pongono la stessa domanda che i genitori di Narciso posero all’augure: il loro primogenito vivrà sereno e abbastanza a lungo da godersi la vecchiaia? Sì, il bambino vivrà a lungo, abbastanza da invecchiare ma sarà causa di morte per il padre, è la risposta del veggente. I genitori sconvolti dalla profezia, decidono di uccidere il bambino, ma non essendo capaci di farlo affidano il neonato a un cacciatore, chiedendogli di abbandonarlo nel bosco così che muoia di fame e di freddo. Il cacciatore compassionevole non esegue però l’ordine del re, salva il bambino affidandolo alle cure di altri due genitori regali, senza figli, che lo accolgono con immensa gioia.
Una volta cresciuto, Edipo per dimostrare il suo valore di uomo e di futuro re, si mette in marcia, esercito a seguito, con l’intenzione di conquistarsi un proprio regno. Durante il cammino giunge dinnanzi ad una strettoia, all’altro capo della quale c’è Laio con il suo esercito in marcia. Nessuno dei due sa chi sia l’altro, ma entrambi sanno che il diritto di passaggio spetta a Laio in quanto re e in quanto anziano. Come sappiamo Edipo freme dalla voglia di mostrare le sue doti virili e i suoi talenti da guerriero così, invece di cedere il passo a Laio in rispetto alle leggi e agli dei, comanda al suo esercito di attaccare per imporre il suo diritto di passare per primo. Sarà proprio la sua spada ad uccidere il padre. Edipo trionfante e inconsapevole conquista il regno di Laio, sposa la madre e dall’unione dei due nascono ben quattro figli. Dei miti greci e delle leggende la cosa che più mi piace è che la verità anche se giace nascosta per anni e anni, trova sempre il modo di manifestarsi e una volta nota a tutti, la giustizia segue implacabile. Edipo venuto a conoscenza dell’orrida verità, si accecherà con le sue stesse mani e si costringerà a una vita in esilio vagando per strade sconosciute coperto di stracci.
Freud utilizza il mito di Edipo per spiegare un passaggio fondamentale della maturazione psichica durante il quale l’Io smette di trovare godimento in sé stesso e si rivolge all’ambiente, cerca di soddisfare i suoi bisogni nella relazione con i genitori, uno dei quali diventa l’oggetto del suo amore, l’altro diventa oggetto d’identificazione e d’imitazione, una sorta di ideale. Il primo atto costitutivo dell’Io come Essere in relazione con è una scelta d’amore e contemporaneamente è il desiderio di voler essere come quel modello in grado di possedere l’oggetto amato.
Il processo di identificazione è alla base del complesso edipico, il bambino s’identifica con l’oggetto amato che vuole per sé e con il quale non ammette distanza o separazione, ma s’identifica anche con il rivale in amore, l’altro genitore al quale vuole somigliare, che imita e che vorrebbe sostituire. L’identificazione è il primo legame emotivo che istauriamo con un’altra persona perché sia nell’innamoramento che nell’ammirazione tendiamo a emulare il comportamento delle persone amate e ammirate, in Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921) Freud dice che a volte l’Io copia la persona amata a volte quella non amata (quella ammirata) e che l’identificazione è immedesimazione, la stessa che utilizziamo per comprendere l’Io estraneo di altre persone, la stessa che sta alla base dell’empatia. L’Io dunque crea un legame emotivo identificandosi con il soggetto che ammira e dunque con ciò che vorrebbe essere oppure con l’oggetto e dunque con ciò che vorrebbe avere.
Il legame emotivo che si istaura mediante l’identificazione è ambivalente, tende all’avvicinamento e alla tenerezza con l’altro con cui ci si identifica ma allo stesso tempo tende all’allontanamento e a cercare di separarsi da questo. Le forme di relazione basate sull’identificazione sono forme primordiali di relazione, l’altro è vissuto come un oggetto, come qualcosa che si vuole avere interamente, o in parte appropriandosi dei suoi attributi, in questo aspetto predatorio e aggressivo risiede l’ambivalenza del legame.
Narciso vuole afferrarsi ed Edipo non vuole solo diventare re, vuole essere re come Laio, vuole il suo regno, il suo esercito e la sua regina.
“[L’identificazione] Si comporta come una propaggine della prima fase orale dell’organizzazione libidica nella quale l’oggetto bramato e apprezzato veniva incorporato durante il pasto e perciò distrutto in quanto tale. Come è noto il cannibale rimane fermo a tale stadio; egli ama i nemici che mangia e non mangia se non quelli che in qualche modo può amare.”
Tre saggi sulla teoria sessuale (1905)
È sempre Freud a parlare e sembra far eco al poeta che dal carcere di Reading canta:
“Troppo poco si ama, o troppo a lungo;
C’è chi vende l’amore e chi lo compra,
Chi commette il delitto lacrimando
E chi senza un sospiro:
Poiché ogni uomo uccide ciò che ama,
Ma non per questo ogni uomo muore.”
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Infatti a morire sono solo le donne che vengono divorate da uomini che amano solo sé stessi. I dati circolati dopo la morte di Giulia Tramontano, la giovane donna incita di sette mesi uccisa dal suo compagno, dicevano che in Italia 3 donne al giorno sono vittime di violenza e l’85% di loro muore uccisa da compagni, mariti, padri e figli, proprio da quegli uomini che le amano di quel tipo d’amore che le considera soltanto oggetti utili al loro nutrimento e al loro piacere. Ecco che tipo di amore è quello di ogni uomo che uccide ciò che ama, lo stesso tipo di amore in nome del quale chi mi stalkerizza giustificava la sua azione abusante nei miei confronti. In questi anni mi sono chiesta come potesse una persona, che mi ossessionava con la sua presenza sempre lì dov’ero io ad ascoltare ogni mio respiro, a guardare ogni mia azione, sempre pronto a sottolineare i miei gesti, gli eventi della mia vita con poesie d’amore, canzoni, articoli, sempre lì a ripetere le mie parole, i miei argomenti, a imitare i miei gesti, i miei modi di dire, che a ogni mio tentativo di liberarmi da questa sorveglianza globale rispondeva che sarebbe rimasto per sempre perché mi amava troppo, come può questo uomo non aver mai nemmeno tentato, di avere una relazione normale con me? Non aver mai cercato d’incontrarmi o di parlarmi per comunicare, non soltanto per ripetermi come un’eco infinita. In linea con Freud ritengo che la risposta stia proprio nella fame smodata e insaziabile dell’oralità, e nella violenza dell’identificazione come esporrò nel prossimo capitolo.
Adesso, dopo aver parlato di uomini, di miti e di parole ripetute, mi piacerebbe concludere con la storia di un personaggio femminile Eco, la ninfa ripetente, così come l’ho trovata nel libro di Christoph Ransmayr, Il mondo estremo.
La storia è ambientata agli estremi confini del mondo conosciuto, nella città di Tomi, sul Mar Nero, dove Ovidio fu esiliato e dove morì. Il protagonista è Cotta, amico del poeta, che aveva assistito al suo ultimo discorso pubblico a Roma prima dell’esilio. Cotta si reca nella città selvaggia perché vuole rintracciare le ultime tracce di Ovidio e delle Metamorfosi, muovendosi in un mondo in cui il mito si trasfigura in realtà. In questo romanzo Eco è una donna straniera, povera e sola, dalla pelle così chiara e delicata che se si espone al sole inizia a squamarsi e a decomporsi, per questo vive in una caverna in cima alla montagna. Eco è capace di discorrere di molte cose, sa molto e ha vissuto a servizio di Ovidio fino alla morte di quest’ultimo, ma a Tomi generalmente quando le rivolgono la parola si limita a ripetere le ultime parole di chi le ha parlato. Essendo una straniera, povera e donna, gli uomini della città ferrigna, si presentano di notte nella sua caverna e portando polli, stoffe, grano o farina pretendono di accoppiarsi con lei, lei per sopportare quei momenti, rimane in silenzio e immagina di trovarsi a passeggiare per sentieri di montagna. Cotta è l’unico a sapere che Eco non ripete soltanto parole, ma parla in modo tale da fargli venire il sospetto che Ovidio stesso possa aver scritto le  Metamorfosi ripetendo le storie ascoltate dalla donna. Nonostante questo, o forse proprio per questo, anche Cotta la violenta.
Roma, 12 giugno 2023 h 9.33 a. m. – 15 giugno 2023 h 3.05 p. m.
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tanogabo · 16 days ago
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danieltov · 4 months ago
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«Con el fin de hacer frente al paganismo de la noción complejo de Edipo, resulta obligado pensar a fondo versículos, en apariencia puramente edificantes, como Deuteronomio 8, 5: “Comprende que el Eterno, tu Dios, te corregía como un hombre corrige a su hijo”. Aquí la paternidad ha de ser entendida como una categoría constitutiva de lo que posee sentido y no como categoría de la alienación del sentido. Al menos sobre este punto, el psicoanálisis atestigua la crisis profunda del monoteísmo en la sensibilidad contemporánea, una crisis que no se reduce al rechazo de ciertas proposiciones dogmáticas. Ahí se oculta elsecreto último del antisemitismo».
Emmanuel Levinas, Nuevas lecturas talmúdicas, Sígueme, Salamanca, 2017, p.26
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silvanovitar · 5 months ago
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La mimesis, los rivales duales y la literatura. os dejan explicar el conflicto de una manera elegante. En contraposición el modelo freudiano del complejo de edipo parece no ser tan elegante y tener que recurrir a muchas yuxtaposiciones para seguir sus consistencia interna. De cualquier manera, es en la literatura y en Dostoyevsky en donde encontramos la sensibilidad propia para entender la rivalidad.
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dimensionesogno · 7 months ago
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LA BAMBINA DENTRO
Laila abiit. Laila è andata via con la sua bambina dentro, è partita come la sua bambina dentro, a suo tempo e in quel tempo. Aveva in mano una candela per ricordare, per rischiarare il cammino, il suo e quello delle madri a braccia vuote. Laila era una pellerossa americana, un’indiana d’America, una maremmana erede di Pecos Bill, una donna verace come le vongole rigate della fangosa marina di…
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jcplana · 8 months ago
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Imaginen … la disfunción de la anagnórisis. CLVII.
Un profesor de Historia. Un profesor de Literatura. Otro de Química. Edipos fallidos. Fue temprano el conocimiento de lo reaccionario en vuestro pagador. No obstante, aún recorréis el laberinto y saludáis al minotauro. No se dio, no se da, la mudanza y su acción, quiero decir.   Imagino que hemos dejado de ser trágicos, porque ya no sabemos ser honrados. 
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bocadosdefilosofia · 2 years ago
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«Todo dirigir la atención hacia una cierta realidad, especialmente  cuando esta realidad es la humana, muestra que se ha convertido en problema. Era un gran paso, nunca antes dado –que sepamos- pues la tragedia poética mostraba la desesperada situación del hombre en concreto, de un hombre perseguido por el destino bajo la sombra de un oscuro Dios y en ella se reclamaba, especialmente en la de Edipo, un conocimiento. La Esfinge había presentado a Edipo un enigma cuya solución encontró inmediatamente: el hombre. Mas Edipo no sabía que el hombre es a su vez un enigma; Sócrates sí, y por eso hizo de este enigma el centro de su continuo filosofar.»
María Zambrano: Persona y democracia, la historia sacrificial. Ediciones Siruela, pags.139-140. Madrid, 2004
TGO
@bocadosdefilosofia
@dias-de-la-ira-1
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valentina-lauricella · 10 months ago
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Dal Dialogo di Edipo e di un mendicante, di Cesare Pavese.
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(Una raffigurazione art nouveau della Sfinge)
Edipo: Vorrei cadere anche più in basso, vorrei perdere tutto - è la sorte comune. Ma non essere Edipo, non essere l’uomo che senza saperlo doveva regnare. Vorrei essere l’uomo più sozzo e più vile purché quello che ho fatto l’avessi voluto. Non subíto così. Non compiuto volendo far altro. Che cosa è ancora Edipo, che cosa siamo tutti quanti, se fin la voglia più segreta del tuo sangue è già esistita prima ancora che nascessi e tutto quanto era già detto?
Mendicante: Forse, Edipo, qualche giorno di contento c’è stato anche per te.
Edipo: Mi duole di prima, di quando non ero ancora nulla e avrei potuto essere un uomo come gli altri. E invece no, c’era il destino. Dovevo andare e capitare proprio a Tebe. Dovevo uccidere quel vecchio. Generare quei figli. Val la pena di fare una cosa ch’era già come fatta quando ancora non c’eri?
Mendicante: Vale la pena, Edipo. A noi tocca e ci basta. Lascia il resto agli dèi.
Edipo: Non ci son dèi nella mia vita. Quel che mi tocca è più crudele degli dèi. Cercavo, ignaro come tutti, di far bene, di trovare nei giorni un bene ignoto che mi desse la sera un sollievo, la speranza che domani avrei fatto di più. Nemmeno all’empio manca questa contentezza.
Mendicante: Ma credi che gli altri - anche i servi, anche i gobbi o gli storpi - non amerebbero esser stati re di Tebe come te? Hai pure vissuto la vita di tutti; sei stato giovane e hai veduto il mondo, hai riso e giocato e parlato, non senza saggezza; hai goduto delle cose, il risveglio e il riposo, e battuto le strade.
Edipo: So che anche il servo o l’idiota se conoscesse i suoi giorni, schiferebbe anche quel povero piacere che ci trova. I disgraziati che han cercato il mio destino, sono forse scampati al proprio?
Mendicante: Chi lo sa? Quel che è certo, dovevo cambiare. Si cerca una cosa e si trova tutt’altro. Se anche non ho trovato la Sfinge, e nessun oracolo ha parlato per me, mi è piaciuta la vita che ho fatto. Tu sei stato il mio oracolo. Tu hai rovesciato il mio destino. Mendicare o regnare, che importa? Abbiamo entrambi vissuto. Un giorno non c’eravamo, Edipo. Dunque anche le voglie del cuore, anche il sangue, anche i risvegli sono usciti dal nulla. Sto per dire che anche il tuo desiderio di scampare al destino, è destino esso stesso. Non siamo noi che abbiamo fatto il nostro sangue. Tant’è saperlo e viver franchi, secondo l’oracolo.
Edipo: Fin che si cerca, amico, allora sì. Tu hai avuto fortuna a non giungere mai.
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greciaroma · 1 year ago
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CULTURA NEL Iº E NEL IIº SECOLO d.C.
Dalla morte di Augusto nel 14 d.C. fino al 200 circa, gli autori romani enfatizzarono lo stile e sperimentarono nuovi e sorprendenti modi di espressione. Tra i poemi epici si ricordano le Argonautiche di Gaio Valerio Flacco, che seguono le vicende di Giasone e degli Argonauti alla ricerca del vello d'oro, la Tebaide di Stazio, che segue il conflitto dei figli di Edipo e dei Sette contro Tebe, e i Punica di Silio Italico, che trattano la seconda guerra punica e le invasioni di Annibale in Italia. Per mano di Marziale, l'epigramma raggiunse la qualità pungente che ancora oggi gli viene associata. Giovenale satireggiava il vizio. Lo storico Tacito dipinse un quadro indimenticabilmente cupo del primo impero nelle sue Storie e negli Annali, entrambi scritti all'inizio del II secolo. Il suo contemporaneo Svetonio scrisse le biografie dei 12 governanti romani da Giulio Cesare a Domiziano. Le lettere di Plinio il ...
continua a leggere su: https://www.greciaroma.com/cultura-antonini
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vickapinto · 1 year ago
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Les comparto el artículo más reciente sobre mitología grecolatina en Blurt.
English version comes out tomorrow in my WordPress!
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rheinstore · 1 year ago
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Table Lamp by M.Barbaglia for Edit Italy
Tischleuchte von Mario Barbaglia & Marco Colombo für Edipo Paff Studios, Italy aus den 80er Jahren.Material Polypropylen, Weisser Plexi Reflektor. Schwerer Stand und sehr guter Zustand mit dezenten Gebrauchsspuren. H 60 cm, B 57 cm, T 30 cm Preis 550 €
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loveint-diario · 2 years ago
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Capitolo 32 - Il narcisista
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Sono passati poco più di due mesi dalla pubblicazione dell’ultimo capitolo di questo blog, nonostante le mie intenzioni fossero di concludere questa denuncia in forma di racconto entro l’estate, sono accaduti degli eventi che mi hanno turbato così tanto, non solo da non poterne scrivere, ma da rendermi incapace di scrivere qualsiasi altra cosa fino ad oggi. Gli eventi sono legati a questo violento stalking che subisco da anni e anche se qualcuno mi ha consigliato di tacere per il momento, di non attirare ulteriormente l’attenzione, penso che sia proprio questo il momento necessario per scrivere e per continuare a raccontare, per non smettere di riflettere e far riflettere, per non implodere in questo inevitabile senso di impotenza.
C’eravamo lasciati con Cotta, il fanatico amico di Ovidio che violenta Eco e nella conclusione del capitolo, alludevo al fatto che la violenza di Cotta su Eco nascesse proprio dalla conoscenza che questo ha del valore della fanciulla. Cotta è l’unico a sapere che Eco non è una selvaggia così stupida che può solo limitarsi a ripetere le frasi che le vengono rivolte dagli altri, incapace di pronunciare un suo personale discorso, ed è anche l’unico che può rimanere affascinato dalla sua cultura essendo stato, non solo un amico di Ovidio, ma un fan dello scrittore, un seguace così invasato da spingersi ad un auto esilio per ritrovare le orme dell’amico e i resti dello scrittore. In un luogo desolato come Tomi, ai limiti della dignità umana, Cotta è l’unico che può comprendere la straordinarietà di Eco ed è proprio per questo che la violenta, vuole possederla ma sa di non esserne all’altezza, sa di non avere le capacità e le doti necessarie per avere da Eco quello che le prenderà comunque con la violenza.
Questa estate le notizie di femminicidi e stupri di donne non sono mai mancate, la violenza di genere è diventata un fatto quotidiano nel nostro Paese e come sempre succede con ciò che si ripete spesso, nessuno fa più caso all’orrore che gli cammina affianco. L’orrore è quotidiano e lascia ormai indifferenti, nella frazione di un fotogramma i nostri telegiornali passano dalla guerra a scene di vacanze, di lidi balneari e di interviste ad italiani in Albania dove il mare è splendido e il divertimento è per tutte le tasche.
Quando ogni giorno consumiamo i pasti davanti a un telegiornale che trasmette notizie di guerra, morte e distruzione senza che ci passi l’appetito, come possiamo poi indignarci per una donna che muore ammazzata, per una ragazza che viene drogata e poi stuprata?
Io invece vorrei soffermarmi a riflettere con voi, pensare insieme a quale tipo di uomo possa essere capace di drogare una donna per fare sesso con lei, quale tipo di uomo sia capace di stuprare una donna mentre è incapace di esercitare la sua volontà, invitarvi a chiedervi quale tipo di uomo sia capace di godere abusando di una donna che si trova in uno stato di simil morte, con un corpo che non reagisce. Come mai è diventato così frequente? Come mai gli abusatori, che restano spesso impuniti, sembrano delle così brave persone?
Questa volta invece di rimandare come di consuetudine la risposta ai successivi capitoli rispondo subito che il solo tipo di uomo capace di fare questo è un narcisista patologico, uno che usa gli altri come oggetti per il suo piacere, che considera gli altri solo degli strumenti del suo godimento e del suo successo, è lo stesso uomo che sarebbe impotente, proprio in senso letterale, davanti a quella stessa donna se lei fosse cosciente e consapevole.
“L’uomo mostra una entusiastica inclinazione per donne da lui profondamente stimate, che però non lo eccitano al rapporto amoroso, ed è potente nei soli riguardi di altre donne che non «ama», per le quali ha poca stima o che addirittura disprezza.” (Sigmund Freud in Psicologia delle masse e analisi dell’Io)
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Il narcisista è qualcuno che non ha completato lo sviluppo psichico maturando, ma è rimasto fissato, è bloccato in una fase ben precisa di questo sviluppo senza riuscire ad andare avanti; incapace di attraversare e superare il momento edipico, il narcisista continua a vivere nella rivalsa di quel momento.
Nell’abuso sessuale con l’uso di droghe, la donna vittima diventa arrendevole, sottomessa, incapace di senso critico nei confronti della situazione, le è impedita ogni iniziativa personale, la sua coscienza è annullata, stordita, il senso di realtà compromesso a tal punto da percepire la situazione come se fosse un sogno che al mattino si dimentica.
Gli ultimi eventi di cronaca hanno visto uomini abusare in questo modo di donne, agendo in coppia con altri uomini oppure riprendendo la violenza con il proprio smartphone per poi condividere in rete il video. Ogni persona sana moralmente giudicherà questa azione, la sua brutalità e la trivialità dell’abuso, inspiegabile ma per ogni buon psicoanalista è direttamente collegabile a qualcosa che è andato storto durante la fase edipica.
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L’uomo che droga una donna e dopo ne abusa insieme all’amico, è un uomo che è rimasto bloccato alle ferite della maturazione edipica, quando il bambino deve accettare di non poter sposare e possedere la madre, deve accettare che il padre non è un rivale da eliminare e cominciare a dirige la sua energia libidica, il suo investimento amoroso al di fuori dei familiari, rivolgendosi al mondo sociale esterno.
Un ragazzo, un uomo che abusa di una donna dopo averla drogata è qualcuno che non riesce a godere senza ripetere la scena edipica: possedere la madre-oggetto mentre il padre-rivale guarda e accetta la sconfitta. Chi abusa in questo modo di una donna è qualcuno incapace di godere di un rapporto reciproco perché ha bisogno, per raggiungere il piacere, dello sguardo di un altro uomo, della fantasia della sua celebrazione vittoriosa davanti a un rivale che viene finalmente sconfitto. È la messa in scena di un trauma che ha condotto a una deviazione, esitata in un comportamento violento e criminale. Un padre troppo autoritario, aggressivo verbalmente, fisicamente o psicologicamente nei confronti di una madre sottomessa e un figlio ricettacolo dei dolori della madre, rifugio per questa, depositario delle sue confidenze intime e designato a riscattarla da questa immeritata sofferenza.
Un figlio che la saprà amare e la salverà, un eroe! Questo stesso figlio negli anni continua ad assistere alla sottomissione della madre a un padre che non stima, con il quale però s’identifica perché la madre, che è l’oggetto del suo amore, continua ad amarlo. Le scene di violenza si susseguono accompagnate sempre da quelle di sottomissione. Il bambino a questo punto non capisce più cosa sta succedendo e per difendersi da tutta questa angoscia, si ritira in sé stesso, regredisce alla fase di narcisismo originario in cui la sua psiche e il suo corpo erano principio ed esito del piacere, la madre era percepita come un oggetto buono dispensatore di cure e amore, indistinta da sé stesso, che al primo richiamo esaudiva i suoi desideri in una perfetta simbiosi. Il suo Io ritorna allora ad essere il punto di partenza e quello di arrivo di ogni evento, gli altri diventano solo oggetti del suo piacere e le relazioni sono solo strumenti per accrescere l’immagine ideale di sé. Un esilio dalla realtà assoluto in cui non esiste coscienza morale, autocritica o assunzione di responsabilità, esiste solo il piacere dell’Io. Un esilio in cui l’altro è vissuto come oggetto d’amore da possedere o come rivale sul quale vincere privandolo dei suoi tesori.
Un narcisista è l’eroe di una madre, passivamente aggressiva, docilmente sottomessa a un padre violento, che ha trasformato il figlio in un dio nel quale non ha saputo confidare e che non è stata capace di amare. Il narcisista, a differenza di altre persone che come lui sono cresciute in famiglie disfunzionali e violente, che hanno cercato di riconoscere gli eventi accaduti, hanno provato a dare un nome alla violenza subita, hanno fatto il lavoro necessario a rimarginare le ferite, per essere in grado di allontanarsi da quel passato evolvendo psicologicamente, è qualcuno che ha deciso di prendersi tutto quello che vuole, di prenderselo come rivalsa ai suoi dolori, come vincita che conferma il suo potere, o con l’insensibile naturalezza di chi per allontanare un cane che intralcia il suo passo gli dà un calcio sul muso.
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È proprio il narcisista il tipo di uomo che può provare piacere nell’abusare una donna drogata, incosciente e inconsapevolmente sottomessa, mentre un altro uomo o una fotocamera lo guardano. Chi considera la donna un oggetto, chi la svaluta, chi si sente minacciato dalla sua intelligenza, chi si relaziona solo con gli altri uomini e solo in termini di competizione e di potere è il tipo di uomo che può abusare di una donna dopo averla resa inerme.
Chiunque con uno sviluppo psichico e morale sano sa che fare l’amore o godere di una sessualità libera è come danzare insieme, che se un uomo per godere ha bisogno di umiliare, picchiare, sottomettere, comandare e veder soffrire una donna, siamo decisamente lontani dall’amore libero e spaventosamente vicini alla malattia mentale.
Uno sviluppo psichico normale non è uno sviluppo in cui non vi siano stati eventi critici, esperienze negative o traumatiche, uno sviluppo psichico normale è quello che procede confrontandosi con questi eventi per progredire, attraversando il dolore che hanno recato, elaborando un significato per non restare imbrigliati nella rete dei traumi. Lo sviluppo psichico procede tutta la vita e in ogni fase di essa tende al mantenimento della salute mentale e morale della persona. Una persona sana psichicamente e moralmente è incapace di considerare un altro uomo, una donna, un bambino o un animale solo e soltanto un oggetto del proprio piacere.
Gela, 16 agosto 2023  h 12:00 a. m.
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