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Tra sistole e diastole risiede il mio dolore di Maria Teresa Liuzzo. Recensione di Alessandria today
Una sinfonia poetica di dolore e resistenza.
Una sinfonia poetica di dolore e resistenza. La poesia Tra sistole e diastole risiede il mio dolore di Maria Teresa Liuzzo si presenta come un viaggio lirico tra la sofferenza, l’amore e la resilienza. Attraverso immagini forti e simbolismi intensi, l’autrice esplora le profondità dell’animo umano, oscillando tra vita e morte, tra la fragilità e la forza interiore. Analisi del testo.La poesia…
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DETOX-PULIZIA-LASCIARE ANDARE
Appunti per una pulizia di corpo-mente-energie secondo la Medicina Energetica Spirituale (MES)
Affrontare un processo di pulizia o "Detox", non è da sottovalutare, nel nostro mondo immaginario, abbiamo una visione molto romantica di cosa possa essere un processo di pulizia, e questo poi fa si che quando iniziamo un detox serio, finiremo per boicottarlo perchè quando arriviamo a scoprire di che cosa si tratta veramente, andiamo in crisi e non sappiamo come fare per portare avanti un qualcosa di profondo che nella nostra immaginazione è invece visto come un qualcosa che come una magia deve risolvere tutti inostri problemi.
Partiamo con il dire che il detox è si una pulizia, sì, certamente, e come ogni pulizia che si rispetti, ha delle sue regole, una sua struttura, una certa tempistica e ancora più importante, richiede un certo tipo di atteggiamento.
Quando ad esempio facciamo le pulizie di casa, dobbiamo togliere la polvere, lavare lo sporco che c'è in giro, fare ordine, buttare le cose che non servono più, riparare ciò che si può riparare e mettere in ordine la confusione che si è creata.
La stessa cosa vale per noi, siamo come una casa disordinata, sporca ed impolverata, a causa di tutta una serie di errori che abbiamo fatto negli anni, sia alimentari che ti stile di vita ecc, e quando andiamo ad approcciarci ad un processo profondo di pulizia, andiamo fare proprio quello che si farebbe per pulire casa, solo che il nostro corpo, essendo un organismo vivo, avrà una sua risposta, perchè pulire significa andare a lavorare su almeno tre livelli: quello fisico, quello emozionale e quello energetico.
Non solo esistono tossine fisiche, ma esistono anche tossine emozionali e blocchi energetici e con la pulizia attraverso un certo tipo di alimentazione andiamo a lavorare su tutti e tre i livelli.
Quando s'inizia a lavare e pulire la nostra dimora corpo-mente-energie, ovviamente s'innescheranno tutta una serie di resistenze ai nuovi input che stiamo dando al nostro sistema per i quali non si vorrebbe cambiare ma continuare a fare le cose che facciamo senza però stare male o sentirci appesantiti, pulire dunque implica il trovare un nuovo equilibrio, cambiare abitudini e stile di vita, un vero e proprio allenamento a ritrovare se stessi e ritrovare un modo di funzionare più naturale.
Per poter arrivare ad nuovo equilibrio è necessario entrare nell'ottica di lasciare andare appunto abitudini vecchie che non è detto siano salutari per noi, solo perchè una cosa è diventata una zona di confort non vuol dire che sia in linea con la nostra costituzione e noi siamo pieni di abitudini/zone di confort sbagliate per il nostro funzionamento.
Quello del lasciare andare è il passaggio più difficile perchè va a toccare anche la sfera emozionale, quindi il lasciare andare tutta una serie di attaccamenti a situazioni, pensieri negativi, modi di vedere le cose, modi di rispondere alla realtà che non sono sani e allineati a ciò che siamo.
Quindi un Detox non è :"Mangio più leggero per qualche giorno"
si tratta di un processo e lavoro profondo su se stessi e di conoscenza di se stessi, che se fatto correttamente scardina tutti quei percorsi rigidi mentali, emozionali e fisici che abbiamo creato in anni di imposizioni, credenze e fissazioni, che poi sono proprio questi che hanno portato alla condizione della quale ci lamentiamo.
Molto spesso non riusciamo ad entrare nell'atteggiamento giusto di lasciare andare ciò che non ci serve più, e preferiamo dunque le nostre zone di confort e abitudini alla nostra salute, questo conflitto interno sotterraneo che va riconosciuto se si vuole raggiungere un buon risultato con il detox, accade quando non abbiamo ancora chiaro cosa vogliamo per noi stessi, per la nostra vita e per la nostra salute.
Roberto Potocniak & Eleonora Benzi
Questa e altre tematiche vengono affrontate nella nostra Accademia, se volete saperne di più qui sotto c'è il link della pagina di presentazione della nostra Accademia di Medicina Energetica Spirituale (MES)
https://accademiames.mykajabi.com/informazioni-accademia
oppure potete richiedere info al seguente indirizzo: [email protected]
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AARGHH! https://www.youtube.com/watch?v=JRfuAukYTKg
LA REALTÀ È UN "CONTORNO" CHE AL GATTO PIACE? La realtà è un "contorno" che al gatto piace? Il gatto non vive una dimensione "altra" rispetto alla nostra. Il gatto è un giorno di sole quando era prevista la pioggia. Il gatto è scoperta. Il gatto è lontano da tutta la grammatica che serve per scrivere.
Il gatto non necessita di essere portato fuori per i suoi bisogni: e i gatti di colonia sono già autosufficienti. Quindi questo impegna solo relativamente? Se chiedo al mio cuore cosa faccia per amore, non penso che mi dica che si limiti al "minimo accettabile sindacale prescrivibile". Il gatto - che non è una medicina, ma mistero regalato all'umanità - fa della tolleranza il suo principio e della libertà la sua "mission" (missione mi piace di più: usare la nostra lingua è bello a prescindere).
La realtà (per dirla tutta) è fatta anche di gatti che si allontanano, di gatti che non possono più stare con il compagno umano, di gatti incidentati per i quali si fa di tutto per ristabilire l'equilibrio di ferite del corpo e dell'anima felina (sul fatto che il gatto abbia un'anima, il rischio è di offendere qualcuno… ma è solo un mio soggettivo pensiero).
Ultimamente amplificano se stesse, e si fanno sempre più strada, le parole come: "empatia; inclusione; resilienza e tolleranza", che solletica - ancor più - il concetto dell' "accoglienza", in senso sia lato sia stretto.
Vuoi un essere speciale? Lo pensi incapace di far del male? Credi nei rapporti simbiotici? Credi che la natura che ama sappia anche lasciarti i tuoi spazi? Pensi che sia un sogno? Che abbia parlato di un essere immaginario? Che la bontà esista solo in una concezione di santità legata a pochissimi? Beh, sì… io non sono un santo. Ma, se esiste un concetto profondo d'etica, che suggerisce alla natura uomo di non insuperbirsi, quest'ultima cosa fa uscire dal cappello delle cose straordinariamente belle? Eh sì, proprio loro… i gatti. E i gatti hanno subito scelto la via dell'amore verso l'uomo. È bello l'impegno umano che - vedendo i gatti - resta estasiato di fronte a questo capolavoro di bellezza e di amore naturale. Un mondo senza gatti è pensabile?
Vi provoco… allora si può pensare che il mondo possa vivere senza che ci sia l'amore?! Il gatto non ha solo migliorato la mia natura imperfetta; il gatto, i gatti mi fanno dire che c'è una natura che ci osserva e verso la quale il senso di responsabilità dev'essere alto, altissimo… infinito. Vedere l'acqua nel deserto rimanda al senso della vita, là dove pare che non possa esistere. Il gatto è l'acqua sempre, ovunque, comunque. Il gatto è l'oceano che separa i "continenti delle contraddizioni".
Essere razionali per spiegare… che essere gatto per amare - disinteressatamente - vuol dire, innanzitutto, che il bene - di per sé - non abbisogna mai di giustificarsi. C'è, e si chiama felino, e si chiama gatto, e si dice amico dell'uomo… e si vede che ci ama senza che nessuno lo obblighi a farlo! E questo resta il mistero che mai svelerò. Se il gatto mi dicesse i suoi segreti, io fermerei all'istante il mio pensiero e la mia penna, che vorrebbe tentare di tradurre il mistero.
Tradurre l'Amore gatto equivarrebbe a svelare il segreto intimo che genera la Vita, ogni Vita nella sua capacità di sapersi donare, senza chiedere nulla in cambio, al di là di ciò che sostiene e alimenta la Vita: (l'amore; il cibo; il gioco; lo scambio). Si cerchi di non tradire mai la natura del gatto, perché, così incredibilmente perfetta, buona e mansueta, in un candore che non adduce spiegazioni razionali… c'è: nell'essenza della bellezza della Vita quand'è - insieme - gioia, grandezza e mistero.
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CICLO DELL'ECUMENE di Ursula K. LeGuin
Il Ciclo dell'Ecumene o Ciclo hainita (Hainish Cycle)di Ursula K. Le Guin è composto da un insieme di romanzi e racconti ambientati in un medesimo universo immaginario futuro.
In questo scenario, la specie umana si è diffusa in decine di pianeti e tenta di organizzarsi in una società su scala galattica.
L'origine di tutta l'umanità non è la Terra, ma il pianeta Hain (chiamato anche Il Primo Pianeta, il Vecchio Mondo o Davenant, che dista circa 140 anni luce dalla Terra) dal quale in epoche remote è partita l'esplorazione spaziale e la colonizzazione di molti pianeti, compresa la Terra. In seguito queste colonie, forse a causa dell'assenza di adeguate tecnologie di comunicazione, non solo hanno perso i contatti, ma anche la conoscenza della reciproca esistenza. Centinaia di millenni più tardi, l'Ecumene rappresenta il tentativo di ricostituire l'unità della civilizzazione umana nella galassia, dopo che un primo tenttaivo di unione denominato Lega di Tutti i Mondi era fallito anche a causa di un invasione aliena.
I rapporti tra i pianeti sono mantenuti grazie ad una tecnologia, l'ansible, che consente la comunicazione istantanea anche a distanza di molti anni luce. Mentre i viaggi interstellari avvengono solo a velocità non superiore alla velocità della luce (NAFAL, Nearly As Fast As Light), con l'inevitabile conseguenza della dilatazione del tempo per i viaggiatori, mentre navi robotizzate possono raggiungere una velocità superluminale.
Gli hainiti, avevano conoscenze genetiche che hanno usato per alteare geneticamente se stessi e anche gli abitanti delle colonie che avevano fondato, perciò ogni pianeta ha in realtà una popolazione con caratteristiche molto diverse dalle altre, nonostante le loro origini comuni, anche grazie all'evoluzione naturale che si è aggiunta alle modifiche genetiche.
Ad esempio gli hainiti hanno acquisito la capacità di controllare coscientemente la propria fertilità, altri popoli sono in grado di sognare da svegli, oppure sono ermafroditi ecc.
E l'autrice utilizza i popoli di questi pianeti per raccontarci cosa potrebbe creare l'evoluzione umana spinta da fattori ambientali così diversi e da input culturali così diversi. Questa serie è come un piccolo studio antropologico della natura umana, portato all'estremo in alcuni casi.
La lettura di questo ciclo potrebbe risultare ostica soprattutto perchè l'ordine di pubblicazione dei libri e l'ordine delle storie che narrano non coincide. Ma bisogna dire che praticamente tutti sono leggibilissimi come romanzi autococlusivi poichè ognuno ha una sua trama con un suo inizio, svolgimento e fine, e benchè siano ambientati nello stesso universo non sono strettamente collegati.
Ma vi presento comunque qui sotto l'ordine cronologico in cui andrebbero letti i 7 romanzi della serie:
Pre-ere: Periodo non trattato in alcun romanzo ma solo citato, sono i due milioni di anni, durante i quali gli hainiti hanno esplorato lo spazio, colonizzando decine di pianeti nel Braccio di Orione, tra cui la Terrra, creando una rete di mondi che si è poi dissolta.
Prima Fase: la Lega di Tutti i Mondi quanto l'ansible non esistono ancora, anche se sembrano sul punto di diventare realtà o sono appena nati (Il mondo della foresta).
I reietti dell'altro pianeta (pubblicato anche col titolo Quelli di Anarres) (1974)
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Trama: Due pianeti gemelli, Urras e Anarres, illuminati da uno stesso sole ma divisi da una barriera ideologica antica di secoli. Urras è fittamente popolato, tecnologicamente avanzato, ricco, florido, retto da un'economia liberista. Da qui sono partiti nella notte dei tempi i seguaci di Odo che hanno colonizzato l'arido Anarres, fondandovi una comunità anarchico-collettivista che non conosce concetti come proprietà, governo, autorità. In questa società apparentemente perfetta nasce Shevek, genio della fisica alle prese con un'innovativa teoria del tempo, un vero "cittadino del cosmo" che dedicherà la vita ad abbattere il muro che separa da sempre i pianeti gemelli.
2. Il mondo della foresta (1976)
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Trama: Sul pianeta Athshe, la vita è interamente condizionata dalle enormi, fittissime foreste che ricoprono quasi tutta la superficie. Qui vivono gli Athshiani, il popolo dei sognatori, e qui sono scesi gli uomini a impadronirsi del legname ormai prezioso in questo lontano futuro. Athshe è diventato una colonia della Terra, dove agli indigeni è riservato il lavoro fisico più pesante e dove uomini come il capitano Davidson e l’antropologo Ljubov si scontrano in nome di opposte ideologie. Fino al giorno in cui fra le foreste di Athshe non si leverà un dio, Selver, il sognatore capace di fondere per il suo popolo il mondo del sogno con quello della realtà. E allora gli uomini dovranno guardarsi dai loro schiavi.
Seconda Fase: La lega di Tutti i Mondi esiste già, ma non L'Ecumene, e nel terzo libro di questa fase la Lega è in crisi e risulta frammentata a causa di una razza aliena nemica gli Shing, che vengono da un mondo oltre la Lega
3. Il mondo di Rocannon (1966)
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Trama: In un mondo ai confini della Galassia, tre razze native - gli Odemiar, abitanti delle caverne, gli elfici Fiia e i Liuar, guerrieri divisi in clan vengono improvvisamente aggredite e conquistate da una flotta di astronavi provenienti dalle stelle. Lo scienziato terrestre Rocannon, che si trova in quel mondo, assiste impotente allo sterminio dei suoi amici e alla distruzione della sua astronave. Abbandonato tra popoli alieni, Rocannon guida allora la battaglia per la liberazione, scoprendo che, in breve tempo, la sua figura assume contorni leggendari e che qualcuno lo considera addirittura un dio...
4. Pianeta dell'esilio (1966)
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Trama: Su Werel, terzo pianeta del sistema di Gamma Draconis, le stagioni durano decine d'anni terrestri, e ora l'Autunno sta per finire. L'Inverno sarà una sorpresa per le generazioni più giovani, che non l'hanno mai conosciuto, e una dura prova per tutti. Ma le ostilità del clima non sono le sole contro cui gli abitanti devono combattere: ci sono anche i barbari Gaal e i mostruosi diavoli della neve. La contesa contro la natura avversa e i nemici esterni unisce le due razze umanoidi di Werel: i Nati Lontano, ultimi superstiti della colonia hainita che vivono nella città costiera di Landin, ormai isolati da oltre seicento anni dalla madrepatria, e i nomadi nativi del pianeta. È così che Jakob Agat Alterra, discendente degli "alieni" hainiti, conosce la giovane Rolery, figlia di un capo Clan nativo, e se ne innamora. Ma non sarà facile stabilire un'alleanza fra due razze che sembrano destinate all'eterna incomprensione ...
5. Città delle illusioni (1967)
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Trama: Il progresso tecnologico dell'umanità non è andato di pari passo con quello della conoscenza. Questa penuria di saggezza ha reso gli uomini miseri nella loro vulnerabilità, facilmente in balìa di esseri superiori, come gli inquietanti Shing. La Terra appare una sconfinata e arida distesa attraversata da verdi foreste, dove gli umani sopravvivono in gruppi isolati. A infrangere la placida esistenza di una piccola comunità, arriva un forestiero dalla carnagione ambrata e dagli occhi felini e privi di iride, senza ricordi né identità. Un messaggero del nemico? Un mutaforma? Un vagabondo che giunge da molto lontano? Toccherà allo stesso sconosciuto trovare le risposte che lo riguardano, nel corso di un lungo viaggio alla ricerca della memoria perduta, che lo porterà fra popolazioni guerriere, fino alla città mitica di EsToch, a ridosso del futuro.
Terza fase: i pianeti della vecchia Lega di Tutti i Mondi si sono riuniti nell'Ecumene e ora su Hain coesistono piccole società autonome, i pueblos, organizzati secondo forme sociali arcaiche, fortemente ritualizzate, e una rete di città ad alta tecnologia e bassa densità, come Kathhad e Darranda, che ospitano i "templi", i centri di informazione degli "storici", e le Scuole Ecumeniche, in cui vengono istruiti studenti provenienti da molti mondi, per diventare osservatori e inviati diplomatici dell'Ecumene.
6. La mano sinistra del buio (1969)
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Trama: Sul pianeta Inverno, coperto di ghiacci perenni e dominato da una struttura semi-feudale, l'Ecumene ha inviato un emissario, Genly Ai, incaricato di convincere gli indigeni a unirsi alla Lega. Non sarà facile per lui entrare in contatto con gli abitanti di quel mondo alieno, ancora ignoto, che trascorrono i cinque sesti della loro esistenza in uno stato ermafrodito neutro, per poi essere maschi o femmine solo nei giorni del kemmer. Per riuscire nel suo intento, l'Inviato dovrà superare differenze biologiche, culturali, psicologiche, sociali e comprendere articolate organizzazioni politiche, oltre che affrontare condizioni estreme in un attraversamento del grande Nord.
7. La salvezza di Aka (2000)
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Trama: Sutty, un'osservatrice dell'Ecumene interstellare, è stata assegnata ad Aka, un mondo dominato da un governo azienda che ha come unico fine la produzione e lo sviluppo economico. A questo scopo la monolitica Corporazione di Aka ha bandito tutti i vecchi costumi, cancellando quasi completamente la lingua scritta e le tradizioni. Per Sutty, specializzata in storia e linguistica, si tratta di un incarico senza sbocchi: come può studiare un mondo dove la popolazione sembra non avere ricordo del proprio passato? Del tutto inaspettatamente, però, Sutty riceve il permesso di lasciare la moderna città dove tutti i suoi movimenti sono strettamente controllati e risalire il fiume per cercare gli ultimi residui della cultura originaria di Aka.
Per quanto riguarda i racconti ambientati nell'universo ecumenico questi sono ancora più separati e a sè stanti che non i romanzi, tanto che l'autrice stessa non li ha mai raccolti in antologie specifiche, ma solo in antologie che contengono anche racconti facenti parte altre serie. Un'antologia che raccoglie anche tre racconti ecumenici che reputo interessanti è Fisherman of the Inland Sea del 1994, purtroppo inedita in italiano. I tre racconti sono The Shobies' Story, Dancing to Ganam e Another Story or A Fisherman of the Inland Sea e raccontano dei primi esperimenti dell'uomo con i viaggi interstellari a velocità maggiore di quella della luce.
Altri due racconti famosi sono The Day Before the Revolution che è un prequel al romanzo I reietti dell'altro pianeta, e Dowry of the Angyar (intitolato anche Semley's Necklace) prequel al romanzo Il mondo di Rocannon, che a volte sono stati inseriti come antefatti proprio in alcune edizioni dei due romanzi, o possono essere recuperati nell'antologia I dodici punti cardinali.
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A mio parere del tutto soggettivo i romanzi più belli della serie sono i tre centrali: Il mondo di Rocannon, Pianeta dell'esilio e Città delle Illusioni, che poi sono anche i primi ad essere stati scritti dall'autrice.Ma è un'opinione puramente soggettiva che si basa sul mio gusto personale in fatto di libri.
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Storia Di Musica #276 - AA.VV., Pretty In Pink (o.s.t.), 1986
John Hughes non suona famosissimo oggi, ma per 15 anni, dal 1980 al 1995 è stato una sorta di gallina dalle uova d’oro per un genere cinematografico, i film per i ragazzi, collezionando successi che ancora oggi ricordiamo: basta dire che è lo sceneggiatore di Mamma Ho Perso L’Aereo e Beethoven. Ma prima ancora fu anche regista, a metà degli anni ‘80, di una serie di film sugli adolescenti che hanno segnato un certo tipo di immaginario, come Una Pazza Giornata Di Vacanza del 1986 (che la Biblioteca del Congresso USA ha deciso di inserire nella lista dei film da preservare per i valore artistico, culturale o estetico del lavoro) e una serie di film con protagonista una giovane attrice, Molly Ringwald, che con i suoi capelli rossi e il broncio naturale fece innamorare una generazione intera di ragazzi. Tra i film, Sixteen Candles - Un compleanno da ricordare del 1984, The Breakfast Club del 1985 (un culto, anch’esso nel Registro di conservazione della Biblioteca del Congresso) e il film di oggi, Pretty In Pink (in italiano Bella in Rosa) del 1986. La trama è semplice:, Andie Walsh (la Ringwald) è una studentessa che lavora part-time in un negozio di dischi, gira su una macchina rosa e vive con il padre disoccupato non ancora ripresosi dall'abbandono della moglie. Grazie a una borsa di studio, ha l'occasione di frequentare una facoltosa scuola frequentata da ricchi e snob figli di papà: sentendosi inadeguata all’ambiente e per l’astio degli altri studenti viene presa in giro dai suoi compagni ed è costretta a cucirsi gli abiti per apparire sempre diversa. L'amico d'infanzia Duckie (Jon Cryer, con lei anche in The Breakfast Club) è da sempre innamorato di lei e la corteggia, ma Andie si innamora di Blane (Andrew McCarthy) , ragazzo di buona famiglia che la ricambia, invitandola al ballo scolastico, tirandosi però indietro dopo le pressioni di amici e genitori, che per lui sognano un futuro promettente al fianco di una ragazza di ben altro ceto sociale. Nonostante il rifiuto di Blane, Andie non si scoraggia e, confezionato un bellissimo abito rosa, chiede all'amico Duckie di accompagnarla al ballo, dove Blane, senza tenere in conto dei pareri contrari di coloro che lo circondano, dichiara il suo amore ad Andie. Duckie rendendosi conto di fare la cosa giusta si mette da parte, permettendo l'amore tra Andie e Blane. Il film fu un successo al botteghino, decuplicando i costi di produzione, e tra i meriti c’era anche una favolosa colonna sonora, che racchiude il meglio della new wave del tempo, con canzoni quasi tutte scritte appositamente per il film. Tra l’altro, Pretty In Pink prende spunto da una canzone degli Psychedelic Furs del 1981, Pretty In Pink appunto, dall’album Talk Talk Talk. Hughes, che aveva una certa passione per la musica, riuscì a farsi scrivere dei pezzi clamorosi: Orchestral Manoeuvres In The Dark per la prima versione della scena finale, dove Duckie bacia Andie che non va più da Blane, offrirono Goddess Of Love, ma una visione privata del film fece decidere il cambio del finale, e la band scrisse per questo momento If You Leave che divenne una hit internazionale. Suzanne Vega è accompagnata al piano da Joe Jackson nell’altrettanto famosa Left Of The Center. Hughes pesca Jesse Johnson, che fu uno dei co-protagonisti di Purple Rain di Prince, e gli fa cantare in pieno stile folletto di Minneapolis Get To Know Ya. Michael Hutchens scrisse il testo di Do Wot You Do (che per un errore di stampa non era il corretto What) su un foglietto di carta di un bar, e gli INXS non la pubblicarono che su una raccolta di rarità solo molti anni dopo. I New Order scrissero Shellshock, che addirittura comparirà prima nella colonna sonora che come singolo ufficiale (nel film verrà usata anche la b-side del singolo, Thievies Like Us che però non compare nella compilation), altro brano che arriverà nelle posizioni di classifica alte in mezzo mondo. Gli Echo And Bunnymen ri-registrarono per il film una nuova versione di una loro canzone, Bring On the Dancing Horses, che appariva in una loro compilation del 1985, Songs To Learn & Sing. Nel film appaiono anche tre canzoni simbolo del decennio: Round, Round di Belouis Some, anch’essa scritta apposta, e poi due miti degli anni ‘80, Wouldn't It Be Good di Nik Kershaw, dall’album Human Racing del 1984 (che aveva copertina e videoclip curati da Storm Thorgerson) e soprattutto quel capolavoro in meno di due minuti che è Please, Please, Please, Let Me Get What I Want dei The Smiths, dove Morrisey e Johnny Marr racchiudono la grazia e la potenza della liberazione da un dolore in meno di due minuti, con finale affidato al mandolino suonato dal produttore John Porter. Per il successo del film e dei brani, per la riuscita amalgama dei brani con le scene del film e per il fatto che molte canzoni divennero famosissime, la colonna sonora è considerata una delle migliori di tutti i tempi. Nel film un cameo lo ebbe pure Dweezil Zappa, che all’epoca era un volto famoso di MTV America, che ebbe anche una storia d’amore con Molly Ringwald, divenendo invidiatissimo da un’intera generazione di ragazzi innamorati di quella rossa dal broncio irresistibile.
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Sul filo dei sogni
Carnica Ultra Trail, 2023

Giramondo Giramondo Giramondo…
Questo nome continua a ‘girare’ tra i miei pensieri. Un nome - filastrocca, così simile a ‘girotondo’. Mi sembra quasi una vecchia canzone e mi sembra anche di averlo incontrato leggendo la ‘Storia Infinita’ di Michael Ende, quando ero piccolo.
C’era un Giramondo nel viaggio di Bastiano ?
È un luogo immaginario o esiste per davvero ?
In realtà, almeno geograficamente, è un passo, un valico che con Giulio abbiamo attraversato durante la seconda tappa della nostra Carnica Ultra Trail.
Per me quello è stato lo spartiacque del viaggio, più per il suo nome così evocativo e per la bellezza arcana del luogo, che per la mia reale consapevolezza di arrivare per davvero in fondo al nostro viaggio.
Giramondo in quel momento è diventato la mia direzione, una sorta di ispirazione e di simbolo.
È così mi ritrovo di nuovo a pensare ai sogni, alla fatica che faccio per non perdere il bambino che sono stato; sempre pronto ad immaginare e a cercare lo stupore nella realtà, a fantasticare sui i nomi, a cercare animali parlanti e a non smarrire i miei ideali, anche quando quasi tutto vorrebbe schiacciarmi e omologarmi con arroganza e noia.
No, non mi voglio adeguare.



I sogni sono fatti di un filo invisibile che unisce
chi vuole sognare, e spesso chi vuole sognare aiuta anche altri a farlo, non al posto loro, ma con loro.
Una cresta in montagna non sempre rappresenta un confine e un limite, ma un collegamento, un filo appunto, che unisce da una parte all’ altra.
È significativo che la Carnica Ultra Trail sia esattamente una cavalcata in cresta; un filo che unisce San Candido con Tarvisio.
Domenica pomeriggio, dopo la conclusione della traversata, parlo con Marcello.
Chissà se anni fa ha pensato a questa cresta di 200 km come ad un filo che cuce tutti i sogni insieme.
Ora, nel sole brillante dopo la tradizionale pioggia che accompagna gli arrivi, Marcello mi spiega con grande pace e soddisfazione, che il senso di tutto questo è che ciascuna persona può finalmente affermare la propria individualità, nonostante una disabilità apparentemente limitante, e che questo può accadere grazie al sostegno e alla forza di chi si mette a disposizione l’uno dell’ altro.
Andrea, Attilio e Swami sono arrivati da poco e sono l’immagine vera, più forte e più bella di questa idea.

La ‘nostra’ Carnica, mia e di Giulio, orfani di Francesco infortunato, inizia tra mille dubbi. Giulio non sta bene fisicamente ed è demoralizzato. Io affronto come sempre logoranti battaglie emotive ed esistenziali. Sono felice di essere qui ma non è semplice essere concentrato sul momento, sul presente.
Ma so anche che si tratta di partire, di essere paziente e di imparare ogni volta a vivere il viaggio, passo dopo passo.
Ogni mattina, si inizia almeno con una lunga salita che schianta come sempre il mio umore e le mie gambe. Naturalmente mi occorrono un paio d’ore per stare bene e riuscire a far girare le gambe come vorrei.
Ma è in queste prime ore difficili, dopo notti a volte umide e trafelate, che costruiamo la consapevolezza del nostro viaggio.
Il privilegio di correre ogni giorno in montagna, da una parte all’ altra, sta diventando semplicemente naturale.
Lambire le pareti del monte Peralba, del gruppo del Volaia e del Coglians, della Creta di Timau e di cima Avostanis, giorno dopo giorno, mi mette di buon umore, perché la bellezza pura e assoluta, fa pace con la mia anima e mi rassicura sulle cose che valgono e che contano.
Corriamo e non abbiamo altro, eppure abbiamo tutto.


Ripenso a tutte le malghe e ai rifugi incontrati, di cui assolutamente non ricordo nemmeno il nome e la posizione, ma lascio che restino così, a galleggiare in un sogno infinito. Erano luoghi bellissimi e stavamo bene. Quasi sempre erano gestite da ragazzi e ragazze o da malgare sorridenti e abbronzate che ‘discutevano’ amorevolmente con le proprie capre… credo per questioni di latte ah ah ah !
Una birra, una radler, pane e formaggio freschissimo, sono stati il miglior ristoro possibile.
Queste erano anche occasioni in cui per lo più ci incrociavamo spesso con gli stessi simpatici compagni di viaggio, con cui abbiamo condiviso lunghi tratti di sentiero insieme.
E poi, come per magia, nel verde o nel nulla più assoluto, trovavi Maja ad aspettarti.
Elfa e fata al tempo stesso, indecifrabile ed entusiasta, ci indicava una linea misteriosa di creste e di montagne da seguire.
Sembrava quasi una caccia al tesoro, ma il tesoro in effetti sapevamo già quale sarebbe stato, ed era proprio quello di vivere lì, in quel momento, né prima, né dopo, ma sul filo dei sogni.


È stata la prima volta in una corsa a tappe per me e Giulio. Ma negli anni avevamo già compiuto insieme lunghe traversate appenniniche. Ci capiamo in silenzio e ci accontentiamo dell’ indispensabile, a volte anche di meno.
Credo sia importante vivere un’ esperienza così forte con un compagno accordato con la propria anima.
Ci sono momenti in cui sì è semplicemente pelle e ossa, soli davanti a montagne sconosciute, battuti dal vento, dalla pioggia e presi a pugni dalla stanchezza.
È importante fidarsi, sentirsi e riconoscersi, senza parole.
Ma è sul filo dei sogni che alcuni individui si incontrano, ciascuno a volte perso nel proprio vuoto, ma pronti a vivere tutti lo stesso sogno fino alla fine di una cresta invisibile.
Perchè spesso chi vuole sognare, aiuta anche altri a farlo, non al posto loro, ma insieme a loro.
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Sul filo dei sogni
Carnica Ultra Trail, 2023
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https://teatro.persinsala.it/contemporaneo-ammarato/69542/ Contemporaneo ammarato di Daniele Rizzo Al Teatro Franco Parenti, due calzanti esempi dei vizi e delle virtù dei nuovi linguaggi della scena contemporanea. Il XX, come è noto, è stato il secolo delle grandi sistemazioni teoriche, poiché, nel variegato panorama della teatrologia, intellettuali e artisti, specialisti e non, si misero a confronto su questioni cruciali per le sorti dell'estetica contemporanea. Pur partendo e confluendo da posizioni non di rado divergenti, quegli sforzi concettuali mostravano però di muoversi su una traccia comune, quella del combinato disposto della connessione tra scena rappresentata e realtà evocata e delle conseguenze individuali e sociali determinate da tale relazione. Questa premessa è ovviamente opinabile, ma collocarsi sul suo solco consente di comprendere la grande attenzione rivolta alla dimensione spettatoriale, la cui fruizione ha da tempo smesso di essere considerata come naturale, eterodiretta o passiva, ed è assunta a privilegiato oggetto di ricerca. Secondo Hans-Thies Lehmann, nello spazio contemporaneo «corpi, gesti, movimenti, posizioni, timbri, volumi, ritmi, altezze e profondità delle voci vengono strappati via al loro continuum spazio-temporale e riallacciati ex novo» e se, dal secondo Novecento, la scena teatrale è diventata «un intero complesso di spazi associativi come poesia assoluta» (Il teatro postdrammatico), ciò impone allo spettatore il compito di riempire i vuoti generati dalla fuga postmoderna dai significati standardizzati grazie all'assolutizzazione dei significanti esperiti nella loro materialità e autonomia. Quella che a prima vista può apparire arzigogolata e tecnica si rivela, in realtà, una questione estetica e di valore: se la mimesi e l'integrità psicologica sono pilastri del dramma tradizionale, la loro messa in crisi diventa necessaria per superare modalità sceniche intrise di disvalori antropologici e sociali - quali patriarcato, autoritarismo e discriminazione. Non è questa la sede per sviscerare l'argomento, ma val la pena notare come le contestazioni del teatro narrativo non avevano come bersaglio una modalità dell'arte ormai stantia e genuflessa alle regole accademiche, quanto il suo pericoloso aderire a un immaginario occidentale in cui la realtà veniva restituita in modo ideologico e privo di autenticità. Il teatro, se vuole allinearsi alla vita, deve invece intraprendere sentieri spezzati, frammentare sé stesso e farsi incoerente fino a prendere definitiva distanza da un immaginario centrato sul logos attraverso il rifiuto del modello discorsivo e dualistico di un autore onnipotente e un osservatore isolato. Tale approccio aprì la strada a forme postnarrative in cui il confine tra arte ed esistenza è diventato labile e in continua negoziazione. Altro che teatro tout court, parafrasando Erika Fischer-Lichte. Se Lips of Thomas (Marina Abramović, 1975) può esemplificare la svolta irruente e dirompente della performatività contro la tradizione e impattare dall'interno l'opposizione fra arte e vita, è perché «ciò che conta non è la comprensione delle azioni compiute dall’artista ma le esperienze che essa suscita negli spettatori nel corso di queste azioni: ciò che conta, in breve, è la trasformazione di coloro che partecipano alla performance» (L'estetica del performativo). Oggi, ai margini di quella duplice urgenza (estetica e sociopolitica), le attuali arti sceniche, sicuramente dal punto di vista teorico, ma anche da quello performativo, sembrano spesso aver assunto un atteggiamento di contraddittoria riverenza o volenteroso disorientamento rispetto all'azione nell'immediato passato-presente. Due spettacoli, a cui abbiamo assistito in una delle principali istituzioni culturali meneghine, restituiscono con efficacia questa situazione di impasse in cui, non di rado, sembra ammarare la teatralità del nuovo millennio. Al Franco Parenti, sono state infatti rappresentate La sparanoia (di Niccolò Fettarappa) e Schegge di memoria disordinata a inchiostro policromo (di Fausto Cabra con la drammaturgia di Gianni Forte). Il primo si configura come un paradossale dialogo sia tra gli attori (Niccolò Fettarappa e Lorenzo Guerrieri), sia tra gli attori e un pubblico chiamato a subire le invettive frontali del duo tanto dal punto di vista dell'ininterrotto fluire verbale, quanto da quello fisico (dall'acqua sparata da pistole e fucili al malcapitato spettatore momentaneamente allontanato). L’intento dichiarato è mettere "in scena un manifesto incendiario della generazione Z" (tra virgolette citazioni dalle presentazioni degli spettacoli), ma pare evidente come la velleità tradisca la solita prosopopea in cui si pretende di incarnare nella prospettiva del singolo (l'ipotetico progressista deluso) un'intera epoca, mostrando il miopismo culturale di chi riduce la conoscenza storica alla propria opinione e l'indifferenza emotiva di chi nullifica l'altro al proprio sé. Nulla da dire sulla tenuta attoriale e sui tempi serrati della recitazione, tra Niccolò Fettarappa e Lorenzo Guerrieri c'è intesa, presenza e invidiabile favella, anche se la banalità delle argomentazioni, sempre e comunque poggiate sugli stereotipi del senso comune, restituisce la spaesante sensazione di assistere a un Bagaglino di sinistra, dove non manca mai il facile sarcasmo, lo stigma sessantottino delle forze dell'ordine, l'anticapitalismo da salotto, il benaltrismo, l'enfasi sui giovani. Elementi che suscitano la risata per la loro ingenuità, ma che sono evidenti tentativi di piacere al pubblico radical e trasformao la sala in una specie di contenitore di smorfie, versi e battute a doppio senso, manifestando la triste inconsistenza di chi pure viene considerato un nuovo astro del panorama artistico italiano. Cifra dell'incapacità di interrogarsi sull’essenza dei tempi contemporanei è il fatto che non si tocchi nulla delle convinzioni di chi assiste, tanto è vero che il pubblico ride, ride quando, se prendesse sul serio le accuse che gli vengono mosse, dovrebbe provare ben altro ("le colpe di quella generazione ormai matura che non è riuscita a donare ai giovani un futuro certo, determinando insoddisfazione, repressione, depressione e ansia"). La sparanoia è il tipico esempio di un teatro ermeneuticamente inutile, non in grado di rappresentare un momento di esperienza trasformativa o di condurre lo spettatore a una attivazione cognitiva, in cui tutto risuona di già pensato e già fatto, a partire dall'estremizzazione della litote nel sottotitolo (Atto unico senza feriti gravi purtroppo). Se c'è un merito culturale che è possibile ascrivergli è allora quello di specchiare la stessa pochezza che critica e il moralismo di chi pretende di assegnare a terzi le responsabilità che, non si capisce perché, non vengano prese in prima persona. Se La sparanoia, trascura i propri contenuti, senza accorgersi di quanto la sua forma sia antiquata, presso la Sala A2A, Schegge di memoria disordinata a inchiostro policromo evidenzia una marcata intenzione drammaturgica. Il contenuto è tratto da un episodio di cronaca riguardante "Billy Milligan, riconosciuto colpevole di aver rapito e violentato tre ragazze" che "fu assolto per infermità mentale perché affetto da disturbo di personalità multipla: in lui ne coabitavano addirittura ventiquattro". La cronaca viene utilizzata per rifrangere la triplice questione dell'indagine legale, psicologica e metatetrale. Gianni Forte si conferma una raffinata penna pirandelliana nell'incrociare, rispettivamente, "il legal-thriller, viaggio intorno al criminale, tra vittime, avvocati, polizia e riscontri evidenti", "il dramma psicoanalitico, viaggio intorno alla patologia, al trauma, alla famiglia, nei labirinti della mente fratturata di Billy" e "la metanarrazione, in cui il teatro stesso cerca di ricostruire una storia ordinata da un magma confuso di piani ed eventi". Dunque, la vicenda di Billy funziona in parte da pretesto per la costruzione drammaturgica, ma dall'altro come grimaldello per riflettere sull'attualità, dato che quanto accaduto(gli) è stato reale. L'incredibile storia del criminale statunitense mette in discussione qualcosa su cui l'occidente contemporaneo sta disperatamente cercando di orientarsi tra femminismo di maniera e pervicace maschilismo, vale a dire la definizione della persona fragile, il rapporto (ri)educativo tra pena e giustizia e il ruolo dell'arte nei nostri tempi. A rendere particolarmente interessante il lavoro di Fausto Cabra sono la tenuta rispetto ai cedimenti nel qualunquismo e la coerenza del suo "azzardo a guardare l’inguardabile" e a "sbrogliare l’incomprensibile", tenuta e coerenza che si palesano in particolare nella determinazione con cui il ruolo delle vittime viene dato per scontato. La violenza subita dalle tre donne non è mai oggetto di opinione, bensì viene "assolutizzata" e costituisce il punto di partenza su cui sviluppare la triplice questione (legale, psicologica e metateatrale) e affermare - con la loro ovvietà - che l'essere vittime di un carnefice da capire ed eventualmente curare non deve prestare il fianco a operazioni di sottovalutazione o colpevolizzazione. Nonostante la materia di Schegge di memoria disordinata a inchiostro policromo sia di un alto livello, la decostruzione scenica della performance sembra però indugiare su modalità note (la violenza, il multimediale, l'autonarrazione, l'iperrealismo), il che ammonisce su quanto il teatro sia ancora lontano una ricostruzione dopo l'implosione delle pratiche tardonovecentesca. Man mano che il trio indossa e si spoglia delle proprie mise simboliche, oscillando senza soluzione di continuità tra persona e personaggio, è come se ci si accontentasse di un montaggio di maniera fondamentalmente edificato sulla qualità di Raffaele Esposito, Anna Gualdo ed Elena Gigliotti. Gli spettacoli presentati al Franco Parenti rivelano con forza le tensioni e le contraddizioni insite nel teatro contemporaneo. Pur offrendosi entrambi come esperimenti linguistici e performativi agganciati, a vario titolo, alla dimensione politica, essi lasciano l’impressione di un’arte ancora in cerca della propria identità, incapace di abbracciare pienamente una visione che possa integrare critica sociale ed estetica innovativa. Gli spettacoli continuano Teatro Franco Parenti Via Pier Lombardo, 14, Milano 1 - 13 Aprile 2025 La sparanoia Atto unico senza feriti gravi purtroppo progetto ideato e scritto da Niccolò Fettarappa regia Niccolò Fettarappa e Lorenzo Guerrieri con Niccolò Fettarappa e Lorenzo Guerrieri contributo intellettuale di Christian Raimo produzione Sardegna Teatro - AGIDI con il sostegno di Armunia Teatro, Spazio Zut, Circuito Claps, Officine della cultura 18 Marzo - 13 Aprile 2025 Schegge di memoria disordinata a inchiostro policromo di Fausto Cabra drammaturgia Gianni Forte con Raffaele Esposito, Anna Gualdo, Elena Gigliotti scene Stefano Zullo disegno luci Martino Minzoni costumi Eleonora Rossi musiche Mimosa Campironi grafica e contributi video Francesco Marro produzione Teatro Franco Parenti aiuto regista Anna Leopaldo direttore di scena Riccardo Scanarotti elettricista Martino Minzoni sarta Giulia Leali scene costruite presso il laboratorio del Teatro Franco Parenti costumi realizzati dalla sartoria del Teatro Franco Parenti diretta da Simona Dondoni si ringrazia Leslie Kee per l’immagine di locandina e Pietro Micci per la partecipazione in video
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Carlos, sono qui...
Sono riuscita a controllarmi per diversi anni, sono dieci anni che lo vedo,o meglio vedo solo una parte di lui,quella che mi interessa di più,quella che mi fa stare bene per poche ore,riesco a stare tra le sue braccia,riesco a rilassarmi,a dormire,e non pensare a niente.Fin da quando sono arrivata a Madrid,soffro di disturbo ossessivo compulsivo,il ripetere costantemente in modo ossessivo gli stessi pensieri,un meccanismo diabolico costringe il mio cervello a trovare dei giochi mentali,come le lettere dell'alfabeto, i numeri pari e dispari,un ordine immaginario,le parole,le lettere scorrono in modo veloce nella mia mente. Un ricordo vivido la Bolivia, una sera,io ero seduta al tavolo della mia unica casa,papà era nella stanza con me, mentre mamma era in cucina,sta per passare attraverso la porta quando sente un sibilo,si gira e nota che è un serpente, lascia cadere a terra il piatto di zuppa e salta sul letto,papà vede entrare il serpente, con un bastone sottilissimo lo colpisce in testa e lo stordisce,riesce a prenderlo e si avvicina a me spalancandogli la bocca,riesco a vedere i denti,mi dice che ci sono dei forellini da dove fuoriesce il veleno,io continuo a mangiare la minestra.
Madrid è così,delle lunghe strade con dei marciapiedi ampi dove due persone si possono incontrare e salutare,la pavimentazione rossa a cocci,continuo a camminare,è passato un anno dall'ultima volta che l'ho visto,devo stare bene per vederlo,sono sempre esausta,sono migliorata con le mie ossessioni,la cocaina non fa più effetto,gli arabi dicono che la coca sia la benedizione del Diavolo, ti fa vedere la luce per poi ucciderti.Sono contenta mentre cammino con la mia valigia,vado a trovare Carlos,sono sicura che arriverà in ritardo. Infatti,quando arrivo devo aspettare altri venti minuti, al mattino sono stata in piscina,il fine settimana faccio la venditrice di macchine da caffè, il lavoro mi piace,è impegnativo, devo tagliarmi i capelli,sono corti,sono andati fuori taglio,mi piace sempre essere ordinata. Sono davanti la casa di Carlos,mi apre la porta una signora ed entro,aspetto che arrivi,sono abbastanza pratica,lo vedo arrivare,è sempre in forma,prendiamo l'ascensore,adesso lo hanno sistemato,arriviamo al quarto piano,entro nella sua stanza,è sempre la stessa,sono contenta di rivederlo,adesso lavora in aeroporto, scarica i bagagli per due ore al giorno così durante la settimana,altrimenti lavora in un bed and breakfast, è un lavoro che fa ormai da anni. Di solito mi chiama Relia e non con il mio nome completo,Aurelia, sono distesa sul suo letto,è tranquillo,fare sesso fisicamente con Carlos è la cosa migliore che mi sia capitata nella mia vita,è l'unico che riesce a farmi venire,rimango tra le sue braccia e riesco a dormire, vorrei solo ripetere quel momento per l'eternità, mi si chiudono gli occhi e riesco a riposare. Resto nel suo letto mentre lui deve sbrigare delle faccende,come rientra mi preparo e sono pronta per prendere il treno per Saragoza. Le mie notti da alcuni anni sono inquiete,non sono più quelle di prima,ma non ho ancora perso la mia allegria e spensieratezza, quella parte di me che mi rende ancora un essere umano,ero seduta al Centro Commerciale, si avvicina una bambina, "ciao" mi dice,sono splendide nella loro semplicità, poi arriva mamma e se ne vanno,dei capelli lunghi in una meravigliosa coda,lungo il braccio sinistro del pelo lungo,rido tra di me,a volte si dice che non tutto il male venga per nuocere,una maledizione racconta che di notte le anime buone soffrono il dolore di Dio,si trasformano,ululano al chiaro di luna,e la pelle prende la forma del lupo,restano così per sempre,niente riesce a liberarle, al risveglio al mattino, riprendono la loro forma naturale,io continuo a mangiare e me ne vado. Mi avvicino sempre più alla stazione dei treni, a Madrid c'è molta gente,devo fare il biglietto del treno e andare a Saragozza, Carlos lo voglio sempre vedere,mi faccio una sigaretta e respiro le ultime foglie di coca che mi sono rimaste,passerà del tempo prima che arrivi il prossimo carico.
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ARABOFUTURS (parte I)
Il “Gulf Futurism” è un concetto geografico-artistico elaborato nel 2012 da due belle menti della cultura araba (concetto forse un po’ troppo vasto) ovvero Sophia Al-Maria e Fatima Al-Qadini, delle quali riparleremo in conclusione. La mostra dell’Institut du Monde Arabe di Parigi (la cui chiusura è stata nuovamente posticipata visto il grande successo di pubblico), raccoglie molte delle suggestioni che stanno dietro al concetto appena esposto. Si tratta di opere, creazioni, scritti, video, installazioni e progetti elaborati da giovani artisti di paesi che principalmente gravitano attorno al Golfo Persico, ma non solo, zona che già a partire dagli anni Settanta fu sottoposta ad una modernizzazione veloce, quasi forzata, senza che ci fosse un corrispondente e conseguente sviluppo delle arti visive. Per sgomberare il campo da equivoci o false aspettative, meglio dire subito che l’immaginario fantascientifico e futuristico dei giovani artisti esposti all’IMA, non è poi così diverso da quello degli artisti e dei giovani artisti “occidentali” E’ evidente che questa cultura visiva, prodotta da giovani arabi e magrebini, é stata influenzata dal fatto che molto spesso vivono ed operano stabilmente in Europa, e in particolare in Francia. In un certo senso si tratta di una cultura visiva e di un immaginario un po’ stereotipato e che gli stilemi e le forme non sono quasi mai, né nuove, né originalissime, ma tuttavia la mostra ci permette di andare alla ricerca di giovani talenti spesso, potenzialmente, molto interessanti. Il punto però non è nemmeno questo, bensì che la mostra “Arabofuturs”, sembra voler dire al mondo che anche nei paesi musulmani, si immagina un futuro, anzi “il” futuro e lo si fa né più e né meno che nel resto del mondo con un unico importante distinguo: qui nella riesumazione del passato in mondi futuri ed immaginari, gioca un ruolo forte, il mito come elemento centrale della storia delle identità nazionali. Ma c’è anche dell’altro, infatti molti artisti si cimentano con l’immaginazione e la progettazione di un mondo post-umano, nato dopo la distruzione del nostro mondo attuale scomparso a causa della nostra indifferenza e della nostra incoscienza verso la catastrofe annunciata ed ormai reale del climate change. Gli artisti rendono plausibile una comunione con la natura e infatti la forza creatrice della natura perpetua le forme fantastiche del “vivente”: ibridazioni, nuova umanità, mondi fantastici post-umani, sono i territori di queste creazioni. Venendo agli artisti, proprio su questa vena del mondo post-umano, l’opera di Hichem Berrada, artista marocchino che vive in Francia è, come si suol dire, molto rappresentativa. Con “Terre Futureapres la plutei” del 2022, Berrada ci introduce, con approccio scientifico, che comunque coniuga tra scienza e poesia, al tema delle sorti del pianeta. L’ultima eco della presenza umana sul pianeta, sono schede madri, circuiti stampati, hard disk, lasciati in balia di essenze erbacee, muschi e licheni. Un terrario seducente e orfico allo stesso tempo, che, possiamo dire, è una installazione un po’ prevedibile, ma comunque di una certa suggestione. Ancora natura, questa volta deforme e immaginaria in “Les Hygres”, una serie di piccole forme che riproducono certe simmetrie naturali (foglie, insetti ecc.), ma il cui materiale è la plastica ormai fossile dei rifiuti urbani che ormai invadono il nostro ambiente naturale. Un’estetica dell’orrore se vogliamo, anzi una cosciente estetica dell’orrore. Un discorso molto simile vale anche per il ceramista libanese Soraya Haddad Credoz: forme in un certo senso famigliari, ma strane come certi funghi deformi che hanno subito mutazioni genetiche a causa di qualche sciagura ambientale (e la memoria di Chernobyl o di Fukushima oggi è ancora ben viva)con forme rizomatiche, che sebbene non minacciose, dànno l’idea di qualcosa che è andato storto nella biosfera. (continua)



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Smarrimento di Antonia Pozzi: La Perdita del Tempo e dell’Orientamento Interiore. Una riflessione poetica sulla sospensione temporale e l’incertezza emotiva, firmata da una delle voci più intense della poesia italiana
Smarrimento, scritto il 21 febbraio 1935, è un componimento che esprime con straordinaria profondità il senso di disorientamento e di perdita interiore.
Smarrimento, scritto il 21 febbraio 1935, è un componimento che esprime con straordinaria profondità il senso di disorientamento e di perdita interiore. In pochi versi, Antonia Pozzi cattura la sensazione di uno scorrere del tempo alterato, che appare sospeso e interrotto, lasciando chi osserva in un limbo di incertezza e smarrimento. Attraverso l’immagine dell’orologio fermo e dei passeri che…
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Comunicato Stampa #833: Nei Sassi di Matera la mostra “L’Evoluzione della Forma” dello scultore Carlo Michele Petruzziello
Dal 7 settembre al 31 ottobre 2024, le opere in marmo dell’artista campano saranno esposte negli ambienti della Storica Casa Grotta di Vico Solitario. Inaugurazione Sabato 7 settembre alle 18.00. Ingresso gratuito per i visitatori della Casa Grotta.
Avrà luogo nei Sassi di Matera, dal 7 settembre al 31 ottobre 2024 prossimi, la mostra di scultura “L’evoluzione della forma” di Carlo Michele Petruzziello. L’evento culturale, che presenta opere prevalentemente in marmo, sarà ospitato dalla Storica Casa Grotta di Vico Solitario, e raccoglie il patrocinio del Comune di Matera e la collaborazione di numerosi partner. L’accesso per tutto il periodo, con gli stessi orari, è libero per i visitatori della Casa Grotta (ingresso gratuito per i visitatori di età pari o inferiore a dieci anni, persone con disabilità, giornalisti, guide autorizzate e cittadini residenti nella città di Matera – v. www.casagrotta.it). L’esposizione è curata da Raffaella Anecchino e Daniela Zereni.
L’inaugurazione della mostra è in programma alle 18.00 di Sabato 7 settembre 2024, presente l’autore.
Come si legge nella sua biografia, “Carlo Michele Petruzziello è nato a Londra nel 1965 da genitori italiani, emigrati dall’Irpinia. Rientra in Italia all’età di otto anni ed appena quindicenne comincia a lavorare come artigiano. Nel 1997 perde l’uso del braccio destro in seguito a un incidente di moto. Da questo momento per superare la terribile sofferenza psicologica, seguita al trauma, comincia a scolpire prima il legno, poi il marmo e la pietra e infine lavora con l’acciaio, realizzando opere in stile figurativo. Sono opere eseguite con le difficoltà di un autodidatta e il lento adattamento all’uso del braccio sinistro.”
“Nel giro di pochi anni, grazie alla sua inventiva e al naturale talento, percorre, inconsapevolmente, alcune esperienze significative del secolo scorso conquistando un forte controllo dei materiali e dei valori plastici. Il 2002 segna una nuova fase artistica volta alla ricerca incessante di nuove forme ispirandosi al mondo immaginario del cosmo, realizzando diverse variazioni sul tema. Un altro elemento di innovazione è rappresentato dall’utilizzo di pietre irpine per recuperare e valorizzare il materiale presente nel territorio in cui vive.”
“Le ultime opere dell’artista hanno una doppia genesi: artistica e tecnologica. Esse rappresentano il prodotto dello sviluppo del precedente studio delle forme e i risultati di una lunga ricerca scientifica sulle diverse possibilità di produzione di energia alternativa (fotovoltaica, termosolare, eolica e geotermica). Sono in sintesi delle monumentali sculture, realizzate con diversi materiali, che ospitano impianti ad energia pulita. Tali opere si rivestono di un valore fortemente etico: obbediscono infatti al desiderio dell’autore di diffondere l’uso di energia pulita creando impianti che valorizzano il contesto urbano e paesaggistico in cui vengono allestiti. Carlo Michele Petruzziello vive e lavora a Prata di Principato Ultra (AV).”
Non nasconde il suo entusiasmo Raffaella Anecchino, responsabile e coordinatrice della Casa Grotta nei Sassi di Matera: “Siamo felici di ospitare la mostra di scultura di Carlo Michele Petruzziello, che si aggiunge ai numerosi eventi culturali che, negli anni, si sono avvicendati all’interno dei locali del nostro museo. La scultura è l’elemento comune degli storici rioni che appartengono al nostro patrimonio, e che già rappresentano architetture rupestri uniche, scavate nella roccia. Il nostro contributo intende confermare l’idea dei Sassi come un immenso contenitore, già apprezzato dagli artisti che si sono succeduti nei decenni, e sempre pronto a congiungere stili, materiali ed epoche differenti in una poliedrica visione culturale”.
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Oggi è il 15 Febbraio, ed in questo giorno, nel 1564, a Pisa nasceva il grande scienziato Galileo Galilei, che fu fisico, astronomo, filosofo, matematico ed accademico. Tra i personaggi più significativi della rivoluzione scientifica, fu sostenitore del “sistema eliocentrico” (che teorizzava il Sole al centro del sistema solare con i Pianeti che gli girano intorno) e della teoria copernicana del movimento dei pianeti. Introdusse il “metodo sperimentale” nell'indagine scientifica (attraverso la determinazione matematica delle leggi della natura) determinando una “descrizione razionale oggettiva” della realtà dei fenomeni. Sospettato di “eresia” ed accusato di sovvertire le sacre scritture e la “filosofia naturale aristotelica”, fu processato e condannato dal "Sacro Uffizio", costretto ad abiurare le sue concezioni astronomiche e confinato nella propria villa di Arcetri (Firenze), dove morì nel 1642. La chiesa poi, gradualmente, riconobbe il valore della ricerca di Galilei e nel 1992, Papa Giovanni Paolo II, durante la sessione plenaria della “Pontificia Accademia delle Scienze” istituì un'apposita commissione di studio che riabilitò Galilei riconoscendo gli errori fatti dalla Chiesa. Questa mia opera intitolata "Galileo Galilei, Uomo Oltre La Scienza", realizzata a sanguigna, seppia e carboncino acquerellati e tempera su faesite (cm. 70 x 100), è stata esposta nella mia mostra personale allestita presso il “Museo della Grafica” di Palazzo Lanfranchi, a Pisa, nel 2021. In quest'opera ho immaginato Galileo Galilei in uno studio immaginario, attorniato da vari oggetti, strumenti di studio del suo lavoro di scienziato, quali il cannocchiale, il compasso ed il mappamondo, ma al contempo in un ambiente anche ricco di riferimenti al suo grande interesse per l'arte, non solo come appassionato e studioso, ma anche come praticante, sia nel disegno che nella pittura, e quindi intento ad eseguire un suo lavoro su carta con un pennello. Per completare questo suo duplice interesse, per la Scienza e per l'Arte, alle sue spalle, sullo sfondo, in grande evidenza, ma con tonalità più leggere (quindi realizzata solo a sanguigna, senza il rinforzo chiaroscurale di seppia e carboncino, come invece utilizzati in primo piano, per evidenziare la profondità di campo ed i volumi), ho creato il riferimento ad una rappresentativa opera della pittrice Artemisia Gentileschi, grande protagonista del tempo di Galilei ed artista da lui ammirata e con la quale intraprese ricca corrispondenza epistolare.
Bruno Pollacci
Direttore dell'Accademia d'Arte di Pisa
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Pino Insegno: attore, conduttore e... doppiatore
Comico brillante, conduttore televisivo garbato e simpatico, Pino Insegno è anche un apprezzato doppiatore. Ha prestato la sua voce a diversi attori di calibro internazionale. Come si svolge la professione di doppiatore e quale percorso di studi va fatto? Pino Insegno doppiatore e comico La carriera artistica di Pino Insegno inizia con la fondazione del gruppo artistico l'Allegra Brigata con altri 9 colleghi. Il successo, però, arriva con la Premiata Ditta, il quartetto comico creato insieme a Tiziana Foschi, Roberto Ciufoli e Francesca Draghetti. Il percorso televisivo di Insegno è continuato anche dopo lo scioglimento del gruppo portandolo anche alla conduzione di programmi come "Il mercante in Fiera", "Reazione a catena". Come doppiatore la sua voce è legata a volti come quello di Will Ferrell, Viggo Mortersen (Aragorn della trilogia "Il Signore degli anelli"), Jamie Foxx, Brad Pitt e Denzel Washington. Ha doppiato anche diversi personaggi di film di animazione. Tra questi Diego, la tigre di "L'Era glaciale", Sinbad in "Sinbad - La leggenda dei sette mari". Una professione sottovalutata Il mestiere del doppiatore è un'arte spesso sottovalutata che gioca un ruolo cruciale nell'industria dell'intrattenimento, donando voce e anima ai personaggi che amiamo. Nel silenzio degli studi di registrazione, i doppiatori danno vita a eroi, cattivi e personaggi indimenticabili, creando una connessione speciale tra il pubblico e le opere cinematografiche o televisive. Il lavoro di un doppiatore va ben oltre la semplice lettura di un copione. È una forma d'arte che richiede talento, versatilità e una comprensione profonda del personaggio. I doppiatori devono essere in grado di trasmettere emozioni attraverso la voce, sincronizzare il dialogo con i movimenti labiali del personaggio e dare personalità a creature animate o oggetti inanimati. Il processo di doppiaggio inizia con la visione del materiale originale. I doppiatori studiano il personaggio, analizzano le sfumature emotive e lavorano sulla creazione di una voce unica che si adatti alla personalità del personaggio. Durante la registrazione, devono sincronizzare la loro interpretazione con il timing della versione originale, rispettando gli spazi per garantire una corretta adattabilità. Come si diventa doppiatore Diventare un doppiatore richiede una combinazione di talento naturale, formazione ed esperienza pratica. Ecco alcuni passi che possono aiutare chi è interessato a intraprendere questa carriera: - Formazione vocale: molti doppiatori iniziano con la formazione vocale, che può includere lezioni di dizione, impostazione della voce e tecniche di respirazione. - Corsi di recitazione: la recitazione è un elemento chiave del lavoro del doppiatore. Corsi di recitazione teatrale o cinematografica possono fornire le competenze necessarie per dare vita ai personaggi. - Studio delle lingue: poiché il doppiaggio spesso coinvolge la traduzione e l'adattamento dei dialoghi, la conoscenza di più lingue può essere un vantaggio. - Esperienza pratica: partecipare a audizioni e guadagnare esperienza pratica è essenziale. Molte volte, i doppiatori iniziano con piccoli progetti locali o regionali prima di affrontare lavori più ampi. - Costruzione di un demo reel: creare un demo reel è fondamentale per presentare la propria voce e capacità di doppiaggio agli studios. Questo portfolio audio può essere inviato alle agenzie di doppiaggio o agli studi di registrazione per attirare l'attenzione. La prossima volta che ci immergeremo in un film o in una serie televisiva, ricordiamoci di ringraziare i doppiatori che rendono possibile questa esperienza magica, donando una voce a ogni personaggio che abita il nostro immaginario. In copertina foto di thekreativecompany da Pixabay Read the full article
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spaziotempo
Cadere nel vuoto come cadevo io, nessuno di voi sa cosa vuol dire. [...] parlo di quando non c'era sotto nessuna terra né nient'altro di solido, neppure un corpo celeste in lontananza capace d'attirarti nella sua orbita. Si cadeva così, indefinitamente, per un tempo indefinito. [...] Ripensandoci, non c'erano prove nemmeno che stessi veramente cadendo: magari ero sempre rimasto immobile nello stesso posto, o mi muovevo in senso ascendente; dato che non c'era né un sopra né un sotto queste erano solo questioni nominali e tanto valeva continuare a pensare che cadessi, come veniva naturale di pensare. Ammesso dunque che si cadesse, si cadeva tutti con la stessa velocità e accelerazione; infatti eravamo sempre pressappoco alla stessa altezza, io, Ursula H'x, il Tenente Fenimore. Non levavo gli occhi di dosso a Ursula H'x perché era molto bella da vedere, e aveva nel cadere un atteggiamento sciolto e rilassato: speravo che mi riuscisse qualche volta a intercettare il suo sguardo, ma Ursula H'x cadendo era sempre intenta a limarsi e lucidarsi le unghie o a passarsi il pettine nei capelli lunghi e lisci, e non volgeva mai gli occhi verso di me. Verso il Tenente Fenimore nemmeno, devo dire, nonostante lui facesse di tutto per attrarne l'attenzione. [...] Riflettendoci, però, se Ursula e il Tenente avevano un tempo occupato lo stesso punto dello spazio, era segno che le rispettive linee di caduta s'erano andate allontanando e presumibilmente continuavano ad allontanarsi. Ora, in questo lento ma continuo allontanamento dal Tenente, niente di più facile che Ursula si avvicinasse a me; quindi il tenente aveva poco da andar fiero delle sue passate intrinsichezze: il futuro era a me che sorrideva. [...] Devo aggiungere che passato e futuro erano per me termini vaghi, tra i quali non riuscivo a fare distinzione: la mia memoria non andava più in là dell'interminabile presente della nostra caduta parallela, e ciò che poteva esserci stato prima, dato che non si poteva ricordare, apparteneva allo stesso mondo immaginario del futuro, e col futuro si confondeva. Così io potevo anche supporre che se mai due parallele erano partite dallo stesso punto, queste fossero le linee che seguivamo io e Ursula H'x (in questo caso era la nostalgia d'una medesimezza perduta che nutriva il mio ansioso desiderio di'incontrarla); però a quest'ipotesi io riluttavo a dar credito, perché poteva implicare un nostro allontanamento progressivo e forse un approdo di lei tra le braccia gallonate del Tenente Fenimore, ma soprattutto perché non sapevo uscire dal presente se non per immaginarmi un presente diverso, e tutto il resto non contava. da I. Calvino, La forma dello spazio, in Tutte le cosmicomiche
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DAWN OF A DARK AGE: un antico canto si alzerà
Entrare nel mondo dei DAWN OF A DARK AGE significa iniziare un percorso fatto di musica, cultura popolare, tradizione e fascino avantguardista. Pensare al connubio tra la Transumanza, antica pratica popolare secolare, e l'utilizzo del clarinetto all'interno di una performance artistica estrema potrebbe sembrare assolutamente irreale, invece Vittorio Sabelli è riuscito a dar vita ad un qualcosa di assolutamente eccezionale e con lui andiamo a capire di più del suo mondo, dell'album "Transumanza" e della visione artistica che c'è dietro DAWN OF A DARK AGE.
1. I DAWN OF A DARK AGE sono in sostanza una tua creatura anche se ti avvali di musicisti che, in un’ottica più ampia, sembrano essere molto di più di semplici guests; senza il loro contributo e la loro bravura, il progetto sarebbe tutt'altro. Sei d'accordo con me ed in che modo essi riescono ad entrare non solo nella parte realizzativa ma anche nella fase degli arrangiamenti, punto nevralgico dell'essenza del progetto?
Si, i musicisti che collaborano nei miei progetti sono un fulcro vitale per poter esprimere i colori e le idee all’interno degli album di DAWN OF A DARK AGE. Li scelgo con molta cura per ottenere la resa migliore e non credo di aver mai contattato un musicista per un assolo o un frammento isolato. Quando necessito di un colore o un particolare suono questo lo sviluppo lungo tutto l'album, poiché diventa parte integrante dell'intero percorso compositivo. Mentre riguardo gli arrangiamenti ammetto di lasciare pochissimo margine, sono la parte probabilmente che contraddistingue DOADA e sono tutti (o quasi tutti) scritti minuziosamente.
2. Da sempre i DAWN OF A DARK AGE partendo da un background tipicamente legato al Metal estremo, riescono ad infondere in questa struttura, partiture molto avantgarde quasi Jazz sia per gli strumenti usati (clarinetto in primis) sia per i legami che ha con il mondo da cui nasce ovvero la tradizione Folk ed i canti popolari della tua terra ovvero il Molise. È un qualcosa che nasce spontaneamente nelle tue composizioni o è un qualcosa che ti eri preposto fin dall'inizio?
Quando ho deciso che era giunto il momento (dopo oltre 20 anni di prove e ripensamenti) di unire il mio lavoro (il clarinetto) alla musica che amo (il metal estremo), ho cercato elementi che potessero unire le mie origini e tutte le mie esperienze musicali con il Black Metal. Il mio approccio alla musica è stato nella banda del paese e in un gruppo folkloristico e non casualmente questi due elementi sono sempre presenti, anche se in misure diverse, negli album di DAWN OF A DARK AGE. Ormai vengono fuori in maniera talmente naturale che spesso non mi rendo conto che sto virando in quella direzione, e dal punto vista compositivo li accolgo sempre con grande amore. Penso oltretutto che ogni idea musicale abbia un suo potenziale, anche quelle meno convincenti, che trattata e sviluppata in maniera corretta possa essere parte integrante di una composizione. Cerco di non sprecare niente sotto questo profilo, qualsiasi idea che viene con qualsiasi strumento può essere l'inizio di qualcosa che in qualche modo, e con i suoi tempi, si evolverà.
3. "Transumanza" tratta di un evento, la transumanza appunto, sempre meno presente nella nostra cultura, ma che in alcune realtà, come quelle del Sannio, a cui sei molto legato, ancora persistono. Quello che esalti è l'aspetto culturale dell'evento più che quello reale. Cosa ti affascina di questo mondo apparentemente così distante dalle realtà odierne?
Sì, la Transumanza vera e propria è ormai andata in disuso da tempo. Mio nonno mi raccontava di quando passavano pastori e armenti nei pressi di Agnone, con le vacche e i campanacci che si sentivano per chilometri, una festa, le campane del paese che suonavano... È un deja-vu che da sempre mi lega al mondo pastorale, ma con una forza ancestrale che parte dal basso, dalle radici. Quindi "Transumanza" è sì un viaggio immaginario di un'altra epoca ma che allo stesso tempo, tra Molise e Abruzzo, puoi ancora respirare e vedere grazie alla fitta rete di tratturi e alle greggi che ancora pascolano.
4. Tutti i brani di "Transumanza" hanno una sorta di primitiva forza che si sprigiona sia nelle parti più estreme legate al Metal sia in quelle più meditative e atmosferiche. Ritengo interessante il fatto che in ogni istante ci sia sempre la sensazione di fare una sorta di viaggio sia interiore che nel tempo che porta l'ascoltatore a conoscere meglio te ed il tuo mondo. Cosa mi puoi dire a tale proposito?
"Transumanza", a differenza de "Le Forche Caudine", "La Tavola Osca" e buona parte degli "Elementi", è un album dove i brani non hanno un leitmotiv ossessivo e ripetuto come nei precedenti, pensati maggiormente come opera musicale o poema sinfonico. Questo modo di differenziarlo dagli altri album mi lascia maggiore libertà espressiva, anche se alla fin fine in qualche modo alcuni elementi tornano e si sviluppano lungo l’intero disco. Quindi un viaggio che parte da molto lontano nei luoghi della mia infanzia e dei miei ricordi fino a arrivare a quello che oggi la musica rappresenta per il sottoscritto.
5. Forse in "Transumanza" sei riuscito più che in altre occasioni ad esprimere al meglio questo connubio tra Metal estremo, Folk, Avantgarde e Jazz creando un lavoro estremamente omogeneo e compatto. Qual è l'emozione che provi oggi avendo ultimato questo lavoro e come questo si differenzia da quanto fatto in passato con i DAWN OF A DARK AGE?
In "Transumanza" c'è davvero un grande caleidoscopio musicale che mi coinvolge a 360° riguardo i generi e le mie esperienze anche orchestrali e in ambito jazz, che ho cercato di pensare come singoli brani e non con la 'visione aerea' tipica dei concept più ermetici e strutturati. Come già accennato, i suoi brani si sono susseguiti in maniera meno 'schematica' degli altri due album della Tetralogia sui Sanniti, cercando di dargli vita nel modo più reale possibile. "Transumanza" è stato il primo album che ho iniziato a comporre ormai 7 anni fa e ha avuto una gestazione lunga rispetto ai miei 'tempi' di realizzazione, che per molti possono sembrare corti ma che in realtà sono lunghissimi. Ha avuto momenti difficili per la realizzazione ma alla fine ho trovato la via giusta per portarlo a termine, e non mi sembra vero che stiamo parlando di questo disco che è a pochi mesi dall’uscita.
6. "Transumanza" è il terzo capitolo della tetralogia sui Sanniti. Cosa dobbiamo aspettarci per il prossimo e ultimo capitolo? E poi?
Come già detto "Transumanza" è stato il primo album della Trilogia sui Sanniti, ma da cosa nasce cosa, e mentre componevo "Le Forche Caudine" mi è venuta un'idea a cui non ho potuto resistere, che sarà il capitolo conclusivo della Tetralogia. Oltre questo capitolo davvero non ho idea di cosa potrà esserne di DAWN OF A DARK AGE. Ho altri progetti importanti che porto avanti con entusiasmo e curiosità e dopo questa saga sui Sanniti necessiterei di uno stimolo che sia 'almeno' alla pari, ma che al momento ancora non c'è. Vedremo in futuro se arriverà l'idea giusta...
7. Dal punto di vista emozionale e strettamente personale credo che questo album ti abbia coinvolto non poco visto anche il fatto che è molto legato alla tua storia anche personale. In che senso se posso chiedertelo?
È proprio così, da quando mia madre scelse per me il clarinetto (al posto della tromba, non conoscendo di fatto nessuno dei due secondo me) mi sono sempre prefisso una sorta di 'challenge' con me stesso, che però non esulasse completamente dal mio passato e dalle mie origini. Anche se non vivo più in Molise ormai da anni ogni volta che ho bisogno di ossigenare la mente o cerco nuove strade, ecco che mi rifugio in alta quota per qualche ora, o qualche giorno, e magicamente appare un mondo nuovo che però riporta in mente storie di altri tempi, che siano le cruente battaglie con i romani o i rituali incisi sulla Tavola Osca. Quello stesso suolo da millenni veniva battuto da pecore, mandrie e pastori e questo crea un legame al limite della realtà che mi porta a raccontare in maniera compulsiva questi fatti. Una sorta di storia nella mia storia...
8. Avendo avuto modo di conoscerti più profondamente soprattutto dal punto di vista musicale vedo in te una sorta di irrequietezza, un certo ricercare sempre qualcosa di nuovo e lo fai sia in progetti tra loro vicini almeno dal punto di vista del background musicale (DAWN OF A DARK AGE, NOTTURNO, INCANTVM, AMEN) ma anche nelle innumerevoli collaborazioni che ti coinvolgono in ambito Jazz e non solo grazie all'uso del tuo clarinetto. È questa una necessità o semplicemente la voglia di sperimentare?
Irrequietezza! Probabilmente è la parola più adatta per descrivere quello che adoro fare con e la musica. Necessità o voglia di sperimentare credo siano entrambe e in pari percentuale determinanti per 'farmi apparire' così prolifico. Non nego che ho due punti fermi che mi permettono di dedicare un buon numero di ore giornaliere alla composizione e arrangiamento dei miei progetti. Uno è John Zorn, da sempre un riferimento sia per il rischio preso con strumenti non proprio convenzionali come i fiati nel metal sia per l’apertura totale delle composizioni. L'altro è Igor Stravinsky, ma non una composizione bensì un suo libro/saggio: Poetica della Musica. Un libro che comprai tempo fa nel quale il grande genio russo scrive in un capitolo che un musicista/compositore è come un pittore o uno scrittore, e se decide di scegliere questa strada come lavoro non può aspettare l'idea 'giusta', l'ispirazione divina per iniziare un brano, un libro o un quadro. Come ho detto prima ogni idea ha un potenziale, poi dipende da quanto tempo vuoi spenderci per renderla ottimale, funzionale a una composizione o un brano che sia. Questa curiosità di scoprire nuovi colori è senz'altro una necessità ormai inconscia che alla fine si unisce in maniera naturale a quella di sperimentare nuove strade da percorrere. Quindi un lavoro vero e proprio che non può realizzarsi solo sporadicamente ma che necessita di una costante applicazione per renderlo funzionale e farlo evolvere fino a far diventare delle idee una realtà finalizzata su supporto fisico.
9. "Transumanza uscirà l'8 dicembre. Aspettando l'uscita dell'album ci vuoi dire qualcosa?
Come anticipato sto lavorando all'ultimo capitolo sui Sanniti, sarà un lavoro totalmente diverso da "Transumanza" ma che in qualche modo unisce sotto lo stesso tetto "Le Forche Caudine", "La Tavola Osca" e "Transumanza". Oltre a DAWN OF A DARK AGE in autunno uscirà il secondo album di NOTTURNO e nel frattempo cerco nuove strade da percorrere con il mio strumento e la mia musica.

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#FICFest: 11 maggio
Il primo appuntamento della quinta giornata del #FICFest è stato la presentazione del progetto I linguaggi del corpo/oltre le barriere per raccontare l'umanità, tenuto presso Scenario Lab.
Avviato nel 2021 e concluso nel 2023, I linguaggi del corpo, coordinato da Luca Recupero, ha avuto l'obiettivo di dare voce ai giovani attraverso la creatività per favorire l'inclusione e l'integrazione tra sociale. Un binario delle attività ha utilizzato la danza contemporanea, attraverso dei laboratori coordinati da Silvia Oteri e Marta Greco. Il movimento è stato lo strumento comunicativo impiegato, capace di mettere in relazione i corpi e abbattere le barriere linguistiche e culturali. Parallelamente ai diversi laboratori di movimento è stato avviato un corso per videomaker della danza, coordinato da Laura Schillirò e Riccardo Napoli, coinvolgendo numerosi giovani del territorio.


La presentazione è stata aperta da una performance che ha portato in scena le esperienze vissute durante i laboratori che si sono svolti durante i due anni. I protagonisti sono stati gli amatori, uno dei gruppi interni al progetto, che si sono esibiti utilizzando sia il corpo che la voce. Ad aprire l’azione è stato, infatti, il testo recitato da due partecipanti: pensieri ed emozioni che hanno istaurato una connessione intensa con il pubblico.
Come emerso, per gli amatori è stato un viaggio, una scoperta, una liberazione, un nuovo metodo di conoscenza per il proprio corpo e quello degli altri.
Successivamente alla performance, sono stati presentati quattro cortometraggi di videodanza realizzati dai partecipanti del corso di videomaker. Le riprese sono state registrate in diversi luoghi: liceo A. Musco di Librino, Scenario Pubblico, Metropolitana di Catania, Palestra LUPo. I primi due lavori proiettati sono stati concepiti come brevi documentari del progetto stesso e sono stati realizzati durante il primo anno. I secondi, invece, sono stati due cortometraggi di fiction ideati e prodotti durante il secondo anno.


Il progetto I linguaggi del corpo oltre le barriere ha coinvolto il gruppo amatori, il liceo coreutico A. Musco, il liceo Turrisi Colonna, l’associazione Prospettiva, il centro di prima accoglienza ‘Il Nodo’, Save the Children, ‘Penelope’ casa delle donne. Tutti i partecipanti hanno avuto la possibilità di frequentare i laboratori tenuti dai coordinatori e di partecipare a incontri con ospiti tra cui: D Ilenia Romano A Claudia Rossi Valli N Sonia Mingo Z Annalisa Di Lanno A e i danzatori della Compagnia Zappalà Danza, V Lucia Carolina De Rienzo (COORPI), I Enrico Coffetti (CRO.ME), D Marco Longo, E Paolo Favaro, O Nello Calabrò.
A seguire, alle 21.30, nella Black Box è andato in scena Viva la mamma di Gioia Maria Morisco, coreografa, drammaturga ed ex danzatrice della Compagnia Zappalà Danza.
Come si può dedurre dal titolo è stata la maternità il tema principale. Un quadro chiaro che ha rappresentato ogni sfaccettatura della figura materna, miscelando forza, rabbia, felicità e sana follia che contraddistinguono la vita di tutti i giorni della donna-madre.

La danzatrice ha saputo coinvolgere il pubblico, con l'estrema verità dell'azione in termini espressivi e coreografici, con una spontaneità così naturale da abbattere, sin da subito, la parete tra l'interprete e lo spettatore.
Morisco ha installato la situazione-tipo di una mamma occupata a prendersi cura del figlio. I suoi comportamenti sono stati talmente reali da rendere quasi visibile il figlio immaginario. Con ironia, tra pianti e risa, la partitura fisica ha davvero colpito il pubblico immerso in un’atmosfera tragicomica.
L'ironia è stata elemento base di tutta la rappresentazione per designare lo staccamento dallo stereotipo di donna-madre e di presentare, al contrario, quello di un corpo bisognoso, felice e stremato.
Viva la mamma, andando alla ricerca di spazi più nascosti della gravidanza e della maternità, ha indagato ogni possibile peculiarità, dipingendo la solitudine femminile tra disperazione e felicità.
Il #FICFest continua oggi, 12 maggio, con i seguenti appuntamenti:
h. 17 - Lecture (a cura di Toula Limnaios, Ralf R. Ollertz, presso White Box di Scenario Pubblico). h.19 - Female escape (a cura di Collettivo SicilyMade, presso Scenario Lab). h. 20.45 - Magie, trucchi, fanciulle spiritate e altri rimedi contro il malcontento dilagante (a cura di Emanuele Coco, presso Scenario Pubblico).
Credits Redattore: Shamira Renzi Reporter: Maryterry Rizzi, Martina Giglione Media: Ania Kaczmarska, Martina Giglione Revisione: Sofia Bordieri
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Launched in 2021 and concluded in 2023, The Languages of the Body, coordinated by Luca Recupero, aimed to give youth a voice through creativity to foster social inclusion and integration. One track of activities used contemporary dance, through workshops coordinated by Silvia Oteri and Marta Greco. Movement was used as the communicative tool, capable of connecting bodies and breaking down language and cultural barriers. Parallel to the various movement workshops, a course for dance “videomakers” was launched, coordinated by Laura Schillirò and Riccardo Napoli, involving numerous young people from the area.
The presentation was opened by a performance that brought to the stage the experiences lived during the workshops that took place during the past two years. The protagonists were amateurs coming from one of the project group’s, who performed using both body and voice. The opening action was, in fact, the text recited by two participants: thoughts and emotions that established an intense connection with the audience.
As it turned out, for the amateurs it was a journey, a discovery, a liberation, a new method of knowledge for their own bodies as well as the others.
Following the performance, four short video dance films made by the participants of the videomakers course were presented. The projects were recorded in different locations: high school A. Musco in Librino, Scenario Pubblico, Catania Subway, Palestra LUPo. The first two works were presented as short documentaries of the project itself and were made during the first year. The second, on the other hand, were two short fiction films conceived and produced during the second year.
Project The Languages of the Body Beyond Barriers involved the amateur group, A. Musco Choreographic High School, Turrisi Colonna High School, Prospettiva Association, 'Il Nodo' first reception center, Save the Children, 'Penelope' women's home. All participants had the opportunity to attend workshops held by the coordinators and participate in meetings with guests including:
D Ilenia Romano A Claudia Rossi Valli N Sonia Mingo C Annalisa Di Lanno E and the dancers of Compagnia Zappalà Danza,
V Lucia Carolina De Rienzo (COORPI), I Enrico Coffetti (CRO.ME), D Marco Longo, E Paolo Favaro, O Nello Calabrò.
Moving forward, at 9:30 p.m., we could watch in the Black Box Viva la mamma by Gioia Maria Morisco, choreographer, playwright and�� a former dancer with Compagnia Zappalà Danza.
As can be guessed from the title, motherhood was the main theme. A clear picture portraying every aspect of the mother figure, mixing strength, anger, happiness and healthy madness that mark the everyday life of the woman-mother.
The dancer was able to engage the audience, with the extreme truth of the action in terms of expression and choreography- a spontaneity so natural, that from the very beginning she broke down the wall between performer and spectator.
Morisco presented the typical situation of a busy mother taking care of her child. Her behaviors were so real that the imaginary child was almost visible. With irony, between tears and laughter, the physical score really struck the audience, introducing a tragicomic atmosphere.
Irony was the basic element of the whole performance in order to show the detachment from the stereotype of woman-mother and to present, on the contrary, a body that is needy, happy, but also exhausted.
Viva la mamma investigated the most profound spaces of pregnancy and motherhood, focusing on every possible feature and portraying the female loneliness between despair and happiness.
The #FICFest continues today, on the 9th of May with the following events:
h. 17 - Lecture (presented by Toula Limnaios, Ralf R. Ollertz, in White Box, Scenario Pubblico).
h.19 - Female escape (presented by Collettivo SicilyMade, in Scenario Lab).
Credits Redaction: Shamira Renzi Reporter: Maryterry Rizzi, Martina Giglione Media: Ania Kaczmarska, Martina Giglione Text revision: Sofia Bordieri Translation: Ania Kaczmarska
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