#tra gli spazi
Explore tagged Tumblr posts
Text
Literally wrote the worst thing ever also why does w4ttpad hate me
3 notes
·
View notes
Text
A certa bellezza non puoi reagire.
Ti incanta la pelle.
Ti crea spazi tra gli occhi.
Ti fa luce limpida nel cuore.
(Fabrizio Caramagna)
-----
La bellezza salverà il mondo.
388 notes
·
View notes
Text

🍀
"A ciascuno di voi è riservata una persona speciale. A volte ve ne vengono riservate due o tre, anche quattro. Possono appartenere a generazioni diverse. Per ricongiungersi con voi, viaggiano attraverso gli oceani del tempo e gli spazi siderali. Vengono dall'altrove, dal cielo. Possono assumere diverse sembianze, ma il vostro cuore le riconosce. Il vostro cuore le ha già accolte come parte di sé in altri luoghi e tempi, sotto il plenilunio dei deserti d'Egitto o nelle antiche pianure della Mongolia. Avete cavalcato insieme negli eserciti di condottieri dimenticati dalla storia, avete vissuto insieme nelle grotte ricoperte di sabbia dei nostri antenati. Tra voi c'è un legame che attraversa i tempi dei tempi: non sarete mai soli..."
Brian Weiss
#smokingago
173 notes
·
View notes
Text
I motivi per cui io e credo molti altri non vogliono tornare a lavorare in Italia, soprattutto in ambito accademico, sono raccolti in un articolo pubblicato su Repubblica che raccoglie l'esperienza di un prof italiano rientrato dall'estero
1) "Non ho risorse né laboratori, il mio ateneo non mi fornisce neanche una sedia"
2) Pochi corsi in Inglese e pochi studenti stranieri
3) Spazi e posti assegnati con logiche baronali
4) "Gli italiani che tornano nei nostri atenei lo fanno solo per ragioni familiari, oggi non c’è università del Paese che riesca a darti le stesse condizioni di una all’estero”. A questi punti aggiungo un mio pensiero: la legge sul rientro dei cervelli rappresenta un gigantesco specchietto per le allodole. Se come unico parametro per rientrare in patria l'Italia offre un taglio delle tasse per un tot di anni, ma poi si rientra nello stesso ambiente lavorativo da cui si è scappati anni prima credo che questo rappresenti una grande presa in giro... Per riattrarre gli italiani dall'estero e più in generale gli stranieri in Italia servono ben altre condizioni che un mero taglio delle tasse a tempo determinato....
Tra queste:
1) Investimenti in ricerca e sviluppo al pari degli altri Paesi del G7 (Italia nel 2022 ha investito l'1.3% del PIL in ricerca e sviluppo, Francia il 2%, Germania il 3% per rimanere in Europa..)
2) Creare un ambiente internazionale favorendo lo scambio culturale con altri Paesi e assegnare posti e spazi in base al merito anche a stranieri e non secondo le logiche baronali
3) Favorire il rientro dei cervelli permettendogli di riportare in patria il know how acquisito all'estero. Questo si deve tradurre mettendo a disposizione spazi, strumenti e personale a chi rientra per permettergli di re-importare in Italia conoscenze acquisite all'estero.
Questi 3 punti permetterebbero a chi rientra di:
A) Formare i giovani italiani con tecnologie acquisite all'estero
B) Aumentare la qualità della ricerca e dell'innovazione in Italia
C) Favorire un ambiente internazionale (io mando un PhD o uno studente o un post-doc all'estero in un centro in cui ho lavorato e ne prendo uno dall'estero a fare un'esperienza in Italia)
D) Far uscire l'accademia e il mondo della ricerca italiana dal provincialismo e baronismo di cui sono impregnate.... Ad oggi queste condizioni non esistono.... Risultato: Sempre più giovani continueranno ad emigrare e chi vive all'estero ci resta.. Contenti voi, contenti tutti.....
Massimo Fantini
20 notes
·
View notes
Text
come sto, non lo so bene
serena credo
con venti forte dentro,
ospito precipitazioni quotidiane
pioggia che spacca le pietre
e sole a dirotto
sono fatta di meteorologie
contrastanti tra loro,
faccio tornare il sole a chi mi è accanto
e mi annuvolo da sola,
non mi manca l'aria quando sorpasso orbite
non mi manca quando frequento i miei universi, gli spazi,
a me il fiato lo toglie la terra,
è qui che spesso manca il respiro
come sto, non lo so bene
soffro di attacchi di cosmo,
mi lascio prendere dalla serenità
e mi si vede il sole in faccia,
per i maltempi invece,
scelgo con cura a chi mostrare i miei diluvi.
54 notes
·
View notes
Text
" Vivevamo di abitudini. Come tutti, la più parte del tempo. Qualsiasi cosa accade rientra sempre nelle abitudini. Anche questo, ora, è un vivere di abitudini. Vivevamo, come al solito, ignorando. Ignorare non è come non sapere, ti ci devi mettere di buona volontà. Nulla muta istantaneamente: in una vasca da bagno che si riscaldi gradatamente moriresti bollito senza nemmeno accorgertene. C'erano notizie sui giornali, certi giornali, cadaveri dentro rogge o nei boschi, percossi a morte o mutilati, manomessi, così si diceva, ma si trattava di altre donne, e gli uomini che commettevano simili cose erano altri uomini. Non erano gli uomini che conoscevamo. Le storie dei giornali erano come sogni per noi, brutti sogni sognati da altri. Che cose orribili, dicevamo, e lo erano, ma erano orribili senza essere credibili. Erano troppo melodrammatiche, avevamo una dimensione che non era la dimensione della nostra vita. Noi eravamo la gente di cui non si parlava sui giornali. Vivevamo nei vuoti spazi bianchi ai margini dei fogli e questo ci dava più libertà. Vivevamo negli interstizi tra le storie altrui. "
Margaret Atwood, Il racconto dell'ancella, traduzione di Camillo Pennati, Ponte alle Grazie, 2019², pp. 80-81.
[Edizione originale: The Handmaid's Tale, McClelland and Stewart, 1985]
#Margaret Atwood#Il racconto dell'ancella#Camillo Pennati#distopia#romanzi#condizione femminile#letteratura nordamericana#oscurantismo#narrativa#teocrazia#totalitarismo#Stati Uniti d'America#biopolitica#libertà#Canada#letteratura anglosassone#fanatismo religioso#fondamentalismo#letteralismo#libri#letture#leggere#Letteratura del '900#XX secolo#scrittrici#diritti delle donne#emancipazione#segregazionismo#femminicidi#fanatismo
20 notes
·
View notes
Text

Io non so come si chiamano
gli spazi tra un secondo e l'altro...
ma so che in quegli istanti
in cui il tempo si ferma...
in quei piccoli spazi di eterno
io ti penso sempre...🖤
- Massimo Petrucci -
63 notes
·
View notes
Text
IL CONSERVATORIO DI TRIESTE DIVENTA IL PRIMO ACCESSIBILE AI NON VEDENTI

Il Conservatorio Tartini di Trieste è il primo in Italia a dotarsi di una tecnologia che permette alle persone con disabilità visiva di muoversi e di operare autonomamente all’interno della sua sede, senza la necessità di un accompagnatore.
L’accademia musicale triestina è la prima ad installare la nuova tecnologia LETIsmart che rende possibile la piena accessibilità dell’intero istituto di alta formazione musicale ai non vedenti e agli ipovedenti, studenti, insegnanti e pubblico. Il sistema permette l’utilizzo totalmente inclusivo di tutti i servizi, dagli spazi di studio, alle biblioteche, le sale di musica e per i concerti, i servizi igienici e i locali per il ristoro. Il sistema LETIsmart funziona grazie a un sistema di radiofari localizzatori installati in diversi punti dell’edificio. Questi segnalatori sono in grado di comunicate con il bastone bianco degli ipovedenti e fornire loro indicazioni in tempo reale sull’ambiente circostante, attraverso messaggi vocali o sensoriali.
Trieste è la prima città ad aver sperimentato il sistema LETIsmart su tutti i mezzi pubblici, gli attraversamenti semaforici sonori, i punti di interesse e le informazioni urbane e commerciali. 17 città altre città italiane hanno adottato questo sistema, tra cui Torino, Novara, Milano, Udine, Como, Bologna, Bari, Matera e Alghero. Il sistema è facilmente espandibile con un modello a rete di segnalatori che possono essere attivati da un dispositivo personale portatile, piccolo, leggero e facile da usare anche da persone anziane e senza una preparazione specifica che rende indipendenti i disabili visivi.
___________________
Fonte: Conservatorio Tartini Trieste; LETIsmart; foto di Ivan Samkov
VERIFICATO ALLA FONTE | Guarda il protocollo di Fact checking delle notizie di Mezzopieno
BUONE NOTIZIE CAMBIANO IL MONDO | Firma la petizione per avere più informazione positiva in giornali e telegiornali
Se trovi utile il nostro lavoro e credi nel principio del giornalismo costruttivo non-profit | sostieni Mezzopieno
21 notes
·
View notes
Text

Storia Di Musica #360 - Manuel Göttsching, E2-E4, 1984
Dal 13 marzo 2024 la Cultura Techno di Berlino fa parte della lista del Patrimonio Immateriale dell'Unesco. Oltre l'aspetto musicale, la decisione è stata possibile, riporto le motivazioni, perchè recupera e valorizza gli spazi urbani industrializzati e crea comunità libere e sicure dove ogni persona viene accolta allo stesso modo a prescindere da genere, etnia, orientamento sessuale, età o provenienza geografica. Il movimento, che ha il suo culmine nella Love Parade nata nel 1989 a Berlino Ovest (dal 2022 ha cambiato nome, in Rave The Planet) e poi esportata in tutto il mondo.
Uno dei papà nobili della musica techno berlinese è il disco di oggi, che ha una storia bellissima. Autore è il chitarrista e compositore Manuel Göttsching, fondatore degli Ash Ra Temple, una delle più importanti formazioni del kosmic rock tedesco. Quella band fu attiva per tutti gli anni '70, con alcuni dischi fondamentali del genere (l'omonimo Ash Ra Temple del 1971, Schwingungen del 1972, il bellissimo Inventions For Electric Guitar del 1975), Göttsching affiancò all'impegno negli Ash Ra Temple anche delle attività soliste.
E la leggenda del disco di oggi nasce proprio per una questione del genere. Nel 1981, organizza con il suo amico e componente della band Klaus Schulze, altra figura mitica della musica tedesca di quegli anni, una serie di concerti. Decide quindi di registrare della musica che lo accompagni nel walkman durante i viaggi per incontrarsi con lui. Nel suo studio di registrazione di Berlino, che si chiama Studio ROMA, inizia a suonare un accordo con la chitarra mi2 e mi4, che nella trascrizione delle note dei paesi anglosassoni e tedeschi si scrive in E2 e E4. Suona così, con effetti e sovraincisioni, per circa un'ora, dove, e lo racconterà lui stesso dopo, va tutto per il meglio: tutte le attrezzature funzionano alla perfezione, non c'è nessun intoppo, lo studio era così piccolo che se fosse suonato il telefono il trillo sarebbe stato registrato per poi dover iniziare tutto da capo. Prende quella registrazione, la riporta su una cassetta e rimane per anni solo una cosa privata.
Tutto cambia nel 1984, quando il catalogo degli Ash Ra Temple viene comprato dalla Virgin di Richard Branson. Tutti gli album vengono ristampati con il nome della band ridotto ad Ash Ra, e Manuel Göttsching invitato da Branson sulla sua barca, fa ascoltare quella cassetta al discografico, che nel frattempo stava cercando di far addormentare sua figlia. Ci riesce con quella musica, e Branson lo spinge a pubblicarla: piccola nota simpatica, la prima edizione del disco sarà comunque pubblicata dalla Inteam, la casa discografica di Klause Schulze.
E2-E4 oltre che l'accordo, è anche una famosa mossa di apertura degli scacchi: pedone davanti al re in avanti di due caselle, mossa che il padre di Manuel gli aveva insegnato da bambino. Ma E2-E4 è anche una possibile codifica del programma Basic che lo stesso Göttsching usava sul suo Apple II per le sub-routine dei programmi.
Pubblicato nel 1984, con l'iconica copertina a scacchiera, è considerato il primo album di dance elettronica: alla sua chitarra di sottofondo si innesta la drum machine e pochi interventi ai sintetizzatori. Ne viene fuori una sorta di suite di un'ora, che per convenzione viene divisa in 9 brani dai titoli tutti legati dal riferimento agli scacchi, dove non c'è un vero e proprio sviluppo nella melodia e nell'armonia quanto piuttosto un uso della musica quasi come un tribale induttore di stato di trance tramite la ripetizione della complessa interazione tra strumenti e ritmo. Diventerà un disco icona: la base verrà saccheggiata e campionata da decine di artisti, ma l'esempio più famoso rimane quello che il gruppo dei Sueño Latino (che sono in realtà tre ragazzi bolognesi Riccardo Persi, Claudio Collino e Andrea Gemolotto) che nell'omonimo singolo del 1989 campionano il disco a cui aggiungono una voce sensuale femminile. Diventerà una delle prime hit del cosiddetto stile balearico, poichè divenne un must delle discoteche di Ibiza ma anche dei rave party berlinesi.
Nel 2006, dopo essersi dedicato per lo più a colonne sonore e musica per documentari, Manuel Göttsching registrerà un'intera esibizione di E2-E4 in Giappone, che verrà pubblicata in un disco, E2-E4 Live In Japan nel 2009. Il grande chitarrista tedesco morirà nel 2022 di Sars Cov2.
12 notes
·
View notes
Text
La gioventù porta a cercare una corrispondenza il più totale possibile tra sé stessi ed i soggetti con cui ci si relaziona, siano essi amici o amori, ma anche artisti, fazioni politiche e sociali, squadre di calcio; una corrispondenza che sappia abbracciare le estetiche, gli impianti valoriali, le idee, gli approcci al mondo (grande e terribile) che c’è là fuori.
Ci si concede minimi spazi di deroga, alla prerogativa suddetta, finendo per clonarsi e per cercare cloni, anche rumorosamente, sbandierando acconciature di capelli simili, magliette tazebao che sbraitino tanto come la pensiamo quanto chi la pensa esattamente come noi, prese di posizione perentorie e dell’elasticità (assente) del marmo di Carrara.
Questo modo d’essere contribuisce per certo a definire l’identità di un individuo in maniera netta, tracciando linee evidenti come se fossero ripassate a china, ed a cementare il corpus di ideali e principi astratti da declinare poi nei comportamenti d’ogni giorno, ma altrettanto esclude, seleziona a priori, finendo poi per tenere lontano, finendo poi per far perdere esperienze, confronti, fruizioni solo perché non sufficientemente fedeli alla propria linea (e la fedeltà alla linea, fra poco, sarà evidente che non è stata citata a caso.
Io ero un giovane adolescente a metà degli anni ottanta, alla ricerca, come milioni di miei simili, di una forma (che sapesse poi diventare sostanza) da prendere, ideologicamente e politicamente, umanamente ed individualmente, e l’inciampo nelle opere musicali (folli e sconclusionate, quasi parodistiche, ma di un’ortodossia sociale cristallina) dei CCCP-Fedeli alla Linea, capitanati da Giovanni lindo Ferretti e Massimo Zamboni, furono forgianti e fondamentali, nel mio percorso: la logica lineare, e di matrice aristotelica, dell’interpretazione della società del socialismo degli albori s’appoggiava perfettamente al mio istintivo ed euclideo modo di pensare, il sillogismo ferreo di valutazione oggettiva e consequenzialità d’azione della dinamica ideologica era esattamente il mio strumento di osservazione ed analisi della realtà.
Capirete la delusione quando, tutto ci��, finì nel gigantesco incendio che la caduta del muro, nel 1989, innescò e che cancellò, o quantomeno archiviò come fallimentare l’esperienza del blocco est-europeo.
E capirete ancora meglio la delusione quando Giovanni Lindo Ferretti rinnegò ciò che era stato e ciò che aveva pensato per vestirsi di un cattolicesimo dogmatico, agreste e rituale, da cui, sostiene nei suoi scritti, proveniva ed di cui aveva sempre fatto parte, riducendo il suo allontanamento da esso ad una mera manifestazione della necessità educativa di ribellione tipica dell’adolescenza e della prima età adulta.
La delusione fu così forte che, per anni, a quella musica, che fu parte integrante della colonna sonora dei miei anni liceali, non seppi più nemmeno avvicinarmi. Per fortuna si cresce e ci si relativizza.
Per fortuna si cresce, forse (anche solo perché ci si è dimostrati capaci di essere sopravvissuti a lungo) ci si fortifica, e non si ha più bisogno di pensarla uguale su tutto per essere amici, per volersi bene, per godere di una manifestazione dell’arte.
Per fortuna.
E complice anche il tour che i CCCP (e basta, nel nome, adesso) hanno fatto quest’estate (intitolato In Fedeltà la Linea C’è) hanno orchestrato quest’estate, con l’infinita sensibilità poetica di Giovanni Lindo Ferretti (e forse con la mia adolescenza) ho fatto pace.
Pace, proprio, nella misura in cui sono più pacifico, meno inquieto, nelle mie giornate: ed anche più, paradossalmente sicuro, dei miei valori, anche se sono meno le persone che li condividono.
Giovanni Lindo Ferretti incluso.
24 notes
·
View notes
Text
Mi trovo sommerso da un mare di pensieri, circondato da vuoti che risuonano e mancanze che pesano sull'anima. Tutto sembra esagerato, immenso, mentre io mi sento piccolo, quasi invisibile. Il mondo intorno a me corre veloce, colori troppo vividi sfuggono al mio sguardo confuso. Ogni suono è assordante, ogni luce abbagliante, e io cerco rifugio nell'ombra. Cammino tra le strade affollate della città, eppure mi sento solo. Volti sconosciuti passano accanto a me, indifferenti, mentre il mio cuore implora una connessione. Le parole si affollano nella mente, ma sulla lingua restano mute. Vorrei gridare, ma la voce si spegne in un sussurro. Gli spazi vuoti dentro di me echeggiano di ricordi lontani, di sogni non realizzati, di promesse infrante. Le mancanze sono come cicatrici, segni indelebili che raccontano storie di ciò che poteva essere. Mi chiedo se riuscirò mai a colmare questi abissi, se troverò la forza di risalire in superficie. Eppure, nel profondo, una piccola scintilla resiste. Forse è speranza, o forse semplice ostinazione. Un desiderio silenzioso di trovare un senso, di riempire il vuoto con qualcosa di vero. Mi aggrappo a quella luce tenue, lasciandomi guidare attraverso il labirinto delle emozioni. La notte avanza, il cielo si tinge di stelle, e nel silenzio ritrovo un po' di pace. Respiro profondamente, lasciando che l'aria fresca riempia i polmoni. Forse non sono così poco come penso. Forse, nella mia fragilità, c'è una forza che ancora non conosco. Decido di fare un passo avanti, anche se piccolo. Di tendere una mano, di alzare lo sguardo. Di accettare che il troppo intorno a me non deve necessariamente schiacciarmi, ma può ispirarmi. Che le mancanze possono diventare spazi da colmare con nuove esperienze, nuovi affetti. Il cammino è lungo, ma ogni viaggio inizia con un singolo passo. E così, con il cuore ancora pesante ma lo sguardo un po' più luminoso, mi incammino verso l'alba di un nuovo giorno, pronto a scoprire ciò che mi attende oltre l'orizzonte.
Empito
10 notes
·
View notes
Text
come sto, non lo so bene serena credo con venti forti dentro, ospito precipitazioni quotidiane pioggia che spacca le pietre e sole a dirotto
sono fatta di meteorologie contrastanti tra loro, faccio tornare il sole a chi mi è accanto e mi annuvolo da sola, non mi manca l'aria quando sorpasso orbite non mi manca quando frequento i miei universi, gli spazi, a me il fiato lo toglie la terra, è qui che spesso manca il respiro
come sto, non lo so bene soffro di attacchi di cosmo, mi lascio prendere dalla serenità e mi si vede il sole in faccia, per i maltempi invece, scelgo con cura a chi mostrare i miei diluvi.
-Gio Evan-
16 notes
·
View notes
Text

Un tempo sarebbe stato facile amarmi.
Ero dolce. Credevo nelle promesse, nelle parole. Giustificavo tutto, anche il male che sentivo e non ammettevo.
Mi prendevo la colpa, anche se non la capivo. Pur di non perdere chi amavo, sopportavo ogni mancanza, anche quando mancavo io e non sapevo più ritrovarmi. Abbracciavo senza chiedere nulla in cambio. Ero indifesa.
Da proteggere.
Da distruggere.
Oggi è difficile amarmi, restarmi accanto.
Rispettare i miei spazi, comprendere i miei silenzi, la mia indipendenza, il mio bisogno di vivere e di costruire usando solo le mie forze. Io che del mio equilibrio cercato, sofferto e trovato ne faccio un vanto da gridare al presente ogni giorno. Io che credo nell’amore molto più di ieri. Amore che non ha nulla a che fare con le briciole, con l’arroganza, con l’assenza, con l’infedeltà. Oggi è difficile amare la donna che sono diventata. Dopo i sogni sfumati, le ali spezzate, le labbra spaccate. Sicura delle mani da stringere che vorrei e degli occhi che non vorrò più incrociare. È difficile.
Forse è impossibile. Sicuramente è raro incontrare un’anima che ci ami oltre noi stessi, dove fingiamo di essere forti mentre imploriamo gli abbracci di chi possa amarci sapendoci fragili e imperfetti. Io dell’amore non so molto, forse. Non posso insegnarlo.
Ma so che ha a che fare con il rispetto.
E con le scelte che non s’impongono, ma si costruiscono insieme. Quando si diventa l’unica scelta e mai un’opzione tra tante. Alla ragazza che sono stata devo tanto, soprattutto scuse.
Alla Donna che sono, un promemoria: ricordati delle tue ali... ricordati di te.
Gabriel Garcià Marquéz
42 notes
·
View notes
Text
Prospettiva di oggi, #160
Alle quattro del pomeriggio sono stanca. Ho gli occhi truccati alla mia maniera del momento, le unghie laccate di nero e una piccola ciocca di capelli intrecciati che mi spunta dalla nuca e si appoggia sulla spalla destra. Sono pronta, insomma, per andare da qualche parte, per fare qualcosa, da stanca.
Mi sono riappropriata del tempo quando sono tornata qui in Italia - dai gatti, mia madre, gli sparuti affetti che popolano la mia vita in questa città dimenticata dal caos. E’ una città caotica senza averne l’aria, la mia. Ho discusso la mia tesi di dottorato con una maestria che mi riconosco in mancanza di altro da potermi recriminare, e la cosa che ho preferito di quel giorno è stata la naturalezza con cui ho gestito la mia platea, assicurandomi che le mie parole fossero digeribili anche ai non addetti ai lavori, traducendo per gli astanti anche le domande che ho ricevuto dalla commissione, prima di rispondervi. E’ stato un momento positivo, e niente di più. Niente di meno, neanche. Abbiamo poi festeggiato il giorno dopo, mia madre ha pagato una cena a buffet per venticinque persone, l’ho attraversata con delicatezza e col sorriso dei miei nuovi trent’anni da vedova. E’ stato dolce. Io sono proprio qui, anche se sono un po’ vuota e un po’ piena di niente, un niente instabile per il quale posso prenotare un viaggio a Genova con la mia nuova amica tedesca, portare la coperta di lana in lavanderia, lasciarmi andare al pianto e resistere alla guerra che mi vedo attorno. Posso esserci per chi mi suggerisce un sorriso profondo, studiare fisica con chi mi propone di far squadra, anche se in un giorno soltanto e dopo tredici anni che non ne leggo una parola. Abbiamo preso venti: successo.
Poi mangio, lavo i piatti, bevo il caffè e ancora non sono sveglia. Mi sento sola di una solitudine gentile, come i raggi del sole che arrivano dalla finestra, che mi chiamano verso una strada che penso anche oggi non percorrerò, nonostante sia vestita, truccata, ed indossi anche le scarpe. Non sto male. Sono sospesa. Dovrei controllare la mia mail tedesca e scoprire se mi hanno cercato: di sicuro mi hanno cercato. Soprattutto, dovrei decidere. Odio ancora decidere: questo non è cambiato. Ho firmato il contratto con Napoli, che durerà quattro mesi. Tra due, a Maggio, firmerò il nuovo contratto con Berlino, per sei. Non posso continuare così, comunque: che senso ha mantenere questo mio appartamento italiano disabitato? Che senso ha pagare gli affitti, che senso hanno i miei gatti - i miei figli - consegnati come me a una stasi di cui però non sono responsabili? Forse dovrei restare semplicemente qui, attivare il contratto del gas e internet, direi addio a Berlino. Sarebbe terribile riprendere quella vita da dove è stata lasciata, soprattutto lavorativamente. Loro mi vogliono, però, hanno provato anche ad assoldare mia madre per convincermi. Sono fortunata, ho delle opzioni - opzioni che odio, ma concrete. Spaventosamente concrete.
In questi giorni ho provato a trattenere il più possibile l’odio che provo per mia madre, ci sono riuscita quasi sempre. Mia madre è un involucro che parla da solo per non dire mai niente. E’ la negazione di ciò che mi ha dato, quella parte di lei che è esistita e che adesso esiste solo dentro di me. Una delega complessa, la sua, che ci tiene in vita alla meno peggio, o forse tiene in vita solo lei, perchè io ne ricevo per lo più odio e sensi di colpa legati a quell’odio. Mia madre vive in una casa di duecento metri quadri che su tutti gli altri piani del palazzo corrisponde a due appartamenti. Di questo spazio abitabile, un quarto è già mio: papà è morto, noi siamo gli eredi. Le ho detto scherzando che se mi lasciasse pagare i lavori per dividere gli spazi poi potrei salvare tutto: smettere di pagare questo affitto a perdere, per occupare il seminterrato di questo stesso palazzo coi miei mobili e i miei gatti, possederei finalmente un posto dove tenere tutto in sospeso senza fare del male a nessuno. Le ho detto che potrebbe viverci lo stesso, in una qualsiasi delle due metà, che io non metterei limiti, non cercherei soldi. Le ho parlato di ricchezza generazionale, della differenza che fa possedere qualcosa dall’inizio, dei soldi che fanno i soldi perchè quantomeno te li fanno risparmiare. Non esiste proprio, mi ha detto.
A casa di mamma quel quarto di mia proprietà non esiste. C’è la stanza in cui ho vissuto, in cui ancora tante delle mie cose occupano gli spazi che io gli avevo destinato, ma mio fratello se n’è appropriato ed ora non posso entrarci quando voglio. Polvere ovunque, e malora. Ci sono almeno due stanze che sono costantemente chiuse a chiave perchè nessuno le usa, ma non c’è spazio per me. Però c’è mia mamma e c’è mio fratello, che occupa la mia vecchia stanza, e porta i suoi amici e le sue canne, che forse adesso sono davvero anche un po’ miei. C’è Nuit, che ha diciotto anni, il gatto adottato durante la mia adolescenza per provare a lenire la mia tristezza costituzionale. E’ un fuscello lamentoso, dolcissima e forte delle sue abitudini e del suo non vedere un problema in niente. Vorrei i miei figli potessero imparare da lei, nei loro quasi cinque anni loro sono più fragili. Come me e mia madre. Io mi chiedo papà come avrebbe reagito alle mie sollecitazioni sulla ricchezza generazionale. Se papà non fosse morto, forse, non ne avrei mai parlato. A papà non dovevi che chiedere, però. A volte nemmeno quello.
8 notes
·
View notes
Note

eccoqua, vai con le brutte notizie
Non sono mani bellissime ma compatibili con chi è nato negli anni '70 perché, pur facendo un lavoro alla scrivania, può darsi che fattori genetici e sforzi giovanili (sport d'impatto con le mani, impugnare attrezzo o strumento) abbiano gettato le basi per una degenerazione osteo-articolare in anticipo di una decina d'anni.

Questi i tuoi rx e questo uno zoom dei tuoi pollici
Le frecce indicano quegli spazi che non ci dovrebbero essere nell'articolazione CMC (carpo-metacarpale) e che indicano uno 'scivolamento' del metacarpo ('base' del pollice) lateralmente all'osso trapezio che tramite alcune cavità concave normalmente accoglie il metacarpo di pollice e indice.
I cerchi mostrano asimmetria degli spazi interfalangei del primo raggio (pollice) e questo significa una degenerazione della cartilagine articolare che, in quanto non radio-opaca, normalmente resituisce un immagine di falangi 'distanti' tra loro. In questo caso i capi quasi si toccano e c'è presenza di sofferenza periostale e subcondrale ('rivestimento' e 'interno osso').
Evitare sforzi (martellare, guidare la moto, stringere attrezzi, suonare chitarra etc), calore (anche solo guanti perché il freddo ostacola il microcircolo) e lascia perdere gli esercizi muscolari, perché se è vero che un po' di blando movimento aiuta a evitare irrigidimenti, basta poco per scatenare dolore e impotenza funzionale.
8 notes
·
View notes
Text
Il prima e il dopo.
Ho scritto più volte di come e quanto la pandemia e il lutto mi abbiano cambiato e di come percepisca cambiati a loro volta moltissimi dei rapporti interpersonali (alcuni addirittura di lunga se non lunghissima data) che si erano sviluppati negli anni con svariate persone, fossero consanguinei o meno. Il contrasto nel confronto e nel ricordo di ciò che era e non è più si fa più netto e pesante con l'approssimarsi delle feste. Personalmente cresciuto e abituato da sempre a periodi con parenti e amici, sono dal 2020 portato a rifuggire le festività natalizie, combattuto tra desiderio di dare al futuro erede splendidi ricordi e aspettare che il periodo passi con meno memorie dolorose possibili. Parte dello scisma e della scrematura (o sarebbe il caso di dire frattura) sono avvenuti a causa di posizioni antiscientifiche - alcune sfociate nell'antivaccinismo plateale - di diversi individui. In altri casi ci hanno pensato le differenze tra l'essere divenuti genitori o meno a causa di tutte quelle cose che volenti o nolenti avere dei figli comporta: la responsabilità di gestire un bambino implica tutta una serie di scelte forzate (orari, modi, spazi, persone). In altri ancora si sono presentati problemi sotto forma di imprevisti più o meno gravi come malattie invalidanti o infortuni personali o di familiari stretti che rendono non consono l'organizzare un ritrovo "tanto per" o "facendo finta di". A tutto aggiungiamo per ultimo ma non per importanza la percepita diffidenza e chiusura (sia nostra che altrui post pandemia) verso la creazione di nuovi rapporti o legami con sconosciuti complice una stanchezza nel voler gettare le fondamenta per nuovi ponti con la paura di arrivare ad affrontare tematiche più importanti sulle quali dover scoprire magari in seguito orribili punti di vista (e non si possono costruire rapporti sinceri e profondi solo sulle conversazioni e chiacchiere leggere e di cortesia scambiate fuori da scuola aspettando che escano i bambini o sorseggiando tiepido spumante in bicchieri di plastica ad ogni compleanno di un compagno di classe del futuro erede). Viviamo una nostra piccola diaspora con le persone che vorremmo vicino ma che il caso o la vita ha messo (o tenuto) lontane mentre i mesi e gli anni passano aggiungendo magari ostacoli o privandoci di sorrisi e affetti all'improvviso.
Desidero dormire ma non ci riesco, vorrei serenità e quiete distanti da tutto "questo" che ci circonda sopratutto per le "feste", pace e lontananza dai falsi "buone feste" e "a te e famiglia".
I volti e le voci che incontro per strada sempre più tesi e nervosi anche a causa di una realtà comune che si presenta sempre più ingestibile per molti.
Mi domando quando arriverà il punto di rottura, mio, nostro, di chiunque.
14 notes
·
View notes