#poesia metaforica
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pier-carlo-universe · 2 months ago
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“La Vita” di Marcello Comitini: una poesia intensa che svela il dolore umano. Recensione di Alessandria today
Un viaggio lirico nell’animo umano, tra dolore, crudeltà e speranza, attraverso l’occhio poetico di Marcello Comitini.
Un viaggio lirico nell’animo umano, tra dolore, crudeltà e speranza, attraverso l’occhio poetico di Marcello Comitini. Nel suo componimento “La Vita”, Marcello Comitini esplora i sentimenti più profondi e universali dell’esperienza umana. Con una scrittura intensa e delicata, l’autore guida il lettore tra i simboli della fragilità e della resilienza, incarnati nei fiori colpiti dalla tempesta,…
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culturaoltre · 8 months ago
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"Corde di lino" di Cipriano Gentilino
Nella lirica emerge  la raffinata eleganza e il suo ricco simbolismo. La metaforica interpretazione di gesti antichi, sullo sfondo di una memoria che sfuma contorni di un tempo che scorre ineluttabilmente, porta a riflettere sulla ciclicità della vita e sull’eterna lotta tra luce e oscurità. Nella chiusa,  straordinaria la funzione data alla Poesia, in quanto “luce” sulle ombre di notti oscure.…
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oubliettederien · 1 year ago
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Mary Ibba vive a Cagliari, la musica è una delle sue grandi passioni, canta in diverse formazioni corali, musica antica, barocca, gregoriana e contemporanea.
Ma la sua vita è fatta anche di poesia.
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oubliettemagazine · 2 years ago
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iSole aMare: Emma Fenu intervista Angelica Piras fra poesia in sardo e artigianato
La rubrica “iSole aMare” si propone di intervistare isolani che della propria condizione reale e metaforica abbiano fatto cultura, arte e storia ponendosi in comunicazione con il mondo: nessun uomo è un’isola o forse lo siamo tutti, usando ponti levatoi? Angelica Piras “Sono l’Isola. Ma sono magica e infinita: non mi puoi cingere tutta. Non mi puoi spostare, non mi puoi unire alla terraferma, non…
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diario-de-un-muppet · 6 years ago
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... Pienso: ¿cuándo la vida me dará un recreo? ¡Carajo! Estoy cansado. Necesito morirme siquiera una semana.
Jaime Sabines
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susieporta · 3 years ago
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SULL'AMORE E SUL MORIRE
A un certo punto dobbiamo decidere
se stare al mondo poggiati
tra le cose, oppure istigare il mondo
con le nostre domande.
Ognuno fa le sue. Chi chiede più soldi, chi chiede
quiete. A me pare di aver sempre implorato
la fine della paura. Ma poi non so se davvero
è questo che ho voluto.
Non sappiamo quale anima,
quale corpo possediamo
e in che anima o in che corpo vogliamo stare.
Possiamo cambiare immaginazione:
se io immagino che sono stato così male
finora da poter morire di colpo qui e ora,
posso anche rimuovere
questo pensiero con una microchirurgia metaforica,
cioè con la poesia, e mettermi un'altra frase in testa:
finora non mi è successo niente di grave,
se mi succede adesso vuol dire che prima o poi
qualcosa mi doveva succedere.
Se la poesia va a buon fine
se la frase non diventa un esercizio letterale
ma carne della tua carne,
la morte lascia spazio al suo nemico
naturale che è l'amore.
Tutta la terra tende all'amore,
per quello una pianta fiorisce,
il sole splende
e quando diciamo che Dio è amore
vuol dire che un Dio cattivo non ha senso,
la cattiveria è sempre un frammento
uno scisma dalla bontà naturale di ogni cosa.
Scrivere e leggere poesie è un modo di curarsi
e non ha molto a che fare con la letteratura.
La posta in gioco è contendere alla morte
la vita fino a quando siamo vivi: la poesia
non ci assicura una vita migliore,
ci assicura un grado intenso
dell'essere vivi, qualcosa che ci fa sentire
ogni bisbiglio nell'aria e dentro di noi.
La poesia ci porta all'attenzione,
ci distrae dalla vita come intrattenimento,
ci porta alla vita come amoroso corteggiamento
col tempo che passa.
Si tratta di un'operazione fallimentare,
non c'è poesia senza fallimento,
ma nel fallimento fiammeggia
l'amore. La poesia è l'esercizio migliore
per restare sensuali: nessun corpo è inerte,
ogni abbraccio porta doni,
ogni sguardo porta lontano.
La poesia e l'amore
sono il nostro cadere più vero
nel mondo:
stiamo luccicando prima di spegnerci.
Franco Arminio
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cercasi-sentimentireali · 6 years ago
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Poesia
/po·e·ṣì·a/
sostantivo femminile
L'espressione metaforica di contenuti umani.
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lobobobo · 3 years ago
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Quando você está na escada... Pensando ao descer para o inconsciente. Eu e minhas analises sobre o recomeço de iniciar algo novo, é preciso sair por ai, espontaneamente... Encontrar algo que dar criatividade. Assim, você criar um sentido para compor sobre sua emoções. Aqui estou descendo as escada de casa, e pensando como no inconsciente ao destino. Desço aos poucos, pois, sinto que estou no mistério que guarde coisas que não gostaria de acessar. A escada metaforica agora, é as palavras, me levando ao destino quando este texto tiver concluido. Estou com as palavras presas no corremão, estou me apoiando nessas. A poesia que guarda está atravessando cada degrau. Claro que tudo tem uma forma de compor a criatividade, e aqui estou, rodeando, dando voltas e não saio do mesmo percurso e movimento. Eu não tenho força consciente sobre avançar, por quê? Problema de saúde mental? Como ansiedade, dormindo mal? Sim! Tem a justificativa meus hábitos tem sido meu próprio caos dentro de mim. Astrologicamente, estou passando periodo com resolução de família, tensão entre saturno e urano, assim afetando minha casa 4. Esse periodo de março está chegando outono, estação de fazer uma despedida daquilo que precisar ir. Estou preso ao novo que desconheço, ainda estou preso ao velho. São tantos pensamentos que pesa a cabeça e não consigo resolver. Tenha paciência! Estou descendo a escada no meu tempo.
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passaggioalboscoedizioni · 3 years ago
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⚠️ NOVITÀ IN LIBRERIA ⚠️
Miro Renzaglia
CANE SCIOLTO
Il nero muove e perde
Romanzo
“Così t’impunti sulle circostanze che cominci a respirare, mentre l’adrenalina pompa nel sangue sussulti di frenesie a raffica. Vai alla tua prima manifestazione e ti scordi chi sei, dove abiti e perfino come ti chiami. Stai lì, in mezzo, e non canti canzoni, non ritmi slogan: tu sei canzone e slogan.
Sei lo striscione; sei il manico di piccone con una bandierina italica di sei centimetri quadrati appesa in punta; sei il sasso tirato contro la vetrina di una banca; sei la sirena della polizia e il lacrimogeno; sei la molotov che parte incendiaria; sei le cariche dei celerini, il fuggi-fuggi che si ricompatta due vie più in là e parte di nuovo alla carica; sei il camerata che si asciuga il sangue dalla fronte, seduto sullo scalino del marciapiede; sei il gomito a gomito del “serriamo i ranghi”; sei la ritirata tra i vicoli incerti del tuo “ben fatto”…
Sei, alla fine, quello che si tira giù la sciarpa dal viso e se la ricompone sul collo; che butta il bastone e riprende l’aria d’essere capitato l�� per caso e che, con un: “Mi scusi: sa dov’è la fermata del 75?”, dissimula il lui di prima. Ma eri proprio tu, quello di prima? E una voce che sale dalle tue viscere, in vortici d’ansia non ancora smaltita, risponde: “Sì, che eri tu”. E non ti duole sentire il gusto acre di sapere d’essere quello che sei. Chi, prima della trentina, non ha subìto il fascino di ogni forma di estremismo, non so se devo ammirarlo o disprezzarlo, considerarlo un santo o un cadavere”.
Poesia e nichilismo, giovinezza e barricate, ferro e fuoco, amore e rivoluzione. In queste pagine, appuntate sulle mosse di una metaforica partita a scacchi, è proiettata l’immagine inquieta di uno spirito ribelle. Ribelle a se stesso, prima di tutto. Un cane sciolto senza nome, irriverente e ostinato, la cui sola fedeltà manifesta è a quello spirito di contraddizione che non ammette maschere, dogmi, misure e compromessi.
INFO & ORDINI:
www.passaggioalbosco.it
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pier-carlo-universe · 23 days ago
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Due anime in viaggio: “Non so dove sei tu e dove sono io” di Marina Cvetaeva. Recensione di Alessandria today
La poetessa russa racconta con delicatezza e intensità la connessione tra due anime vagabonde, unite dalla loro solitudine e dalla forza della condivisione.
La poetessa russa racconta con delicatezza e intensità la connessione tra due anime vagabonde, unite dalla loro solitudine e dalla forza della condivisione. Una poesia di connessione e ricerca “Non so dove sei tu e dove sono io” di Marina Cvetaeva è un componimento che cattura l’essenza di un’amicizia profonda e speciale. Con immagini semplici ma evocative, la poetessa esplora il legame tra due…
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fondazioneterradotranto · 5 years ago
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Angelo Gorgoni (1639-1684) di Galatina e una stroncatura forse immeritata (1/2)
di Armando Polito
Dopo aver passato in rassegna i componimenti dedicati, a parte il primo, agli animali, in cui i riferimenti al mito trovavano diffuso albergo secondo il metaforico gusto dell’epoca, passo a quelli in cui il Gorgoni  si misura con problemi esistenziali o fenomeni con cui l’umanità è destinata a confrontarsi fino, probabilmente, alla sua estinzione.
  (pag. 81)
La Morte 
Senza  penne son vento; à scherno hò l’ali,
e ‘l tutto in brieve punto lascio ucciso.
Le Bare elette ad egria funerali.
per carri eleggo dove trionfo à riso.
Pioggie di sangue, e grandini di strali
ovunque giungo, ovunque approdo avisob;
e degli spirti altrui spoglie fatali
empio l’Inferno, e colmo il Paradiso.
Mi porge il Tempo tributaria usura;
già potendo fermar l’Orbe retondo
come estinto l’inceptoc in sepoltura.
Ogni cosa creata in Lethed affondo;
sotto i miei colpi ha da spirar Natura,
Iddio produsse, ed io rovino il mondo.
________
a tristi
b annuncio
c ciò che si è iniziato
d Fiume dell’oblio nella mitologia greca e romana; da λανθάνω (leggi lanthano)=nascondere.
  (p. 82)
La Politica
Se’ tutto il Mondo à gli miei gesti intento,
sovra tutti i Monarchi impero a pieno.
Chi de’ Statuti miei s’avanta alienoa
voli tra Selve à pasturar l’Armento.
Scovro grandezze, che non regna argento,
con astutie à gli Regni io reggo il freno.
Fingo, che sorda sono, ò cieca almeno,
s’à punire non vaglia un tradimento.
Più nelle Reggie, che ad altrove hò loco.
Dall’apparenze mie nasce il livore;
quando è tempo di pianto, io mostro il gioco.
É delle leggi mie queste il tenore:
d’ogni perdita vasta io narro il poco,
de’ trionfi minuti, il più maggiore.
_________
a Chi si vanta di essere estraneo alle mie direttive
  (p. 98)
Per l’uso delle perucche, frequentato dal vano secolo 
Da mentitea à Natura un lusso vano,
che l’huomo accusa effiminato, e molle.
Ebro sì secolo rio, pregiasi invano,
mentre ciocche insensate Aurab l’estollec.
Braccio, che non di spada arma la mano,
almad,che non guerreri ordigni volle:
per lascivetto crin, pensiero insano,
l’accende i fasti, e vanità già bolle.
Censurata livrea, vile ornamento,
hor i petti virili abbaglia a torto,
tesor, ch’odia fortuna, e furae il vento.
Ecco, chi non dirà con senso accorto,
che l’huomo forte, divenuto lento,
oggi per Nume adori il crin d’un morto?
__________
a cose finte
b il vento
c solleva
d anima
e ruba
  (p. 131)
Forza dell’eloquenza
Tutto può, tutto fà, lingua loquace,
qualor con salia à lusingarti viene,
pretenda Ulisse, e benche erede è Aiace,
perche l’armi d’Achille, e Ulisse ottiene.b
Vinca Reina, in libertade, in pace
senza leggi tiranne, e senza pene:
e ‘l gran Periclec, nell’orar fugaced,
libera, indusse in servitude, Atene.
Eloquente spergiuro Acheo Sinone,
seppe sì dir, che la Troiana plebe
chiuse il greco destriero entro Ilione.e
Folef son poi, che le marmoree Glebe
con la lira tirò g, mentre Anfione
con l’eloquenza fè le mura a Tebeh.
_________
a arguzie
b Allusione alla contesa tra Aiace ed Ulisse per l’attribuzione delle armi di Achille, con il tragico epilogo celebrato da Sofocle nell’omonima tragedia.  Dopo che Ulisse viene giudicato più degno di lui di prenderle in consegna, Aiace medita la vendetta ma la dea Atena gli toglie il senno, per cui egli compie azioni indegne di un guerriero. Ritornato in sé, per la vergogna si uccide.
c Politico, oratore e militare ateniese del V secolo a. C; la sua azione politica non ha mai trovato valutazione concorde tra gli studiosi, considerandolo alcuni un liberale, altri un semplice populista. Già lo storico Tucidide (V-IV secolo a. c.), che pure era un suo ammiratore, in Storie, II, 65 così si espresse: Ἐγίγνετότε λόγῳ μὲν δημοκρατία, ἔργῳ δὲ ὑπὸ τοῦ πρώτου ανδρὸς ἀρχή (Era a parole una democrazia, nei fatti il potere era sotto il primo uomo). Il Gorgone sembra aderire a questo giudizio.
  d veloce, abile nell’arte oratoria
e Sinone si lasciò appositamente catturare dai Troiani e riuscì a convincerli ad introdurre dentro le mura di Troia (Ilio>Ilione) il famoso cavallo di legno.
f favole, qui, però, non in senso dispregiativo ma in quello di racconti mitici.
g Orfeo con la sua cetra faceva muovere alberi e pietre (marmoree glebe), fermava i fiumi e ammansiva le belve.
h Anfione per la costruzione delle mura di Tebe utilizzò le pietre del Citerone spostandole con il suono della lira donatagli da Ermes.
  Il prossimo sonetto che leggeremo è un’insolita, per quei tempi, dichiarazione d’indipendenza. Malizia mi suggerisce di chiedermi quale sarebbe stata la dedica, vista quella che suo fratello indirizzò, quattro anni dopo la sua morte, a Francesco Maria Spinola (1659-1727), che tra i tanti titoli, riportati nel frontespizio, deteneva anche quello di duca di S. Pietro in Galatina. Scrive, fra l’altro, Giovanni Camillo trattarsi di un attestato di antica e cordiale osservanza, il che fa pensare ad un rapporto datato, cosa confermata quasi in conclusione, dove si legge: Felicissima dunque s’appelli S. Pietro Galatina mia Patria, di cui è meritevolissimo Duca. Per esserle toccato in sorte di havere sì Nobile, Valoroso, Virtuoso, e Benigno Padrone. E d’ogni invidia degna si stimi la mia casa, con occhio cortese sempre da sì sublimi Padroni, e rimirata, e protetta. Le raccordo per fine, e protesto, che nella Schiacchiera, glorioso Stemma del suo gran Casato, ove si mira, et ammira l’apparato di tanti varii Personaggi, saranno sempre i Gorgoni le pedine, e pedoni a piedi suoi posti, e prostrati. Sicurissimi di mai assaggiare Schiacco matto di sinistra Fortuna.
Nell’immagine che segue lo stemma della famiglia Spinola1 (d’oro, alla fascia scaccata di tre file d’argento e di rosso, sostenente una spina di botte di rosso, posta in palo) sul portale principale del palazzo ducale a Galatina, a riprova che quanto ad invenzione metaforica Giovanni Camillo non era da meno di Angelo.
foto di Alessandro Romano
Tenendo conto anche di quello intitolato La Politica, che abbiamo letto prima, mi chiedo se in fase di pubblicazione Angelo li avrebbe eliminati entrambi dalla raccolta autocensurandosi o li avrebbe mantenuti, a costo di urtare la suscettibilità dell’eventuale, quasi inevitabile per il costume dell’epoca, dedicatario.
  (p. 179)
Non hà genioa di servire in corte
Nacqui à me stesso, e così far non voglio
me stesso d’altri, e suggettar mia sorte;
qualor bersaglio mi propongo à morte,
punto da i dardi suoi, vòb che mi doglio.
Essere ad onde di capriccio un scoglioc,
troppo duro è per me, troppo m’è forte.
Ha stravaganti idolatrie la Corte,
giacche al pari del Rè s’adora il sogliod .
Ivi potenza è podagrosa all’attoe,
prima, ch’un’alma poco onore avanze,
i crini d’oro inargentati ha fattof.
Han, politici i Rè, barbare usanze;
serbano i Corteggiani in sù l’estrattog,
ond’hanno metafisiche speranze.
______
a voglia
b voglio
c Il potere è paragonato al capriccioso movimento delle onde.
d Il trono, simbolo del potere.
e lenta a muoversi, come chi è affetto da podagra
f prima che un’anima consegua un po’ di onore, ha reso i capelli color argento da biondi che erano (l’interessato è diventato vecchio)
g mantengono il favore dei cortigiani con promesse astratte
  (p. 180)
Abbondanza di poeti
Mancano gl’Alessandri, e i Cherilia
in maggior copia in ogni parte io trova
de’ metri armoniosi al Mondo novo,
più, che frutto gl’Autunni han fior gli Aprili.b
Dell’acque Pegaseec sorsi sottili
non si bevon lassù, per quel che provo.
Nascono Cigni d’ogni specie d’ovod,
a cui, fonti fatali, or sono i Nilie.
Le lire degli Orfeif, mille Neantih
trattan con man superba; e ‘l canto foscoi
par, ch’à sdegno attizzasse anco i latrantil.
Più si canta, che parla. E sì conoscom,
che Parnaso incapace à Cigni tantin,
vanno i Poeti, come i branchi al boscoo.
______
a Mancano i grandi condottieri ed i poeti epici; per i primi viene citato Alessandro Magno (IV secolo a. C:, per i secondi Cherilo di Samo, poeta epico del V-IV secolo a. C.
b in misura più appariscente dovunque io trovi al mondo poesie armoniose: come i fiori in primavera sbocciano ma non maturano mai in frutto. Probabilmente al Lezzi è sfuggito lo stile contorto di questi versi, altrimenti il suo giudizio sarebbe stato, se possibile, ancora più severo.
c Pegaso era un cavallo alato che per ordine di Posidone arrestò la crescita del monte Elicona verso il cielo, dovuta al piacere datogli dal canto delle Pieridi in gara con le Muse, con colpo di zoccolo  che fece sgorgare la fonte Ippocrene.
d nascono poeti destinati geneticamente a non esserlo
e per le quali fonti d’ispirazione non sono quelle della poesia antica (tra cui la fonte Ippocrene appena citata) ma fiumi senza mitiche implicazioni poetiche, come il Nilo
f Vedi la nota g a p. 17.
h Neante di Cizico, storico greco del III secolo a. C., viene qui assunto come modello di chi dovrebbe dedicarsi solo a ciò per cui ha provato talento (il che, però, non esclude che uno storico possa essere, magari solo potenzialmente, un poeta e che un poeta non sia negato, quasi geneticamente, per la storia).
i oscuro
l i cani
m vedo
n essendo il Parnaso (monte della Grecia centrale nell’antichità sacro ad Apollo e Dioniso, nonché sede delle Muse e, dunque, simbiolo della poesia)atto ad ospitare tanti (sedicenti) poeti
o vagano nel bosco come gli animali in branco
___________
1 La famiglia Spinola, di origini genovesi, vantò ben undici dogi dal 1531 al 1773 e ben quindici cardinali dal XVI al XIX secolo.
  Per la prima parte: http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/11/27/angelo-gorgoni-1639-1684-di-galatina-e-una-stroncatura-forse-immeritata-1-2/
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"Omeros", aedo del tempo presente, racconta la storia di due pescatori, ettore e achille, innamorati della stessa donna, elena, sensuale cameriera di un hotel di saint lucia, piccola isola sovrastata da due coni vulcanici, al centro del mar dei caraibi. ogni personaggio è preda di un'irruenza metaforica del linguaggio di walcott, sia dal carisma di nomi, gesti e pensieri che riecheggiano, non senza venature ironiche, quelli dei corrispettivi eroi omerici. la storia è quella di un isola tradita che trascura le sue tradizioni per essere consegnata a turisti. la periferia del mondo che acquista attraverso il genio del poeta la sua incredibile veridicità, suggestioni di idiomi e della natura che prende 'voce' attraverso il suo rigoglìo, albe e tramonti sono dipinti con l'acquerello della povertà. la disperazione dei personaggi è virtù e il mare teatro della fame. walcott è un generatore di 'creature' il suono, le foglie, le onde sono i pennelli che usa per tratteggiare l'animo umano, la sua natura primitiva e realista. auden sostiene che la poesia è una folla di sollecitazioni che evocano i ricordi e la sacralità, questo poema traccia in modo semplice questo rituale. quante cose abbiamo perso abbandonando il suono della terra? ... #libridisecondamano #ravenna #bookstagram #booklovers #bookstore #instabook #igersravenna #instaravenna #ig_books #derekwalcott (presso Libreria Scattisparsi) https://www.instagram.com/p/B23KW6Ro16m/?igshid=x276gam8a4kc
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susieporta · 5 years ago
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SULL'AMORE E SUL MORIRE
A un certo punto dobbiamo decidere se stare al mondo poggiati tra le cose,
oppure istigare il mondo con le nostre domande.
Ognuno fa le sue. Chi chiede più soldi, chi chiede quiete.
A me pare di aver sempre implorato
la fine della paura.
Ma poi non so se davvero
è questo che ho voluto.
Non sappiamo quale anima,
quale corpo possediamo
e in che anima o in che corpo vogliamo stare.
Possiamo cambiare immaginazione:
se io immagino che sono stato così male
finora da poter morire di colpo qui e ora,
posso anche rimuovere
questo pensiero con una microchirurgia metaforica,
cioè con la poesia, e mettermi un'altra frase in testa:
finora non mi è successo niente di grave,
se mi succede adesso vuol dire che prima o poi
qualcosa mi doveva succedere.
Se la poesia va a buon fine
se la frase non diventa un esercizio letterale
ma carne della tua carne,
la morte lascia spazio al suo nemico
naturale che è l'amore.
Tutta la terra tende all'amore,
per quello una pianta fiorisce,
il sole splende
e quando diciamo che Dio è amore
vuol dire che un Dio cattivo non ha senso,
la cattiveria è sempre un frammento
uno scisma dalla bontà naturale di ogni cosa.
Scrivere e leggere poesie è un modo di curarsi
e non ha molto a che fare con la letteratura.
La posta in gioco è contendere alla morte
la vita fino a quando siamo vivi: la poesia
non ci assicura una vita migliore,
ci assicura un grado intenso
dell'essere vivi, qualcosa che ci fa sentire
ogni bisbiglio nell'aria e dentro di noi.
La poesia ci porta all'attenzione,
ci distrae dalla vita come intrattenimento,
ci porta alla vita come amoroso corteggiamento
col tempo che passa.
Si tratta di un'operazione fallimentare,
non c'è poesia senza fallimento,
ma nel fallimento fiammeggia
l'amore. La poesia è l'esercizio migliore
per restare sensuali: nessun corpo è inerte,
ogni abbraccio porta doni,
ogni sguardo porta lontano.
La poesia e l'amore
sono il nostro cadere più vero
nel mondo:
stiamo luccicando prima di spegnerci.
Franco Arminio
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cento40battute · 5 years ago
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Metti due chiacchiere con un imprenditore colto, che come prime parole sceglie “sincerità e arte”
Didier Guillon non è “solamente” l’artefice del gruppo Valmont ma un profondo conoscitore dell’arte. Estimatore, mecenate, artista lui stesso. Che ha con Venezia una love story iniziata 40 anni fa
Didier Guillon
Abbiamo conversato con monsieur Guillon perché incarna perfettamente “beautytudine”: presidente di Valmont, fa convivere i più prestigiosi prodotti skincare con la bellezza dell’arte, tanto che uno dei quattro pilastri del gruppo è la Fondazione che se ne occupa.
Non è inusuale incontrare imprenditori che si pongono come mecenati, ma è molto raro che abbiano nel proprio DNA la fascinazione, la passione e il culto dell’arte. Scopritelo voi stesse: pescando dal sito della Fondazione e andando a Venezia, alla mostra aperta sino al 31 gennaio 2021.
Palazzo Bonvicini
Monsieur Guillon, la sua sede è in Svizzera, le sue attività in mezzo mondo: perché ha scelto Venezia come teatro della Fondazione Valmont?
Perché la love story fra me e Venezia è iniziata 40 anni fa e ho sempre avuto in testa di realizzare qualcosa qui. Considero Venezia universale, per me rappresenta la fragilità, dell’ambiente e della specie umana.
L’anno scorso siamo riusciti a inaugurare, all’interno di Palazzo Bonvicini, uno spazio che fosse nostro e che fosse anche quinta per talenti emergenti.
Ho una mia visione sul futuro di Venezia. Che non consiste in prese di posizione politiche come la tassa d’entrata o i divieti ma che la vede come luogo perfetto per interrogarsi su come l’arte contemporanea possa conciliare città e cittadini. È una domanda metaforica ma qui si può sperimentare la ricerca di un equilibrio.
Fondazione Valmont sta lavorando infatti al progetto per la Biennale d’Arte che si terrà nel 2021, Alice in Doomedland, dove doomedland sta per terra abbandonata, in estinzione.
Il gioco di parole con Wonderland (Alice nel paese delle meraviglie) vuole raccontare una città dove le persone non possono abitare in centro perché i costi sono proibitivi, si allontanano e i loro spostamenti lavorativi hanno un impatto sul surriscaldamento del pianeta. Interpreteremo in chiave artistica il presente e la sfida per il futuro.
Ma intanto avete inaugurato Venetian Love, che si può visitare nel 2020 e che la vede protagonista.
Oltre alla nostra collezione permanente, organizziamo esposizioni dal 2015. Per me è importante trasmettere ai miei figli valori sinceri. Selezioniamo e sosteniamo artisti, finanziamo progetti, creiamo dialoghi. Sì, Venetian Love vede anche il mio modesto contributo, insieme ad Aristide Najean e Silvano Rubino.
I lampadari di Najean sono un viaggio inedito attraverso il tempo, da Marco Polo allo scioglimento dei ghiacciai, un viaggio guidato dalla poesia e dall’estetica. Il vetro di Murano con cui sono realizzati afferma che il fuoco trasforma la fantasia in realtà, ne trascende l’ispirazione, ne esalta le contraddizioni.
Nelle immagini digitali in grande scala modellate in 3D da Rubino, ambienti vuoti prendono vita in un’enigmatica atmosfera sospesa, dove l’artista aggiunge oggetti abitati, aprendo un canale tra passato e presente in uno spazio colmo di riferimenti.
In omaggio alla maestosità della città che ci ospita, ho voluto aggiungere alla mostra la proiezione di La morte a Venezia, di Luchino Visconti. Un capolavoro la cui estetica è senza tempo.
Lei ha scelto ancora le Maschere, un tema che le è caro e che è decisamente concettuale.
In effetti sì. Prediligo la scultura perché permette, a me e ai visitatori, di toccare. E le maschere rappresentano la condizione di dualità dell’essere umano, le sfaccettature dell’essere doppi. In Hansel & Gretel, l’anno scorso, i due bambini erano smarriti, come ci si smarrisce a volte nel buio dell’esistenza. In Venetian Love le mie maschere bianche sono un omaggio a Giano, antica divinità bifronte… un simbolo per incarnare opportunità passate e future, per esplorare i concetti del rinnovarsi fra inizi e fini.
Per curiosità, qual è l’ultima mostra che ha visto per suo piacere personale?
Recentemente sono tornato alla collezione Guggenheim, a Venezia, e ho avuto la fortuna di essere accompagnato da Karol Vail, la Direttrice, nipote di Peggy. È un luogo emblematico, di una forza incredibile. Ma questa volta ho notato qualcosa che mi era sfuggito, perché meno eclatante: le sculture di Tony Cragg, in materiali recuperati.
Maxence Guillon (a destra) segue il padre Didier nelle sue scoperte e creazioni. Un giorno Didier si trasferirà a Venezia per dedicarsi esclusivamente all’arte e suo figlio avrà il compito di diffondere tramite Fondazione Valmont la passione per l’eterna bellezza
Piccole, senza clamore, hanno attirato la mia attenzione, sono state ispiratrici. Questa Venezia permeata dal contrasto fra architettura barocca e arte contemporanea è in assoluto la casa di Fondation Valmont, di cui in futuro mio figlio Maxence diventerà Presidente.
Luisella Colombo
“Venetian Love” fino al 31 gennaio 2021 ogni giorno dalle 10 alle 18 su appuntamento: +39 041.8050002 ingresso gratuito Palazzo Bonvicini Calle Agnello 2161, Santa Croce, Venezia - Italy SOCIAL FB www.fondationvalmont.com
Amore e Fragilità a Venezia Metti due chiacchiere con un imprenditore colto, che come prime parole sceglie “sincerità e arte” Didier Guillon…
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elisabettacarasso · 7 years ago
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Poesia po·e·ṣì·a/ sostantivo femminile 1. L'espressione metaforica di contenuti umani in corrispondenza di peculiari schemi ritmici e stilistici, tradizionalmente contrapposta a prosa : scrivere in p.; p. epica, satirica;
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pangeanews · 5 years ago
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“Io sono come un cane, una di quelle bestie nere che dormono intorno ai capannoni industriali”: piccolo discorso sulla poesia di Umberto Fiori
Nel 2014 Mondadori ha raccolto tutta la produzione, fino ad allora esistente, di Umberto Fiori in un volume ormai introvabile. Poesie 1986-2014 è il titolo e in copertina un’opera di Marco Petrus, Sequenze N. 53: su uno sfondo blu compatto, si staglia un palazzone di quelli come se ne vedono tanti in contesti urbani a noi famigliari, fatto di uffici forse, o di appartamenti. È facile immaginarsi persone lì dentro, intente al loro quotidiano vivere; persone che, nella maggior parte dei casi, rimarranno sconosciute, al pari di presenze senza identità. Non hanno nome, tutt’al più una professione o un compito momentaneo, non sappiamo da dove vengono né che vita conducano, così come non ne conosciamo i sentimenti: vivono, e quello che fanno può essere, in fin dei conti, solo osservato, rappresentato. Sono loro, è vero, ma potrebbero essere anche altri. E questo è l’essenziale. L’elemento più riconoscibile della poesia di Fiori risiede proprio nella capacità di adottare un protocollo di tipizzazione, e cioè di mettere in atto un processo che tende a standardizzare i soggetti rappresentati nello svolgimento di azioni o nella creazione di pensieri non specifici, che potrebbero tranquillamente appartenere a un qualcun altro. Nessuno è e tutti potrebbero essere: «Sull’altro lato del viale,/ al semaforo, in mezzo ai camion/ e alle macchine in coda, ci sono due/ che si prendono a schiaffi» (Lite, in Esempi).
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Anche le coordinate storico-geografiche sono assenti o generiche. E la combinazione di questi elementi fa sì che le scene descritte si trasformino in exempla; ogni abitudine, per quanto ripetitiva, può essere allora interrotta e sconvolta da un fatto che svela, all’occhio in grado di percepirlo, un senso altro delle cose. La poesia di Fiori si snoda proprio tra l’evento comune, banale, quasi scontato, estrapolato dall’ipotetica vita di ognuno di noi, e l’evento improvviso, straniante, casuale, che sovverte l’ordine e conduce a un modo straordinario di osservare l’ordinario, saldamente ancorato al suo continuo ripetersi rassicurante, finanche noioso, ma vitale. Perché il momento della rivelazione è l’esito collaterale di qualcosa di normale però andato storto, di qualcosa che, per qualche ragione, non si incastra con il prestabilito procedere cadenzato delle cose, così come ce lo si aspetterebbe per abitudine. È un incidente, una discussione, un pensiero che può potenzialmente capitare a tutti, in cui ognuno di noi potrebbe ritrovarsi. C’è un presente, un contesto cittadino o metropolitano oppure la contemplazione di un locus amoenus dai tratti espressamente realistici: «Bella vista,/ vista allegra e severa,/ oscura e serena,/ il premio che tu eri/ non c’è bravura/ che possa meritarlo» (XII, in La bella vista); ci sono tutte le possibilità schierate in fila e c’è, insieme, la stagnazione della quotidianità: ma proprio l’assenza di particolari e la costruzione di situazioni sempre riferite a personaggi-quidam consente, a chiunque si accinga alla lettura, di insinuarsi al loro interno, di riconoscersi e di poterne essere il protagonista: «Come quando/ con i parenti intorno/ nella stanza, il bambino appena nato/ se ne sta lì sdraiato; sotto il velo,/ in mezzo ai discorsi, in un angolo,/ c’è poco, c’è quasi niente:/ il naso di sua madre, gli occhi del nonno» (Una stretta, in Chiarimenti).
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In altre parole, in questa poesia l’ordinario rende possibile lo straordinario, così come lo straordinario rivela l’ordinario; la generalizzazione consente l’unicità e l’unicità vale se esiste il suo contrario; il lessico comune svela un pensiero complesso e la complessità del pensiero filtra tramite la semplicità del linguaggio; l’io coincide con gli altri e gli altri sono sempre il deposito dell’io. C’è un continuo dualismo nella poetica di Fiori, dove il ricongiungimento degli opposti è spesso affidato al ponte incisivo delle similitudini, sempre riuscitissime, alle volte ironiche, a tratti sbalorditive, per lo più usate come chiuse fulminanti. Come ha scritto Alessandro Quattrone in una puntuale recensione a Poesie 1986-2014 «Tutti abbiamo visto, sentito e fatto le stesse cose di Fiori, ma lui ha saputo trarne osservazioni e analogie di valore universale. E ha saputo trarne conclusioni. Conclusioni che, appunto nel finale di ogni poesia, sono in grado prima di sorprenderci e poi di lasciarci compiaciuti».
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Una cosa che invece non è stata detta e che occorre sottolineare è la portata anticipatrice dei componimenti di Fiori in relazione al concetto di virtualità; una virtualità che non coincide con la non-realtà, bensì con una realtà non attualizzata, che permane nel suo perenne stato di potenza, di possibilità che potrebbe concretizzarsi. Fiori, in questo senso, è un poeta generoso: generalizzando l’elemento lirico-autobiografico, fa sì che la sua visione del mondo non escluda nessuno, ristabilendo gli equilibri tra la natura degli eventi e l’esperienza della lettura a partire da uno sguardo condiviso sulle cose; e questo avviene perché i fatti non si riducono soltanto a ciò che sono stati ma a quello che potrebbero nuovamente essere, ripresentandosi ogni volta in una forma diversa ma sempre riconoscibile: «Giù, giù, sul fondo/ si va, dove le cose/ – tutte – sarebbe uguale/ se non ci fossero mai state./ È lì che ti vengono incontro/ le belle giornate» (Le belle giornate, in Chiarimenti).
Per questo è fondamentale l’uso che Fiori fa delle parole e come le dispone nella frase al fine di ottenere l’effetto voluto: la sua è una scelta sempre consapevole di lessico semplicissimo, «La gente che va in giro/ tra i suoi pensieri, fermo, c’è un pensiero./ Tra le pieghe dei panni/ ripassa il ferro da stiro» (Fissazioni, in Case), messo all’interno di strutture sintattiche mai involute, ma tendenti alla paratassi; proprio in questa forma ricercatamente definita a ottenere l’immediatezza del linguaggio, Fiori diventa, come è stato più volte sottolineato dalla critica, «riconoscibile». È così che il lettore arriva a comprendere che le parole e le cose coincidono con la loro funzione semantica e non metaforica e sono quello che leggiamo e pensiamo immediatamente.
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Poesia dello sguardo la si potrebbe ben dire e anche poesia sempre capace di sorprendere e che, sospendendo la scena un attimo prima che la lama affondi, lascia memori ma incolumi dell’evento: «Tu non sai che cos’è, stare di guardia,/ in ogni odore/ sentire una minaccia/ a quei tre metri di terreno,/ urlare in faccia al mondo intero/ fino a perdere il fiato, e non sapere/ cosa c’è da salvare, a che cosa/ veramente si tiene» (Di guardia, in Chiarimenti); come se tutto, davvero, fosse ancora possibile, ogni cosa potesse ancora accadere, anche solo a ripensarla o a rileggerla lì, dentro i suoi versi.
Alessandra Corbetta
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DIETRO
A furia sempre di chiedere e spiegare, e rispondere, a furia di scavare per vedere oltre le cose, a furia di sfondare e capire, ecco il retro del mondo.
Queste vetrate specchiano la scena che sta alle spalle di chi le guarda.
Il muro cieco, in mezzo, è una bellissima schiena.
(da Esempi)
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DI GUARDIA
Mi conoscono bene, hanno ragione: io sono come un cane, una di quelle bestie nere che dormono intorno ai capannoni industriali e se passi, si avventano di colpo sulla rete metallica e più gli dici “Buono!”, più si sgolano.
Adesso, chi li consola? Finché non hai girato l’angolo gli bolle il sangue. Tirano tutti sordi. Scoprono i denti, mordono anche il filo spinato; ma sono gli occhi che fanno più paura: sereni e puri come quelli di un neonato o di una statua.
Hanno imparato il compito: questo recinto tenerlo sgombro. Sia senso del dovere o invece solo istinto, non ti commuove almeno per un attimo la scena che – loro – sempre, tutta la vita, li fa smaniare, li esalta e li avvelena?
Io, per me, lo capisco meglio di tutti gli altri che ho mai sentito, questo discorso. La riconosco bene la voce fanatica, che sbraita per difendere – così, alla cieca, per pura gelosia – l’angolo dove l’hanno incatenata.
Tu non sai che cos’è, stare di guardia, in ogni odore sentire una minaccia a quei tre metri di terreno, urlare in faccia al mondo intero fino a perdere il fiato, e non sapere cosa c’è da salvare, a che cosa veramente si tiene.
(da Chiarimenti)
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VOLO
Certe sere d’estate, quando la tavola è apparecchiata di fuori e appena buio l’aria diventa elettrica, sa di terra e di temporale, capita di sentire sui capelli e sulle orecchie due, tre carezze leggere. La tovaglia è già nera di formiconi con le ali. Stringe lo stomaco vederli – ancora presi dalla smania del loro volo – nuotare in un bicchiere, spasimare sull’uva.
Così cadevo io verso i trent’anni dalle nuvole in mezzo alla gente vera.
(da Tutti)
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A CASA
Frase per frase, da un argomento all’altro, mi hanno rimesso in mezzo, mi hanno bloccato.
Eccolo qui di fronte il vicolo cieco dove sto sempre. Eccomi a casa.
Ecco il mio sogno: il sogno del mio errore, della mia pena e del mio pentimento. Sì, sono pronto.
“Ma abbandonati un po’. Prova a lasciarti andare”, mi dicono.
Occhi bassi, bicchiere In mano, zaino in spalla, rimango i piedi.
Abbandonarsi. Va bene. Lasciarsi andare, sì. Ma dove?
Guardo le due poltrone, loro che parlano, il tavolino, il portacenere pieno.
Se anche un giorno riuscissi a lasciarmi cadere arriverei mai lì?
(da La bella vista)
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Chi potrà controbattere, chiamare Egoismo la vostra volontà?
Voi non avete ambizioni, fame, sete, superbia. Senza peccato siete, senza dolore.
Potessi io essere il prato non il tremore di questo filo d’erba.
(da Voi)
Umberto Fiori
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