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Alessandria e i Suoi Teatri: Un Viaggio nel Tempo con gli Studenti dell’Istituto Umberto Eco
Gli studenti dell'Istituto Umberto Eco di Alessandria esplorano la storia teatrale della città con un progetto innovativo di ricerca e drammatizzazione
Gli studenti dell’Istituto Umberto Eco di Alessandria esplorano la storia teatrale della città con un progetto innovativo di ricerca e drammatizzazione. Alessandria, 13 novembre 2024 – Con il progetto “Alessandria e i suoi Teatri”, gli studenti delle classi 3AC e 3BC dell’indirizzo Classico dell’Istituto d’Istruzione Superiore Umberto Eco si preparano a intraprendere un viaggio affascinante nel…
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" «Con la cultura non si mangia» ha dichiarato […] Tremonti il 14 ottobre 2010. Poi, non contento, ha aggiunto: «Di cultura non si vive, vado alla buvette a farmi un panino alla cultura, e comincio dalla Divina Commedia». Che umorista. Che statista. Meno male che c’è gente come lui, che pensa ai sacrosanti danè. E infatti, con assoluta coerenza, Tremonti ha tagliato un miliardo e mezzo di euro alle università e otto miliardi alla scuola di primo e secondo livello, per non parlare del Fus, il Fondo unico per lo spettacolo e altre inutili istituzioni consimili. Meno male. Sennò, signora mia, dove saremmo andati a finire?
In questi ultimi anni, però, l’ex socialista Tremonti non è stato il solo uomo politico a pronunciarsi sui rapporti tra cultura ed economia. Per esempio, l’ex ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Maurizio Sacconi, ha sostenuto che per i laureati non c’è mercato e che la colpa della disoccupazione giovanile è dei genitori che vogliono i figli dottori invece che artigiani. Sapesse, contessa… E il filosofo estetico Stefano Zecchi, in servizio permanente effettivo nel centrodestra, ha chiuso in bellezza, come del resto gli compete per questioni professionali: ha detto che in Italia i laureati sono troppi. Insomma, non c’è dubbio che la destra italiana abbia sposato la cultura della non cultura e (chissà?) magari già immagina un ritorno al tempo dell'imperatore Costantino, quando la mobilità sociale fu bloccata per legge e ai figli era concesso fare solo il lavoro dei padri. (Non lo sapeva, professor Sacconi? Potrebbe essere un’idea…) E la sinistra o come diavolo si chiama adesso? Parole, parole, parole. Non c’è uno dei suoi esponenti che, dal governo o dall'opposizione, non abbia fatto intensi e pomposi proclami sull'importanza della cultura, dell'innovazione, dell'istruzione, della formazione, della ricerca e via di questo passo, ma poi, stringi stringi, non ce n’è stato uno (be’, non esageriamo: magari qualcuno c’è stato…) che non abbia tagliato i fondi alla cultura, all'innovazione, all'istruzione, alla formazione, alla ricerca e via di questo passo. Per esempio, nel programma di governo dell'Unione per il 2006 si diceva: «Il nostro Paese possiede un’inestimabile ricchezza culturale che in una società postindustriale può diventare la fonte primaria di una crescita sociale ed economica diffusa. La cultura è un fattore fondamentale di coesione e di integrazione sociale. Le attività culturali stimolano l’economia e le attività produttive: il loro indotto aumenta gli scambi, il reddito, l’occupazione. Un indotto che, per qualità e dimensioni, non è conseguibile con altre attività: la cultura è una fonte unica e irripetibile di sviluppo economico». Magnifico, no? Poi l’Unione (o come diavolo si chiamava allora) vinse le elezioni e andò al governo. La prima legge finanziaria, quella per il 2007, tagliò di trecento milioni i fondi per le università. Bel colpo. Ci furono minacce di dimissioni del ministro per l’Università e la Ricerca, Fabio Mussi. Ma le minacce non servirono. Tant’è che, nella successiva legge di bilancio, furono sottratti altri trenta milioni dal capitolo università a favore… degli autotrasportatori. E inoltre, come scrivono Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi, nel 2006 con il governo Prodi «c’è stato un calo del trenta per cento circa dei finanziamenti, cosicché il già non generoso sostegno alla ricerca di base è diminuito, da circa centotrenta a poco più di ottanta milioni di euro, proprio nel periodo in cui al governo si è insediato lo schieramento politico che, almeno a parole, ha sempre manifestato un grande interesse per la ricerca». Certo, dopo quanto avevano scritto nel programma, non sarebbe stato chic e «progressista» avere la faccia tosta di dire che bisognava sottrarre risorse alla scuola e all'università, e allora non l’hanno detto. Però l’hanno fatto, eccome. "
Bruno Arpaia e Pietro Greco, La cultura si mangia, Guanda (collana Le Fenici Rosse), 2013¹ [Libro elettronico]
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Il Vajont: Una Lezione di Storia e Memoria
La tragedia del Vajont, avvenuta il 9 ottobre 1963 nel nord Italia, è un ricordo struggente dell’interazione tra ingegneria umana e forze naturali. Il Museo della Memoria Vittime del Vajont, insieme a diversi siti significativi come la Diga del Vajont, l’area della frana, e il fiume Cellina, ha una grande importanza storica ed educativa. Di seguito, una breve descrizione di ciascuno dei luoghi…
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Presentazione della collana "Vita brevis, ars longa" su Platone, a cura di Elio Parisi
Michele Nigro e Franco Innella, in un’insolita puntata di “Dialoghi da bar” (sia per la durata del video che per la location, abbandonando stavolta l’atmosfera da bar che ha contraddistinto i precedenti video e preferendo come sfondo una ricca libreria), presentano la collana divulgativa intitolata “Vita brevis, ars longa” (sottotitolo: Le opere di Platone offerte al grande pubblico) e curata dal…
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Io andrei via. Lontano. Ma mi trovo auto-costretto a restare qui, nella gabbia che io stesso mi sono costruito.
Ho perso il mio lavoro da una decina di giorni eppure sto benissimo. Mi sento più libero: leggo, studio e scrivo per me stesso. Ho tante idee per la mia tesi e tanto desiderio di sviare altrove e sapere di più. Il mio lavoro mi stava uccidendo dentro.
Certo, tutta questa libertà mi porta anche a pensare di più, e quello è un problema, perché finora molti pensieri li tenevo in equilibrio comprimendoli negli angusti spazi che si annidiavano tra l’ingombrante pienezza dei miei impegni.
Già in altre occasioni mi accostai ad Ulisse per la dicotomia ‘Nessuno’ - ‘sete di sapere e desiderio di partire lontano in cerca della conoscenza’. Risuona infatti nella testa la terzina dantesca “considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.
Dante colloca per l’appunto Ulisse nella bolgia dei fraudolenti. Per lui è un menzognero ingannatore senza Dio, ma è anche un eroe al servizio della conoscenza e per questa sua spinta vitale ne riconosce il valore e se ne duole per la sorte infernale. Alberga infatti in esso un tale bisogno di partire e conoscere che neanche gli affetti familiari o il timore degli dei, riescono a trattenere.
Qualche tempo fa sarei letteralmente morto per non lasciare ciò che avevo. Ma dopo tempo ho forse ricominciato a darmi una possibilità di vita. Ed ora mi trovo spesso davanti al bivio “restare o andare avanti”. Io vorrei continuare a vivere, e per farlo credo di dover andare avanti. Si tratta solo di capire come avanzare. Infatti più il tempo passa e più mi sento ingabbiato in una realtà che mi sta stretta. Fatta di limiti e di tempo che si esaurisce.
Mi sento come se fossi nato falco nel corpo di un orso.
Il falco è il mio io recondito e primitivo, la mia essenza, la forma primigenia del mio spirito, che vorrebbe volare via, libero e migrare lontano, andando e vagando per il mondo. L’orso è invece la mia educazione, il mio patrimonio culturale, la materia con cui si edifica il mio spirito, forte sì ma legato visceralmente alla sua terra.
Da questi due estremi ne consegue che come l’orso vivo materialmente un lungo letargo nella mia spelonca, sotto le coperte della mia coscienza, nascosto al mondo; ma tramite l’immaginazione, spicco il mio volo spirituale e lascio che il falco migri lontano, dove preferisce.
E così “il falco va, senza catene, fugge agli sguardi” e sorvola le azzurre cupole dei tetti di Santorini, attraversando le smeralde luci del nord nell’aurora boreale e i rami della sakura in fiore che tingono di rosa l’aura dei templi di Kyoto, posandosi infine in cima ad una palma, in riva all’oceano, solo per spiare una coppia di amanti che si baciano e si amano. Al chiaro di luna…
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Donne. Uomini. Sentimenti.
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Una donna è a suo agio nel parlare di sentimenti, perchè li conosce, li sa maneggiare, non li teme. È in un territorio familiare, conosciuto.
Per gli uomini, (salvo eccezioni), è diverso.
Spesso si sentono in trasferta... su un terreno oscuro, scivoloso, complesso. Spesso ignorano del tutto, quella che si potrebbe chiamare " la geografia dei sentimenti" o "la geografia di sè". Mancano di strumenti per illuminare e comunicare questa parte della realtà. È un dato di fatto concreto, tangibile.
Questo, il problema. Che dipende in parte da un tabù culturale e anche dalla educazione ricevuta fortemente condizionata dal modello patriarcale delle nostre attuali società.
Il risultato è una sorta di analfabetismo. Un gap nella capacità di maneggiare le emozioni, la comunicazione profonda, e in definitiva, le relazioni.
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Sono in treno e potre quasi quasi impiegare il tempo per scrivere un po' di cazzate. Cazzate come il mio 2023. Pieno di cazzate. E con il suddetto termine indico quelle cose, decisioni, fatti, avvenimenti avvenuti per mia stessa decisione. Come quella di prendere il treno oggi senza prenotare nonostante ci fosse scritto nero su bianco sull'öbb di riservare. Decisione che mi ha portato a fare un viaggio di due ore seduta sugli scalini davanti al cesso. Ecco, il mio 2023 è stato solo una lunga serie di decisioni simili. In qualche remoto angolo del mio cervello devo aver pensato per tre secondi "mmh qua' c'è qualcosa che non va" per poi dimenticare tutto presa dalla frenesia della vita. No, non della vita. Del "dover fare". Nel mio caso, di dover fare come tutti gli altri hanno fatto. E ancora più grave è che con tutti gli altri mi riferisco a quel gruppo di esseri umani di scarsissima dote culturale che si trova nel paese dove sono nata. Gente che ho sempre odiato. Con molti di loro non ho neanche a che fare da anni. Eppure questo è ciò che fa quella parola orribile chiamata "educazione". Gli esempi di riferimento inculcati nei primi vent'anni di vita. Che cazzo ti porta a fare ah. Ti porta a plasmare la tua vita a idee degli altri. Alle idee di gente che pensavi anche di aver totalmente dimenticato. Alle idee di gente a cui pensavi di non pensare da anni.
Eh niente. Tra una domanda filosofica e un attacco di panico e l'altro un paio di settimane fa sono finita in un bel reparto colore giallo e azzurro ( che combinazione de merda ) con gente un po' strana. Ma anche io sono da sempre strana. Sono? Boh. Mi sento? Sì. Fatto sta che dopo due giorni sono diventata ancora più strana, pure per i miei standard. Presumo, ma non ne sono ancora sicura, che fosse per la mezza pillola blu la mattina. Non mi sentivo così strafatta dal liceo. Mi mancava? Direi di no. Ma dooormivoo finalmente. Non so se sapete di cosa parlo, ma per una persona che da sei mesi dorme circa 15 ore a settimana quando finalmente riesce a dormire una notte di seguito il mondo si manifesta veramente sotto un'altra luce. Uscivo la mattina sull'entrata con l'amico, presumo serbo, con il catetere e pensavo: cazzo ora mi ricordo. Mi ricordo perché pensavo che la vita fosse bella. Perché io davvero lo ho pensato. Per un lunghissimo periodo. Pensavo proprio che la vita fosse bella. Ho passato tanta ma tanta merda nella mia vita ma ci sono stati molti momenti dove io mi svegliavo e pensavo, che bella la mia vita.
Quest'anno è andato tutto a puttane. Vorrei dire che non so cosa sia successo ma mentirei perché la mia terapeuta me lo ha spiegato, chiaramente, come lei fa sempre. Pure più volte. Succede quando impronti la tua vita sul "dovere". Già la parola "devo" è una stra grande puttanata di suo, se poi questo "dovere" appartiene pure ad altri... allora ti ritrovi nel reparto giallo/azzurro a Innsbruck con me. Magari siamo vicini di letto. Non sono una coinquilina molto simpatica, te lo dico subito. Sto sulle mie. Sembro sembre un po' scazzata ma alla fine sono un pezzo di pane. Però per i primi 20 giorni mi starai sui coglioni di principio, sono sincera.
Comunque, cazzate bei Seite come si dice qua da me, auguro a tutti di fare quel cazzo che volete nella vita. Basta che non mi rompiate i coglioni. Se volete essere barboni su una strada con un cuscino e un cane, vi auguro di poterlo diventare. Se volete lavorare 60 ore alla settimana per accumulare un sacco di soldi su un conto bancario alle Seychelles per pipparvi pure il buco del culo nei tre giorni di ferie all'anno che avete, go for it. Se volete lavorare come cameriere 20 ore alla settimana, thats even better.
Perché questo sarà lo scopo della mia vita d'ora in poi e ci metterò tutte le mie energie: mandarvi tutti a fare in culo dal primo all'ultimo insieme ai vostri consigli di merda non richiesti su come io dovrei vivermi l'unica vita che ho
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Un GRAZIE di cuore agli amici Patrizia Giardini, Marcello Moscoloni e Andrea Ansevini per questa bellissima intervista fatta alla collega Elisa Delpari e a me per Il salotto culturale di PALM Pt 23 13 12 23.
Pubblicazioni presentate:
2030: Apocalypse War (E. Delpari, 2022) e TU e il tuo alunno – Tutta la verità sulla scuola (H. Koltze & M. T. De Donato, 2023)
Situazione attuale della scuola, crollo dell’istruzione, dei valori, famiglia ed educazione dei figli, ma anche fantasy, paranormale e molti altri i temi trattati.
Buona visione!
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SCUOLE, ARRIVA L’ORA DI EDUCAZIONE ALLE RELAZIONI
Arriva nelle scuole italiane l’ora di ‘educazione alle relazioni’. Un percorso per gli studenti delle primarie e secondarie di primo e secondo grado che introduce la creazione di gruppi di approfondimento, discussione e confronto in classe, guidati da un docente e con il coinvolgimento dell’Ordine degli psicologi e degli esperti dei centri anti violenza.
Questo progetto vuole essere un invito a far entrare la cultura del rispetto e dell’educazione alle relazioni tra gli insegnamenti e coinvolgere gli studenti in prima persona per accompagnarli a prendere consapevolezza nel modificare atteggiamenti e rappresentazioni nelle interazioni con gli altri. Nell’iniziativa sono coinvolte anche le famiglie e le associazioni tramite il Fonags (Forum nazionale delle associazioni dei genitori della scuola) che raccorderanno le modalità di attuazione dei percorsi progettuali concernenti l’educazione alle relazioni con le esigenze e le osservazioni delle rappresentanze dei genitori.
Il percorso di 30 ore sarà svolto in orario extracurricolare, per tre mesi l’anno e l’adesione degli istituti potrà essere inizialmente facoltativa. Nel progetto è previsto il supporto occasionale di avvocati, assistenti sociali, organizzazioni attive nel contrasto alla violenza di genere e il coinvolgimento di testimonial vicini ai giovani come influencer, cantanti e attori. «Confrontarsi, far emergere i problemi e cercare di superarli. La scuola si occupa del fenomeno culturale e di combattere quel maschilismo ancora imperante nella nostra società che si manifesta a scuola, sul lavoro, per strada», ha affermato Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione e del Merito, promotore dell’iniziativa.
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Fonte: Ministero dell’Istruzione e del Merito; foto di Olia Danilevich
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Questo uomo no, #133 - Quello che ha studiato tanto per poi dare la colpa alla mamma
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Immagino che in molt* avrete letto l’articolo di un noto psicoesperto a proposito del femminicidio di Martina Scialdone. Se non l’avete fatto, preparate il gastroprotettore o l’antiemetico e leggetelo pure qui.
Se il titolo vi sembra ambiguo, il cappello introduttivo - scritto evidentemente dalla redazione e non dall’autore - è perlomeno chiaro. Purtroppo già nel primo paragrafo troviamo un grave problema di comprensione del fenomeno:
È sempre così quando si parla di femminicidio. L’uccisore colloca sulle spalle della vittima tutto ciò che vi è di irrisolto nella propria esistenza, dagli eventi come quelli elencati alle falle che si aprono già all’alba dei tempi, nel contatto con la famiglia d’origine, quando prendono corpo le linee di indirizzo della personalità.
Chiunque abbia un minimo di pratica con le dinamiche di violenza sulle donne e di femminicidi non può non rilevare tre gravi inesattezze già in questa prima frase. 1) Nulla è “sempre così” quando si tratta di femminicidio: non esiste alcuna regola certa, né alcuna costante, a parte la vittima, altrimenti non sarebbe quel grave problema sociale che è e lo si sarebbe risolto da tempo 2) molti femminicidi sono stati commessi da uomini che non avevano nulla “di irrisolto nella propria esistenza”, anzi erano colti ricchi benestanti e del tutto soddisfatti della loro vita - il problema semmai era la vita di chi era loro accanto 3) le “linee di indirizzo della personalità” non dipendono affatto solo da “la famiglia d’origine”, come ben sanno non solo tanti psicoespertə davvero espertə, ma anche tantə natə e cresciutə senza famiglia eppure senza alcun problema di “personalità”.
Se già non bastassero queste gravi inesattezze, il nostro psicoesperto passa subito a mettere nel mirino il colpevole di ogni femminicidio - evidentemente è sempre lui il colpevole, perché ha detto prima che “è sempre così quando si parla di femminicidio”, e cioè “un bambino viziato”:
Gli ex bambini viziati rappresentano un pericolo costante per le donne e per le relazioni in genere, poiché negli anni della formazione dello stile di vita sono stati indotti a sentirsi il centro del mondo, così diverranno pessimi cooperatori, ragione per la quale tutto ciò che riguarda la loro vita sociale tenderà a funzionare in modo distorto.
Se questa opinione sui vizi dell’infanzia può essere largamente condivisa tra le chiacchiere alla “signora mia dove andremo a finire”, in bocca a uno psicoesperto chiamato da un grande network televisivo a esprimere una opinione su un grave fenomeno sociale suscita quantomeno inquietudine, e una solenne inca22atura in chi davvero esperto di queste cose lo è.
Prima di tutto non esiste alcuna categoria scientifica né demografica chiamata “ex bambini viziati”: ma cosa vuol dire? Il “vizio” cui abituare un bambino cambia enormemente a seconda del livello economico, culturale, sociale dell’ambiente nel quale cresce. Come riconosco un “vizio”, e come un “viziato”? Quello che per uno può essere vizio, per un altro è necessità, o semplice normalità. Poi “sentirsi il centro del mondo” è un’altra indicazione vaga e ambigua: il più amato dei bambini può tranquillamente sentirsi il centro del mondo senza essere viziato. Stiamo forse parlando di un problema di autostima, di educazione al rispetto di sé? Ma queste parole nell’articolo non ci sono. Perché un esperto usa termini vaghi e non li spiega? Forse perché non ha idea del fenomeno sociale di cui sta parlando, e quindi prende la spiegazione che preferisce e la usa come il grigio, che va bene su tutto?
Poi parte un paragone senza capo né coda con il mondo aziendale:
Quando un ex bambino viziato si trova a capo di una qualche organizzazione lavorativa o di altro genere, quei tappeti rossi li pretende, caricando sui sottoposti, soprattutto su quelli meno disposti a iscriversi al programma di beatificazione quotidiana, gravami supplementari, come se il lavoro non fosse già abbastanza afflittivo.
In che senso il paragone sta in piedi? Non mi pare che i tanti “ex bambini viziati” che lo psicoesperto dice di aver incontrato a capo di aziende e organizzazioni abbiano ucciso dipendenti e sottopostə che non corrispondevano ai suoi desideri e alle sue aspettative. Invece i femminicidi ammazzano le donne che non corrispondono alla loro idea di donna. Forse per lo psicoesperto la differenza non conta, ma ho la presunzione di credere che per chi teme di venir ammazzata invece la differenza sia importante. E vorrebbe leggere qualcosa in proposito, invece di paragoni insulsi.
Purtroppo, per una sorta di perversa complementarità, nella vita sentimentale gli ex bambini viziati trovano spesso udienza presso ex bambine che si percepirono poco considerate, altro fenomeno esteso, poiché in famiglia, soprattutto quando ci sono fratelli maschi, un chilometro è più lungo da percorrere per le femmine.
Oh, finalmente una cosa sensata - peccato che serva da premessa per una classica mostruosità:
Quando un simile incastro si realizza tra un uomo e una donna, può funzionare nel tempo solo se le parti in commedia vengono rispettate, ossia se la donna accetta di perpetuare stato di fatto.
E te pareva che non era colpa di lei! Perché ovviamente lei “accetta di perpetuare lo stato di fatto” proprio così: “ciao sono un ex bambino viziato che vuole comandarti a bacchetta ed essere accontentato in tutto, sennò ti ammazzo, accetti?” “Sì, visto che sono una ex bambina poco considerata”.
Attenzione perché lo psicodribbling il nostro esperto lo mette in atto anche dopo: prima finge di andare nella direzione giusta (”creature femminili” è da brivido, ma non c’è bisogno di andare per il sottile di fronte a tanta roba come questa):
La terribile fine della giovane Saman Abbas, così come quella di Martina Scialdone nonché di mille e mille altre creature femminili, si spiegano all’interno di questa barbara logica, che ritiene scontata l’inferiorità della donna e il conseguente diritto di possesso da parte del maschio. Ma il femminicidio è solo la quota più evidente, perché tragica, di una questione assai più vasta, avvelenata da un rovesciamento di valori arbitrariamente deciso dai maschi, con la complicità dei loro educatori.
Poi scarta nella consueta direzione maschilista, andando in gol: indovinate chi sono “i loro educatori”?
quelle mamme che continuano imperterrite a fare da complici alla parte sbagliata, contribuendo a renderla sempre più immatura e tossica.
Quindi prima è lei che accetta di accoppiarsi con l’ex bambino viziato, ma prima ancora è la mamma dell’ex bambino viziato a essere complice del futuro femminicida.
Il link all’articolo è lì, potete rileggerlo. Avete letto un accenno al ruolo dei padri? Avete letto un richiamo al ruolo di responsabilità che il genere maschile dovrebbe assumere nei confronti di una società che ancora produce modelli maschili “viziati”? Avete letto un minimo accenno al ruolo di altri agenti educativi importantissimi, come la scuola, i media, i giochi, le organizzazioni sportive e ricreative, la rete di assistenza pubblica a giovani in situazioni critiche, emarginatə, abbandonatə?
No, non l’avete trovato. E questo lo ha scritto uno di quelli bravi eh. Figuratevi gli altri. Questo uomo no.
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Odio il fatto di non poter gestire io il suo tempo. Vorrei renderlo arricchente dal punto di vista cognitivo e culturale, ma non posso perché non sono sua madre e ormai è troppo tardi fare un educazione sul time management
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Il ruolo della comunicazione interculturale nella diffusione della letteratura uzbeka sulla scena mondiale, Mamarizaeva Farangiz Zohidjon kizi
Questo articolo esplora il ruolo significativo della comunicazione interculturale nel promuovere la diffusione della letteratura uzbeka sulla scena globale.
Astratto Questo articolo esplora il ruolo significativo della comunicazione interculturale nel promuovere la diffusione della letteratura uzbeka sulla scena globale. Evidenzia come gli sforzi di traduzione, i media digitali e la diplomazia culturale abbiano facilitato la condivisione della ricca tradizione letteraria dell’Uzbekistan con il pubblico internazionale. Esaminando le radici storiche…
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“ Se dovessimo tener conto delle letture importanti che dobbiamo alla Scuola, ai Critici, a tutte le forme di pubblicità e, viceversa, di quelle che dobbiamo all'amico, all'amante, al compagno di scuola, vuoi anche alla famiglia - quando non mette i libri nello scaffale dell'educazione - il risultato sarebbe chiaro: quel che abbiamo letto di più bello lo dobbiamo quasi sempre a una persona cara. Ed è a una persona cara che subito ne parleremo. Forse proprio perché la peculiarità del sentimento, come del desiderio di leggere, è il fatto di preferire. Amare vuol dire, in ultima analisi, far dono delle nostre preferenze a coloro che preferiamo. E queste preferenze condivise popolano l'invisibile cittadella della nostra libertà. Noi siamo abitati da libri e da amici. Quando una persona cara ci dà un libro da leggere, la prima cosa che facciamo è cercarla fra le righe, cercare i suoi gusti, i motivi che l'hanno spinta a piazzarci quel libro in mano, i segni di una fraternità. Poi il testo ci prende e dimentichiamo chi in esso ci ha immersi: tutta la forza di un'opera consiste proprio nel saper spazzar via anche questa contingenza! Eppure, con il passare degli anni, accade che l'evocazione del testo faccia tornare alla mente il ricordo dell'altro: alcuni titoli sono allora di nuovo dei volti. E, siamo giusti, non sempre il volto di una persona amata, ma anche quello (oh! raramente) del tal critico o del tal professore. È il caso di Pierre Dumayet, del suo sguardo, della sua voce, dei suoi silenzi, che nelle Letture per tutti della mia infanzia dicevano tutto il suo rispetto per il lettore che grazie a lui sarei diventato. E il caso di quel professore la cui passione per i libri sapeva dotarlo di un'infinita pazienza e regalarci perfino l'illusione dell'amore. Doveva proprio preferirci - o stimarci - noialtri allievi, per darci da leggere quel che gli era più caro. “
Daniel Pennac, Come un romanzo, traduzione di Yasmina Mélaouah, Feltrinelli (collana Idee), 1998²⁶, pp. 70-71. (Corsivi dell’autore)
[1ª edizione originale: Comme un roman, éditions Gallimard, 1992]
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L’autismo e la “società dello scarto”
articolo “versione estesa” in pdf: L’autismo e la “società dello scarto” foto articolo in pdf: L’autismo e la “società dello scarto” Nella foto, il mio articolo intitolato “L’autismo e la società dello scarto” pubblicato su “la Città” (quotidiano di Salerno e provincia) del 14 aprile 2023; a seguire la “versione estesa” dello stesso che per ovvi motivi di spazi redazionali è apparso in “versione…
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“Un giorno, da grandi, andremo in campagna, ma non sapevamo quando. Poi all’improvviso ci siamo detti andiamo ed abbiamo abbandonato le nostre città”: così Cinzia e Alex hanno iniziato il loro racconto, subito dopo averci accolto in quella che definiscono il cuore pulsante della loro associazione, la yurta costruita all’interno del giardino che ospita anche un arboreto di duecento piante che stanno crescendo. “Avevamo bisogno di rallentare e costruire qualcosa di nostro” continuano ancora i fondatori di Strada San Germano APS, associazione culturale che si trova alle porte del territorio marchigiano, nello colline tra Tavullia e Pesaro, che ieri abbiamo incontrano insieme agli artisti rumeni in residenza a Mondaino.
Davanti a delle ciambelle fatte in casa e a una tazza di the caldo, Cinzia e Alex hanno condiviso la loro scelta di creare questo spazio che si nutre di natura e arte, un luogo dedicato ai bambini ma anche agli adulti e a chi ha bisogno di ascolto e attenzione.
Come alieni in un territorio dedicato al motociclismo, Cinzia e Alex, tessitrice lei e artista lui, hanno creato una realtà che cerca di sostenersi in autonomia e attraverso piccolo sostegni che negli anni hanno trovato. Il luogo infatti è stato strutturato in modo che sia autosufficiente e utilizzano la metafora dell’orto per raccontare come lavorano, come investono le risorse che arrivano dalle loro attività: “concimare, lavorare, togliere sassi e riconcimare, coltivare e poi dopo anni mangiare qualcosa e qualcosa utilizzare da piantare di nuovo nell’anno successivo. Così accade nella campagna e così è stato per la nostra attività”. E questa affinità con la campagna si ripercuote anche sul teatro: le rassegne teatrali che organizzano vengono immaginate come un buffet per far vedere alla gente la bellezza e la potenzialità del teatro e in questi semini che ogni anno immettono nelle persone che incontrano quello che succede è un processo di educazione alla visione del teatro. “Il teatro è come un pranzo” dice Alex “un mix di assaggi differenti che è anche come il mondo che mostra la diversità di individui che formano una comunità”.
Oltre alle rassegne teatrali le loro attività spaziano dalle feste ai laboratori, dai giochi passando ai corsi di telaio, dal supporto alle persone con difficoltà all’orto sociale, dalle api e biomonitoraggio della qualità dell’aria del territorio attraverso il loro aiuto. E proprio il mondo delle api, il loro modo di vivere e lavorare insieme per il bene comune, è parte di quel racconto che Alex nei panni di Florindo narra ai bambini e alle bambine delle scuole del territorio che scoprono grazie a San Germano APS la semplicità dell’essere umano e della natura. Qui è concesso tutto ai bambini e alle bambine che hanno un’unica regola da seguire: rispettare gli adulti, gli animali e le cose.
E poi: la tessitura come azione per entrare in un altro tempo; i corsi come momenti per far stare insieme le persone, per aiutare l’emotività attraverso la manualità; vedere gli adulti che i bambini già hanno in potenza; aprire il sacchetto della fantasia e mangiarsela; la fiducia delle maestre come gesto di coraggio; la necessità di creare una comunità consapevole sia della natura, della campagna, che del teatro; l’idea delle comunità utopiche che hanno come modello quello di autosostenersi e di non dipendere dallo stato.
Questi e tanti altri i discorsi che si sono aperti nella scorsa mattinata, ai quali nel pomeriggio si sono intrecciati i pensieri e le riflessioni emerse da un’altra comunità “fluida” che gli artisti hanno incontrato.
Davanti a un aperitivo, accolti dal Bar la Loggia di Mondaino, Erik, un ex professore tedesco che da anni abita in un paesino abbandonato sulle colline marchigiane, Stefano, un designer milanese, Silvia, un’attrice di origini marchigiane che abita nel paesino limitrofo, Saludecio, Bianca e Liliana, due donne rumene che con le loro famiglie da anni vivono nel nostro territorio, accompagnati dalla mediazione linguistica di Denisa, hanno condiviso le loro storie e le loro riflessioni sul futuro, sull’idea di comunità e sull’utopia.
L’innamoramento istantaneo nei confronti di Mondaino; l’utopia come forma di sopravvivenza; il modificarsi impercettibile delle cose; il turismo come forma di terrorismo; Ernst Bloch e il principio della speranza; l’architettura e le strutture urbane che influenzano la comunità; la struttura urbana di Mondaino che rappresenta la comunità che abbraccia, accoglie; l’utopia che non la si può toccare ma che è ciò che ti fa sognare; l’esistenza come preesistente all’essenza; se voglio trovarmi devo crearmi: queste alcune delle riflessioni emerse in questo lungo pomeriggio condiviso che, alla domanda “Che cos’è una comunità per voi?”, si sono chiuse con: la comunità è dove mi sento a casa.
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"One day, when we grow up, we will go to the country, but we didn't know when. Then, all of a sudden, we said: let's go and left our cities": this is how Cinzia and Alex began their story, immediately after welcoming us to what they call the beating heart of their association, the yurt built inside the garden that also houses an arboretum of two hundred plants that are growing. "We needed to slow down and build something of our own," continue the founders of Strada San Germano APS, a cultural association on the outskirts of the Marche region, in the hills between Tavullia and Pesaro, whom we met yesterday along with the Romanian artists in residence in Mondaino.
Over homemade donuts and a cup of hot tea, Cinzia and Alex shared their choice to create this space that feeds on nature and art, a place dedicated to children but also to adults and those in need of listening and attention.
Like aliens in an area dedicated to motorcycling, Cinzia and Alex, she a weaver and he an artist, have created a reality that seeks to sustain itself independently and through small supports they have found over the years. In fact, the place has been structured so that it is self-sufficient, and they use the metaphor of the vegetable garden to tell how they work, how they invest the resources that come from their activities: "fertilize, work, remove stones and recultivate, cultivate and then after years eat something and something use to plant again in the following year. That's how it happens in the countryside and that's how it was for our activity." And this affinity with the countryside is also reflected in the theater: the theater festivals they organize are imagined as a buffet for people to see the beauty and potential of theater, and in these little seeds that each year they put into the people they meet what happens is a process of educating them to see theater. "Theater is like a lunch," Alex says, "a mix of different tastes that is also like the world that shows the diversity of individuals that make up a community."
In addition to theater reviews, their activities range from parties to workshops, from games passing to loom classes, from supporting people with difficulties to the social garden, from bees and biomonitoring the air quality of the area through their help. And it is precisely the world of bees, their way of living and working together for the common good, that is part of that story that Alex as Florindo tells to the boys and girls of the area schools who discover thanks to San Germano APS the simplicity of human beings and nature. Everything is allowed here for the boys and girls who have only one rule to follow: respect adults, animals and things.
And then: weaving as an action to enter another time; classes as moments to bring people together, to help emotionality through manual dexterity; seeing the adults the children already have in power; opening the bag of imagination and eating it; trusting the teachers as a gesture of courage; the need to create a community aware of both nature, the countryside, and the theater; the idea of utopian communities that have as a model to be self-sustaining and not dependent on the state.
These and many others were the discourses that opened up last morning, to which in the afternoon were interwoven the thoughts and reflections that emerged from another "fluid" community that the artists met.
Over an aperitif, welcomed by the Bar la Loggia in Mondaino, Erik, a former German professor who has lived for years in an abandoned village in the hills of Marche, Stefano, a designer from Milan, Silvia, an actress of Marche origin who lives in the neighboring village, Saludecio, Bianca and Liliana, two Romanian women who living with their families in our area for years, accompanied by Denisa's language mediation, shared their stories and reflections on the future, the idea of community and utopia.
Instantaneous falling in love with Mondaino; utopia as a form of survival; the imperceptible changing of things; tourism as a form of terrorism; Ernst Bloch and the principle of hope; architecture and urban structures influencing community; the urban structure of Mondaino representing the community that embraces, welcomes; utopia that you cannot touch but is what makes you dream; existence as pre-existing to essence; if I want to find myself I must create myself: these were some of the reflections that emerged in this long shared afternoon that, when asked "What is a community for you? ", closed with: community is where I feel at home.
#residenze 2023#stronger peripheries#catinca draganescu#right to the future#the future belongs to those who hope#performing arts
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Elena Cecchettin: la voce della ragione! Ecco perché tentano di screditarla.
Muore uccisa Giulia e la sorella, lucida, con uno spirito di presenza senza eguali, raccoglie le forze e parla. Ma dalle vittime e dai parenti delle vittime si esige che ci si affidi al patriarcato, allo Stato, lo stesso patriarcato che ha costruito la cultura che ha portato un uomo ad uccidere Giulia, lo stesso Stato che in Parlamento europeo non ha firmato per ratificare la Convenzione di Istanbul e che non vuole sentir parlare di corsi di educazione al rispetto del consenso e di genere nelle scuole.
Se non riesci a far tacere la sorella, Elena, bisogna screditarla, e lo fanno uomini con titoli d’ogni sorta, editorialisti paternalisti che vorrebbero dirle “zitta, piccina, queste son cose da maschi”. Hanno scritto di tutto, continuano a farlo, e lei continua a parlare, mentre Non Una Di Meno si muove per manifestazioni in ogni città d’Italia, custodendo rabbia ed elaborando il dolore per farlo diventare rivendicazione.
Questo è ciò che insegna la lezione femminista. Questo è quel che facciamo.
Tutti i tromboni che stanno scelleratamente insultando Elena dovrebbero parlare di privilegio maschile, interrogarsi sulla cultura maschilista che costruiscono, invece insistono nel rivendicare potere in termini di visibilità e parola.
Lo fanno dall’alto dei loro quotidiani pagati con i soldi dello Stato, dall’alto delle nomine volute da partiti maschilisti.
Lo fanno con un potere che gli è stato conferito perché non sono burattinai ma burattini di chi tenta di portare l’Italia al regresso.
Miseri patriarchi di un’Italia che non ci rappresenta più, miseri a prendervela con Elena, a misurare il suo lutto secondo il vostro metro di valutazione, miserrimi nel vostro onnipresente negazionismo su quel che è femminicidio e nel vostro onnipresente sforzo di cambiare le carte in tavola e spostare l’oggetto della discussione. Se non contro la donna morta che c’è di meglio che dare addosso ad una donna viva?
Zaia contro il consigliere Valdegamberi per l’attacco alla sorella di Giulia Cecchettin: “Mi dissocio totalmente”.
Ma lui rincara la dose
Zitte e giammai furiose, così ci vogliono. Zitte e compiante, zitte e puntellate da pietosi ghirigori di chi non avrebbe neppure titolo per definirsi giornalista, deputato, membro di partito.
Sorella, Elena, grazie per la tua lucidità, per le tue rivendicazione, solo a te, va data voce, solo tu hai le idee chiare. Non ti scoraggiare, non ti lasciar zittire da nessuno.
Quei tromboni periranno sotto l’onta della colpa più oscena: la corresponsabilità culturale nei femminicidi in Italia.
Sono violenze istituzionali, sono delitti di Stato, hai ragione, sono tutto ciò che hai affermato.
Coraggio. Non sei sola.
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