#poesia senza tempo
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pier-carlo-universe · 1 day ago
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"‘Natale’ di Lucio Zaniboni: una poesia che celebra la fratellanza e il significato universale del Natale". Recensione di Alessandria today
"Un invito alla riflessione e alla condivisione attraverso la magia della poesia."
“Un invito alla riflessione e alla condivisione attraverso la magia della poesia.” La poesia “Natale” di Lucio Zaniboni è un inno alla fratellanza, alla solidarietà e alla riflessione. Con parole semplici ma potenti, l’autore invita chiunque, a prescindere dalla fede o dall’assenza di essa, a riscoprire il vero significato del Natale. La capanna del presepe, l’agrifoglio, e il bambino nella…
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segaligno · 4 months ago
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Le donne sono ossessionate dai viaggetti, poiché in essi scorgono frammenti di sogni dispersi, la promessa di un respiro diverso, un battito d’ali verso l’ignoto. Ogni viaggetto, che agli occhi distratti degli uomini appare come un semplice svago, per loro è un rito segreto, una danza sottile tra il desiderio di evasione e il richiamo di un universo nascosto.
Nell’arte del partire si rifugiano, come sirene ammaliate dal canto del vento, assetate di storie sussurrate dal tempo, e di paesaggi dipinti da mani invisibili. Ogni piccolo viaggio è una tela bianca su cui imprimere ricordi e sensazioni, un attimo di sospensione dove la quotidianità svanisce come nebbia al mattino, lasciando spazio all’inatteso, al mistero, alla seduzione dell’altrove.
E nel fervore di questi viaggi brevi, quasi furtivi, c’è la ricerca di una libertà dolceamara, di un amore sognato, di un’illusione che si fa carne. È nel vagare senza meta che trovano il senso della vita, in quel perdersi che è, in verità, un ritrovarsi. Ogni passo è un respiro nuovo, ogni sguardo un bacio rubato alla realtà.
Non è l’itinerario a chiamarle, né la destinazione a incantarle: è il percorso, quel filo invisibile che le lega all’infinito, alla speranza che ogni viaggetto sia un preludio a qualcosa di eterno. Sanno che, in quei brevi attimi lontani dal mondo conosciuto, si nasconde una promessa segreta, un desiderio sopito che, forse, si avvererà.
E così partono, sempre, con l’anima in tasca e il cuore colmo di attese, pronte a innamorarsi di un tramonto, di una strada sconosciuta, di un attimo che diventa eterno. Perché, in fondo, i viaggetti sono la loro poesia più intima, la loro ribellione più dolce, la loro unica fuga verso un altrove che, forse, esiste solo nei loro sogni.
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marquise-justine-de-sade · 6 months ago
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QUANDO L' ESTATE NON CI FACEVA PAURA
Mi ricordo l'estate di tanti anni fa
faceva caldo
e noi bambini finita la scuola ci ritrovavamo nei cortili al pomeriggio a giocare a qualsiasi cosa, sudati e sporchi ma felici senza che nessuno ci telefonasse o che ci ricordasse che alle sette bisognava tornare per mangiare e che mangiare avremmo dovuto anche se avevamo mangiato il gelato del bar piccolo vicino al semaforo dell'ospedale e le pesche dei vicini campi, di nascosto come se la frutta fosse il tesoro che cercavano i Goonies.
Io mi ricordo che bello quando arrivava la sera e tutti quanti prendevano le sedie e si mettevano all'esterno delle case a parlare di cose tipo il governo che alza le tasse, chi dei conoscenti era partito per il mare, dove fa il figlio di qualcuno il servizio militare, se avevi sentito la nuova canzone e quando arrivavano le zanzare, nessun problema, si accende uno zampirone.
E noi bambini del cortile si giocava al nascondono con l'aiuto del buio reso bello dalle luci intermittenti delle lucciole agl' angoli dei prati mentre i più grandi si trovavano per poi andare verso un qualcosa da raggiungere con i loro motorini.
io mi ricordo l'estate di anni fa
facevano i temporali annunciati dal suono dei tuoni che mi facevano paura ma che il signore che abitava in fondo alla via mi diceva che quando tuonava era il diavolo che portava a spasso la moglie con la carriola e questa cosa mi faceva ridere e non aver più paura.
Ma i temporali era mica una roba da ridere, una volta addirittura uno fece cadere il tetto della tribuna dello stadio dove giocava il Baracca.
Quando pioveva andavo dal vicino a vedere se era vero che le galline facessero le uova , ma non si sembrava.
io mi ricordo l'estate di anni fa
faceva caldo ma la gente era più felice, perchè era finito l'inverno, perchè tutto attorno era gioia e voglia di vivere, perchè il cocomero era dolce e mangiato in compagnia diventava quasi poesia.
faceva caldo
lo diceva anche il signore delle previsioni del tempo, diceva che era tutto nella norma, che un certo anticiclone ci proteggeva dalle correnti atlantiche o so beh me....insomma in poche parole era estate.
io mi ricordo l'estate di anni fa
c'erano tanti problemi
faceva caldo
ogni tanto arrivava un temporale brutto
io l'estate di anni fa me la ricordo perchè
la paura piu grande delle persone era solamente quella di non riuscire a godersela.
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poesiablog60 · 4 months ago
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Portami con te
Nella poesia
Dei giorni senza tempo
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intentosoloavolteggiare · 3 months ago
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Ci vuole tempo, coraggio e fantasia
per capire dove finisce la strada, quando inizia la notte;
per rendersi conto
che pulire significa sporcarsi,
che cadere significa rialzarsi.
Ci vuole musica ad alto volume
per scegliere un angolo buio
dove fiorire
e appassire.
Ci vuole rigore ed esperienza
per indovinare chi sparerà il prossimo colpo,
per stabilire quante bugie equivalgono ad una verità.
Ci vuole poesia per uccidere una mosca;
ci vuole rabbia infinita per riconoscere il dolore,
senza indugio,
senza tema di smentita,
senza pietà.
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occhietti · 10 months ago
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Quanto sono belle le persone che sanno ascoltare e quelle che ti chiedono cosa pensi, le persone cortesi, quelle non costruite e quelle uguali a ciò che raccontano di essere.
Come sono belle le persone che trasmettono un senso di pace, che sono cuore a cuore con la sensibilità e hanno fatto pace con le loro fragilità, le persone che senza tanto clamore, sanno guarire le loro ferite e ricominciare.
Sono belle le persone che sanno trovare il tempo per leggere una poesia, quelle mai volgari, quelle che sanno avvicinarsi con gentilezza, quelle che raccolgono desideri.
Quanto sono belle le persone che per strada alzano lo sguardo per ammirare i dettagli inosservati delle case, le luci accese dietro le finestre chiuse, il cielo, quelle che cercano risposte, quelle che sanno che esiste un tempo per tutto e quelle che non rinunciano mai a metterci il cuore, anche se sanno che se lo ritroveranno sfregiato.
Sono tanto belle queste persone, perché sono quelle capaci di curare l'anima.
- Patrizia Bannò
Illustrazione: The Seeds Of Love by Mackenzie Thorpe
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angelap3 · 6 months ago
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Un po di Poesia
...
Ti amo in in modo inspiegabile.
In modo inconfessabile.
In modo contraddittorio.
Ti amo.
Con i miei stati d’animo che sono tanti.
E mutano di umore continuamente.
Per quello che già sai, il tempo, la vita, la morte.
Ti amo.
Con il mondo che non capisco,
con la gente la gente che non capisce,
con l’ambivalenza della mia anima,
con l’incoerenza delle mie azioni,
con la fatalità del destino,
con la cospirazione del desiderio,
con l’ambiguità dei fatti.
Anche quando ti dico che non ti amo
ti amo,
persino quando ti tradisco, non ti tradisco
nel profondo, porto avanti un piano,
per amarti di più.
Ti amo.
Senza riflettere, incoscientemente,
irresponsabilmente, spontaneamente,
involontariamente, per istinto,
per impulso, irrazionalmente.
In effetti non ho argomenti logici,
nemmeno improvvisati
per fondare questo amore che sento per te,
che sorse misteriosamente dal nulla,
che no ha risolto magicamente nulla,
e che miracolosamente, poco a poco, con poco e niente
ha migliorato il peggio di me.
Ti amo,
ti amo con un corpo che non pensa,
con un cuore che non ragiona,
con una testa che non coordina.
Ti amo,
incomprensibilmente,
senza chiedermi perché ti amo,
senza importarmi perché ti amo,
senza pormi dei dubbi sul perché ti amo.
Ti amo.
Semplicemente perché ti amo,
io stesso non so perché ti amo.
Pablo Neruda
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susieporta · 8 months ago
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La verità è che nessuno si regge più in piedi da solo, sulle proprie gambe. Nessuno regge più il dolore, la perdita, la frustrazione, l’attesa.
Insomma, le cose della vita.
Abbiamo bisogno di normalizzare i processi della vita: nascere, crescere, ammalarsi, ferirsi, invecchiare, morire.
Un tempo si moriva sazi di vita, appagati, senza rimpianto alcuno, in modo del tutto naturale.
Oggi si muore insoddisfatti, delusi e stanchi.
Il lutto non rientra più nelle categorie del vivente.
Abbiamo inventato questa parola: “elaborazione”, dimenticando che i lutti non si elaborano, ma si accolgono, come parti integranti dell’esistenza, tutt’al più si contemplano come espressioni mutevoli del flusso continuo della vita.
“Sii paziente verso tutto ciò
che è irrisolto nel tuo cuore
e cerca di amare le domande,
che sono simili a
stanze chiuse a chiave
e a libri scritti
in una lingua straniera.
Non cercare ora le risposte
che possono esserti date
poiché non saresti capace
di convivere con esse.
E il punto è vivere ogni cosa.
Vivere le domande ora.”
Aveva ragione Rilke.
Abbiamo disimparato il valore del piangere insieme, di condividere il pasto, dono gentile e premuroso gesto della vicina di casa, la sera, quando si raccontava ai bambini dove sta il nonno adesso, e si passava la carezza della mano piccola sul suo viso freddo e immobile, disteso sul letto.
I sogni facevano il resto, perché si aveva tempo per dormire e per sognare. E al mattino, appena svegli, per raccontare.
Così chi non c’era più continuava ad esserci, a contare, a suggerire, a consolare.
I morti stavano insieme ai vivi.
Complicato allora non è il lutto, ma il modo di viverlo, di trattarlo, come se fosse una malattia in cerca di una cura. Ma la vita non è un problema da risolvere.
Ancora Rilke. Piuttosto un mistero da sperimentare. Una quota di ignoto inevitabile che spinge lo sguardo oltre la siepe.
Chi ha ancora desiderio di quell’infinito che solo l’esperienza del limite può disvelare?
Oggi tutti reclamano il diritto alla cura della psiche, forse perché i medici del corpo non riescono a guarire certe ferite dell’anima.
Ma così si sta perdendo il valore della psicoterapia. Così si confonde la patologia con la fisiologia dell’esistente, che contempla nel suo lessico le voci: malattia, solitudine, sofferenza, perdita, vecchiaia, morte.
Qual è l’immagine del nostro tempo, che rappresenta il senso estetico dominante? Una enorme superficie levigata, perfetta, specchiante.
In questo modo, privata delle increspature, delle imperfezioni, del negativo, della mancanza, l’anima ha smarrito il suo luogo naturale, la sua origine, il respiro profondo della caducità, della provvisorietà, della fragilità del bene e del male.
Perché alla fine, tutto ciò che comincia è destinato a finire e l’unica verità che rimane è questo grumo di gioia che adesso vibra ancora nel cuore, qui e ora, in questo preciso istante, nonostante la paura, il disincanto, la sfiducia.
Non c’è salute dunque che non sia connessa alla possibilità di salvezza.
Alle nostre terapie manca quel giusto slancio evolutivo, che spinga lo sguardo oltre le diagnosi, i funzionamenti, i fantasmi che abitano nelle stanze buie della mente.
Un terapeuta non può confondere la luna con il dito che la indica.
Può solo indicare la direzione e sostenere il desiderio di raggiungerla.
Per questo ogni sera mi piace chiudere gli occhi del giorno con una poesia, ogni sera una poesia diversa, per onorare la notte con il canto dei poeti.
Perché la notte sa come mantenere e custodire tutti i segreti.
Perché le poesie assomigliano alle preghiere.
Dicono sempre cose vere.
Stanotte per esempio ho scelto questa:
“Si è levata una luna trasparente
come un avviso senza minaccia
una macchia di nascita in cielo
altra possibilità di dimora. E poi.
Siamo invecchiati.
Il volume di vecchiaia
è pesato sul tavolino delle spalle,
sugli spiccioli di salute.
Cos’è mai la stanchezza?
Le cellule gridano
chiamano l’origine
vogliono accucciarsi
nel luogo prima del nome
nello spazio che sta tra cosa e cosa
e non invade gli oggetti
li accarezza e li accalora.
Non smettere di guardare il cielo
ti assegna la precisa misura
fidati della vecchiaia
è un burattino redentore.
Dopo tanta aritmetica
la serenità dello zero.”
Chandra Candiani
Testo di Giuseppe Ruggiero
foto dal seminario " In Quiete". Introduzione alle costellazioni Familiari con Anna Polin
Gloria Volpato
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smokingago · 18 days ago
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“Bisogna sempre essere ubriachi. Tutto qui: è l’unico problema.
Per non sentire l’orribile fardello del Tempo che vi spezza la schiena e vi piega a terra, dovete ubriacarvi senza tregua.
Ma di che cosa?
Di vino, di poesia o di virtù: come vi pare. Ma ubriacatevi.
E se talvolta, sui gradini di un palazzo, sull’erba verde di un fosso, nella tetra solitudine della vostra stanza, vi risvegliate perché l’ebbrezza è diminuita o scomparsa, chiedete al vento, alle stelle, gli uccelli, l’orologio, a tutto ciò che fugge, a tutto ciò che geme, a tutto ciò che scorre, a tutto ciò che canta, a tutto ciò che parla, chiedete che ora è: e il vento, le onde, le stelle, gli uccelli, l’orologio, vi risponderanno:
– È ora di ubriacarsi! Per non essere schiavi martirizzati dal tempo, ubriacatevi, ubriacatevi sempre!
Di vino, di poesia o di virtù, come vi pare.”
Charles Baudelaire
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francesca-70 · 1 year ago
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Bisogna sempre essere ubriachi. Tutto qui: è l’unico problema.
Per non sentire l’orribile fardello del Tempo che vi spezza la schiena e vi piega a terra, dovete ubriacarvi senza tregua.
Ma di che cosa?
Di vino, di poesia o di virtù: come vi pare.
Ma ubriacatevi.
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Charles Baudelaire
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pier-carlo-universe · 19 days ago
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Un viaggio chiamato amore: la poesia epistolare tra Sibilla Aleramo e Dino Campana. Recensione di Alessandria today
Sguardi celesti e anime intrecciate: l’amore struggente tra Sibilla Aleramo e Dino Campana nei versi dell’epistolario
Sguardi celesti e anime intrecciate: l’amore struggente tra Sibilla Aleramo e Dino Campana nei versi dell’epistolario L’amore tra Sibilla Aleramo e Dino Campana è una delle storie più intense e tormentate della letteratura italiana. I versi che Sibilla dedica a Dino, tratti dall’epistolario “Un viaggio chiamato amore”, raccontano la complessità di un legame fatto di passione, dolore e poesia. È…
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segaligno · 5 months ago
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La donna non deve vergognarsi di cucinare, stirare, pulire. Anzi, deve esserne fiera.
Così risuonano le parole di saggezza tramandate di generazione in generazione, parole che sanno di antichi valori e di profonda dignità. Ogni gesto quotidiano, ogni compito domestico, è un atto d'amore che costruisce e sostiene le fondamenta della nostra esistenza. Cucinare, stirare, pulire: azioni che racchiudono un mondo di cura e di dedizione, di attenzioni silenziose che parlano di rispetto e di affetto.
In una cucina, il profumo del pane appena sfornato si mescola a quello delle erbe aromatiche, creando un'armonia che riscalda l'anima. Ogni piatto preparato è un dono, un modo per nutrire non solo il corpo, ma anche lo spirito di chi ci è accanto. Ogni camicia stirata, ogni pavimento lucidato, è un segno tangibile di una presenza costante, di un amore che non conosce riserve.
Questi gesti, spesso dati per scontati, sono in realtà carichi di una bellezza nascosta, di una poesia silenziosa che si manifesta nei dettagli. La fierezza sta non solo nella perfezione del risultato, ma nella consapevolezza di avere messo il cuore in ogni azione, di avere dato una parte di sé agli altri.
Le mani che svolgono questi compiti portano i segni del tempo e della fatica, ma sono mani forti, capaci di accarezzare, di sostenere, di proteggere. Mani che insegnano il valore del lavoro umile, della dedizione senza clamore. Ogni volta che cuciniamo, che stiriamo, che puliamo, celebriamo un antico rituale che ci lega alle nostre radici, che ci ricorda chi siamo e da dove veniamo.
In quei gesti semplici, in quell'amore silenzioso che scorre tra le dita, c'è il senso profondo della nostra esistenza. E mentre la vita scorre, troviamo conforto e orgoglio nel sapere che attraverso le nostre mani, attraverso la nostra dedizione, continuiamo a costruire e a nutrire il mondo che ci circonda.
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st3f4no1897 · 8 days ago
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"Le Twink" 2024
by Mikael Gravelle
Mikael Gravelle non crea immagini: accarezza le ombre, abita i margini, traduce il non detto. Il suo è un lessico visivo che non chiede permesso, ma invita a entrare nel ventre molle dell’umano, laddove l’erotismo e il trauma, la poesia e la vergogna, si incontrano e danzano.
Ogni linea, ogni forma, ogni colore – anche l’assenza di esso – è un atto di rivelazione. Mikael Gravelle non disegna solo corpi, ma la geografia intima di desideri e ferite, cucendo storie sulle superfici digitali come fossero carta ingiallita dal tempo.
In un mondo che teme la pelle e la sua fragilità, Gravelle osa rendere visibile ciò che normalmente si cela. I suoi soggetti, spesso avvolti in una tensione tra classicità e provocazione, sono eco di un sé molteplice: il voyeur timido, l’amante insoddisfatto, il bambino ferito. Eppure, in questo dialogo continuo con la propria vulnerabilità, Mikael Gravelle non cerca redenzione, ma un respiro. Ogni collage, ogni ombra, ogni frammento erotico non è altro che una finestra aperta sulla possibilità di esistere senza vergogna.
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"L’origami des amants" 2024
by Mikael Gravelle
C’è un filo che lega i corpi nudi dei suoi collage, la poesia che talvolta emerge dai suoi disegni, e il candore disarmante con cui racconta la sua vita. È il filo di un’estetica che non teme di essere carnale, incompleta, imperfetta. Mikael Gravelle non chiede ai suoi spettatori di capire, ma di sentire. Di farsi toccare da un’arte che è tanto personale quanto universale, tanto crudele quanto tenera.
In Mikael Gravelle troviamo un poeta visivo, un artista che, tra il bianco e il nero, tra la pelle e la carta, esplora i confini dell’umano. E, proprio in quei confini, ci invita a trovare noi stessi.
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canesenzafissadimora · 5 months ago
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Quando fai ridere una persona, le doni poesia.
La bagni di luce e la luce sposta l’anima dal buio.
La luce allontana i mostri le paure e gli inganni.
Anche solo per pochi secondi
sufficienti per riprendere fiato.
Per riprendere il volo.
Quando fai ridere una persona
sei complice della sua meraviglia
la inviti a sognare
a credere nei miracoli
a tornare bambina
e non esiste, credimi, invito più grande.
Ridere è come piangere, urlare, fare l’Amore.
Entrare a far parte dell’infinito
e rinascerci dentro.
Ridere è una cosa seria.
Un legame intimo e assoluto.
E’ l’arma più potente che esista per abbattere muri, dolori.
Per disinnescare il tempo e ritrovarsi liberi.
Quando fai ridere una persona
non le hai fatto soltanto il regalo più bello del mondo
ma le stai donando una bussola magica
per non perdersi mai.
Hai lasciato un segno indelebile
nel libro della sua felicità.
E quando sarà la volta della tristezza
quando non saprà dove trovare rifugio
penserà a te, a quella risata
a quell’attimo eterno, leggero
a quell’attimo in cui senza saperlo
sei diventato il suo scudo, la sua cura.
Quando senza volerlo
le hai salvato la vita.
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Andrew Faber
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vividiste · 4 months ago
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"Bisogna sempre essere ubriachi. Tutto qui: è l'unico problema. Per non sentire l'orribile fardello del Tempo che vi spezza la schiena e vi tiene a terra, dovete ubriacarvi senza tregua. Ma di che cosa? Di vino, poesia o di virtù : come vi pare. Ma ubriacatevi. E se talvolta, sui gradini di un palazzo, sull’erba verde di un fosso, nella tetra solitudine della vostra stanza, vi risvegliate perché l’ebbrezza è diminuita o scomparsa, chiedete al vento, alle stelle, agli uccelli, all'orologio, a tutto ciò che fugge, a tutto ciò che geme, a tutto ciò che scorre, a tutto ciò che canta, a tutto ciò che parla, chiedete che ora è; e il vento, le onde, le stelle, gli uccelli, l'orologio, vi risponderanno: "È ora di ubriacarsi! Per non essere gli schiavi martirizzati del Tempo, ubriacatevi, ubriacatevi sempre! Di vino, di poesia o di virtù, come vi pare".
Charles Baudelaire🌻
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Salvator Dalì
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armandoandrea2 · 5 months ago
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E l’amore guardò il tempo e rise.
Un sorriso lieve come un sospiro,
come l’ironia di un batter di ciglio,
come il sussurro di una verità scontata.
Perché sapeva di non averne bisogno.
Perché sapeva l’infinita potenza del cuore
e la sua poesia e la magia di un universo perfetto,
al di là dei limiti del tempo e dello spazio.
E le ragioni dell’uomo, fragile come un pulcino,
smarrito come un uccello,
cannibale come un animale da preda.
Perché conosceva la tenerezza di una madre,
l’incanto di un bacio, il lampo di un incontro.
Poi finse di morire per un giorno,
nella commedia della vita,
nell’eterno gioco della paura,
nascosto, con il pudore della sofferenza,
con la rabbia della carne,
con il desiderio di una carezza.
Ma era là, beffardo, testardo, vivo.
E rifiorì alla sera,
senza leggi da rispettare,
come un Dio che dispone, sicuro di sé,
bello come la scoperta, profumato come la luna.
Ma poi si addormentò in un angolo di cuore
per un tempo che non esisteva
e il tempo cercò di prevalere,
nel grigio di un’assenza senza musica, senza colori.
E sbriciolò le ore nell’attesa,
nel tormento per dimenticare il suo viso, la sua verità.
Ma l’amore negato, offeso,
fuggì senza allontanarsi,
ritornò senza essere partito,
perché la memoria potesse ricordare
e le parole avessero un senso
e i gesti una vita e i fiori un profumo
e la luna una magia.
Perché l’emozione bruciasse il tempo e le delusioni,
perché la danza dei sogni fosse poesia.
Così mentre il tempo moriva, restava l’amore.
Luigi Pirandello
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