#romanzi di relazioni umane
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pier-carlo-universe · 11 hours ago
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La Moglie del Giudice di Ann O'Loughlin. recensione di Alessandria today
Un romanzo intriso di segreti, emozioni e colpi di scena.
Un romanzo intriso di segreti, emozioni e colpi di scena. Titolo originale: The Judge’s WifeAutore: Ann O’LoughlinEditore: HarperCollinsGenere: Narrativa contemporanea Sinossi In una piccola cittadina irlandese, dove la tradizione e l’apparenza dominano, vive Emma, la moglie del giudice. Apparentemente rispettabile e devota, Emma nasconde un segreto che, se svelato, potrebbe distruggere la sua…
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darktimemachinechaos · 2 months ago
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Monografia: 𝗚𝗶𝗹𝗹𝗶𝗮𝗻 𝗙𝗹𝘆𝗻𝗻📚
𝐆𝐢𝐥𝐥𝐢𝐚𝐧 𝐅𝐥𝐲𝐧𝐧 (24 febbraio 1971, Kansas City, Missouri) è una scrittrice, giornalista e sceneggiatrice statunitense, nota per i suoi romanzi thriller che esplorano tematiche oscure e complesse.
Oltre alla scrittura di romanzi, Gillian Flynn ha lavorato come sceneggiatrice e critico televisivo. Il suo stile è caratterizzato da una narrazione intensa e da una profonda analisi psicologica dei personaggi, spesso ritratti in situazioni moralmente ambigue. Le sue opere tendono a esplorare le complessità delle relazioni umane e le dinamiche familiari.
Opere principali
Sulla pelle (2006): romanzo di esordio che ha ricevuto riconoscimenti significativi tra cui due Dagger Award e una nomination per l'Edgar Award; la storia segue una reporter che torna nella sua città natale per coprire un omicidio, affrontando il suo oscuro passato.
Nei luoghi oscuri (2009): il romanzo racconta la storia di Libby Day, l'unica sopravvissuta a un massacro familiare; costretta a rivisitare i traumi del suo passato, Libby si imbatte in segreti inquietanti.
L'amore bugiardo (2012): thriller psicologico che esplora la scomparsa di Amy Dunne e le indagini che coinvolgono il marito Nick; il romanzo ha avuto grosso impatto culturale ed è stato trasformato in un film diretto da David Fincher.
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carmenvicinanza · 5 months ago
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Rebecca Miller
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Rebecca Miller, regista e scrittrice statunitense, indaga le relazioni umane alternando cinema e letteratura.
Sostenitrice delle donne nell’industria cinematografica, le sue storie hanno sempre protagoniste femminili e anche i cast tecnici sono costituiti in gran parte di donne. Per il suo impegno, nel 2003, è apparsa nel documentario In The Company of Women.
Tra i suoi film, che ha scritto e diretto, spiccano Angela, che ha ricevuto il Gotham Independent Film Award, Personal Velocity: Three Portraits, che ha vinto il Sundance Film Festival, The Ballad of Jack and Rose, The Private Lives of Pippa Lee, Maggie’s Plan e She came to me.
Ha scritto i romanzi The Private Lives of Pippa Lee e Jacob’s Folly, il libro che ha anche illustrato A Woman Who e la raccolta di racconti Personal Velocity premiata come miglior libro del 2001 dal Washington Post.
È nata a Roxbury, Connecticut, il 15 settembre 1962, da due celebrità, Inge Morath, fotografa della Magnum e il drammaturgo Arthur Miller. Cresciuta in un ambiente culturale molto stimolante, ha studiato arte a Yale e si è specializzata a Monaco di Baviera, in Germania.
Stabilitasi a New York, nel 1987, ha iniziato la sua carriera come pittrice e scultrice, esponendo in diverse gallerie.
Dopo gli studi di cinema alla New School, ha iniziato a realizzare film muti che esponeva insieme alle sue opere d’arte.
A teatro, si ricorda il suo ruolo di Anya ne Il giardino dei ciliegi di Anton Čechov diretta da Peter Brook, nel 1988.
Ha lavorato come attrice cinematografica e televisiva in film come A proposito di Henry (1991), Wind – Più forte del vento (1994) e Mrs. Parker e il circolo vizioso (1994).
Ha anche diretto un’opera teatrale.
Da regista e sceneggiatrice, il suo primo lungometraggio è stato Angela, presentato in anteprima al Philadelphia Festival of World Cinema e poi al Sundance Film Festival, che le è valso l’Open Palm Award dell’Independent Feature Project e il Sundance Film Festival Filmmaker Trophy oltre a altri importanti premi per la fotografia.
Dopo il matrimonio con l’attore Daniel Day-Lewis, da cui ha avuto due figli, si era trasferita a Dublino dove ha prestato servizio di volontariato in case rifugio per donne vittime di violenza, impegno che le ha ispirato la raccolta di racconti Personal Velocity che poi è diventata un pluripremiato film in tre episodi che esplora la trasformazione personale in risposta a circostanze che cambiano la vita.
La pellicola, proiettata al Tribeca Film Festival e all’High Falls Film Festival,  ha ricevuto importanti riconoscimenti e fa parte della collezione permanente del MoMA di New York. 
Nel 2005 ha scritto la sceneggiatura per l’adattamento cinematografico dell’opera teatrale Proof di David Auburn, vincitrice del premio Pulitzer che ha visto come protagonisti Gwyneth Paltrow e Anthony Hopkins e ha diretto The Ballad of Jack and Rose, proiettato al Woodstock Film Festival e all’IFC Center di New York. Il film le ha procurato una menzione d’onore da MTV nel 2010 per le migliori registe che avrebbero dovuto vincere un Oscar. 
Nel 2009 ha girato il suo quarto film, The Private Lives of Pippa Lee, un adattamento del suo romanzo del 2002 con un cast stellare composto da Robin Wright, Keanu Reeves, Winona Ryder e Julianne Moore.
Del 2015 è Maggie’s Plan, girato principalmente nel Greenwich Village e presentato in anteprima al Toronto International Film Festival che è stato proiettato in importanti festival internazionali.
La sua ultima fatica risale al 2023, She Came to Me presentato in anteprima mondiale al 73º Festival internazionale del cinema di Berlino, interpretato da Anne Hathaway, Marisa Tomei e Peter Dinklage.
Le sue narrazioni sono pregne di ironia, delicatezza e profondità.
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daimonclub · 6 months ago
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Amori, lettura e scrittura in estate al lago
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Estate al lago Amori, lettura e scrittura in estate al lago, un articolo che analizza il romanzo Estate al lago di Alberto Vigevani, con un estratto di alcune pagine del testo. Attorno agli anni '90 avevo trovato allegato ad una rivista, in omaggio, il libro Estate al lago di Alberto Vigevani e benché non fossi un grande amante dei romanzi, visto che non potevo andare in vacanza e poiché in gioventù avevo trascorso spesso delle giornate estive sul lago di Garda, benché in questo caso si trattasse del lago di Como, memore di qualche rifermento ai Promessi Sposi del Manzoni, decisi di leggerlo.  Il lago in ogni caso ha comunque un fascino particolare, e come dicevo anch'io ho trascorso in questi ambienti un bel po' di giornate, prima con mia mamma che mi accompagnava per andare a pescare attorno ai 12-13 anni, nelle acque di Salò, Maderno, Desenzano, poi con i miei amici negli anni turbolenti della mia adolescenza, principalmente a Toscolano Maderno, Manerba, Padenghe, e poi ancora sul Lago d'Idro, e infine ancora con mia mamma alle terme di Sirmione. Ora a distanza di più di trent'anni da quel periodo e a ben 66 anni dalla pubblicazione del libro avvenuta nel 1958, ho deciso di dedicargli questo articolo, anche perché, visto che siamo in estate e la gente in genere legge sempre meno, mi sento di affermare che leggere "Un'estate al lago" di Alberto Vigevani è come concedersi una vacanza letteraria, ricca di emozioni, riflessioni e bellezza. Direi per prima cosa che consigliare questo romanzo, snello ma succulento, significa suggerire un viaggio emozionante nella nostalgia e nella bellezza del passato. Ed ora vi elencherò diversi punti per cercare di convincere qualcuno a non perdere questa occasione letteraria. 1) Vigevani è un maestro nel creare atmosfere che trasportano il lettore direttamente nelle calde estati italiane, tra paesaggi lacustri incantevoli e la quiete della natura. 2) I protagonisti del romanzo sono descritti con una profondità psicologica che permette al lettore di immedesimarsi nelle loro vite e nei loro sentimenti. Le loro storie e interazioni sono il cuore pulsante del libro. 3) La prosa di Vigevani è elegante e poetica, rendendo la lettura un'esperienza estetica oltre che narrativa. La sua capacità di descrivere i dettagli con delicatezza e precisione arricchisce ogni pagina. 4) Il romanzo esplora temi come l'amore, la memoria, la perdita e la ricerca di sé, offrendo spunti di riflessione che risuonano profondamente con i lettori di ogni età. 5) Ambientato negli anni '30, "Un'estate al lago" offre un affascinante spaccato di un'epoca passata. Vigevani riesce a catturare l'essenza del tempo e del luogo, permettendo al lettore di vivere un pezzo di storia italiana attraverso gli occhi dei suoi personaggi. 6) Il libro è pervaso da una dolce nostalgia, che invita il lettore a riflettere sulla propria infanzia e sui ricordi estivi. Questa introspezione rende la lettura profondamente personale e toccante. 7) "Un'estate al lago" è stato accolto favorevolmente dalla critica, che ne ha lodato la qualità narrativa e la profondità emotiva. È un'opera apprezzata sia dai lettori che dagli esperti letterari. 8) La descrizione dei paesaggi, delle giornate estive, e delle piccole gioie quotidiane crea un'esperienza immersiva che consente al lettore di "vivere" l'estate al lago insieme ai personaggi.
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Alberto Vigevani Alberto Vigevani (1918-1999) è stato uno scrittore, poeta ed editore italiano. Nato a Milano, si distinse per la sua produzione letteraria caratterizzata da una prosa elegante e malinconica. Oltre a numerosi romanzi e racconti, Vigevani pubblicò poesie e si dedic�� all'editoria, fondando la casa editrice Il Polifilo, specializzata in libri d'arte e di alta qualità tipografica. Le sue opere riflettono spesso la nostalgia per un mondo perduto e la complessità delle relazioni umane. Vigevani è ricordato come una figura importante nel panorama culturale italiano del XX secolo. Oltre a Estate al lago ha pubblicato Un’educazione borghese; La casa perduta; L'abbandono; La breve passeggiata. Ha ottenuto, tra altri, il Premio Bagutta. Estate al lago. L'estate era stata diversa da quelle passate: le ultime vacanze dell'infanzia. Era maturata per Giacomo una nuova età: dalla suggestione dei sensi alle delicate immagini del suo amore puerile. Tutto si poteva dire in silenzio e tutto si scioglieva in contemplazione. Come ha scritto Geno Pampaloni nell'introduzione al testo, la verità del libro è in questo attimo di sospensione vitale, in questo (doloroso e insieme corroborante) diritto al segreto di fronte alla violenza della realtà. E, la sua, una sospensione magica, illusa e labile com'è proprio dell’adolescenza. Ma non è solo sua: è anche l’illusione ansiosa del silenzio e della contemplazione, quella lieve vertigine fatta di insicurezza, di angoscia e di nostalgia che caratterizzò la cultura europea tra le due guerre al cospetto delle dittature e nell’imminenza della tragedia. Pampaloni spiega molto bene la natura del romanzo e tutti i suoi risvolti, come si evince da queste sue riflessioni. " Intendiamoci. La qualità poetica del racconto del Vigevani attinge a una cultura riflessa. Tutto è già alle sue spalle. «Tutto è accaduto», come dice un titolo di Corrado Alvaro, che sentì come pochi altri scrittori, con intelligenza amara, la transizione esistenziale propria del nostro tempo. Non per nulla Alberto Vigevani è libraio antiquario, ed è editore di testi preziosi e dimenticati della più raffinata tradizione, quasi che la sua vocazione di uomo sia dedicata al recupero, all’assaporamento di valori non mercificabili, alla fedeltà della memoria. Dietro di lui scrittore si staglia la grande ombra di Proust, il fascino della grande borghesia colta, intenta a cogliere l’ultima essenza di un mondo stremato dai suoi stessi valori... Perciò, contrariamente allo schema usuale, per cui l'adolescente passa dalla innocenza alla torbida scoperta del sesso, egli supera abbastanza rapidamente l’accensione sensuale, e sublima la sua ricchezza affettiva in un amore impossibile per la bionda e gentile madre del suo compagno di giuochi. Ma ecco che qui racconto d’amore e storia di un’educazione sentimentale si saldano.
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Lago di Como in estate Che cosa rivela a Giacomo l’incontro con la giovane donna e il suo figliolo malato e ardente? 1. La forza della passione, così profonda e coinvolgente da risultare rasserenante anche se dolorosa; 2. L’« armonia e tenerezza» che unisce madre e figlio in un legame meraviglioso, compatto, inscindibile; 3. L'ambiguità della figura materna, ove si mescolano la dolcezza sensuale e il tepore protettivo, oscuro modello e | presagio di un’ambiguità esistenziale che accompagna l’intera vita; 4. La gioia pura e malinconica della bellezza, che invita al silenzio e alla contemplazione; 5. Gli rivela infine la possibilità stessa della rivelazione dell’io profondo, vertiginosa «come se si trovasse sull’orlo della propria vita ». Tutto questo lo prepara all’intuizione finale: «com'era complesso l’amore; non solo desiderio d’armonia, di bellezza, ma anche aspirazione a non esistere più, ad annientarsi. E ancora: vi era qualcosa di crudele, d’irrimediabile, qualcosa che non si sarebbe nemmeno potuto confessare, anche se lo avesse veramente compreso ». Questo è, mi pare, il tratto originale del personaggio (e del libro): la perdita dell’innocenza, momento fatale di ogni adolescenza, si trasforma, come in dissolvenza, nella consapevolezza della complessità dell'amore, con tutto ciò che di ambiguo, di doloroso, ma anche di certo e, in qualche senso, di supremo, tale consapevolezza porta con sé. Mentre si chiudono, tra le prime piogge e i colori spenti dell'autunno, le «ultime vacanze dell’infanzia », l'educazione sentimentale di Giacomo può dirsi compiuta, ma nel senso che il velo d’ombra di un’incompiutezza infinita si proietta a occupare ogni possibile futuro. Il crepuscolo di adolescenza, la lacerazione tra innocenza e maturità, che egli ha vissuto nell’estate al lago, è destinata a durare per sempre. Ma si capisce che, avviandosi ignaro verso i tempi della violenza e della devastazione che si affacceranno alla storia, egli entrerà nella vita non sotto il segno della conquista ma sotto il segno della poesia." Ma ora lasciamo lo spazio ad alcune pagine del libro. I primi giorni di vacanza seguirono rapidi, come una febbre che accalori le guance e svanisca lasciando una stanchezza, un senso di sonnolenza, e ancora fame di nuova stanchezza e di sonno. I cugini erano arrivati: l’Elisa, gentile e non bella, dal corpo pesante, la fronte a bauletto sporgente sopra gli occhi; Aldo, che aveva l’età di Stefano e dipingeva all’acquarello; Mario, un ragazzo calmo, maggiore di Giacomo di due anni. Stavano sempre insieme: nuotavano, andavano in barca, a volte salivano sulla strada di Porlezza, dov'era una valle segnata da un fiumiciattolo incassato, il Senagra. Altre partivano per Cadenabbia o, dalla parte opposta, per Acquaseria e Gravedona, in bicicletta, con la merenda al sacco, e dopo aver fatto il bagno si riposavano sui prati. Formavano una compagnia allegra, con altri giovani che s'erano aggiunti: la bruna che Stefano aveva conosciuto al Lido, Elsa, figlia del padrone dell’albergo Victoria, e il fratello, un giovane basso, il tuffatore migliore della spiaggia, che anche fuori portava una calottina rossa sui capelli impomatati. Poi le due ragazze Lanfranchi, già da Milano amiche dei cugini: la maggiore slanciata, con occhi verdi luminosi; la minore, grassottella e addormentata, con gli stessi occhi, ma sbiaditi e gonfi, che le davano l’espressione attonita di un pesce... Giacomo aveva scoperto per conto suo che l’Elsa non era tutta muscoli, ma d’una bellezza così piena e persuasiva che se ne sentiva attirato. Tuttavia la sua inclinazione non andava oltre il piacere degli occhi e quel senso di vergogna che lo istupidiva se gli capitava di rimanere solo con lei. La presenza di Clara, d’altra parte, riusciva a rendere leggera l’aria che li avvolgeva, nulla in essa s’incideva con troppa asprezza, appena vi si accennavano le amicizie ancora incerte. L’Elisa e la minore delle Lanfranchi divennero inseparabili, Mario stava insieme con Giacomo che era il più giovane ma non stonava in mezzo agli altri, in quei primi giorni in cui tutto scaturiva con spontaneità, come se per le vacanze fossero tornati ragazzi anche i grandi. Forse non badavano alla differenza di età, o lo ammettevano perché li faceva ridere con uscite in cui, incitato dal desiderio di farsi notare, caricava il suo senso dell'umorismo di una capacità d’invenzione che si smentiva di rado. Le zitelle che aveva spaventato in bicicletta erano divenute dei personaggi, così Antonio, il custode, di cui rifaceva la voce e imitava i discorsi farciti d’interiezioni, di proverbi detti a sproposito. Ma forse erano gli altri, a completare o ad accrescere il ridicolo dei suoi accostamenti, delle trovate che gli nascevano spontanee dal troppo parlare, quando si eccitava: la verità era che avevano voglia di ridere, di sentirsi disinvolti e spensierati prima d’addentrarsi nel terreno sfuggente e sconosciuto delle nuove amicizie.
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Cartina del lago di Como Finirono anche quei giorni d’attesa: Stefano ora lo respingeva, se gli andava vicino mentre aveva al braccio l’Elsa; rispondeva a monosillabi. Durante le gite Giacomo e Mario restavano indietro. Prima, avevano tutti riso delle sue immagini, si era sentito ammirato dalle ragazze, invidiato da Mario, in brevi momenti di esaltazione che lasciavano adesso il posto a un risentimento. Supponeva d’essere condannato a portare i calzoni corti in eterno, come un segno d'’inferiorità. Tra loro due e i grandi duravano lunghi silenzi, le parole di Giacomo cadevano senza che nessuno le raccogliesse, e a un tratto s'’accorgevano che i giovani camminavano avanti, sulla mulattiera lungo il monte, o rimanevano solo loro sulla spiaggia, mentre gli altri se n'erano andati in barca senza chiamarli. Li ritrovavano poi che ballavano nella sala a pianterreno della villa o all’albergo Victoria... Presto arrivò luglio. Negli alberghi si davano i primi balli: la stagione vera sarebbe venuta a settembre. Clara si metteva in abito lungo e veniva a farsi ammirare prima di uscire. Stefano vestiva lo smoking e Giacomo gli faceva compagnia mentre si preparava in bagno e annodava la cravatta davanti allo specchio. Forte e giovane, le sopracciglia folte, gli occhi vellutati e scuri uguali a quelli del padre, pareva lontano come mai, e proprio nel momento in cui gli offriva maggiore confidenza. Delle feste parlavano a tavola, il giorno dopo. Gli rimanevano nella mente episodi e nomi di persone, uditi nei discorsi dei fratelli, con il prestigio delle cose inaccessibili. Se la festa era a Menaggio, andava con le domestiche a vedere l’entrata dai cancelli. L’Emilia gli metteva una mano sulla spalla; diceva: «Ti piacerebbe vestirti da sera, ballare anche tu? »... A metà d’agosto il padre tornò per fermarsi una settimana. Giacomo quasi non s’accorgeva di lui. Gli era toccato ancora deluderlo: non aveva mai adoperato gli attrezzi e aveva fatto pochi progressi nello studio. Si sentiva in colpa, guardandolo: come provasse il sentimento che il padre fosse, senza sospettarlo, esposto a subire le conseguenze di ciò che a un tratto poteva insorgere nel suo animo. Gli appariva incapace di difendersi, nell’abito di tela un po’ ottocentesco, con la camicia di seta cruda aperta sul collo e il leggero copricapo di panama che sbiancavano ancor più la sua carnagione cittadina. Del resto non stavano mai insieme: usciva con la madre a visitare parenti o conoscenti che poi venivano a prendere il tè in giardino. A Giacomo sembrava che tra loro due qualcosa fosse già cambiato. Forse temeva per il suo segreto, quando gli occhi del padre si posavano sopra di lui, schiariti da un’ironia dolce e penetrante che avrebbe voluto sfuggire. Eppure, durante il giorno, tra Giacomo e l’Emilia tutto si svolgeva come prima, di nuovo non c'era che la carezza più ardita, le poche sere, ormai, che andavano a passeggio insieme. Spesso lei voleva uscire con l’Elvira, dicendo che si recavano al cinema, dove lui non poteva seguirla. Incontrandolo, sorrideva sempre, lo sfiorava col fianco come per scherzo, forse per vedergli in faccia il turbamento che non riusciva a nascondere. Era come fosse per abbandonarsi a piangere, e non potesse trovare comprensione se non in lei che già mostrava di evitarlo. Ma la notte, prima di addormentarsi, era diverso: come un appuntamento, ogni volta si ripeteva il lungo istante in cui, col respiro disordinato, il capo fitto nel guanciale, brancolava sopra un’immagine di lei oscura e avvincente. Se la raffigurava nuda, nella sua ricchezza segreta, lambita dal buio, le spalle e il petto candidi in luce, il ventre affondato in una macchia. Confusa e incerta ossessione, come confuse e incerte le reminiscenze, il negativo del nudo tra le rocce finte, i corpi femminili alla spiaggia, ogni nutrimento anonimo e frammentario della sua fantasia. A sfiorare quella immagine con una carezza, qualcosa entro di lui si rompeva in una breve liberazione che lo lasciava intontito e vergognoso. Infine una sera, appena partito il padre, che tutti erano usciti - l’Elvira aveva voluto andare al cinema da sola -, udì il passo dell'Emilia nella stanza che occupava all’ultimo piano, sopra la sua. Giacomo aveva già un poco dormito e quei passi gl’illuminarono d’improvviso la figura di lei, i suoi gesti mentre andava spogliandosi. Gli pulsavano le tempie; senz’accorgersene si trovò fuori della porta. Salì le scale nell’oscurità, cercando di non far rumore. Si sentiva un ladro, temeva che qualcuno potesse sorprenderlo. Una striscia di luce bagnava il pianerottolo, da sotto la porta. Non udiva nemmeno più il passo della donna. S’appoggiò alla maniglia, la porta cedette. Dalla finestra ovale entrava la luna e illuminava il letto. Il suo volto era quasi al buio: pareva ancora più pallido. Vide che i suoi occhi lo fissavano. « Giacomo », disse a bassa voce, « sei tu? ». Siccome non si muoveva, rigido contro la porta, il cuore che gli batteva di furia, lei riprese, con una voce alterata che sembrò una carezza: «Vieni qua». Andò verso il letto in punta di piedi. Si muoveva in quella luce quasi irreale come in una delle apparizioni che venivano a sorprenderlo la notte, quando non riusciva a dormire. Lei gli prese i polsi, l’attirò a sé. Piegando le ginocchia contro la sponda del letto, premette la guancia sulla spalla nuda. Il suo profumo lo confondeva. Dietro la testa di lei, sopra il candore del guanciale colpito dalla luce, i capelli sciolti addensavano un bosco oscuro e segreto da cui si staccava il suo volto smorto, senza più quel sorriso che sempre lo pungeva, sulle labbra adesso aride e schiuse. Gli occhi, scintillanti, sembravano vetri in cui la luce acquistasse profondità.
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Grand Hotel Victoria Liberò le mani per cercarle il seno: annaspavano contro la tela un po’ ruvida della camicia. Fu lei a offrirglielo, scostando la spalla, e gli sembrò che bruciasse; poi quel fuoco gli entrò nella pelle. Lo palpava intero senza sapere dove indugiare. Si riempiva le mani della ricchezza che lei gli aveva ‘nascosto, e non cedeva alla carezza ripetuta ma la chiamava ancora, rinnovandogli come uno spasimo. Era entro un sentiero buio che lo faceva trasalire, e morbido, in cui ritrovava pungente l’odore dei capelli che gli coprivano le guance, la fronte. Un alito resinoso di terra e di donna che pareva quello del suo sangue. «Giacomo », aveva detto, due, tre volte, irosamente, gli era sembrato, muovendo il petto per svincolarsi. Ma s’avvinghiava a lei come se dovesse spremere, succhiare tutto il profumo e il calore che emanava. Poi gli si abbandonò, ansimante. Gli aveva cercato la bocca, la mano, ma appena raggiunte si era scossa, l’aveva allontanato con violenza, accendendo la piccola lampada sul tavolino. Era rimasto in fondo al letto. La fissava, nella debole luce elettrica, i capelli e la camicia in disordine, il volto quasi cattivo, mutato, con le labbra tremanti e tumide. La sua bellezza pareva a un tratto non più lontana, ossessiva, ma come rozza e affranta. Il torpore lo avvolgeva, allontanando ogni cosa nel tempo: si sentiva quasi spettatore di quel suo risveglio. Vide il seno scomparire nello scollo e gli parve una macchia, un fiore raggrinzito, la punta violacea che esitò un istante sull’orlo della camicia. Contrastando con la pelle chiara del petto somigliava a un oggetto immaginato nel sogno, che alla luce reale stupisca. Anche i suoi occhi erano diversi: lo sfuggivano come fosse lei, ora, a provare vergogna e a temere il suo riso. Gli pareva anche un'illusione il sussurro, quasi un gemito, che aveva colto sulle sue labbra. Si era seduta e aveva preso il pettine. Mentre ravviava i capelli si tolse la forcina dalle labbra e disse, a bassa voce: «Ti voglio bene, però sei un bambino ». Parole così fragili gli avevano fatto l’effetto che le avesse pensate, più che dette. Non capiva perché tornava ora un bambino, quando per un lungo momento era stata lei a soffrire sotto il suo abbraccio, e le sue labbra avevano perduto ogni voglia di sorriso. Read the full article
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sounds-right · 1 year ago
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Dal 24 novembre in rotazione "Niente da dividere" (Joseba Label), il nuovo singolo di Massimiliano Varrese
"Niente da dividere" è un brano esplicitamente ispirato agli Anni 90 che emana un sound sensuale e ipnotico, e rappresenta il ritorno nel mondo della musica di Massimiliano Varrese, un performer a 360°: attore, cantante e ballerino. Massimiliano, inoltre, per questo pezzo, ricopre anche il ruolo di autore e compositore.
"Niente da dividere" ci ricorda che l'amore è un sentimento intramontabile, capace di adattarsi ai cambiamenti eterni della vita. In questo processo di evoluzione, l'amore può trasformarsi, liberandosi dalle abitudini che spesso minacciano di spegnere la fiamma dei sentimenti. Questa canzone è un'ode all'amore e all'importanza di mantenerlo vivo, anche quando il tempo e la vita ci portano a evolverci e a cambiare.
Varrese con questo brano torna così al suo primo amore, la musica, e sceglie Joseba Label per la sua ripartenza.
Commenta l'artista a proposito del brano: "Sono entusiasta di presentare questa nuova canzone ispirata agli anni '90. Il suo sound sensuale e ipnotico cattura l'essenza di quell'epoca affascinante. Essere autore e compositore mi ha permesso di esplorare l'evoluzione dell'amore, rompendo abitudini che spesso ne ostacolano la passione. Spero che il mio pubblico possa apprezzare questa musica che riflette le sfumature delle relazioni umane."
Ascolta ora il brano: https://ingrv.es/niente-da-dividere-6wv-u 
Il videoclip di "Niente da dividere" è stato diretto da Marko Carbone che ha voluto utilizzare al massimo la versatilità artistica dell'attore Massimiliano Varrese come se si stesse esibendo in un vero show ballando, cantando e recitando insieme alle ballerine Rai Agata e Jennifer, rispettando il gusto vintage del brano.
Guarda qui il videoclip su YouTube: https://youtu.be/g6Sqaq7-Jo0
Biografia
Massimiliano Varrese è un talentuoso artista nato a Roma il 5 gennaio 1976, ma cresciuto a Grosseto, in Toscana. Fin da giovane, dimostra una passione per le arti dello spettacolo e inizia a studiare presso lo I.A.L.S. di Roma. La sua carriera televisiva prende il via nel 1997 con uno spot per Sanson, un noto marchio di gelati. Nel 1998, viene scoperto da Raffaella Carrà e lanciato come cantante e ballerino nel programma "Carràmba! Che fortuna".
Varrese fa il suo debutto teatrale nel 1999 con il musical "Sono tutti più bravi di me", scrivendo anche il brano principale. Nel 2000, recita nella pièce teatrale "The Beautiful Thing" e partecipa alla miniserie televisiva "Operazione Odissea". Nello stesso anno, entra a far parte del corpo di ballo del programma "Stasera pago io", condotto da Fiorello.
La sua carriera prosegue con lavori come il tour europeo di Paola & Chiara e ballerino per Geri Halliwell e Holly Valance. Torna a recitare nella fiction "Il bello delle donne" e nel film "Velocità massima" con Valerio Mastandrea nel 2002. Nel 2005, interpreta Furio Zani nella fiction "Grandi domani", ottenendo elogi dalla critica.
Nel 2005, debutta come protagonista nel film "Fuoco su di me", presentato in anteprima alla mostra cinematografica di Venezia. Nel 2006, entra nel cast di una fiction di Canale 5 e continua a recitare in teatro nel musical "3MSC. Emozioni e sogno. Tre metri sopra il cielo". Il suo ruolo principale in questo spettacolo gli fa guadagnare il Premio Vittorio Gassman come miglior giovane talento teatrale del 2007.
Nel corso degli anni, Varrese è stato protagonista di campagne pubblicitarie e ha lavorato in teatro, cinema e televisione: nel 2022 partecipa al film "La Ballata del Trasimeno" con nel cast anche sua figlia Mia e nel Luglio 2023 partecipa nella Fiction di Mediaset "Una mamma all'improvviso" assieme alla collega Giulia Bevilacqua andata in onda in prima serata su Canale 5. Nel 2018, ha diretto il docufilm "Mi-ka-el" insieme a Filippo Fagioli. Nel 2019, ha partecipato a "Amici Celebrities", classificandosi al secondo posto.
Ha scritto vari romanzi dal 2011: "L'estate è già finita", "Training olistico totale" e "Training olistico attoriale" 2019 e 201 e nel 2023 pubblica IL MIO GURU SGANGHERATO (Romanzo uscito a Maggio 2023 , dopo 30 gg dall'uscita già in ristampa). Si è esibito anche in vari spettacoli di musica e poesia. 
A settembre 2023 Varrese è entrato come concorrente nella casa del Grande Fratello. La sua carriera poliedrica e il suo talento continuano a fiorire in diversi campi artistici.
"Niente da dividere" è il nuovo singolo di Massimiliano Varrese per Joseba Label disponibile sulle piattaforme digitali di streaming dal 17 novembre 2023 e in rotazione radiofonica dal 24 novembre.
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veronica-nardi · 4 years ago
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Karamazov no Kyodai
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Ho fatto la paraculata: siccome non ho mai letto I Fratelli Karamazov di Dostojieski, ho deciso di “leggerlo” guardando questa serie, tratta appunto dall’omonimo romanzo.
Nella mia ignoranza, pensavo che I Fratelli Karamazov fosse un pippone sullo stile di Delitto e castigo (che credo di non essere mai riuscita a finire perché la letteratura russa è un’odissea), quindi sono rimasta molto stupita quando @dilebe06 mi ha fatto capire che si trattava di un giallo, e mi sono detta “lo devo vedere subito!”.
Avevo in programmazione Hana Yori Dango - seconda stagione, ma siccome sono una grandissima amante dei gialli non ho potuto aspettare nemmeno un giorno per buttarmi su questa serie.
Ora, voglio dirlo subito: questa serie è un falso giallo. E non lo dico in modo negativo.
La vicenda parte con la morte del padre di tre fratelli, e io pensavo che la storia fosse capire quale dei tre fratelli fosse il colpevole, perché di solito un giallo è così.
I Fratelli Karamazov si presenta come un giallo, ma a serie conclusa mi viene da dire che si tratta di un dramma psicologico. Parla di etica, di realismo, di emozioni umane, di fratellanza, della complessità degli esseri umani, delle conseguenze della solitudine e della mancanza di amore. È complesso e interessante, e ancora adesso sto ragionando su certe cose e cercando di capire se alcuni passaggi sul finale mi sono più o meno piaciuti.
Ma posso già dire che questo drama mi è piaciuto un sacco.
Non ha una trama che si sviluppa episodio dopo episodio, perché tutto parte con la morte del vecchio, e ogni puntata è una guida alla scoperta dei personaggi, dei loro caratteri e psicologie.
I tre fratelli sono molto diversi gli uni dagli altri, e ognuno di loro è caratterizzato meravigliosamente bene: abbiamo il primogenito Mitsuru, un uomo fallito, sognatore, tragico ed eroe romantico; poi l'avvocato Isao, freddo, distaccato e soggiogato al padre; e infine il buon Ryo, il fratello minore che è sempre stato protetto, ingenuo, fiducioso ed innocente.
Essendo il padre un emerito bastardo stronzo sadico, tutti e tre hanno ottimi motivi per volerlo morto, quindi mi ci è voluto un po' per individuare il mio sospettato (che poi si è rivelato sbagliato, ma comunque).
Il padre è davvero il peggior genitore e marito che abbia visto in un film/serie: violento, cattivo, dissoluto, egoista, privo di compassione o empatia o di qualsiasi emozione umana. Un mostro sadico e dispettoso, che si diverte a far soffrire i figli per il solo gusto di vedere le loro facce deluse e sofferenti.
Non ricordo di aver mai visto un personaggio che incarnasse il male tanto quanto lui.
Uno degli aspetti più interessanti della serie è vedere che tipo di conseguenze un padre del genere provoca nei figli: destabilizzazione, mancanza di autostima, squilibri, rabbia, dolore, frustrazione, odio.
Viene anche da chiedersi quale dovrebbe essere la punizione se uno di questi ragazzi ha davvero ucciso il padre. E siccome ha commesso un omicidio significa che adesso è una brutta persona? Significa che è diventato come il padre e che è caduto nell'oscurità? Significa che è un debole che non ha saputo resistere?
Non pongo queste domande per dare delle risposte, non pretendo di averne. Non so nemmeno dove sta la verità. Non so nemmeno se esistono delle risposte effettivamente giuste a queste domande.
È stato per me molto interessante vedere come i tre fratelli reagivano, ognuno in modo diverso, a: i comportamenti del padre, la morte di quest'ultimo, gli interrogatori della polizia, l'arresto di uno di loro, la scoperta della verità.
Nel corso della serie i fratelli compiono un percorso profondamente umano, ognuno deve lottare con i propri demoni interiori e ognuno di loro acquista sempre più consapevolezza.
È molto bello vedere la storia da tutti e tre i punti di vista. Tutti e tre hanno i loro spazi per essere caratterizzati e sviluppati e nessuno è lasciato indietro.
Per la maggior parte del tempo ho dato il mio cuore a Mitsuru, un cucciolone che tenta di fare il duro, ma a fine serie Isao mi ha completamente conquistata, lo considero il mio eroe e il vero protagonista della storia.
Solo chi guarda questa serie può capire la bellezza di questo personaggio grigio, stratificato e complesso.
È il fratello che risulta essere il più difficile da amare, e sono molto contenta di esserci riuscita, anche se solo alla fine.
Io sul finale non mi pronuncio, dico solo una cosa: ci sto ancora riflettendo.
Ma al di là del fatto che devo capire quanto mi sia piaciuta una certa svolta narrativa, adoro sempre quando le serie mi fanno riflettere così tanto, perché significa che hanno qualcosa da dire e che offrono degli spunti di riflessione interessanti.
Personalmente, adoro le serie in cui la più grande bellezza sta nei personaggi, nelle loro psicologie, evoluzioni e relazioni. La trama per me è sempre al secondo posto. Quindi I Fratelli Karamazov è stato piuttosto affascinante per me.
È davvero difficile trovare dei difetti a questa serie: la recitazione è ottima, non ci sono buchi di trama o domande che rimangono senza risposta, bella e inquietante la scenografia della casa, e una colonna sonora perfettamente azzeccata.
Penso che anche il finale abbia il suo perché, se non ci si ferma ad una lettura superficiale, ma qui mi rimetto a @dilebe06, che ha saputo dare una chiave di lettura della serie secondo me giusta e interessante.
È per me un po' difficile dare un voto sicuro e preciso a questa serie, anche perché essendo la trasposizione in chiave moderna di uno dei romanzi più famosi ed acclamati dell'Ottocento, mi piacerebbe leggere l'opera originale per capire quanto la serie è stata brava e se c'è qualcosa che ha lasciato indietro.
Ma al di là dell'opera cartacea e delle mie pippe mentali personali, rimane a mio parere un'ottima serie molto interessante ed intrigante.
Peccato non sia conosciuta di più.
Punteggio: 8.4
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weirdesplinder · 3 years ago
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Chiedo a un autore italiano i suoi libri preferiti: LUCA AZZOLINI
Nuova intervista ad un autore italiano per scoprire i suoi cinque libri preferiti di sempre da lettore. Oggi è la volta di Luca Azzolini, autore, tra l’altro del romanzo storico Romulus, tratto dall’omonima serie televisiva andata in onda su Sky e di molti romanzi per ragazzi.
Per conocere meglio questo giovane autore italiano e tutta la sua produzione non esitate a visitare il suo sito.
Sito ufficiale di Luca Azzolini: http://www.lucaazzolini.it/
E ora scopriamo i suoi libri preferiti:
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1- Tutta la produzione di Marion Zimmer Bradley, tra cui spiccano:
 -Le nebbie di Avalon, rivisitazione delle leggende arturiane
-Il ciclo di Darkover Link: https://amzn.to/3Ceq9kB
- La Torcia rivisitazione della storia raccontata nell’Iliade di Omero dal punto di vista del personaggio di Cassandra, veggente destinata a non essere creduta
Potete leggere sul mio blog ciò che penso di alcune sue opere qui: https://weirdesplinder.tumblr.com/tagged/marion%20zimmer%20bradley
2- Benedizione, di Kent Haruf
Terzo volume della trilogia della Pianura
Link: https://amzn.to/34USj9x
Trama: Nella cittadina di Holt, in Colorado, Dad Lewis affronta la sua ultima estate: la moglie Mary e la figlia Lorraine gli sono amorevolmente accanto, mentre gli amici si alternano nel dare omaggio a una figura rispettata della comunità. Ma nel passato di Dad si nascondono fantasmi: il figlio Frank, che è fuggito di casa per mai più tornare, e il commesso del negozio di ferramenta, che aveva tradito la sua fiducia. Nella casa accanto, una ragazzina orfana viene a vivere dalla nonna, e in paese arriva il reverendo Lyle, che predica con passione la verità e la non violenza e porta con sé un segreto. Nella piccola e solida comunità abituata a espellere da sé tutto ciò che non è conforme, Dad non sarà l'unico a dover fare i conti con la vera natura del rimpianto, della vergogna, della dignità e dell'amore. Kent Haruf affronta i temi delle relazioni umane e delle scelte morali estreme con delicatezza, senza mai alzare la voce, intrattenendo una conversazione intima con il lettore che ha il tocco della poesia.
3- Sette minuti dopo la mezzanotte, di Patrick Ness
Link: https://amzn.to/3Kbx7w1
Trama: Il mostro si presenta a Conor sette minuti dopo la mezzanotte. Puntuale. Ma non è il mostro che Conor si aspettava, l'orribile incubo fatto di vortici e urla che lo tormenta ogni notte da quando sua madre ha iniziato le cure mediche. Questo mostro è diverso. È un albero. Antico come una storia perduta. Selvaggio come una storia indomabile. E vuole da Conor la cosa più pericolosa di tutte. La verità.
4- It, di Stephen King
Link: https://amzn.to/3zZ8z4E
Trama: A Derry, una piccola cittadina del Maine, l'autunno si è annunciato con una pioggia torrenziale. Per un bambino come George Denbrough, ben coperto dal suo impermeabile giallo, il più grande divertimento è seguire la barchetta di carta che gli ha costruito il fratello maggiore Bill. Ma la pioggia è fitta e George rischia di perdere il suo giocattolo, che infatti si infila in un canale di scolo lungo il marciapiede. Cercare di recuperarlo è l'ultimo gesto del bambino: una creatura spaventosa travestita da clown gli strappa un braccio, uccidendolo. A combattere It, il mostro misterioso che prende la forma delle nostre peggiori paure, rimangono Bill e il gruppo di amici con i quali ha fondato il Club dei Perdenti, sette ragazzini capaci di immaginare un mondo senza mostri. Ma It è un nemico implacabile, e per sconfiggerlo i ragazzi devono affrontare prove durissime e rischiare la loro stessa vita. E se l'estate successiva, che li ritrova giovani adulti, sembra quella della sconfitta di It, i Perdenti sanno di dover fare una promessa: qualunque cosa succeda, torneranno a Derry per combattere ancora.
5- Le ore, di Micheal Cunningam
Link: https://amzn.to/34TknKt
Trama: Negli anni Venti a Richmond, un sobborgo di Londra, Virginia Woolf è in cerca dell’ispirazione per il suo nuovo romanzo, assistita amorevolmente dal marito che tenta di domare il suo spirito inquieto. Negli anni Quaranta, a Los Angeles, Laura Brown è una giovane madre di famiglia che cerca nelle pagine di La signora Dalloway una via di fuga dalla routine domestica. Negli anni Novanta a New York, Clarissa Vaughn, soprannominata signora Dalloway, esce dal suo appartamento nel Greenwich Village per comprare dei fiori per Richard, un amico poeta che sta combattendo il male del decennio. Tre donne che sembrano non avere nulla in comune, se non il romanzo di Virginia Woolf, e che pure sono unite da un filo sottile che lega le loro storie attraverso luoghi ed epoche diverse. Un romanzo vincitore del premio Pulitzer 1999.
PAGINA AMAZON DEDICATA AI LIBRI DI LUCA:
Link: https://www.amazon.it/Luca-Azzolini/e/B08PDKFTT7/
L’ULTIMO LIBRO PUBBLICATO DA LUCA :
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Ragazzi Selvaggi, di Luca Azzolini
Link acquisto: https://www.amazon.it/Ragazzi-selvaggi-Luca-Azzolini-ebook/dp/B092VW4ZLW/
Trama:  Luca fa il conto alla rovescia: con la terza media si chiudono tre anni d’inferno. Non vede l’ora, ormai è questione di settimane. Anche Mattia fa il conto alla rovescia: aspetta il giorno in cui le sue stupide erre non suoneranno più così stupide e riuscirà a dichiararsi a Clara, l’attaccante più tosta della squadra di calcio. E poi ci sono Massimo, Lorenzo, Alberto. Loro sono quelli che camminano in gruppo e in gruppo trascinano i ragazzi grassi sotto le docce gelide. Anche loro però fanno il conto alla rovescia: contano i giorni che li separano dallo scherzo di fine anno, quell’evento che li farà passare alla storia e farà ricordare i loro nomi tra le mura della scuola media. E così, mentre Luca conta e sembra svanire, e Mattia conta e pare sbocciare, loro, i ragazzi, selvaggi, continuano a montare lo scherzo. Non sono mostri, non vogliono fare del male. Ma più il rischio è alto più l’adrenalina sale, e più sale più è facile sbagliare. E qualche volta, un singolo errore può trasformare lo scherzo in un gioco mortale.  
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preludioefuga-blog · 7 years ago
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Morte di mezza estate e altri racconti, Yukio Mishima
Non è che non mi piacciono i racconti rispetto ai romanzi, ma penso che la maggior parte di essi siano insoddisfacenti. I maestri di questa forma d’arte (Kafka, Cechov eccetera) mostrano, tuttavia, che nella sua forma migliore il racconto è in grado di immortalare qualcosa della vera, spesso banale, profondità dell’esistenza umana come poche altre cose.
Nella lista dei “maestri di questa forma d’arte” voglio ora aggiungere Yukio Mishima. Sembra impossibile parlare di Mishima senza citare la sua strana vita privata e le sue peculiari convinzioni. Sulla base del titolo, “Morte di mezza estate”, su altre recensioni che ho letto nonché sulla biografia dell’autore, sono rimasta sorpresa dalla “normalità” di queste, esenti da perversioni e scandali. Sono, nel complesso, racconti domestici, che si concentrano sulle relazioni interpersonali come il matrimonio e i figli. Ci ricorda che per quanto alcuni aspetti della vita di un individuo siano strani, non tiene conto della persona nella sua interezza: Mishima sarà stato un fanatico, un fascista, un pazzo, ma aveva sicuramente un lato dolce e comprensivo, che comportava una profonda conoscenza della gente comune, altrimenti non sarebbe mai stato in grado di scrivere queste storie.
Detto questo, il racconto più famoso della raccolta, “Patriottismo”, è una delle cose più inquietanti che abbia mai letto. Presenta una coppia, un tenente dell’esercito e sua moglie, che commettono seppuku (suicidio), uno tramite l’harakiri (autosventramento) e l’altra pugnalandosi alla gola. Il marito muore per preservare l’onore. Non vuole attaccare un gruppo di ribelli poiché crede nella loro causa, quindi invece di obbedire agli ordini si uccide. Per me quest’azione è indubbiamente affascinante, questa dedizione assoluta, fatale nei confronti dei propri principi. Se mi guardo attorno, ho l’impressione che l’onore e l’integrità scarseggino, che oggi la maggior parte della gente tenga davvero soltanto a sé stessa e ai propri vantaggi e quindi anche se non auguro a nessuno una morte tanto raccapricciante, ammiro lo stesso il tenente Shinji Takeyama.
Per i lettori sensibili, è necessario sottolineare che Mishima non batte ciglio. Nella storia, la moglie viene chiamata ad assistere, a testimoniare all’evento e noi, come lettori, veniamo messi nella stessa condizione. Restiamo quindi con il tenente mentre si apre lentamente lo stomaco, mentre gli cadono le interiora, mentre esala il suo ultimo respiro. È una scena brillantemente scritta, ma resta comunque incredibilmente spiacevole. Sapendo ciò che sappiamo di Mishima (anche lui commise seppuku), sarebbe allettante vedere in “Patriottismo” (soprattutto considerando il titolo) una forma di propaganda, una specie di lettera d’amore al nazionalismo e al suicidio rituale. Indubbiamente descrive il seppuku in modo entusiasta. Ad esempio, secondo Mishima, Shinji “contemplava la morte con sopracciglia severe e con labbra serrate” e “mostrava quale fosse la bellezza virile nella sua forma più superba”.
Tuttavia, è interessante che in quanto parte della raccolta di “Morte di mezza estate”, “Patriottismo” mi è sembrata una storia più sul matrimonio e sull’intimità che sul suicidio. I due personaggi hanno un forte rapporto affettivo, provato non solo dall’accettazione della moglie nel seguire il marito nella morte (muore per suo marito, non per una causa o un principio), ma anche dal modo in cui lui la prega di essere testimone al suo decesso (il che è insolito). Inoltre, facendo ciò lui si fida del fatto che lei lo seguirà e che non cercherà di salvarlo una volta che l’atto è stato cominciato. In effetti, la decisione di morire provoca un’intimità e un amore ancora più forte tra di loro, che arrivano ad avere un rapporto sessuale prima del rituale. Dimenticando per un momento il seppuku, si può considerare la storia un’indagine sull’idea che la mortalità dia slancio alla vita; la morte imminente rafforza l’amore e la gratitudine all’interno della coppia.
“Reiko non aveva tenuto un diario, e le fu ora negato il piacere di rileggere il resoconto della felicità degli ultimi mesi e di affidare ogni pagina alle fiamme”.
Mentre “Patriottismo” è la storia più famigerata della raccolta (e l’ho apprezzata, per quanto possibile), non è probabilmente il migliore. Questo riconoscimento va al racconto che dà il nome alla raccolta, nonché il più lungo. “Morte di mezza estate” inizia in una spiaggia che “per i bagni non è ancora perduta” e dove la sabbia è “bianca e abbondante”. Sono presenti tre bambini con la loro zia, mentre la madre si riposa in hotel. All’inizio sembra tutto idilliaco, ma nell’aria c’è qualcosa di inquietante. Prima di tutto, la madre ha “un’aria fresca da ragazzina”, quasi suggerendo che non dovrebbe ancora avere figli, soprattutto perché non è con loro, li ha lasciati andare via con qualcun altro. Ancora più preoccupante è la frase “si era nel pieno dell’estate e i raggi del sole picchiavano rabbiosi”. Dove o a cosa o a chi è rivolto questo rancore?
Non avremo mai una risposta diretta a questa domanda, ma in breve tempo il significato del titolo diventa evidente. La zia e due dei tre bambini muoiono. Da questo punto in poi, “Morte di mezza estate” diventa un’indagine onesta e commovente sulla natura del dolore. Come era prevedibile, la madre incolpa sé stessa, soprattutto perché la zia non è in vita per assumersi la responsabilità: infatti, paragona informare suo marito (che non era in vacanza con il resto della famiglia) dell’incidente a dover presentarsi di fronte a un giudice. L’ho trovato del tutto credibile, che la persona sia davvero responsabile o meno (e in questo caso direi di no), non è strano sentirsi in colpa di qualcosa quando una tragedia avviene nelle vicinanze. Ci si sente in colpa di vivere, di evitare problemi o la morte. Mishima si sofferma anche sui sensi di colpa provati da coloro che sopravvivono a una tragedia quando si accorgono di star voltando pagina, come se una cosa del genere non dovesse essere possibile se si ha davvero amato la persona defunta. La madre si considera di nuovo una criminale e paragona l’andare avanti con la propria vita al farla franca con un crimine.
Ci sono quasi troppe introspezioni psicologiche; ogni paragrafo, quasi ogni frase contiene qualche costatazione commovente. Come quando il marito riceve la notizia e la paragona al licenziamento. O quando chiede un chiarimento, anche se sa che la notizia non cambierà la seconda volta. O quando la moglie ammette che il dolore dovrebbe essere accompagnato da privilegi speciali. O quando Mishima nota che la morte è una questione amministrativa, che comprende alcune risposte attese e molte cose da organizzare. O, infine, quando sottolinea la povertà delle emozioni umane, laddove la reazione è la stessa sia quando a morire è una persona sola o dieci. Potrei scrivere un intero paragrafo di ognuno di questi temi, ma non lo farò. Voglio solo dire che, come in “Patriottismo”, se “Morte di mezza estate” fosse stato in mani meno capaci e meno sensibili sarebbe stato un racconto eccessivamente melodrammatico. L’autore merita un elogio per aver spostato il cuore del racconto dai bambini morti alla coppia in lutto che sopravvive restando insieme.
Ci sono, ovviamente, altri racconti, ma non mi ci soffermerò. Voglio, tuttavia, indugiare brevemente sulla delicatezza di Mishima in quanto scrittore. A volte mi stanco delle eccessive esplicitazioni, quando i come e i perché e i cosa vengono rivangati in dettaglio. Mishima non lo fa. Al contrario, due racconti mi hanno fatto restare perplessa finché non ho chiuso il libro per pensarci un attimo, poiché ciò che era successo non era immediatamente chiaro, ma ambiguo. Mi piace dover lavorare un po’, impegnare la mia mente, interpretare i gesti e le reazioni. Ad esempio, in “La paura dei thermos”, Mishima non ti dice esplicitamente che la moglie è stata infedele, eppure è sottinteso nel modo in cui “l’altro” parla del figlio della coppia, con autorevolezza, come se lo conoscesse in un modo sbagliato. Penso l’autore l’abbia gestito brillantemente e lo stesso posso dirlo per “Tre milioni di yen”. L’unico racconto che non ha catturato la mia attenzione è stato Onnagata, il che forse la dice lunga sul resto delle storie.
Voto: 8/10
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pleaseanotherbook · 5 years ago
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Raccolte di racconti ne abbiamo? 1° parte
Gennaio è iniziato e sembra durare da un’infinità, giorni e giorni e giorni, e le prossime “vacanze” sembrano ancora lontanissime. Il freddo pungente, l’incertezza di trovare pioggia o sole, la voglia di cioccolata calda accoccolati sotto il piumone non rendono facile l’imperativo categorico di essere attivi. Io per la prima volta dopo anni sto affrontando questo gennaio con molta grinta e pace e non lo avrei mai creduto possibile. I sorrisi che spargo in giro sono proporzionali al sonno che mi trascino dietro e alla mia voglia di letargo.
Ma negli ultimi mesi il tempo per leggere è sempre stato molto risicato e a volte ho preferito leggere volumi più brevi che mi dessero la sensazione di leggere come prima anche se di fatto il numero delle pagine macinate si è notevolmente ridotto. Ecco allora che in mio aiuto è venuta una serie di raccolte di racconti che ho accumulato nell’ultimo anno e che di fatti ho preso in mano solo recentemente, a parte uno dei miei amori grandi Bernard Quiriny (spero venga in Italia presto, L’Orma editore fallo venire al Salone del Libro, se viene svengo). E dal momento che stava diventando un post chilometrico ho deciso di dividerlo a metà. Nella prima parte troverete un breve commento a questi volumi:
Racconti di bestie sagge e animali impertinenti – Jean-Jacques Fdida edito da Ippocampo
Lingua nera – Rita Bullwinkel edito da Edizioni Black Coffee
Le novelle dei morti – Jennifer Radulović edito da Abeditore
Vite coniugali – Bernard Quiriny edito da L’Orma Editore
Enjoy!
Racconti di bestie sagge e animali impertinenti – Jean-Jacques Fdida
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Storie del tempo in cui gli animali avevano la loro da dire, per farci ridere o per lasciarci a bocca aperta. Asino, leone, iena, capra, lumaca, volpe o farfalla… ognuno con il suo cruccio da bestia. Ma le loro avventure si prendono gioco della nostra visione del mondo con una crudezza, un’efficacia e una profondità che gli uomini faticano talvolta a esprimere.
Di questo volumetto dell’Ippocampo mi sono innamorata in una esplorazione fortuita allo stand dell’editore durante il Salone del Libro dello scorso anno. Si tratta di un insieme di racconti brevissimi che hanno per protagonisti animali, parlanti, saggi, inquietanti, ironici, saccenti, ingenui. È un bestiario illustrato che mostra leggente e fiabe, con immagini strepitose e oniriche che riesce a catturare anche il lettore più distratto. Le atmosfere sono quelle classiche, ma le interpretazioni si modificano di volta in volta per rivoluzionare le scene e le azioni. Il leone che da una lezione di umiltà, la iena che non si accontenta, ogni animale incarna difetti e predilezioni dell’uomo per scardinare le convenzioni. Gli animali antropomorfi d’altronde colpiscono sempre l’immaginario collettivo, basti pensare anche al live action de Il Re Leone. A volte riusciamo a capirci meglio, guardandoci attraverso una lente diversa.
Lingua nera – Rita Bullwinkel
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Nei racconti strani e a tratti inquietanti di questa giovane scrittrice al suo esordio letterario i corpi si trasformano in oggetti e gli oggetti in corpi, dando vita a qualcosa di affascinante e inspiegabile, sempre in bilico tra reale e surreale. Un’impiegata sviluppa una profonda fascinazione per la musica d’arpa, una giovane venditrice di mobili trasforma in oggetto d’arredamento il colpevole di un reato indicibile, i prigionieri di un gulag superano in astuzia il loro malvagio carceriere. Scene di vita quotidiana si popolano di spettri, medium e chiese carnivore rievocando umanità e calore attraverso il grottesco. Tra bambine che si procurano terribili ferite e vedove oppresse dai fantasmi dei propri mariti, tutti i personaggi di Lingua nera sono alla ricerca di un modo per scendere a patti con il corpo che hanno e imparare a interagire con quello degli altri nello spazio, per non correre il rischio di precipitare negli abissi della mente. Le voci dialogano oltrepassando i confini dei singoli racconti, si interrogano sull’importanza del contatto fisico laddove il linguaggio non è sufficiente. L’attenzione di Bullwinkel per le potenzialità dell’interazione umana trasforma la raccolta in una lunga catena di storie d’amore (o del loro opposto).
Anche questo volume arriva direttamente dal Salone del Libro, e ha tutto il fascino di racconti esagerati e inquietanti, che non si lasciano indietro nessuna meraviglia. Ogni racconto è uno spaccato a tratti spietato a tratti definitivo, che lascia cadere i fantasmi che popolano la fantasia della Bullwinkel, che rievoca immagini spietate delle sue convinzioni. Ogni racconta ti lascia il dubbio sulla vera natura di ciò che stai leggendo, il confine tra ciò che è vero e ciò che è solo immaginato è difficile da trovare. È più facile buttare all’aria ogni convinzione. Uno dei racconti più impressionanti è proprio quello che dà il titolo alla raccolta, che descrive le vicende di questa donna che da ragazzina ha toccato una presa elettrica con la lingua, rendendola nera. La costruzione della storia, l’incalzare delle vicende, l’orrore che si nasconde tra la corsa verso l’ospedale e la vita dopo che si dipana senza drammi. La Bullwinkel investiga lo spazio che intercorre la nostra intimità e quella degli altri, i limiti da valicare per comprendersi al meglio, il contrapporsi continuo della nostra volontà e quella degli altri e le pulsioni che ci attraversano, inconcepibili, giganti, amare, imprescindibili. La sua scrittura potente rende questo volume un’esposizione affascinante e pericolosa da attraversare con gli occhi spalancati.
Le novelle dei morti – Jennifer Radulović
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"I racconti di Jennifer Radulovic risentono - e non possono non risentirne - di una certa 'musica che gira intorno', e di un ritorno prepotente del gotico ottocentesco nel gusto del pubblico contemporaneo: pellicole come The Woman in Black di James Watkins (2012) o Crimson Peak di Guillermo Del Toro (2015), romanzi come Drood di Dan Simmons (2009) o La casa dei fantasmi di John Boyne (2013), o serie tv come Penny Dreadful (2014) sono tutti esperimenti di annullamento pressoché totale della distanza storica, che di certo esprime un desiderio generalizzato. Ma desiderio di cosa? Confesso - come altre volte nella mia vita - di non poterlo esprimere con parole migliori di quelle di Jack Finney: 'Non avete notato anche voi, praticamente in tutte le persone che conoscete, una ribellione montante contro il presente? E un desiderio crescente per il passato? Io sì. Mai prima di adesso, nella mia lunga vita, ho udito così tante persone desiderare di aver vissuto 'a inizio secolo' o 'quando la vita era più semplice' e 'ne valeva la pena', 'quando potevi mettere al mondo dei bambini e fare affidamento nel futuro' o, più semplicemente, 'ai bei vecchi tempi'. La gente non parlava così quando ero giovane! Era il presente il momento di gloria! Ma parlano così adesso'. L'Ottocento ci manca, c'è poco da fare. Certo, che la vita - allora - fosse più facile è quantomeno opinabile: ma non c'è dubbio che le storie di fantasmi lo fossero, e che fosse più facile spaventarsi (e divertirsi), leggendo di orrori che - di lì a pochi anni - la battaglia della Somme avrebbe mostrato essere fin troppo ingenui."
Quando ho letto “Le novelle dei morti” nel titolo ho capito che questo volume doveva entrare senza dubbio nella mia collezione. Il fascino del gotico di fattura ottocentesca, dalle vaghe atmosfere vittoriane che si respiravano nelle strade londinesi è sempre potente e mi irretisce anche quando è costruito a posteriori. Jennifer Radulovic infatti è una donna della nostra contemporaneità che si è cimentata nella sfida di ricostruire dei racconti insoliti, ricchi e inquietanti come possono solo esserlo quelli dell’orrore e quelli che hanno per protagonista la morte. Il gioco è semplice in effetti, e il paranormale la fa da padrona. Uno strano ottico che costruisce occhiali speciali, una fioraia che nasconde un segreto inconfessabile, la casa infestata da presenze che si riconoscono quando è oramai troppo tardi, in un vortice di angoscia e terrore che non sempre lascia il lieto fine. Si soffre, si tentenna, si conquista la propria paura investigando. Una raccolta mirabile per chi non ne ha mai abbastanza.
Vite coniugali – Bernard Quiriny
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Vivere insieme è un mestiere difficile. Bisogna farci il callo, relegare in un cantuccio le proprie nevrosi e poi, di tanto in tanto, escogitare un diversivo. C’è chi prende di petto la questione e, fatte le valigie, parte alla volta di un arcipelago lontano per svernare con l’amato all’ombra dei banani e chi, come gli idiosincrasici sedentari di Parigi, si limita a peripli di pochi giorni nei dintorni della città. Altri si rifugiano nei libri e consacrano un’intera esistenza a un grande autore, salvo poi accorgersi che era un emerito imbecille. Ma, in fondo, poteva andare peggio: qualcuno, vittima di un fato bizzoso, si ritrova a sposare più e più volte la stessa donna, o a nascere nell’inaccessibile Pomenia, dove due popoli secessionisti, pur di non incontrarsi mai, si riducono a vivere a orari alterni nella capitale contesa. In queste Vite coniugali Bernard Quiriny affonda la penna nell’inchiostro dell’assurdo e traccia un esilarante bestiario borghese, nel quale le contraddizioni di una contemporaneità spesso inospitale si mescolano ai sempiterni paradossi dell’amore e della convivenza.
Bernard Quiriny è diventato rapidamente uno dei miei scrittori preferiti e sono molto contenta di averlo scoperto tra i volumi del catalogo de L’Orma editore, che guarda caso è una delle mie case editrici preferite. La sua potenza sta proprio nel creare ritratti che si discostano completamente dalla logica e che si incastrano in ambientazioni impossibili, città che sorgono dalla pagina e che si conficcano nella mente del lettore. Quiriny in questo volume si interroga sulle relazioni umane, non solo vita matrimoniale ma anche interazioni tra intere comunità, gruppi di persone con interessi comuni, con caratteristiche strane, abitudini impossibili, incertezze e dubbi. Il centro di ogni vicenda quindi diventa l’esistenza umana e la comunità solo un pretesto per interrogarsi più a fondo nelle paure dell’uomo, della solitudine, della sedentarietà dell’amore. Ogni racconto è uno spaccato di vita e di interazioni, di amore e di incertezza che supera ogni definizione e impone una riflessione sul nostro presente, senza mai dimenticare l’ironia che sempre caratterizza la penna di Quiriny.
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pier-carlo-universe · 6 days ago
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I Misteri di Hallowbridge di Antonio Terzo: Un Viaggio tra Segreti e Oscurità. Recensione di Alessandria today
Antonio Terzo ci regala un'opera ricca di suspense e mistero con "I Misteri di Hallowbridge", un thriller psicologico che esplora il passato e le sue ombre attraverso una storia ambientata in un piccolo paese circondato da un inquietante bosco.
Un romanzo avvincente tra leggende, amicizia e colpi di scena. Antonio Terzo ci regala un’opera ricca di suspense e mistero con “I Misteri di Hallowbridge”, un thriller psicologico che esplora il passato e le sue ombre attraverso una storia ambientata in un piccolo paese circondato da un inquietante bosco. Tra leggende locali e verità scomode, il romanzo si sviluppa in un crescendo di tensione…
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daimonclub · 1 year ago
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Un buon libro per Natale
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Albero di Natale di libri Un buon libro per Natale, in questo periodo di feste e di pandemia vi consiglio Curarsi con i libri un regalo intelligente per tutti che sfrutta i rimedi millenari della letteratura per lenire molti dei nostri disagi. Nel momento in cui ci si chiede il significato ed il valore della vita, si è malati. Sigmund Freud Qualunque sia il vostro disturbo, la nostra ricetta è semplice: un romanzo (o più d'uno) da leggere a intervalli regolari. Ella Berthoud e Susan Elderkin Non limitarti a dire che hai letto libri. Dimostra che attraverso loro hai imparato a pensare meglio. Epitteto Biblioterapia, ramo della medicina che cura certi disturbi dell'esistenza con la somministrazione di opere di narrativa. Ella Berthoud e Susan Elderkin I libri sono la cura per ogni malessere, ci mostrano le nostre emozioni, una volta, e poi ancora una, finché non riusciamo a dominarle. D.H. Lawrence La malattia è il medico al quale prestiamo più attenzione; alla gentilezza, alla conoscenza, facciamo solo promesse; al dolore obbediamo. Marcel Proust Scegliete sempre un libro che vi faccia fare bella figura se passate a miglior vita prima di averlo finito. P.J. O'Rourke In questo periodo di feste, e purtroppo di pandemia, voglio consigliare Curarsi con i libri, veramente un ottimo libro che potrebbe essere l'oggetto di un regalo intelligente un po' per tutti, proponendone sia una piccola sintesi introduttiva degli autori stessi, sia un paio di pagine relative al Natale. La letteratura si basa fondamentalmente sul linguaggio, e quest'ultimo è stato elaborato nel corso dei secoli per comunicare, vale a dire per mettere in comune quello di cui c'è bisogno, ovvero condividere informazioni, dati, notizie, storie, consigli, esempi, ammonimenti, leggi, e naturalmente gioie e dolori. Ecco, non sempre una buona e rapida comunicazione è alla base delle nostre relazioni e soprattutto dei rapporti tra medici e pazienti. Le varie problematiche sono dovute sia ad una certa disorganizzazione della nostra società, sia ad una certa ignoranza e incapacità dei vari attori della stessa. Per questo il linguaggio e la letteratura possono sempre servire, oltre che a migliorare le nostre conoscenze, anche a stimolare la comunicazione effettiva tra i vari artefici delle diverse attività umane, migliorandone così la qualità e l'efficacia. In ogni caso spero comunque che questi miei suggerimenti possano almeno aiutare tutti ad essere un po' più disponibili e ad avere più a cuore sia la cura di noi stessi, sia quella dei nostri simili e dell'ambiente in cui viviamo. Carl William Brown
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Natale nella vecchia Londra Curarsi con i libri I farmaci che prescriviamo non si trovano in farmacia quanto in libreria, in biblioteca, oppure sul proprio lettore di e-book. Siamo biblioterapiste, e i libri sono i nostri ferri del mestiere. La nostra farmacopea include balsami balzachiani, lacci emostatici tolstoiani, pomate di Saramago e purghe di Perec e Proust. Per compilarla abbiamo spulciato duemila anni di letteratura in cerca delle menti più brillanti e delle letture più ricostituenti, da Apuleio, che nel II secolo scrisse L'Asino d'oro, ai tonici contemporanei di Ali Smith e Jonathan Franzen. La biblioterapia è diffusa, sotto forma di libri di auto-aiuto, da alcuni decenni. Gli amanti della letteratura, tuttavia, utilizzano i romanzi come rimedio, più o meno consapevolmente, da secoli. La nostra fiducia nell'efficacia della narrativa come forma migliore e più pura di biblioterapia si basa sulla nostra esperienza con i pazienti ed è corroborata da una valanga di aneddoti. A volte è la storia che affascina; a volte il ritmo della prosa che lavora sulla psiche, calmandola o stimolandola. A volte un pensiero o un atteggiamento suggeriti da un personaggio che si trova invischiato in un dilemma simile. In qualsiasi caso i romanzi hanno il potere di trasportarci in un'altra esistenza, e farci guardare il mondo da un altro punto di vista... "Leggere uno scrittore, per me, non è solo avere un'idea di quello che dice, ma anche partire con lui e viaggiare in sua compagnia" disse André Gide. Nessuno torna da un simile viaggio come la stessa persona. Qualunque sia il vostro disturbo, la nostra ricetta è semplice: un romanzo (o più d'uno) da leggere a intervalli regolari. Alcuni trattamenti porteranno a una completa guarigione. Altri invece vi porteranno semplicemente conforto, dimostrandovi che non siete soli. Ma tutti, alla fine, offriranno un temporaneo sollievo dei sintomi, grazie al potere di distrarre e trasportare della letteratura... Come per ogni medicina, il trattamento deve essere sempre concluso per ottenere i migliori risultati. Ella Berthoud e Susan Elderkin
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Canto di Natale di Charles Dickens Canto di Natale di Charles Dickens e Natale in casa Cupiello di Eduardo De Filippo Natale può essere uno di quei momenti in cui vi sembrerà di dover affrontare tutti i vostri problemi in una volta sola. Se avete una famiglia numerosa sarete in trappola sotto lo stesso tetto insieme a una notevole quantità di parenti (v. Famiglia, gestire la propria), che potrebbe includere un certo numero di bambini sovraeccitati (v. Maternità; Paternità; Intrappolati dai bambini). È probabile che in un mese spenderete tanto quanto, di norma, spendereste in tre (v. Al verde, essere al); di sicuro mangerete troppo (v. Gola; Obesità), farete molta aria (v. Flatulenza) e forse vi verrà pure la diarrea (v. Diarrea), o magari il contrario (v. Costipazione), e alla fine pagherete anche pegno per aver bevuto troppo (v. Sbornia, postumi della; oppure, se siete reduci da molti Natali punitivi, Alcolismo). Se siete sposati o fate coppia fissa, uno di voi senza dubbio litigherà con i suoceri e per questo potrete litigare tra voi (v. Sposati, essere). Se siete fidanzati, probabilmente sarete costretti a rispondere a varie domande personali su questa relazione (v. Coming out, fare; Bambini, essere sotto pressione per avere). Se siete single, infine, vorranno sapere perché (v. Single, essere) e questo potrà farvi desiderare di non esserlo e lasciarvi in preda a una terribile solitudine (v. Solitudine). Se non avete una famiglia numerosa, o se passate il Natale da soli con il vostro cane, potrete certamente sentirvi soli (di nuovo, v. Solitudine) o sentire la mancanza dei vostri famigliari. Tutto considerato, l'esperienza del Natale può condurre alla perdita della fede (v. Fede, perdere la) e al desiderio di chiudersi in un armadio, al buio, da soli (v. Misantropia). In queste pagine potrete trovare la cura per ognuno di questi disturbi. Come misura preventiva leggetele un po' per volta, nel corso dell'anno, e fatevi forza in vista del grande giorno. Quando arriverà, annunciate alla vostra famiglia, al partner, alla nonna o alla vostra pianta che, invece di guardare il solito film in TV, nel giorno di Natale leggerete a voce alta, intorno al camino acceso, con a portata di mano caldarroste e vin brulé, un libro per tutte le età: Canto di Natale di Charles Dickens. È una splendida storia di fantasmi. Ebenezer Scrooge: un uomo solo, vecchio, avaro, cattivo. Bob Cratchett, il suo impiegato: umile, sfruttato, maltrattato, eppure allegro. Tiny Tim, il figlio di Cratchett: adorabile, patetico, in punto di morte. Jacob Marley, un collega di Scrooge: ansioso, vendicativo, allarmista, morto. Tutti insieme raccontano una storia che ha il fascino e il con-forto di un classico per bambini ma è capace di rivolgersi anche a un pubblico adulto. Gustatevi quelle apparizioni spettrali. Restate sgomenti per l'inutile avarizia di Scrooge e per l'eterno rinvio del suo matrimonio. Versate calde lacrime di compassione per Tiny Tim.
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Natale a Napoli Fate festa con tutti, alla fine. «Sono leggero come una piuma, felice come un angelo, allegro come uno scolaretto. Sono stor-dito come un ubriaco», canticchia Scrooge. È colpa di Dickens se ci aspettiamo sempre un bianco Natale; è lui che per primo ci ha esortati a «onorare il Natale nel cuore», a fare festa e a dare agli altri tutto ciò che possiamo, in altre parole, è in gran parte responsabile per avere trasformato il Natale in quello che è adesso. Dunque, tocca a voi trasformare Dickens in una tradizione che si ripete ogni anno. Un gradevole senso di calore si diffonderà nel vostro cuore mentre leggete, e nel cuore dei vostri consanguinei. Anzi, forse scoprirete che l'anno dopo andrà ancora meglio. E se sarete soli a Natale, offritevi di leggerlo ai vicini. Con la vostra migliore voce dickensiana. Intervenendo nella loro dinamica famigliare potreste aiutarli più di quanto pensiate. Ma se vi piace il teatro, per superare tutto il trambusto di questo periodo di festa e trasformarlo in una sarabanda tragicomica sempre restando nel solco della tradizione, potreste affidarvi anche alle battute di un altro scrittore che conosceva bene le voci dei fantasmi di dentro e di quelli di fuori: Eduardo De Filippo. Natale in casa Cupiello fu rappresentato, nella sua prima versione come atto unico, il 25 dicembre del 1931 a Napoli. Intorno all'ignaro patriarca Luca Cupiello, che si occupa esclusivamente di costruire e salvaguardare il suo presepe, va in scena l'esplosione definitiva di ogni illusoria armonia familiare, una danza di ipocrisie, tradimenti e disinganni. Lo schema eduardiano della riunione di una famiglia per un ultimo grande Natale si riproporrà, in un'altra latitudine e nel primo anno del nostro nuovo secolo, ne Le correzioni di Jonathan Franzen, più o meno con gli stessi esiti: una condanna all'allucinazione e alla demenza per il capostipite. Rammentatelo, quindi, il giorno che vi troverete seduti a capotavola in una cena o in un pranzo di Natale: forse fareste bene a prenotarvi un viaggio alle Hawaii. Tratto dal libro Curarsi con i libri. Rimedi letterari per ogni malanno. Ella Berthoud e Susan Elderkin Sellerio Editore
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Curarsi con i libri Se amate il Natale, le feste e la letteratura potete anche leggere i seguenti articoli: Aforismi e citazioni sul Natale Aforismi divertenti sul Natale Barzellette sul Natale La fiaba del pupazzo di neve Aforismi di C.W. Brown sul Natale Pensieri e riflessioni sul Natale Numeri sul Natale Odio il natale (Umorismo) A Christmas Carol by Charles Dickens Other books by Charles Dickens Fairy tales and other stories by Hans Christian Andersen Best Christmas songs videos and karaoke Christmas markets in England Christmas markets in America Christmas markets in Italy and Germany Christmas quotes 60 great Christmas quotes Christmas tree origin and quotes Christmas jokes Christmas cracker jokes Funny Christmas Stories Amusing Christmas stories Christmas food Christmas thoughts Christmas story Christmas in Italy Christmas holidays Christmas songs Christmas poems An Essay on Christmas by Chesterton Read the full article
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queerographies · 6 years ago
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Accolto al suo apparire in Inghilterra da uno strepitoso successo di pubblico e di critica, Il party è uno dei piú riusciti romanzi sul lato oscuro e morboso delle relazioni umane [Il party][Elizabeth Day] Burtonbury, un ex collegio maschile per i figli dei diplomatici, è una scuola privata con una discreta reputazione e la vana ambizione di poter essere un giorno all’altezza di Eton o di Harrow.
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giuliocavalli · 7 years ago
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Su Pier Vittorio Tondelli
Su Pier Vittorio Tondelli All’autore di Altri libertini, Pao Pao, Rimini, Camere separate, Un weekend postmoderno e l’Abbandono  è dedicato il saggio Lo scrittore giovane – Pier Vittorio Tondelli e la nuova narrativa italiana (Bompiani) di Roberto Carnero, professore a contratto di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso l’Università degli Studi di Verona. Ecco la postfazione (Bompiani/Giunti editore 2018) di Enrico Palandri È forse ancora presto per dare una definitiva sistemazione storica del lavoro di Pier Vittorio Tondelli, cercando di giudicare il valore letterario dei suoi libri o il significato della sua vera e propria campagna, per lo più vincente, per un rinnovamento del pubblico e della scena letteraria in Italia negli anni ottanta. Il guaio dei contemporanei, e più ancora degli amici o dei parenti, è di avere molte informazioni che farebbero venire l’acquolina in bocca al filologo di una prossima generazione, ma di non saperle leggere. Se il giovane Gioberti poteva vedere in Leopardi la straordinaria luminosità delle sue qualità dopo un viaggio in carrozza, poco o nulla ne capirono i suoi genitori, poco, tutto sommato, anche i fratelli, pochissimo le donne che amò e poco, in generale, i contemporanei, fatta eccezione per Giordani che del resto, come gli altri, non seppe superare gli ostacoli della difficile dimestichezza con lui per leggere, come leggiamo noi oggi, attraverso la sua poesia, un mondo di straordinarie, profondissime intuizioni. Se queste difficoltà fossero dovute al carattere o al fatto che puzzava, secondo la celebre risposta della Fanny Targioni Tozzetti a Matilde Serao, o piuttosto alla miopia fin troppo pia dei sodali, a cominciare da Ranieri, è difficile dirlo. Nel caso di Leopardi, come ha raccontato René de Ceccatty in un bel libro pubblicato in Italia da Archinto (Amicizia e passione, 2014), sono stati si direbbe i tormenti di una sottomissione a portare Ranieri a ricostruirne il lavoro, pubblicarne e promuoverne le opere, fino al gesto ostile, quando ormai era vecchio, del brutto libro sui sette anni di sodalizio. Anche per Tondelli molto è indubbiamente dovuto alla fiducia e alla tenacia di Fulvio Panzeri, che non solo ne ha curato l’opera per Bompiani, ma è stato in questi anni un promotore di iniziative, come il seminario che si tiene annualmente a Correggio. Sono stati appuntamenti importanti, ne sono nate tesi di laurea e di dottorato e il lavoro di Pier Vittorio Tondelli è stato guardato con attenzione e vivacità non solo dai coetanei, ma da molti più giovani di lui. Gianni Celati una volta disse che sembrava ci fosse un partito intorno a Tondelli. Questa osservazione, per quanto ironica, è piuttosto appropriata. Intorno a Tondelli si sono raccolti le attenzioni e gli affetti di chi, attraverso di lui, voleva promuovere un nuovo orizzonte di relazioni umane, e questo è in gran parte avvenuto. Per l’Italia e non solo per la letteratura, e soprattutto per le persone che attraverso il suo lavoro hanno vissuto l’emancipazione della propria vita emotiva dall’ambito ristretto e provinciale così finemente descritto in Camere separate a una dimensione più aperta e consapevole, questo vale molto più della letteratura. Le conquiste ottenute non solo dalle organizzazioni per i diritti civili degli omosessuali ma più in generale da chi cercava di dare cittadinanza a nuove forme di solidarietà che nella società affiancavano la famiglia, sembrano la risposta ad alcune pagine, belle e politiche, dove il protagonista Leo immagina un mondo futuro che sia in grado di accogliere il suo lutto per la scomparsa del compagno Thomas. In diverse occasioni pubbliche, a Correggio e a Reggio Emilia, mi sono sentito chiedere se questa attenzione di cui ho sempre cercato di parlare in modo concreto e non sentimentale, costruisca valore letterario, se insomma Tondelli andrà oltre il suo tempo e se con lui ci andremo noi che abbiamo amato i suoi libri. È una domanda a cui ovviamente non sono in grado di rispondere: deve farsi silenzio intorno al lavoro di uno scrittore che in un certo modo è il contrario del dolce rumore della vita, come lo chiama Sandro Penna in un celebre verso, perché le opere ci parlino con il timbro indistinguibile di una voce. Devono farsi obsolete le opinioni politiche, i manierismi delle cricche letterarie e sociali, deve morire il rumore del mondo perché riemerga il timbro con cui un autore ha affermato il proprio contrasto con la sua epoca. Pier è stato importante per ragioni troppo diverse, nella nostra generazione, perché si possa riuscire ad ascoltare la sua voce senza distrazioni, anche quando non si pretende di dare un giudizio ma semplicemente di chiarire alcuni contenuti. È proprio quello che fa, in parte, questo bel saggio di Roberto Carnero, ripercorrere le tappe; pur sentendomi incapace di dire cose utili, sapendo di essere io il contemporaneo che non capisce perché troppo condivide e quindi non può che accennare a ciò che ha intensamente avvertito intorno al lavoro e all’amicizia di Pier, non voglio neppure sottrarmi alla richiesta di Carnero e voglio dire quello che posso su di lui. Paolo Di Stefano, recensendo sul Corriere della Sera il numero di “Panta” che dedicammo a Pier dopo la morte, citò qualche mia frase accusandomi di non riuscire a vedere se le qualità che attribuivo a Pier si facessero davvero letteratura. Aveva probabilmente ragione, ma anche oggi, a distanza di tanti anni, non saprei cosa aggiungere a quanto dissi allora. Ho anzi la sensazione che se qualcosa resterà non è per quel che lui o altri hanno aggiunto, ma se mai sottratto. In questo Tondelli non è stato aiutato dal giornalismo. Non solo nel Weekend postmoderno, ma in molti punti cruciali dei romanzi, si vede Pier così radicato nel proprio mondo che è difficile farglielo trascendere. Ma se anche il contesto è mutato, il Weekend resta per tanti aspetti un libro che trovo interessantissimo, proprio per il modo in cui Pier interloquisce, da giornalista culturale, con la variegata realtà che ha attorno. Accade anche al Pasolini che io preferisco, quello degli Scritti corsari, che oggi avrebbero bisogno di un vero apparato di note per essere comprensibili. Ma anche questa mia difficoltà interloquisce appunto con ciò che ci siamo lasciati alle spalle, e, per quanto mi riguarda, è vero che non posso promuovere Pier nel Parnaso, per i miei innumerevoli limiti e, di fronte a Pier, anche per l’amicizia che, con la sua morte, è diventata ancora più complessa per l’impegno della memoria. Sebbene io non abbia fatto quasi altro, nella vita, che scrivere e pensare ai libri, la letteratura non è mai stata la cosa più importante; sono state e sono infinitamente più ricche di influenze le persone che ho incontrato, e tra queste ci sono certo, accanto agli amici e alle amiche con cui ho condiviso la conversazione e le stagioni, poeti, musicisti e scrittori che non ho conosciuto personalmente. Ci sono i miei familiari, con cui oltre che alle stagioni abbiamo vissuto una transtoricità che è arbitraria e al tempo stesso fondante del nostro stare al mondo. Gli autori che ho amato sono per me sempre usciti dalla letteratura per entrare a far parte, con le loro preoccupazioni, dell’orizzonte confuso e innamorato della mia vita di ogni giorno. La loro corrispondenza, o persino, negli anni per me più duri economicamente, una forma di solidarietà con la povertà di alcuni di loro che me li affraternava, ha accompagnato non solo la lettura, ma certi ritorni a casa notturni, solitari, dopo una notte amorosa (e poco conta se d’amore corrisposto o deluso), certi vagabondaggi per le strade d’una città, il nascere d’una amicizia o il compiersi di un addio. Non ho mai interpretato quel che facevo scrivendo e leggendo come la santificazione di una sensibilità superiore, che così spesso mi ricorda la giustificazione di un privilegio sociale, ma come il mio modo di stare nelle cose ed è lì, non nella letteratura, che ho incontrato Pier, e se qualcuno torce il naso perché così non si passa un esame critico, forse avrà pure ragione, ma l’odore che c’è qua fuori è così buono e intenso che io non ho nessuna intenzione di lasciarlo per ottenere diplomi. È nell’odore del mondo, tra le voci che si caricano di sensazioni, che ha le sue radici la scelta di Pier e in questo le sue scelte estetiche le sento fraterne. Ogni suo libro è un po’ come una lettera, un lungo biglietto agli amici, scritto da un certo punto nella vita a chi lo segue e ascolta. Certo non a chi si sente seduto sullo scranno di un’anonima letteratura italiana e fa il vaglio di quel che va bene e quel che va male, come se potesse davvero prendersi sul serio uno scranno del genere. Messe le mani avanti, c’è da aggiungere che alle mie difficoltà personali se ne sommano altre meno soggettive: non solo troppo poco tempo è trascorso dalla morte di Pier per mettersi a fare dei bilanci, ma il fatto che sia morto così giovane fa sì che la sua influenza, il modo in cui aveva percepito l’evolversi di certe trame, sia ancora vitalissima, come dimostrano i tanti che scrivendo sentono di riconoscergli un ruolo. I due versanti della sua attività di scrittore, quello delle opere letterarie e quello dell’attività editoriale, sono ancora discorsi aperti e a me sembra che si possa solo indicare gli elementi che in questi ambiti sono in movimento. Mi sembra innanzitutto utile ricostruire il quadro in cui apparvero i suoi libri, per spiegare tra quali spinte si inseriva, chi reagì e come, cosa ne fece il pubblico. C’è in primo luogo una barriera generazionale molto netta: Tondelli ha avuto una grande importanza per i suoi coetanei e per quelli più giovani di lui, ma non è stato quasi capito da chi era più vecchio. Io reagii, magari anche scompostamente, a una pagina di Alberto Arbasino su “Repubblica” quando Pier morì, forse perché sapevo quanta ammirazione e affetto aveva Pier per lui. Il tono un po’ liquidatorio con cui Arbasino, che pure ne piangeva la morte, parlava del contesto in cui era cresciuto Pier, mi sembrò allora ingiusto. Così pure Goffredo Fofi e il gruppo di “Linea d’ombra”, sempre un po’ troppo compatto, mantenne per tutti gli anni ottanta un tono piuttosto sufficiente nei suoi confronti. Per non parlare di Angelo Guglielmi o dei tanti altri che ostentarono una superiorità in nome di un’idea di letteratura che, a così pochi anni di distanza, è di una straordinaria eloquenza sulla propria miopia. Questa sufficienza, il senso di superiorità, lo ritrovo spesso quando, in dibattiti o in interviste, mi si invita a liquidare a mia volta il lavoro di Pier come fosse uno scrittore sopravvalutato di cui bisogna riprendere, anzi restringere, le misure. Eppure se c’è una sopravvalutazione non è certo reperibile nel mondo della critica o della letteratura. Pier non ha mai vinto un premio e non mi sembra sia stato il darling di nessuna delle nostre scuole letterarie; non è insomma la critica, che non lo ha mai molto lodato, a dover restringere le misure. Piuttosto si dovrebbe allargare il discorso, e in questo il lavoro di Carnero non può che essere prezioso. Tuttavia Carnero testimonia bene l’attenzione per il lavoro di Pier, ma è già un suo postero. Può essere utile, invece, ricordare l’attrito che la pubblicazione dei suoi libri provocò nell’Italia di allora, nominare alcune delle resistenze con cui vennero accolti. La diversa valutazione di Tondelli rispetto a quella che ne offrì la critica a lui contemporanea non è data dalle vendite e neppure da una riconsiderazione critica, ma piuttosto dalla scia che si allarga dietro di lui, che comprende molti nuovi autori, che testimonia una trasformazione della società italiana avvenuta nel corso degli anni settanta e che, nel momento di passaggio, tra il ’79 e l’82, mostrava molti dei suoi elementi vitali. A questa centralità di Pier Vittorio per i più giovani non si può che dare il benvenuto, ma si rischia di non vedere la solitudine di Pier e degli altri, le ragioni della non integrazione di una generazione intera con l’Italia di quegli anni. Si rischia di non vedere la furibonda omofobia di quegli anni. Finiva, negli anni settanta, una fase iperpoliticizzata, chiusa in una visione piuttosto asfissiante, tra ortodossie ed eterodossie marxiste, militanze cattoliche e organizzazioni fasciste; la società adulta era del tutto inadeguata ad accogliere e articolare le curiosità e gli interessi di chi come Pier aveva modelli letterari poco nazionali. Non è solo lo spirito di Autobahn a guardare al Nordeuropa, ma un po’ l’aria che si respira in tutto il suo lavoro, così lontana dai calligrafismi delle avanguardie letterarie e dagli impegni subordinati alla politica dei marxisti, a evadere dalla nostra tradizione. Il benvenuto che lui dà alla moda e in generale alla stravaganza degli anni ottanta è la ragione principale della disapprovazione di “Linea d’ombra”. Credo che lo abbiano trovato un confusionario; a me pare che senza attraversare la confusione di Pier si rimane un po’ al di qua di una frontiera, nelle ortodossie che poi inevitabilmente si trasformano, in un quadro ideologico frammentario come il nostro, in autoritarismi un po’ velleitari e giudizi allegramente arbitrari. “Linea d’ombra” è nata con un progetto importante grazie a un’intuizione significativa di Fofi: è vero che una linea d’ombra fosse passata allora attraverso la letteratura facendole abbandonare temporaneamente la politica, ma le difficoltà che hanno continuamente contrapposto il nucleo di origine ideologica della rivista agli autori con cui via via si è incontrata e poi scontrata (Claudio Piersanti e Giorgio Van Straten, per fare qualche nome, ma ce ne sono altri), e l’aver così poco capito Pier Vittorio, segnano un po’ il limite dell’esperienza della rivista piuttosto che quello di Tondelli. Le poesie e la letteratura non salvano nessuno, non vogliono essere votate né da una giuria né dal popolo per ottenere un mandato, non promettono nulla. Gli autori si mettono in ascolto della realtà in un suo punto sensibile, questo è tutto. Non possono organizzarsi e non possono venire organizzati. C’è probabilmente una componente di narcisismo e megalomania (ma davvero solo negli artisti?), che però può aiutare a riflettere su altre cose, sull’amore e la morte e certo, anche sulla giustizia, ma non per prospettare una trasformazione, solo per raccontare, come hanno sempre fatto gli scrittori, da Dante a Primo Levi. Persino l’ingiustizia sociale, per uno scrittore, finisce con l’essere elemento di un libro. In quanto cittadino, chi scrive è sottoposto come tutti ai casi della storia e può aderirvi o meno, ma in quanto scrittore, proprio come Pier, è interessato a trasformare il mondo che ha di fronte in tessuto del suo racconto; non può mettersi a suonare nessun piffero e se lo fa, prima o poi sceglierà (e può essere una scelta eticamente più alta) la politica, l’agire tra gli altri e il capitanare le loro scelte. Ma questo è diverso dall’ascoltare il mondo, che vuol dire ascoltare le invenzioni fantastiche di Boiardo, Ariosto, Calvino mentre naturalmente, come sempre, intorno a noi c’è anche la fame e la guerra. Questo non significa che la realtà venga estetizzata o che vi sia una rinuncia morale; la buona letteratura si tiene alla larga da entrambi questi pericoli, ma il suo rigore è diverso dall’organizzazione, dal volontariato, anzi diffida intimamente dell’agire, perché non ha nel cuore la salvezza dell’umanità, ma il capire gli uomini. Per “Linea d’ombra” ciò che davvero irritava di Pier, e di numerosi altri, era l’irriducibilità del suo innegabile impegno a un impegno politico, e in questo è il primo autore che ci ha portato oltre la contestazione. Senza banalizzare, in forza di una diversità generazionale. Il dissenso di Arbasino, e dietro di lui di Guglielmi e un po’ di tutti quelli legati alla Neoavanguardia, è più complesso. Pier aveva studiato al DAMS, che in quegli anni era una roccaforte del Gruppo 63. Vi insegnavano, tra gli altri, Eco, Celati, Barilli, Giuliani. Il contributo più importante del Gruppo 63, soprattutto nella sua fase originaria, fu lo scontro, che non si è mai veramente concluso, con una certa idea di cultura. Le belle pagine di Apocalittici e integrati in cui Eco descrive la funzione quasi sacerdotale di certi letterati nell’accogliere o respingere gli autori in un’idea di cultura alta, spesso superficialmente pomposa e retorica, lasciano intuire i problemi che dovette affrontare da giovane con la sua generazione. Tra i protagonisti del Gruppo 63 c’era certo anche gente più vicina ai modelli di Pier: non erano ripiegati su una tradizione nazionale ma avevano visto un po’ d’Europa e di America, sapevano cosa fosse un’industria culturale e quanto l’idea di cultura alta, ancorata ai licei classici e condannata a nutrirsi di sensiblerie, avesse fatto il suo tempo. Al di là dei modi poco cortesi, a parer mio, con cui attaccarono personalmente autori significativi (ma la scortesia, anzi un tono astioso e meschino, è grave anche nei confronti di quelli meno significativi ed è rimasta una venatura purtroppo profonda, caratterizzante, anche negli anni successivi, per alcuni di loro), c’era una battaglia da combattere, che per una parte del gruppo trovò il suo sbocco naturale nel Sessantotto e per altri seguì altre vie. Sicuramente, però, le battaglie del Gruppo 63 contribuirono ai profondi cambiamenti della società italiana da cui venne fuori Pier Vittorio. Adesso bisogna chiedersi se gli strali retorici lanciati da giovani e da una rivista come “Il Verri” contro l’establishment, non cambino di segno quando vengono lanciati, a un’altra età e dai quotidiani e settimanali più venduti del paese, contro i più giovani. Se insomma, detronizzati i vecchi satrapi della cultura italiana, molti di loro non si siano ritrovati seduti, non so quanto involontariamente, sugli stessi scranni, solo più incattiviti e acidi. Cosa non si perdona a Pier da parte di quell’ambito è abbastanza evidente: lo stile, le scelte ideologiche, tutto nei libri di Pier è straordinariamente indisciplinato e non offre nessun ossequioso omaggio ai protagonisti del Gruppo. L’ammirazione per Arbasino ha in alcuni punti della sua produzione una influenza riconoscibile, ma in generale Pier è di un’altra razza. Inoltre è ingrato. Si trova in un certo senso il pranzo pronto e non sa riconoscere chi l’ha cucinato. Gli interessa andare oltre, non continuare una scuola. La libertà nelle scelte letterarie, come nei comportamenti, è figlia da un lato della battaglia del Gruppo 63 e dall’altra dei movimenti degli anni settanta. L’abisso, per esempio, che c’è tra la sua omosessualità,  tutto sommato serena, come mostra bene Carnero, comunque non più impugnata come elemento di scontro con la norma, e quella sofferta di un Comisso o quella politicamente aggressiva di un Pasolini, si deve alle coraggiose battaglie civili del FUORI e più in generale alle aperture di quegli anni. Quando poi, all’inizio degli anni ottanta, con la sconfitta della sinistra radicale, riapparvero abitudini nel mondo della cultura che nel decennio precedente o erano state sospese o avevano perso influenza, perché il dibattito culturale non era avvenuto all’interno delle istituzioni ma tra le istituzioni e un mondo giovanile sempre più disgregato e ribelle, il ruolo di questi intellettuali mutò notevolmente. Se negli anni settanta non si pubblicava nulla di giovane perché con quel mondo c’era una guerra (non solo quella delle Brigate rosse, ma una guerra a tutto campo che nell’editoria implicava o la scelta di una strada militante, assai poco adatta alla letteratura, o scarsissime possibilità di pubblicare), negli anni ottanta anche i grandi editori iniziarono ad accogliere nuovi autori; la generazione del Gruppo 63 riprese la sua battaglia, ma da una posizione sostanzialmente nuova. La mancata maturazione di molti dei suoi esponenti portò a ridurre, in modo irritante, concetti duttili, impugnati con fantasia nella passata stagione, a luoghi comuni svuotati. Che Susanna Tamaro vada bene perché scrive con frasette brevi e un altro invece non vada bene perché usa frasi troppo lunghe ha qualcosa di ridicolo. È a ben altro che bisogna guardare e se di stile si vuole parlare non ci si può ridurre a formulette tanto banali. I progetti e le utopie che in un’epoca diversa avevano avuto una funzione, si sono degradati a feticismo linguistico, al tentativo di reperire nel nuovo le tracce di quel che si era, perdendo completamente di vista la complessità dei significati. Umberto Eco, che è l’unico ad avere avuto una comprensione significativa dei problemi della linguistica, non si è mai azzardato a farne l’uso balordo che ha invece caratterizzato altri nel Gruppo 63. C’è poi qualcosa di paradossale nel celebrare i quarant’anni o i cinquanta di un’avanguardia, che nasce – se è autentica – da una frattura nella storia, e non si mantiene in aeternum con i sussidi di un assessorato. Era ormai un’altra età, l’invettiva aveva perso la sprovveduta freschezza di chi opera in un cambiamento e aveva invece inevitabilmente costruito una complessa genealogia; la prosa di molti ex membri del gruppo era diventata opaca, rancorosa, e soprattutto parlava a un’Italia completamente diversa. Arbasino pubblicò feroci stroncature collettive, Guglielmi continuò i suoi poco invidiabili anni d’intolleranza, Giuliani stroncò per l’ennesima volta la Morante, insomma si scatenò una polemica ininterrotta e a trecentosessanta gradi che diede un doloroso segnale di quanto faticoso fosse stato anche per loro vivere le trasformazioni di quegli anni. Gadda, innalzato come un vessillo (e quindi travisato, enfatizzando gli aspetti stilistici e comprendendo poco quelli psicologico-contenutistici), non veniva più letto; ancora oggi dalle schiere della ex neoavanguardia salta fuori ogni tanto qualcuno che si mette a fare strampalati confronti tra quello che loro vedevano annunciato in Gadda come futuro della letteratura e quello che oggi si scrive. La conclusione che forse si dovrebbe umilmente trarre è che non erano in grado, nel caldo della polemica, di elaborare un canone alternativo. Come ho detto, non voglio certo essere io a proporne uno nuovo e tantomeno a restaurarne uno precedente. Vorrei che il campo fosse aperto, ecco tutto. Era proprio la questione dello stile, così centrale per quella generazione, a essere estranea ai nuovi autori, almeno nei termini in cui era stata posta. Pier, con l’energia che lo ha sempre caratterizzato, avvertiva con urgenza la necessità di aprire la letteratura alla contaminazione con il cinema, la musica, la pittura, la moda. Una scrittura troppo sofisticata, dove se non era l’abolizione della punteggiatura era l’uso spregiudicato degli anacoluti, non avrebbe avuto alcuna speranza di entrare nei consumi culturali di una nuova generazione. Pier voleva partecipare di un mondo che premeva da fuori della letteratura e inevitabilmente, difendendo la propria visione, il Gruppo 63 aveva finito con l’arroccarsi entro una serie di parole d’ordine. Con Il nome della rosa, con cui Eco voltò pagina, divenne evidente che i talenti più significativi del gruppo originario (Vassalli, Celati) avevano fatto ormai molta strada per conto proprio, erano diventati come tutti persone che cambiano modo di vivere, di vedere le cose. Con questi il confronto è rimasto aperto e in Pier Vittorio si trovano numerose tracce riconducibili a Eco o a Celati. Altri hanno invece continuato a ribadire un ripudio, ora articolato, ora generico, che al di là delle opere si rivolgeva in realtà alla generazione. Sul valore delle opere di Pier, come dicevo, è comunque presto, almeno per me, per esprimere un giudizio definitivo. Quello che a me pare più interessante, in una produzione così eterogenea, è la libertà che ha sentito nel fare le proprie scelte, e la capacità di rinnovarsi che ha mostrato soprattutto in Camere separate. Ho scritto in un’altra occasione (Altra Italia, “Panta”, 9, 1992) cosa trovo particolarmente significativo, soprattutto nel racconto Postoristoro che apre il suo primo libro e in Camere separate. Non voglio tuttavia sovrappormi, a questo proposito, all’attenta ricostruzione del percorso letterario di Pier Vittorio fatta da Carnero, che offre una prospettiva decisamente diversa dalle due a cui ho fatto cenno, quella politica e quella della Neoavanguardia, e che sono state per così dire quel che c’era a monte di Pier. Carnero invece è a valle, sembra fortunatamente oltre le difficili battaglie che Pier ha dovuto sostenere, fuori dai gruppi come tutti noi, per esprimere il suo mondo poetico.
All’autore di Altri libertini, Pao Pao, Rimini, Camere separate, Un weekend postmoderno e l’Abbandono  è dedicato il saggio Lo scrittore giovane – Pier Vittorio Tondelli e la nuova narrativa italiana (Bompiani) di Roberto Carnero, professore a contratto di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso l’Università degli Studi di Verona. Ecco la postfazione (Bompiani/Giunti editore 2018) di…
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valentemichele · 7 years ago
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Nella contrapposizione geopolitica del XX secolo, Cuba e’ stata termometro delle tensioni diplomatiche tra Stati Uniti ed Unione sovietica. Da Kennedy a Obama, da Chruščёv a Putin, Cuba, negli ultimi anni, ha osservato il profondo mutamento strutturale della regia politica nelle due superpotenze. Le recenti, caute aperture nel mercato economico nazionale all’iniziativa privata e le norme sugli investimenti stranieri aprono una stagione di riforme che, la classe dirigente cubana, vuole innestare nel tessuto sociale dell’isola, tenendo fede alla tradizione, alla cultura, ai “riti e miti” della società cubana. Creare “valore aggiunto”, spiega Mylene Fernández Pintado, avvocato ed escritora cubana, può essere positivo per la comunità solo se si promuove una cultura del cambiamento. Motivare all’innovazione, dunque, per spingere <<ad un miglioramento nella qualità>> della vita dei cittadini. Nella visita pastorale sull’isola, avvenuta nel 1998, Papa Giovanni Paolo II auspicò l’avvio di una nuova fase: “Possa Cuba aprirsi con tutte le sue magnifiche possibilità al mondo e possa il mondo aprirsi a Cuba”. La reazione della popolazione alla depressione economica del “periodo especial” degli anni ’90 (stato d’emergenza conseguente alla crisi dell’URSS), ha posto Cuba in posizione preminente, anche sul piano diplomatico. Nel 2016, l’isola è stata teatro delle trattative tra governo colombiano e Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia), per porre fine ad un sanguinoso conflitto durato oltre 52 anni. Al conseguimento di un accordo di pace tra le parti, siglato nel giugno dello stesso anno, hanno contribuito le iniziative di mediazione promosse dal presidente cubano Raùl Castro, sostenute da Barack Obama. La precedente amministrazione statunitense ha promosso una distensione nelle relazioni con L’Avana. La riconciliazione voluta da Obama, culminata simbolicamente con la storica visita del presidente statunitense a Cuba nel marzo del 2016, ha favorito la discussione di importanti capitoli negoziali, dall’immigrazione alle sanzioni economiche.
NEW YORK, NY – SEPTEMBER 29: U.S. President Barack Obama (R) and President Raul Castro (L) of Cuba shake hands during a bilateral meeting at the United Nations Headquarters on September 29, 2015 in New York City. Castro and Obama are in New York City to attend the 70th anniversary general assembly meetings. (Photo by Anthony Behar-Pool/Getty Images)
La maggiore attenzione alle vicende cubane, tuttavia, non ha scalfito pregiudizi e stereotipi su Cuba e sui cubani. Parziali i resoconti, sfocate le immagini sulla vita nell’isola. Inevitabile, dunque, non chiedere alla mia interlocutrice, nata e vissuta a Cuba, come il corso della Storia abbia inciso sulle storie di vita dei cubani. <<Perché non conosciamo Cuba?>>, domando a Mylene Fernàndez Pintado. La sua ricerca letteraria indaga sugli aspetti più profondi delle vicende umane nell’isola, trattando, con suggestivi ritratti, le dimensioni dell’esistenza individuale.
Avvocato di formazione, Mylene Fernàndez Pintado scrive racconti e romanzi sulla vita cubana. Le sue opere letterarie sono pubblicate in Europa e negli Stati Uniti.
Autrice di racconti e romanzi, ne “L’angolo del mondo” (Marcos y Marcos, 2017), la separazione dalle persone care, la fine di un amore travagliato, le aspirazioni personali, rompono la trama narrativa e raccontano uno spaccato delle contraddizioni della società cubana. Toccando le corde più sensibili delle emozioni, Fernàndez Pintado racconta il destino comune di molti cubani costretti ad emigrare, a separarsi dagli affetti in cerca di una nuova vita, venata dall’illusione delle opportunità, rivolta al mondo dei “superlativi” e delle molte patrie dell’opportunismo. Proiezioni lontane, tuttavia, dalla propria terra natale. Le piccole storie che, “come una sentinella”, così definita dal magazine “Los Angeles Review of Books”, l’autrice cubana racconta, sono tessere del grande mosaico della Storia cubana. <<Cambiano i contenuti, cambia il modo con cui si riflette sulla realtà, cambiano le domande che si pongono sulla società però è come una torcia che passa di mano in mano e non si esaurisce>>. Come un flusso che solo le parole possono fissare, per permettere al lettore, forse questo il maggior merito dell’opera di Mylene Fernàndez Pintado, di aprire gli occhi su quest’angolo di mondo, (ai più) sconosciuto.
Mylene Fernàndez Pintado, perché non conosciamo Cuba?
<<L’immagine di Cuba e’ schiacciata sotto alcuni stereotipi, come quello del turismo. L’industria del turismo attrae la clientela offrendo dei pacchetti a prezzi molto bassi nei quali vengono inclusi pernottamento, ristorazione e divertimento. La visita in città, nel caso de La Habana, viene pianificata in funzione di un percorso programmato dai tour operator. È evidente che emerga solo il Paese dei cliché. Noi cubani siamo disponibili a far conoscere meglio il nostro territorio, la nostra tradizione e la nostra cultura anche se, in modo differente rispetto a quanto accade in Europa, siamo consapevoli delle difficoltà che molti turisti stranieri possono incontrare>>.
Un anno dopo la morte del lìder maximo Fidel Castro, qual è il clima politico nell’isola?
<<Fidel già dal 2006 non era più il presidente in carica, avendo lasciato l’incarico a suo fratello Raùl. Fidel, dopo le dimissioni, si mostrava di rado e le sue condizioni di salute, dopo ogni apparizione pubblica, sembravano peggiorare. Tuttavia, penso che sia come in una famiglia: quando un componente sta male cerchi di non subire il pensiero della morte. Quando sono nata c’era già Fidel e ti dico che anche se tutti sapevamo che un giorno sarebbe potuto succedere, che tutto questo è normale, la gente ha impiegato molto tempo a metabolizzare lo stato delle cose. Oggi il presidente è Raùl ed ha un profilo politico molto diverso. Fidel era una figura storica conosciuta in tutto il mondo. Dovunque, noi eravamo il Paese di Fidel. Raùl non è questo tipo di persona e non cerca di guadagnare la visibilità mediatica del fratello. Sta tentando piuttosto di mandare avanti il Paese che è afflitto da una miriade di problemi. Agricoltura, opere pubbliche, industria chimica, Fidel puntava su un discorso politico totale; al contrario Raùl si pone come amministratore che delega ai singoli ministri competenti, comparendo raramente in televisione per parlare ai cubani>>.
Come è cambiato, a fronte di una maggiore apertura economica, il rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione? Qual è la situazione degli investimenti stranieri e la presenza delle piccole imprese private nell’economia cubana?
<<Se pensiamo solo a qualche anno fa, la relazione del cittadino con lo Stato era totale. Lo Stato era il tuo datore di lavoro. Oggi il rapporto con l’amministrazione pubblica è di natura principalmente fiscale e riguarda il pagamento dei tributi. Una novità, perché a Cuba non si sono mai pagate le tasse e, come è facile intuire, la gente non vuole pagarle, quindi lo Stato invia gli ispettori che hanno il compito di controllare cittadini e imprese. I cittadini hanno acquisito consapevolezza del fatto che non c’è più uno Stato che assiste e paga. Se vuoi guadagnare devi trovare una soluzione. Per questo, le piccole imprese private hanno guadagnato spazio nel mercato cubano. Eppure, la maggiore concorrenza, ha spinto le aziende statali ad un miglioramento nella qualità dei servizi e dei prodotti. Prezzi e offerte competitive sono un fatto positivo per l’economia di Cuba>>.
Cartogramma dell’economia cubana [Fonte: gifex.com]
L’impatto che il consumismo ha avuto nei decenni nel resto del mondo, sta avendo effetti di lungo periodo anche a Cuba? Il popolo cubano è influenzato dalle mode e dallo stile di vita nord-americano?
<<Siamo un’isola, è vero, ma molti cubani che vivono all’estero importano parte delle loro vite, dei loro usi e costumi a Cuba. Quasi due milioni di cubani vivono negli Stati Uniti: pur essendo un’isola molto piccola, siamo la quarta comunità negli Usa, dopo paesi come il Messico che hanno un’estensione territoriale molto grande. Non abbiamo acquisito l’eredità americana. Non siamo consumisti, perché, nonostante la presenza americana nella prima metà del XX secolo, successivamente siamo stati influenzati dalla sfera sovietica. Gli Stati Uniti sono rimasti un punto di riferimento per libertà e benessere. Se oggi una maggiore apertura ai consumi comporta un miglioramento nella vita delle persone, allora ben venga quello che chiamiamo consumismo. Quello che voglio è che la gente resti a Cuba, per questo desidero che anche a Cuba si possano avere tante cose che, in un Paese poverissimo, finora sono mancate del tutto. L’attenzione deve essere rivolta ai più poveri affinché abbiamo una vita dignitosa e garantire loro l’istruzione, la salute, la cultura>>.
Nel suo ultimo romanzo “L’angolo del mondo” (Marcos y Marcos, 2017), si avverte una forte proiezione esterna rispetto alla realtà cubana. Quali sono le vicende delle comunità cubane all’estero?
<<Le comunità cubane all’estero hanno passato diverse tappe e hanno costituito un aiuto importante per le famiglie rimaste a Cuba. Con il rientro di molti cubani in patria, le aperture alla piccola impresa, il supporto economico di molti di loro è sempre più importante. La legge che regola l’ingresso a Cuba, resa più flessibile per attirare capitali stranieri e il crescente numero di cubani residenti all’estero che vogliono rientrare in patria per aprire ditte, è in aumento. C’è un desiderio delle comunità cubane che è quello di aiutare sia le famiglie che lo Stato. Molti dei loro membri vogliono arricchire il Paese da dove provengono, dove sono cresciuti e sono stati educati. Sarebbe fantastico se tutto potesse avvenire senza problemi>>.
Quale ruolo hanno giocato nella formazione dell’identità cubana l’arte visiva, la musica e la letteratura? Discipline ed espressioni artistiche contribuiscono a rafforzare la coesione sociale nel Paese?
<<L’arte è molto sentita dai cubani. Ancora oggi, le scuole di musica sono molto frequentate. A Cuba si tengono diverse competizioni di jazz che durano un’intera settimana, dove si sfidano anche i ragazzi che frequentano queste scuole. Si formano gruppi musicali e ci sono tantissimi pittori interessanti e molti gruppi di teatro. Il mio è un Paese dall’altissimo potenziale artistico che ogni generazione eredita e rinnova in forme diverse. Il patrimonio letterario è altrettanto ricco. Cambiano i contenuti, cambia il modo con cui si riflette sulla realtà, cambiano le domande che si pongono sulla società però è come una torcia che passa di mano in mano e non si esaurisce>>.
L’isola è stata più volte colpita da pesanti calamità naturali. È nota l’attenzione dei cittadini cubani per la salvaguardia del patrimonio paesaggistico. Come accoglierà l’amministrazione de L’Avana il cambio di passo statunitense sulle politiche ambientali e climatiche?
<<Come puoi immaginare noi siamo tra i più colpiti. La stagione degli uragani comincia il primo giugno e dura fino alla fine di novembre. Per metà dell’anno siamo in costante allerta perché potrebbero colpirci. Ci sono stati anni in cui i fenomeni non hanno provocato danni, altri in cui ne hanno provocati molti. Il mio è un Paese che non ha il numero di automobili o i livelli di smog degli Stati Uniti. Eppure molte parti del Pianeta, tra cui Cuba, pagano quanto distruggono altri. Allo stesso tempo a Cuba si sta sviluppando una nuova coscienza, consapevole dell’ambiente. Noi abbiamo un mare stupendo e pensiamo che non gli possa succedere mai nulla. Prima, anche gettare una lattina nel mare non veniva visto con rimprovero. Oggi molti studenti della scuola di design sono stati incaricati dalle istituzioni dell’isola di realizzare cartelloni e pubblicità per sensibilizzare la cittadinanza, anche attraverso spot televisivi. Coinvolgere i giovani e renderli protagonisti di una nuova coscienza ecologica è importante. Abbiamo cominciato con la raccolta dei rifiuti e possiamo estendere questa maggiore attenzione ad altri campi. Purtroppo siamo un Paese ancora molto disorganizzato e penso che dovremmo raggiungere ancora risultati importanti. Un piccolo gesto può evitare una grande catastrofe>>.
Ringrazio per la collaborazione Alessandro Oricchio e Laura Mariottini, docenti di lingua spagnola dell’Università di Roma La Sapienza, curatori in lingua italiana dell’opera di Mylene Fernàndez Pintado.
Un angolo di mondo chiamato Cuba Nella contrapposizione geopolitica del XX secolo, Cuba e' stata termometro delle tensioni diplomatiche tra Stati Uniti…
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pangeanews · 5 years ago
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Michel Houellebecq è lo scrittore più grande, è come Saul Bellow, ma gli americani ancora lo ignorano
Fatta eccezione per Sottomissione, invocato per spiegare l’ondata di attacchi terroristici francesi, chi parla inglese non ha ancora abbracciato l’opera di Michel Houellebecq. Forse le cose cambieranno con Serotonina, il cui protagonista, disperato, cerca di tenere a bada il mondo moderno con le armi che ha a disposizione: sesso, droghe, rock-n-roll, certo, ma anche populismo, rischiose nostalgie, religione.
Le cose comuni che fanno i grandi romanzieri, Houellebecq non le fa. I grandi romanzi, di solito, sviscerano relazioni, istituzioni, gli ideali su cui si fonda l’ordine sociale ‘borghese’: matrimoni, scuole, lavoro, compassione, patriottismo… Houellebecq pone i propri personaggi di fronte a sfide specifiche, vivide, contemporanee, spesso umilianti, spesso mediate dalla tecnologia: pornografia su Internet, ricerca genetica, terrorismo, dipendenza.
*
Tra le generazioni dei romanzieri americani, la sensibilità più prossima a quella di Houellebecq l’aveva Saul Bellow: appassionatamente impegnata, autoritaria nel giudizio; Bellow possedeva la grandezza del saggista e quella del romanziere. Se i suoi eroi hanno spesso opinioni folli, i suoi romanzi non paiono progetti folli. Houellebecq ha studiato presso un prestigioso istituto agrario, ha padronanza e curiosità nei fatti di scienza. Ne tratta nei suoi libri. La trama dei suoi libri è anche una parodia dei generi: giornalismo, scrittura scientifica, enciclopedismo, guida di viaggio, marketing, Storia. Nell’era della correttezza politica, Houellebecq ridona al romanzo la sua funzione didattica, feroce, tornando, in parte, all’aristocrazia formale e sensuale di Henry de Montherlant, alle analisi nel sottosuolo di Georges Simenon.
*
Houellebecq ha intuito, ben prima dei commentatori politici, l’ascesa del populismo, l’immigrazione che avrebbe fatalmente spinto gli europei verso un recupero virulento della propria identità… Sottomissione è il romanzo più sofisticato ed esplicitamente politico dei libri di Houellebecq.
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Secondo Houellebecq i vari progetti di emancipazione dal liberalismo chiederebbero lo smantellamento di gerarchie, istituzioni, culture. Ha ragione. Ecco perché i suoi romanzi sono così intelligenti, vividi, veri. Il problema è che quelle stesse gerarchie, istituzioni e culture sono ciò di cui hanno sempre parlato i romanzi. Un romanziere che creda sinceramente nella distruzione non avrebbe più materia prima. I romanzi chiedono vita, ramificazioni, connessioni umane. La cultura si alimenta in un periodo di famiglie numerose e leali, di imprese commerciali interconnesse, di comunità ben radicate. Houellebecq ha affrontato la situazione con integrità artistica, senza considerare il fatto di come possa essere ‘romanzato’ questo nuovo sistema. Da qui il paradosso. Meglio di ogni altro autore, Houellebecq sa descrivere certe situazioni umane dell’era globale – ma non è ancora riuscito a catturare un vasto pubblico nel linguaggio globale. È il romanziere più importante d’Europa, ma sta scrivendo in un momento in cui i critici del Nuovo Mondo hanno deciso di fare a meno di quel tipo di saggezza tradizionalmente imposta dal romanzo europeo.
Christopher Caldwell
*L’articolo di Christopher Caldwell è stato pubblicato su “Commentary” come “A Bellow from France”; qui se ne ricalca e traduce una parte
L'articolo Michel Houellebecq è lo scrittore più grande, è come Saul Bellow, ma gli americani ancora lo ignorano proviene da Pangea.
from pangea.news https://ift.tt/3a1nM7c
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alemicheli76 · 7 years ago
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    Introduzione
Oggi la nostra andiamo a scoprire una talentuosa autrice, Silvia Casini. Il suo è uno stile particolare sospeso tra impegno e fantasia, riconfermando ancora una volta (semmai ce ne fosse bisogno) il potere di trasformazione del reale che hanno i sogni. Come diceva la splendida Morgana di Marion Zimmer Bradley
  siamo noi a trasformare giorno per giorno la realtà che ci circonda”
Diveniamo quindi totalmente responsabili, nei libri o nella creazione delle idee di una peculiare concezione dell’umanità e della società in cui essa si muove. È la definizione di essa che può educare, plasmare le menti, le generazioni e persino la storia. Se diamo credito e sostegno a opinioni fuorvianti e infondate su ogni cosa che ci circonda e soprattutto sull’altro (che sia uomo o donna) sarà inevitabilmente spunto a mettere in atto comportamenti patologici.
Ecco perché trovo che autrici del calibro della Casini siano dotate, oltre che del sacro dono, anche di una forte e energica concezione etica del loro lavoro, rendendosi conto che, con le parole, con la diffusione dei testi, resa più facile da internet, possono agire su ogni sistema vivente compreso l’uomo.
Fa parte della nostra più profonda natura apprendere dettagli e filosofie inconsce e diventare cosa si legge o cosa si finge di essere. E sta agli autori, alla CE persino a noi blogger imporsi sulla cultura e rendere miti, costruzioni sociali, storie e filosofie sociali più credibili e più armoniche. Poiché sono queste che forgeranno il nostro futuro. E Silvia Casini lo comprende.
Buon viaggio!
L’autrice
Silvia Casini dopo aver conseguito una laurea breve in Interpretariato e Traduzione, si laurea in Lingue e Letterature Straniere per poi ricoprire il ruolo di project manager dell’Istituto Internazionale per il Cinema e l’Audiovisivo dei Paesi Latini di Gillo Pontecorvo e Sandro Silvestri.
Si è occupata di relazioni internazionali e della promozione dei film italiani all’estero e in seguito, si è specializzata in marketing strategico e ha iniziato a collaborare con diverse case di produzione e distribuzione cinematografica nel settore del product placement, sia a livello nazionale, che internazionale.
Attualmente gestisce il blog I dermatoglifi di Bottondoro, si occupa di critica cinematografica e collabora con diversi siti e testate giornalistiche.
Ha pubblicato Magia e altri amori. Pensieri e micro-racconti strampalati alla fermata del treno (Edda Edizioni), L’appendifiabe (Nadia Camandona editore) e Tutto in una notte (Libro/mania).
Su Upside Down Magazine si occupa della rubrica Moonlight dedicata alle recensioni filmiche e alle interviste cinematografiche e letterarie.
Ciao silvia Grazie innanzitutto per aver accettato l’intervista
Grazie a voi!
A. Per prima cosa una domanda facile facile. Cosa significa per te scrivere?
S. Significa lasciarsi attraversare dalla memoria, dal tempo, dalla vita dalle emozioni. È uno sconfinamento continuo verso questo e altri mondi. Nel silenzio, con la penna in mano, riesco a sentire le mie tante voci, i miei mille destini e tutte quelle parole che fanno leva sul cuore. È il mio modo per migrare altrove, in un’altra terra, in un altro impasto di anima. Da che ho memoria, scrivo da sempre. Con il passare degli anni, poi, la scrittura non è diventata solo un semplice passatempo, ma un vero e proprio lavoro. Dopo aver lavorato con diverse realtà filmiche, sono approdata in svariate redazioni editoriali occupandomi di critica cinematografica. Attualmente sono il caporedattore di Youmovies.it; gestisco Upside Down Magazine e collaboro con Pink Italia Magazine. In pratica, sono un’appassionata di cinema, una divoratrice di libri e ho un enorme vizio: scrivo dappertutto!
  A. Cosa può dare ancora la scrittura a questo mondo un po’ caotico?
S. Scrivere e leggere sono un sortilegio, nel senso buono, ovviamente, perché ti consentono di calarti in altri contesti, di immedesimarti in altri panni e di fuggire dalla routine quotidiana. A mio avviso, sono un modo per adempiere all’obliquo che c’è in noi, riconoscere il dolore, la gioia, i bivi non presi, il sottosuolo di certe ferite. Per quel che vale, quando prendo la penna e il mio taccuino rosso, mi godo il momento: il tonfo organico delle parole liquide.
  A. Quale genere è oggi penalizzato secondo te?
S. Purtroppo in Italia, la categoria letteraria di gran lunga più rappresentata in classifica è quella dei romance, mentre la poesia, la science fiction e il fantasy sono generi “non trainanti”. E poi a dirla tutta, ultimamente vendono di più i fashion blogger o i cosiddetti media influencer che gli scrittori… ahimè. 
  A. Cosa pensi del mercato editoriale odierno?
S. Parto subito col dire che sono contraria agli editori a pagamento. Detto ciò, oggigiorno i piccoli editori, dato che non possono competere con i big, dovrebbero specializzarsi in due o tre generi. Non ha senso rincorrere i trend del momento, perché le grandi CE hanno mezzi potenti. Se una piccola CE si addentra in un genere di nicchia ha maggiore possibilità di penetrare il mercato e di fare breccia su target ben specifico di lettori. Purtroppo, però, molto spesso sorgono CE on-line che promettono mari e monti, ma che di fatto, sono impossibilitate ad intraprendere una reale promozione letteraria. Molti aspiranti scrittori, infatti, preferiscono affidarsi ad Amazon e provare a fare il grande salto da soli, ma è difficile. Si tratta principalmente di un problema culturale, perché da noi il mercato editoriale è in mano ai grandi gruppi (è un dato assodato). Pochi casi di self publishing hanno realmente sfondato nel nostro Bel Paese (ad esempio Anna Premoli). Diciamo la verità, i grandi editori spesso fanno libri per il mercato e basta, così spesso e volentieri nelle librerie si trovano delle belle ciofeche. 
  A. È meglio scrive self o affidarsi a una CE?
S. Non ho mai pubblicato in self publishing. I miei libri sono stati tutti editi da case editrici. Quindi, non ti so dire bene la differenza. Ho pubblicato Magia e altri amori. Pensieri e micro-racconti strampalati alla fermata del treno con Edda Edizioni, L’appendifiabe con Nadia Camandona editore, Tutto in una notte con Libromania e Di magia e di vento con Antonio Tombolini Editore.
  A. Cosa serve oggi per poter scrivere un buon romanzo?
S. Occorre leggere. Tanto. Sempre.
  A. Tutto in una notte racconta una storia a tratti angosciante, come mai questa scelta?
S. A dire il vero, quando ho iniziato a scrivere Tutto in una notte, non facevo altro che macinare storie thriller, dark (alla Edgar Allan Poe) e paranormal. Ero rimasta incantata da Saundra Mitchell (L’estate dei fantasmi), Carlos RuizZafón (Il palazzo della mezzanotte), Michelle Hodkin (la trilogia su Mara Dyer), Kresley Cole (Il richiamo dell’ombra), Becca Fitzpatrick (Bugie pericolose) e da Jennifer Armentrout (Shadows). Così, quando ho buttato giù la trama del libro, ho unito le suggestioni avute dai romanzi letti con alcune atmosfere misteriose e visionarie. Di fatto, l’intera narrazione si snoda attraverso un mondo pervaso da distonie percettive e da ambiguità sensoriali. Per giunta, mi sono lasciata ispirare da alcuni film di genere, come Predestination dei fratelli Michael e Peter Spierig, Premonition di Mennan Yapo e Le verità nascoste di Robert Zemeckis. Per giunta avevo letto alcuni articoli scientifici sulle inesplorate capacità umane che mi avevano colpito molto. Così, ho amalgamato tutte queste evocazioni ed è nato Tutto in una notte, un fantasy in stile paranormal thriller. Nello specifico, la protagonista di Tutto in una notte è Maya, una ragazza attratta fortemente dal mito irlandese della regina Maeve. Per tratteggiarla fisicamente e caratterialmente, ho letto parecchie leggende appartenenti alla cultura dell’Isola Smeralda. Una volta acquisite tutte queste informazioni, sono andata in giro per trarre spunto dalla gente comune. Così, ho aggiunto particolari qua e là. Di Maya mi piace la forza, il coraggio, la sua voglia di andare oltre, sempre e comunque, perfino oltre la paura. Diciamo che da questo punto di vista, siamo simili. Invece, per quanto concerne la parte più cruenta del libro, purtroppo, mi sono ispirata a fatti di cronaca realmente accaduti. Ovviamente, ci ho ricamato sopra, epurandoli di parecchio.
  A. Di magia e di vento è un libro dalle multi sfumature, che abbraccia diversi generi letterari come mai questa scelta artistica?
S. Lo ammetto: amo mischiare i generi. Quando ho iniziato a scrivere la storia di Luna Ferri, una fotografa freelance che vive in Friuli, mi sono imbattuta in un fatto di cronaca accaduto a Cormòns. Da lì, dopo estenuanti ricerche, ho cominciato a tessere una trama che si dipana attraverso i secoli e che arriva fino ai giorni nostri. Ho cercato di riportare in vita un arcaico culto popolare, quello dei Benandanti, depositario di un sapere arcano, ormai dimenticato. La narrazione, infatti, è corposa e si muove tra magia, romanticismo e mistero per regalare al lettore fatti storici e pura fiction.
    A. Nel testo racconti una lontana leggenda, quasi dimenticata, come è nato questo tuo interesse per i Benandanti?
S. Nelle note finali spiego un po’ tutto, tant’è che ho anche corredato il testo con una ricca bibliografia in caso di approfondimento. Comunque, dopo aver letto di un fatto di stregoneria avvenuto a Cormòns, sono rimasta colpita da un Friuli popolato da pura magia. I Benandanti vissero realmente nell’Italia del Nord intorno al XVI-XVII. Appartenevano a un culto pagano-sciamanico contadino basato sulla fertilità della terra; offrivano servizi in favore del Bene, che andavano dalla semplice divinazione, alla guarigione di diverse malattie. Si trattava di solito di persone umili, la cui reputazione era ritenuta piuttosto sospetta, tant’è che vennero giustiziate dall’Inquisizione. All’atto pratico, i Benandanti erano coloro che nascevano avvolti nel sacco amniotico, ovvero i “nati con la camicia”. La levatrice (o la madre stessa), dopo il parto, conservava una piccola parte del sacco amniotico, fatta appositamente benedire e riposta in un sacchettino da appendere al collo del neonato a mo’ di amuleto protettore. Al raggiungimento della maggiore età, i Benandante erano in grado di uscire dal proprio corpo sotto forma di spirito durante la fase onirica e di combattere contro le streghe e le tenebre. Questo mito ammantato di mistero mi ha colpito molto, così ho deciso di scartabellare fatti reali e di amalgamarli alla fiction.
  A. Quanto è importante la tradizione e il folclore per poter scrivere un fantasy?
S. Scrivere un genere letterario come il fantasy richiede una fervida immaginazione, ma anche una certa preparazione culturale e soprattutto tanta organizzazione pratica per strutturare al meglio la narrazione, per mantenere coerenza e ritmo. Talvolta, poi, le ambientazioni sono complesse e affascinanti. Quindi occorre rispettare dettagli e sfumature in modo da offrire al lettore la possibilità di fare il pieno di mille mondi possibili e impossibili.
  A. Cosa c’è di affascinante nell’ipotesi dei viaggi temporali?
S. Nelle opere fantasy e di science fiction sono “quasi” un must e devo dire che gli universi paralleli sono rassicuranti, ovvero infondono la speranza di mondi migliori. In un certo senso, rappresentano una prospettiva elettrizzante. Eticamente ci suggeriscono un grande messaggio: possiamo migliorare… sempre.
  A. Qual è la visione della stregoneria che speri di veicolare nel tuo libro? A cosa davvero serve conoscere quel passato oggi?
S. Col romanzo Di magia e di vento non mi propongo di educare il lettore sulla stregoneria. In realtà, quando ho scoperto i Benandanti, ero a digiuno sulle loro vicissitudini. Sono rimasta molto colpita dal fatto che furono ampiamente repressi dall’Inquisizione in Friuli Venezia Giulia. Per saperne di più mi sono letta il saggio di Carlo Ginzburg (I benandanti. Ricerche sulla stregoneria e sui culti agrari tra Cinquecento e Seicento, Einaudi, Torino, 1966), ma anche tante altre fonti storiografiche interessanti. Così, andando a fondo sulla loro cultura sciamanica, ho scoperto che furono proprio le caratteristiche tipiche dei Benandanti a metterli in cattiva luce agli occhi degli Inquisitori, perché attuavano dei riti equinoziali, vedevano i morti e interagivano con loro, sapevano riconoscere le fatture delle streghe, curavano dai malefici e si proclamavano difensori della fede. Avevano insomma una funzione ben precisa. Dai documenti sui loro processi, i Benandanti affermavano di recarsi in battaglia contro il Male “in spirito” e dato che questo concetto era molto diffuso anche nelle deposizioni per stregoneria, leggendo gli atti si comprende a fondo il motivo dell’accusa di accumularli agli stregoni. Di fatto, erano degli sciamani buoni, ma l’Inquisizione riuscì nel suo intento di assimilare le loro mansioni a quelle degli eretici. Credo sia importante conoscere lati della nostra Italia semi sconosciuti. Ecco perché ho deciso di far riaffiorare la loro travagliata storia in Di magia e di vento.
  A. Definiresti i tuoi libri femministi?
S. A dire il vero, odio le etichette, però è vero che sia Tutto in una notte che Di magia e di vento hanno due protagoniste ben definite. Sono forti e fragili al tempo stesso. Ho cercato di tratteggiare a fondo le emozioni che guidano le loro azioni. D’altro canto, però, le loro controparti maschili non sono da meno. Sono enigmatici e pieni di segreti. L’idea di base di entrambi i romanzi è che tutto è possibile. 
    A. Gatti è donne, binomio vincente?
S. L’elemento felino l’ho inserito soltanto in Di magia e di vento. La protagonista è Luna Ferri. Ha lunghi capelli neri e gira spesso assieme al suo fidato gatto Capitan Harlock. È cieco da un occhio. Ecco perché porta una benda. L’idea mi è venuta osservando un gattino nero che passeggia spesso e volentieri nel cortile del condominio dove abito. Non ci vede benissimo, ma è scaltro. Capitan Harlock è proprio così e  rappresenta un dato oggettivo della nostra società dedita al materialismo e alla noncuranza. Volevo vero far passare il concetto che le disabilità esistono solo se non si sa andare oltre le apparenze.
    A. La letteratura ha ancora la responsabilità etica di formare la società?
S. Credo che la letteratura di qualità e i grandi classici oltre a intrattenerci, siano anche ottimi insegnanti. Essere lettori coscienti significa saper scegliere con criterio, discernere e di conseguenza sapersi orientare nel mondo. In ogni romanzo il lettore può trarre un messaggio di vita, nuove prospettive e nuovi orizzonti. Di fatto, i libri sono un’enorme fonte di ricchezza morale e pratica. Ci inducono a riflettere. Ci emozionano. Ci allietano. In definitiva, sono strumenti che possono illuminarci sulla complessità della società contemporanea e della nostra stessa esistenza. Le parole di un libro hanno un peso specifico: fanno leva sul cuore.
Lasciaci con una frase dei tuoi libri
Questo è un estratto del diario di Maya (Tutto in una notte):
  Stringo segreti che fanno paura in questa notte alta e nera come una torre di catrame. Tra tetti di ardesia e muri di granito, mi sento colma, come una giara di silenzio.
  Questo, invece è un estratto del diario di una delle componenti della famiglia di Luna (Di magia e di vento):
  L’unica magia che conta in questa e nell’altra vita è l’amore.
  E ricordatevi il potere della fantasia:
  La logica vi porterà da A a B. L’immaginazione vi porterà dappertutto. Albert Einstein
Incontro con l’autore. Silvia Casini e l’etica della letteratura. A cura di Alessandra Micheli Introduzione Oggi la nostra andiamo a scoprire una talentuosa autrice, Silvia Casini. Il suo è uno stile particolare sospeso tra impegno e fantasia, riconfermando ancora una volta (semmai ce ne fosse bisogno) il potere di trasformazione del reale che hanno i sogni.
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