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La bella incompiuta - Andrea Scotto: Un Viaggio tra le Cronache e la Vita della Chiesa di San Nicolò a Novi Ligure
Storia e Vita della Chiesa di San Nicolò raccontate da Andrea Scotto
Storia e Vita della Chiesa di San Nicolò raccontate da Andrea Scotto Andrea Scotto, ingegnere e appassionato ricercatore, con La bella incompiuta ci accompagna in un viaggio che attraversa la Storia e la Vita della chiesa di San Nicolò a Novi Ligure. Partendo da cronache documentate, come il verbale di un’assemblea politica svoltasi nella chiesa, Scotto svela come, in epoca medievale, tali…
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il mostro di Bargagli o la banda dei vitelli? Un serial killer (forse) mai esistito
La denominazione di “mostro di Bargagli” consta in una invenzione giornalistica identificativa di un serial killer attivo a Bargagli, provincia di Genova, tra il 1944 e il 1985. Seriale mai identificato, potrebbe classificarsi come missionario disorganizzato. Continue reading il mostro di Bargagli o la banda dei vitelli? Un serial killer (forse) mai esistito
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In poesia si può discutere di tutto: di agricoltura, di economia, di filosofia; Puoi introdurre barzellette, statistiche, aneddoti, cronache storiche. La poesia non ha limiti.
Ernesto Cardenal, Clarín, 29 novembre 1984
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" Nel Brasile di Bolsonaro, il ministro dell'Istruzione Ricardo Vélez ha promosso una campagna per modificare i testi di storia allo scopo di presentare un’«immagine piú equilibrata» – cioè piú positiva – del colpo di Stato militare del 1964 che rimosse il governo progressista allora in carica (Bbc 2019). Nel 2011, il partito di Berlusconi propose di condurre un’inchiesta parlamentare sui libri di testo di storia italiana, accusati di fondarsi su forti pregiudizi di sinistra, in particolare riguardo alla Resistenza contro il nazifascismo (Luppino 2011). Secondo un reportage del «New York Times», negli Stati Uniti i testi di storia sono stati alterati a seconda dei diversi climi politici dei singoli Stati, per cui Texas e California, per esempio, non sembrano condividere la stessa storia nazionale (Goldstein 2020). Il presidente dell'Associazione degli insegnanti di storia ungheresi ha dichiarato che l’obiettivo degli interventi del governo sull'istruzione era quello di «creare una versione della storia piú gradita a Orbán» (Kingsley 2018). Anche il presidente russo Vladimir Putin si è impegnato nella (ri)produzione di narrazioni storiche che offrissero un quadro piú unificante della storia del Paese, con una direttiva che ha indotto la Società storica della Russia a produrre 80 pagine di linee guida per la compilazione dei manuali (Baczynska 2013). Gli esempi potrebbero moltiplicarsi all'infinito, ma il messaggio di fondo sarebbe lo stesso: «la conoscenza è una forma di potere», come ha scritto Howard Zinn. "
Marco Armiero, L’era degli scarti. Cronache dal Wasteocene, la discarica globale, traduzione di Maria Lorenza Chiesara, Einaudi (collana Passaggi), 2021. [Libro elettronico]
[Edizione originale: Wasteocene. Stories from the global dump, Cambridge University Press, 2021]
#Marco Armiero#L’era degli scarti#Wasteocene#saggi#libri#Maria Lorenza Chiesara#leggere#letture#citazioni#umanità#società dello scarto#sviluppo#consumismo#rifiuti#ecologia#Jair Bolsonaro#Silvio Berlusconi#Resistenza#democrazia#Storia#storiografia#educazione#scuola pubblica#Texas#California#Ungheria#Victor Orbán#Vladimir Putin#Russia#Stati Uniti d'America
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Cronache di una rievocazione a caso
Quindi, questo fine settimana c'era la rievocazione storica completa di tornei vari di un ordine dei templari e io e altro compagno siamo andati a fare numero con la CompagniaAmica templare.
Questa era la mia seconda rievocazione storica in totale da partecipante, quindi tante cose in un giorno solo (due non ce la potevo fare) sono ora impresse nella mia memoria.
tutti conoscono tutti
le compagnie moschettiere e i loro moschetti devono morire male (che chispiolo ci facevano là? direte voi. in sala se lo chiedono tutti da 13 anni)
the dramah is strong among them
avere un numero paritario di donne in compagnia è una bella novità dopo aver vissuto mesi nella tana del testosterone, anche se l'estrogeno a un certo punto parte per la tangente appena i bei figlioli cominciano ad apparire (specie a petto nudo)
continuo a essere l'unica che sa accendere un fuoco
quando il disagio generale degli spettatori è basso, apparirà improvvisamente una famiglia che scioccherà l'intero accampamento per il resto della giornata (e gli altri spettatori)
i rievocatori sono pazzi (e io ne faccio parte)
i pargoli dei rievocatori sono ad alto rischio di alcolismo giovanile e completamente fuori controllo (ma tanto tutti lì li hanno visti crescere e alcuni sono imparentanti con mezzo campo, se qualcuno li guarda anche solo male prendono le armi minimo in cinque)
se le attività per bambini che hai portato sono troppo fighe, preparati a vederli tornare a ripetizione
stare in una compagnia piccola dove l'ansia è generalmente limitata al montaggio / smontaggio e non è tossica, è drammaticamente rilassante
decidere di dormire in tende storiche è forse un atto di masochismo assoluto
I'm too old for this shit (but I'll do it anyway)
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Il 16 Maggio 2014, partecipai, presso gli spazi privati dell’Interne 4 in Rue Joubert 6 a Parigi, con una nuova tappa del suo progetto “Oc-land” che aveva visto la prima fase alla mostra Grandarte organizzata dalla Cooperativa Momo presso il Complesso Monumentale di San Francesco a Cuneo. Anche in questa occasione prosegue la sua presentazione dei reperti che furono trovati in questi decenni, che l’artista ha catalogato e riattivato in processi creativi.
Nel corso degli anni passati l’artista ha trovato dei reperti, manufatti, oggetti, nel suo pellegrinare per le valli occitane. Dopo averli catalogati come documenti archeologici li ha usati per condividere il suo vissuto personale in questo territorio.
L’artista nel suo lavoro di ricerca sul senso di identità umana sta sviluppando un nuovo progetto che affonda le sue origini in un antico e un vasto territorio. Una regione molto ampia e articolata fra storia e leggende, fra cronache avventurose e vite quotidiane.
Durante una passeggiata in val Maira, in prossimità della borgata di Elva, l’artista aveva trovato una piccola sacca di cuoio verde, abbandonata in un campo, dentro cui c’erano sei bocce, un pallino e una lettera.
In questa occasione l’artista utilizzerà questi materiali per un breve intervento performativo accompagnato dall’esposizioni di alcune foto, scattate nella giornata del ritrovamento, era il 21 Giugno 1995.
Nell’azione comune del gioco si creano segni che paiono antiche e storiche costellazioni, che ci guidano nella notte buia del presente.
Titolo dell’evento “Reperto 01” Curatore : Tarcisio Dutto. Interne 4 ,Rue Joubert 6, Parigi
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davvero la Crimea è sempre stata russa?
La Crimea è sempre stata una penisola (o una quasi-isola) strategica. Geograficamente essa fa parte del bacino del mar Nero ed è associata senza soluzioni di continuità alle steppe ucraine meridionali. Il legame storico, geografico e commerciale della Crimea con l'Ucraina è sempre stato fortissimo. Anzi, sembra che Kyiv sia stata fondata proprio come piazza di transito del traffico commerciale verso il mar Nero e di quello carovaniero verso l'Asia centrale.
Le due rotte, percorse da un gran numero di carovane, erano denominate, rispettivamente, la Via Greca, che dai porti del Mar Nero proseguiva via nave (col cabotaggio) per Bisanzio, e la Via Zaloznyj ( "la via dietro i salici"), che correva lungo il Dnipro, attraverso il Mar d'Azov, verso il Medio Oriente. La parte terrestre della via Greca, come spiega Hruševs'kyj (il più grande storico ucraino) «legava la Crimea e il Dnipro, attraverso Perekop. Nella prima metà del XVI secolo ci si riferisce a essa come "la strada utilizzata da sempre, da tempo immemorabile" e come "la strada antica". Correva da Perekop al Dnipro, passando per Tavan, non lontano da Oleššja, e da lì verso Čerkasy, Kaniv e Kyiv» (Storia dell'Ucraina-Rus', vol. VI, 1906).
Perekop si trova proprio nell'unica striscia di terra che lega la Crimea al continente, la quale è anche un istmo che divide il Mar d'Azov dal Mar Nero; Oleššja era un porto fluviale posto alla foce del Dnipro, nei pressi dell'attuale Cherson (Ucraina meridionale): quindi la strada non puntava a nord-est verso il disabitato Donbas, ma piegava verso nord-ovest e poi seguiva il corso inclinato del Dnipro.
Anche politicamente i legami tra la Crimea e l'antico Stato della Rus' di Kyiv erano molto forti; anzi, le cronache riferiscono che il battesimo della Rus', cioè la conversione del principe (kniaz') Volodymyr al cristianesimo greco sia avvenuta anche in virtù della cessione territoriale da parte dei bizantini di Sebastopoli, Chersonesus in latino, cioè della più russificata delle località della Crimea odierna, in virtù della bisecolare presenza dei marinai e degli ufficiali della flotta russa del Mar Nero.
Mosca e la Russia sono comunque lontanissime, storicamente e geograficamente, dalla Crimea; la Moscovia ha costituito per secoli il lontano nord del mondo slavo orientale, isolato e orbitante fino al XV secolo attorno all'Impero mongolo. Ancora oggi, per gli ucraini, i russi sono dei settentrionali che abitano in luoghi freddissimi, e, al converso, per i russi, gli ucraini sono dei meridionali che abitano regioni belle e solari. Una serie di circostanze storiche ha favorito in epoca moderna una continua espansione della Moscovia verso sud-est, fino alla conquista - dopo aver preso buona parte dell'Ucraina - della Crimea nel 1783, che era da secoli uno Stato tataro. Con il crollo dell'impero zarista ci fu la proclamazione nel 1918 di un'indipendente Repubblica ucraina, che ottenne di federarsi per breve tempo con l'autonoma Repubblica della Crimea e con quella del Kuban', prima che l'aggressione bolscevica ponesse fine a questa breve esperienza.
Si tenga anche conto che la parte di Russia attuale che si affaccia da est sul mar d'Azov è assai poco russa: sia la regione costiera orientale, con la città natale di Čecov, Taganrog, sia la grande penisola meridionale del Kuban', fino agli anni Trenta del Novecento erano abitate quasi unicamente da ucraini. Il genocidio per fame (Holodomor) che falcidiò il Kuban' quanto e più di altre regioni ucraine, flussi migratori di russi favoriti dagli zar e dai sovietici, cessioni territoriali forzose della Repubblica socialista ucraina in favore di quella russa, fecero di queste zone delle terre "russe".
Rimane il fatto che non c'è, neanche oggi, un legame geografico tra esse e la Crimea; e questo è uno dei motivi che spinge Putin a muovere guerra verso Mariupol, il porto del Donbas posto sul mar d'Azov; egli spera poi di prendersi le decine di chilometri di fascia costiera che, attraverso l'altro porto e centro industriale di Berdjans'k, connetterebbero finalmente, per la prima volta nella storia, la Russia alla Crimea.
Da quanto detto, risultano prive di senso le pretese russe a una "eterna appartenenza" della Crimea alla Russia, come base ideologica dell'atto annessionista del 2014 (condannato da una schiacciante maggioranza all'Assemblea generale dell'Onu). Sarebbe come dire che l'Algeria (conquistata nel 1830) è francese. Si può anzi affermare che questa annessione è un tipico sussulto da sindrome post-coloniale, paragonabile a quella subita dalla Francia con la crisi algerina della fine degli anni Cinquanta.
Anche la demografia crimeana attuale non è per nulla naturale: prima dell'annessione del 2014 i russi risultavano essere il 54% degli abitanti della Crimea, con il resto della popolazione diviso tra ucraini e tatari. Ma i Tatari sono uno dei popoli martirizzati dal regime sovietico e da Stalin, che approfittò della vittoria nel Secondo conflitto mondiale per deportarli in massa in Uzbekistan: un crimine contro l'umanità poco noto e che cambiò radicalmente la struttura demografica della Crimea. Dopo la fine del comunismo molti tatari poterono tornare in Crimea, di solito confinati nelle province interne della penisola.
In ogni caso, anche la Crimea, sebbene a maggioranza russa e russofona, votò nel 1991 per l'indipendenza dell'Ucraina, di cui divenne una Repubblica autonoma, l'unica presente nello Stato ucraino (una sorta di Alto Adige). La presunta "donazione" della Crimea all'Ucraina da parte di Kruščev nel 1954 è un mito abilmente diffuso dalla propaganda russofila. La Crimea era già una parte effettiva dell'Ucraina sovietica, dal punto di vista infrastrutturale, geografico ed economico. Non a caso, l'approvvigionamento idrico ed elettrico della Crimea continua, ancora oggi, a farsi tramite l'Ucraina. Con il loro "dono", i membri del Politburo (e non il solo Kruščev, che all'epoca non aveva ancora i pieni poteri) colsero diversi obiettivi: ingraziarsi gli ucraini, in occasione tra l'altro del trecentesimo anniversario dell'accordo di Perejaslav tra i Cosacchi e i Moscoviti, che pose le basi della conquista russa dell'Ucraina; aumentare la quota di abitanti russi dell'Ucraina; scaricare sul bilancio e sulle risorse della repubblica ucraina gli ingenti investimenti necessari alla modernizzazione della penisola che era ancora, all'epoca, ad uno stadio di sviluppo infrastrutturale primitivo. Con ciò aggravando ancor di più lo storno di risorse e capitali d'investimento ucraini che si è verificato per l'intera storia sovietica e che ha visto l'Ucraina svolgere il ruolo di contributore netto dell'economia sovietica.
Questa simbiosi storica ed economico-sociale tra l'Ucraina e la Crimea è stata accresciuta dalla proclamazione dell'indipendenza dell'Ucraina: secondo un sondaggio condotto nel 2011 dal Centro Razumkov (un centro ucraino di ricerca indipendente, premiato nel 2004 come miglior organizzazione non governativa dell'Europa orientale), il 71,3 per cento degli abitanti della Crimea intervistati dichiarava di considerare l'Ucraina la propria patria, con un aumento spettacolare rispetto al 39.3 per cento registrato in un medesimo sondaggio del 2008. La percentuale di russi che condividevano questo sentimento era di un significativo 66%. Solo il 18,6% dei crimeani rigettava la propria identità ucraina.
-Giuseppe Perri - ( Strade verso luoghi non comuni)
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Becciu è il malfattore, il Papa l’innocente tradito. Ho il sospetto che la realtà sia un po’ diversa Gigantesche e oscure speculazioni finanziarie spesso finite malissimo, violentissime rivalità interne tra gerarchi in tonaca disposti a tutto pur di far del male al proprio rivale, imprenditori e finanzieri di dubbia reputazione e in qualche caso in odor di mafia divenuti negli ultimi anni abituali frequentatori delle stanze vaticane e lì ricoperti di denaro. Se giudicata dai fatti che emergono dalle cronache di questi giorni e non dalle parole delle encicliche o dei documenti pontifici, la chiesa “povera e per i poveri” annunciata da Francesco appare poco di più di una felice immagine retorica, di una formula buona forse per ottenere il plauso di qualche “ateo devoto” in cerca di identità, ma certo inadatta a descrivere il modo in cui la Chiesa agisce concretamente nel mondo. Insomma, la Chiesa di Roma predica bene e razzola malissimo e usa molti dei denari che i poveri, direttamente o indirettamente, le donano per arricchire prelati di corte, faccendieri vari e le famiglie di tutti costoro. Quello che non convince nelle ricostruzioni giornalistiche di queste vicende è però l’individuazione delle catene di responsabilità. Sempre in casi come questo l’attenzione della pubblica opinione viene giustamente puntata in alto, in direzione del vertice dell’organizzazione, verso i capi, che non potevano non sapere. Qui invece è bastato che papa Francesco, guarda caso proprio pochi giorni prima della pubblicazione della prima inchiesta giornalistica, licenziasse brutalmente e degradasse il cardinal Becciu, implicitamente additandolo al pubblico ludibrio come traditore, perché tutta la stampa che conta si precipitasse sul cadavere politico dell’alto gerarca per sbranarne quel che resta, per dipingerlo come il più sordido dei criminali, come un infido malfattore fattosi strada con l’astuzia nelle segrete stanze per appropriarsi dei suoi tesori. Non manca giorno che non si apprenda di qualche nuova pista, invero mai approfondita e mai corredata da solide prove di colpevolezza, che porta ad arricchire il catalogo dei crimini di costui. Il fatto che il papa lo abbia solo due anni fa promosso prefetto (cioè capo) della congregazione dei santi e soprattutto nominato cardinale non ha, per la stampa, nessun rilievo. Becciu è diventato ormai il sinonimo di Giuda, capace, per qualche denaro, di vendere l’immacolato e purissimo successore argentino di Pietro. Giorno dopo giorno cadono con lui nella polvere altre figure, ma la loro disgrazia non fa che esaltare, nelle cronache, il candore della veste papale, l’innocenza tradita del Santo Padre. Più costoro sono meschini più lui appare diverso da tutti, unico e puro. E’ lo schema usato in altre circostanze storiche per descrivere il rapporto tra i sovrani e la loro corte, tra i dittatori e il loro seguito. “Il re e è puro e ama il suo popolo – questo è l’adagio – ma i perfidi cortigiani tramano alle sue spalle e approfittano della sua immensa bontà per compiere il male”. Oppure “il duce è onesto, sono i suoi collaboratori ad essere corrotti”. E’ questo anche lo schema adoperato all’inizio di Tangentopoli da quei leader politici che cercavano disperatamente di scaricare tutte le responsabilità degli affari illeciti dei loro partiti sui “mariuoli”, sui segretari amministrativi, su chi gestiva i cordoni della borsa. In questo scenario, la curia romana viene descritta come una sorta di associazione di liberi professionisti indipendenti, in cui ciascuno fa un po’ quel che gli pare mentre il capo pensa solo a pregare e a celebrare messa. Quando si concludono affari di centinaia di milioni di euro quest’ultimo non viene nemmeno consultato. Ho il sospetto che la realtà sia un po’ diversa. La Chiesa Cattolica è la più centralizzata e gerarchica delle istituzioni esistenti. Il monarca che la guida è dotato di poteri immensi e assoluti e la curia è il principale apparato organizzativo al suo diretto servizio. Se così stanno le cose, i casi sono due: o Bergoglio si trova nella stessa posizione che fu di Ratzinger e ha perso completamente il controllo della situazione e allora siamo di fronte ad un vuoto di potere che immaginiamo sarà colmato al più presto (casomai grazie a un gesto di responsabilità, un autopensionamento del monarca) oppure il papa regna e governa a tutti gli effetti e allora qualche responsabilità l’avrà anche lui nelle vicende di cui sopra. Quel che in ogni caso sarebbe bello sentirgli dire è che, per risolvere il problema alla radice, andrebbe direttamente soppressa la curia romana, che la struttura di governo accentrata e autoritaria ereditata dall’impero romano non funziona più, che non ha senso che un’organizzazione religiosa amministri una tale quantità di denaro e che lo investa cercandone di fare profitti, che è venuto il momento per delegare poteri, risorse e responsabilità alle periferie, facendo seguire una volta tanto alle parole i fatti. Sarebbe bello. Ma temiamo di dover aspettare ancora qualche secolo. Marco Marzano, professore ordinario di Sociologia all'Università di Bergamo
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"A poco più d'un anno dalla Liberazione già la «rispettabilità ben pensante» era in piena riscossa, e approfittava d'ogni aspetto contingente di quell'epoca – gli sbandamenti della gioventù postbellica, la recrudescenza della delinquenza, la difficoltà di stabilire una nuova legalità – per esclamare: «Ecco, noi l'avevamo sempre detto, questi partigiani, tutti così, non ci vengano a parlare di Resistenza, sappiamo bene che razza d'ideali...» Fu in questo clima che io scrissi il mio libro, con cui intendevo paradossalmente rispondere ai ben pensanti: «D'accordo, farò come se aveste ragione voi, non rappresenterò i migliori partigiani, ma i peggiori possibili, metterò al centro del mio romanzo un reparto tutto composto di tipi un po' storti. Ebbene: cosa cambia? Anche in chi si è gettato nella lotta senza un chiaro perché, ha agito un'elementare spinta di riscatto umano, una spinta che li ha resi centomila volte migliori di voi, che li ha fatti diventare forze storiche attive quali voi non potrete mai sognarvi di essere!»" "Nella notte del 19 settembre del 1985, esattamente 34 (35 ormai) anni fa, moriva a Siena Italo Calvino. Scompare non soltanto uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento ma anche un intellettuale sempre in prima linea nelle battaglie politiche, civili, sociali del suo tempo." Cannibali e Re Cronache Ribelli . . #italocalvino (presso Siena, Italy) https://www.instagram.com/p/CFYv0P7qHmd/?igshid=1fj6whfw7asjp
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Nuovo post su https://is.gd/ACnH2O
I coniugi Peruzzi, benefattori dello Spedale degli Innocenti a Firenze e fondatori del convento dei Minimi in Lecce
Lecce, chiesa di S. Maria degli Angeli
di Giovanna Falco
Si aprono nuove prospettive di ricerca sulla storia della chiesa di Santa Maria degli Angeli e del convento di San Michele Arcangelo dei Minimi di San Francesco di Paola, ubicato in piazza dei Peruzzi a Lecce: i fondatori Giovannella e Bindaccio di Bernardo di Bindaccio Peruzzi[1] furono anche benefattori dello Spedale degli Innocenti di Firenze, dove i loro ritratti sono conservati insieme con quelli di altre personalità dell’Istituto fiorentino.
Tutte le fonti che trattano della fondazione del complesso conventuale dei Minimi in Lecce[2], seppur contraddittorie sulle date, concordano nell’attribuirla a Giovannella Maremonte, vedova di Bindaccio Peruzzi, morto il 14 luglio 1502[3].
La vedova Peruzzi su disposizione testamentaria del marito, volle far realizzare in un giardino fuori porta San Giusto un oratorio e chiesa. Il 14 maggio 1524 il notaio Sebastiano de Carolis di Firenze rogò l’atto di fondazione del convento dei Minimi di San Francesco di Paola, alla presenza del provinciale genovese dell’Ordine e di Giovannella[4].
Con testamento del 13 marzo del 1527, rogato a Firenze dal notaio Paolo Antonio de Rovariis[5], la Peruzzi donò altri beni per l’erigendo convento.
Purtroppo i documenti originari sono stati dispersi, così come i riassunti degli atti del 1524 e del 1527, eseguiti nel 1766 dal notaio Lorenzo Carlino[6].
Lecce, chiesa di S. Maria degli Angeli, portale di ingresso
Il giardino dov’è sorto il complesso conventuale dei Minimi, era conosciuto dai leccesi come Panduccio, distorsione dialettale del nome del proprietario, la cui presenza a Lecce è attestata negli anni Settanta del Quattrocento[7]. Ritornato a Firenze, Bindaccio Peruzzi ricoprì ruoli rappresentativi per l’Arte dei Mercanti[8], di cui nell’aprile del 1502 era ancora membro del consiglio, seppur assente[9]. Tre mesi dopo donò parte dei suoi beni allo Spedale degli Innocenti di Firenze, così com’è riportato nella targa del ritratto che lo commemora (www.catalogo.beniculturali.it › sigecSSU_FE › schedaCompleta.action): «Bindaccio Peruzzi priore del comune nel MCCCCXCV largi’ con testamento de’ X luglio MDII parte de’ suoi averi a questo brefotrofio e l’esempio del misericordioso consorte fu seguitato dalla moglie»[10] .
Stemma dei Peruzzi
Grazie alla consultazione delle carte d’archivio dell’Ospedale degli Innocenti, Luigi Passerini e Alessandra Mazzanti e Vincenzo Rizzo, individuano la vedova di Bindaccio in Giovannella Peruzzi, il cui ritratto nel Settecento era esposto nel guardaroba dell’Istituto[11]. La vedova Peruzzi figlia «di Niccolò De Noe»[12], proveniente dalla «Basilicata nel Regno di Napoli»[13], morta nel 1527[14].
Le date coincidono, ma Giovannella Peruzzi, nei documenti dell’archivio dell’Istituto fiorentino risulta essere un’esponente di casa de Noha, e non di casa Maremonte.
Stemma dei Maramonte
La diversa interpretazione del cognome della fondatrice nei documenti conservati presso il convento leccese è indirettamente chiarita da Michele Paone, quando scrive che nel 1524: «in Firenze la vedova di Bindaccio Bernardo Peruzzi, Giovannella, orfana di Nicola Gionata e Margherita Maremonte, donò ai minimi di S. Francesco di Paola la chiesa di S. Maria degli Angeli»[15]. La provenienza dalla Basilicata del padre di Giovannella, Nicola de Noha, è attestata (salvo che non si tratti di un caso di omonimia) da Giustiniani: nel 1457 re Alfonso diede Latronico «per ducati 600 a Cola de Ionata de Noha»[16]. Conferma la distorta lettura dell’atto del 1524, il nome del notaio fiorentino tramandato in maniera errata: si è individuato, infatti, Sebastiano de Carolis, in Bastiano di Carlo da Fiorenzuola, i cui atti, anche quelli del 1524, sono conservati presso l’Archivio di Stato di Firenze, dove non è reperibile l’annata 1527 di Paolo Antonio Rovai, il notaio che ha redatto il testamento della vedova Peruzzi[17].
Lecce, chiesa di S. Maria degli Angeli, particolare dell’ingresso
Alla luce di questa identificazione, sono tanti gli elementi da riprendere in considerazione, per aggiungere nuovi capitoli alle vicende del complesso monastico. Riguardo al campo prettamente artistico, non è da escludere la provenienza diretta dei disegni per realizzare la chiesa commissionata dalla Peruzzi, dalla Firenze dei grandi artisti rinascimentali, poiché i lasciti per entrambe le istituzioni denotano l’appartenenza della coppia all’elite fiorentina. Seppur di fattura locale e successiva, è evidente, ad esempio, il richiamo iconografico della lunetta della chiesa leccese alle opere di Andrea Della Robbia.
Andrea della Robbia, Madonna con Bambino e Angeli (1504-1505), cattedrale di San Zeno, Pistoia (dal sito Tuscany sweet Life)
Andrea della Robbia Madonna con Bambino e angeli (1508 ca. – 1509 ca.), Museo Civico di Viterbo, prima chiesa di San Giovanni dei Fiorentini Viterbo (dal sito della Fondazione Federico Zeri, Università di Bologna)
Un’attenta analisi delle fonti minime, contestualizzata con le vicende storiche di Puglia e Firenze, inoltre, potrebbe determinare il perché la scelta dei fondatori ricadde su quest’Ordine. Lo studio delle vicissitudini delle famiglie dei fondatori e delle fasi costruttive del complesso monastico, potrebbero individuare l’epoca e il perché la famiglia Maremonte passò alla storia come fondatrice della chiesa di Santa Maria degli Angeli, il cui stemma è presente in facciata assieme a quello di Bindaccio Peruzzi.
Note
[1] Cfr. F. Bruni, Storia dell’ I. e R. Ospedale di S. Maria degl’Innocenti di Firenze e di molti altri pii stabilimenti, Volume I, Firenze 1819 p. LXXXII.
[2] Cfr. L. Montoya, Coronica general de la Orden de los Minimos de S. Francisco de Paula su fundador, lib. I, Madrid 1619, p. 87; G. C. Infantino, Lecce sacra, Lecce 1634 (ed. anast. A cura e con introduzione di P. De Leo, Bologna 1979), pp. 93-94; F. Lavnovius, Chronicon generale ordinis Minorum, 1635, p. 193; R. Quaranta, Storia della provincia pugliese dei Minimi nel manoscritto Historialia monumenta chronotopographica provinciae Apuliae del p. Antonio Serio: (metà sec. XVIII), Roma 2005, pp. 35-40; F.A. Piccinni, Principiano le notizie di Lecce, in A. Laporta (a cura di) Cronache di Lecce, Lecce 1991, pp. 15, 224-226; A. Foscarini, Guida storico-artistica di Lecce, Lecce 1929, pp. 126-130; G. Paladini, Note storico-artistiche, in L’Ordine: corriere salentino, 6 luglio 1934 , a 29, fasc. 27 (www.internetculturale.it); G. Paladini, Guida storica ed artistica della città di Lecce. Curiosità e documenti di toponomastica locale, Lecce 1952, pp. 212-224; L. G. De Simone, Lecce e i suoi monumenti. La città, Lecce 1874, nuova edizione postillata a cura di N. Vacca, Lecce 1964, p. 114-118; O. Colangeli. S. Maria degli Angeli. S. Francesco di Paola, L’ex convento dei Minimi francescani, Galatina 1977; M. Paone, Chiese di Lecce, vol. I, Galatina 1981, pp. 317-319.
[3] Cfr. A. Foscarini, Op. cit., p. 126; O. Colangeli. Op. cit., p. 5.
[4] Il Provinciale genovese, sostituiva padre il generale dell’Ordine, Marziale de Vicinis, assente. Padre Antonio Serio lo individua in Michele de Comte, Francesco Antonio Piccini, invece, in Antonello de Vicinis. Il Chronicon conferma quanto asserito da Serio (cfr. F. Lavnovius, op. cit., pp. 190-191). Da Piccinni in poi la data riportata è il 10 maggio 1524 (cfr. G. Paladini, Guida storica ed artistica della città di Lecce, cit; L. G. De Simone, op. cit; O. Colangeli. Op. cit).
[5] Cfr. R. Quaranta, Storia della provincia pugliese dei Minimi, cit, p. 36. De Simone e Paone datano l’atto al 1524, attribuendolo al notaio Antonio de Boccariis.
[6] Cfr. F.A. Piccinni, op. cit.
[7] Cfr. C. Massaro, Territorio, società e potere, in B. Vetere (a cura di), Storia di Lecce. Dai Bizantini agli Aragonesi, Bari 1993, pp. 315-316; Ministero dell’Interno. Pubblicazioni degli Archivi di Stato, XVIII, Archivio di Stato di Firenze. Archivio Mediceo avanti il Principato. Inventario, volume secondo, pp. 35, 212, 361; F. Carabellese, Bilancio di un’accomandita di casa Medici in Puglia del 1477 e relazioni commerciali fra la Puglia e Firenze, in Archivio storico pugliese 1896 a. 3, fasci 1-2, vol. 2, pp. 77-104.
[8] Nel 1496 è mastro di zecca per l’oro (Cfr. P. Argelatus, De Monetis Italiae vario rum illustrium virorum Dissertationes. Parte Quarta, Milano 1752; I. Orsini, Storia delle monete della Repubblica Fiorentina, Firenze 1760, pp. 191 e 272).
[9] Cfr. G. Milanesi, Delle statue fatte da Andrea Sansovino e da Gio. Francesco Rustici sopra le porte di S. Giovanni di Firenze (1) 1502-1524, in G. Milanesi, Sulla storia dell’arte toscana scritti varj di Gaetano Milanesi, Siena 1873, pp. 247-261, p. 247, pp. 250-52. La targa è stata trascritta anche in G.B. Niccolini, Iscrizioni per i ritratti de’ benefattori del R. Spedale degli Innocenti di Firenze, in C. Gargiolli (a cura di), Opere edite e inedite di G.B. Niccolini, Tomo VII, Milano 1870, p. 728.
[10] Fu priore del quartiere San Giovanni nel bimestre Settembre – Ottobre 1495 (Cfr. I. di San Luigi, Istorie di Giovanni Cambi cttadino fiorentino pubblicate, e di annotazioni, e di antichi munimenti accresciute, ed illustrate da Fr. Ildefonso di San Luigi carmelitano scalzo della provincia di Toscana Accademico Fiorentino, volume secondo, Firenze 1785; F. Bruni, Storia dell’ I. e R. Ospedale di S. Maria degl’Innocenti di Firenze e di molti altri pii stabilimenti, Volume I, Firenze 1819, p. LXXXII). Nel 1759 il ritratto di Bindaccio era esposto nell’Istituto: «Dalla Chiesa per la Porta a manritta si passa nel primo Cortile, intorno intorno ornato di Colonne Corintie di pietra serena, co i Ritratti de i più insigni Benefattori alle Lunette» (G. Richa, Notizie istoriche delle chiese fiorentine. Divise nei suoi quattro Quartieri, Tomo ottavo, Firenze 1759, p. 129). Nel 1845 i ritratti di Bindaccio e Giovannella, dispersi o deteriorati, furono ridipinti gratuitamente rispettivamente da Giuseppe Marini e Carlo Falcini, per volontà del commissario dell’epoca cavalier Michelagnoli (Cfr. O. Andreucci, Il fiorentino istruito della chiesa della Nunziata di Firenze, Firenze 1857, pp. 175 e 275). Attualmente sono conservati presso il deposito dell’Istituto.
[11] Cfr. G. Richa, op. cit., p. 396. La scheda del ritratto è consultabile a questo link: https://www.beni-culturali.eu › opere_d_arte › scheda ›
[12] L. Passerini, Storia degli stabilimenti di beneficenza e d’istruzione elementare gratuita della città di Firenze, Firenze 1858, p. 946.
[13] A. Mazzanti, V. Rizzo, Memorie dell’organo di Santo Stefano a Campi: un priore, tre famiglie di artisti e di artigiani, Opus libri, 1992, p. 31.
[14] Cfr. U. Cherici, Guida storico artistica del R. Spedale di S. Maria degli Innocenti di Firenze, Firenze 1926, p. 52.
[15] M. Paone, Chiese di Lecce, vol. I, Galatina 1981, p. 317.
[16] L. Giustiniani, Dizionario Geografico – Ragionato del Regno di Napoli, Tomo V, Napoli 1802, p. 223.
[17] Cfr. Archivio di Stato di Firenze. Notarile antecosimiano. Inventario sommario. Trascrizione su database informatico degli inventari N/272-275 a cura di Eva Masini (2015).
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Molti italiani hanno amato Montanelli (e a quanto pare lo amano tuttora) perché ha dato loro una grossa mano a mettere in parentesi il fascismo passato, a normalizzarlo e banalizzarlo. Sin dai primi libri, a regime ancora “fresco” (“Qui non riposano”, 1945) Montanelli fu “uno dei principali artefici di una memoria consolatoria del fascismo, che andava incontro al desiderio degli italiani di cancellare il ricordo delle passate responsabilità” (Luca La Rovere, “L’eredità del fascismo: gli intellettuali, i giovani e la transizione al postfascismo”, p. 314). Così il fascismo del singolo e della comunità diventava pochezza, debolezza, sotterfugio. Qualcosa di perdonabile senza necessità di processo. Una malattia non grave senza obbligo di de-fascistizzazione. Si potrà comprendere quanto rilevasse una simile posizione nel dopoguerra, nella società italiana postfascista. L’autorevolezza di Montanelli cresceva nello specchio di centinaia di migliaia di lettori che chiedevano strumenti di autoconsolazione e giustificazione. Si cercava come il pane una divulgazione che diluisse il fascismo, che lo riducesse tutt'al più a tentativo autoritario, e sconfitto, di modificare il carattere italiano: un carattere più ridicolo che criminale, e impermeabile a qualsiasi totalitarismo. Poi è nato il monumento. Certo, era un grande giornalista. E le sue battaglie e cronache, tra anticomunismo su scala globale (la Lettera 22 sulle gambe) e fustigazione morale del costume nazionale, alimentavano poi la credibilità della sua vena “storiografica”. Ma, a parte il fatto che proprio i grandi giornalisti, ancor più dei giornalisti normali, sono capaci di scrivere grandi sciocchezze, anzi più un giornalista è grande più corre il rischio di scrivere grandi sciocchezze, abbiamo capito in cosa consistesse parte del successo di Montanelli: era lo scrittore che una certa comunità, un certo pubblico, rendeva grande perché aveva bisogno proprio di quella versione lì per assolversi e andare avanti. Di nuovo: il monumento. Montanelli è diventato monumento in un’Italia che non ha mai fatto i conti col proprio fascismo, e che anzi l'ha fatto risuonare in continuità negli apparati, nell’amministrazione, nell’ideologia. Sulla guerra d’Africa, poi, le posizioni di Montanelli sono sempre state sconcertanti. Non si ricorda solo l’episodio della bambina comprata in moglie, giustificato da M. in articoli e interviste e nella famosa apparizione tv con candore tra ipocrisia, pseudostoricismo e pseudoantropologia (“in Africa è un’altra cosa”, era usanza del tempo), e che gli è costata ora la vernice delle femministe milanesi. Ci fu anche la polemica assurda con lo storico Angelo Del Boca, dove Montanelli si ostinò a lungo a minimizzare l’uso del gas, mentre Del Boca produceva in prova i telegrammi di Mussolini con l’ordine di gettare l’iprite sugli abissini. Non era solo una difesa autobiografica, dovuta al fatto di aver partecipato a quella campagna. Il problema di Montanelli era che l’aggressione all’Abissinia, assieme alle leggi antiebraiche, era il fatto storico che più di altri sabotava il monumento al “fascismo macchietta”, al fascismo episodico. C’era dunque una Storia - e qualcuno si ostinava a raccontarla - che resisteva alle procedure di depotenziamento e riduzione dello scandalo fascista, che si opponeva agli espedienti e agli annacquamenti. Questa storia più veritiera c’è sempre stata, e a me pare che anche in nuovi libri di storiche e storici, di scrittrici e scrittori, continui a parlare e a farsi leggere. Ma appunto non è monumento (o storiella): è storia. Mentre un monumento, imbrattato di vernice rosa o immacolato, difeso o contestato, per dirla con Alessandro Manzoni: “non è una storia: anzi talvolta è, non solo molto meno, ma qualche cosa di contrario alla storia” (“Storia della Colonna Infame”, cit. in Salvatore S. Nigro, “La funesta docilità”, p. 134).
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delitti di provincia: i misteri di alleghe
I Misteri di Alleghe sono una serie di eventi tragici e inquietanti avvenuti tra gli anni ’30 e ’40, che videro il piccolo borgo di montagna protagonista di una scia di morti sospette, ufficialmente archiviate come suicidi ma avvolte da un alone di dubbio e mistero. Un intreccio di passioni, segreti di famiglia e ipotesi mai confermate, che sembra emergere dalle acque gelide del lago di Alleghe,…
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(...) come Mario Monti, (...) parte di quelli che interpretano attivamente la linea di un europeismo che definirei irriflessivo. Una linea espressa da molti altri personaggi illustri prima di lui, ( i quali) pensavano che l'Italia si potesse salvare solo aggrappandosi a un vincolo esterno. Si tratta di una tradizione tutta italiana che deriva dalle nostre debolezze storiche. (...) la potremmo chiamare "linea Guicciardini". E dall'altra parte che cosa c'è? Dall'altra parte c'è quella che potremmo definire "linea Machiavelli", cioè quella che all'epoca voleva un "imperatore" italiano e oggi vuole semplicemente restituire la piena sovranità all'Italia. La linea di Fubini del Corriere e compagnia è quella che ha portato l'Italia e la stessa Europa alla deflazione, la Grecia alla spoliazione. E' una linea composta da un concentrato di economia che da scienza sociale si trasforma tragicamente in aritmetica, oggi rinnegata anche da Juncker e dalla Merkel che fanno finta di essere pentiti perché hanno paura di quanto può accadere alle prossime elezioni europee.
Giulio Sapelli intervistato da Affaritaliani, http://www.affaritaliani.it/cronache/europa-italia-sapelli-intervista-582565.html?refresh_ce
Il punto di questa intervista non è perorare una visione piuttosto che un’altra (Machiavelli rispetto a Quisling, ooops, volevo dire Guicciardini). Il punto, che per me nuovo NON E’, è stabilire una PARI DIGNITA’ INTELLETTUALE tra le due posizioni. E vinca la migliore, la più convincente o meglio, la più darwinianamente ADATTA .
E se chi vince non funzona, che succede? Che moriremo tutti, come ci ammaestrano i Phastidio da vent’anni a questa parte, indipendentemente da chi governi? Succede che c’è Darwin: il perdente viene rimpiazzato, punto e fine della storia (è successo alla Gioiosa Macchina da Guerra, ricapiterà anche ad altri).
In altre parole, è lo smentire i troppi convinti che dopo di loro il Diluvio, che esista un fantomatico divide sociale, ignoranti diqquà e saputoni dillà, è dar la sveglai a chi non si renda conto, o finga, che la distribuzione del cretino come del saggio sia statisticamente equa: ad ogni Toninullo corrisponde un Martina, per un Costa c’è un Orlando etc.etc.; del resto, è esattamente come in ogni azienda e reparto.
Eppure, com’è difficile affermarlo e testimoniarlo, oh! Del resto viviamo in un Paese educato, diciamo, al contradaiolismo irrazionale curvasud che di identitario ci ha solo l’ululato, tanto che ogni aggregato si microspacca ...
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“ Ci sono state molte epoche storiche in cui una discussione filosofica o forense erano anche spettacolo: a Parigi, nel medioevo, si andava a seguire le discussioni delle "quaestiones quodlibetales", non solo per sentire cosa il filosofo aveva da dire, ma per assistere a una gara, a un dibattito, a un evento agonistico. E non ditemi che ci si affollava negli anfiteatri ateniesi ad assistere a una trilogia tragica più dramma satiresco solo per stare seduti buoni buoni sino alla fine. Si andava a vivere un evento, dove contava anche la presenza degli altri, e le bancarelle dei cibi e delle bevande, e il rito nella sua complessità di festival "culturale". Come si è andati a vedere "Einstein on the Beach" a New York dove l'azione teatrale durava più di cinque ore, ed era concepita in modo che il pubblico si alzasse, uscisse, andasse a bere qualcosa e a discuterne con gli altri, poi rientrasse, poi uscisse di nuovo. Entrare e uscire non è strettamente necessario. Immagino che si vada nelle arene ad ascoltare Beethoven seguendo la sinfonia dall'inizio alla fine: ma conta la ritualità collettiva. Come se quella che era la cultura Alta possa essere riaccettata e inserita in una nuova dinamica purché consenta anche degli incontri, delle esperienze in comune. Al conservatore che opponga che, così assorbita, la Cultura con la maiuscola non dà nulla, perché manca la necessaria concentrazione, si risponderà (se si è bene educati - ma esistono alternative più brusche) che non si sa quanto "assorbisse" il normale cliente della conferenza o del concerto, che sonnecchiava sobbalzando all'applauso finale. Il conservatore non avrebbe nulla da dire a chi si portasse Platone in spiaggia, anche se lo legge tra mille rumori, e loderebbe la buona volontà di questo coltissimo e volenteroso bagnante; poi non gli piace che lo stesso lettore vada a sentire un dibattito su Platone con gli amici, invece di andare in discoteca. Ma forse è difficile fargli capire che la spettacolarizzazione non significa necessariamente perdita di intensità, disattenzione, "leggerezza di intenti". Si tratta soltanto di una diversa maniera di vivere il dibattito culturale. “
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Brano tratto da Cultura come spettacolo, articolo pubblicato per la prima volta ne "La Società" - Quaderni, 2, aprile-maggio 1980, quindi raccolto in:
Umberto Eco, Sette anni di desiderio. Cronache 1977-1983, Bompiani, 1983. [Libro elettronico]
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Le pizzerie storiche di Napoli firmano un patto civico contro il racket
Sono state le pizzerie ad essere al centro delle cronache che segnalavano una recrudescenza del fenomeno del racket, come la bomba al locale di Sorbillo o spari nella notte contro la pizzeria Di Matteo. Ed è proprio dalle associazioni che hanno avviato l'iniziativa per fare dell'arte dei pizzaioli patrimonio immateriale dell'umanità, che riparte l'impegno culturale e civico antiracket.
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🌴 20 Febbraio 2023 Festa del Patrocinio della Madonna del Carmine e il GRANDE TERREMOTO DEL 20 FEBBRAIO DEL 1743. Perché ogni anno Mesagne festeggia il 20 febbraio? Cronache storiche, riportano alcuni TERREMOTI importanti che hanno colpito il sud della Puglia, primo tra tutti, quello del 20 febbraio 1743, che provocò gravissimi danni e morti in molte nostre città, Mesagne inclusa. Il terremoto avvenne alle 23.30 “orario all’italiana”, ossia alle 16.30 GMT (Greenwich Mean Time). A Brindisi si verificò addirittura un vero e proprio TSUNAMI. “… è stato così spaventoso che, ritiratosi il mare, faceansi vedere aperture della terra, et il molo di porta Reale diviso in tre parti” (Cagnes e Scalese 1743). Il terremoto provocó crolli di case, palazzi e molte chiese nelle province di Brindisi e Lecce. Le città maggiormente colpite furono Nardò, Francavilla Fontana e Brindisi. Quest'ultima è stata valutata con un'intensità di I=IX, sulla base dei pesanti danni subiti, come riportato nella cronaca dei sindaci della città, dal sacerdote e il testimone oculare Nicola Scalese in "Cagnes e Scalese 1743". È stato attribuito, un valore di VIII MCS ai comuni di Leverano, Manduria, MESAGNE, Oria, Racale, Salve e Tuturano e VII MCS a Calimera, Castrignano del Capo, Copertino, Lecce, Ostuni e Seclí. Mentre, l'isola maltese con Malta e Gozo, sono state classificate con un'intensità MCS I = VIII a causa dei gravi danni (De Soldanis, 1746). Nella città di Napoli (I = V MCS), distante dal Salento più di 300 km, secondo il Duca di Salas, Segretario di Stato nel Regno di Napoli, il sisma è stato significativo, ma senza danni. Continua a leggere nei commenti 👇 #lamadonnadifebbraio • • • #visitmesagne #visitmesagnecuordisalento #visiting #mesagne #cuordisalento #cosafareamesagne #mesagnetop #lacittadellamore #lacittadelcuore #welcometomesagne #momentisenzafiltri #madeinmesagne #mesagneinlove #mesangeles #portiamomesagnenelmondo #mesagnedavedere #viveremesagne #mesagnemylove #mesagneview #mesagnemoremio #a2passinelmondo #mesagnea2passidalmare #tradizionepopolare #tradizionemesagnese #folklore #cultura (presso Mesagne) https://www.instagram.com/p/Co1x6Itsss2/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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