#antichità classica
Explore tagged Tumblr posts
Text
“ Nella Repubblica di Platone vi è un passo assai divertente sull'origine del mercato, che il mio allievo Jacques Brunschwig di recente mi ricordava: chi è che si limita al mercato? L'uomo che non è abbastanza forte per correre, e si siede dunque nella agorà, aspettando che i clienti vadano da lui. Comportarsi cosí va bene per chi non è capace di attività fisica. Ed è grande, in Platone, il disprezzo per l'economia delle persone sedute. Occorre tener conto di sentimenti piuttosto complessi, per comprendere la posizione di Socrate, nella quale, secondo Senofonte, si trovano due atteggiamenti che paiono contraddirsi. A un concittadino presso il quale erano venute a rifugiarsi, durante l'assedio di Atene, una gran quantità di cugine e di zie che abitavano al di là delle mura, bocche inutili ch'egli non sapeva come sfamare, Socrate consigliava di aprire bottega e farvi lavorare le donne, citando l'esempio di un certo numero di persone stimate che, per mantenere la famiglia, fanno chi tuniche, chi mantelli, chi pane. Socrate trova dunque cosa del tutto normale che si commercializzi un'attività domestica del genere, mentre si adombra quando vede che i sofisti, personaggi prestigiosi e itineranti come i grandi artigiani del passato, tentano di commercializzare un'attività spirituale con l'insegnamento retribuito. È questa una contrapposizione che è stata sottolineata di recente dal spio collega ed amico Raymond Ruyer * in un articolo dove mostra la differenza esistente fra quella ch'egli chiama la nutrizione fisica e la nutrizione psichica: i beni che riguardano la nutrizione fisica possono essere fatti oggetto di commercio, ma le idee sono gratuitamente prodotte, trasmesse e condivise, e considerate tali da non doversi fare oggetto di traffico. “
* La nutrition psychique et l'économie, in «Cahiers de l'Institut de science économique appliquée», 55, serie M, n. I, maggio-dicembre 1957, pp. 4-15.
---------
Brano tratto dall’articolo di Pierre-Maxime Schuhl Perché l’antichità classica non ha conosciuto il « macchinismo »? pubblicato nel 1962 sulla rivista «De Homine» (fasc. 2-3), quindi raccolto in appendice al saggio:
Alexandre Koyré, Dal mondo del pressappoco all'universo della precisione. Tecniche, strumenti e filosofia dal mondo classico alla rivoluzione scientifica, introduzione e traduzione di Paola Zambelli, Einaudi (collana Nuovo Politecnico n° 12), 1967.
[1ª Edizione originale: Parigi, 1961]
#Repubblica#Platone#mercato#economia#saggistica#libri#Pierre-Maxime Schuhl#Socrate#filosofi#filosofia#schiavitù#progresso tecnologico#artigiani#lavoro#commercio#letture#antichità classica#istruzione#cultura#macchinismo#leggere#Alexandre Koyré#tecnologia#automazione#macchine#saggi#scritti saggistici#schiavismo#Jacques Brunschwig#scienze
14 notes
·
View notes
Text
La Statua di Icaro Caduto, situata di fronte al Tempio della Concordia nella Valle dei Templi, ad Agrigento, in Italia, è un'opera contemporanea che contrasta con l'architettura classica della regione. Realizzata dallo scultore polacco Igor Mitoraj, la scultura in bronzo rappresenta il mitico Icaro disteso a terra, in una posa che unisce bellezza e tragedia. Il pezzo è stato progettato per evocare riflessioni sull'ambizione, sulla libertà e sui limiti umani. Secondo la mitologia greca, Icaro era il figlio di Dedalo, l'inventore che costruì ali fatte di piume e cera per sfuggire al labirinto di Creta. Nonostante gli avvertimenti del padre, Icaro volò troppo in alto, vicino al sole, che sciolse la cera delle sue ali, facendolo cadere in mare. Questa storia è spesso usata come simbolo dei pericoli dell'eccessiva ambizione e della disobbedienza. La presenza della statua moderna in un luogo storico come la Valle dei Templi crea un dialogo tra antichità e arte contemporanea, evidenziando temi universali che risuonano ancora oggi.
3 notes
·
View notes
Text
《Il modo in cui Adelaide vive la fede, contribuisce a destare la riflessione leopardiana sul confronto tra
ragione e natura e antichità classica e cristianesimo.》
2 notes
·
View notes
Text
Gentile Catone a/i 19-20: “Aconito”, un’antica storia di femminilità moderna
L’incontro con Gentile Catone accarezza la tentazione di allacciare un’espressione che s’arrampica fin nell’antichità latina, ma la cui verità saggia si conferma perfettamente incastonata alla sostanza preziosa che la scoperta del brand dischiude: ovvero, “nomen omen”, che tradotto in semplicità rivela come il destino sia già inscritto nel nome. Gentile Catone, infatti, nel titolo del brand racchiude innanzitutto la giovane coppia, nella vita e nell’arte stilistica, che gli dà vita: ovvero Francesco Gentile e Chiara Catone.
Ma, ci racchiude dentro anche l’essenza pregiata del loro destino creativo: una moda che è un atto di gentilezza autentica verso la femminilità da vestire e celebrare, un universo di stile che è un gesto di libertà contro la facilità perigliosa dei trend veloci e vuoti, tanto nella materia quanto nella sostanza. Per amore, invece, di una moda che, tra il cuore e le mani di Chiara e Francesco, diventa arte della narrazione attraverso la sartorialità rigorosamente italiana e sostenibile. Forse chissà, proprio come quel Catone che il nostro Dante mise a custode del Purgatorio in virtù della sua mischia di fermezza e senso di giustizia, che lo rese simbolo di libertà morale per amore del bene collettivo.
Pay attention, please: i riferimenti letterari che fioriscono man mano che la conoscenza di Gentile Catone si fa più profonda e intrigante, non han nulla a che vedere con meri intellettualismi, bensì, son frutto anch’essi di una dichiarazione d’amore squisitamente spontanea. Chiara e Francesco serbano infatti una passione pregiata ed entusiasta verso lo scrigno caleidoscopico della cultura preferibilmente classica, che guida l’ispirazione in percorsi inediti, dove la suggestione densa di nostalgia romantica verso il passato s’intreccia ad un’estetica brillantemente contemporanea.
Pregio anche della gioventù: all’anagrafe, dato che Chiara e Francesco sfiorano i trent’anni, dell’ingresso nel fashion world, dato che il brand Gentile Catone è stato inaugurato solo nel 2017. Ma soprattutto gioventù dello spirito: quella forza in cui l’istinto si fonde all’azzardo per agguantare con decisione la propria missione, che nel loro caso è la determinazione a concretizzare il sogno stilistico non solo sulle passerelle più importanti, ma anche mantenendone la realizzazione sartoriale made in Italy nel loro distretto abruzzese, in cui insieme all’artigianalità difendono la consapevolezza della sostenibilità, con l’utilizzo di tessuti e filati naturali pregiati, atossici ed ecosostenibili, e collaborando solo con aziende a basso impatto ambientale in possesso delle le più importanti certificazioni.
La collezione a/i 2019-20 è un condensato felicemente rinnovato delle virtù di Gentile Catone: “Aconito” ne è il titolo, ma anche il fil rouge estetico e simbolico, una sorta d’indizio intrigante che ci accompagna a compiere un itinerario affascinante dentro la femminilità, sospeso tra antichità mistica e attualità sofisticata.
“Aconito”, infatti, si narra che fosse il fiore più caro alla dea Ecate, che lo lasciava prosperare con i suoi grappoli violacei bellissimi e letali nel suo giardino: lei, la dea che nella sua figura femminile ne raccoglie tre, la giovane fanciulla, l’anziana depositaria di saperi ancestrali e la donna nel pieno del suo potere volitivo.
Lei è anche la donna di oggi, immersa in una società intrisa d’inquietudini materiali che la disincantano e la scardinano nelle identità, ed al contempo l’arricchiscono della determinazione a cercare quel meraviglioso che possa innalzarla oltre la superficie, verso la bellezza.
Così, il fiore e i colori dell’aconito sbocciano sugli abiti di varie lunghezze, nelle camicette e sulle rouche che decorano le gonne, le trame delle storie prendono vita sulle stampe grafiche, le forme variano dalla delizia delle proporzioni bon ton all’audacia sempre elegante dei volumi over che riguardano anche i capispalla. La ricercatezza è questione di dettagli, ma anche di materiali: raso di seta, twill e jersey di viscosa, mohair, velluto e piume leggiadre danno sostanza pregiata ad un percorso sognante tra la moda da indossare e il mito della femminilità da celebrare. Silvia Scorcella
{ pubblicato su Webelieveinstyle }
0 notes
Text
Freud e l'antichità. Una mostra a Londra
di Maria Pia Masella, doppiozero.com, 5 agosto 2023 Si è da poco conclusa al Freud Museum la mostra su una selezione degli oggetti di Freud. Una collezione tra libri, pubblicazioni, antichità, stampe, fotografie e corrispondenza (disponibili anche online) che esplora non solo la grande passione che Freud aveva per l’antichità classica, il mito, i viaggi e l’amicizia, ma anche come abbia…
View On WordPress
0 notes
Text
Proprio alla scuola di Pasquali, di cui si rivelò uno tra gli alunni più capaci, Perrotta maturò una formidabile preparazione filologica
Proprio alla scuola di Pasquali, di cui si rivelò uno tra gli alunni più capaci, Perrotta maturò una formidabile preparazione filologica
Giorgio Pasquali, nato a Roma nel 1885, aveva compiuto i suoi studi classici alla scuola del Festa. S’era poi specializzato a Gottinga; di lì era passato a Berlino come assistente del Wilamowitz. Il lungo soggiorno tedesco fu decisivo nella sua formazione, come egli volle ricordare in varie pagine di ricordi e nella postuma «Storia dello spirito tedesco» (1953); mentre in « Filologia e storia »…
View On WordPress
#antichità#Antonio La Penna#classica#Fausto Giordano#filologia#Firenze#Gennaro Perrotta#Giorgio Pasquali#Giovanni Maria Molfetta#Giulio Cattaneo#Madrid#Meridionalismo#Michele Curnis#Nuovo#Oswald Spengler#Studi#terzo umanesimo#Università
0 notes
Photo
“Months” Serie
Acrylic on Wood
#gennaio :
Il primo mese dell’anno è legato al dio Giano (bifronte), antica divinità romana il cui compito sarebbe stato quello di presiedere ai passaggi, in senso ampio. L’iconografia classica lo vuole rappresentato con due volti: l’uno più vecchio che guarda il passato, l’altro più giovane che guarda al futuro. Giano presiederebbe le porte, i passaggi, i ponti, le soglie materiali e immateriali. È il dio della vita, della religione, degli inizi, del tempo storico e mitico. L'introduzione di gennaio, così come quella di febbraio, è venuta solo con Numa Pompilio.
#febbraio
:Il nome di febbraio deriva da “februare”, purificare, in onore del dio etrusco Februus, dio della morte e della purificazione (è da intendersi anche come “rimedio agli errori”). Passò poi nella mitologia romana e il nome venne modificato in Febris e associato alla guarigione dalla malaria. Febris (da intendersi come dea) è nota da iscrizioni in molte parti dell'impero, a volte accompagnata dalla dea Tertiana e la Dea Quartiana, le dee della malaria, ovvero la febbre terzana e quartana, così chiamate perché la febbre tornava ogni terzo o quarto giorno.
#marzo :
Il mese di marzo rendeva omaggio a Marte, dio della guerra ma anche della natura e della fertilità. Secondo la mitologia più arcaica era anche dio del tuono, della pioggia e della fertilità. Marte è il nome dato dai romani alla divinità greca Ares (non era una divinità benefica e benvoluta, assunse una diversa connotazione successivamente con il nome di Marte appunto). Secondo Ovidio, sua madre Giunone, moglie di Giove, lo avrebbe concepito senza il concorso del marito, ma semplicemente portandosi al cuore un fiore miracoloso, dono della dea Flora.
#aprile :
Qualcuno dice che prenda il nome dalla dea Apru o Aprus (derivazione di Afrodite che verrebbe da Aphrodite, da cui Aphro e da cui Apru), altri sostengono che l'origine del nome sia legato al verbo latino "aperire", cioè aprire, a segnare l'avvento della stagione in cui si schiudono i fiori.Non è da confondere con la dea Flora, la dea della fioritura delle piante per la produzione di alimenti, in particolare cereali e alberi da frutto. C'è da dire che anche Aprus si occupava di fioritura essendo in effetti la dea della Primavera.Poiché la dea provocava al suo passaggio l'apertura delle corolle si avviò una serie di rappresentazioni della stessa ornata di nastri e veli; al suo passaggio con piedi nudi sulla terra i fiori si schiudevano.
#maggio :
Per alcuni il nome potrebbe esser stato un omaggio alla dea Maia, protettrice della fertilità e dell'abbondanza. Maia è madre del dio Ermes (messaggero degli dei) e figlia di Atlante (titano) e Pleione (ninfa oceanica); fa parte delle ninfe Pleiadi (aveva sei sorelle: Alcione, Celeno, Elettra, Merope, Sterope, Taigete).Secondo un'altra tradizione sua madre è Sterope (cioè una di quelle che nell'altra storia sarebbe sua sorella). In antichità Maia aveva un nome che non poteva essere pronunciato ma se si può definire in qualche modo potremmo identificarlo con “Grande Madre”.
#giugno :
Il mese del Sole e della libertà; il suo nome rendeva omaggio a Giunone, dea del matrimonio, del parto, protettrice degli animali (in particolare il pavone che era a lei sacro). In antichità era anche legata al ciclo della Luna (di fatti è spesso rappresentata con un diadema a forma di spicchio lunare). Giunone rappresenta in senso molto ampio e sfumato la cosiddetta “femminilità dell'Universo”.
#luglio :
Nel 44 a.C. il nome originale del mese che era “Quintilis”, cambiò in Julius in onore del console Gaio Giulio Cesare (nato in questo mese).Secondo rituali pagani e neopagani dedicati al principio femminile della divinità (Esbat) questo è il mese della raccolta, della Luna piena (il rituale legato a luglio è chiamato anche “Luna di Paglia”, “Luna di Sangue” - ma ha anche altri titoli). Una divinità che spesso è associata al mese è Khepri (o Khepera); dio dell'antico Egitto, veniva raffigurato con un intero scarabeo al posto del viso. Rappresentava il sole del mattino (spingeva Ra, il dio Sole, fuori dall'oltretomba).
#agosto :
Il nome originale del mese che era “Sextilis”, cambiò in Augustus in onore dell'imperatore Augusto e gli fu aggiunto un giorno (di modo che potesse essere uguale a luglio). Mese associato in particolare ad Ecate (Hecate, Hekate, Hekat o Zea); in antichità questa era la dea delle terre selvagge, successivamente assunse anche altre connotazioni (per esempio dea della stregoneria e delle arti magiche, definita anche in alcuni casi “Regina degli Spettri”). La sua raffigurazione la vede tripartita (cioè tre corpi in uno – celeste, terrestre e marina) o con sembianze di cane (o cani vicini) dal momento che era considerata anche la protettrice di questo animale.
#settembre :
Il nono mese dell'anno secondo il calendario gregoriano prende in realtà il nome dal numero sette, in quanto nell'antica Roma prima che Giulio Cesare promulgasse il calendario giuliano spostando l'inizio dell'anno al 1° Gennaio questo era il settimo mese dell'anno. Per quanto riguarda il calendario celtico e neopagano, l’equinozio d’autunno prende il nome di Mabon. Questa festività veniva anche chiamata Michaelmas in onore dell’Arcangelo Michele. (Nell'Apocalisse di Giovanni l'Arcangelo è destinato a suonare la tromba che annuncerà il grande giudizio finale)
#ottobre :
questo mese mantiene il suo collegamento con l'originaria posizione occupata nel calendario di Romolo, cioè l'ottava. Per un breve periodo venne chiamato “Invictus”, in onore dell'imperatore Commodo, ma dopo la sua morte si tornò a chiamare con il suo nome originale. La divinità di riferimento di ottobre è ancora Marte.“Il cavallo di ottobre” (“October Equus”) era un sacrificio in onore di Marte che si celebrava il 15 ottobre, in coincidenza con la fine della stagione agricola e delle attività militari. Per i romani ottobre era in realtà un mese di feste dedicate anche ad altri dei (uno fra altri Fontus – dio delle fonti – che era figlio di Giano e una ninfa di nome Giuturna). A ottobre si tiravano le somme per prepararsi all'inverno.
#novembre :
prende il nome dalla sua posizione originaria sul calendario che lo vedeva come nono mese."Lu jornu di li morti" – Il 2 Novembre in Sicilia; incredibile a dirsi ma la Sicilia (tutta) viene identificata, da alcune correnti esoteriche, con una delle porte per l'Aldilà e spesso è considerata una delle ultime tappe del ciclo di reincarnazioni. La parola morte è associata sempre a qualcosa di terribile invece in questo caso ha una connotazione diversa; per principio generale: “Le anime sante dei loro cari non muoiono, non scompaiono: perché nessun essere vivente scompare finché esiste la memoria, il ricordo, il racconto di quella persona che, in questo modo, continuerà a vivere in noi.”I cari defunti, durante questa celebrazione “proteggono e portano doni” e nelle varie usanze hanno diversi “comportamenti” (che differiscono in base alla città di riferimento).Nel mondo anglosassone "novembre" era chiamato in antichità Blōtmōnaþ, il Mese del Sacrificio, perché si compivano offerte in onore agli dei.
#dicembre :
prende il nome dalla sua posizione originaria sul calendario che lo vedeva come decimo mese.Questo è il periodo dell’anno nel quale convergono maggiormente le tradizioni di moltissime religioni che hanno origine antica, con i loro rituali arcaici profondamente radicati. Il tema principale è sempre legato alla luce ed alle tenebre, al solstizio d’inverno, all'eterno passaggio da una condizione all'altra, dalla fine di un ciclo all'inizio di quello nuovo, allo scambio di ruolo e inversione.Un esempio: “Saturnalia”. Durante questi festeggiamenti (romani) si ribaltavano i ruoli tradizionali e gli schiavi comandavano e venivano serviti dai padroni.Anche la tradizione induista sembra avere qualche contatto con i miti romani e il principio di creazione/distruzione in un ciclo “cosmico” legato a Saturno; secondo tradizione Satyavrata riceve da Vishnu l’incarico di salvare l’umanità dalla distruzione di un cataclisma realizzando un’arca in cui salvare la forza vitale del mondo. Dopo la catastrofe Satyavrata rivelerà agli uomini la “Parola divina”, cioè il Veda e ricreerà così nuovamente il mondo.
*You can find me on my Facebook Page searching: martinadibellawork
and on Instragram: @dibella_martina
#martinadibella#martina di bella#martina di bella artist#fine art#fine arts#acrylic painting#acrylic paint#aesthetic#aesthetics#expressionism#art#wood#months#mesi
1 note
·
View note
Photo
Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/02/22/la-letteratura-di-viaggio-e-viaggiatori-stranieri-in-puglia-fra-settecento-e-ottocento/
La letteratura di viaggio e viaggiatori stranieri in Puglia fra Settecento e Ottocento
DUE INGLESI ED UN TEDESCO
di Paolo Vincenti
Gli inglesi e il tedesco del titolo sono tre viaggiatori che nei secoli scorsi hanno raggiunto le nostre contrade. Ora, la letteratura di viaggio è un campo sterminato e anche sui viaggiatori stranieri in Puglia fra Settecento e Ottocento vi è una bibliografia talmente vasta che non appesantirò questo articolo, riportandola.
Mi sia concesso solo fare una brevissima introduzione su quell’importante fenomeno che va sotto il nome di “Grand Tour”, e poi mi intratterrò sui tre personaggi che, dei tanti, mi sembrano fra i più interessanti. Il Grand Tour è un fenomeno culturale tipicamente settecentesco.
Con questa espressione si è soliti definire il viaggio di istruzione e di formazione, ma anche di divertimento e di svago, che le élites europee intraprendono attraverso l’Europa fra Settecento e Ottocento. Protagonisti indiscussi del Grand Tour sono i giovani che hanno appena concluso gli studi, e in generale quegli intellettuali che specie nel Romanticismo erano imbevuti di cultura classica e dunque desideravano venire in Italia, come dire alla fonte di quella enorme ricchezza culturale che dal nostro Paese si era irradiata in tutta Europa.
Per i rampolli dell’aristocrazia francese, inglese, tedesca, pieni di cultura libresca ma poco pratici del mondo e degli uomini, il viaggio in Italia si presentava come un’esperienza irrinunciabile, certo indispensabile al fine di perfezionare la propria educazione. Essi vedevano nell’Italia la culla dell’arte e per esteso della civiltà mediterranea, grazie alla storia gloriosa di Roma, a sua volta tributaria della Grecia. E così si mettono in viaggio non solo i giovani, ma anche diplomatici, filosofi, collezionisti, romanzieri, poeti, artisti. Ciò dà origine ad una sterminata produzione, epistolari, diari, reportages di viaggio, romanzi, poesie, e non solo di carattere letterario ma anche artistico, pensiamo al famoso “Voyage pittoresque ou description du Royaume de Naples et de Sicile”, in cinque volumi, che realizzò l’abate francese Richard de Saint-Non tra il 1778 e il 1787, su incarico degli editori Richard e Labord.
Uno dei primi viaggiatori inglesi ad arrivare in terra salentina è Crauford Tait Ramage,1803-1878. Egli dimorava a Napoli come precettore dei figli del console Henry Lushington e, nel 1828, intraprese il suo viaggio nelle province meridionali, visitando il Salento. Rimane affascinato dalla bellezza di Otranto, poiché egli, come moltissimi inglesi dell’epoca, associava il nome di Otranto al romanzo di Horace Walpole ( il quale però non era mai stato ad Otranto)[1].
Nella sua opera “The nooks ad by-ways of Italy”, presso l’Editore Howell, Liverpool, del 1868[2], egli annota tutto quello che vede, catturato dall’irresistibile fascino dei nostri paesi e paesini, e per questo osserva anche la vita quotidiana, gli usi e le abitudini della nostra gente, anche se non sempre si dimostra preciso ed attento, come sottolinea Carlo Stasi a proposito del suo passaggio nel Capo di Leuca[3].
Il suo libro, dedicato al Generale Carlo Filangeri, è un resoconto di viaggio, sotto forma di lettere scritte ad un parente. Le lettere che riguardano la Puglia vanno dalla XXIII alla XXIX.
Come spiega bene il sottotitolo dell’opera, “Vagando in cerca dei suoi antichi resti e delle moderne superstizioni”, il Ramage, pur essendo spirito illuminista, è attirato dalle stranezze, o per meglio dire è attirato dalla suggestione che queste stranezze sembrano esercitare sul nostro popolo. Egli, che si professa materialista, e in effetti è uno storico serio e puntiglioso, trova grande meraviglia e interesse antropologico nel notare la creduloneria, le supersitizioni, l’ignoranza che allignano fra i salentini. Si ferma di fronte al fenomeno delle tarantate, che fa discendere dai culti orgiastici della dea Cibele. Tuttavia, ama la bellezza classica di questi posti. Infatti rimane molto colpito da Lecce e dalla sua architettura barocca, anche se, come già Swinburne, non apprezza la Chiesa di Santa Croce.
Anche il grande poeta Henry Swinburne, infatti, venne nel Regno delle Due Sicilie e visitò la Puglia da Foggia fino a Lecce. Nel suo libro “Travels in the Two Sicilies” del 1783, passa in rassegna tutte le città e i paesi che visita. Parla delle donne che danzano sfrenatamente delle danze bacchiche, a Brindisi, e che egli crede morsicate dalle tarantole, e parla anche di Lecce. Di particolare interesse, il suo disappunto di fronte al barocco leccese e a quello che ne è il monumento simbolo, la Chiesa di Santa Croce, che derubrica a pessimo esempio di commistione fra stili diversi. Lo Swinburne detesta la città di Lecce e la sua architettura, d’accordo in questo con un altro celebre intellettuale, il Riedesel, che è il secondo protagonista del nostro pezzo.
Il tedesco Johann Hermann von Riedesel, barone di Eisenbach, 1740-1785, è un appassionato archeologo che vuole descrivere ai suoi connazionali le antichità classiche dell’Italia. Il suo libro, “Un viaggiatore tedesco in Puglia nella seconda metà del sec. XVIII. Lettere di J.H.Riedesel a J.J.Winckelmann”, è, come dice il titolo, un’opera epistolare, diretta al famoso archeologo Winckelmann[4].
Diplomatico e ministro prussiano, Riedesel aveva conosciuto a Roma e frequentato il Winckelmann, il quale gli aveva fatto da guida nella esplorazione dei monumenti della città. Infatti, e non potrebbe essere diversamente, nella descrizione che il Riedesel fa dell’Italia Meridionale, in particolare della Regione salentina, si avverte l’influenza del Winckelmann. Come detto, in fatto di architettura egli non ama lo stile barocco, che definisce “il più detestabile”, mentre apprezza molto la semplicità delle architetture mediterranee e in particolare delle pajare e dei muretti a secco. “Non restano però estranee al tedesco, acuto osservatore di uomini e cose, la vita economica e quella sociale delle contrade visitate”, come scrive Enzo Panareo[5].
Il suo libro divenne un punto di riferimento in Germania e fu molto letto, anche da Goethe, che lo elogia nella sua opera “Viaggio in Italia”, in cui sostiene di portarlo sempre con sé, come un breviario o un talismano, tale l’influenza che quel volume, per la puntigliosità e l’esattezza delle notizie, esercitava sugli intellettuali.
Janet Ross ,1842-1927, giornalista, storica e autrice di libri di cucina, arriva nel Salento nel 1888. Memorabile il suo incontro con Sigismondo Castromediano, che le racconta la storia della sua vita. Janet Ross pubblicò nel 1889 in Inghilterra le sue relazioni di viaggio in Puglia, in “La terra di Manfredi, principe di Taranto e re di Sicilia. Escursioni in zone remote dell’Italia Meridionale”, successivamente tradotto e pubblicato in Italia col titolo “La terra di Manfredi”[6].
Un racconto davvero interessante, fra lo storico-artistico e l’antropologico, impreziosito dai disegni di Carlo Orsi, compagno di viaggio della Ross, e ripubblicato ancora nel 1978 in Italia col titolo “La Puglia nell’800 (La terra di Manfredi)”.[7] Bisogna dire che la figura del Re Manfredi, come tutti gli Svevi, suggestionava fortemente la viaggiatrice inglese. Nella mentalità dei britannici, infatti, questa era una dinastia eroica, avendo lottato contro il papato.
Nei luoghi visitati – nell’ordine: Trani, Andria, Castel del Monte, Barletta, Bari, Taranto, Oria, Manduria, Lecce, Galatina, Otranto, Foggia, Lucera, Manfredonia, Montesantangelo, Benevento – , la Ross cerca le antiche vestigia di una civiltà, quella appula, ricca di gloriose tradizioni.
Determinante fu il suo incontro con Giacomo Lacaita. Come scrive Nicola De Donno, recensendo il libro curato da Vittorio Zacchino, “L’autrice, che era stata a Firenze, la capitale italiana degli inglesi, ed in Puglia anche l’anno precedente, ci informa che non avrebbe composto il suo libro senza l’incoraggiamento di Giacomo Lacaita, o meglio di sir James Lacaita, come sempre lo chiama. A Leucaspide, presso Taranto, che era la residenza di campagna dei Lacaita, ella rimase ospite per alcuni giorni e di lì il Lacaita le preparò escursioni ed in alcune l’accompagnò, le dette consigli e le suggerì riferimenti culturali. Egli era, al tempo del viaggio, senatore del regno d’Italia ed aveva settantacinque anni.
Nativo di Manduria, laureato in giurisprudenza a Napoli ed introdotto nella buona società cosmopolita della capitale dalla principessa di Leporano, di cui suo padre era stato amministratore, fu impiegato come legale dal consolato inglese, ove strinse relazioni importanti, fece da guida al Gladstone nella sua famosa visita a Napoli, ebbe, probabilmente per ciò, noie dalla polizia borbonica. Riuscì, nonostante tutto, ad ottenere da Ferdinando II un passaporto per l’Inghilterra nel 1851 e non tornò più a Napoli. A Londra fece un nobile matrimonio che gli aprì molte porte, si convertì all’anglicanesimo e naturalizzò, ebbe incarichi presso diplomatici.
E’ quasi certo che venne agganciato dalla diplomazia segreta di Cavour; da vecchio si vantò, a nostro giudizio poco credibilmente, di avere scongiurato lui che l’Inghilterra nel ’60 impedisse a Garibaldi di passare lo stretto e invadere la Calabria e tutto il Napoletano. Dopo l’unità tornò in Italia, fu candidato governativo alla Camera, si riconverti al cattolicesimo e venne fatto senatore.
Acquistò la tenuta di Leucaspide, la restaurò e vi si stabilì. Grandi e piccoli personaggi passavano dalla masseria, la quale divenne un nodo significativo di quei legami post-risorgimentali fra la buona società inglese e il turismo in Italia, di cui il viaggio della Ross fu una manifestazione.
In questo filone si inserisce anche, nel libro, l’incontro a Lecce con il Castromediano e la scoperta che questi era stato assistito in Inghilterra, quando evase dalla nave che lo deportava in America, dalla nonna della Ross. (Il racconto di galera che gli mette in bocca non è però originale: è una parafrasi dell’articolo Da Procida a Montefusco, che il Castromediano stampò nella strenna « Lecce 1881 » dell’editore Giuseppe Spacciante).
Il libro riporta molte annotazioni etniche e demografiche, sull’abbigliamento, su usi e costumi dei pugliesi, sulle fiere e i pellegrinaggi, le superstizioni soprattutto, i riti pasquali, le danze e i canti, ecc. Parla della pizzica pizzica facendo delle descrizioni puntuali ma anche coinvolgenti, nel puro spirito romantico da cui questa viaggiatrice era sostenuta”[8].
Janet Ross è una studiosa davvero attenta. Il contributo demo etno antropologico del suo libro è rilevante, perché ella, nella nostra Terra d’Otranto, annota tutto, fiabe, racconti popolari, superstizioni, riti magici, riporta tre canzoni, “Riccio Riccio”, “Larilà” e “La Gallipolina”, e poi si sofferma sul fenomeno del tarantismo, distinguendo fra “tarantismo secco ” e “tarantismo umido”, sottolineando per il primo l’importanza della presenza dei colori e per il secondo l’importanza dell’acqua nel cerimoniale.
Molto belle e coinvolgenti le descrizioni del ballo della pizzica pizzica che fa alla masseria Leucaspide con i lavoranti di Sir Lacaita. Una personalità davvero interessante, insomma. La Ross, corrispondente del Times, grande viaggiatrice, nel 1867, insieme al marito Henry Ross, un ricco banchiere, si stabilì in Toscana, dove continuò la sua carriera di scrittrice.
In Puglia, ella trova un mondo che non pensava potesse esistere, e se ne innamora. Ecco perché riesce a rendere con tanta efficacia usi e costumi della gente dell’antica Terra d’Otranto.
[1] Vasta la letteratura su Horarce Walpole, 1717-1797, e sulla sua opera “Il castello di Otranto”, primo romanzo gotico della storia.
[2] Pubblicata in Italia col titolo “Viaggio nel regno delle due Sicilie”, a cura di Edith Clay, traduzione di Elena Lante Rospigliosi, Roma, De Luca Editore, 1966, e poi anche in Crauford Tait Ramage, Vagando in cerca dei suoi antichi resti e delle moderne superstizioni, contenuto in Angela Cecere, “Viaggiatori inglesi in Puglia nel Settecento”, Fasano, Schena, 1989, pp. 37 e segg., e successivamente in Angela Cecere, La Puglia nei diari di viaggio di H. Swinburne, Crauford Tait Ramage, Norman Douglas, contenuto in “Annali della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Bari”, Terza serie, 1989 -90/X, Fasano, 1993, p. 63.
[3] Carlo Stasi, Uno straniero dal nome strano ed un contadino dall’aspetto sveglio, in “Annu novu Salve vecchiu”, n.9 , Edizioni Vantaggio, Galatina, Editrice Salentina, 1995, pp.72-76.
[4] Johann Hermann von Riedesel ,“Un viaggiatore tedesco in Puglia nella seconda metà del sec. XVIII. Lettere di J.H.Riedesel a J.J.Winckelmann”, Prefazione e note di Luigi Correra, Martina Franca, Editrice Apulia, 1913, poi ristampata in Tommaso Pedio, “Nella Puglia del 700 (Lettera a J.J. Winckelmann)”, Cavallino, Capone, 1979
[5] Enzo Panareo, Viaggiatori in Salento, in “Rassegna trimestrale della Banca agricola popolare di Matino e Lecce”, a.V, n.2, Matino, giugno 1979, p.54.
[6] Janet Ross, “La terra di Manfredi”, Vecchi Editore, 1899.
[7] “La Puglia nell’800 (La terra di Manfredi)”, a cura di Vittorio Zacchino, Cavallino, Capone Editore, 1978.
[8] Nicola De Donno, “La Puglia nell’800 (La terra di Manfredi)”, in “Sallentum”, Anno I, n.1, sett.-dic. 1978, Galatina, Editrice Salentina, 1978, p.138.
#Carlo Orsi#Crauford Tait Ramage#Giacomo Lacaita#Henry Swinburne#Janet Ross#Johann Hermann von Riedesel#Paolo Vincenti#Richard de Saint-Non#Viaggiatori in Puglia#Voyage pittoresque ou description du Royaume de Naples et de Sicile#Spigolature Salentine
3 notes
·
View notes
Text
Recensione articolo: Donatella Erdas "Niebuhr, Jacoby e l’identità di Cratero il Macedone" in Ricerche di Antichità e Tradizione Classica, Edizioni Tored, Roma 2004, pp. 91-102
Recensione articolo: Donatella Erdas “Niebuhr, Jacoby e l’identità di Cratero il Macedone” in Ricerche di Antichità e Tradizione Classica, Edizioni Tored, Roma 2004, pp. 91-102
Buongiorno a tutti sono Elena e grazie di essere su Alessandro III di Macedonia- blog su Alessandro Magno e l’Ellenismo! Oggi vi parlo di un articolo che ho letto il 5 ottobre e… vi spiego tutto qui sotto! Donatella Erdas Niebuhr, Jacoby e l’identità di Cratero il Macedone in Ricerche di Antichità e Tradizione Classica, Edizioni Tored, Roma 2004, pp. 91-102 Ho appena letto Efippo di Olinto.…
View On WordPress
0 notes
Text
“ Se le pulsioni sono naturali, se le emozioni sono in parte naturali e in parte orientate dalle differenti culture e dall’educazione, i sentimenti non li abbiamo per natura, ma per cultura. I sentimenti si imparano. E tutte le società, dalle più antiche a quelle di oggi, non si sono mai sottratte a questo compito. Fin dall’origine dei tempi, infatti, le prime comunità, attraverso narrazioni, miti e riti, insegnavano la differenza tra il puro e l’impuro, il sacro e il profano con cui circoscrivere la sfera del bene e del male, creando schemi d’ordine capaci di orientare i membri della comunità nei propri comportamenti. All’impurità era connesso il contagio, con conseguente reazione di terrore e procedure di isolamento, da cui si usciva con particolari pratiche rituali, magiche e scarificali. Gli antichi Greci avevano rappresentato nell’Olimpo, a guisa di modello e di orientamento, tutti i sentimenti, le passioni e le virtù umane. Zeus era il potere, Atena l’intelligenza, Afrodite la sessualità, Ares l’aggressività, Apollo la bellezza, Dioniso la follia. Oggi, per apprendere i sentimenti, non possiamo più ricorrere ai miti, però abbiamo quel grandioso repertorio costituito dalla letteratura che ci insegna che cos’è l’amore in tutte le sue declinazioni, che cos’è il dolore in tutte le sue manifestazioni, che cosa sono la gioia, la tristezza, l’entusiasmo, la noia, la tragedia, la speranza, l’illusione, la malinconia, l’esaltazione. Educati dalle pagine letterarie, disponiamo di mappe mentali che, in presenza del dolore, ad esempio, ci indicano, se non le vie d’uscita, le modalità per reggerlo. E questo è forse il senso di quella neppur troppo enigmatica espressione di Eschilo che dice: “Solo il sapere ha potenza sul dolore” [Eschilo, Agamennone, vv. 177-178]. Penso che fino ai diciotto anni tutte le scuole, dagli istituti tecnici ai licei classici e scientifici, sono scuole di formazione. Si tratta di formare l’uomo. Le competenze si acquisiscono all’università. Perché non è un uomo chi è competente ma non ha alle spalle una formazione che gli consenta di svolgere con retto giudizio e adeguata comprensione la professione che in seguito sceglierà. Quindi niente scuola-lavoro, ma scuola a tempo pieno e, per allacciarci a quanto abbiamo detto, meno computer a scuola e più libri di arte, storia, scienze, matematica, filosofia, letteratura in tutti gli ordini scolastici. E visto che il mondo è ormai globalizzato, l’inglese fin dalla prima elementare, insieme alla filosofia, a cui già dall’infanzia ci si affaccia con le domande che i bambini si pongono. L’indirizzo “umanistico”, che ha sempre caratterizzato la nostra scuola, non solo va mantenuto, ma nell’età della tecnica va addirittura incrementato e non sostituito con un indirizzo tecnico, perché solo l’indirizzo umanistico può portare lo studente alla “maturità”, termine oggi sostituito, non a caso, con “esame di Stato”, come se la maturità di uno studente non fosse più lo scopo ultimo della scuola. “
Umberto Galimberti, Il libro delle emozioni, Feltrinelli (collana Serie bianca), settembre 2021. [Libro elettronico; corsivi dell’autore]
#Umberto Galimberti#Il libro delle emozioni#filosofia#letture#educazione emotiva#sentimenti#pulsioni#pedagogia#vita#educazione sentimentale#etica#morale#formazione#saggi#categorie morali#antichità classica#mappe mentali#maturità#intellettuali italiani#scuola#umanesimo#leggere#saggistica#nuove generazioni#adolescenti#libri#citazioni#cultura#età della tecnica#saggezza
66 notes
·
View notes
Photo
https://www.tempietto.eu/front-rows-tickets-36-euro/ Novità Domani Domenica 10 Luglio 2022 alle 18.30 Chiostro di Campitelli al Teatro di Marcello – Piazza Campitelli, 9 – Roma CONCERTI DEL TEMPIETTO – Festival Musicale delle Nazioni OHRID TE SAKAM E ALTRI RACCONTI Angelo Filippo Jannoni Sebastianini Nel primo canto del Paradiso della Divina Commedia Dante Alighieri spiega come un uomo realizzato può guardare il mondo di tutti i giorni nel suo vero aspetto. Alberi case Colli in realtà sono esseri coscienti e viventi che ci parlano di se stessi e della profonda vera natura del mondo in cui viviamo senza accorgercene. Ohrid te sakam è una saga macedone che racconta la tragica commovente storia dell’amore e dell’unione di una fanciulla di Ohrid e il comandante degli invasori turchi. Un fantasma chiamato schema è un dialogo evocativo fra gli autori della serie controschema. è il giorno in cui si accorgono che le loro fantasie e le loro idee si sono materializzate in un essere di cui cominciano ad avvertire la presenza Angelo Filippo Jannoni Sebastianini, romano, fonda nel 1974 il movimento artistico denominato IL TEMPIETTO, che prende nome dal luogo, il tempietto di Villa Borghese a Roma, dove un piccolo gruppo di giovanissimi aspiranti ricercatori dell’arte, si riuniva ogni giorno per compiere un difficile e impegnativo lavoro di sperimentazione musicale e teatrale. Dopo aver lavorato in grandi teatri come attore, regista o produttore (ricordiamo solo Il Sistina di Roma con Orfeo 9 di Tito Schipa jr.) crea un movimento culturale, una fucina di prodotti artistici in senso lato: performances teatrali, composizioni musicali (è autore fra le altre cose di una complessa composizione strumentale e vocale intitolata Concerto per Adamo ed Eva che ha avuto numerosissime esecuzioni in pubblico), una vera e propria scuola pittorica, e l’organizzazione di una serie incredibile di concerti di musica classica, a servizio dell’arte, per proporre nuovi talenti, giovani, ma straordinariamente bravi che non trovano accoglienza nei circuiti tradizionali. La sua grande versatilità non lo rende certo un artista superficiale: è un attore di grande professionalità. Molto significativi gli spettacoli di poesia e musica (Quello sberleffo di musicista che era Erik Satie, Chopin e Leopardi , Pierino e il Lupo ) e le sue innumerevoli regie. Collabora con varie compagnie teatrali. Insegna pittura (anche per ragazzi con gravi handicap fisici o mentali). E’ dall’origine il Direttore Artistico dell’Associazione Culturale IL TEMPIETTO. Da sempre ha mostrato di saper scegliere con cura i musicisti da proporre, selezionati attentamente insieme al consulente musicale, il M° Ede Ivan, pianista e docente ungherese che da oltre dieci anni collabora con l’Associazione. D’intesa con il Legale Rappresentante Giovanna Moscetti, ha ricercato per le manifestazioni sedi prestigiose come il Parco Archeologico del Teatro di Marcello, il giardino del Museo della Casina delle Civette, il Casino dei Principi, gli Horti Sallustiani, la Basilica di San Nicola in Carcere, San Teodoro al Palatino, la Sala Baldini ed altri, luoghi di rilevanza artistica e archeologica, in collaborazione con la Sovrintendenza alle Antichità e Belle Arti del Comune di Roma. Proprio questa attenzione all’aspetto archeologico, storico e artistico degli spazi scelti lo ha portato, negli anni a cercare di offrire al pubblico non solo momenti di ottima musica ma anche interessanti visite guidate, in italiano e in inglese, tali da permettere a tutti di godere appieno della straordinaria bellezza romana. Da alcuni anni dirige una iniziativa legata alla poesia contemporanea nella Biblioteca Comunale di Corviale e ha animato una rassegna poetica e letteraria nella passata edizione estiva al Teatro di Marcello, invitando poeti e scrittori a leggere le loro opere, con un ottimo coinvolgimento, talvolta anche attivo, del pubblico presente, grazie alle sue qualità di performer.
0 notes
Text
NUOVI RINVENIMENTI DAL RELITTO DI ANTIKYTHERA
NUOVI RINVENIMENTI DAL RELITTO DI ANTIKYTHERA
Prosegue la nuova ricerca archeologica subacquea sul relitto di Antikythera nell’ambito del progetto quinquennale di studi 2021-2025, producendo ricchi risultati. La ricerca è condotta dalla Swiss School of Archaeology in Grecia sotto la guida di Angeliki G. Simosi, soprintendente dell’Eforato delle Antichità dell’Eubea, e Lorenz Baumer, docente di Archeologia Classica all’Università di Ginevra,…
View On WordPress
#Angeliki G. Simosi#Antikýthera#Lorenz Baumer#Swiss School of Archaeology#Università di Ginevr#Università di Ginevra
1 note
·
View note
Photo
Lavorazione classica per una dormeuse e tre sedie classiche. Molle elicoidali in acciaio e cinte in Juta. . . . Arredo Artigiano Interior e Tappezzeria Artigianale . . . #arredoartigiano #tappezziere #tappezzeria #sedia #sedie #tessuto #tessuti #arredamento #antichità #legno #casa #roma #artigiano #tappezziereroma #chair #madeinitaly #interiordesign #storia #handmade #home #tappezzeriaroma #italia #italy #wood #upholstery #Roma #Rome #reciclare #recycling #naturale https://www.instagram.com/p/CahwUPpozDf/?utm_medium=tumblr
#arredoartigiano#tappezziere#tappezzeria#sedia#sedie#tessuto#tessuti#arredamento#antichità#legno#casa#roma#artigiano#tappezziereroma#chair#madeinitaly#interiordesign#storia#handmade#home#tappezzeriaroma#italia#italy#wood#upholstery#rome#reciclare#recycling#naturale
0 notes
Text
'Gioia di Ber', ceramiche da vino e da acqua a Faenza
Duecento pezzi da antichità classica al design del XX-XXI secolo https://ift.tt/3weai4w
0 notes
Text
Storia senza voce
Sarà presentato on line sui canali digitali del Museo-FRaC Baronissi, in diretta streaming (https://www.facebook.com/FRaCBaronissi) il libro di Tsao Cevoli Storia senza voce,edito da Liberarcheologia. È il quinto appuntamento della rassegna “L’autore a chi legge”, promossa dall’Associazione Culturale “Tutti Suonati” nell’ambito degli eventi e delle attività didattiche del Museo-FRaC Baronissi, da quest’anno patrocinata dalla sezione Campania dell’Associazione Italiana Biblioteche. In meno di mezzo secolo più di un milione e mezzo di reperti archeologici è stato strappato al nostro Paese per finire nelle mani di collezionisti e musei senza scrupoli. Questo è il filo conduttore del volume “Storia senza voce”, che prova a ricostruire la storia di un delitto impunito, consumato ai danni del Patrimonio Culturale italiano. Seguendone le labili tracce, si porterà il lettore a scoprire luoghi, casi, protagonisti e vicende di uno dei traffici illeciti più lucrosi al mondo e di chi cerca di contrastarlo. L’Autore del libro è l’archeologo e giornalista Tsao Cevoli. Nel 2004 ha fondato l’Osservatorio Internazionale Archeomafie, che attualmente presiede. Nel 2005 l’Associazione Nazionale Archeologi, che ha presieduto fino al 2013 e di cui dal 2019 è Socio Onorario. Dal 2008 dirige “Archeomafie”, prima rivista scientifica dedicata in Italia al tema dei traffici illeciti di antichità. Dal 2015 al 2020 è stato direttore del Master in Archeologia Giudiziaria e Crimini contro il Patrimonio Culturale del Centro per gli Studi Criminologici di Viterbo. L'introduzione sarà a cura del Professore Massimo Bignardi, critico d'arte e direttore artistico del Museo FRaC. Ne discuteranno con l'autore Pio Manzo, archivista bibliotecario, e il Professore Umberto Pappalardo, archeologo di fama, direttore del Centro Internazionale per gli Studi Pompeiani (CISP), docente in Archeologia classica presso l'Università di Tunisi e l'Università Suor Orsola Benincasa. Read the full article
0 notes
Photo
Nuovo post su https://is.gd/odYrAt
Quando Brindisi salutò il nuovo Cesare (parte prima)
di Nazareno Valente
Se è scontato che tutte le strade portano a Roma, è anche vero che in antichità quelle che andavano, o venivano, dall’Oriente passavano immancabilmente per Brindisi.
A quei tempi la nostra città aveva poche uguali ed era celebrata da letterati, poeti e storici tanto è vero che, se a qualcuno venisse la briga di censire i testi antichi, scoprirebbe che, a parte Roma, nessuna metropoli dell’Occidente romano vanta un così consistente numero di citazioni. Sono infatti rari gli avvenimenti d’un certo significato storico, in particolare se accaduti sul Mediterraneo, da cui Brindisi fu esclusa, non solo per la sua importanza strategica, ma anche in virtù del suo peso economico. E questo si verificava in maniera puntuale nei momenti di evidente tensione sociale, come accaduto nel I secolo a.C. quando l’Urbe attraversò un periodo assai agitato, lacerata com’era da violenti dispute interne.
Abbiamo già visto come la nostra città abbia fatto da scenario al primo significativo scontro della guerra civile, che permise poi a Cesare di avere il sopravvento su Pompeo (11 e 12 ottobre 2017). Al termine della contesa, il vincitore debellò l’avversario dando al contempo pure la spallata conclusiva alle istituzioni repubblicane, che avevano già mostrato palesi crepe nelle lotte cittadine precedenti. Sebbene Cesare non fosse divenuto formalmente un re, lo era nondimeno nella sostanza, essendosi sostituito al Senato ed al popolo nell’esercizio dei principali poteri statali. Era di fatto lui che decideva sulla pace e sulla guerra; aveva facoltà di servirsi degli eserciti; disponeva delle finanze; proponeva gran parte dei magistrati; stabiliva i governatori provinciali ed aveva finanche il potere di creare nuovi patrizi. E tutto ciò lo faceva in forza di quelli che lo storico Svetonio chiamava gli «onori eccessivi» («nimios honores») che gli erano stati di volta in volta conferiti. Vale a dire, il consolato a vita, la dittatura perpetua, il soprannome di “padre della Patria” e la «sacrosanctitas», che lo rendeva inviolabile prevedendo addirittura la pena capitale per chi gli avesse arrecato danno.
Per andare dietro a tutto, il dittatore s’era creato un gruppo composto da persone di sua fiducia, scelti dalla nobiltà provinciale ma pure da suoi liberti e servi personali. A sentire Svetonio, Cesare aveva affidato il Tesoro statale e la cura della finanza pubblica a suoi schiavi; il comando delle tre legioni di stanza ad Alessandria al figlio d’un suo liberto e la gestione amministrativa delle province a magistrati di sua esclusiva nomina. E, pure quand’era assente, non mancava di gestire il governo dell’Urbe tramite suoi uomini di fiducia che firmavano i decreti a suo nome, dopo aver ricevuto istruzioni con lettere che facevano uso di un codice segreto basato su errori grammaticali inseriti di proposito nello scritto.
Non c’è quindi da sorprendersi se c’erano velati mugugni dovuti anche al fatto che, da un punto di vista formale, le istituzioni repubblicane sussistevano ancora, per quanto del tutto svuotate delle loro peculiari caratteristiche. Sebbene lo spirito repubblicano s’andava spegnendo sempre più, c’era comunque chi rimaneva ancorato agli ideali passati e viveva con sofferenza l’affermarsi d’un potere personale eccessivamente opprimente. Ed è su questi idealisti che l’oligarchia senatoria fece leva per modificare la situazione politica, non tanto perché desiderosa di tornare alle antiche virtù repubblicane, quanto piuttosto per riappropriarsi del potere perduto.
La congiura unì nemici a persone che avevano ottenuto da Cesare onori e cariche e si compì alle idi di marzo (15 marzo) del 44 a.C. all’apertura della riunione del Senato. Mentre Antonio, ritenuto il braccio destro del dittatore, veniva tenuto lontano dalla scena da Trebonio, un altro cospiratore, Servilio Casca, sferrava la prima delle ventitré pugnalate che uccisero Cesare. Ironia della sorte, sia Trebonio, sia Casca avevano beneficiato dei favori e della clemenza di chi stavano pugnalando. Ma non erano gli unici che avevano un debito di riconoscenza con lui, sicché non destò meraviglia che, nel corso del funerale del dittatore, un cantore, impersonando il morto, gridasse agli astanti: li ho quindi salvati perché divenissero i miei carnefici? («men servasse, ut essent qui me perderent?»).
Era questo un verso d’una famosa tragedia (“Il giudizio delle armi”) composta da un nostro illustre concittadino, Marco Pacuvio, che concorse ad alimentare lo sdegno dei presenti.
Il 18 marzo, due giorni prima del funerale, il Senato aveva aderito alla richiesta di Pisone Cesonino di dare esecuzione al testamento che Cesare aveva consegnato in custodia alle Vestali. L’apertura del documento riservò più d’una sorpresa: i nove dodicesimi dell’asse ereditario andavano al pronipote Gaio Ottavio, il futuro Augusto, che in aggiunta veniva adottato dal dittatore. L’erede, poco più che diciottenne, si trovava in quel momento ad Apollonia (una città a sud di Durazzo) mandatovi proprio da Cesare per fargli fare esperienza di vita militare al suo seguito nella programmata spedizione contro i Parti. Ed è qui che Ottavio riceve il messaggio, mandatogli in tutta fretta dalla madre Azia, che gli annuncia unicamente l’uccisione di Cesare.
Dopo essersi consultato con Vipsanio Agrippa e Salvidieno Rufo, i suoi amici più fidati, il giovane decide di rientrare in Italia: ignora cos’era avvenuto dopo il cesaricidio e, soprattutto d’essere stato adottato dal dittatore, nonostante ciò preferisce attraversare lo Ionio evitando di fare rotta per Brindisi, nel timore che i congiurati abbiano preso il sopravvento e che possano aver predisposto qualche trappola a suo danno. Approda così, per prudenza, in una località a sud della nostra città per poi dirigersi “fuori della via battuta” verso “Lupie” (Lecce). Qui fa base, sino a quando non gli arrivano informazioni più precise sugli avvenimenti e non riceve copia del testamento. Solo allora, dopo aver per altro appurato che i cesaricidi non stanno tramando nulla contro di lui, si convince infine di avviarsi verso Brindisi.
Questa la narrazione di Nicolao di Damasco e di Appiano che, però, lascia spazio ad una banale domanda: se non sapeva d’essere stato adottato da Cesare, che motivo aveva Ottavio per temere che i congiurati potessero avercela con lui? Di conseguenza appare del tutto ingiustificata la circospezione che l’aveva indotto a preferire un tragitto più tortuoso e lungo rispetto a quello che l’avrebbe condotto a Brindisi. S’aggiunga inoltre che i mezzi di locomozione d’allora non consentivano di spostarsi in tempi neppure lontanamente comparabili con quelli attuali: un tratto — ad esempio, da Roma a Brindisi — per il quale noi sprechiamo poche ore, veniva comunemente fatto in un paio di settimane, per cui anche la minima deviazione comportava un aggravio ed una grossa perdita di tempo. Quel tempo che in effetti il futuro Augusto non sembra d’aver perso in inutili esitazioni nel suo viaggio di avvicinamento a Roma, se Cicerone, in una lettera ad Attico, lo dà per arrivato in Campania già alla metà di aprile. Il che rende improbabile, pure in base ai tempi di percorrenza, il tortuoso cammino prospettato dai due storici. Quella di Nicolao e di Appiano sembra pertanto la classica ricostruzione compiuta con il senno del poi, magari condizionata dalla propaganda augustea intesa ovviamente a valorizzare le doti strategiche possedute già in età giovanile da Ottavio ed a far credere che, sin dal suo esordio politico, incuteva rispetto e timore nei suoi avversari.
Per questo, appare di gran lunga più attendibile la versione di Cassio Dione che, proprio basandosi sul fatto che i contenuti del testamento di Cesare erano ancora ignoti, dava per scontato che Ottavio si fosse diretto subito verso Brindisi, senza quindi ritenere necessaria la prudenziale tappa intermedia di Lecce. In tale ipotesi, è quindi nella nostra città che Ottavio riceve copia del testamento, venendo così a conoscenza d’essere stato adottato dal dittatore.
Comunque sia andata, su un punto, invece, i tre storici antichi si trovano d’accordo: fu a Brindisi che Ottavio abbandonò il suo nome e assunse quello del padre adottivo, facendosi chiamare da allora in poi Cesare. I suoi avversari politici, ma anche ad esempio Cicerone, continuarono almeno per il momento a chiamarlo Ottavio, e non solo per un aspetto formale: la procedura per l’adozione, che prevedeva l’accettazione dinanzi al pretore urbano e l’approvazione dei comizi tributi, non era stata neppure avviata. Per i patrizi romani era un modo spocchioso per distinguersi dai parvenu, in genere incuranti delle antiche tradizioni repubblicane.
E, nella prossima puntata, vedremo meglio perché.
(1 – continua)
#Brindisi#Gaio Ottavio#Giulio Cesare#Nazareno Valente#Salvidieno Rufo#Servilio Casca#storia di Brindisi#Trebonio#Vipsanio Agrippa#Pagine della nostra Storia#Spigolature Salentine
0 notes