#Elvira Banotti
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" La donna non ha contrapposto alle costruzioni dell'uomo se non la sua dimensione esistenziale: non ha avuto condottieri, pensatori, scienziati, ma ha avuto energia, pensiero, coraggio, dedizione, attenzione, senso, follia. La traccia di tutto ciò è sparita perché non era destinata a restare, ma la nostra forza è nel non avere nessuna mitizzazione dei fatti: agire non è una specializzazione di casta, ma lo diventa mediante il potere a cui l’agire viene indirizzato. L’umanità maschile si è impadronita di questo meccanismo la cui giustificazione è stata la cultura. Smentire la cultura significa smentire la valutazione dei fatti in base al potere.
La maternità è il momento in cui, ripercorrendo le tappe iniziali della vita in simbiosi emotiva col figlio, la donna si disaccultura. Essa vede il mondo come un prodotto estraneo alle esigenze primarie dell'esistenza che lei rivive. La maternità è il suo “viaggio”. La coscienza della donna si volge spontaneamente all'indietro, alle origini della vita e si interroga. Il pensiero maschile ha ratificato il meccanismo che fa apparire necessari la guerra, il condottiero, l’eroismo, la sfida tra le generazioni. L’inconscio maschile è un ricettacolo di sangue e di paura. Poiché riconosciamo che il mondo è percorso da questi fantasmi di morte e vediamo nella pietà un ruolo imposto alla donna, abbandoniamo l’uomo perché tocchi il fondo della sua solitudine. "
Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel.
(Libro elettronico; 1ª edizione: casa editrice "Rivolta Femminile", 1970)
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Carla Lonzi
“Il femminismo mi si è presentato come lo sbocco possibile tra le alternative simboliche della condizione femminile, la prostituzione e la clausura: riuscire a vivere senza vendere il proprio corpo e senza rinunciarvi. Senza perdersi e senza mettersi in salvo”.
Carla Lonzi è stata critica d’arte, editrice, scrittrice, poeta e, sopra ogni cosa, femminista.
Teorica e iniziatrice dell’autocoscienza e del femminismo della differenza ha portato un cambio di prospettiva, il gesto imprevisto di porsi fuori dalla cultura e dalle istituzioni, come ella stessa ha scritto è stato: uno sconquasso e anche una festa.
Nata a Firenze il 6 marzo 1931 da una famiglia della media borghesia fiorentina, madre insegnante e padre industriale con cui è stata sempre in conflitto, il suo desiderio di autonomia, di allontanamento dalla famiglia, l’ha portata a decidere di andare a studiare, a soli nove anni, in collegio. Dopo il liceo classico si è trasferita a Parigi, ma è rientrata presto per problemi di salute. Si è laureata con lode in Storia dell’arte con la tesi su Rapporti tra la scena e le arti figurative dalla fine dell’Ottocento, pubblicata molti anni più tardi.
Come critica d’arte, piena di talento, creatività e intelligenza, ha curato mostre prestigiose e viaggiato tanto.
Con il passare degli anni è stata sempre più attratta dalle dinamiche relazioni e di potere uomo-donna che dall’arte come elemento slegato dalla contemporaneità. Ha denunciato apertamente ingiustizie, prevaricazioni e comportamenti retrogradi ai danni delle donne, ritrovandosi isolata dall’entourage a cui apparteneva.
L’attività di critica si è conclusa nel 1969, col suo libro Autoritratto, che riporta i colloqui registrati, assoluta novità per i tempi, con tredici artisti e artiste, con particolare rilievo al dialogo con Carla Accardi, da cui ha cominciato a maturare la presa di coscienza femminista e l’attenzione alla soggettività femminile. Ha concluso negando il ruolo della critica, in quanto potere e ideologia sull’arte e sugli artisti.
Dell’arte le interessava non l’opera, il prodotto, ma il manifestarsi dell’autenticità dell’artista. È questo il filo comune al suo lavoro di critica, alla scrittura poetica, al femminismo.
Mettendo in discussione il ruolo della critica ha provato a sottrarre l’arte al ‘mito culturale’ per permettere alla creatività di entrare in rapporto con l’autenticità.
Con Elvira Banotti e Carla Accardi, nel 1970 ha fondato il gruppo Rivolta Femminile che è stato anche una casa editrice per cui ha redatto il Manifesto di Rivolta Femminile. Il testo, redatto in sessantacinque frasi brevi e lapidarie, contiene tutti gli argomenti d’analisi che il femminismo ha fatto propri: l’attestazione e l’orgoglio della differenza contro la rivendicazione dell’uguaglianza, il rifiuto della complementarità delle donne in qualsiasi ambito della vita, la critica verso il matrimonio, il riconoscimento del lavoro delle donne come produttivo e la centralità del corpo e la rivendicazione di una sessualità soggettiva e svincolata dalle richieste maschili.
A partire dal primo gruppo romano ne vennero fondati altri in diverse città. Tutti nati attorno alle pratiche, del separatismo e dell’autocoscienza: del partire dalle relazioni tra donne, del partire da sé e del fare pensiero di questa esperienza.
Sempre nel 1970 ha scritto e pubblicato Sputiamo su Hegel, in cui critica l’impostazione patriarcale della politica marxista e comunista invitando le donne a prendere posizione nella società patriarcale.
L’anno seguente è uscito La donna clitoridea e la donna vaginale, in cui, attraverso un confronto con fonti che vanno dalla psicanalisi alla paleoantropologia fino ai testi indiani del Kamasutra, sostiene che il mito dell’orgasmo vaginale è funzionale al modello patriarcale della complementarità della donna all’uomo. Se nel momento procreativo tale complementarità tra donna e uomo è ammessa, non lo è invece nel momento erotico-sessuale.
Con quest’opera ha posto il piacere come uno degli aspetti centrali della formazione dell’identità, individuando il ruolo della donna rispetto all’aggressività primitiva dell’uomo. Lo scritto, suscitando varie discussioni all’interno dei gruppi femministi, aveva portato ad approfondire la necessità di mettere in questione il desiderio e la possibilità di essere un soggetto che può identificarsi nella donna senza negare la differenza sostanziale con l’uomo.
Nel 1973 ha lasciato il gruppo della Rivolta Femminile e l’anno successivo è uscita la collana Libretti verdi, che comprende la ristampa dei suoi scritti, tra cui i testi firmati da Rivolta Femminile.
Nel 1978 ha pubblicato Taci, anzi parla. Diario di una femminista, con un approccio autobiografico di nudismo esistenziale in cui vengono messe in luce le tappe della sua vita facendo emergere il suo impegno politico femminista. Prendendo il via dalla fine dell’amicizia con Carla Accardi e dal suo distacco dal mondo dell’arte, in questo libro cambia la sua concezione dell’artista, che dapprima aveva esaltato come autentico e libero e che invece parteciperebbe alla marginalizzazione e all’esclusione delle donne, incitando ad abbandonare la strada della creatività di tipo patriarcale e imboccare quella dell’autocoscienza femminista.
Nel 1980 ha inaugurato la nuova collana Prototipi con Vai pure, che riporta i dialoghi più significativi avvenuti tra lei e il suo compagno, l’artista Pietro Consagra.
È morta il 2 agosto 1982 a Milano in seguito a un cancro.
Il suo contributo è stato cruciale nel dibattito italiano. L’intelligenza della realtà, la profondità delle analisi, la dote di saper cogliere nel reale ciò che limita la libertà femminile e ciò che invece è in grado di realizzarla, la capacità di mettere al mondo ciò che l’ordine dato non ha previsto, sono la sostanza della sua riflessione.
Per anni le sue opere sono circolate solo attraverso fotocopie, pdf, fotografie scattate male, frasi copiate a penna e passate di mano in mano, di donna in donna, di generazione in generazione. Con la loro forza prorompente e il valore sociopolitico, hanno delineato un punto di partenza, un modello di riferimento e fonte di ispirazione per moltissime attiviste.
Dopo essere rimasti a lungo assenti dagli scaffali, sono recentemente tornati in libreria grazie a Claudia Durastanti, direttrice della casa editrice La Tartaruga, creata nel 1975 da Laura Lepetit che oggi fa parte del gruppo editoriale La Nave di Teseo.
Carla Lonzi, con la sua esistenza e con i suoi scritti, che della sua vita sono il frutto, ha mostrato che la libertà femminile è l’imprevisto che apre ad altri imprevisti.
Guidata dal suo grande amore della libertà, ha mostrato la via di accesso a un mondo nuovo possibile, facendoci vedere che amore del mondo e amore di sé non divergono.
Nel 2017, suo figlio, Battista Lena, ha donato tutto il suo archivio, scritti, note, appunti, diari, a quello che è diventato il Fondo Carla Lonzi ospitato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Questo grande patrimonio storico e archivistico che rappresenta ancora oggi un atto politico, generativo e di lavoro radicale della memoria, minaccia di sparire dalla pubblica fruibilità perché la nuova direzione del museo ha deciso di non rinnovare il comodato d’uso.
Un ulteriore attentato alla cultura e alla storia di un’Italia che naviga sempre più ostinatamente verso una deriva reazionaria.
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Indro Montanelli and the perpetual denying of Italian War Crimes
Razzista = Racist
Stupratore = Rapist
I decided to write something about the vandalization of the statue of journalist Indro Montanelli in Milan. The deeper reasons of the valdalism and how the greatest problem is that no one sees Montanelli (read the article above, but I will explain it later) actions as what really are: a little drop in the Great Ocean of atrocities committed by Italians during colonial wars and after as colonialists.
No one who talk about that, No one who admitt the real face of italian colonialism: racism and violence, as well other European nation did.
1. Introduction
The paper I wrote resulted very long and painful, so I will publish it divided in five parts.
This is not the fist time in which Indro Montanelli statue has been vandalized:
2012: red paint and a fake bomb, this could be a reference to the terroristic attack Montanelli survived in 1977 by Red Brigades;
March 8, 2019, during a demonstration for International Women's Day, the activists of the feminist group "Non Una di Meno" smeared the statue with a washable pink paint, claiming the gesture as "a necessary redemption action";
June 13, 2020: a group of students throwed cans of red paint against the statue, and then wrote with a spray can "racist, raper", the gesture was later claimed with a video posted on social networks by Rete Studenti Milano and LuMe (Laboratorio universitario metropolitano).
2 - The Reasons
The reason? Well, in a 1969 interview in the program "L’ora della verità" , Indro Montanelli talked about how he "marry" a 12 years old Ethiopian girl in 1935, how he bought her from her parents (with a shotgun and a horse for 500 lire) without showing any remorse. He dismissed criticism of his actions by claiming customs were "different" in Africa.
The Italian-Ethiopian journalist Elvira Banotti, one of the other guest of the program, was the only who made notice how wrong were his action both as a men and as a colonialist. Banotti, a woman of mixed origins, was the only who try to speak about the violence of the colonials against African people and the racism under the "double stardard" of valutation: a 12 years old Ethiopian girl in 1935 was considered a woman, although a European 12 years old girl was not.
In a long, painfully detailed article that appeared in his column "La stanza di Montanelli" in 2000, the Italian man of letters described the girl as a "docile little animal" whose smell repulsed him, and whose mutilated genitals "resisted his ardor" and that intercourse was only possible after her mother's "brutal intervention".
The main part of the discussion consist in the denying of the fact that what Montanelli did was actually a rape, but a legal wedding, according to the costumes of the times.
I will proof to you that they are wrong: not only it was a rape, but it wasn't a legal marriage too.
In the next part I will analize Italian Laws of 1935 - 1936, colonial laws, the Ethiopian marriage institutions and the fraud of "madamato", as well as the crimes committed by Italian Colonial Army in Ethiopia.
#indro montanelli#racism#italian history#Italian colonialism#colonial history#colonial period#colonialism#Elvira Banotti#colonialism is racism#war crimes#war criminals#italian politics#Italian journalism#ethiopian#Ethiopia#black live matter#black womanhood#blacklivesmatter#black lives have always mattered#black lives are human lives#Vavuskapakage
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Questo uomo no, #128 - Quello che “Pasolini era contro l’aborto”
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Puntualmente, più o meno bilanciando malafede e ignoranza, la propaganda antiabortista tira fuori l’argomento che sarebbe secondo loro uno dei più decisivi e dirimenti: “anche Pasolini era contro l’aborto”, frase a effetto che secondo questa propaganda dovrebbe mettere a tacere la questione, dando ragione a chi vuole vietare l’aborto sempre e comunque. Purtroppo, come vedremo, questo argomento dimostra solo il punto di partenza di questo tipo di propaganda: ignoranza, malafede, oppure entrambe contemporaneamente.
Non c’è niente di misterioso, basta conoscere la storia e leggersi i documenti originali, facili da trovare per chiunque frequenti quei luoghi pubblici e gratuiti che sono le biblioteche e le emeroteche. Io mi limito a riportare quello che è scritto lì, a raccontare quello che è successo nella realtà, non nella propaganda. Il 1975, anno del famoso articolo di Pasolini, comincia con il clima del dibattito pubblico riguardo l’aborto già molto caldo, alimentato da polemiche pubbliche già cominciate da almeno cinque anni; qualcosa va raccontato, come premessa doverosa, per capire forza e limiti della “opinione” di Pasolini.
Raccogliendo istanze e spinte già ben visibili da anni, nell’aprile ‘70 nasce il Movimento di liberazione della donna (MLD), legato la partito radicale, che nel suo documento istitutivo recita al punto 2, come obiettivo, “la liberalizzazione e legalizzazione dell’aborto, senza distinzione di stato civile e di stato di necessità medica, nonché la creazione di apposite struttura sanitarie che possano fare dell’aborto legalizzato una effettiva facoltà alla portata di quante scelgano di usufruirne”. Dopo un anno di lavori, alla fine del febbraio ‘71 il congresso nazionale del MLD annuncia un disegno di legge a iniziativa popolare per depenalizzare l’aborto, che era ancora un reato secondo il codice penale fascista in vigore. A marzo la Corte Costituzionale, con una sentenza, dichiara illegittima la propaganda anticoncezionale, un’altra misura prevista dal codice penale fascista; Elvira Banotti pubblica un’inchiesta sull’aborto clandestino (La sfida femminile), un libro-denuncia che racconta la diffusione capillare delle pratiche di aborto clandestino (ferro da calza o stampella e decotto di prezzemolo) tra tutti i ceti sociali. Il 5 aprile ‘71 “Le Nouvel Observateur” - anche in Francia l’aborto è reato - pubblica un manifesto, Je me suis fait avorter, firmato da 343 donne che confessano di aver abortito; tra le altre, Simone De Beauvoir, Marguerite Duras, Catherine Deneuve. Due settimane dopo lo fa anche “Stern”, con un analogo manifesto firmato da 375 donne. Nell’estate del ‘71 il MLD organizza una manifestazione a Roma in Piazza Navona; la militante radicale Matilde Maciocia racconta pubblicamente di aver abortito a vent’anni, già madre di una figlia, mentre il marito era ancora studente universitario.
Inizia anche, molto complessa, la discussione tra i collettivi femministi. Spicca l’analisi di Carla Lonzi e del gruppo Rivolta Femminile che non vede nella legge una reale soluzione, perché se non cambia il carattere patriarcale e repressivo dello Stato, una legge che regoli l’aborto non farà che ratificare la colonizzazione dei corpi delle donne dalla parte dell’uomo. La vera libertà non sarà mai la legalizzazione dell’aborto ma lo sganciamento della sessualità femminile dalla riproduzione. Così in Sessualità femminile e aborto del luglio ‘71:
“Per il piacere di chi sono rimasta incinta? Per il piacere di chi sto abortendo?” Questo interrogativo contiene i germi della nostra liberazione: formulandolo, le donne abbandonano l’identificazione con l’uomo e trovano la forza di rompere un’omertà che è il coronamento della colonizzazione.
Nella eventuale legge che legalizza l’aborto Lonzi vede sostanzialmente la conferma di quella sessualità autoritaria e riproduttiva che è l’inizio di ogni oppressione sessista. La liberazione sarà il godimento sessuale autonomo e non riproduttivo.
Questo, come tanti altri, è uno dei punti di complessità del fronte femminista italiano, che si divide su questioni essenziali e non più trascurabili dal grande pubblico, anche se gli vengono tacitate e nascoste. Non può essere contenuta, invece, l’eco del “processo di Bobigny” che travolge l’Italia come già successo in Francia. Nel febbraio ‘73 Michèle Chevalier e Gisèle Halimi, protagoniste di quella vicenda, sono ospitate in un dibattito tenuto all’università di Roma organizzato da “Il Manifesto” e dal Movimento femminista romano (MFR); il giorno dopo il quotidiano pubblica una lettera aperta scritta da Luciana Castellina con un titolo che è, proverbialmente, tutto un programma: L’incapacità di affrontare la questione femminile è una spia dei limiti storici del movimento operaio. Manco a dirlo, pochi giorni dopo anche l’Italia ha il suo Bobigny, cioè il processo a Gigliola Pierobon. Il tribunale condanna Pierobon per l’aborto ma dichiara estinto il reato; durante il processo Alma Sabatini, esponente del MFR, si autodenuncia per il reato di aborto, insieme a molte altre donne arrivate a Padova che denunciano anche lo Stato per strage e la Chiesa di complicità in quella strage.
Il dibattito pubblico non può essere più controllato, l’aborto è un tema costante di discussione pur nella drammaticità politica di quegli anni, Nel ‘73 esce Dalla parte delle bambine di Elena Gianini Belotti, nel ‘74 Noi e il nostro corpo, il testo del Boston Women’s Health Collective che è il primo testo in Italia di educazione sessuale femminile. Nascono immediatamente numerosi gruppi di self help femminili in tutta Italia, nel settembre ‘73 è già nato il Centro d’Informazione sulla Sterilizzazione e l’Aborto (CISA) per iniziativa, tra le altre, di Emma Bonino; questo centro organizza voli per Londra e l’Olanda per ottenere un aborto sicuro ed economico. Il CISA porta in Italia la pratica del “metodo Karman”, meno invasivo e doloroso del “classico” raschiamento. Il primo ginecologo che lo pratica, Giorgio Conciani a Firenze, viene arrestato il 10 gennaio 1975, e saranno arrestati anche esponenti del partito radicale: Spadaccia, Bonino, Faccio. Il 12 gennaio cinquemila donne scendono in piazza a Firenze protestando al grido “Fuori le donne che hanno abortito, dentro Fanfani [Democrazia Cristiana] e tutto il suo partito”. Altra posizione rilevante è quella delle donne del Collettivo di Via Cherubini (Milano) che elabora e pubblica un documento intitolato Noi sull’aborto facciamo un lavoro politico diverso, nel quale l’aborto legale è chiaramente definito “una risposta violenta e mortifera al problema della gravidanza” e nel quale si stigmatizza la presenza maschile nelle manifestazioni, i quali chiedono l’aborto libero “su un corpo che non è il loro”.
Bene, è in questo clima incandescente da anni e complesso di posizioni ben distinte anche tra i femminismi italiani che Pasolini si esprime, in tre articoli, due sul “Corriere della Sera” e uno su “Paese Sera”. Il 19 gennaio 1975 sul “Corriere della Sera” esce Sono contro l’aborto, articolo ancora oggi interessante (grazie soprattutto al fatto che nel frattempo i passi avanti sono stati davvero pochi) e che contiene questo passo:
La mia opinione estremamente ragionevole è questa: anziché lottare contro una società che condanna l'aborto repressivamente, sul piano dell'aborto, bisogna lottare contro tale società sul piano della causa dell'aborto, cioè sul piano del coito. Si tratta - è chiaro - di due lotte 'ritardate': ma almeno quella 'sul piano del coito' ha il merito, oltre che di una maggiore logicità e di un maggiore rigore, anche quello di un'infinitamente maggiore potenzialità di implicazioni. C'è da lottare, prima di tutto contro la 'falsa tolleranza' del nuovo potere totalitario dei consumi, distinguendosene con tutta l'indignazione del caso; e poi c'è da imporre alla retroguardia, ancora clerico-fascista, tutta una serie di liberalizzazioni 'reali' riguardanti appunto il coito (e dunque i suoi effetti): anticoncezionali, pillole, tecniche amatorie diverse, una moderna moralità dell'onore sessuale, ecc. Basterebbe che tutto ciò fosse democraticamente diffuso dalla stampa e soprattutto dalla televisione, e il problema dell'aborto verrebbe in sostanza vanificato, pur restando, come dev'essere, una colpa e quindi un problema di coscienza.
Pasolini si professa cattolico e quindi contro l’aborto, e identifica chiaramente questa posizione come “un problema di coscienza”; ma questo problema e questo credo non gli impediscono certo di centrare il problema sociale, quello di una mentalità retrograda “clerico-fascista” - quindi perfettamente identificata nella Chiesa e nelle ideologie di destra - che ha investito nel sesso tutto un arsenale di moralismi i quali, impedendo una serena vita sessuale a chiunque, di fatto è la causa degli aborti, che quindi sono un effetto di quella mentalità “clerico-fascista”. E questo già basterebbe a chiarire l’ipocrisia e la malafede di chi sintetizza la sua posizione con “Pasolini è contro l’aborto”.
La polemica però è solo all’inizio. Il 25 gennaio 1975, su “Paese Sera”, Pasolini fa uscire un altro articolo, scritto come una lettera al direttore, nel quale risponde a qualche critica che gli è arrivata per l’articolo precedente; anzi, vere e proprie accuse. Ecco un passaggio molto chiaro, e molto tristemente attuale:
Il suo collaboratore Nello Ponente altro non fa che pronunciare nei miei riguardi tale condanna: egli mi accusa di fronte a una «comunità» - la «comunità» degli intellettuali di sinistra e dei lavoratori - e mi accusa per un «reato di opinione». La mia opinione, nel caso specifico, è che considero l'«aborto» una colpa. Ma non moralmente, questo non può essere nemmeno discusso. Moralmente non condanno nessuna donna che ricorra all'aborto, e nessun uomo che sia d'accordo su questo. Ne faccio e ne ho fatto una questione non morale ma giuridica. La questione morale riguarda solo gli «attori»: è una questione tra chi abortisce, tra chi aiuta ad abortire, tra chi è d'accordo con l'abortire e la propria coscienza. Dove io non vorrei certo entrare. [...] Non c'è nessuna buona ragione pratica che giustifichi la soppressione di un essere umano, sia pure nei primi stadi della sua evoluzione. Io so che in nessun altro fenomeno dell'esistenza c'è un'altrettanto furibonda, totale, essenziale volontà di vita che nel feto. La sua ansia di attuare la propria potenzialità, ripercorrendo fulmineamente la storia del genere umano, ha qualcosa di irresistibile e perciò di assoluto e di gioioso. Anche se poi nasce un imbecille.
Anche in questo caso la posizione di Pasolini mi pare un pochino più complessa di “è contro l’aborto”. Pochi giorni dopo, il 30 gennaio 1975, sul “Corriere della Sera” Pasolini ritorna sull’argomento rispondendo a Moravia che lo accusava di varie cose. Riportiamo questo solo stralcio:
Tu dici che la lotta per la prevenzione dell'aborto che io suggerisco come primaria, è vecchia, in quanto son vecchi gli «anticoncezionali» ed è vecchia l'idea delle tecniche amatorie diverse (e magari è vecchia la castità). Ma io non ponevo l'accento sui mezzi, bensì sulla diffusione della conoscenza di tali mezzi, e soprattutto sulla loro accettazione morale. Per noi - uomini privilegiati - è facile accettare l'uso scientifico degli anticoncezionali e soprattutto è facile accettare moralmente tutte le più diverse e perverse tecniche amatorie. Ma per le masse piccolo-borghesi e popolari (benché già «consumistiche») ancora no. Ecco perché io incitavo i radicali (con cui è avvenuto tutto il mio discorso, che solo appunto visto come un colloquio con essi acquista il suo pieno senso) a lottare per la diffusione della conoscenza dei mezzi di un «amore non procreante», visto (dicevo) che procreare è oggi un delitto ecologico.
Questi tre scritti sono letti anche da Carla Lonzi, alla quale, più che giustamente, non va giù che le femministe siano nominate solo nel primo articolo - andate a leggere per credere - come parte di quelle persone “radicali” impegnate a riflettere su altro. Non le va giù perché non è vero: Pasolini in questo si conferma un uomo e un cattolico del suo tempo. Per quanto intelligente e lucido e in anticipo sui suoi contemporanei, sui femminismi è largamente disinformato. Infatti Carla Lonzi, già dopo il primo articolo di Pasolini, manda al “Corriere della Sera” una copia del suo Sessualità femminile e aborto scritto anni prima, e che contiene tutti gli argomenti di Pasolini; ma il giornale la ignora. Lei allora scriverà direttamente a lui, facendogli notare che il problema del patriarcato lo aveva già ben sviscerato Rivolta Femminile, indicando la liberalizzazione dell’aborto come l’ennesimo atto del patriarcato, necessario alla sua sopravvivenza. Ma Pasolini non le risponde. “Il fratello continua ad arrivare prima della sorella a farsi ascoltare”, chioserà Lonzi in quei giorni.
Quindi ancora oggi in tema di di aborto, con tutto il suo essere uomo e cattolico, il contributo di Pasolini, a distanza di tanti anni, continua a essere molto prezioso perché complesso: la sua posizione di uomo e di cattolico non gli impediva di distinguere la causa dall’effetto, e di inquadrare l’aborto come un dramma personale conseguenza di una serie di gravi mancanze sociali, e ben si guardava dal condannare moralmente chiunque ne fosse coinvolto, al di là delle proprie convinzioni.
Invece, sinceramente, credo che Pasolini ne capisse per esempio più di calcio che di femminismi. Malgrado avesse tempo e modo per informarsi e praticare entrambi, sul calcio ha scritto di più e più sensatamente. Gli va dato atto di una grande onestà intellettuale: con quel “noi privilegiati” detto in faccia a Moravia non si è mai professato fuori dalle dinamiche patriarcali.
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Fascist Journalist Indro Montanelli Speaking on Buying a 12 year old Eritrean (child) bride
Notice he said Abyssinia as late 1930s Italy occupied Abyssinia before the constitutional name change to Ethiopia by UK backed Selassie.
Elvira Banotti, an Eritrean Italian journalist and feminist organizer challenges the fascist journalist and calls him out on his participation in colonial racism.
Follow: Horn of Africa Leftist Podcast
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Elvira Banotti femminista e fondatrice di Rivolta femminile affermò che la sessualità degli uomini è predatoria, e che gli uomini deformano noi donne. È una visione delirante o esattamente lucida e plausibile secondo te?
Sarebbe un discorso da approfondire e non da rispondere in tre righe di ask, ma fondamentalmente: sì vero.
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Elvira Banotti Vs Indro Montanelli https://t.co/gPVHH78Wvp tratto da https://t.co/pOYbrD98HChttps://t.co/gPVHH78Wvp
— Di-esse 🏴 (@dissezione) 7 settembre 2018
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E ricordiamo Elvira Banotti che sputtanò vergognosamente indro montanelli che violentava 12enni africane
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COLONIALISMO ITALIANO, MADAMATO In un' intervista del 1969, Indro Montanelli racconta di aver “acquistato” una ragazza di dodici anni in qualità di “madama” durante il periodo coloniale fascista in Eritrea. Colei che nel video esprime il suo [e nostro] sgomento è Elvira Banotti, scrittrice femminista di origini etiopi. h/t: Tahar Lamri
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