#metafora del tempo
Explore tagged Tumblr posts
pier-carlo-universe · 1 month ago
Text
Le anime nude di Rita Frasca Odorizzi: un viaggio poetico tra tempo, amore e fragilità. Recensione di Alessandria today
Una poesia intensa che esplora la lotta con il tempo e il legame indissolubile tra due anime.
Una poesia intensa che esplora la lotta con il tempo e il legame indissolubile tra due anime. Analisi della poesia.La poesia Le anime nude di Rita Frasca Odorizzi è un’opera delicata e intensa, che racconta con profondità il conflitto con il tempo e l’incedere della vita. Attraverso un linguaggio evocativo e immagini suggestive, l’autrice esplora i temi della fragilità umana, del dolore, della…
0 notes
kon-igi · 18 hours ago
Text
LA SCATOLA DEL DOLORE
Non basta essere appassionati di qualcosa per diventare automaticamente dei professionisti specializzati, altrimenti il mondo sarebbe pieno di ginecologi e androloghe e infatti per ciò che riguarda il dolore e la sofferenza io non mi ritengo né esperto né professionista, però dopo tanti anni passati a calpestare questa bella terra in balia di mie e altrui fortune altalenanti, posso perlomeno affermare che in genere, se ne parlo, è perché so di cosa parlo.
Esistono differenti tipi di dolore e altrettante differenze scatenanti ma da che ho memoria ho sempre visto entrare nella mia vecchia casa a Viareggio persone con le lacrime agli occhi e poi uscirne, se non proprio sorridenti, perlomeno più serene.
Il fatto è che nella quasi totalità dei casi si trattava di madri e di padri che avevano perso i propri figli e le proprie figlie, genitori desiderosi di chiedere ai propri cari se Oltre ci fosse ancora sofferenza o invece la pace e la serenità che si auguravano.
Mio papà e mia mamma sono stati per la quasi totalità delle proprie vite Mulder e Scully de'noantri, però al contrario: mia mamma vedeva gli spiriti e ci parlava e mio papà scacciava infastidito i negromanti che conficcavano spille nelle loro bamboline per vendicarsi che gli rubavano il lavoro e pure gratis.
Nessun giovane spirito, però, ha mai parlato ai propri genitori - più grande è il dolore meno possibilità ci sono di attingere alle emanazioni della Cosa Una - invece queste madri e questi padri disperati hanno ritrovato una quiete interiore parlando non di chi è andato oltre ma di chi è rimasto.
Io sono forte con i dolori che conosco e assolutamente impreparato e fragile anche solo a pensare al dolore che non è ma che potrebbe essere. Anzi, che per forza di cose sarà.
Che cos'è, allora, la scatola del dolore?
Si tratta di una serie di espressioni emotive che ho incontrato in questi ultimi anni e che ho voluto fissare in una metafora visiva.
Noi siamo scatole, contenitori viventi delle più variegate emozioni che si agitano ad ogni nostro agire, sbattendo contro il nostro cuore e risuonandoci dentro.
Quando subiamo il lutto di una persona a noi cara, diventiamo contenitori di un'unica emozione, enorme, ingombrante e onnipresente: il dolore.
Immaginate il dolore come una palla rossa che a ogni nostro movimento sbatte contro il cuore e ci rimbomba dentro di sofferenza e disperazione. Apriamo gli occhi al mattino e ZAC! una coltellata al cuore, saliamo in macchina e ZAC!, apriamo la porta di casa ZAC! e così in ogni aspetto della nostra vita.
Poi un giorno succede qualcosa di strano... apri gli occhi al mattino e la coltellata non arriva: la palla rossa del dolore non ha colpito il cuore ma... c'è ancora! Rimbalza ovunque ma non tutti i movimenti la fanno sbattere là dove fa più male.
Ma... la palla del dolore si è forse rimpicciolita?
Non sembra sia più piccola, solo che colpisce meno frequentemente il cuore e col passare del tempo la sua capacità di ferire sembra diventare sempre più rara.
No, non è più piccola... è diventata più grande la scatola.
La persona è cresciuta intorno a quel dolore, lo ha accettato, compreso e lo ha reso più piccolo del posto in cui all'inizio esso sembrava spingere e spadroneggiare.
Non lo ha dimenticato, non lo ha seppellito, non è fuggita ma vi è cresciuta faticosamente intorno, fino a che il suo flebile manifestarsi non si è presentato come una piccola fitta di nostalgia velata di sorriso stanco.
Questo è il dolore, quando troviamo la forza di abbracciarlo e comprenderne le oscure motivazioni, perché oltre la cortina di pioggia del rimpianto e del desiderio di non sentire più, la via prosegue senza fine e i nostri sogni appartengono già al domani.
P.S.
Se il vostro dolore sembra essere troppo grande e la vostra scatola troppo piccola, cercatemi su telegram come kon_igi... magari non parleremo con gli spiriti ma vi posso assicurare che se avrete bisogno, cercherò di arrivare alla prima luce del quinto giorno. Quindi all'alba guardate ad Est! ❤️
61 notes · View notes
parolerandagie · 3 months ago
Text
Come quando entri in un cesso di quelli pubblici e d’improvviso s’accende la luce, che c’è un sensore attivato dal movimento o dalla porta, e tu ti accomodi a fare le tue cose in sto posto dove già altri hanno fatto le loro, e badi ai fatti tuoi, e poi d’improvviso la luce si spegne, come a dirti che il tuo tempo lì è scaduto. Ecco, a me questa cosa pare una bastantemente veritiera metafora della vita, della morte e del venire al mondo. La parte del cesso, soprattutto.
33 notes · View notes
der-papero · 18 days ago
Text
Ritornato in terra straniera, puntuale come una colite post-zuppone, arriva l'appucundria pinodanielesca, che in questi giorni si è sommata ad un resoconto del mio 2024 fatto quasi ogni notte, visto che delle mie 8 ore standard ne dormivo sempre 4.
E' stato un anno un bel po' infame, ad essere sinceri, e mi ha ricordato tanto la pasta e ceci della mamma. Se Gump diceva che la vita è una scatola di cioccolatini, eh, la mia è una pasta e ceci. La pasta e ceci mi fa cagare, e nonostante la mia mamma fosse consapevole e sicura al 100% che non l'avrei mangiata, puntualmente me la faceva, così, pe' cazzimm. Posso dire che quelli del Leone mi stanno abbastanza sul cazzo.
Detta fuori da ogni metafora, mi ha dato tutto quello che non stavo cercando e mi ha tolto tutto quello che volevo avere o conservare. Aver perso una di quelle persone che metti sulle dita di una singola mano ti fa ripensare parecchio a quanto possano essere sinceri i tuoi legami, per poi finire a tirare su talmente la soglia dello sbarramento da non lasciare più passare nessuno, ho perso poi un'altra possibilità che mi ero dato, il bello è che se ne è andata pure affanculo da sola (ma solo ad un coglione della mia risma possono capitare questi lussi), ho perso una opportunità di lavoro che avevo faticosamente costruito, ho perso la mia Meggie (vabbè, questo lo si sapeva già 4 anni fa, ma lo metto comunque perché fa numero), ho perso momenti che, col senno di poi, erano più falsi di una banconota da 30 euro, però se il benzinaio se la piglia è comunque tutto grasso che cola.
E quindi niente, ho provato pure ad incazzarmici, ma non ci sono riuscito, quest'anno ho perso pure la capacità di rimuginare sulle cose. Detta così sembra una cosa positiva, ma per un Cancro vuol dire perdere un pezzo di sé.
Oh, mo' questo non c'entra niente, però poi ho pure pensato "ma lo scrivo o non lo scrivo?", è da un po' che non faccio post di questo tipo, dopo anni di blog mi sarei anche un po' rotto di lagnarmi a vuoto e sperare di trovare qui chissà cosa, ma poi ho pensato che, se non le dico qui queste cose, a chi cazz le dico? Per raccontare come mi sento serve che chi mi ascolta abbia un'empatia che ho trovato in una persona sola nella mia vita, e, giusto per non farci mancare nulla, vive a 1500 km da me e, anche con tutta la buona volontà del mondo, il tempo è quello che è, e allora rompo le palle qui, il bello è non sapere mai che faccia state facendo mentre lo leggete e, come diceva quello, l'ignoranza l'ingrediente principale della felicità (non la ciucciaggine, chell è n'ata cos).
48 notes · View notes
mucillo · 19 days ago
Text
Scrive Milan Kundera nel romanzo Elogio della lentezza:
Tumblr media
Perché è scomparso il piacere della lentezza? Dove mai sono finiti i perdigiorno di un tempo? Dove sono quegli eroi sfaccendati delle canzoni popolari, quei vagabondi che vanno a zonzo da un mulino all’altro e dormono sotto le stelle? Sono scomparsi insieme ai sentieri tra i campi, insieme ai prati e alle radure, insieme alla natura? Un proverbio ceco definisce il loro placido ozio con una metafora: essi contemplano le finestre del buon Dio. Chi contempla le finestre del buon Dio non si annoia; è felice. Nel nostro mondo, l’ozio è diventato inattività, che è tutt’altra cosa: chi è inattivo è frustrato, si annoia, è costantemente alla ricerca del movimento che gli manca».
13 notes · View notes
canesenzafissadimora · 11 days ago
Text
Oggi la si chiama "resilienza", una volta la si chiamava "forza d´animo", Platone la nominava "tymoidés" e indicava la sua sede nel cuore.
Il cuore è l´espressione metaforica del "sentimento", una parola dove ancora risuona la platonica "tymoidés".Il sentimento non è languore, non è malcelata malinconia, non è struggimento dell´anima, non è sconsolato abbandono. Il sentimento è forza. Quella forza che riconosciamo al fondo di ogni decisione quando, dopo aver analizzato tutti i pro e i contro che le argomentazioni razionali dispiegano, si decide, perché in una scelta piuttosto che in un´altra ci si sente a casa. E guai a imboccare, per convenienza o per debolezza, una scelta che non è la nostra, guai a essere stranieri nella propria vita.
La forza d´animo, che è poi la forza del sentimento, ci difende da questa estraneità, ci fa sentire a casa, presso di noi. Qui è la salute. Una sorta di coincidenza di noi con noi stessi, che ci evita tutti quegli "altrove" della vita che non ci appartengono e che spesso imbocchiamo perché altri, da cui pensiamo dipenda la nostra vita, semplicemente ce lo chiedono, e noi non sappiamo dire di no. Il bisogno di essere accettati e il desiderio di essere amati ci fanno percorrere strade che il nostro sentimento ci fa avvertire come non nostre, e così l´animo si indebolisce e si ripiega su se stesso nell´inutile fatica di compiacere agli altri. Alla fine l´anima si ammala, perché la malattia, lo sappiamo tutti, è una metafora, la metafora della devianza dal sentiero della nostra vita. Bisogna essere se stessi, assolutamente se stessi.
Questa è la forza d´animo. Ma per essere se stessi occorre accogliere a braccia aperte la nostra ombra. Che è poi ciò che di noi stessi rifiutiamo.
Quella parte oscura che, quando qualcuno ce la sfiora, ci sentiamo "punti nel vivo". Perché l´ombra è viva e vuole essere accolta. Anche un quadro senza ombra non ci dà le sue figure. Accolta, l´ombra cede la sua forza.
Cessa la guerra tra noi e noi stessi. Siamo in grado di dire a noi stessi:
"Ebbene sì, sono anche questo". Ed è la pace così raggiunta a darci la forza d´animo e la capacità di guardare in faccia il dolore senza illusorie vie di fuga.
"Tutto quello che non mi fa morire, mi rende più forte", scrive Nietzsche.
Ma allora bisogna attraversare e non evitare le terre seminate di dolore.
Quello proprio, quello altrui. Perché il dolore appartiene alla vita allo stesso titolo della felicità. Non il dolore come caparra della vita eterna, ma il dolore come inevitabile contrappunto della vita, come fatica del quotidiano, come oscurità dello sguardo che non vede via d´uscita. Eppure la cerca, perché sa che il buio della notte non è l´unico colore del cielo.
Di forza d´animo abbiamo bisogno soprattutto oggi perché non siamo più sostenuti da una tradizione, perché si sono rotte le tavole dove erano incise le leggi della morale, perché si è smarrito il senso dell´esistenza e incerta s´è fatta la sua direzione. La storia non racconta più la vita dei nostri padri, e la parola che rivolgiamo ai figli è insicura e incerta.
Gli sguardi si incontrano solo per evitarsi. Siamo persino riconoscenti al ritmo del lavoro settimanale che giustifica l´abituale lontananza dalla nostra vita. E a quel lavoro ci attacchiamo come naufraghi che attendono qualcosa o qualcuno che li traghetti, perché il mare è minaccioso, anche quando il suo aspetto è trasognato.
Passiamo così il tempo della nostra vita, senza sentimento, senza nobiltà, confusi tra i piccoli uomini a cui basta, secondo Nietzsche: "Una vogliuzza per il giorno, una vogliuzza per la notte, fermo restando la salute".
Perché ormai della vita abbiamo solo una concezione quantitativa. Vivere a lungo è diventato il nostro ideale. Il "come" non ci riguarda più, perché il contatto con noi stessi s´è perso nel rumore del mondo.
Passioncelle generiche sfiorano le nostre anime assopite. Ma non le risvegliano. Non hanno forza. Sono state acquietate da quell´ideale di vita che viene spacciato per equilibrio, buona educazione. E invece è sonno, dimenticanza di sé. Nulla del coraggio del navigante che, lasciata la terra che era solo terra di protezione, non si lascia prendere dalla nostalgia, ma incoraggia il suo cuore. Il cuore non come languido contraltare della ragione, ma come sua forza, sua animazione, affinché le idee divengano attive e facciano storia. Una storia più soddisfacente.
Umberto Galimberti
9 notes · View notes
fashionbooksmilano · 3 months ago
Text
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
1927 Il ritorno in Italia
Salvatore Ferragamo e la cultura visiva del 900
a cura di Stefania Ricci e Carlo Sisi
Skira, Milano 2017, Museo Salvatore Ferragamo Firenze, 512 pagine, 24x28cm, ISBN 978-88-572-3568-4
euro 35,00
email if you want to buy [email protected]
Mostra Palazzo Spini Feroni, Firenze 19 maggio 2017-5 maggio 2018
Nel 2017 ricorrono novant'anni dal ritorno di Salvatore Ferragamo in Italia, nel 1927, dopo dodici anni trascorsi negli Stati Uniti. In occasione di questo anniversario, il Museo Salvatore Ferragamo ha ideato un progetto espositivo che si apre a una panoramica sull’Italia degli anni Venti, decennio al quale oggi guardiamo come una vera fucina di idee e di sperimentazioni condotte con mente aperta e scevra da pregiudizi o condizionamenti ideologici. Ferragamo scelse di stabilirsi a Firenze in virtù della sua riconosciuta centralità nella geografia del gusto e dello stile nazionali in un momento storico scandito da molti ritorni: ritorno all’ordine, al mestiere, alla grande tradizione nazionale. La mostra narra proprio di questo attraversamento nella cultura del tempo, sviluppandolo per capitoli come un romanzo di formazione. Fil rouge del percorso espositivo curato da Carlo Sisi è il viaggio in transatlantico che Ferragamo compie per tornare in Italia, inteso come metafora del suo itinerario mentale attraverso la cultura visiva dell’Italia degli anni Venti, da cui estrae le tematiche e le opere che influenzarono, in maniera diretta o indiretta, la sua officina poetica; senza trascurare nessuno degli aspetti culturali e sociali che contraddistinsero la rinascita civile del primo dopoguerra, alla vigilia dell’autoritaria affermazione del regime fascista.
08/11/24
10 notes · View notes
altrovemanonqui · 10 days ago
Text
Tumblr media
Ho ripreso in mano questo libro.
Le imprese di un folle idealista e del fedele scudiero, che si differenzia dal padrone per un tenace e materialistico buon senso.
Le illusioni (intrise di saggezza) di cui si nutre Don Chisciotte non sono altro che metafora di tutte le debolezze proprie dell’animo umano, che non vanno affatto derise o ripudiate, ma accettate e guardate con tenerezza.
Emblema di ogni uomo che non appartiene al proprio tempo, Don Chisciotte, si nutre di un’idea, di una convinzione, non importa se fondata o meno, e dell’amore che prova per essa.
Forse è questo a renderlo immortale.
Un libro che andrebbe riletto…per ricordarci che in fondo quei “mulini a vento” sono solo una piccola, minima parte di un viaggio più ampio e complesso…
8 notes · View notes
angelap3 · 9 months ago
Text
Tumblr media
La leggenda del Soffione 🥀
"Secondo una leggenda irlandese, la corolla del soffione è la dimora delle fate, un tempo erano libere di scorrazzare nei prati. Quando la terra era abitata solo da gnomi, elfi e fate, queste creature vivevano liberamente nella natura. L’arrivo dell’uomo li costrinse a rifugiarsi nei boschi. Ma le fate avevano dei vestiti troppo sgargianti per riuscire a mimetizzarsi con l’ambiente circostante.
Per questo motivo, furono costrette a trasformarsi in denti di leone, mantenendo però la loro fierezza. Anche se calpestato dall’uomo,infatti, il soffione torna sempre in posizione eretta!
Il significato 🥀
Nel linguaggio dei fiori, il soffione simboleggia la forza, la speranza e la fiducia. È inoltre legato all’idea del distacco e del viaggio. Questo perché inizialmente i semi sono legati al pappo, la loro appendice soffice, e sembra non vogliano staccarsene; poi si lasciano trasportare dal vento, dapprima timorosi, poi sempre più impavidi, pronti a intraprendere un nuovo viaggio, a sperimentare nuove avventure. Superata la paura iniziale, si lasciano andare al flusso della vita, curiosi di nuove scoperte, pronti a generare nuova vita.
Il loro percorso rappresenta una metafora perfetta della vita: per poter fiorire, ciascuno deve staccarsi dalla propria origine, affrontando il proprio viaggio senza paura, pronto a lottare contro le intemperie e a cogliere ogni opportunità." 🥀
29 notes · View notes
winckler · 6 months ago
Text
«Un giorno gli ateniesi inviarono a Delfi degli ambasciatori per chiedere al famoso oracolo quali riti scari avrebbero dovuto essere conservati e quali no. L’oracolo rispose: «quelli conformi ai costumi degli antenati». Gli ateniesi se ne andarono, ma non soddisfatti, ritornarono dall’oracolo dicendogli che i costumi erano mutati più volte nel tempo: a quali avrebbero dovuto attenersi? Il vecchio saggio rispose: «al migliore». Una risposta che ci fa comprendere come non esista una vera e assoluta tradizione e che il rifarsi al passato comporta invece una scelta tra le molte cose che esso mette a disposizione». [...]
«La metafora delle radici diventa così ingannevole, perché presuppone tipicità, stanzialità e mancanza di scambio. L’idea delle radici rimanda a quella di purezza e di autoctonia, su cui si finisce per fondare una concezione della società che non può che essere discriminatoria: “hai dei diritti solo se sei nato qui”, una aberrazione giuridica che si basa su ciò che si è e non su ciò che si fa».
Marco Aime - Doppiozero
10 notes · View notes
pier-carlo-universe · 3 months ago
Text
Smarrimento di Antonia Pozzi: La Perdita del Tempo e dell’Orientamento Interiore. Una riflessione poetica sulla sospensione temporale e l’incertezza emotiva, firmata da una delle voci più intense della poesia italiana
Smarrimento, scritto il 21 febbraio 1935, è un componimento che esprime con straordinaria profondità il senso di disorientamento e di perdita interiore.
Smarrimento, scritto il 21 febbraio 1935, è un componimento che esprime con straordinaria profondità il senso di disorientamento e di perdita interiore. In pochi versi, Antonia Pozzi cattura la sensazione di uno scorrere del tempo alterato, che appare sospeso e interrotto, lasciando chi osserva in un limbo di incertezza e smarrimento. Attraverso l’immagine dell’orologio fermo e dei passeri che…
0 notes
kon-igi · 1 year ago
Text
IL CANALE DEL DOLORE
È un argomento molto difficile da trattare per me, anzi, lo era fino a oggi pomeriggio, quando sono riuscito a trovare una metafora per definire il mio stato d'animo... stavo guidando, ho tirato fuori una penna dalla borsa e mi sono scribacchiato sul polso il titolo che avete letto là in alto, giusto per non dimenticare l'immagine che mi era apparsa.
Non credo proprio di soffrire di depressione (non rispetto i criteri maggiori), magari qualcosa di più simile a una pseudo-ciclotimia ma, vedete, potrei anche sbagliarmi però ho come l'impressione che le persone dividano le loro esperienze in positive e negative: da una parte le cose che le hanno fatte stare bene e che, se perseguite, continuano a far stare bene e dall'altra quelle negative, esperite nel passato e da evitare nel futuro.
Sbaglio nel pensare questo? Me lo confermate?
Ecco... per me funziona in modo completamente differente.
Io ho vissuto esperienze e basta, se percepite poi positive o negative dipende dalla mia vicinanza al Canale del Dolore.
Prendete la mia gattina Minou, che ci è stata accanto per tanti anni, fin dalla nascita di Figlia Grande.
Se percorro la mia vita nel verde paesaggio del mondo posso ricordarne con gioia i bei momenti condivisi assieme - quando la allattavo minuscola e miagolante, quando dal tavolo ha rubato un pollo arrosto intero più grande di lei e quando Figlia Grande divideva con lei i biscotti plasmon sul seggiolone. Poi però imbocco il viale di ghiaia che costeggia il canale del dolore e comincio a provare nostalgia - le zampate di fango che ancora resistono sotto al davanzale della finestra da cui entrava, il collarino viola che sbuca fuori da un cassetto - e poi comincio a camminare sugli argini del canale, dove mi prende la tristezza del vuoto che ha lasciato, di come forse avrei dovuto accarezzarla di più, di come a volte la sogno e sono pieno di gioia che sia tornata ma poi mi sveglio con le guance umide.
E infine cado nel canale del dolore, dove riconosco le mie colpe e ciò che avrei potuto fare e non ho fatto.
Intendiamoci, non succede sempre e soprattutto non succede per ogni cosa che ho vissuto ma il cammino è sempre potenzialmente quello.
Per dire, ho vissuto cose estremamente negative e mi basta riuscire a stare lontano da quel canale, nel verde della foresta del mondo, per riuscire comunque a evocare un ricordo di quello che di bello sono riuscito a tirare comunque fuori da esse.
Vi dirò, forse il trucco è camminare sul bordo di quel viale di ghiaia, attingendo alla malinconia per farmi più consapevole del tempo che scorre in una sola direzione e nel contempo non rimpiangere mai troppo ciò che non è più...
Però la vita è faticosa e in quel canale giacciono troppi nomi e troppi istanti perché il mio passo sia sempre fermo e dritto.
E fa male che il dolore nel caderci dentro offuschi i bei ricordi.
Vabbe'... stasera va così ma sono sicuro che domani qualcuno mi confermerà che c'è davvero del buono in questo mondo e che è giusto combattere per questo, quindi tranquilli <3
104 notes · View notes
crazy-so-na-sega · 6 months ago
Text
l'Eterno e il Tempo
Tumblr media
Uno sguardo sul futuro non può prescindere da una riflessione sul tempo. Nella Grecia antica, ad esempio, ci sono tre figure che rappresentano il tempo:
una è Aion, l’eone, il tempo eterno;
l’altra è Chronos, il tempo che scorre, misurato, che divora l’esistenza.
e poi c’è il Kairos, l’opportunità.
Aiòn, "tempo" in greco antico connesso etimologicamente con l’avverbio aèi "sempre”. Un tempo inteso come eternità, come "sempre essente", distinto dal tempo "chrònos" e dal tempo "kairòs".
Rappresentato nelle fonti antiche, letterarie e iconografiche, come un fanciullo o un ragazzo, con il cerchio dello zodiaco (o un serpente) avvolto intorno al corpo. Eraclito scrive: "Aiòn è un bambino che gioca con le tessere di una scacchiera: di un bambino è il regno del mondo". Con Aiòn si allude alla vita come durata, nelle intermittenze e anacronie dell’esistenza personale. Si tratta di una distinzione in parte assimilabile a quella introdotta da Henri Bergson tra tempo della fisica, quantitativo e calcolabile, e durata, dimensione della coscienza irriducibile a qualsiasi logica sommativa e lineare.
Chrònos "tempo" in greco antico inteso come successione di istanti, di ore, di giorni, tempo che rovina e distrugge.
Già nelle fonti letterarie e iconografiche ellenistiche gli attributi mortiferi e distruttivi del tempo-chronos, vengono confusi con gli attributi del dio Kronos, che nel mito divora i suoi figli, ma viene poi ingannato ed evirato dal figlio Zeus. In particolare l’attributo del falcetto, strumento della mietitura e metafora della ciclica rinascita delle messi, passa dalla divinità sincretica Saturno-Kronos al Tempo-Chronos, la cui iconografia andrà sempre più identificandosi con quella della Morte. Kaìros in greco significa "momento opportuno". Questa parola si riferisce al tempo e in special modo intende al "momento fra", cioè quel determinato periodo di tempo in cui interverrà qualcosa che cambierà lo stato attuale delle cose. Si può tradurre come momento propizio, opportunità.
Da notare che su una delle colonne di Delfi, i sette sapienti avevano fatto incidere la massima “kairòn gnôthi" riconosci il momento giusto. Kairos, l’Opportunità, viene interpretato come un fanciullo alato con i capelli lunghi caduti sulle spalle davanti, ma calvo dietro, come a dire che quando il momento favorevole è passato, esso non può essere preso all’ultimo istante per i capelli. Che ora è? Che anno è? L’orologio e il calendario indicano un tempo che ci domina. Egli è Chronos, che ci dà una cifra convenzionale, senza comunicazione con le leggi della natura.
Ma se ci chiediamo: -Che cosa avviene?- ci interroghiamo e scopriamo se è " il tempo opportuno " dei rapporti continui, seppure inavvertiti dalla maggioranza degli uomini, che intercorrono tra il microcosmo e il macrocosmo. Kairos è un tempo rivelatore, ci svela il senso, l’importanza dell’ora che volge, ci suggerisce il mistero della reazione a catena che collega le cause agli effetti, il prima al dopo, che immette l’uomo nel cosmo ed il cosmo nell’uomo, ci rende consapevoli del fatto che tutto è interconnesso. Nel tempo di Kaìros occorre essere aperti per poter cogliere un momento di rottura che precipita la possibilità di mettere in atto ciò che si è preparato. Sta a noi lavorare per cogliere quell'attimo. Carpe diem, direbbe Orazio. Lo stesso fa la cuoca, se sa cogliere l'attimo in cui i suoi piatti, nel forno, son cotti a puntino; lo stesso fa chi governa una barca, se vira al momento opportuno e nel senso giusto e alza o ammaina le vele, lo stesso il pilota che deve sapere quali comandi e in che momento usarli per decollare sollevarsi accelerare, atterrare; l'atleta, se a tempo debito e con la dovuta forza lancia il disco, scocca la freccia, incalza o molla l'avversario, lo stesso il medico, se dosa il farmaco e il punto e la profondità dell'incisione che va praticando.
E il politico che deve conoscere quali provvedimenti faranno il bene del Paese in quel momento storico- economico; l’insegnante che sa quali saperi al momento opportuno e quali competenze sviluppare nel discente con una progettazione adeguata e misurata sull’allievo. Non per caso la più bella immagine di Kairòs, l'istante topico, l'occasione, o l'attimo fortunato, trovata a Traù, nell'attuale Croazia, era forse posta all'ingresso d'uno stadio. Il bassorilievo raffigura un giovane con le ali ai piedi, recante in mano una bilancia posta in equilibrio su un rasoio e, soprattutto, con un gran ciuffo di capelli sulla fronte, ma la nuca rasata. Se sarà passato oltre non sarà più possibile afferrarlo. Sta a noi prevenirne i movimenti e la fuga, sta a noi, in una serie di attimi, scovare, cogliere, afferrare quell'unico frammento di tempo in cui saremo a tempo perfetto con l'armonia cosmica. Comprendere, agire ed operare bene, godere, essere felici: sforzarci e faticare per tutto questo e poi, con semplicità e facilità inattese, riuscire ed uscire dal tempo, dall'indifferenza infinita e divorante di Chrònos, guadagnare, sia pur solo per quell'attimo, il tempo adatto a noi, nella perfezione di ciò che la nostra natura poteva compiere e che di fatto ha saputo compiere.
Così Rainer Maria Rilke dice dell Kairòs greco antico: “E a un tratto, in questo faticoso nessun dove, a un tratto, / l'indicibile punto, dove quel ch'era sempre troppo poco, / inconcepibilmente si trasmuta, salta / in un troppo, vuoto. Dove il conto a tante poste / si chiude senza numeri”.
Dentro un Chrònos infinito e inesorabile, un Kairòs unico, capace dunque, se colto opportunamente, di renderci, per quell'attimo e per sempre, eterni.
-C. D'Eramo
10 notes · View notes
unpensieroallavolta · 5 months ago
Text
L'etica dell'uomo che torna alla caverna
Il mito della caverna di Platone è una potente allegoria della conoscenza e della verità, ma nasconde anche una profonda riflessione sull'etica. L'uomo che riesce a uscire dalla caverna, scoprendo la verità al di là delle ombre, affronta un dilemma morale cruciale: tornare nella caverna per liberare gli altri o rimanere fuori, godendo della sua nuova comprensione del mondo?
Platone suggerisce che chi conosce il Bene è moralmente obbligato a condividerlo. La vera conoscenza trasforma l'individuo, rendendolo incapace di ignorare il bisogno degli altri di essere liberati dall'ignoranza. Il filosofo, in questo contesto, non solo possiede la verità, ma è anche eticamente vincolato a guidare gli altri verso di essa. Tuttavia, questo compito non è privo di rischi: chi cerca di illuminare coloro che sono ancora intrappolati nelle ombre può incontrare resistenza, incomprensione o persino ostilità. Il ritorno alla caverna diventa quindi un atto di altruismo, un sacrificio personale per il bene comune.
L'innocenza di coloro che non ne sono mai usciti
Coloro che rimangono nella caverna, osservando solo ombre e riflessi, vivono in una condizione di innocenza. Essi non sono colpevoli della loro ignoranza; la loro realtà è tutto ciò che conoscono. Per Platone, questa innocenza non è però una condizione positiva, ma una limitazione che impedisce all'individuo di raggiungere il suo pieno potenziale. Tuttavia, non possiamo condannare chi non ha mai visto la luce per non averla cercata: la loro condizione è il risultato delle circostanze e non di una scelta consapevole.
Questa innocenza comporta anche una resistenza naturale al cambiamento. Quando l'uomo liberato torna nella caverna per condividere la verità, incontra spesso scetticismo e paura. La familiarità delle ombre è più rassicurante della sconosciuta realtà al di fuori della caverna. Comprendere questa innocenza significa riconoscere che la strada verso la conoscenza non è lineare né semplice, e che l'ignoranza è spesso protetta da barriere psicologiche ed emotive che richiedono pazienza e comprensione per essere superate.
La complessità dell'istruzione di coloro che non conoscono
L'educazione di coloro che sono ancora nella caverna è un'impresa complessa e delicata. Non si tratta semplicemente di fornire informazioni o di rivelare una verità preconfezionata. Il vero compito dell'educatore, secondo Platone, è guidare gli altri lungo un percorso di scoperta personale, aiutandoli a mettere in discussione le loro percezioni e a sviluppare una comprensione più profonda della realtà.
Questo processo richiede tempo, empatia e la capacità di adattarsi al ritmo dell'altro. L'educatore deve essere in grado di affrontare la resistenza iniziale e di creare un ambiente in cui l'apprendimento possa avvenire in modo naturale e volontario. Non tutti sono pronti a uscire dalla caverna allo stesso modo e allo stesso tempo. La complessità dell'istruzione sta proprio nel riconoscere e rispettare queste differenze, fornendo gli strumenti necessari affinché ogni individuo possa, alla fine, trovare la propria via verso la luce.
Il mito della caverna, quindi, non è solo una metafora della conoscenza, ma anche un potente invito a riflettere sull'etica dell'educazione e della liberazione dall'ignoranza. Il filosofo che torna nella caverna lo fa con un senso di responsabilità morale, consapevole della complessità del compito e dell'innocenza di coloro che ancora non conoscono. Il suo obiettivo non è solo quello di impartire la verità, ma di creare le condizioni affinché ciascuno possa scoprirla per sé, rispettando i tempi e i processi personali. In questo modo, la vera educazione diventa un atto di amore e di servizio verso l'umanità.
6 notes · View notes
diceriadelluntore · 10 months ago
Text
Brutti Climi
Oggi sulle Alpi nevica. Ad Aprile. Molti impianti sciistici hanno già comunicato di essere operativi fino al ponte del 25 Aprile. E già mi è capitato di leggere i soliti commenti di coloro che, secondo loro beffardamente, si chiedono "dove sia il riscaldamento globale".
Chiunque fa ancora queste battute, non sa di base la differenza tra meteo (la condizione temporanea di tempo atmosferico e temperature) e clima (l'insieme di tutti i fenomeni meteorologici e atmosferici che si verificano in un lasso di tempo molto, molto più lungo).
Uno dei più beffardi battutisti al riguardo è Donald Trump, che ogni volta che fa più freddo in qualche zona degli Stati Uniti ne fa a bizzeffe, spesso chiudendo con un "What the hell is going on with Global Waming? Please come back fast, we need you!"
Ad una di queste battuta, una volta il New York Times rispose con una metafora davvero beffarda, che sostiene:
Il meteo è simile alla quantità di soldi che hai nel portafogli oggi, mentre il clima è il tuo intero patrimonio. Un miliardario che ha dimenticato a casa per un giorno il portafoglio non è povero e allo stesso modo una persona povera che s’imbatte in qualche centinaio di dollari non diventa improvvisamente ricca. Ciò che conta è ciò che accade nel lungo periodo.
Dato che la metafora usa un concetto che è molto più sentito del clima, può darsi si capisca la differenza.
17 notes · View notes
canesenzafissadimora · 2 months ago
Text
Oggi la si chiama "resilienza", una volta la si chiamava "forza d´animo", Platone la nominava "tymoidés" e indicava la sua sede nel cuore.
Il cuore è l´espressione metaforica del "sentimento", una parola dove ancora risuona la platonica "tymoidés".Il sentimento non è languore, non è malcelata malinconia, non è struggimento dell´anima, non è sconsolato abbandono. Il sentimento è forza. Quella forza che riconosciamo al fondo di ogni decisione quando, dopo aver analizzato tutti i pro e i contro che le argomentazioni razionali dispiegano, si decide, perché in una scelta piuttosto che in un´altra ci si sente a casa. E guai a imboccare, per convenienza o per debolezza, una scelta che non è la nostra, guai a essere stranieri nella propria vita.
La forza d´animo, che è poi la forza del sentimento, ci difende da questa estraneità, ci fa sentire a casa, presso di noi. Qui è la salute. Una sorta di coincidenza di noi con noi stessi, che ci evita tutti quegli "altrove" della vita che non ci appartengono e che spesso imbocchiamo perché altri, da cui pensiamo dipenda la nostra vita, semplicemente ce lo chiedono, e noi non sappiamo dire di no.
Il bisogno di essere accettati e il desiderio di essere amati ci fanno percorrere strade che il nostro sentimento ci fa avvertire come non nostre, e così l´animo si indebolisce e si ripiega su se stesso nell´inutile fatica di compiacere agli altri. Alla fine l´anima si ammala, perché la malattia, lo sappiamo tutti, è una metafora, la metafora della devianza dal sentiero della nostra vita. Bisogna essere se stessi, assolutamente se stessi.
Questa è la forza d´animo. Ma per essere se stessi occorre accogliere a braccia aperte la nostra ombra. Che è poi ciò che di noi stessi rifiutiamo.
Quella parte oscura che, quando qualcuno ce la sfiora, ci sentiamo "punti nel vivo". Perché l´ombra è viva e vuole essere accolta. Anche un quadro senza ombra non ci dà le sue figure. Accolta, l´ombra cede la sua forza.
Cessa la guerra tra noi e noi stessi. Siamo in grado di dire a noi stessi:
"Ebbene sì, sono anche questo". Ed è la pace così raggiunta a darci la forza d´animo e la capacità di guardare in faccia il dolore senza illusorie vie di fuga.
"Tutto quello che non mi fa morire, mi rende più forte", scrive Nietzsche.
Ma allora bisogna attraversare e non evitare le terre seminate di dolore.
Quello proprio, quello altrui. Perché il dolore appartiene alla vita allo stesso titolo della felicità. Non il dolore come caparra della vita eterna, ma il dolore come inevitabile contrappunto della vita, come fatica del quotidiano, come oscurità dello sguardo che non vede via d´uscita. Eppure la cerca, perché sa che il buio della notte non è l´unico colore del cielo.
Di forza d´animo abbiamo bisogno soprattutto oggi perché non siamo più sostenuti da una tradizione, perché si sono rotte le tavole dove erano incise le leggi della morale, perché si è smarrito il senso dell´esistenza e incerta s´è fatta la sua direzione. La storia non racconta più la vita dei nostri padri, e la parola che rivolgiamo ai figli è insicura e incerta.
Gli sguardi si incontrano solo per evitarsi. Siamo persino riconoscenti al ritmo del lavoro settimanale che giustifica l´abituale lontananza dalla nostra vita. E a quel lavoro ci attacchiamo come naufraghi che attendono qualcosa o qualcuno che li traghetti, perché il mare è minaccioso, anche quando il suo aspetto è trasognato.
Passiamo così il tempo della nostra vita, senza sentimento, senza nobiltà, confusi tra i piccoli uomini a cui basta, secondo Nietzsche: "Una vogliuzza per il giorno, una vogliuzza per la notte, fermo restando la salute".
Perché ormai della vita abbiamo solo una concezione quantitativa. Vivere a lungo è diventato il nostro ideale. Il "come" non ci riguarda più, perché il contatto con noi stessi s´è perso nel rumore del mondo.
Passioncelle generiche sfiorano le nostre anime assopite. Ma non le risvegliano. Non hanno forza. Sono state acquietate da quell´ideale di vita che viene spacciato per equilibrio, buona educazione. E invece è sonno, dimenticanza di sé. Nulla del coraggio del navigante che, lasciata la terra che era solo terra di protezione, non si lascia prendere dalla nostalgia, ma incoraggia il suo cuore. Il cuore non come languido contraltare della ragione, ma come sua forza, sua animazione, affinché le idee divengano attive e facciano storia. Una storia più soddisfacente.
Umberto Galimberti
13 notes · View notes