Tumgik
#Identità collettiva
divulgatoriseriali · 5 months
Text
I paesi invisibili: un viaggio tra le realtà dimenticate d'Italia
“I paesi invisibili” è un viaggio attraverso gli angoli più remoti e trascurati dell’Italia, guidato dalla mia penna e dalla mia passione per le piccole comunità delle “aree interne” del paese. In questo libro, esploro strade deserte e case centenarie avvolte nel silenzio, incontrando persone che resistono nonostante lo spopolamento e l’abbandono. Le loro storie, raccolte in queste pagine, sono…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
ma-come-mai · 3 months
Text
Tumblr media
ATTUALITÀ
Omicidio di Thomas a Pescara: i figli del nulla che vogliono tutto, e quando non basta... Ecco perché aveva ragione Pasolini
28 giugno 2024
Chi sono i (presunti) assassini di Thomas Luciani, il ragazzino colpito da una scarica di coltellate e lasciato morire per un presunto debito di droga di pochi euro? Sono i figli della borghesia, della “Pescara bene”, se questa ancora esiste, ma sono anche i figli del nulla. Quelli che vogliono. Non sanno cosa vogliono, ma vogliono tutto. E quando l’esibire le sneakers, il cellulare, le magliette e le immagini non basta, la risposta è solo una: la violenza. Aveva ragione Pier Paolo Pasolini nei suoi “Scritti corsari”: si regredisce, e…
di Ottavio Cappellani
“Facevano parte della ‘Pescara bene’”, scrivono a proposito dei due sedicenni accusati dell’omicidio di Christopher Thomas Luciani, detto Crox, diciassette anni, albanese, i cui genitori lo avevano affidato alla nonna. “Nessun disagio sociale”, scrivono. I presunti assassini (si scrive così) sono figli di un sottufficiale dei carabinieri e di un avvocato che però insegna. Una lettura da paniere Istat. Quasi che si trattasse dell’omicidio del Circeo: due di destra che uccidono un povero per una questione di rispetto. 25 coltellate contro 250 euro. Ogni dieci euro si ha diritto a infliggere una coltellata, perché io sono il padrone e tu lo schiavo. Li frequento, questi giovani. Li conosco. Ci parlo. È il mio dannato mestiere (“dannato” non è un americanismo: scrivere, studiare, cercare di vedere anziché guardare, è una dannazione, nessuna vanità o compiacimento da intellettuali da queste parti). Con gli scrittori si confidano. Lo fanno in molti. Sperano tutti di finire in una pagina di un libro, un giorno o l’altro, con il nome cambiato, certo, ma con la loro storia ben riconoscibile, in modo da confidare a qualcuno: quello sono io. Io. Io. Io…
L’identità collettiva del consumismo, che all’apparenza dell’apparire si vende come capace di distinguere un io da un altro, cancella di fatto ogni distinzione. Non è più la qualità di un bene a fare la differenza, ma la quantità di danaro che esso vale in un mercato rivolto all’immagine, che oggi non dà più nessuna identità. Sia chiaro, un’identità costruita “per immagini” non è una vera identità; l’identità della classe operaia, con le sue tute da metalmeccanico, la tovaglia cerata, la serena stanchezza della giornata di lavoro; l’identità della borghesia, una volta gli elettrodomestici, l’enciclopedia, il completo dei grandi magazzini (Rinascente, Upim, Standa), oggi la domotica, i device, i brand. Erano e sono identità appiccicaticce, ma che svolgevano e hanno svolto, fino a ieri, il loro sporco lavoro: appartenere a una classe sociale, formare un’identità che nell’epoca del nichilismo non sa dove aggrapparsi.
Ricordo il pezzo di Pier Paolo Pasolini sui capelloni (in “Scritti Corsari”): sta apparendo un nuovo tipo di uomo, lo manifestiamo senza linguaggio, solo con il nostro manifestarci, solo con la nostra immagine, solo con i capelli lunghi. Niente parole. Pasolini procedeva poi, con una lungimiranza profetica, alla critica di questa nuova (per l’epoca) ribellione, contro la generazione dei genitori: i capelloni, non avendo un dialogo con la generazione precedente, non potevano ‘superarla’. Al contrario si trattava di una regressione. Li invitava al dialogo, Pasolini. Parlatene, parlateci. I capelli lunghi, essendo un ‘segno’ senza parole, potevano essere di Sinistra come di Destra (tra gli autori del massacro del Circeo, 1975, uno era capellone).
Parlano invece. Si aprono. Certo, non con i genitori che disprezzano. Parlano con gli amici. Anche solo con i ‘segni’: ‘mostrano’ (da ‘mostro’) il brand di una sneaker, il numero dei follower, un coltello da sub – segni distintivi senza parole. Ed è come parcheggiare lo yacht a Montecarlo: non è mai abbastanza. Non ci sono soldi che bastano. Non esistono più le “Pescara” o le “Milano” o le “Voghera” “bene”. Esiste un mondo dove ci sono gli ultraricchi – italiani, americani, indiani, asiatici, russi – e poi ci sono gli altri. Che non sanno cosa dire. Esseri desideranti. Ultradesideranti. C’era un termine un tempo, e in tanti ne conoscevano il significato, era quasi di uso comune. Significava una bramosia senza oggetto il cui fine non era il possedere qualcosa, ma il possesso in sé, il possesso senza oggetto, il potere (astratto) in luogo della possibilità (concreta). Si chiamava “volontà di potenza” ed era una forma di isteria dell’identità. Oggi se ne parla sempre meno, significherebbe mettere in discussione il modello stesso entro il quale il mondo vive. La ‘volontà di potenza’ viene relegata all’epoca nazifascista, come se fosse il motore di una ideologia autoritaria e bestiale. Ma noi siamo dentro un modello di mondo ideologico e autoritario: quello del denaro, che non solo uccide – anche fisicamente – chi non ne possiede, ma al quale è affidato la creazione dell’identità. E il denaro non parla.
Loro parlano come possono a chi sa ascoltarli, anche se non è un bel sentire. Sì, è una dannazione. Non esiste – e forse non è mai esistita – una società “bene”, se non nelle speranze, nelle pie illusioni. La società è un fagocitarsi a vicenda. Pasolini ci credeva, nel modello identitario passatista: piccoli mondi antichi in cui l’identità era data dal luogo in cui si nasceva e in cui si restava, dai codici di un paese, da una fatalità della classe, di piccoli sogni realizzabili. Ma la ruralità reca con sé una bestialità violenta (di cui, è bene dirlo, Pasolini era vorace). Oggi questi mondi piccoli e violentissimi non esistono più se non nella facciata. Dietro scorre un serpente gigante che chiamiamo rete. La creazione di un’identità attraverso le immagini e le parole è impossibile. I social ci sommergono di modelli, di aspirazioni, di ‘cose’, di ragionamenti, di complotti, di interpretazioni, di lusso, di esibizionismo, di piccole e grandi follie, di tanti punti di vista quanti sono gli account. E così, parlando con loro, parlando con i giovani, parlando con questo “nuovo umano” (non è nuovo, è come sempre è stato, ma adesso lo ‘vediamo’ meglio) ci dicono che “vogliono”. Cosa vogliono? Vogliono e basta. Volontà di potenza: andiamo a comandare.
L’assenza di parole e l’eccesso di parole sono la stessa, identica cosa. La sovra informazione, l’ultra informazione del mondo contemporaneo diventa un rumore bianco. Come diceva Pasolini: si regredisce. L’espressione della propria identità diventa un suono. Non si parla, si emettono suoni. Si mostrano ‘cose’ come code di pavoni. Si torna allo stato di natura. Sopravvive il più forte. Quando l’esibizione di una sneaker, di una maglietta, di un device, di un’auto, di una opinione, non valgono più nulla nel mare magnum delle altre sneaker, delle altre magliette, degli altri device, delle altre auto, delle altre opinioni, resta solo una cosa a dare Potere: la violenza. Voglio il rispetto. Io sono io. Io. Io. Io… I commentatori restano rimminchioniti di fronte a questi episodi di violenza estrema. Tutti a sottolineare che “non c’era disagio sociale”. No? La “Pescara bene” sarebbe quella di una povera (in senso compassionevole) famiglia di impiegati statali? Sì, ragionando secondo i canoni del paniere Istat gli impiegati statali se la passerebbero bene. Se fossimo nel piccolo paese antico senza device, dove già la televisione era una fonte di disturbo e squilibro e liberava sogni deliranti di successo e famosità e volontà di potenza. Ma siamo nell’epoca dei social, dove non c’è ‘bene’ che basti.
Io ci parlo e capisco che vogliono. Non sanno cosa vogliono, ma lo vogliono. A volte, quando le birre diventano troppe, si picchiano tra i tavolini dei bar. I soldi della famiglia ‘bene’ se ne sono andati da un pezzo, nei cristalli di crack, nel fumo, nelle pere, nell’alcol che dà speranze brevi e vane e che alla fine ottunde, nei discorsi che alimentano speranze immancabilmente deluse. Se ne vanno in smartphone, nella droga offerta alle ragazzine sempre più disponibili per una sniffatina, così ci si apre un Of o si inizia a spacciare. Tutti possono fare qualunque cosa. Lo insegnano gli influencer. I social riprendono la televisione che riprende i social. I modelli non mancano. Si esibiscono ricchezze, nudità, e si esibisce anche la malavita. Studiano guardando Gomorra e Peaky Blinders. Funzionano perché vanno a toccare quelle corde lì, le corde della volontà di potenza.
Loro ‘vogliono’. E lo vogliono subito. Come gli influencer, come quelli di Of, come quelli delle serie. Denaro e sesso e violenza (volontà di potenza). Sangue, sesso e denaro: i tre punti cardine di ogni narrazione. E di ogni giornalismo a dire la verità. E vendetta: contro i genitori che non sono mai ricchi abbastanza, contro chi ha più follower, contro chi manca di rispetto. Risucchiati dagli schermi senza alcuna capacità di filtrare le immagini. Bambini che si muovono in un mondo che non sanno più interpretare se non attraverso denaro, sesso e violenza (volontà di potenza): i tre punti cardine per vendere qualcosa. Per vendere qualcosa che si spaccia per identità e che invece è lontanissima dall’esserlo. Loro parlano. Dicono di volere. Non sanno cosa vogliono ma lo vogliono. Non pensano. Appartengono a un gruppo. Vogliono primeggiare nel loro gruppo. Hanno l’identità dona loro il gruppo. Senza gruppo niente identità. A volte scatta la violenza. Non è vero che non li capite. Li capite benissimo anche se fingete sorpresa. Sapete benissimo che loro vogliono senza sapere cosa vogliono. E lo sapete perché voi siete uguali a loro. Non avete un io e disperatamente lo volete. Siete umani. E siete disperati.
P.s. Sono al contempo d’accordo e in totale disaccordo con Francesco Merlo, che oggi, a proposito di questo delitto scrive: “A Pescara è colpevole la solita gioventù bruciata e, in una gara di pensosità e di profondità, c'è chi accusa la scuola e chi biasima i telefoni cellulari, e ovviamente i genitori non sanno educare, e poi ci sono le responsabilità della musica, delle serie tv, il vuoto dei modelli che non sarebbero più quelli di una volta, la società tutta. Mi creda, il sociologismo è una malattia ideologica infettiva”. Sì, concordo, ma Merlo, per così dire, taglia il nodo di Gordio e si macchia di ignavia. Bisogna sciogliere il ragionamento per consentirsi l’ignavia senza sensi di colpa. Il mondo è questo e lo è da sempre. Ragionarci su vuol dire soltanto cercare di metterci una pezza. Che è meglio di fottersene, come suggerisce il caro Francesco. Fottersene responsabilmente è una forma di ignavia più chic. Fottersene come Francesco è solo pigro snobismo.
3 notes · View notes
scogito · 1 year
Text
"Lo spettro dell'omofobia ormai è una psicosi collettiva.
Sono stato in prima linea a livello tanto pubblico quanto personale a combattere ogni forma di discriminazione delle inclinazioni sessuali fin dagli anni '90, e quel che sta avvenendo oggi ha a che fare con quella lotta quanto fornire armi ai nazisti ucraini ha a che fare con la pace: è soltanto una becera, stupida, offensiva, contraddittoria e oltretutto illogica strumentalizzazione.
Quel che si fa oggi, dai testi di scuola ai contenuti delle serie TV, è destrutturazione programmata di qualsiasi modello di riferimento identitario ad ogni livello concepibile. E non è solo del tutto controproducente riguardo all'evitare discriminazioni di ogni genere (di fatto le rende molto più socialmente accettabili, come abbiamo visto negli ultimi anni) ma è anche e soprattutto una operazione psicosociale assai pericolosa: senza un modello di riferimento non puoi né accettare né rifiutare, senza un "altro da te" non c'è nemmeno un "te". Questi non stanno difendendo identità di minoranza, stanno cancellando il concetto stesso di identità individuale.
(Stefano Re).
-------
In questa società tutto è possibile poiché si arriva a capire il senso delle cose sempre troppo tardi.
La gente non impara né dai propri errori, né da quelli della comunità.
Se oggi si destruttura l'identità delle persone è solo perché non c'è mai stata prima. Le persone hanno una falsa identità di massa, che non è la stessa cosa di quella individuale.
Cioè la gente non ha capito né ha imparato che doveva creare la propria identità, anche a costo di lasciare il branco di appartenenza.
Perciò la maggioranza oggi non ha un ego, oppure ce l'ha distorto.
Una società senza ego è una massa informe di manipolabili privi di buon senso e di criterio logico;
Una società con ego distorto annienta se stessa perché pensa solo al potere personale e non rispetta niente e nessuno.
20 notes · View notes
intotheclash · 3 months
Text
... quando uno è triste non servono le classifiche, non c'è un tristometro, è inutile dire... "sto mediamente peggio di te" o... "decisamente meglio di te"... si diventa tutti ottusi ed egoisti e la propria tristezza diventa una grande campana in cui ci si chiude, per non ascoltare la tristezza degli altri, oltretutto il tossico seme della infelicità odierna, non è forse rintracciabile, in quello sfuggire(sfuggirsi), in quella perdita di identità individuale e collettiva? Questa frenesia metropolitana rassomiglia all'angosciante fuga continua dei criceti in una gabbia troppo stretta, costretti a rincorrere la propria coda... l'uomo contemporaneo cerca invano di scappare, per non dover riconoscere l'ombra della propria anima, per non fare i conti con le proprie miserie... con la propria inaudita infelicità. Buon sabba e buona fortuna.
(il mio amico Cristian)
4 notes · View notes
Text
La mostra alla quale ho partecipato Sabato è stata stupenda.
C'è stata grande affluenza e c'è stata grande partecipazione di artisti dalle opere e dai concetti più vari. Davvero uno spasso per la mente. Persone che andavano e venivano, pareri e complimenti, domande per capire meglio.
Mi hanno colpito soprattutto alcune persone che esponevano. In primis un ragazzo che ha realizzato opere sul concetto dell'ombra. C'era un dialogo tra una persona e la sua ombra, mi ha colpito quando ha detto che lei ci sarebbe sempre stata, che anche quando la sente assente è sufficiente aumentare la luce, ed infine che per abbracciarla serve abbracciare se stessi.
Altri lavori interessanti erano quelli di una ragazza che faceva su tela rappresentazioni con il filo, che cuciva come accade nei legami.
Bellissimo il lavoro di un paio di persone con i collage, specialmente quelli di una ragazza che lavora con le fotografie di famiglia, non le sue ma quelle che trova nei mercatini. Lei ci lavora per conservare la memoria, per donare di nuovo importanza a quelle esistenze. Pensarci è commovente.
Infine ho conosciuto una persona che, laureata in ingegneria meccanica, ha creato un'attività che fonde creatività e tecnica ingegneristica.
Per me è stato ed è ancora importante averla conosciuta: forse è possibile riuscire a far funzionare il connubio. In mano a lei, il f.. Come accade a me, ha avuto una crisi che l'ha portata a capire che l'azienda di informatica non poteva fare al caso suo. Inoltre l'hanno aiutata al palazzo G, di B..
Insomma, tutto questo in una mostra collettiva. Che per di più mi ha fatto capire che la mia identità artistica può stare nella doppia esposizione tra paesaggio e ritratto, come jin e yang, come luce e ombra, come creatività ed ingegneria: landscape è orizzontale, portrait è verticale. Due cose opposte che insieme diventano LA FINE DEL MONDO. Io e questo vizio di interpretare ciò che accade in modo così forte. E tutto questo che avviene da anni senza presentarsi sottoforma di occasione di svolta, forse perchè la svolta non deve avvenire.
Con il tempo, ho capito che non serve appoggiarsi alle persone, che i segni arrivano ma che sono io a dover agire, non le occasioni a doversi presentare. Forse perchè non ho mai amato prendere un treno, salirci e vedere dove va, ma prendere in mano le redini ed andare dove dico io.
Oggi mi ha fatto rimanere di sasso il dialogo con B. e il suo volermi come confidente, mentre io so di non volere responsabilità di scelte altrui, specialmente perchè poi so di non essere presente nell'aiuto.
Inoltre mi ha colpito fortemente quando D. a lavoro ha detto che sarebbe stato bello se avessi detto a tutti della mostra fotografica/pittorica. Perchè sarebbero stati felici di esserci. Io qui sono crollato, perchè nel primo lavoro è nata così la forte repulsione nei confronti dell'ingegneria: il mio vecchio capo affermò che "non servivano gli artisti li", ed io non glie l'ho mai perdonato. Come fossero parole di mio padre, parole che mai ha detto ma che io stesso penso di me. Come se essere artisti fosse una colpa, la mia più grande colpa, quella di essere ciò che voglio, magari non proprio ciò che sono.
7 notes · View notes
Text
Tumblr media
La psicoanalisi ha smascherato le credenze umane nei confronti degli idoli e degli ideali di ogni specie. Sotto la sua onda d’urto anche i sentimenti più altruistici e solidaristici si sono rivelati solo povere maschere che ricoprivano l’avidità originaria della pulsione. Al fondo della natura umana non si incontrano buoni sentimenti, ma solo una spinta pulsionale che afferma sé stessa. All’origine della vita – come sosteneva già Hobbes – non c’è l’amore ma la guerra di tutti contro tutti. E se allora l’amore, di cui la retorica di ogni tempo si è riempita la bocca, non fosse che una impostura? Se l’essere umano al suo fondo volesse solo potenziare il proprio Ego, se la natura stessa dell’inconscio fosse profondamente criminogena, se la pulsione avesse di mira solo il suo proprio soddisfacimento, come spiega Freud, come potrebbe mai esistere un amore altruistico? Un atto di donazione di sé stessi verso l’Altro capace di prescindere dal narcisismo? Come può esistere un amore che non sia solo rivolto a noi stessi?
L’odio è più antico e originario dell’amore, scriveva Freud. È sotto i nostri occhi una escalation individuale e collettiva dell’incultura dell’odio, dell’anti-amore, del rifiuto, della segregazione, del respingimento dell’Altro in qualunque forma esso appaia. L’odio è una risposta difensiva finalizzata a salvaguardare la vita in pericolo, esposta, come direbbe sempre Freud, alla natura straniera e ostile del mondo. Se dimenticassimo questa verità ridurremmo l’amore ad una marmellata di buoni sentimenti o, più precisamente, per usare una categoria della psicoanalisi, ad una rimozione dell’odio. Ma proprio perché il primo movimento dell’uomo, il più originario, è quello della chiusura, dell’arroccamento e della paura nei confronti del mondo “straniero e ostile”, la possibilità dell’amore non può prescindere da questo carattere primario e dominante dell’odio. Ecco perché siamo così colpiti dai gesti di amore altruistico. Ci stupiamo forse sempre meno dell’orrore – che non ha limiti – e sempre di più dei gesti di amore e di solidarietà. Nondimeno è evidente, non solo agli psicoanalisti, che anche dove c’è amore serpeggia sempre una ambivalenza affettiva: io ti amo, ma poiché tu hai introdotto in me il seme della mancanza – poiché tu mi manchi proprio perché ti amo –, tu mi fai paura, io non mi posso fidare di te, tu sei pericolosa per la mia identità, ergo, ti odio.
L’amore è una vera alternativa all’odio solo quando sa assumere con slancio la dimensione della mancanza che l’esperienza dell’amore apre in noi. Si tratta di un movimento contro-natura: amo chi mi rende mancante. Come è possibile? La condizione dell’amore è quella di stabilire un rapporto di amicizia con la propria mancanza. Solo se si accoglie la nostra mancanza si può amare, ovvero sentire la mancanza di chi amiamo. Eppure ci sono amori che finiscono nell’odio e nella distruzione. Molto spesso sono gli amori più idealizzati, amori che hanno escluso l’insopportabile amando solo la bella immagine dell’Altro e non il suo fondo più insopportabile. Poi accade fatalmente che, in un momento o nell’altro, l’insopportabile faccia inaspettatamente irruzione e tutto frana, cade, si dissolve e di quell’amore non resta più nulla. Gli amori che finiscono nell’odio sono quelli che hanno cancellato l’insopportabile, che hanno amato solo l’immagine ideale dell’Altro, ovvero l’immagine che corrisponda alla nostre attese. Per questo Lacan diceva che un amore degno di questo nome sa amare tutto dell’Altro, dunque anche la sua parte più insopportabile. È un insegnamento che travalica il piano della vita amorosa e che investe ogni forma di legame umano: l’odio subentra all’amore quando l’idealizzazione lascia il posto alla delusione e questo accade tanto più facilmente quando l’infatuazione per l’Altro vorrebbe ricoprire i suoi limiti. Diversamente gli amori che durano sono gli amori che sanno condividere l’insopportabile, ovvero ciò che è veramente impossibile condividere.
Si dovrebbe allora aggiungere che se l’amore è amore non di qualcosa dell’Altro, ma di “tutto”, nulla
consentirà mai agli amanti di fare o di essere un tutto, di coincidere l’uno con l’altro. Ciascuno sarà infatti
confinato al non-tutto come verità ineliminabile di ogni rapporto. Il mito platonico dell’androgino non dice la verità sull’amore: ricostruire l’intero non può mai essere la meta dell’amore. Piuttosto quando amiamo facciamo esperienza di perdere l’intero, di conoscere la nostra insufficienza e la nostra vulnerabilità. L’amore da questo punto di vista non ricompone la sfera, non sana la ferita ma la apre perché ci costringe a incontrare la mancanza.
Ma se non possiamo aspirare a una totalità – è quello che accade invece nei regimi totalitari dove la massa ama e si sente amata dal suo leader, sentendosi un “tutto” – allora l’amore può essere una vera alternativa all’odio e non solo la sua fatale prosecuzione. L’amore scade nell’odio solo quando apre la ferita che avrebbe dovuto illusoriamente chiudere, ma se l’amore, invece, è la ferita, se è l’esperienza della mancanza, non è nel ritrovamento dell’intero, ma nella sua perdita che esso può realizzarsi. L’amore diventa così un grande antidoto ad ogni forma di odio, perché ci rende possibile fare amicizia con la nostra mancanza.
Il punto è che Freud non coglie la verità più profonda del messaggio cristiano. Egli riduce l’amore per il
prossimo ad una contraddizione insanabile: perché dovrei amare lo sconosciuto? Lo straniero? O, addirittura, chi non sopporto? E come dargli torto? Ma il limite del suo ragionamento consiste nel non intendere che il “prossimo” – come spiegherà invece Lacan – è innanzitutto la parte più dissonante di me stesso. L’amore suppone sempre l’accettazione di questo “prossimo interno”, di questo insopportabile che porto dentro di me. Allora colui a cui dichiaro il mio amore non è più la rappresentazione ideale di me stesso, lo specchio narcisistico che rende amabile la mia stessa immagine, ma diviene l’incontro con ciò che non intendo, che non posso avere e che non sono. La non coincidenza è, infatti, il senso più profondo di ogni legame d’amore. Per questo non c’è amore senza libertà, senza rispetto per la libertà dell’Altro. E per questo la violenza non fa parte dell’amore ma è la sua profanazione più estrema. Ogni amore ci espone al rischio di perdere una parte di noi stessi più che – come pensava Platone – di ritrovarla. Ma questo rischio comporta una gioia ineguagliabile che rende l’amore il più potente anti-depressivo in circolazione: esso introduce, infatti, una pausa, una tregua nel dolore infinito del mondo. Un nascondiglio? Un riparo? Una tana? Quando facciamo esperienza dell’amore facciamo esperienza di una interruzione nell’orrore insensato che accompagna l’esistenza. La mia esistenza, una volta amata, non è più alla deriva, non è più “di troppo”, ma si trova, come direbbe Sartre, voluta sin nei suoi minimi dettagli, “chiamata”, “attesa”, “salvata”. È tantissimo.
Massimo Recalcati
13 notes · View notes
curiositasmundi · 1 year
Text
Non c’è un’accezione amabile della patria, e se c’è è forse proprio quella che dovremmo temere di più. La terra dei padri, questo significa patria, è un concetto letterario le cui ambiguità è utile tenere ancora presenti, se non altro perché dimenticarle ci ha dato lezioni amare per tutto il ’900. La prima ambiguità è nelle parole stesse: la patria non è una terra, ma una percezione di appartenenza, un concetto astratto, tutto culturale, che si impara dentro alle relazioni sociali in cui si nasce e dentro alle quali, riconosciuti, ci si riconosce. In un mondo dove i rapporti di confine tra le terre sono cambiati mille volte e le culture si sono altrettanto intrecciate, dire “la mia patria” riferendosi a una terra significa creare di sé un falso logico, oltreché geologico.
La seconda ambiguità è in quel plurale monogenitoriale, quel categorico “padri” che solleva simbolicamente dalle loro tombe un’infinita schiera di vecchi maschi dal cipiglio accusatorio rivolto alla generazione presente. Le madri nella parola patria non ci sono, benché per definizione siano sempre certe, né generano appartenenza, nonostante ce ne sia una sola per ognuno di noi. Non possono esserci perché nell’idea del patriottismo è innestata la convinzione profonda che la donna sia natura e l’uomo cultura, cioè che la madre generi perché è il suo destino e l’uomo riconosca la sua generazione per volontà e autorità, riordinando col suo nome il caso biologico di cui la donna è portatrice.
È in quanto estensione del maschile genitoriale che la patria è divenuta fonte del diritto di identità, perché è il riconoscimento di paternità che per secoli ci ha resi figli legittimi, né è un caso che le rivoluzioni culturali post psicanalisi si definissero anche come “uccisioni dei padri”. Gli apolidi dentro questa cornice si portano inevitabilmente addosso l’aura del figlio bastardo, gli espatriati per volontà sono sempre traditori della patria e gli emigrati economici hanno il dovere morale di coltivare e manifestare a chi è rimasto a casa un desiderio di ritorno, pena il passare per rinnegati.
E se per una volta - solo una, giusto per vedere l’effetto che fa - provassimo a uscire dalla linea di significati creata dal concetto di patria? Averlo caro del resto non ha alcuna attualità; appartiene a un mondo dove il diritto di sopraffazione e la disuguaglianza sociale ed economica erano voci non solo agenti, ma indiscutibilmente cogenti: per metterle in crisi ci sono volute rivoluzioni di pensiero prima ancora che di piazza, e quelle rivoluzioni ci hanno lasciato in eredità il dovere di fare un atto creativo nei confronti di tutte le categorie che non bastano più a raccontare la complessità in cui siamo. E se proprio non è possibile uscire dalla percezione genitoriale dell’appartenenza collettiva - padre, ma anche l’ossimoro madre patria - potrebbe essere interessante cominciare a parlare di Matria.
[...]
4 notes · View notes
rossanataormina · 1 year
Text
Tumblr media Tumblr media
GIBELLINA PHOTOROAD OPEN AIR & SITE-SPECIFIC FESTIVAL
IV EDITION 28.07 - 30.09.2023
presso FONDAZIONE ORESTIADI
ROSSANA TAORMINA (IT) Imprinting
Dopo il terremoto del 1968, le persone abitarono a lungo nelle baraccopoli. L’artista durante l’adolescenza assiste ad una profonda trasformazione dei luoghi amati nell’infanzia, che ha avuto un profondo impatto sulla sua sensibilità e identità. L’artista ha sperimentato un sentimento di perdita tale da far maturare una sorta di ossessione per la memoria, affascinata da archivi immaginari, dal confine tra memoria personale e memoria collettiva.
After the earthquake in 1968, for a long time people lived in temporary accommodation. Growing up as she did during this time of urban redesign, she witnessed the scenery change dramatically, which impacted on her sensitivity and identity. The artist experienced the sentiment of loss and developed a kind of obsession with memory, she is fascinated by archives of imagery, by the border between personal memory and collective memory.
4 notes · View notes
vecchiodimerda · 2 years
Text
Christian Raimo
Ho fondato una piccola società, la ReichRaimo, che si occuperà soprattutto di consulenza editoriale e di formazione.
E dal primo dicembre parte il primo corso intitolato Come odiare i giovani.
Sarà rivolto a tutti, e sarà articolato in quattordici incontri, con orari che cambiano dall'uno all'altro. Si svolgerà sia in presenza che online e costerà 129 euro.
Per l'iscrizione si può scrivere a [email protected]
Questi i temi degli incontri.
1. Il 1868 è più importante del 1968, con Ernesto Galli della Loggia. Riscoprire la fondazione dell’Azione cattolica da parte di Papa Pio IX con il breve pontificio Dum filii Belial. Per un nuovo nazionalismo nella scuola improntato sulla restaurazione della dinastia Meiji in Giappone. Analisi dei testi del cancelliere Bismarck sul cambiamento climatico.
2. Dove va il potere: capirlo un attimo prima. Dibattito con Gianni Riotta e Bruno Vespa, sul futuro dei media e del mercato immobiliare.
3. Vale la pena di fare la punta al cazzo anche se si parla di un massacro, a cura del Novum Consortium Italianae Stampae. Imparare a usare i social come farebbero i monaci cluniacensi, usando il tempo libero della pensione o della disoccupazione per emendare articoli politici sui temi chiave solo sulla base di alcune concordanze grammaticali ambigue o per i font senza grazie usati (si dice la font!)
4. Il capitalismo buono è proprio buono buono buono, con Francesco Giubilei e Fabio Roscani. Riproposizione della conferenza che non si è potuta tenere alla facoltà di Scienze politiche a Roma per il boicottaggio dei centri sociali organizzati. Storytelling dell’accumulo originario. Nuove liturgie preconciliari per il feticcio delle merci.
5. Camerati che sbaglicchiano, con Walter Veltroni. Come rinarrare la violenza dei terroristi neofascisti in chiave pop, con dei bei fumetti anche. Laboratorio artistico in classe sull’utopia Nar.
6. Il colonialismo che non ci è stato insegnato, con Marco Minniti. Per un nuovo turismo consapevole, permanente, fondativo. Alla scoperta virtuale delle strade che gli abbiamo fatto senza pretendere nemmeno un grazie.
7. L’omicidio stradale dei manifestanti ecologisti va completamente depenalizzato, con Matteo Piantedosi. A seguire pillole comiche sui pestaggi di Genova 2001 a cura di Pino Insegno.
8. L’istruzione tecnico militare per un paese che cambia. Tavola Rotonda con Patrizio Bianchi, Luciano Leonardo Violante, Guido Crosetto e Giuseppe Valditara. Presentazione del progetto sperimentale di alternanza scuola lavoro come guardie per i campi di detenzione in Libia.
9. Arbasino generator. Laboratorio dal vivo con la redazione del Foglio per imparare a passare pezzi su qualunque argomento riempendoli di aggettivi eterodossi, locuzioni ammiccanti, sigle in inglese, battute sui vestiti e i capelli, diminuitivi in -elli.
10. Vendicarsi del senso di morte imminente, con Angelo Panebianco. Come scrivere gli editoriali per il Corriere mi ha sollevato dai momenti di solitudine e smarrimento di fronte alla vecchiaia, anche poi mi sono dimenticato delle analisi da fare e di portare fuori il cane che mi ha pisciato in salotto.
11. Il femminismo me lo attacco al cazzo, a cura della Libreria di tutti. Per un femminismo politically uncorrect che possa essere libero di dire la propria su aborto, orientamento sessuale, identità di genere e frocette della minchia, con la possibilità di cambiare idea anche da un giorno all’altro e di prendersi tre mesi di vacanza se si è stanche che sono almeno due anni che non mi faccio una vacanza come si deve.
12. Ridere forte dello schwa, con Massimo Arcangeli. Imparare lo gné gné nell’autoscoscienza collettiva, condividere le pratiche del darsi di gomito dal vivo e in rete.
13. La competenza, il liberalsocialismo di Carlo Rosselli e il fatto che mio figlio mi fa sempre più sclerare e quindi vanno cambiate e subito alcune leggi dello Stato perché non può tornare sempre alle due e lasciare la camera una merda: ted talk con Carlo Calenda.
14. Il fascismo è stato brutto, con Antonio Scurati. Lettura integrale dei tre volumi di M, a seguire esegesi passo passo da parte dell’autore.
9 notes · View notes
winckler · 2 years
Text
Oggi si dà alla parola diverso una dimensione fisica o psichica limitata alla sfera affettiva, personale. I veri diversi per mia esperienza sono altri, e sono di sempre: sono i cercatori di identità, propria e collettiva, e nazionale, e d'anima. Coloro che videro il cielo e che mai lo dimenticarono, che parlarono al di sopra dell'emozione, dove l'anima è calma. Che non credono, o credono poco, ai partiti, le classi, i confini, le barriere, le fazioni, le armi, le guerre. Che nel denaro non hanno posto alcuna parte dell'anima, e quindi sono incomparabili. Quelli che vedono il dolore, l'abuso; vedono la bontà o l'iniquità, dovunque siano, e sentono come dovere il parlarne. I cercatori di silenzio, di spazio, di notte, che è intorno al mondo, di luce, che è intorno al cuore. [...]
Ora, io vorrei chiedere a chiunque mi ascolti — aspettando risposta, naturalmente, solo nel cuore: credete davvero che la vita umana sia sempre e solo trionfo sull'altro? Che per essere contenti della propria vita bisogna aver posato il piede sul capo dell'altro? Credete che i deboli —paesi o individui —debbano essere eliminati anche se in modo indolore? Credete che zingari, poveri, pastori di greggi; che poeti, scrittori, preti e maestri non di parte o isolati, che attraversano questa vita lieti come fanciulli e vigili come madri non servano proprio a nulla, e la vita, la società, lo Stato possano fare a meno di essi?
— Anna Maria Ortese, Corpo Celeste
5 notes · View notes
dominousworld · 2 years
Text
Società Tradizionale versus Società Moderna
di Alexander Dugin I tratti caratteristici della società tradizionale sono:1. sacralità;2. religione;3. subordinazione dei sistemi scientifici a quelli spirituali e metafisici (o totale assenza di scienze);4. gerarchia sociale (casta, classe, ecc.);5. culto, rituale, olismo (integrità);6. identità collettiva;7. il tempo ciclico o il principio del degrado dell’essere;8. il primato dello spirito…
Tumblr media
View On WordPress
2 notes · View notes
divulgatoriseriali · 10 months
Text
Olocausto Brasiliano: il dramma dei pazienti dell'Ospedale Psichiatrico di Colônia a Barbacena
Con Olocausto Brasiliano, o meglio “Holocausto Brasileiro“, ci si riferisce al genocidio commesso contro i pazienti psichiatrici dell’ospedale di Barbacena, in Minas Gerais, in Brasile. Per anni, i pazienti sono stati tenuti in condizioni disumane, e si stima che sessantamila persone siano morte. Solo pochi sono riusciti a sopravvivere. Continue reading Untitled
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
accidya · 2 years
Text
Dio ci salvi dall'ipocrisia Dal rumore di fondo E da chi sceglie solo le proteste monetizzabili Noi, loro e gli altri Da cosa ti sei vestito oggi?
Oggi che possiamo rivendicare di essere bianchi, neri, gialli, verdi O di essere cis, gay, bi, trans o non avere un genere Non possiamo ancora essere poveri Perché tutto è inclusivo a parte i posti esclusivi, no? Oggi che tutti lottiamo così tanto per difendere le nostre identità Abbiamo perso di vista quella collettiva
2 notes · View notes
magliacal · 10 days
Text
Tra Storia e Innovazione: La Maglia che Rappresenta gli Spurs
1. Introduzione
La maglia del Tottenham Hotspur è molto più di un semplice indumento sportivo. Per i tifosi degli Spurs, rappresenta un simbolo di tradizione, appartenenza e orgoglio. Da oltre un secolo, il Tottenham ha costruito la propria identità non solo attraverso le vittorie e i successi, ma anche tramite il legame profondo tra il club e la sua comunità. La maglia bianca, con il suo design semplice ma iconico, incarna lo spirito del club e riflette i valori che i giocatori portano in campo. Ogni dettaglio, dal colore al logo del gallo, racconta una storia di continuità e innovazione, rendendo la maglia un vero e proprio simbolo di tradizione. In questo articolo, esploreremo l'evoluzione della maglia del Tottenham Hotspur, il suo significato storico e culturale, e come essa continui a influenzare la passione e l'identità dei tifosi in tutto il mondo.
2. Le Origini della Maglia: Simbolo di Unità
Le origini della maglia del Tottenham Hotspur risalgono alla fondazione del club nel 1882, un periodo in cui il calcio inglese stava cominciando a strutturarsi in modo formale. Fin dagli inizi, la maglia del Tottenham ha rappresentato non solo l'identità visiva della squadra, ma anche i valori di unità, appartenenza e coesione che avrebbero definito il club.
All'inizio, il Tottenham indossava divise a strisce blu scuro e bianco, una combinazione cromatica utilizzata per differenziarsi dai club rivali e affermare un senso di identità unica. Tuttavia, la svolta più significativa avvenne nel 1898, quando il Tottenham adottò la sua iconica maglia completamente bianca, ispirata al Real Madrid, uno dei club più rispettati a livello internazionale. Questo cambiamento non fu solo una questione estetica, ma una dichiarazione di ambizione e professionalità.
Il bianco, simbolo di purezza e semplicità, divenne il colore distintivo degli Spurs. Questa scelta cromatica rifletteva una mentalità collettiva in cui l'unità e il gioco di squadra erano prioritari. La maglia bianca incarnava l’idea di un gruppo di giocatori che si muoveva come una forza unitaria, senza fare distinzioni individuali, e questa immagine era condivisa anche dai tifosi.
La semplicità del design iniziale sottolineava una filosofia calcistica centrata su uno stile di gioco essenziale, privo di orpelli, ma estremamente efficace. L'introduzione della maglia bianca consolidò l'identità del Tottenham non solo come squadra di calcio, ma come comunità che abbracciava i suoi tifosi. L’uniforme divenne un simbolo di appartenenza e orgoglio, rafforzando il legame tra giocatori e tifosi.
Fin dai suoi albori, quindi, la maglia del Tottenham ha rappresentato molto più di un semplice capo di abbigliamento sportivo. Ha simboleggiato l'unità, il senso di appartenenza a un gruppo coeso e l’ambizione di competere ai massimi livelli. Anche oggi, la maglia bianca continua a essere un vessillo di orgoglio, tramandando i valori tradizionali del club e rafforzando il legame con la sua lunga storia.
3. Evoluzione del Design e l’Influenza del Contesto Storico
La maglia del Tottenham Hotspur ha subito numerose trasformazioni nel corso degli anni, riflettendo non solo i cambiamenti estetici, ma anche l'influenza dei contesti storici e culturali in cui il club si è sviluppato. Dalle origini umili fino alle sofisticate maglie moderne, il design della divisa degli Spurs ha saputo evolversi mantenendo saldo il legame con la tradizione del club.
Nei primi anni, la maglia subì diverse modifiche, passando da un modello a strisce blu e bianco a una casacca completamente bianca introdotta nel 1898. Questo cambiamento segnò il primo passo verso l'identità iconica del club. L'adozione del bianco, ispirata dal Real Madrid, rappresentava una dichiarazione di professionalità e una volontà di emulare i migliori club del mondo. Inoltre, il design sobrio ed elegante incarnava valori di disciplina e unità.
L'evoluzione del design della maglia del Tottenham è strettamente legata alle epoche che il club ha attraversato. Negli anni '60, una delle ere d'oro del club, con la vittoria del campionato inglese nel 1961 e della Coppa delle Coppe nel 1963, la maglia era simbolo di un'identità vincente. Il design rimaneva semplice, con il bianco a dominare, ma i successi internazionali accrescevano l'importanza simbolica di quella maglia, che ormai era riconosciuta come sinonimo di prestigio.
Negli anni '70 e '80, il contesto economico e sociale influenzò notevolmente il design delle maglie. L'introduzione degli sponsor commerciali nel calcio portò a un cambiamento significativo. Nel 1983, la maglia del Tottenham fu una delle prime ad avere uno sponsor, che introdusse una dimensione commerciale al design pur mantenendo i tradizionali colori del club. Questo passaggio segnava l'entrata del calcio nel mondo della globalizzazione economica, riflettendo i cambiamenti nel modo in cui il calcio era percepito e consumato a livello mondiale.
Durante gli anni '90 e 2000, la tecnologia cominciò a giocare un ruolo cruciale nell’evoluzione della maglia. I tessuti divennero più leggeri e traspiranti, migliorando le prestazioni dei giocatori in campo. Anche il design divenne più innovativo, con l'introduzione di dettagli moderni, ma sempre rispettando il carattere tradizionale del bianco. In quegli anni, la maglia degli Spurs riuscì a coniugare innovazione e tradizione, risultando sempre più versatile e adatta alle esigenze del calcio moderno.
Oggi, la maglia del Tottenham continua a evolversi, integrando nuove tecnologie come tessuti sostenibili e design ergonomici, pur mantenendo l'essenza storica che la caratterizza. Gli ultimi decenni hanno visto una crescente attenzione verso l'eco-sostenibilità, con Nike, l'attuale fornitore tecnico, che ha introdotto materiali riciclati nelle divise. Questo aspetto sottolinea l'impegno del club non solo verso la performance sportiva, ma anche verso la responsabilità sociale e ambientale.
In sintesi, l'evoluzione del design della maglia Tottenham Hotspur è il risultato di una fusione tra tradizione e modernità, influenzata dal contesto storico e dalle tendenze globali. Nonostante i cambiamenti nel corso del tempo, la maglia ha sempre rappresentato un simbolo di appartenenza e orgoglio, riflettendo i valori e l'identità del club attraverso i decenni.
4. Il Significato del Colore e dei Simboli
Il colore e i simboli della completini calcio sono elementi fondamentali della sua identità e portano con sé significati profondi e storici. Ogni dettaglio della maglia racconta una parte della storia del club e dei suoi valori, contribuendo a costruire un legame duraturo tra il Tottenham e i suoi tifosi.
Il Colore Bianco
Il bianco, il colore predominante nella maglia del Tottenham, è più di una semplice scelta estetica. Introdotto ufficialmente nel 1898, il bianco rappresenta la purezza, la semplicità e l’unità. Quando il Tottenham decise di adottare una maglia completamente bianca, stava non solo cercando di emulare l'iconico Real Madrid, ma anche di stabilire un'identità visiva distintiva e riconoscibile. Il bianco è associato a valori di integrità e coesione, e ha contribuito a consolidare l’immagine del club come una squadra che si muove unita e senza fronzoli.
Nel corso degli anni, il bianco ha subito varie interpretazioni, ma ha sempre mantenuto il suo significato centrale. Durante le ere di grande successo, come negli anni '60, la maglia bianca è diventata un simbolo di prestigio e vittoria. In tempi più recenti, il bianco è stato mantenuto come colore predominante, riflettendo un impegno per la tradizione e un rispetto per il passato del club, pur evolvendosi con le nuove tecnologie e tendenze.
Il Simbolo del Cormorano
Il cormorano, l'uccello rappresentato nel logo del club, è un altro simbolo significativo. Il cormorano, che si trova in cima al logo del Tottenham, è un emblema di determinazione e grazia. Questo simbolo è stato scelto perché il cormorano è un uccello noto per la sua abilità di adattarsi a diversi ambienti, riflettendo la versatilità e la resilienza del club. Inoltre, il cormorano è un richiamo al nome del club, "Hotspur", che fa riferimento a Sir Henry Percy, soprannominato "Hotspur" per la sua energia e ardore.
Il Logo e le Modifiche
Nel corso degli anni, il design del logo del Tottenham ha subito varie modifiche. Sebbene il cormorano sia sempre stato presente, le sue rappresentazioni sono cambiate. Le versioni storiche del logo erano più elaborate, mentre le versioni più recenti hanno semplificato il design, mantenendo però l'essenza del simbolo. Questa evoluzione riflette il cambiamento nella percezione visiva e l’adattamento alle nuove norme estetiche senza perdere il legame con la tradizione.
Dettagli Aggiuntivi e Sponsor
Il design della maglia ha anche visto l'inclusione di sponsor commerciali nel corso degli anni, un elemento che, sebbene spesso controverso tra i puristi, ha contribuito a finanziarie l’espansione e la modernizzazione del club. Gli sponsor sono stati inseriti con attenzione per non compromettere l’identità tradizionale della maglia, e spesso i loro loghi sono stati progettati per armonizzarsi con il design storico.
In sintesi, il colore bianco e i simboli presenti nella maglia del Tottenham Hotspur sono carichi di significato e riflettono valori di unità, integrità e tradizione. Ogni elemento della maglia non solo contribuisce a definire l'identità visiva del club, ma racconta anche una parte della sua lunga e ricca storia. Questi simboli aiutano a mantenere vivo il legame tra il club e i suoi tifosi, celebrando la tradizione mentre si guarda verso il futuro.
5. L'Influenza della Maglia sulla Cultura dei Tifosi
La maglia del Tottenham Hotspur non è solo un indumento sportivo, ma un potente simbolo che ha un impatto profondo sulla cultura dei tifosi. Per i sostenitori degli Spurs, la maglia rappresenta molto più di un’identità visiva: è un elemento che rafforza il senso di appartenenza, orgoglio e passione per la squadra, riflettendo il legame tra il club e la sua comunità.
Un Simbolo di Identità e Appartenenza
Indossare la maglia del Tottenham è un atto di affermazione dell’identità. Per i tifosi, la maglia bianca e blu rappresenta un filo conduttore che li lega al club e agli altri sostenitori, un simbolo di appartenenza a una comunità globale di appassionati. La maglia diventa un segno di riconoscimento, sia sugli spalti del Tottenham Hotspur Stadium che per le strade di Londra e del mondo. Essa racchiude valori di lealtà e dedizione, e per molti tifosi rappresenta il loro impegno verso la squadra, indipendentemente dai risultati sportivi.
La Maglia come Ponte Generazionale
Uno degli aspetti più affascinanti della maglia del Tottenham è il suo ruolo nel tramandare la tradizione di generazione in generazione. Per molti tifosi, la prima maglia è un ricordo che li lega ai momenti speciali vissuti con il club: le vittorie memorabili, le sconfitte amare, i giocatori iconici che hanno fatto la storia del Tottenham. I genitori passano spesso la passione per gli Spurs ai figli, e la maglia diventa il simbolo tangibile di questa eredità. Indossarla significa non solo celebrare il presente, ma onorare il passato e prepararsi al futuro.
La Maglia nelle Vittorie e nelle Sconfitte
La maglia del Tottenham non è solo celebrata nelle vittorie, ma anche nelle sconfitte, e questo ha un impatto significativo sulla cultura dei tifosi. Nei momenti di successo, come durante la storica vittoria della Coppa di Lega del 2008 o la finale di Champions League nel 2019, la maglia è portatrice di orgoglio e celebrazione. Tuttavia, anche nei momenti di difficoltà, i tifosi continuano a indossarla come segno di resilienza e fedeltà. La maglia diventa quindi un simbolo di solidarietà, ricordando ai tifosi che il loro sostegno è essenziale, a prescindere dai risultati sul campo.
La Maglia nei Riti e Tradizioni dei Tifosi
Per molti tifosi, indossare la maglia del Tottenham è un rituale che fa parte del giorno della partita. Prepararsi per il match include non solo il viaggio allo stadio, ma anche il gesto di indossare la maglia come parte di una tradizione collettiva. Questa ritualità si estende anche al ruolo della maglia nei cori, negli incontri pre-partita nei pub e nelle celebrazioni post-gara. La maglia rappresenta, così, un mezzo attraverso il quale i tifosi si connettono tra loro, condividendo emozioni e speranze per la squadra.
La Maglia come Espressione di Stile e Moda
Oltre al suo valore simbolico, la maglia del Tottenham ha avuto un impatto significativo anche nel mondo della moda. Negli ultimi decenni, le maglie da calcio hanno acquisito uno status iconico anche al di fuori del contesto sportivo, diventando un elemento di stile urbano. I tifosi indossano la maglia non solo durante le partite, ma anche nella vita quotidiana, mescolando il calcio con la cultura popolare e la moda. Questo trend ha rafforzato ulteriormente il legame tra il Tottenham e i suoi sostenitori, facendo della maglia un oggetto di desiderio non solo per il suo significato sportivo, ma anche per il suo impatto estetico.
Un Mezzo di Connessione Globale
Con la globalizzazione del calcio e l’espansione del seguito internazionale del Tottenham Hotspur, la maglia è diventata un simbolo di connessione tra tifosi di tutto il mondo. Indossare la maglia degli Spurs permette ai tifosi di riconoscersi e connettersi, sia che si trovino a Londra, a New York o a Tokyo. Questo rafforza l’idea che la maglia del Tottenham rappresenta non solo una squadra, ma una comunità globale unita dalla passione per gli Spurs.
In conclusione, la maglia del Tottenham Hotspur ha un’influenza profonda sulla cultura dei tifosi, fungendo da simbolo di identità, appartenenza e orgoglio. Attraverso i suoi colori, i suoi simboli e il suo design, la maglia non solo lega i tifosi alla storia del club, ma ne rappresenta anche il cuore pulsante. La maglia, in definitiva, è molto più di un indumento sportivo: è l’espressione tangibile della passione e della lealtà che definiscono la cultura degli Spurs.
6. Innovazione e Tradizione nel Design Moderno
Il design della maglia del Tottenham Hotspur rappresenta un perfetto equilibrio tra innovazione e tradizione, mantenendo sempre vivo il legame con la storia del club mentre si adatta alle esigenze del calcio moderno. Negli ultimi anni, il Tottenham ha lavorato con alcuni dei migliori brand sportivi per sviluppare maglie che combinano tecnologia avanzata, sostenibilità e uno stile che onora le radici del club.
L'importanza della Tradizione
Nonostante le numerose innovazioni nel design e nei materiali, il Tottenham ha sempre mantenuto un forte impegno verso la tradizione. L'iconica maglia bianca, adottata per la prima volta alla fine del XIX secolo, rimane il cuore pulsante del kit. Questo colore rappresenta l’identità storica del club e viene preservato anno dopo anno per non alienare i tifosi e mantenere il legame con il passato. Anche piccoli dettagli, come il cormorano nel logo del club, sono stati mantenuti nel tempo, riflettendo il rispetto per la storia e le origini degli Spurs.
Allo stesso tempo, il club ha saputo modernizzare questo simbolo di tradizione, apportando cambiamenti nel design che rispettano la struttura classica della maglia. Dettagli come colletto e maniche vengono costantemente aggiornati per allinearsi alle tendenze contemporanee, senza però mai compromettere l'essenza originaria della maglia.
Innovazione nei Materiali e nella Tecnologia
Il calcio moderno richiede una continua evoluzione dei materiali utilizzati nelle maglie, e il Tottenham è all’avanguardia in questo campo. Le maglie attuali sono realizzate con tessuti tecnici progettati per migliorare le prestazioni degli atleti. I materiali leggeri e traspiranti, spesso derivati da tessuti riciclati, permettono ai giocatori di mantenere una temperatura corporea ideale durante il gioco, migliorando il comfort e le prestazioni in campo.
Un esempio di questo è l’uso della tecnologia Nike Dri-FIT, che consente di allontanare il sudore dal corpo, mantenendo i giocatori asciutti e freschi anche nelle situazioni di massimo sforzo fisico. Questi miglioramenti non sono solo pensati per gli atleti professionisti, ma anche per i tifosi, che possono beneficiare di una maggiore comodità quando indossano la maglia per mostrare il loro sostegno.
Sostenibilità e Innovazione Ecologica
Negli ultimi anni, il tema della sostenibilità è diventato centrale nel design delle maglie del Tottenham. Il club, in collaborazione con Nike, ha introdotto l’utilizzo di materiali riciclati per la produzione delle sue divise. Questo è un passo importante non solo dal punto di vista ambientale, ma anche per la reputazione del club come entità moderna e responsabile. Le maglie sono oggi prodotte utilizzando bottiglie di plastica riciclate, riducendo così l'impatto ambientale senza compromettere le prestazioni.
Questo approccio non solo soddisfa le esigenze di un calcio sempre più consapevole dal punto di vista ecologico, ma risponde anche alle aspettative di una nuova generazione di tifosi che sono attenti alle questioni ambientali. In questo modo, il Tottenham riesce a integrare valori di sostenibilità con il rispetto della tradizione.
Design Minimalista e Contemporaneo
Il design moderno delle maglie del Tottenham si distingue per il suo stile minimalista e pulito, che è diventato una firma negli ultimi anni. Il colore bianco dominante è spesso accompagnato da dettagli sottili, come accenti blu navy o dettagli gialli, che riflettono i colori storici del club. Questa semplicità nel design è apprezzata non solo per il suo legame con la tradizione, ma anche per la sua versatilità, rendendo la maglia un elemento di moda che può essere indossato anche al di fuori del contesto sportivo.
Le versioni delle maglie per le competizioni europee e quelle per i tornei nazionali talvolta presentano variazioni uniche, come disegni geometrici o texture sottili, che danno un tocco di modernità senza allontanarsi troppo dall’identità visiva consolidata del club.
Collaborazioni e Edizioni Speciali
Negli ultimi anni, il Tottenham ha anche sperimentato con edizioni limitate e collaborazioni speciali, che hanno dato vita a maglie uniche e molto apprezzate dai collezionisti. Questi design speciali, pur rispettando i canoni estetici del club, incorporano spesso elementi di design innovativi o rendono omaggio a momenti particolari della storia degli Spurs. Queste maglie speciali rappresentano un ponte tra passato e futuro, con uno sguardo sempre rivolto verso l’innovazione e le tendenze contemporanee.
Conclusione
La maglia del Tottenham Hotspur è un esempio di come un club possa bilanciare tradizione e innovazione, rispettando le proprie radici mentre abbraccia il futuro. Le innovazioni nei materiali, il design ecologico e la costante attenzione alla modernità nel mondo della moda sportiva fanno sì che la maglia degli Spurs rimanga un'icona nel calcio mondiale, onorando il passato mentre guida il club verso nuove vette.
0 notes
Text
Tumblr media
Ciao Métissagers e un augurio per un splendido Settembre a tutti voi!
Vi presento la copia zero di “Educare l’identità culturale - Una Guida per crescere consapevoli delle proprie culture e tradizioni”, da oggi disponibile online.
L'emozione di vedere pubblicato un libro che racchiude la propria esperienza professionale è un misto di orgoglio, sollievo e speranza. Orgoglio per aver trasformato il proprio percorso e le proprie conoscenze in qualcosa di tangibile, condivisibile con un pubblico più ampio; sollievo per aver finalmente completato un progetto che ha richiesto impegno e dedizione; e speranza, perché il desiderio è che il libro possa raggiungere ovunque ci sia interesse, bisogno o curiosità di conoscere mondi diversi. È un invito a esplorare nuove prospettive, a entrare in contatto con storie lontane dalla propria esperienza quotidiana, e a trovare modi nuovi per interagire e crescere attraverso il dialogo con l'altro.
La guida, frutto di 14 anni di intense e profonde ricerche sul tema della pluriculturalità e del mondo dell’interculturalità, rappresenta un’opera complessa e ricca di significato. È stato realizzato attraverso un'analisi meticolosa di esperienze vissute, studi teorici, interviste e raccolte di testimonianze da persone di culture diverse. Il processo di ricerca ha incluso l'osservazione sul campo, la partecipazione a progetti interculturali e la collaborazione con esperti e comunità da tutto il mondo. Questi 14 anni di lavoro hanno permesso di esplorare come le identità culturali si intrecciano e si influenzano reciprocamente in contesti sociali, educativi e professionali.
Il libro non solo documenta queste dinamiche, ma le analizza per evidenziare l'importanza dell'interculturalità nella costruzione di società più inclusive e rispettose delle diversità. La sua incidenza sulla vita di moltissime persone "Mixed" — ovvero con un background culturale misto — è stata profonda. Ha offerto a queste persone uno specchio in cui riconoscere la propria identità complessa e ha fornito strumenti per navigare le sfide quotidiane di appartenenza e riconoscimento culturale. Inoltre, ha ispirato dialoghi, riflessioni e politiche volte a valorizzare le differenze culturali come una risorsa piuttosto che come un ostacolo.
Educare l’identità culturale significa aiutare le persone a riconoscere, comprendere e valorizzare le proprie radici culturali e quelle degli altri, promuovendo una consapevolezza critica e una capacità di dialogo interculturale.
Significa fornire strumenti per esplorare e comprendere come le culture — intese come un insieme di valori, credenze, comportamenti, tradizioni, lingue e pratiche — influenzino l'identità personale e collettiva.
Significa promuovere la capacità di comunicare e interagire in modo efficace con persone di diverse culture. Questo implica sviluppare competenze di ascolto attivo, empatia, apertura mentale e la capacità di negoziare significati e valori differenti.
Significa insegnare a esaminare criticamente le proprie convinzioni e quelle della propria cultura, così come quelle degli altri, al fine di promuovere un pensiero autonomo, flessibile e aperto al cambiamento.
Significa anche promuovere l’inclusione, l’uguaglianza e la giustizia sociale, incoraggiando azioni che riducano le disparità culturali e sostengano il diritto di ogni individuo a essere rispettato nella sua unicità.
Significa includere l’insegnamento del rispetto per le altre culture, sfidando stereotipi, pregiudizi e discriminazioni. Significa imparare ad apprezzare la diversità culturale come una fonte di arricchimento e di crescita personale e sociale.
Educare l’identità culturale è un processo che mira a formare persone consapevoli delle proprie radici e aperte al mondo, capaci di interagire con empatia e rispetto, contribuendo alla costruzione di comunità più inclusive e coese. La guida rappresenta un ponte che collega le esperienze interculturali, aprendo nuove vie di comprensione, accettazione e interazione tra mondi apparentemente lontani ma profondamente interconnessi.
L’ho concepito con grande passione e rispetto della mia esperienza personale e di quella di centinaia di Mentee che in tutti questi anni mi hanno dato fiducia ed hanno creduto che un futuro migliore, da qualche parte, esiste già.
Vorrei spendere due parole sulla copertina che tanto ha sollevato interrogativi e perplessità.
L’illustrazione è opera del bravissimo artista @Nicola Grotto, che ringrazio di vero cuore per aver colto ciò che voglio trasmettere e per la pazienza nel tradurre ogni particolare (colori inclusi) nel riferimento destinato. Sono rappresentati i miei tre ragazzi, Mixed (Quadroon a dirla precisamente), nella loro espressività naturale in temi particolarmente scomodi.
Mi è stato fatto più di un appunto sulla bimba con espressione di sorpresa nella copertina. Letteralmente è stato osservato che la sua mimica è inquietante ed il fatto di averlo messo in primo piano, rende le persone poco confortevoli.
Vorrei spiegarvi che tutto ciò che faccio, dico e condivido nella mia vita ha sempre un senso ben preciso. Senso, ovviamente per me, investita di libertà d’espressione come tutti i folli, visionari e outsiders audaci. Ma quel senso cerco di condividerlo e farlo interagire con il senso degli altri, nella speranza di imparare sempre qualcosa di nuovo e di trasmettere, a mi volta, qualche cos’altro. Quindi ringrazio quanti hanno espresso la loro opinione dandomi l’opportunità di spiegare il mio punto di vista.
L’espressione di quella bimba (il cui nome è Madison), con occhi sgranati e bocca aperta di stupore e incredulità, rappresenta un mix di sensazioni ed emozioni a affermazioni razziste, discriminatorie e vessatorie: lo stupore, il disagio e il fastidio che si prova dinnanzi a situazioni plateali di pregiudizi e disparità.
La sua espressività rappresenta una reazione spontanea e genuina di shock e incomprensione di fronte a parole o comportamenti che percepisce come ingiusti, crudeli o profondamente sbagliati. Rappresenta l’innocenza e la purezza data dalla loro visione del mondo, ancora priva di preconcetti negativi. Mostra come, agli occhi di un bambino, le affermazioni razziste o discriminatorie siano estranee e prive di senso. Racconta una forte empatia e sensibilità indicando che è profondamente toccata dalle parole offensive, anche se non direttamente rivolte a lei. Questa empatia può nascere dalla comprensione istintiva che tali affermazioni feriscono altre persone. Vuole simboleggiare, infine, rifiuto innato e immediato oltre il rifiuto di concetti negativi quali odio, ostilità o intolleranza, comunicando una volontà inconscia di prendere le distanze da idee e concetti che percepisce come ingiusti o moralmente sbagliati.
Insomma, non trovo nulla di inquietante se non uno stupore può essere particolarmente potente perché mostra quanto i pregiudizi siano estranei alla mente di un bambino, sottolineando che odio e discriminazione non sono istintivi, ma appresi.
Se lo leggerete, vi chiedo di lasciare una vostra riflessione e/o commento su quanto avete compreso.
“Educare l’identità culturale - Una Guida per crescere consapevoli delle proprie culture e tradizioni” di Luisa Casagrande
Pagine: 346
Lingua: Italiano
ISBN: 979-8336328721
AMAZON STORE: https://amzn.eu/d/hcrLjoP
Wizzy!
0 notes
lamilanomagazine · 4 months
Text
Sardegna, dichiarazioni programmatiche: l'intervento della presidente Todde
Tumblr media
Sardegna, dichiarazioni programmatiche: l'intervento della presidente Todde La presidente della Regione Alessandra Todde ha reso note il 10 maggio, in Consiglio regionale, le dichiarazioni programmatiche sul programma di governo. Di seguito la traccia del suo intervento. Signor Presidente, onorevoli Consigliere e Consiglieri, poter servire come Presidente della nostra Regione Autonoma è per me un onore immenso e un compito di cui sento profondamente la responsabilità, conscia delle sfide che ci attendono ma anche delle innumerevoli possibilità che insieme possiamo realizzare. Aggiungo che essere la prima donna Presidente della Regione è un fatto storico, e lo è soprattutto perché anche qui da noi, da ora in avanti, questa potrà essere considerata una conquista di civiltà acquisita e non più come un evento eccezionale. La campagna elettorale è finita. Per quanto sia stata difficile e ruvida, ho sempre avuto chiara la distinzione del piano politico da quello personale. E sul piano politico voglio sempre e solo confrontarmi. In modo leale e costruttivo. Oggi sono la Presidente di tutto il popolo Sardo, di chi ha votato per noi e di chi ha votato per proposte alternative alla nostra, incluse quelle non rappresentate in questo consiglio. Sono la Presidente di tutti quei nostri cittadini che hanno deciso di non partecipare al voto. Per tutti, io e la Giunta che mi onoro di presiedere, ci impegniamo a lavorare ogni giorno con passione, integrità e trasparenza, mettendo sempre al primo posto il benessere e la prosperità di chi abita la Sardegna.  Per tutti intendo governare con credibilità e con l'obiettivo di costruire una fiducia sempre più forte tra i Sardi e le nostre istituzioni regionali. Ma veniamo al lavoro che ci aspetta e quindi alle dichiarazioni programmatiche. In questo momento storico difficile, quando il pensiero corre spesso alle notizie su ciò che succede in parti del mondo dove anche un valore universale come la pace viene minato da più parti, è fondamentale costruire su di noi, partendo da chi e da come siamo, e riconoscere che la forza della nostra terra risiede nella sua gente, nella sua identità, nella diversità e nella varietà delle sue culture, nella sua storia, nella ricchezza delle sue tradizioni e della sua natura. La nostra missione comune, per la quale abbiamo bisogno della collaborazione attiva delle tante persone che lavorano nella Pubblica Amministrazione e di tutte le forze che in Consiglio regionale rappresentano i territori e i cittadini che li hanno votati, è quella di valorizzare ogni angolo della nostra amata isola, promuovendo lo sviluppo sostenibile e l'innovazione, l'inclusione sociale e la tutela dell'ambiente che ci circonda. Conto molto sulla squadra che mi accompagnerà in questo viaggio. Non si tratta solo di un gruppo di professionisti ed esperti nei loro campi, ma di donne e uomini profondamente innamorati della Sardegna, determinati a spendere il loro sapere e le loro energie per il bene comune. È insieme a loro e a voi tutti che affronteremo, con visione e coraggio, le sfide presenti e future. Il nostro unico obiettivo sarà di perseguire l'interesse del popolo sardo. Questo significa creare opportunità per un lavoro dignitoso e giusto, garantire un'istruzione di qualità, promuovere e tenere vive la nostra cultura e le nostre tradizioni, proteggere la salute dei cittadini e l'integrità del nostro territorio mentre ci apriamo al mondo. Significherà anche ascoltare, essere presenti e rispondere costantemente e concretamente alle necessità di ogni comunità, quelle delle città e dei più piccoli comuni, affinché nessuno si senta lasciato indietro. Invito ciascuno di voi a partecipare attivamente a questo percorso. Solo insieme, con fiducia reciproca e unità di intenti, possiamo superare ogni ostacolo e costruire un futuro di pace e prosperità per la nostra regione. Serve una mobilitazione collettiva a partire dalle cittadine e dai cittadini, servono una responsabilità condivisa e una buona dose di ottimismo pragmatico, per fare in modo che la Sardegna possa affrontare e superare le sfide del presente e del futuro con coraggio e con una chiara visione. Serve un'azione corale per superare le disuguaglianze, le povertà, le ingiustizie e la trascuratezza, per tutelare la salute, per promuovere un nuovo sviluppo innovativo e sostenibile e creare opportunità lavorative dignitose. La costruzione della casa del nostro domani non può essere rimandata oltre: il momento di agire è ora. È adesso che dobbiamo dare gambe ai propositi in base ai quali le elettrici e gli elettori ci hanno accordato la loro fiducia e assegnato l'incarico che siamo chiamati a svolgere. È un percorso ambizioso, basato su dieci assi programmatici, che delinea azioni chiave in vari ambiti essenziali per il rilancio della Sardegna. Tra questi, voglio citare la rinascita dei servizi pubblici con particolare attenzione alla sanità ed ai suoi livelli essenziali, la promozione del "buon lavoro", lo sviluppo di un modello economico adatto e non subito dall'isola, il diritto ad una mobilità interna ed esterna che superi la nostra insularità e ad un'istruzione di qualità, l'investimento in autodeterminazione e la necessità di una rappresentanza adeguata a livello europeo e globale. La nostra visione enfatizza anche l'importanza di governare le transizioni tecnologiche come volano di crescita, amplificazione del nostro modello di sviluppo e semplificazione burocratica, contrastando la povertà e le disuguaglianze e promuovendo una crescita che tenga conto dell'ambiente, dell'istruzione e dei servizi essenziali. Vogliamo realizzare una transizione energetica che sia utile prima di tutto alla Sardegna e ai sardi, che mira al mantenimento dell'acqua come bene pubblico e ponga al centro paesaggio e ambiente, valori primari e beni non negoziabili. Non tollereremo speculazioni. Vogliamo investire sulla nostra identità culturale e linguistica. L'autodeterminazione, lo abbiamo detto, cammina sulle spalle di un popolo istruito. Un popolo consapevole di sé. Nonostante i temi siano tanti, la visione è unica ed è quella di una Sardegna pacifica, sana, libera, solidale, inclusiva, europeista e sostenibile, dove la qualità della vita si basi su servizi efficienti grazie a un'amministrazione agile e capace di rispondere alle esigenze dei cittadini. Puntiamo a un'isola connessa, tecnologicamente avanzata e dotata di un tessuto imprenditoriale innovativo e competitivo. La Sardegna che vogliamo costruire è un luogo dove ciascun individuo dotato di istruzione, coraggio, creatività e spirito collaborativo, contribuisca attivamente alla vita politica, economica e sociale dell'isola e trovi compimento in una vita sana, piena e prospera, ed è per questo che stiamo lavorando e lavoreremo per fare in modo che la qualità della vita sia al centro delle politiche pubbliche, che l'efficienza dei servizi e un'amministrazione snella siano a servizio dei cittadini, che l'economia cresca in armonia con l'ambiente e che ogni persona possa trovare un lavoro che non solo sostenga, ma che accompagni e arricchisca la vita. Vogliamo ricreare il patto generazionale tra i nostri giovani, che devono avere da noi gli strumenti per creare in Sardegna il loro presente ed il prossimo futuro e i nostri anziani che sono i custodi dei valori e della conoscenza delle nostre comunità. E ora vediamo più nel dettaglio gli assi programmatici. Salute Proponiamo un modello per il Sistema Sanitario Sardo, basato sull'articolo 32 della Costituzione Italiana, che mira a rafforzare l'assistenza sanitaria pubblica, attualmente indebolita. Dobbiamo intervenire urgentemente, data la criticità della situazione in Sardegna, schiacciata da carenze di personale, distribuzione ineguale delle risorse e infrastrutture inadeguate.  La nostra priorità è quindi ristrutturare il sistema sanitario regionale sardo, ponendo la presa in carico della salute dei cittadini ed il loro percorso sanitario al centro. Vogliamo ottenere questo obiettivo riorganizzando le ASL e le Aziende Ospedaliere, con l'ottimizzazione delle risorse, l'avanzamento nell'informatizzazione e nella digitalizzazione dei servizi, inclusa la telemedicina. Fondamentale è il rafforzamento dell'integrazione ospedale-territorio, migliorando l'accesso alle cure e costruendo una sanità più vicina alle comunità attraverso la creazione di Reti di Assistenza di Prossimità, valorizzando l'approccio "One health" e incentivando la collaborazione tra i vari settori per una sanità integrata e inclusiva. Nella prospettiva di ricostruire la sanità territoriale sono fondamentali i Distretti sociosanitari ed è necessario lo sviluppo di strutture di prossimità come le Case della Comunità, il potenziamento delle cure domiciliari e l'uso della Telemedicina. Vogliamo integrare l'assistenza sanitaria, sociosanitaria e sociale, utilizzando tecnologie digitali per un'assistenza efficiente e al passo coi tempi, per coordinare le cure e migliorare l'accesso ai servizi. Il Fascicolo Sanitario Elettronico deve essere strumento cardine del processo di presa in carico del cittadino. Dobbiamo quindi dare priorità al suo aggiornamento e alla sua disponibilità in tutta la rete sanitaria. Dobbiamo rafforzare la centrale operativa territoriale per la presa in carico dei pazienti ed intervenire per l'abbattimento delle liste d'attesa attraverso l'incremento delle risorse dedicate e una diversa organizzazione del sistema di prenotazione e della disponibilità di specialisti sul territorio. Dobbiamo predisporre un piano straordinario per la salute mentale, attraverso il ricorso a Centri qualificati ed una assistenza capillare e coordinata con i comuni. È necessario intervenire sull'ottimizzazione della sanità ospedaliera sarda, che richiede la modernizzazione delle strutture per rispettare i Livelli Essenziali di Assistenza e portare al miglioramento dell'efficienza dei trattamenti. Si propone la riqualificazione ospedaliera, riclassificando gli ospedali per intensità di cura e rafforzando ed integrando i pronto soccorso e i servizi di emergenza. Fondamentale è l'integrazione tra ospedali di alta specializzazione e territoriali, promuovendo la multidisciplinarietà, la creazione di reti e di poli sanitari. È importante rendere attuale il piano regionale di prevenzione definendo con maggiore dettaglio obiettivi che possano rendere efficaci i percorsi di prevenzione in tutto il territorio. Per valorizzare il personale sanitario in Sardegna, è importante migliorare le condizioni di lavoro e incentivare il personale. Serve inoltre implementare la formazione continua, l'adeguamento dell'organico e la valorizzazione delle risorse umane. Serve un approccio moderno che incentivi la collaborazione, migliori le condizioni di lavoro e promuova la partecipazione decisionale. Si sottolinea l'importanza di integrare formazione e sviluppo professionale con incentivi economici e di carriera, oltre a garantire il benessere del personale attraverso politiche di equilibrio lavoro-vita e programmi di salute. È importante integrare l'assistenza sociale e sanitaria in Sardegna, riconoscendo la salute come un bisogno complesso che include aspetti sociali e culturali e ponendo in atto strategie per rispondere alle esigenze delle popolazioni più vulnerabili e affrontare problematiche sociali che influenzano la salute. Per questo vogliamo puntare sull'implementazione di percorsi di riabilitazione integrati, programmi di promozione della salute, e il potenziamento dei servizi sociosanitari. Vogliamo valorizzare il ruolo del privato sociale e la necessità di supportare la rete farmaceutica territoriale per migliorare l'accesso ai servizi, con un forte accento sulla collaborazione e l'innovazione. Vogliamo una sanità a misura di bambini e quindi investire in un ospedale pediatrico di eccellenza e cure pediatriche accessibili sul territorio. Politiche Sociali L'innovazione delle politiche sociali in Sardegna non è più rimandabile. E' necessario adeguarle ai tempi che cambiano e non abbandonare a sé stesso chi ha più bisogno. Per realizzare questo obiettivo dobbiamo coinvolgere attivamente le istituzioni politiche, e amministrative in tutti i territori, promuovendo la collaborazione e l'uso innovativo di strumenti di partecipazione e comunicazione, per affrontare le sfide sociali con impegno e coesione. Dobbiamo investire nella sicurezza sociale e nella protezione economica degli strati più fragili della nostra popolazione. Essere poveri non è una colpa, ma una condizione da cui ci si può emancipare con un supporto attivo da parte della regione. Per ridurre il divario socioeconomico in Sardegna, amplificato da pandemie e crisi globali, occorrono politiche integrate per combattere la povertà e serve valorizzare l'educazione come leva di cambiamento intergenerazionale. Bisogna dare priorità a sostegni economici diretti all'alfabetizzazione, alla lotta all'emarginazione, alle misure di inclusione sociale per contrastare la marginalizzazione e promuovere l'accesso universale a servizi essenziali, puntando su un approccio olistico che coinvolga il terzo settore e le comunità locali per un tessuto sociale più forte e coeso. Per promuovere la salute e il benessere sociale nella nostra isola, dobbiamo focalizzarci su prevenzione e integrazione dei servizi per anziani, giovani e vittime di violenza. Priorità va data all'autonomia degli anziani e al welfare comunitario, con azioni di prevenzione fin dalla giovane età e con attenzione all'individuazione di soluzioni che integrino, invece di isolare, chi ha bisogno. Le politiche da perseguire includono il rafforzamento del supporto domiciliare, lo sviluppo di cohousing e la formazione di assistenti familiari, insieme a servizi di prevenzione e promozione di stili di vita sani per tutte le età, attraverso un coordinamento interistituzionale e comunitario. Contribuiremo alla costruzione del benessere con l'istituzione dei servizi psicologici di base (primo livello), distribuiti sul territorio. Vogliamo lavorare per tessere inclusione e benessere, collegando diritti di cittadinanza, famiglia, sport e prevenzione della violenza. Istituiremo un fondo per le spese essenziali di famiglie vulnerabili, promuoveremo la partecipazione attiva attraverso consulte cittadine e sosterremo il terzo settore e il volontariato. Vanno poste in primo piano l'educazione giovanile alla rappresentanza sociale e l'importanza dello sport come veicolo di valori positivi e inclusione, prevedendo la creazione di strutture coordinate per una gestione integrata delle politiche giovanili, sportive e di benessere familiare. Sosterremo queste azioni fornendo all'agenzia educativa per eccellenza, la scuola, la figura dello psicologo scolastico in modalità continuativa. Dobbiamo garantire alloggi dignitosi e accessibili, affrontando l'insicurezza abitativa e promuovendo l'inclusione sociale. L'edilizia sociale è importante per fornire soluzioni abitative a prezzi accessibili. Servono azioni concrete per migliorare la gestione del patrimonio edilizio, per promuovere la sostenibilità ambientale e rivitalizzare i piccoli centri. È necessario un monitoraggio efficace e servono interventi per la sostenibilità e per l'aiuto alle famiglie nei piccoli centri, così come per invertire fenomeni di spopolamento e denatalità, creando un ambiente favorevole e garantendo i servizi necessari alla vita familiare e al benessere delle comunità. Per contrastare l'aumento delle disuguaglianze, servono sostenibilità, innovazione e cooperazione per una società inclusiva. Servono azioni per combattere la povertà, promuovere l'istruzione, garantire pari opportunità, e sostenere l'integrazione e la partecipazione attiva. Serve un organismo pubblico a tutela delle pari opportunità, dell'educazione alla diversità, è necessario sostenere i Centri Anti Violenza e applicare un approccio sistemico all'integrazione sociale, mirando a una Sardegna equa e solidale. Lavoro Il lavoro è un valore fondante e un aspetto fondamentale per la qualità della vita. L'economia sarda è fragile, dipendente dall'intervento pubblico e troppo legata all'economia nazionale, ha un basso PIL pro capite, una struttura produttiva debole e una demografia in calo. È essenziale rafforzare l'economia locale, sfruttando opportunità come il PNRR, con politiche orientate a piena occupazione, sostenibilità, inclusione e qualità del lavoro, coinvolgendo tutti gli attori nel "Patto per il buon lavoro". Il mercato sardo del lavoro mostra un alto livello di precarietà e una massiccia emigrazione giovanile, aggravata dall'invecchiamento demografico. La strategia proposta punta a invertire l'emigrazione e attrarre talenti, valorizzando l'alta formazione e l'inserimento lavorativo con un focus su innovazione e smart working. Vanno coordinati gli sforzi per integrare politiche attive, formazione, e servizi per l'impiego. È cruciale adattare il mercato del lavoro alle dinamiche globali, promuovendo l'occupabilità e l'integrazione dei migranti, con un occhio attento alla qualità e alla dignità del lavoro. Dobbiamo lavorare fianco a fianco con la nostra classe imprenditoriale per costruire e sviluppare con loro le competenze necessarie per una crescita competitiva delle nostre realtà produttive e poter creare dei percorsi sempre più robusti tra istruzione, formazione e opportunità di lavoro che consentano ai nostri giovani di potersi realizzare nella loro terra. La formazione professionale è cruciale per l'occupazione e lo sviluppo in Sardegna ed è trasversale a tutti gli assi programmatici. Si propone una legge organica per riformare il sistema formativo, includendo l'accreditamento delle agenzie e la collaborazione tra formazione e istruzione. L'istituzione di un Osservatorio della formazione professionale mira a sincronizzare l'offerta formativa con le esigenze di mercato. Serve migliorare le competenze digitali, certificare le qualifiche e supportare piccole imprese e individui fragili nella formazione, contribuendo così alla capacità di adattamento del sistema economico e all'innovazione. Il lavoro in Sardegna va tutelato e reso sicuro per tutti. Si prevede l'applicazione del Testo Unico sulla Salute e Sicurezza, con enfasi sulla formazione, vigilanza, e collaborazione tra enti. Bisogna combattere il lavoro sommerso, promuovere la partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale, e valorizzare il workers buyout. Si intende anche sensibilizzare sui diritti lavorativi, migliorando l'informazione, la formazione e il supporto ai lavoratori per una maggiore consapevolezza e protezione. Queste misure puntano a garantire un lavoro dignitoso, salubre e produttivo, contribuendo al benessere e alla competitività economica della regione. Lavoreremo per promuovere un ambiente di lavoro sicuro e di qualità in Sardegna, sottolineando l'importanza di salute, sicurezza, e giustizia lavorativa. Sosterremo in ogni modo il lavoro dignitoso, incentivando le imprese a rispettare norme sulla sicurezza e contratti lavorativi per poter accedere ai contributi pubblici. Si punta anche all'integrazione dei lavoratori fragili. Questo approccio mira a garantire un lavoro di qualità, equo e inclusivo, contribuendo al benessere dei lavoratori e allo sviluppo sostenibile della regione. La diversità deve essere vista come risorsa e va garantito un lavoro dignitoso, sicuro, e ben retribuito. Le azioni mirano a promuovere l'uguaglianza di opportunità, contrastare la discriminazione, e supportare la conciliazione vita-lavoro. Vogliamo combattere la precarietà tramite politiche attive che assicurino condizioni lavorative eque e accesso a diritti e tutele. La formazione professionale e il sostegno all'autoimpiego (cultura d'impresa) sono strategie chiave per creare opportunità lavorative e stimolare l'autonomia economica. Conoscenza e Cultura Per generare speranza serve un approccio alla cultura diverso da quello utilizzato finora. È... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
0 notes