#il mito di Edipo
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Edipo Re" al Teatro Vascello di Roma: la tragedia di Sofocle torna in scena dal 4 al 9 marzo
Dal 4 al 9 marzo 2025, il Teatro Vascello di Roma ospiterà una nuova, potente messa in scena di "Edipo Re" di Sofocle, nell’adattamento e regia di Andrea De Rosa
Un classico intramontabile con la regia di Andrea De Rosa Dal 4 al 9 marzo 2025, il Teatro Vascello di Roma ospiterà una nuova, potente messa in scena di “Edipo Re” di Sofocle, nell’adattamento e regia di Andrea De Rosa. Uno spettacolo che affronta la tragedia della verità e del destino con un linguaggio moderno e suggestivo, arricchito da un impianto scenico innovativo. Prodotto da TPE –…
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Capitolo 31 - Il sonno della coscienza genera mostri

“… intorno a lui fu consultato il vate profetico per sapere se avrebbe visto i lunghi giorni di una matura vecchiaia: «Se non si conoscerà» egli disse. La profezia dell’augure a lungo sembrò menzognera, ma la confermarono la fine, gli avvenimenti, nonché il genere di morte e la singolarità della follia.”
Metamorfosi di Ovidio
Il lui della citazione è Narciso e come ci racconta Ovidio, era un giovane di straordinaria bellezza che dopo essersi specchiato nelle acque di un lago, s’innamora follemente della sua immagine riflessa e nel tentativo di afferrarla cade in acqua e muore annegato. La singolarità della follia è quella di amare sé stesso più di qualsiasi altro essere al mondo e come da profezia, la morte avviene nel momento in cui si conosce, si vede per la prima volta.
Il mito di Narciso è tra i più conosciuti della mitologia greca e tra i più utilizzati in psicologia come in letteratura per raccontare individui insensibili e manipolatori o descrivere società basate sull’egotismo e l’apparenza.
In Introduzione al narcisismo (1914), Sigmund Freud definisce narcisismo originario un particolare stadio dello sviluppo psichico durante il quale il bambino, o la bambina, basta a sé stesso, nel senso che il suo corpo è il punto di partenza e di arrivo delle pulsioni e del piacere. È quel momento in cui dipendiamo completamente dall’accudimento materno, il momento in cui ogni nostra necessità viene soddisfatta senza che sia necessario far nulla fuorché piangere, è il momento in cui la simbiosi con chi ci accudisce è assoluta, non siamo capaci di distinguere ciò che è io da ciò che è il corpo dell’adulto che ci accudisce. Abbiamo fame, sete, vogliamo dormire, essere coccolati oppure vogliamo giocare o essere cambiati e senza nessun altro sforzo che sia quello di agitarci scompostamente e piangere, otteniamo ciò che desideriamo, quello di cui abbiamo bisogno. Nel momento di massima dipendenza siamo quasi come degli dei, otteniamo pronta soddisfazione senza la necessità di affidare alle parole la nostra richiesta e solo con il movimento.
Crescere comporta però ripetere continuamente l’esperienza dell’essere incapaci, da soli, di soddisfare le nostre necessità, di essere fisicamente e psicologicamente inadatti a rispondere alle richieste dell’ambiente; crescendo ci scontriamo con i limiti che l’educazione pone al soddisfacimento del nostro piacere e con la frustrazione che deriva dai divieti morali e civili che la nostra società impone. Questo è il momento edipico, un momento fondamentale secondo Freud nello sviluppo psichico normale e in quello patologico dell’essere umano e per spiegarlo prende a prestito un altro mito di origine greca, quello di Edipo.
Questa volta a consultare l’indovino Tiresia sono il re Laio e sua moglie Giocasta, al quale pongono la stessa domanda che i genitori di Narciso posero all’augure: il loro primogenito vivrà sereno e abbastanza a lungo da godersi la vecchiaia? Sì, il bambino vivrà a lungo, abbastanza da invecchiare ma sarà causa di morte per il padre, è la risposta del veggente. I genitori sconvolti dalla profezia, decidono di uccidere il bambino, ma non essendo capaci di farlo affidano il neonato a un cacciatore, chiedendogli di abbandonarlo nel bosco così che muoia di fame e di freddo. Il cacciatore compassionevole non esegue però l’ordine del re, salva il bambino affidandolo alle cure di altri due genitori regali, senza figli, che lo accolgono con immensa gioia.
Una volta cresciuto, Edipo per dimostrare il suo valore di uomo e di futuro re, si mette in marcia, esercito a seguito, con l’intenzione di conquistarsi un proprio regno. Durante il cammino giunge dinnanzi ad una strettoia, all’altro capo della quale c’è Laio con il suo esercito in marcia. Nessuno dei due sa chi sia l’altro, ma entrambi sanno che il diritto di passaggio spetta a Laio in quanto re e in quanto anziano. Come sappiamo Edipo freme dalla voglia di mostrare le sue doti virili e i suoi talenti da guerriero così, invece di cedere il passo a Laio in rispetto alle leggi e agli dei, comanda al suo esercito di attaccare per imporre il suo diritto di passare per primo. Sarà proprio la sua spada ad uccidere il padre. Edipo trionfante e inconsapevole conquista il regno di Laio, sposa la madre e dall’unione dei due nascono ben quattro figli. Dei miti greci e delle leggende la cosa che più mi piace è che la verità anche se giace nascosta per anni e anni, trova sempre il modo di manifestarsi e una volta nota a tutti, la giustizia segue implacabile. Edipo venuto a conoscenza dell’orrida verità, si accecherà con le sue stesse mani e si costringerà a una vita in esilio vagando per strade sconosciute coperto di stracci.
Freud utilizza il mito di Edipo per spiegare un passaggio fondamentale della maturazione psichica durante il quale l’Io smette di trovare godimento in sé stesso e si rivolge all’ambiente, cerca di soddisfare i suoi bisogni nella relazione con i genitori, uno dei quali diventa l’oggetto del suo amore, l’altro diventa oggetto d’identificazione e d’imitazione, una sorta di ideale. Il primo atto costitutivo dell’Io come Essere in relazione con è una scelta d’amore e contemporaneamente è il desiderio di voler essere come quel modello in grado di possedere l’oggetto amato.
Il processo di identificazione è alla base del complesso edipico, il bambino s’identifica con l’oggetto amato che vuole per sé e con il quale non ammette distanza o separazione, ma s’identifica anche con il rivale in amore, l’altro genitore al quale vuole somigliare, che imita e che vorrebbe sostituire. L’identificazione è il primo legame emotivo che istauriamo con un’altra persona perché sia nell’innamoramento che nell’ammirazione tendiamo a emulare il comportamento delle persone amate e ammirate, in Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921) Freud dice che a volte l’Io copia la persona amata a volte quella non amata (quella ammirata) e che l’identificazione è immedesimazione, la stessa che utilizziamo per comprendere l’Io estraneo di altre persone, la stessa che sta alla base dell’empatia. L’Io dunque crea un legame emotivo identificandosi con il soggetto che ammira e dunque con ciò che vorrebbe essere oppure con l’oggetto e dunque con ciò che vorrebbe avere.
Il legame emotivo che si istaura mediante l’identificazione è ambivalente, tende all’avvicinamento e alla tenerezza con l’altro con cui ci si identifica ma allo stesso tempo tende all’allontanamento e a cercare di separarsi da questo. Le forme di relazione basate sull’identificazione sono forme primordiali di relazione, l’altro è vissuto come un oggetto, come qualcosa che si vuole avere interamente, o in parte appropriandosi dei suoi attributi, in questo aspetto predatorio e aggressivo risiede l’ambivalenza del legame.
Narciso vuole afferrarsi ed Edipo non vuole solo diventare re, vuole essere re come Laio, vuole il suo regno, il suo esercito e la sua regina.
“[L’identificazione] Si comporta come una propaggine della prima fase orale dell’organizzazione libidica nella quale l’oggetto bramato e apprezzato veniva incorporato durante il pasto e perciò distrutto in quanto tale. Come è noto il cannibale rimane fermo a tale stadio; egli ama i nemici che mangia e non mangia se non quelli che in qualche modo può amare.”
Tre saggi sulla teoria sessuale (1905)
È sempre Freud a parlare e sembra far eco al poeta che dal carcere di Reading canta:
“Troppo poco si ama, o troppo a lungo;
C’è chi vende l’amore e chi lo compra,
Chi commette il delitto lacrimando
E chi senza un sospiro:
Poiché ogni uomo uccide ciò che ama,
Ma non per questo ogni uomo muore.”

Infatti a morire sono solo le donne che vengono divorate da uomini che amano solo sé stessi. I dati circolati dopo la morte di Giulia Tramontano, la giovane donna incita di sette mesi uccisa dal suo compagno, dicevano che in Italia 3 donne al giorno sono vittime di violenza e l’85% di loro muore uccisa da compagni, mariti, padri e figli, proprio da quegli uomini che le amano di quel tipo d’amore che le considera soltanto oggetti utili al loro nutrimento e al loro piacere. Ecco che tipo di amore è quello di ogni uomo che uccide ciò che ama, lo stesso tipo di amore in nome del quale chi mi stalkerizza giustificava la sua azione abusante nei miei confronti. In questi anni mi sono chiesta come potesse una persona, che mi ossessionava con la sua presenza sempre lì dov’ero io ad ascoltare ogni mio respiro, a guardare ogni mia azione, sempre pronto a sottolineare i miei gesti, gli eventi della mia vita con poesie d’amore, canzoni, articoli, sempre lì a ripetere le mie parole, i miei argomenti, a imitare i miei gesti, i miei modi di dire, che a ogni mio tentativo di liberarmi da questa sorveglianza globale rispondeva che sarebbe rimasto per sempre perché mi amava troppo, come può questo uomo non aver mai nemmeno tentato, di avere una relazione normale con me? Non aver mai cercato d’incontrarmi o di parlarmi per comunicare, non soltanto per ripetermi come un’eco infinita. In linea con Freud ritengo che la risposta stia proprio nella fame smodata e insaziabile dell’oralità, e nella violenza dell’identificazione come esporrò nel prossimo capitolo.
Adesso, dopo aver parlato di uomini, di miti e di parole ripetute, mi piacerebbe concludere con la storia di un personaggio femminile Eco, la ninfa ripetente, così come l’ho trovata nel libro di Christoph Ransmayr, Il mondo estremo.
La storia è ambientata agli estremi confini del mondo conosciuto, nella città di Tomi, sul Mar Nero, dove Ovidio fu esiliato e dove morì. Il protagonista è Cotta, amico del poeta, che aveva assistito al suo ultimo discorso pubblico a Roma prima dell’esilio. Cotta si reca nella città selvaggia perché vuole rintracciare le ultime tracce di Ovidio e delle Metamorfosi, muovendosi in un mondo in cui il mito si trasfigura in realtà. In questo romanzo Eco è una donna straniera, povera e sola, dalla pelle così chiara e delicata che se si espone al sole inizia a squamarsi e a decomporsi, per questo vive in una caverna in cima alla montagna. Eco è capace di discorrere di molte cose, sa molto e ha vissuto a servizio di Ovidio fino alla morte di quest’ultimo, ma a Tomi generalmente quando le rivolgono la parola si limita a ripetere le ultime parole di chi le ha parlato. Essendo una straniera, povera e donna, gli uomini della città ferrigna, si presentano di notte nella sua caverna e portando polli, stoffe, grano o farina pretendono di accoppiarsi con lei, lei per sopportare quei momenti, rimane in silenzio e immagina di trovarsi a passeggiare per sentieri di montagna. Cotta è l’unico a sapere che Eco non ripete soltanto parole, ma parla in modo tale da fargli venire il sospetto che Ovidio stesso possa aver scritto le Metamorfosi ripetendo le storie ascoltate dalla donna. Nonostante questo, o forse proprio per questo, anche Cotta la violenta.
Roma, 12 giugno 2023 h 9.33 a. m. – 15 giugno 2023 h 3.05 p. m.
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Il volto enigmatico della filosofia si rivela nel mito di Edipo e della Sfinge. "Quest'ultima, mostro favoloso uscita dall'inferno, è stata mandata da Tebe per vendicare l'assassinio del re Laio, padre di Edipo. Installati su un' alta roccia presso le mura della città, pone ai passanti un indovinello e divora chi non riesce a risolverlo. Fino al giorno in cui Edipo risolve l'enigma:Qual'è l'animale che al mattino ha 4 zampe, a mezzogiorno 2, e la sera 3? É l'uomo. "
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Parlare di Dauði Baldrs significa parlare di un compromesso. La disputa di questo problema è rappresentata da due parti che sono ormai conosciute da tutti quelli che hanno almeno sentito parlare di Burzum. Queste parti sono: la vita artistica di Vikernes (che nasce indissolubilmente dalla sua vita sociale) e il carcere. L'album in oggetto esce nel 1997, quattro anni dopo l'ingresso di Varg in prigione. Anche se - discograficamente parlando - dall'arresto del Conte nel '93, la Misanthropy Records ha sapientemente dilazionato le uscite di Burzum (Hvis Lyset Tar Oss nel ‘94 e Filosofem nel ‘96), l'attività artistica dello stesso si rivela ferma almeno da Luglio-Agosto di quel fatidico anno. Dopo l'arresto seguirono le prime istanze del tribunale, il verdetto e infine arrivò l'isolamento dopo del quale si poteva cominciare finalmente a parlare di proseguire il progetto firmato Burzum. Il solo strumento musicale dal quale Vikernes poteva trarre vantaggio in galera consisteva in una semplice tastiera -con i suoi svariati seppur modici effetti di sintetizzazione-, dalla quale seguiva una registrazione su nastro in quattro tracce. Da questo emerge che Varg è stato il primo artista appartenente al mondo black metal a proporre un genere musicale completamente antitetico in confronto al resto della scena (anche se per cause di forza maggiore). Forse anche i cugini più talentuosi chiamati Ulver, prima di intraprendere la propria fortunata e sperimentale carriera artistica, hanno pensato che la loro direzione poteva essere proprio quella che aveva imboccato lo stesso Burzum, pur muovendosi poi su pianeti ben diversi.
IL TEMA L'intero disco è un concept che ruota intorno al mito del dio bianco della luce Balder, il bello, fiero e splendente figlio di Odino. Il mito può brevemente riassumersi così: Balder era famoso perché prevedeva il futuro durante il sonno, una notte sognò la propria morte e il conseguente inizio della fine dell'Asgard (il crepuscolo degli déi). Una volta riferita questa premonizione al proprio popolo, l'intero consiglio degli Asi riuscì ad ottenere una specie di incantesimo-protezione da parte di tutti gli oggetti e gli elementi della terra, affinché non nuocessero in alcun modo a Balder. L'incantesimo agì perfettamente su tutto tranne che su un giovanissimo ramoscello di vischio: il maligno dio Loki, venuto a sapere di questa "svista", raccolse il ramoscello e, mettendolo in mano al cieco Hödr (fratello di Balder), lo incitò a scagliarlo contro il dio bianco. Balder morì sul colpo e Hermod (fratello di Odino) si offrì per andare negli inferi a reclamare il corpo del morto. La guardiana del mondo sotterraneo accettò la richiesta, e decise che Balder poteva tornare in vita ma solo ad una condizione: voleva effettivamente vedere se tutti gli esseri viventi della terra piangevano la sua morte, se anche un solo essere avrebbe trattenuto le lacrime, la salma di Balder doveva subito tornare nel regno di Hel. Tutti piansero il corpo del dio tranne una gigantessa, che non era altro che Loki mascherato: con questo episodio comincia il declino degli Asi che si concluderà con il Ragnarök. La storia di Balder è una drammatica vicenda che svela dei significati archetìpici al di là della religione nordica. Il sacrificio quasi voluto del figlio del dio supremo (perchè gli déi erano a conoscenza di ciò che poteva accadere), si lega con molti altri miti dell'espulsione collettiva come Le Baccanti, Edipo fino ad arrivare a Cristo.*
LA MUSICA Dauði Baldrs è una colonna sonora minimale dalle tonalità tipicamente medievali che si limitano ad accompagnare i capitoli di questa storia. Le note introduttive e magnificenti dell'omonima opener, scandita dai gong e dai colpetti dell'oboe, descrivono l'inizio del mito fino alla partenza di Hermod verso Hel. Questo primo brano, palesa l'intento di Vikernes di tradurre in tastiera quello che egli aveva già composto in passato (e che avrebbe dovuto registrare in chiave black metal). La versione che si avvicina nel modo più autentico possibile a questo progetto primigenio di Vikernes possiamo sentirla nell'ultimo Belus, il quale si apre proprio con Belus'Død (la morte di Belus = la morte di Balder = Dauði Baldrs): se Dauði Baldrs fosse stato un disco black metal, la traccia di apertura sarebbe stata esattamente l’opener del disco del Conte datato 2010. L'allegro pianoforte di Hermoðr Á Helferð (Hermod, il gagliardo), accompagna il galoppante viaggio del dio verso il mondo di Hel; mentre la tetra e solenne melodia di Bálferð Baldrs descrive l’atmosfera della preparazione del funerale di Balder da parte di tutti gli Asi. I toni striduli del synth si ripetono ciclicamente, quasi càtatonicamente, riflettendo la marcia funebre e il cordoglio degli déi: la stessa graffiante melodia la si può riconoscere nel riff principale di "Jesu' Død" in Filosofem (anche allora faceva da colonna sorona ad un tema funebre). Il brano si spegne in una possente e ritmica melodia che richiama il fuoco della pira sulla quale brucia Balder e sua moglie Nanna morta dalla disperazione. Il veloce interludio di "Í Heimr Heljar" - anch'esso connotato da tinte cupe e da una certa suspence- fanno da sottofondo all'accordo che viene stipulato fra la guardiana di Hel e Hermod. Il ciclo di Balder si chiude con la lunga e minimale nenia di "Illa Tiðandi" - una variazione sul tema di "Bálferð Baldrs", nonché la versione semplificata di "Decrepitude I" di Filosofem - dalla quale Vikernes ha tolto tutti i sottostrati sonori per concentrarsi esclusivamente sui soli rintocchi del pianoforte che accompagna i messaggeri di Hel a constatare il cordoglio collettivo di Asgard. Cordoglio che si accentua ancora di più quando il destino di Balder si manifesta: egli non farà più parte del regno dei viventi e la lunga battaglia fra gli dèi dovrà avere inizio.

La stupenda "Moti Ragnarokum" è l'ultima messa sonora dell'album la quale non accompagna più il mito di Balder, ma un brano del Ragnarök tratto dalla Völuspá –incentrato sul tema del futuro del mondo-. Il malinconico giro di pianoforte -uno dei più belli dell'intero disco- si ripete costruendo la solenne melodia di questo epilogo.
"Tutti gli eroi dovranno allora lasciare il mondo […] Il sole si oscurerà, e la terra verrà inghiottita dal mare […] ed i brillanti fuochi della vita scoppietteranno contro il cielo."
Musicalmente parlando Dauði Baldrs è anche la messa in pratica degli ascolti di Vikernes tra le mura del carcere: Dead Can Dance, Cocteau Twins, Aphex Twin… Il fatto di inglobare queste influenze in un background blackmetal ha mostrato la genialità artistica di Varg, ma il tentativo di creare un’opera ambient si può rivelare un passo falso. I canoni individuabili negli albums dei pionieri della musica ambient (David Sylvian, Dead Can Dance, Boards of Canada…) fanno apparire questo platter del Conte come qualcosa di insignificante, artisticamente acerbo, nonchè ripetitivo (difetto scardinato già nel successivo Hliðskjálf). Se si prescinde da questa considerazione, Dauði Baldrs può risultare un piacevole full-length che deve necessariamente accompagnare la lettura del mito di Balder -o meglio ancora la traduzione del disco che potete trovare nella pagina ufficiale di Burzum. In definitiva si tratta di un prodotto modesto e senza alcun tipo di ambizione che riflette anche la malinconica condizione di Vikernes in quegli anni sia come artista che come uomo. Tenuto conto di queste considerazioni manichèe e dell'enorme baratro (soprattutto qualitativo) che c'è fra il distico carcerario e gli altri album metal, non mi sento di esprimere un voto che riassuma la valenza di Dauði Baldrs: mi limito a dire che, mentre in molti vorrebbero veder scomparire le due proposte ambient dalla carriera di Burzum, il sottoscritto le trova entrambe piacevoli e riflessive.
*per una maggiore comprensione dell'espulsione collettiva si può leggere René Girard, Il Capro Espiatorio e La Violenza e Il Sacro
https://www.metallized.it/recensione.php?id=3864

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Antica Grecia
la città-stato di AteneTra le antiche città greche, alcune sono rimaste immortalate nella storia dell’umanità: Tebe, con l’oscuro mito della famiglia Labdacidae e del suo tragico eroe Edipo; e Sparta, con il suo indomabile spirito guerriero. Tuttavia, Atene, il gioiello dell’Ellade, raggiunse l’eccellenza insuperabile nel V secolo a.C.Atene non è stata solo la culla di filosofi e poeti, di…

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A ciascuno ho da chiedere una grazia:
d'essere ferma un'ora
sul quadrante stellato
di un normale orologio di partito
allora la nevrosi è scienza
o sudata opposizione di massa
non esiste la carità dei cristiani
inaudito concetto metaforico
ad ognuno debbo chiedere l'eletto
favore di un ragguardevole saluto
ma perché per via del manicomio?
che accezione infantile
non siamo tutti folli
tutti calati dentro
il mito di Clitennestra
e il destino di Edipo,
non siamo tutti Freudiani?
Già ma la vicina di destra
Freud non lo conosce
e il secolo dei lumi
se ne è andato da un pezzo,
ricoveriamoci dunque
forti di tanto lezzo.
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EDIPO RE
Foto: M.° Andrey Boreyko © Angelica Concari La tragedia, il mito, un archetipo per la psicanalisi: Edipo rivive nelle musiche di Stravinskij e di Pizzetti Giovedì 4 maggio 2023 ore 20.30 Venerdì 5 maggio 2023 ore 20 Domenica 7 maggio 2023 ore 16 Ildebrando Pizzetti Tre Preludi Sinfonici per l’Edipo Re di Sofocle Igor Stravinskij Oedipus Rex (Edipo Re) Tuomas Katajala Œdipus Petra Lang…

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Esce il 2 Dicembre "La mitologia spiegata ai truzzi" di Paola Guagliumi.
"Se i truzzi hanno imparato ad apprezzare l’arte, perché non introdurli a un altro affascinante aspetto della cultura, ossia il mito?Gli amorazzi extraconiugali di Zeus, le gare musicali di Apollo e Marsia versione “X Factor”, le sfighe di Edipo, i viaggi di Ulisse turista controvoglia e quelli di Enea rifugiato, la rappresentazione maschilista delle donne e quella sorprendente della fluidità dei generi: il mito classico è storico e insieme eterno, sembra lontano ma ci è più vicino di quanto pensiamo. Con una buona dose di libertà e ironia, la mitologia greca e romana viene qui rivisitata, criticata, commentata, ma soprattutto raccontata in modo semplice e divertente. Il pubblico è quello dei non esperti di ogni età e provenienza; lo scopo farci sorridere ma anche sfiorare i grandi temi universali che ci rendono umani."
Sarà disponibile in libreria, sul sito di Mimesis Edizioni, e nei principali store online. Daje che v'ho risolto er Natale.
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“ La famiglia è l’istituzione in cui si sono espressi i tabù di cui l’uomo adulto ha sempre circondato i rapporti liberi tra la donna adulta e il giovane. La psicanalisi ha riproposto questa situazione nei termini di tragedia che le aveva decretato l’antichità. La tragedia è una proiezione maschile perché nel momento in cui l’uomo è spinto dai suoi cicli di vita verso nuovi oggetti sessuali, non sopporta che la donna manifesti una sua conformazione dei desideri e che qualche ripercussione si verifichi nell’ambito dei suoi possessi. Il mito dell’amore materno si scioglie nell’attimo in cui la donna, nell’epoca più piena della sua vita, troverà autenticamente nello scambio naturale con la gioventù il senso di gioia, piacere, divertimento che i tabù dell’organizzazione patriarcale le permettono di trasferire solo nei figli. Dietro il complesso di Edipo, non c’è il tabù dell’incesto, ma lo sfruttamento di questo tabù da parte del padre a sua salvaguardia. Ci colpisce un’immagine significante del passato: da una parte una scala di cui l’uomo sale orgogliosamente i gradini, dall’altra una scala viene percorsa all’inverso dalla donna che la scende faticosamente. Quel po’ di orgoglio che le è concesso in una fase della sua vita non le basta per sorreggerla fino alla sua conclusione. Se la causa della donna si pone, è una causa vinta. Dalla cultura all’ideologia ai codici alle istituzioni ai riti al costume c’è una circolarità di superstizioni maschili sulla donna: ogni situazione privata è inquinata da questo retroterra da cui l’uomo continua a trarre presunzione e arroganza. Il giovane è oppresso dal sistema patriarcale, ma pone nel tempo la sua candidatura a oppressore; lo scoppio di intolleranza dei giovani ha questo carattere di interna ambiguità. “
Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel.
(Libro elettronico; 1ª edizione: casa editrice "Rivolta Femminile", 1970)
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Storia Di Musica #151 - The Doors, The Doors, 1967
La storia di oggi inizia a Los Angeles: un ragazzo appena diplomato alla scuola di cinematografia della UCLA incontra sui banchi dell’Università un altro ragazzo, che coltiva l’idea di fare il musicista, e gli racconta dei suoi sogni musicali, di cosa vorrebbe dire in un disco. I due giovani in questioni sono Jim Morrison e Ray Manzarek. Morrison è figlio di un ammiraglio della marina americana, Manzarek è di Chicago ed è a Los Angelesper studiare e per cercare fortuna con un piccolo gruppo blues, Rick & The Ravens, dove suona con i suoi due fratelli. Morrison gli parla di teatro, poeti francesi, cinema, ma Manzarek lo convince a mettere su una band. Scelgono un chitarrista, Robbie Krieger, appassionato di flamenco e di chitarre bottleneck (un cilindro cavo di metallo da infilare al dito e che, fatto scorrere sulle corde conferisce un suono particolare) e un batterista, John Densmore, innamorato del jazz. Nasce così la nuova band a cui Morrison dà il nome The Doors, da un libro di di Aldous Huxley Le porte della percezione (The Doors of Perception) del 1954 in cui è citato William Blake :”Se le porte della percezione fossero purificate, ogni cosa apparirebbe all'uomo com'è: infinita”. Iniziano nel 1965 a suonare nei locali, e il primo ingaggio importante è al Whisky A Go Go, locale di musica rock che terrà a battesimo alcune tra le più leggendarie band dell’area losangelina: i loro concerti sono ricordati soprattutto per una canzone, con una parte quasi teatrale, che parla dello strazio della guerra del Vietnam e che ricorda il mito di Edipo. La voce che ci sia una nuova sensazione in città arriva a Jac Holzamn, boss della Elektra, che ingaggia il gruppo. Li manda ai Sunset Boulevard Studios sotto le cure di Paul A. Rothchild: il 4 gennaio del 1967 esce The Doors, uno dei più grandi album di debutto di tutti i tempi. La band esprime un suono caldo, che sa di emozione e turbamento, sesso e poesia, allucinazioni e sogni, caratterizzata da tre fattori principali: per molti mesi cercarono un bassista, ma nessuno li convinse più di tanto, Manzarek aggiunse un Fender Rhodes sopra l’amplificatore delle tastiere e suonava “linee di basso”; le passioni personali, il flamenco di Krieger, la musica classica con una predilezione per Bach di Manzarek e il jazz modale di Densmore finirono tutte per influenzare struttura, assoli e composizione dei bravi; e poi c’era Jim, dalla voce calda e riconoscibile, piena di carisma, fascino, di Rimbaud, di miti e epiche leggende. L’album si apre con i tre minuti proto hard rock di Break On Through (To The Other Side), torrido e fantasmagorico, che ha echi di bossa nova (altra passione di Densmore); poi Soul Kitchen è già più calma, The Crystal Ship fu scritta da Morrison per una sua fidanzata, Mary Werbelow. Twentieth Century Fox fa da apripista alla prima cover, Alabama Song del duo Bertolt Brecht e Kurt Weill, che spiega appieno la voglia anche di musica “recitativa” che aveva Morrison. Il lato a si chiude con una delle canzoni del secolo: Light My Fire, che trascinerà il disco in cima alle classifiche, è una ballad sensazionale che esprime appieno lo stile Doors: psichedelica, con una parte centrale di chiara influenza jazz, nella versione radiofonica fu pesantemente tagliata per favorirne i passaggi, perdendo però tutta la sua selvaggia forza espressiva e musicale. Il lato b è meno suggestivo, nonostante la ripresa di Back Door Man (Willie Dixon - Howlin’ Wolf), la perfettamente losangelina I Looked At You, End Of The Night, che nel testo si ispira a Viaggio al termine della notte di Celine, Take It As It Comes prelude invece ad altro brano clou, quello per cui nei club divennero famosi: The End è un raga rock di oltre undici, ipnotici, minuti, dove in pratica la band improvvisava e Morrison inventava un testo, nelle esibizioni dal vivo spesso cambiandolo ogni volta. Tra decadentismo, la poesia Beat, Blake, Nietzsche, urla, rumori e incubi, si apre con una invocazione “This is The End, my only friend The End” che rimanda a quelle dei cantori classici e che nel suo sviluppo diviene jam session, sogno, recitazione fin quando arriva la definitiva parte declamata: “L'assassino si svegliò prima dell'alba, si infilò gli stivali\Prese una maschera dall'antica galleria\E camminò lungo il corridoio\Entrò nella stanza dove viveva sua sorella e poi\Fece visita a suo fratello e poi\Proseguì lungo il corridoio\E giunse a una porta e guardò all'interno\Padre? Si figliolo? Voglio ucciderti\Madre, voglio...” e qui si apre il Mito: perchè sebbene censurata sul disco, dal vivo, rifacendosi al mito di Edipo Re, Morrison spesso declamava “fuck you all nite long”. La canzone tra l’altro ha uno dei più celeberrimi assoli di chitarra del rock, di Krieger, spesso messo in ombra dal duo Morrison \ Manzarek ma chitarrista sopraffino. Il successo è fragoroso, tanto che la Elektra li spinge in studio per partorire, è proprio il caso di dirlo, nove mesi dopo Strange Days. Rimane un esordio sconvolgente, che apre un anno, il 1967, per la musica eccezionale e irripetibile, di una band che segnerà il maniera decisiva lo sviluppo musicale del rock americano (i primi, con i Velvet Underground, ad avere una formazione scolastica superiore, e si vede nei testi e nei riferimenti): con quello che succederà verranno un po’ oscurati, dal punto di vista musicale, da quello iconico e iconoclasta di Morrison, anche per la sua prematura scomparsa: sono una band fondamentale e da riscoprire con più attenzione ai dettagli, lasciando da parte l’aura leggendaria che li circonda.
Questo è anche il mio augurio di Buon Natale, ma domenica prossima, per esorcizzare questo 2020, ci sarà un disco speciale. Auguri e buona musica a tutti!
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A proposito di enigmi ed enigmisti
Dopo l’episodio della Sfinge, Edipo divenne noto come risolutore di enigmi, eccelso ragionatore, e, in quanto tale, degno di regnare su Tebe. Ma ciò che Edipo non poteva immaginare - e qui sta la grandiosità del mito - era che la sua stessa vita si era trasformata nel più intricato dei rompicapi, uno che nemmeno il suo grande acume poteva risolvere.
Quando la peste si abbatté sulla sua città, Edipo inviò suo cognato Creonte ad interrogare l’oracolo di Delfi su come debellare il flagello. L’oracolo rispose che la peste non avrebbe lasciato il suo regno se prima non fosse stata fatta giustizia per la morte di Laio, il vecchio Re: a Tebe c’era un assassino a piede libero.
Edipo dunque vestì i panni dell’investigatore, si mise sulle tracce dell’assassino, interrogò nemici e conoscenti, cercò prove e indizi, senza però venire a capo del mistero. Decise infine di rivolgersi a Tiresia, il veggente cieco, il quale tentò in tutti i modi di evitare la risposta, conscio del dolore che la verità avrebbe provocato. Il Re di Tebe venne portato a credere allora che fosse Tiresia il responsabile, in combutta con Creonte. Questo evento dimostra come sia più difficile risolvere gli enigmi da una prospettiva troppo ravvicinata.
“Questo Tiresia non è poi un granché come veggente”, dovettero pensare i tebani. “Non avevi forse predetto che Laio sarebbe stato ucciso dal suo stesso figlio?”, disse la regina Giocasta “e invece tutti sanno che il Re è stato assassinato da un gruppo di briganti in un trivio”. La parola “trivio*” smosse qualcosa nel cuore di Edipo, come una tenda che increspandosi comincia a far filtrare qualche raggio di luce. “Che strano, questa faccenda mi ricorda qualcosa”.
Tutto procedeva come stabilito, gli assassini stavano per essere condannati, un altro indovinello risolto dal genio di Edipo.
Non fosse che da Corinto giunse un araldo ad annunciare la morte di Polibo, l’uomo che fino a quel momento Edipo aveva creduto suo padre. “È fatta, dunque, non ci sono più dubbi, il caso è chiuso”. Ma l’araldo aggiunse “In realtà, sire, Polibo non era tuo padre”. E fu in quel momento che il velo si sollevò, mostrando la verità in tutta la sua chiarezza: una luce così forte che gli occhi non potevano sopportarla e infatti Edipo se li strappò via (mentre Giocasta, sua madre e moglie, si impiccò).
*della simbologia di trivi, snodi e incroci, e di quali forze vi risiedano sin dall’alba dei tempi sarebbe bello parlarne in maniera più approfondita in futuro - o dedicarle almeno una serie di “reblog”. Per ora basti ricordare la loro valenza di intersezioni tanto di strade quanto di umani destini.
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承前
5_PORTICO SERVI
Strada Maggiore, angolo via Guerrazzi
Tra l’aprile e il luglio del 1967 Pasolini gira la sua decima opera cinematografica, Edipo re, in cui realizza il progetto già accarezzato dai tempi di Accattone di soddisfare la sua “ansia autobiografica”: “in Edipo, io racconto la storia del mio complesso di Edipo. Il bambino del prologo sono io, suo padre è mio padre, ufficiale di fanteria, e la madre, una maestra, è mia madre. Racconto la mia vita mitizzata, naturalmente, resa epica dalla leggenda di Edipo”. Girato tra l’Italia e il Marocco, le scene finali del film sono ambientate a Bologna, tra il Portico dei Servi e Piazza Maggiore. Dal tempo del mito, l’ambientazione si sposta nel presente, tra auto parcheggiate attorno al “crescentone” di Piazza Maggiore, passanti, portici e avventori di bar: Franco Citti, Edipo, è un giovane suonatore cieco di flauto, accompagnato nella sua peregrinazione dall’amico Anghelos, interpretato da Ninetto Davoli. La scelta di Bologna come luogo in cui ambientare l’epilogo della tragedia diventa significativa in un film a forte connotazione autobiografica: “La vita finisce dove comincia”, sono le ultime parole pronunciate da Citti/Edipo, a chiusura dell’eterna circolarità del ciclo di nascita e morte, in un ritorno che è insieme fine e inizio. Il film viene presentato in concorso alla 28ma Mostra del Cinema di Venezia.
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Gustave Moreau - Edipo e la Sfinge
Gustave Moreau – Edipo e la Sfinge

Edipo e la Sfinge, 1864, Metropolitan Museum of Art, New York
IL DIPINTO
Edipo e la Sfinge è un dipinto del pittore simbolista francese Gustave Moreau, conservato al Metropolitan Museum of Art di New York. Moreau rinnova la visione del mito antico in questo confronto, da cui Edipo uscirà vittorioso, che è quello tra il bene e il male, lo spirito e la materia. Il leggendario eroe…
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CORRADO LEVI, TRA GLI SPAZI. "Tra gli spazi" è il titolo di una mostra dedicata a Corrado Levi, personaggio eclettico e poliedrico, artista, architetto, animatore culturale, docente, critico e collezionista che ha operato, nei diversi ambiti delle arti visive. Allievo di Carlo Mollino e Franco Albini, è stato anche docente di composizione architettonica al Politecnico di Milano, ma in realtà l'arte spesso concettuale, è stata il suo vero pallino. Joseph Grima e Damiano Gullì, curatori della mostra della Triennale di Milano che ha chiuso i battenti il 23 febbraio scorso, hanno pensato ad una "esposizione diffusa" di alcune delle sue opere, intitolando appunto la mostra, "Tra gli spazi". Non vi nascondo che il titolo mi sembra del tutto casuale, e anche le opere, sembrano un po' campate in aria, alcune proprio in senso letterale come "Piercing a Milano", un anello di metallo avvinghiato ad un pilastro nell'atrio del Palazzo della Triennale; com'è noto, l'architettura è per Corrado Levi un "corpo" sul quale intervenire, anche se qui il risultato mi sembra troppo facilmente prevedibile. Molto meglio "Motosauro", gioco di parole per definire un animale immaginario costituito da caschi per motocicletta assemblati tra loro in una delle prime sale del palazzo. La poetica degli oggetti quotidiani re-assemblati, è una delle forze ispiratrici della sua opera che, naturalmente, paga uno scotto molto alto a tutta le poetiche del "ready-made" , dal dadaismo in avanti. Maggiormente legata alla sua attività progettuale ecco "Edipo", una lampada a forma di testa umana trasparente, con gli occhi bendati evocante il mito di Edipo; peccato che l'opera, collocata nel bookshop della Triennale venga scambiata per uno dei tanti (e anche carini), oggetti in vendita. Stessa sorte, sembra toccare a "Desiderando gli amici", una sequenza di cinture donate all'artista da amici e appese anonimamente e in malo modo, sullo scalone interno del palazzone milanese. Si potrebbe continuare, poiché l'azione di spaesamento delle opere sembra davvero un'operazione di scarso interesse e soprattutto di puro comodo. Qualche rara eccezione si può riscontrare in "Uomini", intervento fotografico “site-specific” in uno stabile abbandonato della fabbrica "Brown Boveri" di Milano, una fotografia della porta di un bagno abbandonato, dove all'indicazione "Uomini" è associato, dipinto sul muro, il nome dell'artista, intervento che si richiama direttamente a tantissima parte della'arte concettuale. Di buona qualità e di ottima collocazione è “Omaggio a Michelangelo", fotografia tesa a togliere il valore auratico al grande artista, con un fitto dialogo con lo specchio "Milo" disegnato da Carlo Mollino. Nel complesso un po’ troppo poco, con opere nascoste, alcune mortificate, altre all’interno del museo del design, altre ancora che per essere viste, occorre essere accompagnati dal personale, insomma una caccia al tesoro che non riesce quasi mai a suscitare il desiderio della scoperta e che deprime il valore estetico-concettuale delle opere di Corrado Levi. Supplisce alle tante mancanze e ai paludamenti incomprensibili, il bel volume “È andata così”, diario dell’artista edito da Electa ed in vendita presso il book-sbop.

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ANTIGONE
Quando si parla del mito di Antigone si ricorda la storia di una ragazza che da sola ebbe il coraggio di contrastare leggi dello Stato da lei ritenute ingiuste. Antigone è da sempre considerata il simbolo della lotta contro il potere, della ribellione romantica e solitaria contro il dominio ingiusto di un tiranno senza limiti. La vicenda di Antigone si sviluppa come dopo l'assedio di Tebe, il cui imperatore era il padre Edipo. Morto Edipo, ci furono delle contese per la successione al trono: quale dei due figli del re, che si chiamavano Eteocle e Polinice avrebbe preso il controllo della città? Secondo diversi racconti, il trono spettava di diritto ad Eteocle, il quale divenne quindi re di Tebe. Polinice non accettò questa decisione e così si rifugiò ad Argo, la città storicamente rivale di Tebe. Sposò la figlia del re e si fece promettere, come regalo di nozze, la riconquista della città di Tebe. Tebe aveva sette porte e così furono scelti sette valorosi condottieri per conquistarla. Nonostante gli sforzi dei valorosi eroi di Argo, Tebe riuscì a sopravvivere. I due fratelli rivali, Eteocle e Polinice, si uccisero a vicenda davanti alla settima porta, così come li aveva maledetti lil padre Edipo. Dopo la morte di Eteocle a Tebe prese il potere un altro re di nome Creonte. Per vendicare l’affronto fatto alla città da parte di Polinice, Creonte emanò un editto secondo il quale il corpo del traditore sarebbe dovuto rimanere insepolto, sotto il sole cocente, ed essere sbranato dalle bestie. La violazione dell’editto con la con la morte. Oltre ad essere un oltraggio, la mancata sepoltura significava per il mondo greco l’impossibilità di accedere al mondo dei morti, quindi di mettere in pace la propria anima.
È a questo punto che entra in scena Antigone, una delle figlie di Edipo, nonché sorella di Polinice. Antigone, violando le prescrizioni contenute nell’editto, diede una parziale sepoltura al cadavere. Parziale perché lo ricopri di terra senza sotterrarlo del tutto ma tanto bastava perché le norme si ritenessero violate. Non poteva sopportare che il proprio fratello non ricevesse una degna sepoltura, che il suo corpo rimanesse per terra, arroventato dal sole e sbranato a pezzi da uccelli e cani. La notizia della sepoltura del corpo giunse al re e, per capire chi fosse il responsabile, il cadavere fu nuovamente messo allo scoperto; le guardie di Creonte si appostarono nelle vicinanze e con sorpresa colsero Antigone sul fatto, mentre stava ricoprendo un’altra volta il cadavere con terra ed acqua. Nessuno si aspettava che fosse proprio lei, una donna giovane, la responsabile del misfatto. La ragazza fu così portata davanti al cospetto del re che era suo zio. Interrogata, rispose ammettendo senza esitazioni la propria colpevolezza. Tuttavia, confessò di averlo fatto perché l’editto del re, che vietava la sepoltura del fratello, a suo giudizio andava contro a quei principi espressi da leggi non scritte ma naturali che accompagnano l’uomo da sempre.
Nessuna legge umana poteva, secondo Antigone, contrariare questi principi, nemmeno un editto dell’ente massimo, ossia del re. Nessuno quindi poteva impedire la sepoltura di un corpo, nemmeno se apparteneva ad un traditore; e soprattutto nessuno poteva vietare ad una sorella di seppellire il proprio fratello.
“Non pensavo che i tuoi editti avessero tanta forza, che un mortale potesse trasgredire le leggi non scritte ed incontrollabili degli dei. Infatti, queste non sono di oggi o di ieri, ma sempre vivono, e nessuno sa da quando apparvero…non sono nata per condividere l’odio, ma l’amore”
Dopo queste parole Antigone fu imprigionata e lasciata morire in carcere. Per lei infatti, non fu applicata la pena di morte perché nessuno ebbe il coraggio di ucciderla. Presto diventò il simbolo della ribellione contro le leggi ingiuste, che non rispettano principi civili e non scritti che sono presenti da sempre, da quando l’essere umano è comparso sulla terra. Rappresenta quindi perfettamente il potere dei senza potere.
Fonti in parte prese da SoloLibri

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