#metafora del tempo
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Smarrimento di Antonia Pozzi: La Perdita del Tempo e dell’Orientamento Interiore. Una riflessione poetica sulla sospensione temporale e l’incertezza emotiva, firmata da una delle voci più intense della poesia italiana
Smarrimento, scritto il 21 febbraio 1935, è un componimento che esprime con straordinaria profondità il senso di disorientamento e di perdita interiore.
Smarrimento, scritto il 21 febbraio 1935, è un componimento che esprime con straordinaria profondità il senso di disorientamento e di perdita interiore. In pochi versi, Antonia Pozzi cattura la sensazione di uno scorrere del tempo alterato, che appare sospeso e interrotto, lasciando chi osserva in un limbo di incertezza e smarrimento. Attraverso l’immagine dell’orologio fermo e dei passeri che…
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Come quando entri in un cesso di quelli pubblici e d’improvviso s’accende la luce, che c’è un sensore attivato dal movimento o dalla porta, e tu ti accomodi a fare le tue cose in sto posto dove già altri hanno fatto le loro, e badi ai fatti tuoi, e poi d’improvviso la luce si spegne, come a dirti che il tuo tempo lì è scaduto. Ecco, a me questa cosa pare una bastantemente veritiera metafora della vita, della morte e del venire al mondo. La parte del cesso, soprattutto.
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IL CANALE DEL DOLORE
È un argomento molto difficile da trattare per me, anzi, lo era fino a oggi pomeriggio, quando sono riuscito a trovare una metafora per definire il mio stato d'animo... stavo guidando, ho tirato fuori una penna dalla borsa e mi sono scribacchiato sul polso il titolo che avete letto là in alto, giusto per non dimenticare l'immagine che mi era apparsa.
Non credo proprio di soffrire di depressione (non rispetto i criteri maggiori), magari qualcosa di più simile a una pseudo-ciclotimia ma, vedete, potrei anche sbagliarmi però ho come l'impressione che le persone dividano le loro esperienze in positive e negative: da una parte le cose che le hanno fatte stare bene e che, se perseguite, continuano a far stare bene e dall'altra quelle negative, esperite nel passato e da evitare nel futuro.
Sbaglio nel pensare questo? Me lo confermate?
Ecco... per me funziona in modo completamente differente.
Io ho vissuto esperienze e basta, se percepite poi positive o negative dipende dalla mia vicinanza al Canale del Dolore.
Prendete la mia gattina Minou, che ci è stata accanto per tanti anni, fin dalla nascita di Figlia Grande.
Se percorro la mia vita nel verde paesaggio del mondo posso ricordarne con gioia i bei momenti condivisi assieme - quando la allattavo minuscola e miagolante, quando dal tavolo ha rubato un pollo arrosto intero più grande di lei e quando Figlia Grande divideva con lei i biscotti plasmon sul seggiolone. Poi però imbocco il viale di ghiaia che costeggia il canale del dolore e comincio a provare nostalgia - le zampate di fango che ancora resistono sotto al davanzale della finestra da cui entrava, il collarino viola che sbuca fuori da un cassetto - e poi comincio a camminare sugli argini del canale, dove mi prende la tristezza del vuoto che ha lasciato, di come forse avrei dovuto accarezzarla di più, di come a volte la sogno e sono pieno di gioia che sia tornata ma poi mi sveglio con le guance umide.
E infine cado nel canale del dolore, dove riconosco le mie colpe e ciò che avrei potuto fare e non ho fatto.
Intendiamoci, non succede sempre e soprattutto non succede per ogni cosa che ho vissuto ma il cammino è sempre potenzialmente quello.
Per dire, ho vissuto cose estremamente negative e mi basta riuscire a stare lontano da quel canale, nel verde della foresta del mondo, per riuscire comunque a evocare un ricordo di quello che di bello sono riuscito a tirare comunque fuori da esse.
Vi dirò, forse il trucco è camminare sul bordo di quel viale di ghiaia, attingendo alla malinconia per farmi più consapevole del tempo che scorre in una sola direzione e nel contempo non rimpiangere mai troppo ciò che non è più...
Però la vita è faticosa e in quel canale giacciono troppi nomi e troppi istanti perché il mio passo sia sempre fermo e dritto.
E fa male che il dolore nel caderci dentro offuschi i bei ricordi.
Vabbe'... stasera va così ma sono sicuro che domani qualcuno mi confermerà che c'è davvero del buono in questo mondo e che è giusto combattere per questo, quindi tranquilli <3
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La leggenda del Soffione 🥀
"Secondo una leggenda irlandese, la corolla del soffione è la dimora delle fate, un tempo erano libere di scorrazzare nei prati. Quando la terra era abitata solo da gnomi, elfi e fate, queste creature vivevano liberamente nella natura. L’arrivo dell’uomo li costrinse a rifugiarsi nei boschi. Ma le fate avevano dei vestiti troppo sgargianti per riuscire a mimetizzarsi con l’ambiente circostante.
Per questo motivo, furono costrette a trasformarsi in denti di leone, mantenendo però la loro fierezza. Anche se calpestato dall’uomo,infatti, il soffione torna sempre in posizione eretta!
Il significato 🥀
Nel linguaggio dei fiori, il soffione simboleggia la forza, la speranza e la fiducia. È inoltre legato all’idea del distacco e del viaggio. Questo perché inizialmente i semi sono legati al pappo, la loro appendice soffice, e sembra non vogliano staccarsene; poi si lasciano trasportare dal vento, dapprima timorosi, poi sempre più impavidi, pronti a intraprendere un nuovo viaggio, a sperimentare nuove avventure. Superata la paura iniziale, si lasciano andare al flusso della vita, curiosi di nuove scoperte, pronti a generare nuova vita.
Il loro percorso rappresenta una metafora perfetta della vita: per poter fiorire, ciascuno deve staccarsi dalla propria origine, affrontando il proprio viaggio senza paura, pronto a lottare contro le intemperie e a cogliere ogni opportunità." 🥀
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«Un giorno gli ateniesi inviarono a Delfi degli ambasciatori per chiedere al famoso oracolo quali riti scari avrebbero dovuto essere conservati e quali no. L’oracolo rispose: «quelli conformi ai costumi degli antenati». Gli ateniesi se ne andarono, ma non soddisfatti, ritornarono dall’oracolo dicendogli che i costumi erano mutati più volte nel tempo: a quali avrebbero dovuto attenersi? Il vecchio saggio rispose: «al migliore». Una risposta che ci fa comprendere come non esista una vera e assoluta tradizione e che il rifarsi al passato comporta invece una scelta tra le molte cose che esso mette a disposizione». [...]
«La metafora delle radici diventa così ingannevole, perché presuppone tipicità, stanzialità e mancanza di scambio. L’idea delle radici rimanda a quella di purezza e di autoctonia, su cui si finisce per fondare una concezione della società che non può che essere discriminatoria: “hai dei diritti solo se sei nato qui”, una aberrazione giuridica che si basa su ciò che si è e non su ciò che si fa».
Marco Aime - Doppiozero
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Il tempo guarisce
Immagina di prendere un bicchiere pieno di vino. Supponi che il vino sia il dolore che hai nel cuore, dentro di te. Adesso immagina di mettere questo bicchiere in un lavandino e aprire l'acqua. Lentamente vedrai che il colore del vino si attenua, il che significa che il vino se ne sta andando e si sta mescolando l'acqua. Dopo un po' di litri di acqua il bicchiere sarà privo di vino e pieno di acqua, sarà trasparente.
Questo procedimento lo si può assumere come la metafora del processo di guarigione dal dolore.
Il mio bicchiere è sempre bello colmo di vino e l'acqua esce filo filo dal rubinetto.
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l'Eterno e il Tempo
Uno sguardo sul futuro non può prescindere da una riflessione sul tempo. Nella Grecia antica, ad esempio, ci sono tre figure che rappresentano il tempo:
una è Aion, l’eone, il tempo eterno;
l’altra è Chronos, il tempo che scorre, misurato, che divora l’esistenza.
e poi c’è il Kairos, l’opportunità.
Aiòn, "tempo" in greco antico connesso etimologicamente con l’avverbio aèi "sempre”. Un tempo inteso come eternità, come "sempre essente", distinto dal tempo "chrònos" e dal tempo "kairòs".
Rappresentato nelle fonti antiche, letterarie e iconografiche, come un fanciullo o un ragazzo, con il cerchio dello zodiaco (o un serpente) avvolto intorno al corpo. Eraclito scrive: "Aiòn è un bambino che gioca con le tessere di una scacchiera: di un bambino è il regno del mondo". Con Aiòn si allude alla vita come durata, nelle intermittenze e anacronie dell’esistenza personale. Si tratta di una distinzione in parte assimilabile a quella introdotta da Henri Bergson tra tempo della fisica, quantitativo e calcolabile, e durata, dimensione della coscienza irriducibile a qualsiasi logica sommativa e lineare.
Chrònos "tempo" in greco antico inteso come successione di istanti, di ore, di giorni, tempo che rovina e distrugge.
Già nelle fonti letterarie e iconografiche ellenistiche gli attributi mortiferi e distruttivi del tempo-chronos, vengono confusi con gli attributi del dio Kronos, che nel mito divora i suoi figli, ma viene poi ingannato ed evirato dal figlio Zeus. In particolare l’attributo del falcetto, strumento della mietitura e metafora della ciclica rinascita delle messi, passa dalla divinità sincretica Saturno-Kronos al Tempo-Chronos, la cui iconografia andrà sempre più identificandosi con quella della Morte. Kaìros in greco significa "momento opportuno". Questa parola si riferisce al tempo e in special modo intende al "momento fra", cioè quel determinato periodo di tempo in cui interverrà qualcosa che cambierà lo stato attuale delle cose. Si può tradurre come momento propizio, opportunità.
Da notare che su una delle colonne di Delfi, i sette sapienti avevano fatto incidere la massima “kairòn gnôthi" riconosci il momento giusto. Kairos, l’Opportunità, viene interpretato come un fanciullo alato con i capelli lunghi caduti sulle spalle davanti, ma calvo dietro, come a dire che quando il momento favorevole è passato, esso non può essere preso all’ultimo istante per i capelli. Che ora è? Che anno è? L’orologio e il calendario indicano un tempo che ci domina. Egli è Chronos, che ci dà una cifra convenzionale, senza comunicazione con le leggi della natura.
Ma se ci chiediamo: -Che cosa avviene?- ci interroghiamo e scopriamo se è " il tempo opportuno " dei rapporti continui, seppure inavvertiti dalla maggioranza degli uomini, che intercorrono tra il microcosmo e il macrocosmo. Kairos è un tempo rivelatore, ci svela il senso, l’importanza dell’ora che volge, ci suggerisce il mistero della reazione a catena che collega le cause agli effetti, il prima al dopo, che immette l’uomo nel cosmo ed il cosmo nell’uomo, ci rende consapevoli del fatto che tutto è interconnesso. Nel tempo di Kaìros occorre essere aperti per poter cogliere un momento di rottura che precipita la possibilità di mettere in atto ciò che si è preparato. Sta a noi lavorare per cogliere quell'attimo. Carpe diem, direbbe Orazio. Lo stesso fa la cuoca, se sa cogliere l'attimo in cui i suoi piatti, nel forno, son cotti a puntino; lo stesso fa chi governa una barca, se vira al momento opportuno e nel senso giusto e alza o ammaina le vele, lo stesso il pilota che deve sapere quali comandi e in che momento usarli per decollare sollevarsi accelerare, atterrare; l'atleta, se a tempo debito e con la dovuta forza lancia il disco, scocca la freccia, incalza o molla l'avversario, lo stesso il medico, se dosa il farmaco e il punto e la profondità dell'incisione che va praticando.
E il politico che deve conoscere quali provvedimenti faranno il bene del Paese in quel momento storico- economico; l’insegnante che sa quali saperi al momento opportuno e quali competenze sviluppare nel discente con una progettazione adeguata e misurata sull’allievo. Non per caso la più bella immagine di Kairòs, l'istante topico, l'occasione, o l'attimo fortunato, trovata a Traù, nell'attuale Croazia, era forse posta all'ingresso d'uno stadio. Il bassorilievo raffigura un giovane con le ali ai piedi, recante in mano una bilancia posta in equilibrio su un rasoio e, soprattutto, con un gran ciuffo di capelli sulla fronte, ma la nuca rasata. Se sarà passato oltre non sarà più possibile afferrarlo. Sta a noi prevenirne i movimenti e la fuga, sta a noi, in una serie di attimi, scovare, cogliere, afferrare quell'unico frammento di tempo in cui saremo a tempo perfetto con l'armonia cosmica. Comprendere, agire ed operare bene, godere, essere felici: sforzarci e faticare per tutto questo e poi, con semplicità e facilità inattese, riuscire ed uscire dal tempo, dall'indifferenza infinita e divorante di Chrònos, guadagnare, sia pur solo per quell'attimo, il tempo adatto a noi, nella perfezione di ciò che la nostra natura poteva compiere e che di fatto ha saputo compiere.
Così Rainer Maria Rilke dice dell Kairòs greco antico: “E a un tratto, in questo faticoso nessun dove, a un tratto, / l'indicibile punto, dove quel ch'era sempre troppo poco, / inconcepibilmente si trasmuta, salta / in un troppo, vuoto. Dove il conto a tante poste / si chiude senza numeri”.
Dentro un Chrònos infinito e inesorabile, un Kairòs unico, capace dunque, se colto opportunamente, di renderci, per quell'attimo e per sempre, eterni.
-C. D'Eramo
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L'etica dell'uomo che torna alla caverna
Il mito della caverna di Platone è una potente allegoria della conoscenza e della verità, ma nasconde anche una profonda riflessione sull'etica. L'uomo che riesce a uscire dalla caverna, scoprendo la verità al di là delle ombre, affronta un dilemma morale cruciale: tornare nella caverna per liberare gli altri o rimanere fuori, godendo della sua nuova comprensione del mondo?
Platone suggerisce che chi conosce il Bene è moralmente obbligato a condividerlo. La vera conoscenza trasforma l'individuo, rendendolo incapace di ignorare il bisogno degli altri di essere liberati dall'ignoranza. Il filosofo, in questo contesto, non solo possiede la verità, ma è anche eticamente vincolato a guidare gli altri verso di essa. Tuttavia, questo compito non è privo di rischi: chi cerca di illuminare coloro che sono ancora intrappolati nelle ombre può incontrare resistenza, incomprensione o persino ostilità. Il ritorno alla caverna diventa quindi un atto di altruismo, un sacrificio personale per il bene comune.
L'innocenza di coloro che non ne sono mai usciti
Coloro che rimangono nella caverna, osservando solo ombre e riflessi, vivono in una condizione di innocenza. Essi non sono colpevoli della loro ignoranza; la loro realtà è tutto ciò che conoscono. Per Platone, questa innocenza non è però una condizione positiva, ma una limitazione che impedisce all'individuo di raggiungere il suo pieno potenziale. Tuttavia, non possiamo condannare chi non ha mai visto la luce per non averla cercata: la loro condizione è il risultato delle circostanze e non di una scelta consapevole.
Questa innocenza comporta anche una resistenza naturale al cambiamento. Quando l'uomo liberato torna nella caverna per condividere la verità, incontra spesso scetticismo e paura. La familiarità delle ombre è più rassicurante della sconosciuta realtà al di fuori della caverna. Comprendere questa innocenza significa riconoscere che la strada verso la conoscenza non è lineare né semplice, e che l'ignoranza è spesso protetta da barriere psicologiche ed emotive che richiedono pazienza e comprensione per essere superate.
La complessità dell'istruzione di coloro che non conoscono
L'educazione di coloro che sono ancora nella caverna è un'impresa complessa e delicata. Non si tratta semplicemente di fornire informazioni o di rivelare una verità preconfezionata. Il vero compito dell'educatore, secondo Platone, è guidare gli altri lungo un percorso di scoperta personale, aiutandoli a mettere in discussione le loro percezioni e a sviluppare una comprensione più profonda della realtà.
Questo processo richiede tempo, empatia e la capacità di adattarsi al ritmo dell'altro. L'educatore deve essere in grado di affrontare la resistenza iniziale e di creare un ambiente in cui l'apprendimento possa avvenire in modo naturale e volontario. Non tutti sono pronti a uscire dalla caverna allo stesso modo e allo stesso tempo. La complessità dell'istruzione sta proprio nel riconoscere e rispettare queste differenze, fornendo gli strumenti necessari affinché ogni individuo possa, alla fine, trovare la propria via verso la luce.
Il mito della caverna, quindi, non è solo una metafora della conoscenza, ma anche un potente invito a riflettere sull'etica dell'educazione e della liberazione dall'ignoranza. Il filosofo che torna nella caverna lo fa con un senso di responsabilità morale, consapevole della complessità del compito e dell'innocenza di coloro che ancora non conoscono. Il suo obiettivo non è solo quello di impartire la verità, ma di creare le condizioni affinché ciascuno possa scoprirla per sé, rispettando i tempi e i processi personali. In questo modo, la vera educazione diventa un atto di amore e di servizio verso l'umanità.
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Brutti Climi
Oggi sulle Alpi nevica. Ad Aprile. Molti impianti sciistici hanno già comunicato di essere operativi fino al ponte del 25 Aprile. E già mi è capitato di leggere i soliti commenti di coloro che, secondo loro beffardamente, si chiedono "dove sia il riscaldamento globale".
Chiunque fa ancora queste battute, non sa di base la differenza tra meteo (la condizione temporanea di tempo atmosferico e temperature) e clima (l'insieme di tutti i fenomeni meteorologici e atmosferici che si verificano in un lasso di tempo molto, molto più lungo).
Uno dei più beffardi battutisti al riguardo è Donald Trump, che ogni volta che fa più freddo in qualche zona degli Stati Uniti ne fa a bizzeffe, spesso chiudendo con un "What the hell is going on with Global Waming? Please come back fast, we need you!"
Ad una di queste battuta, una volta il New York Times rispose con una metafora davvero beffarda, che sostiene:
Il meteo è simile alla quantità di soldi che hai nel portafogli oggi, mentre il clima è il tuo intero patrimonio. Un miliardario che ha dimenticato a casa per un giorno il portafoglio non è povero e allo stesso modo una persona povera che s’imbatte in qualche centinaio di dollari non diventa improvvisamente ricca. Ciò che conta è ciò che accade nel lungo periodo.
Dato che la metafora usa un concetto che è molto più sentito del clima, può darsi si capisca la differenza.
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La penna del cuore: riflessioni sul tempo e sull'amore nelle poesie di Laura Neri. Recensione di Alessandria today
La nostalgia dei giorni passati e l'importanza dei ricordi in una poesia intensa e sincera di Laura Neri
La nostalgia dei giorni passati e l’importanza dei ricordi in una poesia intensa e sincera di Laura Neri La poesia La penna del cuore di Laura Neri è un toccante dialogo con il tempo, un momento di riflessione profonda sull’amore, la memoria e la perdita. Neri, con la sua inconfondibile delicatezza, descrive la sensazione di trovarsi di fronte a un cambiamento irreversibile, come il lento…
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Oggi sono stata al cinema con una mia amica, abbiamo visto il nuovo film di Miyazaki, "Il ragazzo e l'airone", che nella versione originale si chiama "How do you live?" e forse il titolo così è più appropriato al film. È stato strano, perché è stato lento più di quanto siano già solitamente lenti alcuni film dello studio ghibli, ma è stato anche uno dei primi film che non mi hanno commosso come invece spesso mi succede, e nonostante la trama sia una di quelle che si presterebbero molto alla commozione, dato che parla di lutto e sofferenza e rinascita. Forse è anche perché non sono più abituata a vedere film al cinema e l'atmosfera è diversa, o forse era l'abbiocco post pranzo o forse semplicemente il ritmo di questo film è tale che una seconda visione è più godibile di una prima, quando ancora non sai cosa aspettarti e pensi che sta passando un sacco di tempo e ancora non è successo niente di particolarmente strano. Mi ha ricordato in molti momenti degli altri film di Miyazaki, il viaggio onirico de La città incantata, le porte su altri mondi de Il castello errante di Owl, la malattia e la fuga/smarrimento della famiglia de Il mio vicino Totoro, la distruzione della guerra di Si alza il vento. Ci sono anche le vecchine e le creaturine e la natura che ci sono in tantissimi altri film di Miyazaki, sembrava proprio una citazione continua, ma forse è semplicemente il suo universo che è popolato di questi elementi e, una volta che li conosci, li riconosci inevitabilmente in ogni film.
Tornata a casa, dopo averne parlato un po' con la mia amica per condividere impressione e frustrazione, perché anche per lei a livello emotivo non ha avuto l'impatto che ci aspettavamo, ho cercato un po' di opinioni online e ho salvato qualche post di tumblr. A quanto pare, oltre alla lettura più immediata dell'elaborazione del lutto e della condizione di malattia, c'è una metafora generazionale e anche una estremamente personale di Miyazaki rispetto al suo mestiere e alla sua storia con il suo mentore. Alcuni la leggono anche verso l'altra direzione, con suo figlio. In ogni caso sono ancora più convinta che a una seconda visione piacerà di più anche a me. Commuovermi però non lo so, vedremo quando sarà il caso, credo sia proprio una questione di ritmi e di investimento emotivo nei personaggi, non so se questi sono riusciti ad entrarmi nel cuore con la stessa immediatezza degli altri che di solito sono raccontati nei suoi film e in generale nei film dello studio ghibli.
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Circa dieci anni fa qualcuno si è inventato un modo nuovo di potare gli alberi. L’idea era semplice se paragonata ai metodi tradizionali: si trattava di tagliare i rami sotto la biforcazione. Dal momento che però, a lavoro finito, ciò che restava era qualcosa di simile a un attaccapanni, l’inventore del nuovo sistema ha creduto di dover conservare su ogni ramo potato un singolo rametto, con tanto di foglie, poche dita sotto il taglio. Continuava comunque ad avere l’aria di un attaccapanni; l’albero era irrimediabilmente perduto. Quell’anno, e negli anni successivi, molti alberi potati, nei giardini privati e pubblici, non hanno superato la primavera. Avevano troppe poche foglie. Ovviamente. Un fatto evidente a chiunque che si è ripetuto per centinaia e migliaia di alberi, non solo per un anno, ma fino a oggi, tra le proteste dei soliti ambientalisti e nello stupore di gente che la mattina usciva di casa con la macchina sporca di guano d’uccello (sono troppi, bisogna sfoltire) e poi rientrava a pranzo credendo di aver sbagliato via. Nel giro di una stagione, gli alberi potati troppo venivano sostituiti con giovani alberelli muniti di cartellino. Il cartellino era vuoto, e non indicava né la specie né l’impresa che lo aveva piantato. Quello che mi ha colpito in questa faccenda è che tutto è avvenuto come se ‘altri’ ne fossero responsabili. Non importa che in quei giorni un titolo di giornale recitasse: COMINCIATI I RICORSI PER LE POTATURE. Non ho letto l’articolo, e forse si trattava di una metafora sui tagli alle pensioni. Il punto è che qualcuno ha fatto, e tutti hanno lasciato fare. Ma sono certo che nessuno con un filo di buonsenso se la sia bevuta. Avevano potato a quel modo anche pini e abeti. Era la prima volta che vedevo potare pini e abeti. E il risultato è a dirpoco surreale. Nessuno che abbia un filo di intelligenza lo farebbe, nessuno che abbia un filo di intelligenza lo farebbe fare ai suoi alberi. Eppure... Per anni ho considerato quelle immagini di alberi potati come il mio limite a comprendere certe cose. Era come trovarsi di fronte a una sfinge. Potevi stare ore a cercare la risposta giusta ma perdevi il tuo tempo, e l’albero era sempre là mentre tu non avevi uno straccio di idea per alleviare quell’impressione di non-senso. Non bastava pensare che fosse tutta una strategia delle imprese del verde. Un po’ come chi fa le lampadine che si bruciano dopo un certo tempo (sennò chi le compra più?): i vivaisti fanno crepare con potature vertiginose un certo numero di alberi e poi li rimpiazzano, perché un albero dura troppo, così ci si inventa la sua manutenzione, la sua morte, la sua resurrezione. No. Non basta pensare a cose del genere, perché se anche fosse (e non è improbabile), il vero mistero siamo noi, che ci muoviamo solo se ci toccano il nostro, e molto spesso non ci muoviamo neanche così. Noi, da un lato abituati a delegare tutto, dal potere al potare, e dall’altro semplicemente pigri, lasciamo che idiozie palesi si consumino sotto il nostro naso, con un talento speciale per l’indignazione da poltrona e giornale. Solo in questi giorni, senza nessun evento eccezionale, mi sono fatto una ragione della potatura degli alberi. Il punto è che è esattamente il genere di cose che fa l’uomo. Più intelligente degli altri mammiferi superiori, ha battuto i suoi antagonisti biologici quando era ancora un australopiteco. Tutto andava ancora bene alla fine del Paleolitico, ma con il Neolitico ha imparato a immagazzinare cibo e da allora non ha mai smesso di crescere di numero. La potatura è allora un sistema drastico per eliminare e fare spazio a una nuova produzione: sono in troppi, gli facciamo fare la guerra, li aiutiamo a ricostruire, con i guadagni della guerra e della ricostruzione mandiamo in scuole eccellenti i nostri figli. E le sfumature sono molte: le risorse sono limitate? Immagazziniamole. Una petroliera naufraga e inquina la costa della Bretagna? Multiamo la multinazionale. Dobbiamo tagliarci le unghie? Amputiamo la mano all’altezza del gomito. La mano non ricresce? Montiamo un laboratorio per la ricerca in protesi umane. Basterebbe solo un po’ meno di tutto e qualche attenzione in più. Ma il taglio è una cosa rapida, e dopo si vedrà
Da: Geoanarchia. Appunti di resistenza ecologica - di Matteo Meschiari. (© 2017 Armillaria)
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Un'oca che guazza nel fango
Un cane che abbaia a comando
La pioggia che cade e non cade
Le nebbie striscianti che svelano e velano strade
Profilo degli alberi secchi
Spezzarsi scrosciante di stecchi
Sul monte, ogni tanto, gli spari
E cadono urlando di morte gli animali ignari
L'autunno ti fa sonnolento
La luce del giorno è un momento
Che irrompe e veloce è svanita
Metafora lucida di quello che è la nostra vita
L'autunno che sfuma i contorni
Consuma in un giorno più giorni
Ti sembra sia un gioco indolente
Ma rapido brucia giornate che appaiono lente
Odori di fumo e foschia
Fanghiglia di periferia
Distese di foglia marcita
Che cade in silenzio lasciando per sempre la vita
Rinchiudersi in casa a aspettare
Qualcuno o qualcosa da fare
Qualcosa che mai si farà
Qualcuno che sai non esiste e che non suonerà
Rinchiudersi in casa a contare
Le ore che fai scivolare
Pensando confuso al mistero
Dei tanti "io sarò" diventati per sempre "io ero"
Rinchiudersi in casa a guardare
Un libro, una foto, un giornale
E ignorando quel rodere sordo
Che cambia "io faccio" e lo fa diventare "io ricordo"
La notte è di colpo calata
C'è un'oscurità perforata
Da un'auto che passa veloce
Lasciando soltanto al silenzio la buia sua voce
Rumore che appare e scompare
Immagine crepuscolare
Del correre tuo senza scopo
Del tempo che gioca con te come il gatto col topo
Le storie credute importanti
Si sbriciolano in pochi istanti
Figure e impressioni passate
Si fanno lontane e lontana così è la tua estate
E vesti la notte incombente
Lasciando vagare la mente
Al niente temuto e aspettato
Sapendo che questo è il tuo autunno
Che adesso è arrivato…
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Né la minuzia simbolica di sostituire un tre con un due né quella metafora inutile che convoca un attimo che muore e un altro che sorge né il compimento di un processo astronomico sconcertano e scavano l’altopiano di questa notte e ci obbligano ad attendere i dodici e irreparabili rintocchi. La causa vera è il sospetto generale e confuso dell’enigma del Tempo; è lo stupore davanti al miracolo che malgrado gli infiniti azzardi, che malgrado siamo le gocce del fiume di Eraclito, perduri qualcosa in noi: immobile. Jorge Luis Borges ********************** Nor the symbolic minutiae to replace a three with a two nor that useless metaphor which summons a moment that dies and another that arises nor the completion of an astronomical process they puzzle and dig the plateau of this night and they force us to wait the twelve and irreparable chimes. The real cause it is the general and confused suspicion of the enigma of Time; it is the amazement in front of the miracle that despite the infinite gambles, that in spite of us the drops of Heraclitus' river, let something remain in us: motionless. Jorge Luis Borges
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The Maze Runner 3 – La rivelazione: Luci e ombre fuori dal labirinto
Dopo un primo film promettente e un secondo capitolo sottotono, la trilogia diretta da Wes Ball chiude il suo cerchio narrativo con un film votato all'azione e sostenuto da un ritmo spesso frenetico. Si chiude così una saga young adult dove, tra assalti ai treni, fughe e sparatorie, ad emergere è soprattutto l'amicizia.
Maze Runner - Il labirinto: Dylan O'Brien con Kaya Scodelario e Aml Ameen in una delle prime foto ufficiali
Un macabro talent show, un mondo diviso in rigide classi, un labirinto crudele in cui trovare se stessi. Tre grandi allegorie per raccontare i turbamenti e i disagi dell'adolescenza. Hanno così iniziato Hunger Games, Divergent e Maze Runner - Il labirinto, gli avvii di tre grandi saghe young adult dove la metafora è servita a delineare parabole eroiche di ragazzini costretti a diventare presto le persone che erano destinate ad essere. Se la storia di Katniss ci ha mostrato come quell'età spesso tempri la personalità attraverso lo scontro inevitabile col coetaneo, quella di Tris ha sottolineato la paura di sentirsi diversi da tutti, di essere inclassificabili, con tutto il disorientamento che ne deriva. In questi futuri miserabili dove la libertà dell'individuo è pura utopia e l'unica speranza risiede nello spirito combattivo di due coraggiose eroine, al giovane Thomas è spettato il compito di chiamare a raccolta un pubblico prettamente maschile. Perché nella Radura di Maze Runner va in scena una specie di Signore delle Mosche 2.0, un esperimento sociale (e sociologico) dove un gruppo di ragazzi deve decidere se sottostare a delle ferree regole o violarle, accettando il rischio dell'ignoto e della morte, sfiorando il miraggio della libertà. Ecco, il dilemma di tutta la saga di Maze Runner, forse, è proprio qui: rispettare le regole o perdersi pur di ritrovarsi? Una cosa è certa: tutte queste saghe, che di fatto hanno tentato (con fortune alterne) di raccogliere il testimone lasciato da Harry Potter, trovano negli adulti uno spauracchio da combattere, un nemico sordo e spietato contro cui ribellarsi.
Non fa eccezione l'opera letteraria di James Dashner da cui il regista Wes Ball ha tratto la sua trilogia piena di costrizioni e di fughe, di catene e di sforzi destinate a spezzarle. Maze Runner - La rivelazione chiude finalmente il cerchio narrativo di Thomas e dei suoi fidati (ma anche infidi) amici. Ci si ritroverà, e ci si perderà, assieme a questi ragazzi costretti a capire che la vita adulta è davvero un labirinto.
Dalla sabbia al vetro
Maze Runner - La rivelazione: Dylan O'Brien, Thomas Brodie-Sangster e Ki Hong Lee in una scena del film
Li si chiama young adult per comodità, per moda editoriale, ma in realtà quelle di Katniss, Tris e Thomas sono soprattutto distopie. Ce lo suggeriscono i rigidi assetti sociali in cui sono immersi, i loro mondi cupi dove il progresso, la pace e l'ordine hanno prestato il fianco a ingiustizie, disperazione e violenza. Perché sono distopie tutti quei futuri dove ogni progetto utopistico fallisce miseramente, sfociando nell'incubo più nero. Il futuro immaginato da Maze Runner è piegato da un virus incurabile e inarrestabile, vero e proprio effetto domino pestilenziale che miete vittime a furia di contagi continui. Per provare a contrastare questa valanga di infetti, l'organizzazione C.A.T.T.I.V.O. (in originale chiamata in maniera altrettanto esplicita: W.C.K.D.) utilizza giovani cavie senza risparmiare ancora altre morti su morti.
Maze Runner - La rivelazione: Dylan O'Brien e Thomas Brodie-Sangster in una scena del film
Ambientato un anno dopo Maze Runner: La Fuga e slittato dopo un grave infortunio di Dylan O'Brien sul set, Maze Runner - La rivelazione non ha tempo da perdere, va di corsa e riempie ogni domanda irrisolta attraverso un'azione frenetica e incessante. È come se Ball voglia farci avvertire l'urgenza asfissiante di Thomas e compagni, intenzionati a salvare il loro amico Minho dalle spietate mani della C.A.T.T.I.V.O.. Si parte così, col fiatone e in medias res, un po' come successo nel primo capitolo, immediatamente catapultati in un assalto al treno degno di un western post-apocalittico. Dopo la verdeggiante ambientazione di Maze Runner - Il labirinto e quella sabbiosa di Maze Runner - La fuga, questo terzo atto ci conduce verso un contesto urbano asettico e ordinato, dove ogni parvenza di solidità e controllo è destinata a crollare rovinosamente, ad essere messa a ferro e fuoco da una rabbia giovane.
Maze Runner - La rivelazione: un momento del film
Amici, sino al game over
Maze Runner - La rivelazione: Kaya Scodelario e Aidan Gillen in una scena del film
Affanno, sangue, ruggine, lacrime. Il ritmo narrativo di Maze Runner - La rivelazione è spesso tachicardico, ed è per questo che, quando il film tenta di abbracciare linee narrative lontane dalla missione principale, sfocia nell'inutile lungaggine. Senza qualche diversivo di troppo, l'ultimo capitolo della saga procede inesorabile e severo verso una resa dei conti dove i protagonisti sono messi alle strette, sia fisicamente che psicologicamente. Lontano da toni patinati e percorsi immacolati, Ball ci prende per mano dentro una storia che si sporca le mani con il tradimento e le delusioni, con gli addii e con il sacrificio. Come all'interno di un videogame, ovvero suddiviso in livelli di crescente difficoltà (assalti, infiltrazioni, fughe, guerriglie urbane), il film tocca apici notevoli di adrenalina e coinvolgimento, e lo fa grazie ad una regia chiara e abile nel restituirci persino un senso di vertigine.
Peccato soltanto per gli antagonisti monodimensionali (su tutti un Aidan Gillen relegato alle solite smorfie di Ditocorto) e per una rivelazione (quella del titolo) tutt'altro che originale. Nonostante la presenza dell'inevitabile love story, gestita con parsimonia e maturità, il vero cuore del film batte per l'incessante sentimento dell'amicizia. Tra sacrificio e altruismo, il nucleo del racconto è composto da Thomas e Newt che, sull'esempio di Frodo e Sam, affrontano fuoco e fiamme pur di sostenersi a vicenda. Ci saranno fatiche e ci saranno scelte difficili pur di arrivare all'agognato obiettivo. Ed eccola lì, la luce fuori dal labirinto: è l'adolescenza che finisce. Gli uomini e le donne che siamo diventati. Game over.
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Note
Sei la persona che è stata ufficialmente designata per scrivere il "MESSAGGIO nella bottiglia", non quello classico del naufrago sull'isola deserta, bensì quello concepito dall'essere umano e diretto agli altri abitanti del sistema solare.
Devi spiegare cos'è la Terra e com'è l'uomo, ciò che veramente noi siamo, perché dovrebbero venire a trovarci o non piuttosto evitarci come la peste.
Un discorso fiume, o anche poche, significative parole. Come ritieni più opportuno. Grazie a nome del pianeta.
Benritrovato, Viaggiatore.
Tu non conservi memoria di me e nemmeno io di te ma entrambi veniamo da un luogo distante nello spazio e nel tempo, dove lo spazio e il tempo, allora, non avevano significato.
Ci siamo mossi lungo un palcoscenico di desiderio di conoscenza e di connessione, calpestato da individui che oggi non sono più e su cui noi lasceremo spazio a coloro che non sono ancora.
Chissà se il ciclo delle stagioni del tuo pianeta vi restituisca la metafora della nascita, della crescita e della dissoluzione o se luce e tenebra vi risveglino nel cuore le stesse gioie e gli stessi timori di noi abitanti del pianeta Terra.
Cosa posso dirti di questo nostro pallido puntino blu perso nell'avvolgente buio cosmico?
Su di esso, per un breve respiro dell'universo, sono state racchiuse tutte le speranze di ogni madre e di ogni padre che hanno osservato i piccoli passi tremanti dei loro figli, tutti gli amori appassionati e le guerre sanguinose in nome di un dio o di un ideale oramai dimenticati.
Se tu sommassi la voce urlata di ogni proclama, di ogni grido di battaglia, dichiarazione di fedeltà, movimento di odio, giubilo o pianto, essi verrebbero inghiottiti dal nulla che separa il nostro e il tuo tutto.
Eppure noi siamo la somma millenaria di morte e rinascita, sempre pronti a conoscere e connetterci, non appena la paura dell'ignoto viene dissolta.
Stai forse tentando di analizzare la fiala di liquido trasparente che era nella capsula di stasi insieme a questo messaggio?
Ti risparmio la fatica. È acqua.
Quello è stato l'inizio di noi esseri umani e in essa ci siamo mossi e siamo cresciuti finché non l'abbiamo abbandonata, ma mai del tutto.
Quell'acqua racchiude la memoria della siccità, la paura della tempesta, l'ardore di chi l'ha solcata e la tristezza di chi ha visto il proprio sangue diluirvisi. Ma racchiude anche la gioia del primo raccolto, il fresco di una baia sicura e la pioggia lasciata fuori.
Tu stai tenendo in mano il cuore pulsante di tutta la razza umana.
Non analizzarla... non servirebbe a conoscerci.
Ma vieni, o Viaggiatore, e scopri coi tuoi occhi come su questo pallido puntino blu la nostra capacità di distruggere è forse grande e rumorosa ma mai potente come il nostro desiderio di creare, conoscere e condividere.
Ti aspettiamo.
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