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Monografia: 𝗚𝗶𝗹𝗹𝗶𝗮𝗻 𝗙𝗹𝘆𝗻𝗻📚
𝐆𝐢𝐥𝐥𝐢𝐚𝐧 𝐅𝐥𝐲𝐧𝐧 (24 febbraio 1971, Kansas City, Missouri) è una scrittrice, giornalista e sceneggiatrice statunitense, nota per i suoi romanzi thriller che esplorano tematiche oscure e complesse.
Oltre alla scrittura di romanzi, Gillian Flynn ha lavorato come sceneggiatrice e critico televisivo. Il suo stile è caratterizzato da una narrazione intensa e da una profonda analisi psicologica dei personaggi, spesso ritratti in situazioni moralmente ambigue. Le sue opere tendono a esplorare le complessità delle relazioni umane e le dinamiche familiari.
Opere principali
Sulla pelle (2006): romanzo di esordio che ha ricevuto riconoscimenti significativi tra cui due Dagger Award e una nomination per l'Edgar Award; la storia segue una reporter che torna nella sua città natale per coprire un omicidio, affrontando il suo oscuro passato.
Nei luoghi oscuri (2009): il romanzo racconta la storia di Libby Day, l'unica sopravvissuta a un massacro familiare; costretta a rivisitare i traumi del suo passato, Libby si imbatte in segreti inquietanti.
L'amore bugiardo (2012): thriller psicologico che esplora la scomparsa di Amy Dunne e le indagini che coinvolgono il marito Nick; il romanzo ha avuto grosso impatto culturale ed è stato trasformato in un film diretto da David Fincher.
#monografia#𝗚𝗶𝗹𝗹𝗶𝗮𝗻 𝗙𝗹𝘆𝗻𝗻#Sulla pelle (2006)#romanzo#sceneggiatrice#critico televisivo#stile#narrazione#narrazione intensa#analisi#analisi psicologica#morale#ambiguo#moralmente ambiguo#complessità#relazioni#relazioni umane#dinamiche familiari#famiglia#Nei luoghi oscuri (2009)#L'amore bugiardo (2012)#David Fincher#libri da leggere
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come specchio riflesso ci vorrebbe tutto shakespeare reso però sotto forma di fiction rai
#però posso dire#come adattamento del decameron non c’entra una minchia ma come ‘gente in costume si fa il lockdown’ può starci#‘starci’ nella misura in cui è venerdì e sono stanca non scherziamo#la sceneggiatrice comunque da prendere a randellate sulla pubblica piazza perché allora poteva fare direttamente ‘gente in costume#in lockdown’ e saremmo stati più felici forse
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I don't even go here but "gli adolescenti che hanno commesso crimini in circostanze estenuanti non vengono torturati abbastanza" la dice lunga più sulle opinioni del giornalista sul sistema di carcerazione minorile che sulla serie tv che sta recensendo tbh
Infatti non capendo un cazzo né di mafia né del sistema giudiziario minorile italiano non mi aspetto che capisca il valore della serie e che si spinga oltre i drama adolescenziali e amorosi.
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Loro, le donne grandi e piccole, di ogni età.
"Loro passano molto tempo a guardarsi allo specchio.
Loro piangono. Loro sospirano per un ragazzo biondo, per due mollette da capelli tempestate di pietrine, per un anello con la perla. Loro sognonano per tre notti di seguito un uomo che hanno solo intravisto sulla porta del caffè. Loro portano nella borsa della spesa uno scatolino di plastica che serve a pitturare di azzurro il bordo degli occhi. Loro inventano storie di amiche come in piena avventura. Loro comperano di nascosto i fotoromanzi. Loro amoreggiano molto. Loro amoreggiano poco. Loro non dormono pensando a certe tendine plissettate. Loro si strappano i primi capelli bianchi con una pinzetta comprata in drogheria. Loro gridano a sproposito e si aggrappano ai figli che hanno appena finito di picchiare. Loro fanno la vita di nascosto dalla mamma per tre vestiti in più e un paio di stivali. Loro pagano la cambiale della moto a quello che le picchia. Loro non parlano di queste cose. Loro di notte chiamano nomi che non vengono. Loro assorte con la molletta dei panni tra i denti stanno a guardare il gatto seduto sui tegoli in mezzo ai gerani. Loro vorrebbero un'altra cosa."
Maria Velho da Costa - poetessa, narratrice e sceneggiatrice portoghese (1938).
Mio olio su tela
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"Vota quella stronza della Meloni", il meme ironico che circola nelle chat. L'effetto Giorgia non si ferma - Secolo d'Italia (secoloditalia.it)
’effetto Meloni prosegue senza sosta. Il dopo-Caivano registra un ennesimo “colpo di scena” di questa campagna elettorale. Un’ ennesima conferma di quanto quella frase -“Presidente De Luca, sono quella stro*** della Meloni. Come sta?”- abbia bucato i social e fatto parlare e straparlare molti opinionisti. Tanto che oggi -il giorno dopo quell’incontro che tanto sta facendo rodere il fegato dei mestrini raical-chic col ditino alzato- viene anche rilanciata. C’è un meme spiritoso e ironico che circola in rete e nelle chat dei parlamentari: “Vota quella stronza della Meloni” è la scritta che campeggia su un finto manifesto elettorale per le Europee: con il simbolo FdI barrato e il volto della premier. Sta facendo il giro del web.
L’effetto Meloni non si ferma: dopo il video arriva il meme virale
Dopo il boom sui social dell’incontro fatidico tra Meloni e il governatore De Luca arriva, dunque, questo meme a rilanciare la “mossa” della premier che ha sconvolto i salotti buoni dei talk show. Dimostrando che il suo comportamento ha colto nel segno. E soprattutto, fatto impazzire una sinistra politica e intellettuale che in modo ridicolo censura l’ atteggiamento “poco istituzionale” della premier. Dovevate osservare i vari Severgnini, Fittipaldi, Lella Costa, Floris, Piccolotti dare lezioni di bon ton istituzionale. Nessuno che lo avesse fatto con tanto accanimento quando ad offendere la premier per primo era stato proprio De Luca. Tanto livore dei dem e dei salotti radical-chic non lo abbiamo proprio notato all’epoca.
Il dopo-Caivano: la doppia vittoria di Meloni
Dunque, vince ancora Giorgia. Non a caso l’ istant sentiment realizzato in esclusiva per Adnkronos da Vis Factor nell’immediatezza dell’incontro Meloni- DeLuca fu già una sentenza. Nella maggioranza dei commenti a favore di Meloni – ben il 56%- sottolineavano coraggio, franchezza, presenza di spirito del presidente del Consiglio. Spirito e franchezza che manca del tutto a sinistra, che chissà quando si riprenderà da questo doppio successo della premier: avere fatto rinascere il Parco Verde di Caivano, teatro fin’ora di stupri, spaccio e criminalità; ed essere entrata contemporaneamnte negli incubi più tetri di una sinistra triste. Sempre più ostaggio della propria incapacità di ancorarsi a un sentimento popolare. Anche ora che il meme ironico “Vota quella stronza della Meloni” sta furoreggiando, le dosi di Maalox dovranno essere raddoppiate.
Un’ altra mossa comunicatica che fa impazzire la sinistra salottiera
Qualche esempio. L’editorialista del Corriere, Beppe Severnini ad Otto e mezzo ha affermato che “Meloni dovrebbe imparare il decoro verbale”. Fittipaldi urla un “Mi vergogno” a Tagadà. Lella Costa, attrice e sceneggiatrice, femminista, dal salotti di “Di martedì” afferma che la frase di Meloni a De Luca “è una forma di bullismo”. Alla faccia della solidarietà femminile… Ed Elisabetta Picoclotti di Avs ha tuonato: “Il prossimo passo che farà il presidente del Consiglio qual è? La lotta nel fango?” Zittita da un imperturbabile Italo Bocchino, direttore editoriale del Secolo d’Italia: “Ciò che ha detto Meloni è un grande esempio di comunicazione. Finalmente De Luca impietrito”. Insomma, ancora una volta la sinistra non capisce che la sfida ha avuto un solo vincitore: il premier. Anche oggi assisteremo a varie lezioni di galateo istituzionale a puntate? Un ultimo appunto merita il ridicolo furore di Giuseppe Conte, ospite di Floris. Anche l’ex premier in pochette ha stigmatizzato le parole della premier. A tacitarlo Francesco Storace: “Ma come? Sei il leader del partito del vaffa e ti scandalizzi?”…
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[*] Agnes Varda, regista/sceneggiatrice/fotografa belga (1928-2019)
da: https://frenchglimpses.com/2023/12/07/agnes-varda-her-intimate-biography-in-photos/
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House of the Dragon 2, Episodio 2 Rhaenyra The Cruel: Inchiostro e Sangue
Dopo lo sconvolgente finale della season premiere, la stagione 2 di House of the Dragon entra nel vivo e tutti i personaggi devono affrontare le conseguenze di quanto accaduto.
"Un figlio per un figlio": questo era il titolo del primo episodio della (attesissima) seconda stagione di House of the Dragon, lo spin-off de Il Trono di Spade tratto dal romanzo Fuoco e sangue di George R.R. Martin. Un titolo che non lasciava presagire nulla di buono e, dato che ci troviamo pur sempre nel mondo delle Cronache del ghiaccio e del fuoco, non poteva che essere così.
L'elaborazione del lutto
Rhaenyra è il cuore e l'anima di questo episodio
Forse è uno stratagemma degli autori, Ryan Condal in primis, per farci vedere l'approccio delle due fazioni in gioco per la corsa al Trono di Spade dopo la morte di Re Viserys. Ma resta il fatto che le reazioni dei Verdi e dei Neri a quanto gli è similmente accaduto tra il finale del ciclo inaugurale e l'inizio di questo secondo, sono molto diverse. Se Rhaenyra dopo la morte di Luke prova a tutti i costi a cercare la pace, prima di andare ufficialmente in guerra con il resto della famiglia, il primo istinto di Aegon II (Tom Glynn-Carney) è vendicare la morte del figlio con fuoco e sangue, nonostante il Concilio Ristretto gli consigli di andarci cauto, verificando i propri alleati tra le varie Case ed essendo sicuro di poter battere la concorrenza nel caso attaccassero: "I want to spill blood, not ink" ("Voglio versare sangue, non inchiostro") dice il giovane Re Usurpatore, confermando il proprio temperamento folle e la propria poca lungimiranza.
Non solo: il Concilio pensa ad un carro funebre in cui esporre il piccolo cadavere per ottenere compassione da parte del popolo. Helaena (Phia Saban) non è d'accordo ma aderisce suo malgrado, convinta dalla madre. La giovane vorrebbe che il dolore fosse solo suo e non di tutti, e qui si instaura un parallelismo con i personaggi pubblici, proprio come le famiglie reali moderne e contemporanee: nulla può essere vissuto in privato ma deve diventare "oggetto di tutti". Ognuno dei personaggi reagisce quindi in modo estremamente diverso nella propria elaborazione del lutto.
Verso la Danza dei Draghi
Alicent convince i figli a partecipare al carro funebre
La proverbiale guerra civile dei Targaryen si fa sempre più vicina non solo perché una morte sta rapidamente succedendo ad un'altra. Ma anche perché vi sono sempre più attriti anche all'interno delle due fazioni nella lotta per la successione al trono. Appena Rhaenyra (Emma D'Arcy) viene a sapere quanto accaduto, infatti, si infuria con Daemon (Matt Smith) e col suo agire impulsivamente che ritorna prepotentemente. La sceneggiatrice Sara Hess aveva promesso che si sarebbe esplorato meglio il rapporto tra zio e nipote: uno dei confronti fondamentali e più appassionanti di questa stagione avviene proprio in questa puntata e fa emergere come, nonostante non lo voglia per sé, allo stesso tempo è come se Daemon non desideri nemmeno che il Trono vada alla moglie, poiché avrebbe voluto che il fratello gliel'avesse almeno proposto. Sono passati molti anni ma è come se lui fosse rimasto lì, sospeso nel tempo. Questo elemento serve a gettare le basi per la nuova storyline del personaggio.
Senso di colpa
Ewan Mitchell è uno straordinario Aemond
L'emozione cardine dell'episodio, che si intitola Rhaenyra la Crudele, è il senso di colpa. Da una parte quello di Alicent (Olivia Cooke) e Ser Criston (Fabien Frankel) per essere stati impegnati nella loro relazione segreta, lasciando scoperta la Guardia del Palazzo di Approdo del Re e permettendo ai ratti di Daemon di entrare indisturbati ed uccidere il piccolo erede. Mentre la prima cerca di limitare i danni, il secondo continua a dimostrare il proprio voltagabbana mandando in missione qualcun altro per rimediare ai propri errori. Questo porterà ad uno scontro epico e poetico che ancora una volta mostrerà quanto entrambe le famiglie siano sguarnite verso le incursioni esterne, ricordandoci quanto la saga di Martin sia tutta incentrata sugli intrighi di palazzo e su quello che accade in quegli antichissimi corridoi del potere. Dall'altra il senso di colpa di Rhaenyra per aver lasciato che tutto accadesse sotto i propri occhi, preda del proprio lutto, sentendosi chiamare dal popolo "child killer". Ed ecco che arriva la conferma: i buoni e i cattivi sono ancora meno delineati, chiunque è capace di azioni indegne per il proprio tornaconto o per il bene della propria famiglia. Parallelamente c'è il sentimento della vendetta, che acceca molti dei protagonisti facendo perdere loro la bussola morale, se mai ne avessero avuta una.
Tutto in un bordello
Gli Hightower sopravvivono ad ogni costo
I bordelli sappiamo quanto siano ricorrenti e rivelatori nel mondo di Game of Thrones. House of the Dragon mantiene la tradizione e ne conferma l'importanza attraverso una scena dedicata a Aemond (Ewan Mitchell), in cui non solo l'attore regala una grande performance ma in cui scopriamo anche di più sul suo carattere sadico e vendicativo e sul suo complesso rapporto materno - è interessante notare come sia lui che il fratello abbiano una relazione quasi assente con Alicent. Per non parlare di Otto (Rhys Ifans), talmente impegnato nei propri giochi di potere da passare tranquillamente da un nipote all'altro, pur di ottenere qualcosa per sé: il suo riuscire a cavarsela sempre in qualsiasi situazione, e reinventarsi continuamente, non può che ricordarci Ditocorto. Un figlio per un figlio, certo. Ma anche una colpa per una vendetta, dando ufficialmente il via ad un pericoloso ciclo di morte che sarà davvero complicato provare a fermare.
Conclusioni
Il secondo episodio della seconda stagione di House of the Dragon si conferma un importante tassello che porterà alla cosiddetta Danza dei Draghi. Si parla di elaborazione del lutto, gestita in modo molto diverso dai vari Targaryen coinvolti, ma allo stesso tempo indice di una cattiveria sovrumana, e di senso di colpa che troppo spesso fa rima con vendetta. Parallelamente vengono approfonditi i personaggi di Aemond e di Otto, tra i più calcolatori di tutta Westeros, due “sopravvissuti” che non guardano in faccia a nessuno. Sangue e inchiostro sono le due anime di questa puntata, solo apparentemente statica ma in realtà ricca di suspense e colpi di scena che preparano il terreno per ciò che verrà.
👍🏻
Rhaenyra.
Il senso di colpa e la vendetta come motori dell’episodio.
L’istinto di sopravvivenza di Otto.
👎🏻
Alcune sequenze potrebbero sembrare inutili e riempitive.
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Marjane Satrapi
Marjane Satrapi, fumettista, regista, sceneggiatrice e illustratrice, con il suo lavoro illustrato ha dato voce all’Iran contemporaneo.
È l’autrice del famosissimo Persepolis, il primo fumetto autobiografico sulla storia iraniana poi diventato un film, nel quale descrive la sua infanzia in patria e la sua adolescenza in Europa. La protagonista è una bambina, i suoi giochi, la scuola e la scoperta del rock, che si svolgono in mezzo all’ascesa del fondamentalismo religioso in Medio Oriente.
Una riflessione sui comportamenti legati alla superficialità e al pregiudizio che portano a identificare un paese, un’intera civiltà, con alcuni estremi, drammatici aspetti della sua storia recente.
Scritta con l’intento di “ribattere ai pregiudizi sul mio Paese senza essere interrotta” è la saga di una famiglia iraniana a Teheran tra il 1960 e il 1990.
Sua è anche l’immagine simbolo della lotta delle donne iraniane contro il regime: Donna, Vita, Libertà.
Nata a Rasht, il 22 novembre 1969, è stata educata secondo principi progressisti da genitori illuminati, che, per evitarle il clima oppressivo ed estremista del regime di Khomeini, l’hanno fatta studiare prima al Liceo Francese di Teheran e poi, ancora giovanissima, a Vienna, dove ha dovuto fare i conti con pregiudizio e razzismo nei suoi confronti.
Nel 1988, alla fine della guerra con l’Iraq, è tornata a casa e ha frequentato la Facoltà delle Belle Arti. Incapace di reggere il clima di censura e privazione delle libertà, terminati gli studi, si è trasferita prima a Strasburgo e poi a Parigi dove, frequentando l’Atelier des Vosges, gruppo di disegnatori e disegnatrici che hanno dato vita al movimento d’avanguardia della Nouvelle bande dessinée.
Nel 2001 è nato il suo capolavoro Persepolis che ha riscosso subito un grande successo grazie allo stile semplice e immediato del disegno, volutamente naif e talvolta elementare, sempre efficace.
Il libro ha venduto oltre tre milioni di copie in tutto il mondo ed è stato tradotto in oltre venti lingue. La storia ha assunto un carattere universale grazie all’astrazione conferita dal segno in bianco e nero e alla semplificazione delle figure. La forma del romanzo grafico è riuscita magistralmente a sintetizzare specificità culturali entrando in comunicazione con culture e età diverse.
Nel 2007 ne è stato tratto l’omonimo film d’animazione candidato al Premio Oscar nel 2008. Scritto e diretto da Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud è stato realizzato interamente a mano, secondo le tecniche più tradizionali, per ricreare il segno del fumetto.
Dopo Persepolis ha pubblicato Taglia e cuci, Pollo alle Prugne con cui ha vinto l’Oscar del fumetto al festival internazionale di Angoulême, Il sospiro, favole persiane, Il velo di Maia. Marjane Satrapi o dell’ironia dell’Iran.
La trasposizione filmica di Pollo alle prugne, in live action, del 2011, è stata presentata in anteprima alla 68ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Ha anche diretto The Voices (2014) e Radioactive (2019).
La sua ultima fatica letteraria è stata Donna, vita, libertà, in cui ha riunito esperti di storia, politica e comunicazione e i più grandi talenti del mondo del fumetto per raccontare l’evento che ha segnato la storia contemporanea: l’uccisione di Mahsa Amini dovuta al pestaggio della polizia morale perché non indossava “correttamente” il velo. La morte della giovane ha scatenato in tutto l’Iran un’ondata di protesta che ha dato vita a un movimento femminista senza precedenti.
Marjane Satrapi vive e lavora a Parigi, collabora con numerose riviste e cura una colonna illustrata per il The New York Times.
Nel 2024 è stata insignita del prestigioso Premio Principessa delle Asturie 2024 per la comunicazioni e gli studi umanistici per “la sua voce essenziale nella difesa dei diritti umani e della libertà“.
Nella motivazione, la giuria ha evidenziato che “è un simbolo dell’impegno civico guidato dalle donne. Per il suo coraggio e la sua produzione artistica è considerata una delle persone più influenti nel dialogo fra culture e generazioni“.
Nel ringraziare per il riconoscimento, Marjane Satrapi ha affermato: “approfitto l’opportunità per celebrare la feroce lotta del mio popolo per i diritti umani e la libertà. Oggi si onorano tutti i giovani che hanno perso la vita e a quanti continuano nella battaglia per la libertà in Iran“. E ha dedicato il premio a Toomaj Salhebi, artista di rap, condannato a morte per il suo canto alla libertà.
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Hollywood a Cannes + Paolo Sorrentino: tutti i film del Festival 2024
Alla 77esima edizione del Festival di Cannes, che si terra da 14 al 25 maggio 2024, ci saranno molti personaggi hollywoodiani…e anche il nostro Paolo Sorrentino con il suo ultimo film, Partenope, con Luisa Ranieri, Stefania Sandrelli e Gary Oldman. Inanzitutto il presidente della giuria è la regista e sceneggiatrice di Barbie Greta Gerwig (la prima regista americana a presiederla), mentre la…
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L’ultima volta che ho incontrato Michela, prima che diventasse famosa, è stato nel 2001, eravamo al termine di un triennio in Azione Cattolica, che ci aveva visto lavorare insieme: lei come responsabile dei giovani della Sardegna, io come responsabile nazionale. "Che farai ora?", le chiesi. "Farò l'allevatrice di lumache", mi rispose. La salutai frastornato da un misto di nostalgia anticipata (pensavo infatti che difficilmente ci saremmo rivisti) e di rabbia (ma come è possibile - riflettevo - che una pesona di così grande talento non trovi altro spazio nel nostro paese che quello di allevare gasteropodi?).
Fortunatamente mi sbagliavo su entrambi i fronti: il talento di Michela è esploso rapidamente e io ho avuto la fortuna di continuare a frequentarla. Non credo che Michela abbia mai allevato lumache, di mestieri però ne ha fatti tanti: i più noti sono quelli di portiere di notte in un albergo e di venditrice attraverso un call center. C'è una costante però nelle diverse vite (la definizione è sua) che ha vissuto: quella di brillare e illuminare. Così quando lavorava in albergo ha incontrato Vinicio Capossela e insieme hanno registrato un brano a due voci, che spero un giorno avremo modo di ascoltare; il racconto dell'esperienza nel call center invece è diventato il suo primo grande successo letterario, quello che le ha aperto nuove e inaspettate vite: scrittrice, sceneggiatrice, saggista, attivista, candidata alla presidenza della regione Sardegna e tante altre ancora.
Quando le ricordavo quello che pensavo sarebbe stato il nostro ultimo dialogo, lei spiegava tutto con una metafora da campagna sarda: ho fatto la mossa del topo, quello che costretto in un angolo da una scopa, non avendo più vie di fuga, per evitare il colpo ferale, aggredisce. Ecco allora un'altra costante che ho trovato in Michela dagli anni giovanili ad oggi: la ribellione. Parola quest'ultima che però non va fraintesa. Michela sulla scena pubblica è stata troppo spesso interpretata come una barricadera, un'icona di posizioni ideologiche di un'area ben precisa. Un ritratto falso e semplicista questo, che non dice nulla di chi è stata Michela Murgia. Torno alla metafora del topo: Michela ha lottato per quelli che via via ha ritenuto fossero i più deboli, lo ha fatto con la forza delle sue parole, della sua prorompente personalità, a volte in maniera urticante, nella società come nella Chiesa, ma non è mai stata un'intellettuale da salotto. Le battaglie che ha sostenuto (al di là della valutazione di merito che ciascuno di noi può dare) le ha fatte sulla base di una ricerca, di uno studio, mai attraverso scorciatoie ideologiche. Michela si è esposta e ha pagato di persona. Michela ha detto parole dure non per odio verso qualcuno, né per compiacere circoletti intellettuali, Michela ha parlato in coscienza e consapevolezza, attirandosi per questo, oltre ad ammirazione, anche l'odio di molti. Circostanza per cui ha sofferto. Il sogno di traferirsi in Corea, coltivato negli ultimi anni, veniva proprio da questo: dalla sofferenza di essere insultata, magari mentre era in fila al supermercato, in ragione delle sue idee.
C'è poi un'altra dimensione meno conosciuta di lei che, per questo, vale la pena di raccontare: quella della fede. Michela ha studiato teologia, animata da quella che Ignazio chiamava la santa inquietudine. Michela ha polemizzato e fatto a botte con la religione, non con la fede che mai ha rinnegato. Michela è stata un'intellettuale credente che ha provato sempre, nella sua coscienza come nelle pagine scritte, a far dialogare la cultura e le istanze del nostro tempo con il Vangelo, con tutta la fatica e le incongruenze che questo comporta. Non spetta a nessuno giudicare il suo percorso, per quanto mi riguarda sento di ringraziarla anche per la testimonianza, profondamente evangelica, di come ha vissuto la malattia, per averci dimostrato, come ha scritto Chiara Valerio, che "i legami tra le persone sono più persistenti delle persone stesse" e per averci lasciato una delle più belle definizioni di Paradiso che mi sia toccato di ascoltare: "una comunione continua senza intervalli".
Gennaro Ferrara, Quella sete d'assoluto, "Avvenire", 12 agosto 2023
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Trovata una sceneggiatrice che ha un cognome molto molto simile al mio ma fa le fiction Mediaset
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ANATOMIA DI UNA CADUTA
Preambolo: non amo particolarmente il cinema di parola, piuttosto preferisco il teatro dove la parola riveste un altro ruolo, oppure la letteratura dove la parola, con la sua infinita combinatoria, risulta essere l'essenza stessa della sostanza artistica. Il cinema racconta eminentemente per immagini e, ove queste siano sacrificate massicciamente a favore dei dialoghi sembra, a mio parere, tradire la sua stessa essenza. Ma naturalmente, ogni regola ha la sua eccezione: è il caso, per esempio del cinema di Rohmer o di Resnais, ma anche di tanti altri registi francesi e non solo. Forse non è un caso che Justine Triet, regista di "Anatomia di una caduta", in questi giorni nelle sale, sia una giovane regista e sceneggiatrice francese (è nata nel 1978), con alle spalle una discreta carriera tutta centrata su un cinema di forte impegno sociale. "Anatomia di una caduta" ha vinto la Palma d'Oro al Festival di Cannes lo scorso anno e così, con non eccessiva convinzione, ho pensato valesse la pena vederlo. La vicenda è quella della scrittrice tedesca Sandra Voyter che dopo un'intervista concessa ad una giovane giornalista, viene coinvolta nella straziante morte del compagno, anche lui scrittore, Samuel Maleski caduto o gettato da una mansarda, nella loro casa di montagna, sulla neve ghiacciata. Nella casa, insieme a Sandra e a Samuel, vivono il piccolo Daniel, figlio della coppia, bambino ipovedente a seguito di un incidente, e il loro cane. Sospettata di essere la potenziale omicida, il film si svolge tutto attorno alla figura di Sandra e procede come un tipico "courtrooom drama" con tutte le limitazioni del caso (scenografia inesistente, riprese in interni piuttosto monotone, ecc.). Tuttavia senza anticipare nulla ai miei lettori, circa il finale del film, il meccanismo dello svolgersi degli avvenimenti è oliato alla perfezione: i dialoghi sono serrati e incalzanti, i tratti psicologici dei personaggi sono di assoluto realismo, le implicazioni psicologiche del dramma sono fondate e plausibili e poi ancora il ritmo narrativo del film è calibratissimo, le riprese volutamente claustrofobiche non concedono nulla allo spettacolo, la recitazione degli attori, specie quella di Sandra Hüller (Sandra Voyter) e di Milo Machado Graner (il piccolo Daniel), è semplicemente superlativa e bravissimo anche il di lei avvocato Vincent Renzi, con quella espressione tipica da parigino bene, interpretato da Swann Arlaud. Insomma, forse un film più da “ascoltare “che da “vedere”, ma che riesce a far scorrere velocemente le due ore e mezza di proiezione.
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LIAFF SPECIAL #11 - Interpreti in pillole: Kristen Stewart
Carissimi lettori, ben ritrovati con un nuovo appuntamento con LIAFF SPECIAL, la rubrica dedicata all’approfondimento di personaggi e temi nel mondo dell’intrattenimento. Questo mese parleremo di un'attrice molto apprezzata, e che ha visto un incredibile notorietà negli ultimi anni, fra premiazioni importanti e partecipazioni ai grandi festival del cinema, ovvero Kristen Stewart. In questo articolo ripercorreremo la sua carriera, dagli inizi in giovanissima età, fino all'arrivo della fama grazie alla Twilight Saga e alla sua reinvenzione quale volto del cinema indipendente e controcorrente, caratterizzata da grandi interpretazioni e riconoscimenti di rilievo.
A young star: chi è Kristen Stewart?
Kristen Jaymes Stewart nasce a Los Angeles il 09 Aprile 1990, da padre statunitense e madre australiana, rispettivamente un produttore e una sceneggiatrice. Dopo aver studiato in scuole locali, la Stewart continuò gli studi a distanza fino al liceo, e sognava di diventare sceneggiatrice o regista, non avendo mai preso in considerazione la carriera come attrice. Ad otto anni, durante una recita natalizia scolastica, la Stewart fu notata da un agente, portandola a fare audizioni per l'anno successivo, fino ad ottenere il suo primo ruolo, nel film The Thirteenth Year (1999), seguito da The Flintstones in Viva Rock Vegas (2000), entrambi dei semplici cameo. Il primo ruolo di un certo peso arriva con The Safety of Objects (2001), dove interpreta la figlia maschiaccio del personaggio di Patricia Clarkson.
Panic Room: i primi ruoli di rilievo
La prima vera svolta nella carriera della Stewart arriva nel 2002 con Panic Room, film thriller diretto da David Fincher, dove interpreta la figlia maschiaccio del personaggio di Jodie Foster, ruolo che le vale una nomination come miglior performance al Young Artist Award. A seguito del successo del film, viene scritturata in Cold Creek Manor (2003), altro thriller con protagonisti Dennis Quaid e Sharon Stone. Fra una lezione a distanza e l’altra, la Stewart trova tempo per partecipare ad altri film, come l’action-comedy Catch that Kid, il thriller Undertow e il drama Speak (tutti usciti nel 2004). In quest’ultimo la Stewart interpreta una ragazza che ha smesso di parlare dopo essere stata vittima di stupro, in una performance notevolmente apprezzata dalla critica. In seguito è apparsa in Zathura: A Space Adventure (2005) di Jon Favreau in un ruolo marginale, in Fierce People (2006), dove recita a fianco del compianto Anton Yelchin, nell’horror The Messengers (2007), a fianco di Dylan McDermott e Penelope Ann Miller e nella commedia romantica In The Land of Women (2007), assieme a Adam Brody e Meg Ryan.
Into the Wild: le prime attenzioni della critica
Nel 2007 Sean Penn la scelse per interpretare un piccolo ruolo in Into the Wild, adattamento dell’omonimo romanzo di Jon Krakauer, a sua volta basato sulla vera storia di Christopher McCandless, interpretato nella pellicola da Emile Hirsch. La pellicola fu ben accolta dalla critica dell’epoca, la quale si soffermò, fra le altre cose, sull’interpretazione della Stewart, definita rilevante anche se per un ruolo non principale. In seguito la Stewart è apparsa con un cameo in Jumper (2008), ha lavorato a fianco di Robert De Niro in What Just Happened (2008) ed è stata la co-protagonista del film indipendente The Cake Eaters, dove interpreta una ragazza disabile, in un altro ruolo enormemente apprezzato dalla critica.
The Runaways: fra vampiri e ruoli più drammatici
A Novembre 2007 la Summit Entertainment annunciò che Kristen Stewart avrebbe interpretato la protagonista femminile di Twilight (2008), film tratto dall’omonimo romanzo di Stephenie Meyer, e primo di una lunga e redditizia saga cinematografica. Il primo lungometraggio, diretto da Catherine Hardwicke (che la scelse dopo un provino improvvisato sul set di Adventureland), portò alla Stewart una fama mondiale, ma anche una serie di critiche negative per via della sua recitazione poco espressiva. Nel 2009 la Stewart appare in Adventureland, recitando a fianco di Jesse Eisenberg, e nel secondo capitolo della Twilight Saga, New Moon, seguito poi dal terzo, Eclipse, uscito nel 2010. Da quel momento la Stewart si alterna fra i restanti film della Twilight Saga, vale a dire le due parti di Breaking Dawn, uscite fra il 2011 e il 2012, e una serie di film più drammatici, come The Yellow Handkerchief, dove recita a fianco del compianto William Hurt, Welcome to the Rileys, assieme al compianto James Gandolfini, nel biopic The Runaways, dove la Stewart interpreta la rockstar Joan Jett, in una delle sue performance più importanti, il fantasy Snow White and the Huntsman, dove interpreta una versione action di Biancaneve e l’adattamento cinematografico di On the Road di Jack Kerouac. A seguito della fine della Twilight Saga, la Stewart diventa il volto per marchi come Chanel e Balenciaga, definendosi anche come icona di stile.
Camp X-Ray: il ritorno dopo le controversie
Per due anni la Stewart non apparve più sulle scene, anche a causa dello scandalo riguardante Rupert Sanders, il regista di Snow White and the Huntsman, ma nel 2014 ritorna in sala con Camp X-Ray, interpretando una giovane guardia che lavora nel penitenziario di Guantanamo, ruolo che la riporta all’attenzione della critica. Nello stesso anno la Stewart è fra i protagonisti di Cloud of Sils Maria, film diretto da Oliver Assayas e presentato al festival di Cannes, che le ha fruttato il César Award come miglior attrice non protagonista, recitando a fianco di Juliette Binoche e Chloë Grace Moretz, e recita accanto a Julianne Moore in Still Alice, film che ha portato la Moore a vincere l'Oscar come miglior attrice protagonista. Negli anni successivi la Stewart appare in Anesthesia, film diretto da Tim Blake Nelson e incentrato sulle vite di alcuni personaggi residenti a New York, in American Ultra, dove ritrova Jesse Eisenberg, il sci-fi distopico Equals, Certain Women di Kelly Reichardt, Cafè Society di Woody Allen, in Personal Shopper, seconda collaborazione con Oliver Assayas, dove interpreta Maureen, una ragazza che lavora nel mondo della moda e che ha recentemente perso il fratello gemello, in un altra performance elogiata dalla critica e in Billy Lynn's Long Halftime di Ang Lee. In questo periodo la Stewart è anche apparsa nella videoclip per il brano "Ride 'Em on Down" de i Rolling Stones e ha debuttato come regista per un cortometraggio, intitolato Come Swim.
Spencer: la nomination agli Oscar
Nel 2018 la Stewart appare in Lizzie, adattamento cinematografico delle vicende di Lizzie Borden, interpretata da Chloë Sevigny, seguito da JT Le Roy, dove interpreta Savannah Knopp, il volto dietro il famoso caso da cui il film prende il nome e nel 2019 torna al Festival del Cinema di Venezia con Seberg, film che narra la storia dell'attrice Jean Seberg, rivelatosi un altro ruolo importante per la sua carriera. In seguito la Stewart torna al cinema mainstream con il chiacchierato Charlie's Angels di Elizabeth Banks, il thriller Underwater, in cui recita a fianco di Vincent Cassel, ha diretto il cortometraggio Crickets per l'antologia Homemade ed ha recitato nel film natalizio a sfondo LGBTQ+ Happiest Season. A Giugno 2020 la Stewart fu scelta per interpretare Lady Diana in Spencer, biopic diretto da Pablo Larraín ed incentrato sul momento in cui Diana decide di divorziare dal principe Carlo. Per prepararsi al ruolo, la Stewart ha studiato ogni aspetto della compianta principessa del Galles e, a quanto pare, lo sforzo è stato ben ripagato, dato che il film ha debuttato al Festival di Venezia del 2021 ed è stato grandemente accolto dalla critica, soprattutto per l'interpretazione della Stewart, che le ha fruttato fra le altre cose, una nomination agli Oscar come miglior attrice protagonista, momento che segnerà in positivo la sua carriera. In seguito la Stewart torna a Cannes con Crimes of the Future, ultima fatica di David Cronenberg, in un ruolo marginale, ma comunque apprezzato da pubblico e critica e ha un cameo nella miniserie Irma Vep, targata Oliver Assayas.
I progetti futuri
A quanto pare, Kristen Stewart sembra non volersi fermare qui, dato che ha all'attivo numerosi progetti. Fra questi menzioniamo il thriller romantico Love Lies Bleeding, diretto da Rose Glass e presentato al Sundance Festival di quest'anno, con cui recita a fianco di Katy O'Brien, che già sta ricevendo un grandissimo apprezzamento da parte della critica, il sci-fi sperimentale Love Me, dove recita a fianco di Steven Yeun e anch'esso presentato al Sundance, il debutto alla regia di un lungometraggio in The Chronology of Water, tratto dall'omonimo memoir di Lidia Yuknavitch, la comedy Sacramento, attualmente in produzione, un film che narra la nascita della Beat Generation, che sarà diretto da Ben Foster, e un biopic sull'attivista Susan Sontag.
Qual'è la vostra interpretazione preferita di Kristen Stewart? Fatecelo sapere nei commenti.
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[✎ ITA] Intervista : RM - "Infine, Park Chan-wook" | 25.02.23⠸
Infine, Park Chan-wook
Intervista con Namjoon (Pagg 181-191)
Volume da Collezione Dedicato al Regista Park Chan-wook ("Decision to Leave") per i Suoi 30 Anni di Carriera
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INTRO
Dire di aver “guardato” Decision to Leave è riduttivo. Non c'è dubbio sia un' “esperienza”, ma se devo trovare un termine ancor più adatto, direi che lo si “vive”. Tra le persone che hanno vissuto Decision to Leave ve ne sono alcune che l'hanno sperimentato più profondamente e l'hanno riguardato più e più volte. Costoro si definiscono “헤친자/ Hechinja” (*Pazzi per Decision to Leave).
RM dei BTS ha confidato di essere tra coloro che vanno matti per Decision to Leave. Ha guardato il film 6 volte già solo al cinema, ha bevuto il whiskey apparso nel film, ha acquistato la sceneggiatura, ha concluso un'escursione in montagna con alcune battute di Decision to Leave. Questi sono i tipici sintomi di un Hechinja. Abbiamo chiesto a RM - musicista noto a livello globale, estimatore d'arte nonché appassionato di Decision to Leave - com'è stato vivere, soffrire ed amare questa pellicola. Come direbbe il regista Park Chan-wook, se dovessimo definire quest'intervista in 4 sillabe, diremmo “以心傳心” (cuore a cuore). Se anche voi andate matti per Decision to Leave, non potrete non approvare il viaggio di RM, il quale si è smarrito tra le “nebbie di Ipo*” e si è lasciato conquistare da quell'amore segreto.
* Ipo, “Città della nebbia”, luogo in cui è ambientato il film, n.d.t.
D: Stai partecipando a quest'intervista come rappresentante deə 헤친자 / hechinja (appassionati di DtL). Cosa ne pensi?
RM: Innanzi tutto, dato che sono sia un artista che un fan, (il film) ha suscitato moltissimi pensieri. Mi trovo un po' in imbarazzo, ma è anche una cosa positiva. So che ci sono molte altre persone ancor più appassionate di me e mi scuso (con loro) per essere io a fare da rappresentante per quest'intervista. Sono riuscito a darmi un contegno e a tenere la cosa privata fino alla mia 5a visione (del film), ma poi è uscito un articolo a riguardo e la cosa è diventata di pubblico dominio. Dato che ormai era cosa nota, ho deciso di dimostrare attivamente d'essere un fan. La sceneggiatrice Jung Seo-kyeong è stata ospite nella 3a puntata del programma che co-presentavo, il Dizionario delle Conoscenze Umane Inutili (tvN). Se guarderete lo show, vedrete che sono un vero fan.
D: C'è forse un qualche motivo speciale che ti ha spinto a guardare Decision to Leave? Puoi dirci cosa hai provato la prima volta che l'hai guardato?
RM: Mi erano già piaciuti i lavori precedenti del regista Park Chan-wook. E poi ho scoperto che era un film diventato virale tra i miei amici. Guardare film è da sempre uno dei passatempi preferiti della mia famiglia. La prima volta, l'ho guardato da solo. Probabilmente è perché l'ho iniziato senza sapere nulla della storia e della struttura narrativa, ma ero talmente preso dalla trama che credo di essermi perso tutti i dettagli della messa in scena ed i significati nascosti. Alla fine chi era il colpevole? “Quindi SeoRae ha ucciso HaeJoon?”, “Chi è il cattivo della situazione?”, “Cos'è successo?”, “(SeoRae) È morta?”, pensieri ed interrogativi simili continuavano a frullarmi in testa e non ero soddisfatto, mi sentivo un po' a disagio.
D: Dopo la prima visione, quindi, non ne sei rimasto soddisfatto, ma non riuscivi a togliertelo dalla mente, dunque sei andato al cinema e lo hai riguardato più e più volte. Saremmo curiosi di capire un po' meglio quella sensazione di disagio che hai menzionato.
RM: Ho pensato il film fosse proprio come la “nebbia di Ipo”, che appare nella pellicola. Non sono poi un così gran cinofilo o appassionato di film. Senza dubbio, ci sono volte in cui cerco specificamente pellicole indipendenti o che preferisco il cinema d'autore, quindi mi consideravo uno spettatore abituato a questo tipo di “film (che sono) come nebbia”.... Ma dopo aver visto Decision to Leave, mi son chiesto “E allora? Cos'è successo?”. Quindi ho realizzato che l'opera di questo regista era arte, è un film che è come nebbia e, il che, mi metteva un po' a disagio. È così che è andata la mia prima visione.
D: Nonostante ciò, non riuscivi a “smettere di pensarci, quindi, tornato al cinema, hai finito per rivederlo più volte”. È ciò che hai dichiarato, corretto?
RM: La prima volta che ho visto Decision to Leave era intorno agli inizi, quando è uscito, circa un mese dopo. Avevo molti impegni e stavo ultimando i preparativi per il mio album, quindi era un periodo un po' confuso per me, sotto diversi aspetti. In un certo senso, credo il tempismo sia stato perfetto. Circa un mese dopo, mi è tornato in mente Decision to Leave quindi sono andato a rivederlo per l'ennesima volta, cosa che di solito non faccio quasi mai. Era come se qualcosa mi attirasse. Credo il tempo sia un bene prezioso, e ci sono talmente tanti film e contenuti da consumare, che di solito non guardo mai una stessa cosa due volte. Eppure, come posso dire? Volevo liberarmi di quella sensazione di disagio. Ora che l'hai già visto, conosci la storia, non sarebbe male riguardarlo, no? Probabilmente riuscirai a concentrarti su altri aspetti, al di là della trama, giusto? È possibile ci sia dell'altro? E alla fine mi son deciso ad andare (a riguardarlo), forte di questo presentimento, c'era qualcosa che mi sfuggiva.
D: Quindi Decision to Leave è il primo film che hai riguardato più e più volte?
RM: Ci sono anche altri film che ho rivisto 2 o 3 volte, ma Decision to Leave è l'unico che ho riguardato più di 4 volte.
D: Quante volte hechinja-RM ha guardato Decision to Leave?
RM: L'ho visto 6 volte
D: La cosa più bella di questo film è che ogni volta che lo riguardi, noti cose nuove. Immagino che ciò che hai capito, le parti che hanno catturato la tua attenzione e ti hanno commosso fossero diverse dopo la seconda, terza e poi sesta visione. Sarebbe interessante capire cos'è cambiato di volta in volta, per te.
RM: La seconda visione è stata piuttosto drammatica, visto che ormai sapevo cosa succedeva. La prima volta mi ero concentrato su SeoRae (dato che sono anche un fan di Tang Wei), mentre la seconda ho prestato più attenzione alle battute di HaeJoon, al suo tono di voce ed espressioni facciali. Mi chiedo se fosse perché volevo capire il suo punto di vista, in quanto spettatore: “Perché diavolo ha agito così?”, “Quando ha iniziato ad innamorarsi?”. So che potrà sembrare una domanda piuttosto “sciocca”, ma perché?...Perché si è innamorato? Perché? Ho continuato a chiedermelo per tutta la durata del film.
D: Mentre guardavi il film, c'era forse qualcosa che avresti voluto chiedere al regista Park Chan-wook?
RM: Quale tipo di esperienze sentimentali ha vissuto il regista? Si ritiene forse un “변태 / perverso”?
D: Quando ti ho visto citare le battute dette da Ki Do Soo (Yu Seung-mok) in Decision to Leave, durante quell'escursione, ho subito pensato fossi in piena modalità “hechinja (appassionato di DtL)” [ride]. Ho anche visto che hai postato uno screenshot della sceneggiatura del film sui tuoi social media. Ma apprezzare un film è una cosa, comprarne la sceneggiatura a stampa è un'altra. C'è forse un qualche motivo?
RM: Innanzi tutto, c'è da dire che ho scoperto che la sceneggiatura era stata pubblicata in formato libro tramite altri amici. Esteticamente, la copertina era anche molto bella. Non sono pratico di recitazione o dei meccanismi e processi che stanno dietro un film, quindi volevo farmene un'idea attraverso la sceneggiatura. Mi piace provare cose nuove. Volevo vedere come fosse leggere un film semplicemente in parole e battute stampate, senza l'aspetto recitativo e visivo, e tanto conoscevo quasi tutti i dialoghi. Visto che sono un fan, è stato un po' come comprare del merchandise, sa? (ride) E poi mi piace acquistare libri. Gli appassionati di lettura non fanno che comprare nuovi libri, anche se ne hanno ancora pile intere da leggere.
D: E, rispetto al film, com'è stato leggere la sceneggiatura?
RM: Ci sono molte parti diverse dalla pellicola, quindi mi sono chiesto come sarebbe stata una versione integrale di Decision to Leave. Dato che sono io stesso un artista e creativo, mi sono spesso posto la domanda “con che logica questa scena è stata tagliata?”. Alcune delle parti che nel film erano diverse avevano senso, di altre non ne capivo il senso. Ed avendo guardato prima il film e poi letto il libro, mi riusciva davvero terrificante immaginare che gli interpreti di HaeJoon e SeoRae sarebbero potuti non essere Park Hae-il e Tang Wei. Credo sia proprio questa la forza della recitazione e dei film. È ciò che ho realizzato. Ma soprattutto, ho proprio provato rinnovato rispetto per gli attori, gli autori, il regista e tutto lo staff. Credo quella filmografica sia proprio un'arte completa e grandiosa.
❝Ho detto di avere ancora una dignità, ricordi? Sai da cosa nasce la dignità? È frutto dell'autostima. Io ero un poliziotto stimato, ma mi sono innamorato follemente di una donna e ho mandato a monte le indagini, sai? Ero semplicemente... distrutto. Getta quel telefono in mare. Giù, giù, in profondità, così che nessuno possa trovarlo.❞ (battuta di Jang HaeJoon in Decision to Leave / * postata da Namjoon su IG)
D: Hai scelto questa battuta di HaeJoon come tua preferita. Perché?
RM: Realizzare che la dignità nasce dall'autostima è stato come un colpo in testa. Non so di preciso perché io mi sia innamorato di questa battuta, ma penso sia anche per come è espressa da Park HaeJoon, con quale tono la dice. Credo di averla notata solo dalla 3a visione. In realtà, credo che in amore la dignità non significhi nulla, ma è qualcosa che deve già esistere. L'autostima è la prima cosa di cui si parla (nella battuta), poi viene menzionata la passione per una donna, il fallimento delle indagini...è un graduale processo di disintegrazione. E poi la frase riguardo al gettare il telefono in mare. Credo siano le parole usate e il modo in cui vengono enunciate a creare quella certa tensione e crescendo fino all'esplosione finale.
D: In questa battuta, troviamo una persona che ha vissuto con integrità ed autostima tutta la sua esistenza fare una pazzia e lasciarsi tutto alle spalle, sia il lavoro che i suoi ideali. È una scena che ci mostra letteralmente il “tracollo” di HaeJoon, ed è anche una dichiarazione d'amore, anche se l'uomo non se ne rende conto. C'è una qualche parte di questa battuta che ti ha colpito particolarmente?
RM: Più che la battuta di per sé (anche se inizialmente mi è sembrata molto d'impatto), è la messa in scena – con la finestra di ricerca che mostra la definizione di 'tracollo': “crollare, andare in frantumi”, la voce del traduttore automatico a metà strada tra il maschile ed il femminile e l'inquadratura su HaeJoon attraverso lo schermo del telefono – che, più passa il tempo, più mi sembra memorabile.
D: L'amore mostrato in Decision to Leave è particolare perché non potrà mai concretizzarsi e, al contempo, ne è la rappresentazione più profonda ed assoluta, indistruttibile. In particolare, il modo in cui SeoRae ama è diverso da quello di HaeJoon. Se tu dovessi indicare un personaggio che ti rappresenta e ti ha commosso maggiormente, chi sceglieresti tra questi due?
RM: Credo sceglierei HaeJoon.
D: E ora passiamo al finale del film. È un film profondamente toccante. Saremmo curiosi di sapere che emozioni hai provato nel guardare il finale di Decision to Leave?
RM: SeoRae che scende dalla montagna e torna sulla spiaggia e HaeJoon, che piange disperatamente seppur con un sorriso desolato, sono memorabili. Infine, il vero amore si è concretizzato o, fin dall'apertura, non è stato che l'inizio di una tragedia per entrambi? Mi ha fatto riflettere. Sono stati felici o è solo un amore sfortunato? O forse è entrambe le cose? È davvero come la nebbia? Il vestito blu, la montagna ed il mare ed il continuo contrasto tra i vari estremi. La vita e l'amore, si sa, sono davvero complessi e multi-sfaccettati. Non è facile distinguere tra il blu ed il verde. Non è forse qualcosa di molto soggettivo e personale?
D: Durante i titoli di coda, la sala si riempie delle profonde voci di due artistə, Jung Hoon-hee e Song Chan-Sik. La canzone finale, 'Fog' è protagonista a sua volta in quanto si fa espressione dei sentimenti ed emozioni che ci lascia il film. Tu sei un musicista, quindi immagino ne avrai avuto una percezione diversa e particolare. Come ti è parsa?
RM: Credo sia stata una scelta magnifica. Non è forse proprio per questo che i film sono una forma d'arte così completa? La canzone finale si sposa alla perfezione con l'estetica e la messa in scena del film, creando una certa sinergia. E poi si intitola “Fog (nebbia)”, quindi mi ha fatto pensare alla nebbia (del film). Ha un che di disperato e solitario, ma è meno triste di quanto si potrebbe immaginare, e riesce a toccare alcune delle nostre corde più sensibili.
D: In quanto musicista ed amante del cinema, immagino non ti dispiacerebbe provare a scrivere colonne sonore?
RM: Mmh... Credo prima di dovermi concentrare sul mio album. A volte si è più felici come semplici fan.
D: In quanto artista con un profondo interesse e conoscenza dell'arte, quale ti è sembrata la scena migliore sotto il punto di vista artistico? Che cosa ti ha colpito?
RM: Forse gli sfondi (le ambientazioni)? E poi, non so se possano essere definite artistiche, ma la scena in cui HaeJoon osserva SeoRae attraverso un binocolo e sembra siano l'uno di fianco all'altra, o quella in cui lui ha in mano una sigaretta e poi ci viene mostrato attraverso lo schermo del telefono.. trovo fossero davvero belle e piacevolmente innovative.
D: Credo Decision to Leave sia un film che permette allo spettatore di apprezzare e godersi appieno la visione di una pellicola in sala. Se dovessi scegliere la scena che ti ha commosso di più, quale sarebbe? Per caso hai versato qualche lacrima guardando il film?
RM: In realtà, non credo di aver pianto. Trovo sia un film emozionante e coinvolgente. Forse proprio perché è un “film (misterioso come la) nebbia”. Probabilmente è la scelta di molti, ma direi il grido finale di HaeJoon: “Dignità, autostima, tracollo”. E poi anche la scena sul monte Homi, quando SeoRae punta la torcia da capo sul volto di HaeJoon e lui si umetta le labbra, non potendo guardarla in viso. Sappiamo che per tutto il film ha sempre dovuto usare delle gocce per gli occhi, ma ciò che rimane impresso è la sua espressione e la realizzazione che, di fatto, non l'ha mai messa veramente a fuoco, vista con chiarezza. Credo tutti questi dettagli siano davvero memorabili.
D: Hai detto di amare i lavori del regista Park Chan-wook già da prima di Decision to Leave. Quand'è stata la prima volta che hai visto un suo film? Che pellicola era e perché l'hai guardata?
RM: Mi sembra fosse Oldboy. Immagino sia lo stesso per molti. L'ho visto perché si diceva fosse imperdibile.
D: Prima, hai osservato che Decision to Leave è un po' diverso rispetto ai lavori precedenti del regista Park Chan-wook. Come mai?
RM: Credo sia un'impressione condivisa da molti. Me ne sono reso conto particolarmente durante la mia 2a e 3a visione, ma ora che sono diventato un fan, non riesco più ad essere obiettivo a riguardo. In realtà, non saprei. Credo sia perché Decision to Leave è l'unico che ho visto più di due volte, tra i lavori del regista Park.
D: Credo tu abbia già praticamente risposto a questa domanda, ma se dovessi scegliere il tuo film preferito tra i lavori del regista Park Chan-wook, quale sarebbe?
RM: Ad esser sincero, non ho ancora visto tutti i film del regista Park, ma se devo dire quale amo di più, sicuramente Decision to Leave.
D: Ultima domanda: ti chiederemmo di lasciare un messaggio e dire ciò che vuoi al regista Park Chan-wook, che, nel 2022, ha festeggiato i suoi 30 anni di carriera.
RM: Regista Park, ha fatto un lavoro magnifico e.. spero continuerà così (ride). Se ci sarà mai l'occasione di incontrarci e bere qualcosa insieme, spero vorrà raccontarmi tanti retroscena e storie interessanti. Non vedo l'ora di guardare i suoi prossimi film. Grazie a lei, gli ultimi mesi sono stati molto piacevoli e divertenti.
⠸ eng : © fIytomyR00M ; © KNJsSource | ita : © Seoul_ItalyBTS⠸
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Le scarpe sono i totem della libidine incorporea. Zucchero per gli occhi, poesia per i piedi. Rappresentano tutto ciò che avreste sempre desiderato
👠💄
Mimi Pond, sceneggiatrice dei Simpson
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C'è ancora domani: il bellissimo (e arrabbiato) esordio alla regia di Paola Cortellesi
C'è ancora domani, esordio da regista più che convincete di Paola Cortellesi, qui anche sceneggiatrice e interprete: un film da vedere, magari insieme ai propri figli.
Non importa a quale estrazione sociale appartengano e indipendentemente dal livello di istruzione ed economico, tutti gli uomini del film d'esordio da regista di Paola Cortellesi dicono alla protagonista Delia, interpretata dalla stessa Cortellesi, che "se deve impara a sta' zitta". Ma L'attrice più popolare del cinema italiano contemporaneo non ci sta e, preso in mano il microfonoe la macchina da presa, ne ha diverse di cose da dire. Alla faccia di chi fa notare con pregiudizio e senza domandarsi mai realmente cosa abbiano da raccontare, fermandosi solamente al perché - come mai negli ultimi anni, sempre più attrici stiano passando dietro la macchina da presa. Con C'è ancora domani si può dire che Cortellesi ha stupito: non è soltanto perchè è importante ciò che dice, ma anche come.
C'è ancora domani: foto di gruppo del cast
Il film è ambientato in un Italia del primissimo dopoguerra, e per essere precisi nel 1946, nei giorni che precedono il voto tra Repubblica e Monarchia, primo vero suffragio universale del nostro paese. In un bianco e nero che ricorda i film del Neorealismo, la fotografia è di Davide Leone, ci si accorge subito che la vita di questa donna non è semplice: oltre a curare la casa e prole fa tre lavori diversi. Ma nonostante il suo impegno quotidiano, niente sembra sufficiente per il marito Ivano. Un Valerio Mastandrea che raramente ha ricoperto un ruolo così cattivo sul grande schermo. L'uomo la umilia e la svaluta continuamente. E soprattutto la picchia, o come si dice a Roma la mena. Tanto, ed a ogni minimo cambiamento d'umore. Persino la mattina appena svegli.
Ma nonostante tutto, Delia lavora, per i tre figli, in particolare la maggiore, Marcella (Romana Maggiora Vergano). La ragazza vorrebbe continuare a studiare, ma il padre invece pensa solamente a farla sposare bene, in modo da togliersi dalle spalle una bocca in più da sfamare. E magari nel mentre guadagnarci pure. Sì perché nella casa, oltre ai genitori e ai tre ragazzi, c'è anche il nonno Ottorino (Giorgio Colangeli): e sentendolo parlare si capisce subito da dove provenga la violenza di Ivano. Ma l’uomo non è il solo a prendersela con Delia: anche la figlia maggiore la insulta, le dice che non vale niente e accusandola di essere debole perché non reagisce. In realtà la ragazza rivede nella madre il suo futuro.
Paola Cortellesi ha scritto, insieme agli sceneggiatori Furio Andreotti e Giulia Calenda, diretto e interpretato un film, anche se ambientato negli ultimi anni quaranta del secolo scorso è pieno di "rabbia giovane". Questo perché la rabbia delle donne non conosce tempo: in un mondo fatto su misura per gli uomini, rientrare nel genere che viene considerato "minore" è un peccato originale con cui bisogna fare i conti ogni giorno. Soprattutto quando capisci che, per quanto tu possa lavorare sarai molto spesso pagata meno e considerata meno. Anche fastidiosa, specialmente quando cercherai di dire la tua. Perché "quello è omo!", come dice a Delia il datore di lavoro, quando gli chiede spiegazioni sulla differenza di compenso con il nuovo apprendista. Nonostante le donne come lei, madri, nonne e sorelle, siano state e sono le fondamenta su cui si basa la società, la nostra incrollabile cultura patriarcale, forse ora in modo meno sfacciato, dice sempre "e ringraziate che vi facciamo esistere".
C'è ancora domani: un primo piano di Valerio Mastandrea
E all’interno del film questo è evidente quando il fidanzato di Marcella, Giulio (Francesco Centorame), nonostante si presenti come un bravo ragazzo dolce e innamorato, ripete presto nei confronti della ragazza schemi già visti: possesso, violenza, prevaricazione. Ecco perché il film di Paola Cortellesi ha una forza che serve come non mai, soprattutto al giorno d’oggi, quando pensiamo che la società abbia fatto grandi passi avanti invece orrendi fatti di cronaca ci smentiscono quotidianamente. L'utilizzo di canzoni moderne in un film ambientato quasi 80 anni fa non è per nulla casuale. Perché storie come questa possono anche sembrarci lontane, ma accadono quotidianamente, anche nel "civile" 2024. E dare per scontati diritti come quello del voto, al divorzio e all'aborto, conquistati se ci fermiamo a pensare praticamente ieri, è un pericolo insidioso. quindi anche in tempi moderno e più “civili” non bisogna abbassare la guardia.
Cortellesi non lo ha fatto di certo e ha avuto la grande intelligenza di rendere anche istruttivo il proprio film, senza però mai fare la morale o uno "spiegone-manifesto". Ma nonostante la pesantezza del tema, C'è ancora domani risulta essere anche un film divertente - grazie a quell'ironia popolare e acutissima della Cortellesi, spalleggiata nel film in modo sublime da Emanuela Fanelli, che ha il ruolo di Marisa, migliore amica della protagonista -, dal ritmo incalzante, che, anzi, ha proprio come impronta stilistica quella di smorzare e dissacrare ogni climax emotivo, che esso sia positivo o negativo. Ed ecco quindi che l'ennesima scarica di schiaffi diventa un ballo in cui i lividi spariscono o una scena d'amore viene "sporcata" da della cioccolata rimasta tra i denti.
È un esordio alla regia più che riuscito quello di Paola Cortellesi, in cui si trova finalmente qualcuno nel cinema italiano che non è nostalgico del passato ma, anzi, è invece totalmente proiettato verso il futuro. C’è ancora domani è un film che sarebbe bello le madri vedessero insieme alle figlie e, si spera, vedano anche padri e figli. Per capire che non basta dire "io non sono così", ma è il momento di dire: non voglio che queste cose succedano ancora e ancora, quindi cosa posso fare per cambiare le cose?
In conclusione C'è ancora domani, il film esordio di Paola Cortellesi alla regia, è più che convincente: ed è un film che bisognerebbe far vedere a quanti più giovani possibile, per mostrare come una società che considera meno, e umilia, più della metà della sua popolazione sia una società malata. Divertente in diversi punti e con tante scelte di regia interessanti estremamente consapevoli e con un cast perfetto sicuramente una delle pellicole migliori del 2023 per quanto riguarda il cinema italiano.
👍🏻
- La regia di Paola Cortellesi, strepitosa e piena di idee interessanti.
- La recitazione di tutto il cast.
- Il ritmo incalzante.
- La scrittura, che si poggia su un'ironia dissacrante.
👎🏻
- Non c’è nulla che non vada in questo film ma qualcuno potrebbe non apprezzare l'utilizzo di musiche moderne per un film d'epoca ma in realtà il loro utilizzo è una scelta perfettamente coerente con quanto viene raccontato.
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