#meditazione attraverso la poesia
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Tagore e il nostro tempo: cosa ci insegna oggi la poesia universale sull’amore e sulla connessione umana?. Alessandria today
La poesia di Rabindranath Tagore come ponte tra passato e presente: un messaggio di amore, umanità e speranza per un mondo diviso.
La poesia di Rabindranath Tagore come ponte tra passato e presente: un messaggio di amore, umanità e speranza per un mondo diviso. Rabindranath Tagore: il poeta dell’anima Rabindranath Tagore, nato a Calcutta il 7 maggio 1861, è stato una delle figure più iconiche della letteratura mondiale. Primo asiatico a vincere il Premio Nobel per la Letteratura nel 1913 grazie alla sua raccolta di poesie…
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La spiaggia, Cesare Pavese
"La notte, quando rientravo, mi mettevo alla finestra a fumare. Uno s'illude di favorire in questo modo la meditazione, ma la verità è che fumando disperde i pensieri come nebbia, e tutt'al più fantastica, cosa molto diversa dal pensare. Le trovate, le scoperte, vengono invece inaspettate: a tavola, nuotando in mare, discorrendo di tutt'altro".
Pavese , come per i grandi autori e le grandi autrici, è senza mezze misure: una volta letto, o lo si ama alla follia, o lo si evita. Nel mio caso, posso dire che sia stato un amore a prima vista della mia prima gioventù, nato attraverso la lettura, tra le lacrime, prima delle sue poesie, poi, in età adulta, della prosa — di molte penne mi sono innamorata così, passando prima per la poesia che per la prosa. Non mi sono mai trovata d'accordo, infatti, con il buon Pasolini, che in una famosa intervista afferma come Pavese, per lui, non sia altro che uno scrittore mediocre. Mediocre ovviamente se si concepisce la scrittura come finalizzata all'impegno. Non che Pavese non lo faccia, al contrario: fine conoscitore dell'animo umano e delle sue passioni, tra le righe della sua scrittura, anche nei punti apparentemente più leggeri o frivoli, aleggia un costante senso di inadeguatezza; ai tempi, ma anche e soprattutto nei confronti delle persone. “L'esule in patria”, qualcuno l'ha definito: mai completamente parte di un tutto, troppo costretto nel tutto di quei rapporti umani deturpati da ipocrisia e perbenismo. Per questo è scappato, soprattutto dalla vita — e non solo dal Belpaese per inseguire, prima dei tempi, un istrionico sogno americano. Anche se, onestamente, nessuno possa dire cosa spinge una mente a lasciare la vita. Ce lo avrebbe dovuto dire lui. Quello che possiamo fare è provare a cercare risposte tra le pagine dei suoi libri, delle sue memorie, dei suoi schizzi poetici.
Per quanto sia a tutti gli effetti un bozzetto che sembra ricalcare le atmosfere de La bella estate , La spiaggia contiene, in piccolo, tutto questo. In piccolo perché si tratta di un racconto lungo che avrebbe potuto arricchire la raccolta, appunto, de La bella estate o di Feria d'agosto . Proprio per questo, la storia è semplice e assente di uno sviluppo o di qualche colpo di scena: un quadretto estivo che ritrae la villeggiatura del protagonista, professore di italiano in un liceo torinese, del quale non sappiamo il nome; Doro , suo amico d'infanzia, e Clelia, la moglie di quest'ultimo. Sullo sfondo, si alternano bagni al tramonto, quando la spiaggia è ormai quasi vuota e gli ombrelloni ormai quasi tutti chiusi, e cene con gli amici di una vita tra risate, ricordi delle stupidaggini commesse in giovinezza e pettegolezzi. Una fiera delle vanità versione riviera ligure. Lo sciabordio della risacca sembra nascondere le confidenze oggetto delle conversazioni tra i bagnanti che individuano il protagonista, un uomo pragmatico che sembra nascondere, dietro un certo distacco, un bisogno profondo di caloreumano. Per quanto sempre parte delle conversazioni o partecipe di ogni situazione mondana, se ne taglia sempre fuori con quell'occhio vigile “alla Pavese”, ovvero lo sguardo di chi coglie più i non detti e le parole sparse, che le parole retoriche e vuote. È quello che fa osservando Clelia e Doro. Coppia di novelli sposi, per lui non sembrano amarsi. Non ricorda, infatti, che tra loro ci sia mai stato l'amore vero. I due sembrano animati da una profonda individualità , dalla quale però sembrano non poter scappare. O non voler scappare. Con la schiettezza più semplice, il protagonista lo chiede, a Clelia, se siano innamorati, se abbiano litigato. Clelia lo guarda e sembra non capire. È la sorte degli animi sensibili, non essere compresi.
Quello tra i due, il protagonista e Clelia, è un rapporto che, nella sua semplicità , sembra essere autentico e non intaccato dall'ipocrisia sociale che tiene in piedi tutti gli altri rapporti di contorno di questa vacanza. A dirla tutta, il tempo sembra quasi cristallizzarsi , nei loro discorsi. È ciò che Pavese fa in ogni sua scrittura: cristallizza l'affetto per preservarlo ed evitare che si assottigli a mera cordialità. Sotto ogni loro dialogo si nasconde — e nenche troppo — un'arguta, e al contempo aspra, critica sociale: il matrimonio visto come la tomba di ogni passione, le donne come frivole e prive di spirito critico, i corteggiamenti come ragazzate.
Lo sa Berti , uno studente del protagonista, anche lui in villeggiatura in riviera ligure e invaghito di Clelia. Questo interesse rimarrà tale, non avrà un seguito, anche se sembra non spengersi, neanche a seguito di un evento che cambierà per sempre la vita dei due coniugi. È un romanzo piano , e ciò che colpisce non sono i dialoghi o la storia, ma ciò che rende, a mio modesto parere, Pavese un grande, ovvero la sua capacità di ritirare in ballo una sorta di romanticismo decadente , vale a dire una natura , quella del mare, in grado di farsi espressione del pensiero intimo dei suoi attori. Qui il mare è cosa ben diversa dalla spiaggia, perché la spiaggia non è altro che il palcoscenico della mondanità, dove si mettono in scena i giochi della socialità dei prossimi anni '50, il mare è, come si suol dire, la cosa giusta al momento giusto, l'unica entità , quasi dotata di pensiero anch'esso, dove i protagonisti si spogliano delle loro maschere e riescono ad essere liberi dalle convenzioni.
Lo dice anche Clelia: il mare è l'unico posto suo, dove si sente libera, dove vuole essere libera.
Dove può esserlo.
#cesare pavese#la spiaggia#bookstagram#books and reading#italian literature#classicidellaletteratura
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Patti Campani Testo di presentazione a Luca Dimartino Vintage age "Il moltiplicarsi all'infinito delle fotografie che colgono solo il fuori della vita può contribuire alla fine del mondo. Ma alcuni fotografi, grandi in questo, cercano di salvarlo". Poesia e fotografia – Yves Bonnefoy
La bellezza dell’arte e del paesaggio è patrimonio comune, ma in questo contemporaneo che la ignora e la priva di senso, la distrugge come un vandalo terribile e ce la rende in un fluire di immagini irrimediabilmente superficiale e continuo di allettanti mete per le vacanze, è ancora possibile percepire il senso della sua presenza, del suo essere splendida, della sua singolarità? Per preservarla è necessario uno sguardo che sappia non solo coglierla, ma anche e soprattutto divenire dispiegamento del visibile. Bonnefoy suggerisce che “il fotografo come i veri poeti, percepisce nelle cose ciò che oltrepassa il loro senso mondano” e ancora “Come il poeta, solo il fotografo è colui che accoglie e custodisce la presenza, dialogando con il tempo e lo spazio, presentificando anche il nulla, allontanando l'orrore attraverso lo sguardo meravigliato del primo giorno, strappando al non senso un frammento di senso.” La fotografia può mostrare il lampo della presenza nella distruzione che la modernità ha perseguito e lo sguardo poetico sulle cose dell’arte, del paesaggio, di noi stessi, è una forma di custodia attiva, una custodia che permette di sentirsi parte di un mondo che anziché distruggerle, le moltiplica. Luca Dimartino, artista e poeta, ricerca da sempre questa prossimità alle cose, in un rapporto poetico che lo conduce al loro mostrarsi essenziale e quindi denso di esistenza. Ne accoglie la presenza, ne percepisce l’istante, le pensa e le rende a noi con gesto artistico. In alcuni precedenti progetti che abbiamo realizzato insieme (Luca Dimartino, personale a Walk about, Post Cards, collettiva a Fiorile+De Diseno) le immagini fotografiche erano strettamente fuse alla parola, brevi versi che ne definivano la durata termine inteso qui - sui magnifici versi di P. Handke in Canto alla durata - come il momento in cui ci si pone in ascolto, mutando il momento in meditazione e restituendo l’immagine in una nuova apparenza: libera da ogni simbolizzazione e allo stesso tempo non ridotta alla lettera. Così pure per il ciclo dedicato al Teatro (presentato per Accrochage, collettiva) nel quale il gesto degli attori era di fatto il fluire stesso della durata. In Vintage age Luca Dimartino accompagna una preziosità altra e realizza una serie di scatti dedicati all’arte e al paesaggio della sua terra: emulsioni dipinte su carta da incisione Rosaspina. Una tecnica antica quella dell’ emulsione, lenta, che si appropria di visibilità ad ogni singolo passaggio per arrivare ad essere un unico irripetibile pezzo. Riporto le parole, che lo stesso Dimartino mi ha inviato: - Le emulsioni sono una tecnica che, se usata come faccio io stesa su carta da incisione Rosaspina, cerca di ritrovare la texture delle Albumine di fine ottocento (…) io le utilizzo perche come le albumine mi riportano ad una sorta di prima Impronta (...) cioè ripercorrendo tutti i procedimenti per emulsionare la carta, per stendere col pennello l'emulsione alla luce rossa, lasciarla asciugare e poi stampare (...) ripercorro, dicevo, le fasi iniziali della stampa; perciò produco immagini uniche, irripetibili. Poi una cosa importante del testo (cioè l'emulsione è come la pagina di un romanzo) è che, sotto la cadenza del japonisme, viene dipinto a mano, acquerellato. Queste sono da sempre le sue funzioni nel mio lavoro; le immagini agresti, le architetture (che simulano i viaggiatori del Grand Tour, le vedute e i particolari) e le marine (…) riportare la fotografia da dove i fotografi dell800 l'avevano lasciata (...). -
In Vintage age la parola è sostituita dalla lentezza preziosa della tecnica di stampa, per ricondurre il qui ad essere un luogo dotato di valore, nella consapevolezza che questo luogo fissato nell’immagine ha rifrazioni infinite, resta dentro di noi ed ha il ritmo della durata. Vintage age ci rende la presenza di una parte di ciò che ci circonda, la sottolinea e ne esalta la presenza e singolarità e lo sguardo poetico di Luca Dimartino ci riporta questa presenza, fino ad un istante prima immersa ancora nel buio della disattenzione, situandola in un nuovo significato, in una nuova sorprendente luce.
Patti Campani
#patti campani#luca dimartino#arte#arte contemporanea#artecontemporanea#arte italiana#scrittura#arte e cultura#fotografia#bologna#fiorile+#testi d'arte#stampa fotografica#art on tumblr
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I sonetti di William Shakespeare: quali sono i più famosi?
I sonetti di William Shakespeare rappresentano una delle massime espressioni della poesia lirica del Rinascimento inglese. Questi 154 poemi sono carichi di emozione, bellezza e complessità, esplorando temi come l'amore, il tempo, la bellezza e la mortalità. Alcuni di questi sonetti hanno raggiunto una notorietà che li colloca tra le opere più celebri della letteratura mondiale. Sonetti di William Shakespeare: i più famosi Il Sonetto 18 è forse il più celebre di tutti. Con il suo incipit "Shall I compare thee to a summer's day?" ("Dovrei paragonarti a un giorno d'estate?"), Shakespeare esplora la bellezza eterna, superiore persino alla bellezza naturale che è soggetta al cambiamento e al decadimento. Il poeta assicura l'immortalità del suo amato attraverso la potenza della sua poesia, che sopravviverà al passare del tempo. Altrettanto famoso è il Sonetto 116, una meditazione sull'essenza dell'amore vero e costante che non "altera quando trova alterazione" o vacilla "anche se rovina il suo vero centro". Il sonetto è spesso citato nelle cerimonie nuziali per il suo ideale di amore incondizionato e immutabile. Il Sonetto 130 sfida le convenzioni dei sonetti d'amore del tempo, prendendo in giro la tendenza dei poeti a usare iperboli e confronti esagerati per descrivere la loro amata. Invece, Shakespeare descrive la sua dama con termini realistici, sostenendo che il suo amore è speciale proprio per la sua autenticità e la sua "vera" bellezza. Tempo e perpetuità Un altro tema ricorrente è il conflitto tra il tempo e la perpetuità. Nel Sonetto 60, Shakespeare contempla la natura effimera dell'esistenza umana, paragonando la vita all'onda che si infrange sulla riva, destinata a scomparire. Tuttavia, c'è anche una sfida al tempo, poiché la poesia stessa diventa un mezzo per superare la mortalità e preservare la memoria. Il Sonetto 73 tocca il tema dell'invecchiamento con immagini potenti di autunno, tramonto e fuoco morente. È una riflessione sulla fugacità della vita e offre una visione commovente di come la consapevolezza della mortalità può intensificare l'amore e l'apprezzamento degli altri nei confronti dell'individuo. I sonetti di Shakespeare non sono solo testimonianze d'amore, ma anche di sofferenza, gelosia e persino di rimorso, come mostrato nel Sonetto 29. Qui, il poeta esprime la sua depressione e la sua invidia verso la fortuna altrui, ma poi trova sollievo e redenzione nel pensiero dell'amore del suo amato. Maestria linguistica La forma del sonetto, con la sua struttura rigorosa di 14 versi divisi in tre quartine e un distico finale, offre a Shakespeare un frame entro cui svolgere la sua maestria linguistica. La rima e il metro (generalmente l'iambic pentameter) creano un ritmo che sottolinea l'arguzia e la profondità dei pensieri del poeta. In conclusione, i sonetti di Shakespeare rimangono un pilastro della poesia inglese non solo per la maestria della loro forma, ma anche per la loro universale risonanza emotiva. Da letture scolastiche a letture private, da matrimoni a commemorazioni, questi sonetti continuano ad affascinare, ispirare e commuovere lettori di ogni epoca. Foto di WikiImages da Pixabay Read the full article
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Il ritorno alla magia nel pensiero di Plotino Porfirio e Proclo
Con l’affermarsi del neo platonismo nel mondo antico greco la magia e l’irrazionalità riacquistarono importanza grazie anche all’influenza di Plotino che interpretò in modo allegorico la grande poesia omerica seguendo la tradizione pitagorica. I grandi poeti del passato vennero reinterpretati da Plotino secondo un simbolismo esoterico che esprimeva la convinzione che la natura amava nascondersi. Secondo Plotino la filosofia poteva svolgere un ruolo simile a quello assegnato un tempo solo alle iniziazioni misteriche, restituendo all’anima la perfezione perduta. Secondo Plotino l’ultimo stadio del percorso conoscitivo poteva essere compiuto solo raggiungendo la fusione con l’Uno. Anche se tale unione mistica non può essere definita propriamente magia per altri neoplatonici come Porfirio e Proclo essa poteva essere raggiunta solo attraverso la teurgia. A questo punto riteniamo opportuno esporre il pensiero di Porfirio e Proclo. Porfirio filosofo greco del III secolo a.C. ha elaborato una teoria sulla magia che si basa sulla distinzione tra due tipi di magia. In primo luogo la magia naturale che consiste nell’utilizzo della conoscenza delle leggi naturali per ottenere determinati risultati. In secondo luogo la magia divinatoria che consiste nell’utilizzo di pratiche divinatorie per prevedere il futuro o ottenere informazioni sulle persone o sugli eventi. In generale Porfirio considerava la magia un’attività che andava contro la natura poiché cercava di manipolare gli elementi naturali per ottenere determinati risultati. Egli sosteneva che le pratiche magiche avessero un effetto negativo sulla mente umana in quanto tendevano a farci credere che potessimo controllare le forze della natura e il destino quando in realtà esse erano aldilà del nostro controllo. Nell’ambiente sincretistico in cui si sviluppò il neoplatonismo fare riferimento a tradizioni antiche significava farsi legittimare da molteplici fonti spesso molto diverse tra loro. Porfirio si inscrisse in tradizioni molto antiche dai caldei ai romani dagli ermetici ai mitriasti prendendo anche in considerazione gli antichi teologi del mondo greco. Porfirio giunse alla conclusione che l’anima doveva essere in grado di riconoscere le diverse strade sempre rigorosamente iniziatiche che portavano al mistero presente in ogni cosa creata. La via privilegiata per comprendere il mistero presente in ogni cosa era appunto la teurgia: la filosofia il logos la religione e la magia si univano per Porfirio in un unico quadro di significato. Secondo Porfirio alla luce di tale unico quadro di significato la realtà fenomenica e la verità sopra sensibile diventano una cosa sola. Secondo la metafora e l’antro di Porfirio l’anima umana è come una caverna oscura e misteriosa piena di immagini e di voci che risuonano al suo interno. Questa caverna rappresenta il mondo interiore dell’individuo dove risiedono tutte le sue emozioni i suoi desideri e le sue paure. La magia consiste nel manipolare queste immagini e queste voci al fine di influenzare il mondo esterno. Per esempio un mago potrebbe cercare di evocare un immagine di prosperità e di benessere nella propria mente con la speranza di attirare la ricchezza e il successo nella vita reale. Secondo Porfirio è fondamentale perciò un’adeguata preparazione psicologica per poter manipolare efficacemente la caverna dell’anima. Egli consiglia di praticare la meditazione la purificazione dell’anima e la concentrazione mentale al fine di raggiungere uno stato di coscienza elevato e di aprire la porta alla magia. Porfirio non solo attribuisce grande importanza alla teurgia ma anche alle tradizioni religiose provenienti da varie regioni con particolare riguardo alla Persia. Presso i Persiani come ricorda lo stesso filosofo l’antro era il luogo di culto lo spazio sacro in cui si celebravano i riti magici di purificazione quindi lo spazio sacro per eccellenza. Anche Proclo sviluppò una dottrina basata su un concetto di vita inteso come intelligenza che guidava tutto l’universo ed eliminava ogni separazione tra la dimensione fenomenica e quella più profonda. Per quanto riguarda Proclo dobbiamo dire che egli ha sviluppato una teoria della magia basata sulla nozione di simpatia. Secondo questa teoria tutti gli elementi dell’universo sono interconnessi in modo simile alle parti di un organismo vivo e quindi possono influenzarsi reciprocamente. Per Proclo quindi la magia è l’arte di manipolare queste connessioni per ottenere un certo risultato. Per il filosofo greco il mondo è composto da tre livelli: il mondo divino il mondo animale e il mondo materiale. L’uomo è un essere che appartiene a tutti e tre i livelli in quanto un corpo materiale un anima e uno spirito divino. La magia è l’arte di manipolare queste tre componenti dell’essere umano per ottenere un certo effetto. Inoltre il filosofo sosteneva che le arti magiche non sono un arte tecnica ma anche una forma di culto religioso. Proclo vedeva fantasmi luminosi e praticava riti magici di purificazione provenienti dai caldei. Inoltre per il filosofo greco la magia è uno strumento per comunicare con gli dei e per ottenere la loro assistenza nelle questioni terrene. Possiamo dire che in un certo senso Proclo si rifà alla concezione della magia che avevano i maghi egiziani. I maghi egizi sostenevano che l’energia magica era la forza che permea l’universo e che può essere manipolata dalla volontà del mago. Questa energia magica è presente in tutti gli esseri e oggetti ma può essere accumulata in modo particolare in alcune piante in alcuni minerali e in alcuni oggetti sacri. Detto ciò riteniamo concluso il nostro discorso su Plotino Porfirio e Proclo importanti esponenti dell’antica Grecia. Prof. Giovanni Pellegrino Read the full article
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Calcaterra a/i 20: ascolta il silenzio del superfluo, scopri il bello nell’essenziale
C’è la poesia della purezza leggera eppur concreta nella moda di Daniele Calcaterra. Il suo è un linguaggio di stile sartoriale squisitamente personale e allo stesso tempo generoso: il suo è il gesto di un couturier italiano che opera con la morbidezza rigorosa della rinuncia agli orpelli per far brillare il bello riposto nell’essenziale delle forme e delle idee. Ogni collezione regala una visione piacevolissima, una conferma confortante e allo stesso tempo coraggiosa: sin dagli esordi professionali, accaduti vari anni or sono di esperienza preziosa, la sua devozione alla moda è infatti sempre una dichiarazione d’intenti virtuosa che ha che fare con la sostanza del mestiere, anziché con la volatilità vanitosa dell’apparenza.
Con la sua moda, Daniele Calcaterra dichiara la fiducia nell’eccellenza tipicamente italiana di ogni azione che compone la creazione, dalla qualità altissima dei materiali che guidano la concezione dei capi a quella altrettanto perfetta della sapienza che ne rende possibile la realizzazione. Dall’amore per la cultura che suggerisce l’ispirazione, alla convinzione entusiasta riposta nel valore della bellezza che non sfida il tempo: ma lo accompagna nel suo scorrere senza sfiorire mai, perché frutto di quell’autenticità che la rende davvero timeless, ma sempre perfettamente calata nella contemporaneità. E quest’alchimia accade nuovamente e felicemente con la collezione a/i 2020-21. Il titolo che la battezza è già a suo modo preludio di ricercatezza: “What inspires you?”
Prima di fornire la risposta attraverso il carosello di capi e accessori affascinanti, Daniele Calcaterra ci fornisce l’indizio su cui si è inerpicata la sua ispirazione per compiere il percorso di creazione: spiazzante e salvifico, come il messaggio stesso della collezione. Il riferimento ha infatti la stessa sofisticatezza di sostanza della sua moda: l’opera 4’33’’con cui il genio sperimentale di John Cage rivoluzionò il concetto di musica facendo suonare il suo opposto, il silenzio. Era il 1948 quando Cage parlò solo di un ipotesi, un’ispirazione “di comporre un brano di ininterrotto silenzio. Sarà lungo tre minuti o quattro minuti e mezzo, dato che queste sono le durate standard della musica preregistrata, e s’intitolerà Silent Prayer. Inizierà con una singola idea che cercherò di rendere tanto seducente quanto il colore e la forma o la fragranza di un fiore”.
Era il 1952 quando l’opera fu performata per la prima volta da David Tudor a New York davanti ad un pubblico che da un musicista e il suo pianoforte si aspettava di ascoltare una sinfonia di note, e invece si trovò immerso in un silenzio in tre atti. Ed è proprio John Cage ad illustrare il grande inganno del silenzio musicale e la rivelazione della verità in “Silenzio”, il suo libro cult del 1961: “la musica è in primo luogo nel mondo che ci circonda, in una macchina per scrivere, o nel battito del cuore, e soprattutto nei silenzi. Dovunque ci troviamo, quello che sentiamo è sempre rumore. Quando lo vogliamo ignorare ci disturba, quando lo ascoltiamo ci rendiamo conto che ci affascina”. Or dunque, è ascoltando il silenzio che si scopre la presenza, la bellezza peculiare, dell’essenziale. Ecco, Daniele Calcaterra con la collezione a/i 2020-21 fa sua l’intenzione che a suo tempo solleticò l’intuizione di John Cage: ha iniziato con una singola idea, ovvero la rinuncia alla seduzione degli orpelli inutili in favore della semplificazione, e l’ha resa seducente
“Basico irrazionale”, così Daniele Calcaterra definisce la sua opera, come fosse un percorso di meditazione concreta: l’esercizio sartoriale va dritto a plasmare i volumi e le forme, a scolpire le spalle volitive dei capispalla come nei ‘90s, ad amplificare l’ampiezza dei cappotti che si allargano come mantelle o ad asciugarla come fossero vestaglie, ad equilibrare l’oversize casual con l’appiombo elegante, ad appaiare con i jeans ampi e sdruciti ad arte il cappotto cammello con i baveri affilati o la giacca che sfoggia uno dei rari decori consentiti assieme alle piume, cioè le frange, a disegnare la fluidità dei completi dove la lavorazione delle bordature cieche rendono gonne e pantaloni leggerissimi come coperte, tanto agili da poter essere infilati negli stivali.
Basico irrazionale perché il minimalismo, quando non è esasperato, ma esercitato con consapevolezza, dimostra che ci si può avvolgere in un ampio cappotto dai bellissimi intarsi geometrici anni ’20, e nel frattempo ci si può infilare nel rigore affascinante di un abito nero che pare appoggiato per caso sul corpo, invece è un piccolo capolavoro di dote di sintesi sartoriale come la palette. Naturalissima, e per questo conferma di ricercatezza purificata.
Or dunque, niente ostentazione di ascetismi frutto di complessi percorsi concettuali, bensì una risposta moderna alla necessità di lasciar andare il superfluo per ritrovare il godimento di vestirsi della sofisticatezza che proviene dalla sostanza sartoriale maneggiata con cura e passione, con la competenza affinata delle tecniche sartoriali allacciata alla sperimentazione curiosa di materiali pregiati e al rispetto profondo della bellezza femminile. Bravò Daniele Calcaterra!
Silvia Scorcella
{ pubblicato su Webelieveinstyle }
#Daniele Calcaterra#modasostenibile#modaresponsabile#modaindipendente#nuovitalenti#sostenibilità#nuovoMadeinItaly#fashion writing#webelieveinstyle#modaearte#storiedaindossare
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DARA BIRNBAUM: REVOLUTIONARY ACTS
Definire Dara Birnbaum, una fotografa è certamente riduttivo, definirla una filmaker, anche; mi piacerebbe definirla una conservatrice di immagini, ma anche questa definizione non sarebbe esatta. Forse è una “turbatrice di immagini”. Ammetto che non si tratti di una bella definizione, ma credo si avvicini al modus operandi dell’artista statunitense, della quale l’Osservatorio Prada di Milano in Galleria a Milano offre, fino alla fine di settembre, una significativa mostra intitolata “Atti rivoluzionari”, curata da Brabara London con Valentino Catricalà ed Eva Fabbris, aperta fino al prossimo 25 settembre. Nella fascinosissima sede dell’Osservatorio sono in visione una serie di video monocanale, audio, installazioni multicanale, fotografie e qualche stampa in 3D che danno bene l’idea della complessità concettuale che ha guidato l’artista dagli anni Settanta ad oggi. Se volessimo trovare, ed è molto difficile farlo, un filo conduttore dell’opera della Birnbaum, questo potrebbe essere ritrovato nel distacco del corpo dalla sua rappresentazione. Ciò avviene soprattutto attraverso la proposta di consuete e qualche volta ossessive, immagini televisive. È per esempio il caso di “Six Movements: Chaired Anxieties: Abandoned” del 1975, ispirato ad un video di Vito Acconci. Si tratta di meditazioni visive spesso di difficile interpretazione e di una voluta ambiguità, ma si tratta di immagini fondamentali per meditare sulla capacità/incapacità del mezzo televisivo verso la “comunicazione”. Provocatorio e sanamente sconcertante, in un mondo, quello degli anni Ottanta, dove tutto vorrebbe essere il contrario, è “Pop-Pop Video: General Hospital/Olympic Women Speed Skating” del 1980, lavoro partorito durante una residenza artistica su influenza di una pellicola di Jean-Luc-Godard per la televisione. Immagini di pattinatrici olimpioniche che si avvicendano sulla pista tornando sempre alla linea di partenza, alternate a quelle di una soap-opera dove medico e paziente tentano di ricomporre un conflitto. Qui è la meditazione su quella che l’artista chiama il “trattamento televisivo”, ad essere scomposto ed analizzato. Guardando queste immagini la riflessione corre a ciò che siamo noi, meglio a ciò che siamo diventati dopo anni di “trattamenti televisivi”. La lente di ingrandimento “femminista” è più che evidente nei lavori della Birnbaum. Esemplare in questo caso è “Damnation of Faust Trilogy” un’opera video sviluppata tra il 1983 e il 1987, una versione dell’opera ambientata a Soho (Nyc) tra famiglie di italiani e portoghesi, dove la conflittualità per l’affermazione della propria identità (anche sessuale), risulta particolarmente accesa. Del 1981 è il possente “New Music Short” video analogico impregnato delle atmosfere della scena post-punk newyorkese composto con riprese del concerto dei Radio Fire Fight al Mudd Club e con le immagini del compositore Glenn Branca che esegue lo sua inascoltabile “Symphony No. 1” al Performing Garage di Soho, piccolo teatro alternativo newyorkese di quegli anni. Tra le immagini della mostra anche un (doveroso) tributo alle “anime” con “Quiet Disaster” dove la Birnbaum mostra tre personaggi in pericolo, stampati su dischi di plexiglas che enfatizzano l’estrapolazione dei ritratti dai loro contesti originali, mettendo in mostra come l’operazione ne accentui isolamento e drammaticità iconica come accade alle immagini proposte dai media. Ma il pezzo forte della mostra è certamente “Trasmission Tower: Sentinel” del 1992, un’installazione video a 8 canali, imponente opera video-scultorea presentata a Documenta 9 dove otto monitor sospesi fanno scorrere a cascata le immagini di un reading del 1988 del poeta Allen Ginsberg mentre legge una versione rivisitata della poesia “Hum Bom!” (1971); nei video scorre anche, come un’insinuante minaccia, una piccola immagine di George Bush mentre tiene il suo discorso di accettazione alla Convention Repubblicana del 1988. Molte, ma non troppe, le opera esposte all’Osservatorio di questa artista troppo spesso trascurata.
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Perché Leopardi amava la vita (dimostrandolo senza parlare di gelati)
L'infinito potrebbe esistere anche solo nell'immaginazione. Questa non è vera né falsa: è finzione, nel senso di creazione mentale.
L'infinito, l'unico altro che sancirebbe l'esistenza e il senso del finito, essendo altro dal finito e nello stesso tempo (o meglio, nella sua atemporalità) comprendendolo (non de-limitandolo, ma facendone punto-sorgente dell'infinito); essendo il substrato e la luce del finito.
La nuda ragione dice che l'infinito non esiste; ma il sentire porta vicino alla sua intuizione, l'immaginazione potrebbe addirittura crearlo. E Leopardi nel '23 scriveva che le più profonde verità metafisiche non si colgono se non con il contributo del sentire e dell'immaginazione alla facoltà della ragione, la quale, da sola, anatomizza il mondo rendendolo un cadavere da cui non si potrebbe risalire al principio della vita. Quella vita che è perenne moto e si esprime nell'uomo con la speranza, ovvero immaginare l'invisibile e anche l'impossibile, e che lo spinge al fare nonostante la frustrazione di non giungere mai attraverso di esso alla soddisfazione del suo bisogno di piacere infinito.
Ma cosa accade quando l'uomo si libera dall'impulso del fare e si lascia invadere dalla noia? Quando dalla vita attiva passa alla vita contemplativa? La sua immaginazione, libera dal fabbricarsi illusori e parziali oggetti di soddisfazione (mai raggiunta), raggiunge un livello creativo superiore. Nella passione della noia, dapprima si attraversa una sensazione di morte, di "morte in vita", una morte cosciente. E finalmente liberi dal sé (della limitatezza dell'egoismo, dell'amor proprio) si accede ad uno stato che apre alla percezione e finanche alla creazione: dell'opera d'arte poetica (la poesia, quasi del tutto slegata dal "fare" materiale e quindi, come arte, la più alta) e del concetto metafisico.
Superando il sé mediante ciò che potrebbe assimilarsi alla meditazione, superando lo stato di sofferenza e frustrazione ingenerato dal desiderio, attraversando il limite della morte, si giunge a sentire (o creare) l'infinito: la verità della vita, il contraltare del nulla (che è la verità della morte).
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La stanza è spazio entro il quale la mia vita è un confine, oltre il quale intravedo il buio da un punto statico del mio letto, come trovandomi sull'orlo di un precipizio, oltre il quale è solo mistero o certezza di fine, come trovandomi l'esiguo corpo al pari della foglia autunnale pronta a staccarsi dal ramo. Tutto sembra fermo di notte nel silenzio, quasi irreale, come un non sapere, un evitare il dolore, lasciando alla vita il giusto traghetto per la morte verso lo sconosciuto destino. Non è duro andarsene, visto l'inutilità della vita al cospetto del male imponente del vivere, a cui nolenti siamo trascinati in una autentica guerra psichica di sopravvivenza. Vivere per me è stato il bisogno di un'oasi, di un riparo, di un voler men soffrire tra gli strazi quotidiani dove la verità ci è tolta e quantomeno raccontata con abili bugie. Per me vivere ha una valenza introspettiva dove,attraverso la meditazione, evito gli spigoli del vivere e della mente. Non ho alcuna ricerca se non interiore . Non mi serve viaggiare per il mondo, conoscere, innamorarmi, quando alla fine è un cercare che non ha senso. Tutto si riconduce ad un dolore, ad un legame più forte che aumenta il dolore. Ogni felicità nasconde nel tempo il doppio dell'infelicità. Io sono colui che non sceglie, che non cade nel tranello dell'innamoramento involontario delle affinità. Vorrei incontrare colei che ho sempre amato tra tutti gli amori della mia vita e dissolvere assieme a lei quel legame che ho sempre sentito. Deve esserci un modo per liberarci da queste catene con cui nel vivere ci imprigionamo in dipendenze. Di molte me ne sono liberato e mi accorgo che le ultime sembrano troppo salde per venirne fuori. Odio ogni vincolo. Per questo anche amando follemente mi preoccupavo di lasciare porte aperte ai dubbi come se fossero uscite di sicurezza, maniglie anti panico. Dovremmo avere tutti almeno passaggi sotterranei per uscire da dove per istinto e desiserio involontariamente, in nome di un amore, ci vediamo coinvolti. Deve essere un fatto caratteriale. Io non voglio legami e non ne ho mai sentita l'importanza. Forse sono proprio i poeti ad abdicare la vita, quelli che la sentono più profondamente e ne acquisiscono consapevolezza. Non importa se non vengono compresi. Provo una gran simpatia verso tutti coloro che non hanno cercato fama di gran poeti, ma gli è bastato vivere con poesia. Provo un gran rispetto per chi la poesia l'ha resa semplice e non con parole complicate, con inutili estetismi in cui specchiarsi. Ed anche se chi mi conosce mi dice poeta, mi sento di più colui che saggio riflette la vita.
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Il surrealismo malinconico di mister G | Luigi Territo S.I.
Il 17 aprile 2020 Gilbert Garcin ha salutato il mondo per continuare il suo viaggio oltre il velo del tempo. Quel velo tante volte immaginato e raccontato nelle sue opere fotografiche. Monsieur Garcin scopre la fotografia all’età di 65 anni; dopo aver diretto per anni un’azienda di lampadari, inizia a frequentare corsi di fotografia nella cittadina di Arles. La potenzialità espressiva del collage e del fotomontaggio fotografico lo conquistano fino a portarlo alla notorietà internazionale. Le sue foto posseggono la malinconia surrealista di Magritte, l’umorismo sovversivo di Andrè Breton, la poesia di Dalì.
Nelle sue opere si materializzano i luoghi dell’inconscio, una pacata meditazione sulla solitudine, sulla ricerca del senso della vita, sull’incomunicabilità, sul dialogo come arte dell’attesa e dell’incontro. Un surrealista sobrio ed elegante, un uomo in bianco e nero, come le sue fotografie. Nelle sue opere si coglie il desiderio profondo dell’oltre, uno spazio irraggiungibile e prossimo, un tempo sospeso tra narrazione fantastica e poesia.
Come un novello Diogene, Garcin va cercando l’«uomo». Un’umanità persa nei grovigli della storia. Con la sua lampada tra le mani cerca una via d’uscita, il sentiero che possa accorciare le distanze, un ordine che possa dare senso alla confusione che ci abita. A differenza di Diogene non cerca un uomo che sappia vivere secondo natura, ma una via per comprendere quella natura, per spiegare se stesso, per raccontare quel desiderio di infinito che spinge l’uomo oltre i suoi limiti, oltre gli spazi chiusi del controllo e della razionalità.
Garcin percorre mondi surreali, costruiti sul sottile crinale che separa finzione e realtà. Nelle sue fotografie ritroviamo le tracce di una ricerca incompiuta. I suoi viaggi attraverso l’inconscio non segnano la meta, ma una direzione, un orizzonte «altro» e prossimo. Ancora buon viaggio Monsieur Garcin!
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La connessione è quello che ho cercato tutta la vita e che gli animali mi hanno dato a piene mani e anche gli alberi nel loro modo più discreto e silenzioso e anche più pudico. E con gli esseri umani ho fatto tanta fatica a trovarla, ed è arrivata attraverso il silenzio, attraverso la meditazione silenziosa; il poter stare giorni, settimane, anche mesi insieme ad altri essere umani senza parlarsi. Si diventa così sottili nell’ascolto che hai sete e qualcuno ti allunga il bicchiere, esattamente in quel momento. Ho letto tempo fa che questa è la cerimonia del tè, offrire il tè al maestro nel momento esatto in cui ha sete. - Chandra Livia Candiani, La Precisione della Poesia Ringrazio i miei dolci compagni di viaggio Sexy Movers concept: Aurelio Di Virgilio interpreti: Lucrezia Palandri, Sharon Estacio Spettacolo in prima assoluta venerdì 28 febbraio, 2020 ore 21 CANGO La Democrazia del Corpo ph. 1-3, 6 📸 A. Di Virgilio #cango #firenze #novissimi #siae #mibact #danzacontemporanea (at Florence, Italy) https://www.instagram.com/p/B9AdhcxnP8P/?igshid=sabjdwxqqoly
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"Non aggrapparti": La riflessione profonda di Bruno Mattu. Recensione di Alessandria today
Un invito poetico alla consapevolezza e alla liberazione dalle illusioni
Un invito poetico alla consapevolezza e alla liberazione dalle illusioni La poesia “Non aggrapparti”, composta il 5 dicembre 2024 da Bruno Mattu, è un’intensa meditazione sul senso della vita, il rapporto con il tempo e l’importanza di riconoscere ciò che realmente conta. Con uno stile evocativo e riflessivo, l’autore ci guida attraverso i suoi pensieri, mettendo in discussione le illusioni…
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La carezza del vento – The Caresses of the wind
LA POESIA DELLA SETTIMANA
LA CAREZZA DEL VENTO
di Daniela Poetyca
Dany è nata a Roma, ma risiede a Reggio Calabria dal 1968. Scrive componimenti poetici dall’età di 12 anni. E’ portata al dialogo e all’ascolto di se stessa e degli altri, ama la natura e «sentire» le proprie emozioni. Ama la lettura e la riflessione.
Scrivere è condividere con gli altri il suo animo. Considera che ognuno di noi ha la Luce interiore, ma va cercata. E’ sempre alla ricerca di un evoluzione interiore che porta alla propria autocoscienza.
Ha molto entusiasmo in tutte le cose che intraprende e crede in quello che ama.
Attraverso internet ha una vasta rete di contatti che le consentono di ascoltare la vita degli altri spesso fonte d’ispirazione per le poesie.
Il mondo poetico oggi ha perduto la sua singolarità, è rimasta soltanto la tematica che è di un’enorme vastità e non impone una severa meditazione; soprattutto per evitare il rischio di dilungarsi e di evadere dall’argomento. Quando parla di affetti umani, subito il pensiero corre alla famiglia, al vincolo naturale che lega il marito alla moglie, i figli ai genitori e viceversa, i fratelli ai fratelli. Credo che intorno a ciò non ci siano dispareri e che tutti quanti considerino l’affetto familiare come fondamentale per la società umana. C’è poi l’affetto dell’uomo per l’uomo. Il Cristianesimo dice: «Amerai il prossimo tuo come te stesso».
Appunto perché gli affetti esistono in noi, vivi, eterni e indistruttibili, possiamo affermare che l’origine altissima dell’uomo è l’essere fatto ad immagine e somiglianza di Dio. Non fa quindi meraviglia che tali sentimenti abbiano trovato nei poeti la loro più genuina ed efficace espressione. Una delle nostre prime letture scolastiche fu quella dell’Iliade e noi tutti ricordiamo i personaggi di Ettore, Andromaca ed Astianatte che Omero ha eternato nel famoso incontro descritto nel libro VI. Si tratta di parole scritte 2900 anni fa e che sembrano di oggi, perché anche oggi conservano la loro efficacia, e i padri, le madri e i figli d’oggi nutrono gli stessi sentimenti delle famiglie dell’antica Grecia e di Roma. La stessa osservazione si può fare, ricordando l’incontro di Ulisse col figlio Telemaco, dello stesso eroe con la moglie Penelope e col padre Laerte e, giungiamo, con la madre Anticlea la quale, ormai negli Inferi, risveglia in lui la più profonda tenerezza.
Il sentimento per il volo di «chi è nato per il cielo» ha trovato in questa lirica la sua più alta espressione, tanto da riportare alla memoria Virgilio di cui si possono ricordare le «alate parole con le quali celebrò la grandezza e la missione di Roma: Tu, o Romano, ricordati di reggere col tuo comando i popoli, di dare a tutti l’ordine e le leggi, di risparmiare quelli che obbediscono e di debellare i superbi».
Credo che bastino questi pochi esempi per capire, leggendo tra le righe e scavare nell’anima di Dany Poetyca ci ha portato, indubbiamente, a considerare e riflettere sulla sua interpretazione del sentimento umano, con ardore ed efficacia.
Spesso il maggior nemico da superare, non è la natura del suolo o l’avversità delle condizioni climatiche, ma l’ignoranza cui («non fugge mai il silenzio»). Anche se l’affermazione potrà sembrare strana il numero degli analfabeti è ancora molto elevato in vastissimi paesi, comunemente denominati «in via di sviluppo». A questi popoli dovrebbe giungere il monito della nostra autrice: «ogni attimo è un seme».
Ecco le efficacissime armi per la lotta contro la fame, la rivalutazione della dignità del lavoro; in modo che aggrappandosi all’immagine del Gabbiano in volo anch’essi lo potranno fare, sorvolando le vaste zone dei paesi africani ed asiatici, dove gran parte della popolazione maschile ritiene che il lavoro abbassi la dignità dell’uomo e «aspetta che il vento gli accarezzi le piume» intanto lascia alle donne il compito di lavorare.
LA CAREZZA DEL VENTO
di Dany Paetyca
Non abbandona mai il volo
chi è nato per il cielo:
Apre le ali
e cerca le sue rotte.
Non scioglie il coraggio
chi ha visto “oltre”:
stringe i denti e lotta.
Non stringe mai il pugno
in segno di rabbia
chi ha il cuore sereno.
Non fugge mai il silenzio
chi è in ricerca:
ogni attimo è un seme.
Non abbandona le lacrime
chi ha il cuore sensibile
e lava al mondo tutte le pene.
Ama e tace chi sogna
aspetta che il vento
gli accarezzi le piume.
Vola ancora gabbiano
perché sei sempre
figlio del cielo.
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Un forte abbraccio circolare e l’augurio che il sole sia sempre più caldo e sincero come il tuo cuore desidera, Reno Bromuro
9 Aprile 2005
Il Baricentro Mensile di critica artistica e letteraria
THE POETRY OF THE WEEK
THE CARESS OF THE WIND
Daniela Poetyca
Dany was born in Rome, but residing in Reggio Calabria in 1968. He wrote poems from the age of 12 years. And ‘capacity to dialogue and listening to herself and others, love nature and “feel” their emotions. She loves reading and reflection.
To write is to share with others her feelings. Consider that each of us has an inner light, but must be sought. It ‘s always in search of an inner evolution that leads to self-consciousness.
He has a lot of enthusiasm in everything he undertakes and believes in what he loves.
Through the Internet has a vast network of contacts that you can listen to the lives of others is often a source of inspiration for the poems.
The poetic world today has lost its uniqueness, has remained the only issue that is of enormous size and does not impose a strict meditation, mainly to avoid the risk of escape and dwell on the topic. When he talks about human emotions, thoughts turn immediately to the family, the natural bond that binds the husband to his wife, children against parents and vice versa, brothers to brothers. I think about what we are dispareri and consider all of the affected family as fundamental to human society. Then there is the love of man for man. Christianity says: “You shall love your neighbor as yourself.”
Just because there are affections in us, the living, eternal and indestructible, we can say that the origin of man is the highest to be made in the image and likeness of God is not surprising that these sentiments in the poets have found their most genuine and effective expression. One of our first school was reading the Iliad and we all remember the characters of Hector, Andromache and Astyanax, which Homer immortalized in the famous encounter described in Book VI. These are words written 2900 years ago and seem today, because even today retain their effectiveness, and the fathers, mothers and children today eat the same feelings of families of ancient Greece and Rome. The same observation can be done, remembering the encounter of Odysseus with his son Telemachus, the hero himself with his wife Penelope and his father Laertes, and we arrive, with his mother Anticlea which, now in the Underworld, he awakens the deepest tenderness .
The feeling for the flight of “who is born for heaven,” he found in this opera to its highest expression, so as to bring the memory of Virgil which you may remember the “winged words with which he celebrated the greatness and mission Rome: Thou, O Roman, remember to hold your command with the people, to give all the order and laws, save those who obey and to eradicate the proud. “
I think these few examples suffice to understand, reading between the lines and dig into the soul of Dany Poetyca has brought us, no doubt, to consider and reflect on its interpretation of human feeling, with enthusiasm and effectiveness.
Often the greatest enemy to overcome, not the nature of the soil or climatic conditions of adversity, but the ignorance of which (“never flees the silence”). Although the statement may seem odd number of illiterate people is still very high in the vast country, commonly referred to as “developing.” These people should get the warning of our author, “every moment is a seed.”
These are very effective weapons in the fight against hunger, the appreciation of the dignity of labor, so that by clinging to the image of Seagull in flight also they will do it, flying over the vast areas of countries in Africa and Asia, where most of the male population believes that the work lowers the dignity of man and “wait for the wind caress the feathers” while leaving the task of working women.
THE CARESS OF THE WIND
Dany Paetyca
It never leaves the flight
who is born for heaven:
Spreads its wings
and seeks its routes.
Do not melt the courage
who has seen “over”:
grits his teeth and fight.
Do not tighten the fist
as a sign of anger
who has the serene heart.
Never flees the silence
those in search:
every moment is a seed.
Do not leave the tears
who has a sensitive heart
and washes all the troubles in the world.
He loves and is silent dreamer
expect that the wind
stroked his feathers.
Seagull still Fly
why are you always
son of heaven.
*************************
A strong move and embrace the hope that the sun is warm and sincere as ever your heart desires, Reno Bromuro
April 9, 2005
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Poesie haiku sulla natura: doni dal Giappone
Le poesie haiku sulla natura rappresentano una delle forme più di componimento più rappresentativo della cultura orientale. Nate in Giappone, sono uno strumento di contemplazione e meditazione. In pochi righi sono capaci di trasmettere suggestioni che inducono all'introspezione. Cos'è un haiku? Un haiku è una forma di poesia giapponese composta da tre versi, con una struttura sillabica fissa di 5-7-5, per un totale di 17 sillabe. Tradizionalmente, l'haiku è un'immagine poetica che cattura un momento fugace della natura, spesso con una forte connessione alla stagione in cui è stato scritto. L'haiku è spesso concentrato sulla natura o su una breve esperienza, ed è progettato per evocare un'immagine mentale o un'emozione in modo semplice ed essenziale. Un haiku classico di solito include un riferimento alla stagione o al tempo dell'anno, chiamato kigo, e un "taglio" o kireji, che separa il poema in due parti, creando una tensione o un contrasto tra di esse. Il linguaggio utilizzato nell'haiku è spesso metaforico o suggestivo, piuttosto che esplicito, e lascia spazio all'interpretazione personale del lettore. Poesie haiku sulla natura: che scopo hanno? Lo scopo principale delle poesie haiku sulla natura è quello di evocare una reazione emotiva o una connessione con la natura attraverso la sua immagine mentale, utilizzando poche parole e un linguaggio semplice ed essenziale. L'haiku tradizionale giapponese si concentra sulla bellezza della natura, sul passaggio delle stagioni e sui momenti fugaci della vita quotidiana, cercando di catturare la sua essenza con la massima precisione possibile. Oltre a rappresentare un'esperienza o un'immagine naturale, l'haiku può anche riflettere l'umore, il pensiero o l'esperienza personale del poeta, o suggerire un senso di armonia, equilibrio o semplicità nella vita. Nella cultura giapponese, l'haiku è spesso utilizzato come forma di meditazione o contemplazione, e la sua brevità e semplicità sono premurose virtù estetiche. Oggigiorno, l'haiku è ampiamente apprezzato e praticato in tutto il mondo come forma di poesia distinta e raffinata, sia nella sua forma tradizionale che in varianti più sperimentali. Chi ha inventato l'haiku? L'haiku è una forma di poesia giapponese che si è sviluppata nel XVII secolo. E' stata poi perfezionata da un poeta giapponese di nome Matsuo Basho. Basho è considerato uno dei più grandi poeti di haiku di tutti i tempi. Ha scritto molti dei più famosi e iconici haiku della tradizione giapponese. La sua opera più famosa è il "Sentiero del dorso di cavallo" (Oku no Hosomichi), un diario di viaggio poetico che descrive il suo viaggio attraverso il Giappone e che contiene molti haiku. La sua opera ha influenzato profondamente la forma e lo stile dell'haiku. Tuttavia, il formato di poesia che oggi conosciamo come haiku ha avuto origine molto prima di Basho. L'haiku deriva da una forma di poesia chiamata hokku. L'hokku una parte integrante di una forma di intrattenimento chiamata renga, in cui i partecipanti si alternano nella scrittura di una serie di versi collegati. Il primo hokku è stato scritto nel XII secolo da un monaco buddista giapponese di nome Saigyo. E' stato Saigyo ad aver introdotto l'idea di utilizzare una descrizione della natura come primo verso di una sequenza di versi. Chi scrive haiku? L'haiku è una forma di poesia che può essere scritta da chiunque, in qualsiasi lingua. Tuttavia, l'haiku ha origini nella tradizione giapponese e molti poeti che scrivono haiku oggi si ispirano alla tradizione giapponese. Nella tradizione giapponese, l'haiku è stata scritta da un'ampia gamma di autori, da poeti professionisti a dilettanti, da uomini e donne, e da persone di tutte le età. L'haiku è sempre stata una forma di poesia popolare, che è stata scritta e apprezzata dalle persone comuni. Oggi, l'haiku è una forma di poesia molto popolare in tutto il mondo, e molti poeti contemporanei scrivono haiku in diverse lingue. Molti di questi poeti cercano di rispettare la forma e la struttura del haiku giapponese, mentre altri sperimentano con la forma e la adattano alle proprie esigenze espressive. In generale, l'haiku è una forma di poesia che incoraggia la contemplazione della natura e della vita, e molti poeti scrivono haiku per riflettere su momenti fugaci e per catturare l'essenza del mondo che li circonda. In copertina foto di For commercial use, some photos need attention. da Pixabay Read the full article
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L'obiettivo finale della spiritualità non è rimuovere l'esistenza del male oi tratti negativi dell'umanità. Invece, dobbiamo affrontare e trasformare queste forze oscure, perché è solo attraverso la lotta della trasformazione che accendiamo la scintilla della divinità dentro di noi. ~Il Sepher Ha'Zohar ™Arte di - @edcapos COMMENTA SEGUIMI @arcano.insta_1888 #spiritualit #spiritualita #meditazione #consapevolezza #crescitapersonale #spirituality #amore #benessere #saggezza #vita #crescitaspirituale #gratitudine #yoga #anima #meditation #citazioni #frasi #aforismi #pensieri #amore #frasitumblr #frasibelle #love #frasiitaliane #frasedelgiorno #parole #frasiamore #tumblr #poesia #vita https://www.instagram.com/p/CYZV0jYMPYo/?utm_medium=tumblr
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Namasté Anima danzante :) Sabato 2 ottobre 2021 dalle 16.00 alle 19.00 a Roma, a San Lorenzo terrò il laboratorio: “POESIA IN MOVIMENTO” Incontro di YogaDanza e Arteterapie, con l'ausilio della poesia danzata Un piccolo rituale taumaturgico, per offrire uno strumento utile all'auto-espressione, attraverso la poetica personale raccontata e danzata dal sè corporeo. Non mancare! :) Lu' ॐ Ayubowan ❤ ॐ ❤ #beyourself #yoga #yogagram #mandala #asana #yogalover #kundalini #yogacommunity #yogatime #evoluzionepersonale #pleasefollow #firstpost #buddhismo #compassione #frasi #instalike #poesia #tantra #picoftheday #tantrismo #benessere #empatia #energiapositiva #counseling #equilibrio #me #buddha #donna #love #meditazione (presso San Lorenzo (Roma)) https://www.instagram.com/p/CUVGw2lqNxy/?utm_medium=tumblr
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