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La letteratura di viaggio e viaggiatori stranieri in Puglia fra Settecento e Ottocento
DUE INGLESI ED UN TEDESCO
di Paolo Vincenti
Gli inglesi e il tedesco del titolo sono tre viaggiatori che nei secoli scorsi hanno raggiunto le nostre contrade. Ora, la letteratura di viaggio è un campo sterminato e anche sui viaggiatori stranieri in Puglia fra Settecento e Ottocento vi è una bibliografia talmente vasta che non appesantirò questo articolo, riportandola.
Mi sia concesso solo fare una brevissima introduzione su quell’importante fenomeno che va sotto il nome di “Grand Tour”, e poi mi intratterrò sui tre personaggi che, dei tanti, mi sembrano fra i più interessanti. Il Grand Tour è un fenomeno culturale tipicamente settecentesco.
Con questa espressione si è soliti definire il viaggio di istruzione e di formazione, ma anche di divertimento e di svago, che le élites europee intraprendono attraverso l’Europa fra Settecento e Ottocento. Protagonisti indiscussi del Grand Tour sono i giovani che hanno appena concluso gli studi, e in generale quegli intellettuali che specie nel Romanticismo erano imbevuti di cultura classica e dunque desideravano venire in Italia, come dire alla fonte di quella enorme ricchezza culturale che dal nostro Paese si era irradiata in tutta Europa.
Per i rampolli dell’aristocrazia francese, inglese, tedesca, pieni di cultura libresca ma poco pratici del mondo e degli uomini, il viaggio in Italia si presentava come un’esperienza irrinunciabile, certo indispensabile al fine di perfezionare la propria educazione. Essi vedevano nell’Italia la culla dell’arte e per esteso della civiltà mediterranea, grazie alla storia gloriosa di Roma, a sua volta tributaria della Grecia. E così si mettono in viaggio non solo i giovani, ma anche diplomatici, filosofi, collezionisti, romanzieri, poeti, artisti. Ciò dà origine ad una sterminata produzione, epistolari, diari, reportages di viaggio, romanzi, poesie, e non solo di carattere letterario ma anche artistico, pensiamo al famoso “Voyage pittoresque ou description du Royaume de Naples et de Sicile”, in cinque volumi, che realizzò l’abate francese Richard de Saint-Non tra il 1778 e il 1787, su incarico degli editori Richard e Labord.
Uno dei primi viaggiatori inglesi ad arrivare in terra salentina è Crauford Tait Ramage,1803-1878. Egli dimorava a Napoli come precettore dei figli del console Henry Lushington e, nel 1828, intraprese il suo viaggio nelle province meridionali, visitando il Salento. Rimane affascinato dalla bellezza di Otranto, poiché egli, come moltissimi inglesi dell’epoca, associava il nome di Otranto al romanzo di Horace Walpole ( il quale però non era mai stato ad Otranto)[1].
Nella sua opera “The nooks ad by-ways of Italy”, presso l’Editore Howell, Liverpool, del 1868[2], egli annota tutto quello che vede, catturato dall’irresistibile fascino dei nostri paesi e paesini, e per questo osserva anche la vita quotidiana, gli usi e le abitudini della nostra gente, anche se non sempre si dimostra preciso ed attento, come sottolinea Carlo Stasi a proposito del suo passaggio nel Capo di Leuca[3].
Il suo libro, dedicato al Generale Carlo Filangeri, è un resoconto di viaggio, sotto forma di lettere scritte ad un parente. Le lettere che riguardano la Puglia vanno dalla XXIII alla XXIX.
Come spiega bene il sottotitolo dell’opera, “Vagando in cerca dei suoi antichi resti e delle moderne superstizioni”, il Ramage, pur essendo spirito illuminista, è attirato dalle stranezze, o per meglio dire è attirato dalla suggestione che queste stranezze sembrano esercitare sul nostro popolo. Egli, che si professa materialista, e in effetti è uno storico serio e puntiglioso, trova grande meraviglia e interesse antropologico nel notare la creduloneria, le supersitizioni, l’ignoranza che allignano fra i salentini. Si ferma di fronte al fenomeno delle tarantate, che fa discendere dai culti orgiastici della dea Cibele. Tuttavia, ama la bellezza classica di questi posti. Infatti rimane molto colpito da Lecce e dalla sua architettura barocca, anche se, come già Swinburne, non apprezza la Chiesa di Santa Croce.
Anche il grande poeta Henry Swinburne, infatti, venne nel Regno delle Due Sicilie e visitò la Puglia da Foggia fino a Lecce. Nel suo libro “Travels in the Two Sicilies” del 1783, passa in rassegna tutte le città e i paesi che visita. Parla delle donne che danzano sfrenatamente delle danze bacchiche, a Brindisi, e che egli crede morsicate dalle tarantole, e parla anche di Lecce. Di particolare interesse, il suo disappunto di fronte al barocco leccese e a quello che ne è il monumento simbolo, la Chiesa di Santa Croce, che derubrica a pessimo esempio di commistione fra stili diversi. Lo Swinburne detesta la città di Lecce e la sua architettura, d’accordo in questo con un altro celebre intellettuale, il Riedesel, che è il secondo protagonista del nostro pezzo.
Il tedesco Johann Hermann von Riedesel, barone di Eisenbach, 1740-1785, è un appassionato archeologo che vuole descrivere ai suoi connazionali le antichità classiche dell’Italia. Il suo libro, “Un viaggiatore tedesco in Puglia nella seconda metà del sec. XVIII. Lettere di J.H.Riedesel a J.J.Winckelmann”, è, come dice il titolo, un’opera epistolare, diretta al famoso archeologo Winckelmann[4].
Diplomatico e ministro prussiano, Riedesel aveva conosciuto a Roma e frequentato il Winckelmann, il quale gli aveva fatto da guida nella esplorazione dei monumenti della città. Infatti, e non potrebbe essere diversamente, nella descrizione che il Riedesel fa dell’Italia Meridionale, in particolare della Regione salentina, si avverte l’influenza del Winckelmann. Come detto, in fatto di architettura egli non ama lo stile barocco, che definisce “il più detestabile”, mentre apprezza molto la semplicità delle architetture mediterranee e in particolare delle pajare e dei muretti a secco. “Non restano però estranee al tedesco, acuto osservatore di uomini e cose, la vita economica e quella sociale delle contrade visitate”, come scrive Enzo Panareo[5].
Il suo libro divenne un punto di riferimento in Germania e fu molto letto, anche da Goethe, che lo elogia nella sua opera “Viaggio in Italia”, in cui sostiene di portarlo sempre con sé, come un breviario o un talismano, tale l’influenza che quel volume, per la puntigliosità e l’esattezza delle notizie, esercitava sugli intellettuali.
Janet Ross ,1842-1927, giornalista, storica e autrice di libri di cucina, arriva nel Salento nel 1888. Memorabile il suo incontro con Sigismondo Castromediano, che le racconta la storia della sua vita. Janet Ross pubblicò nel 1889 in Inghilterra le sue relazioni di viaggio in Puglia, in “La terra di Manfredi, principe di Taranto e re di Sicilia. Escursioni in zone remote dell’Italia Meridionale”, successivamente tradotto e pubblicato in Italia col titolo “La terra di Manfredi”[6].
Un racconto davvero interessante, fra lo storico-artistico e l’antropologico, impreziosito dai disegni di Carlo Orsi, compagno di viaggio della Ross, e ripubblicato ancora nel 1978 in Italia col titolo “La Puglia nell’800 (La terra di Manfredi)”.[7] Bisogna dire che la figura del Re Manfredi, come tutti gli Svevi, suggestionava fortemente la viaggiatrice inglese. Nella mentalità dei britannici, infatti, questa era una dinastia eroica, avendo lottato contro il papato.
Nei luoghi visitati – nell’ordine: Trani, Andria, Castel del Monte, Barletta, Bari, Taranto, Oria, Manduria, Lecce, Galatina, Otranto, Foggia, Lucera, Manfredonia, Montesantangelo, Benevento – , la Ross cerca le antiche vestigia di una civiltà, quella appula, ricca di gloriose tradizioni.
Determinante fu il suo incontro con Giacomo Lacaita. Come scrive Nicola De Donno, recensendo il libro curato da Vittorio Zacchino, “L’autrice, che era stata a Firenze, la capitale italiana degli inglesi, ed in Puglia anche l’anno precedente, ci informa che non avrebbe composto il suo libro senza l’incoraggiamento di Giacomo Lacaita, o meglio di sir James Lacaita, come sempre lo chiama. A Leucaspide, presso Taranto, che era la residenza di campagna dei Lacaita, ella rimase ospite per alcuni giorni e di lì il Lacaita le preparò escursioni ed in alcune l’accompagnò, le dette consigli e le suggerì riferimenti culturali. Egli era, al tempo del viaggio, senatore del regno d’Italia ed aveva settantacinque anni.
Nativo di Manduria, laureato in giurisprudenza a Napoli ed introdotto nella buona società cosmopolita della capitale dalla principessa di Leporano, di cui suo padre era stato amministratore, fu impiegato come legale dal consolato inglese, ove strinse relazioni importanti, fece da guida al Gladstone nella sua famosa visita a Napoli, ebbe, probabilmente per ciò, noie dalla polizia borbonica. Riuscì, nonostante tutto, ad ottenere da Ferdinando II un passaporto per l’Inghilterra nel 1851 e non tornò più a Napoli. A Londra fece un nobile matrimonio che gli aprì molte porte, si convertì all’anglicanesimo e naturalizzò, ebbe incarichi presso diplomatici.
E’ quasi certo che venne agganciato dalla diplomazia segreta di Cavour; da vecchio si vantò, a nostro giudizio poco credibilmente, di avere scongiurato lui che l’Inghilterra nel ’60 impedisse a Garibaldi di passare lo stretto e invadere la Calabria e tutto il Napoletano. Dopo l’unità tornò in Italia, fu candidato governativo alla Camera, si riconverti al cattolicesimo e venne fatto senatore.
Acquistò la tenuta di Leucaspide, la restaurò e vi si stabilì. Grandi e piccoli personaggi passavano dalla masseria, la quale divenne un nodo significativo di quei legami post-risorgimentali fra la buona società inglese e il turismo in Italia, di cui il viaggio della Ross fu una manifestazione.
In questo filone si inserisce anche, nel libro, l’incontro a Lecce con il Castromediano e la scoperta che questi era stato assistito in Inghilterra, quando evase dalla nave che lo deportava in America, dalla nonna della Ross. (Il racconto di galera che gli mette in bocca non è però originale: è una parafrasi dell’articolo Da Procida a Montefusco, che il Castromediano stampò nella strenna « Lecce 1881 » dell’editore Giuseppe Spacciante).
Il libro riporta molte annotazioni etniche e demografiche, sull’abbigliamento, su usi e costumi dei pugliesi, sulle fiere e i pellegrinaggi, le superstizioni soprattutto, i riti pasquali, le danze e i canti, ecc. Parla della pizzica pizzica facendo delle descrizioni puntuali ma anche coinvolgenti, nel puro spirito romantico da cui questa viaggiatrice era sostenuta”[8].
Janet Ross è una studiosa davvero attenta. Il contributo demo etno antropologico del suo libro è rilevante, perché ella, nella nostra Terra d’Otranto, annota tutto, fiabe, racconti popolari, superstizioni, riti magici, riporta tre canzoni, “Riccio Riccio”, “Larilà” e “La Gallipolina”, e poi si sofferma sul fenomeno del tarantismo, distinguendo fra “tarantismo secco ” e “tarantismo umido”, sottolineando per il primo l’importanza della presenza dei colori e per il secondo l’importanza dell’acqua nel cerimoniale.
Molto belle e coinvolgenti le descrizioni del ballo della pizzica pizzica che fa alla masseria Leucaspide con i lavoranti di Sir Lacaita. Una personalità davvero interessante, insomma. La Ross, corrispondente del Times, grande viaggiatrice, nel 1867, insieme al marito Henry Ross, un ricco banchiere, si stabilì in Toscana, dove continuò la sua carriera di scrittrice.
In Puglia, ella trova un mondo che non pensava potesse esistere, e se ne innamora. Ecco perché riesce a rendere con tanta efficacia usi e costumi della gente dell’antica Terra d’Otranto.
  [1] Vasta la letteratura su Horarce Walpole, 1717-1797, e sulla sua opera “Il castello di Otranto”, primo romanzo gotico della storia.
[2] Pubblicata in Italia col titolo “Viaggio nel regno delle due Sicilie”, a cura di Edith Clay, traduzione di Elena Lante Rospigliosi, Roma, De Luca Editore, 1966, e poi anche in Crauford Tait Ramage, Vagando in cerca dei suoi antichi resti e delle moderne superstizioni, contenuto in Angela Cecere, “Viaggiatori inglesi in Puglia nel Settecento”, Fasano, Schena, 1989, pp. 37 e segg., e successivamente in Angela Cecere, La Puglia nei diari di viaggio di H. Swinburne, Crauford Tait Ramage, Norman Douglas, contenuto in “Annali della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Bari”, Terza serie, 1989 -90/X, Fasano, 1993, p. 63.
  [3] Carlo Stasi, Uno straniero dal nome strano ed un contadino dall’aspetto sveglio, in “Annu novu Salve vecchiu”, n.9 , Edizioni Vantaggio, Galatina, Editrice Salentina, 1995, pp.72-76.
[4] Johann Hermann von Riedesel ,“Un viaggiatore tedesco in Puglia nella seconda metà del sec. XVIII. Lettere di J.H.Riedesel a J.J.Winckelmann”, Prefazione e note di Luigi Correra, Martina Franca, Editrice Apulia, 1913, poi ristampata in Tommaso Pedio, “Nella Puglia del 700 (Lettera a J.J. Winckelmann)”, Cavallino, Capone, 1979
[5] Enzo Panareo, Viaggiatori in Salento, in “Rassegna trimestrale della Banca agricola popolare di Matino e Lecce”, a.V, n.2, Matino, giugno 1979, p.54.
[6] Janet Ross, “La terra di Manfredi”, Vecchi Editore, 1899.
[7] “La Puglia nell’800 (La terra di Manfredi)”, a cura di Vittorio Zacchino, Cavallino, Capone Editore, 1978.
[8] Nicola De Donno, “La Puglia nell’800 (La terra di Manfredi)”, in “Sallentum”, Anno I, n.1, sett.-dic. 1978, Galatina, Editrice Salentina, 1978, p.138.
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Dall’Archivio Segreto Vaticano: il sigillo dell’abate Stefano del monastero di Santa Maria di Nardò
di Massimo Perrone
  Nel corso degli studi presso l’Archivio Segreto Vaticano ho approfondito le mie ricerche su due argomenti di particolare interesse: l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme e la diocesi di Nardò.
E proprio otto anni fa, nella preparazione di una mostra sull’Ordine del Santo Sepolcro, studiando le descrizioni di alcuni sigilli pontifici ho visionato un autorevole testo dal titolo I Sigilli dell’Archivio Vaticano, a cura di Pietro Sella con la collaborazione di M.-H. Laurent, (1) in cui sono descritti i sigilli conservati nel fondo Archivum Arcis.
In particolare nella sezione degli Enti e delle Persone Ecclesiastiche mi sono imbattuto nella descrizione di un sigillo di notevole interesse storico per la diocesi neretina: il sigillo dell’abate Stefano.
Sin da quando ho iniziato a frequentare l’Archivio Segreto Vaticano, oramai da circa sedici anni, ho spesso cercato, non senza difficoltà, nel corposo Archivum Arcis, perché in esso sono raccolti documenti di particolare importanza storica.
Ho sempre saputo, leggendo i numerosi libri riguardanti la storia di Nardò, che le notizie riguardanti l’abate Stefano sono vaghe e spesso non supportate da fonti documentali. Per questo motivo ho approfondito la ricerca, individuato la segnatura del documento e visionato il documento originale.
E’ un documento cartaceo con sigillo in cera del 16 luglio 1325 che misura mm. 215 di base e mm. 143 di altezza.
Si tratta di una lettera dell’abate Stefano che notifica all’arcivescovo di Capua, Ingeramo Stella, che è stato letto e pubblicato a Nardò il processo del papa Giovanni XXII, Giacomo Duèse, di Cahors (1316-1334), (2) contro Ludovico IV il Bavaro.
Ludovico IV, imperatore del Sacro romano impero e re di Germania, venne eletto al soglio imperiale ma fu costretto a combattere contro Federico III d’Asburgo, il quale fu da esso sconfitto nella battaglia di Muhldorf nel 1322. Il papa Giovanni XXII si rifiutò di incoronarlo imperatore, sostenendo che spettava al pontefice la decisione sulla questione tra i due pretendenti al trono; gli impose pertanto di rinunciare alla corona e, al suo rifiuto, lo scomunicò.
La diocesi di Nardò, dal 1090, passò sotto la giurisdizione degli abati benedettini che sostituirono i monaci basiliani nella direzione del monastero e della chiesa di Santa Maria de Nerito. Dagli storici, in alcuni testi, nella successione cronologica di tali abati, è indicato l’abate Stefano per il periodo 1307-1324 (3); in altri testi, e soprattutto nel Chronicon Neritinum, si indica e precisa, altresì, il 1324 come data della sua morte (4).
Diversamente, il documento di cui alla presente trattazione, attesterebbe che l’abate Stefano, nel 1325 era vivente e ricopriva ancora l’incarico di governare la diocesi neretina.
Ad ulteriore conferma di ciò, ho ritenuto di fare ulteriori verifiche sull’autenticità del contenuto della lettera, peraltro confermata dalla presenza del sigillo in cera, ritenuto, a tutti gli effetti, originale.
Dalla Cronologia cronografica e calendario perpetuo di A. Cappelli (5) si evince che il papa Giovanni XXII, eletto il 7.8.1316, consacrato il 5.9.1316 e ad Avignone dal 14.10.1316, ha scomunicato Ludovico IV il Bavaro in data 23.3.1324.
Dallo Schedario Garampi, che costituisce ancora oggi l’unico indice generale per nomi e per materie della documentazione presente nell’Archivio Segreto Vaticano fin quasi a tutto il XVIII secolo, si evince che il processo contro Ludovico il Bavaro è stato pubblicato in data 7.7.1324 (6). Si legge testualmente: 1324 7 jul / Pubblicatio processuum contra Bavarum in Ecclesiam fratrum Praedicatorum de Capua.
Dalla Hierarchia Catholica Medii Aevi, Monasterii 1913, si evince che l’arcivescovo di Capua, dal 1312 al 1334, è stato Ingeramo Stella, consigliere del Regno di Sicilia (7).
Infine, ho consultato, la Bibliografia dell’Archivio Segreto Vaticano sinora pubblicata, per verificare eventuali citazioni del documento in questione e, quindi, individuare gli studiosi che hanno utilizzato il documento per pubblicazioni.
Nel Vol. III, 1965, alla pag. 87 [A.A. ARM. C, 729 (A.A. Arm. C, fasc.52, n.10), Stefano abate del mon. di Nardò e la pubblicazione del processo contro Ludovico il Bavaro (17 luglio 1325)], risulta che il documento di cui sopra è stato consultato dallo storico G. Mollat (8).
Nel Vol. VII, 1997, alla pag. 122 [A.A. ARM. C, 729, Sigillo di Stefano abate di Nardò (1325)] dove è riportata la data 1325, lo stesso documento risulta essere stato consultato dallo storico P. Sella.9
Né il Mollat né il Sella hanno citato il documento in questione, per studi relativi alla diocesi di Nardò.
Il documento
Si riporta di seguito la trascrizione della lettera scritta dall’abate Stefano all’arcivescovo di Capua, Ingeramo Stella, in data 16 luglio 1325.
  Trascrizione del documento
Reverendo in Cristo patri domino Ingeramo Dei gratia archiepiscopo capuano. Venerabilis sibi Stephanus Dei et / apostolice sedis gratia humilis neritonensis abbas salutem cum recomendacione se ipsum. Noverit vestra / reverenda paternitas quod magister Iohannes de florentia clericus et familiaris vester legit et notificavit / nobis processum deposicionis Ludovicis ducis quarum licterarum principium est: Iohannes episcopus servus servorum etcetera / et finis ultimae litterae anno octavo quod eciam nos per nostram dyocesim fecimus publicari. Datum Neritoni/ die sestodecimo Julii octave indicionis.
  Traduzione del documento
Al reverendo padre in Cristo signor Ingeramo per grazia di Dio arcivescovo di Capua, il venerabile Stefano per grazia di Dio e della sede apostolica umile abate di Nardò, saluta e si raccomanda. Sappia la vostra reverenda paternità che il maestro Giovanni di Firenze, chierico e vostro familiare, ha letto e notificato a noi il processo della deposizione del duca Ludovico, il cui inizio della lettera è: Giovanni vescovo servo dei servi eccetera, e la fine dell’ultima lettera: nell’anno ottavo, che noi abbiamo anche fatto pubblicare per la nostra diocesi.
Dato a Nardò il 16 luglio, ottava indizione.
Il sigillo
Ringrazio il Prof. Luca Becchetti, conservatore dei sigilli dell’Archivio Segreto Vaticano e docente di sigillografia alla Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica, responsabile del laboratorio di restauro dei sigilli, per avermi coadiuvato nella realizzazione di questo contributo con la descrizione sigillografica analitica che segue:
  STEFANO
Abate di Nardò
1325 luglio 16, Nardò
Sigillo di cera verde aderente, a navetta, mm. 60×38. Stato di conservazione buono (sigillo restaurato nelle parti mancanti), qualità dell’impressione discreta.
  Tipo agiografico di devozione
Entro architettura gotica, la Vergine stante e coronata con il Bambino in braccio; nel registro inferiore, entro una nicchia, si scorge l’abate mitrato e orante, volto a destra. Leggenda tra filetti lineari.
S’. STEPH […] IS[…] NER […]
SIGILLUM. STEPH[ANI]. [ABBAT] IS. NER [ITONENSIS]
Alla luce di quanto sopra, salvo smentite o possibile integrazione con documentazione sfuggita all’attenzione dello scrivente, ritengo che il documento esaminato nella presente trattazione sia originale ed inedito per la storia di Nardò.
Sarà, altresì, certamente utile per trarre ulteriori conclusioni sul Chronicon Neritinum, contestato dagli studiosi ma quasi sempre citato nella storiografia locale.
Concludo ringraziando, per i preziosi suggerimenti nell’analisi del documento oggetto dell’attuale trattazione, il prof. Giovanni Castaldo, docente nel corso di archivistica della Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica.
      Bibliografia
P.Sella, I Sigilli dell’Archivio Vaticano, Vol. I, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano, 1937, [Inventari dell’Archivio Segreto].
Bibliografia Archivio Vaticano, Vol. III, 1965.
Bibliografia Archivio Vaticano, Vol. VII, 1997.
Schedario Garampi, Miscellanea I, Indice 516.
Hierarchia Catholica Medii Aevi, ab anno 1198 usque ad annum 1431 perducta, Typis Librariae Regensbergianae, 1913.
D..Vendola, Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Apulia, Lucania, Calabria, Città del Vaticano, 1939, 123.
A.Cappelli, Cronologia cronografica e calendario perpetuo, Hoepli, VII ed., 2002.
Chronicon Neritinum, in L. Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, vol. XXIV, Mediolani, 1738.
G.Mollat, Jean XXII (1316-1334). Lettres comunes [analyseés d’après le registres dits d’Avignon et du Vatican]. Paris, 1909, n.23234 (Bibl. Des Ecoles Francaises d’Athénes et de Rome).
L.Giustiniani, La Biblioteca storica, e topografica del Regno di Napoli, Stamperia Orsini, Napoli, 1793, 49 e 130.
M.Tafuri, Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tommaso Tafuri di Nardò, Vol. I, Stamperia dell’Iride, Napoli 1848.
F. Castrignanò, La storia di Nardò, Tip. Mariano, Galatina 1930.
F. Casotti, S. Castromediano, L. De Simone, L. Maggiulli, Dizionario biografico degli uomini illustri di Terra d’Otranto, a cura di G. Donno, A. Antonucci, L. Pellè, Editore P. Lacaita, Manduria 1999.
M. Pastore, Le pergamene della Curia e del Capitolo di Nardò, Centro Studi Salentini, Lecce, 1964.
E.Mazzarella, La sede vescovile di Nardò, Editrice Salentina, Galatina, 1972.
B. Vetere, Città e monastero I Segni urbani di Nardò (secc. XI-XV), Congedo Editore, Galatina, 1986.
B.Vetere, Dal seggio abbaziale alla cattedra vescovile. Nardò: una chiesa latina nel Salento bizantino, in Rivista di Storia della Chiesa, Anno LXX, n.1, gennaio-giugno 2016.
M. Gaballo, Civitas Neritonensis, Congedo Editore, Galatina, 2001.
D. De Lorenzis, M. Gaballo, P. Giuri, Sancta Maria de Nerito. Arte e devozione nella Cattedrale di Nardò, Congedo Editore, Galatina 2014.
G. Santantonio, Ecclesiae Mater. La fabbrica della Cattedrale di Nardò attraverso gli atti delle visite pastorali, Quaderni degli Archivi Diocesani di Nardò-Gallipoli, Congedo Editore, Galatina, 2013.
L. Becchetti, I Sigilli. Orientamento e metodologie di conservazione e di restauro, Il Prato Edit., 2011.
L. Becchetti, I Sigilli dell’Archivio Segreto Vaticano. Nuove Ricerche sfragistiche, A.S.V., Città del Vaticano, 2013.
I. Aurora, Documenti originali pontifici in Puglia e Basilicata 1199-1415, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano, 2016, 85, 101. Annuario Pontificio, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2017.
  Note
1 P. Sella, I Sigilli dell’Archivio Vaticano, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano, 1937, [Inventari dell’Archivio Segreto], Vol. I, n. 664, 194.
2 Annuario Pontificio, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2017, 16.
3 E. Mazzarella, La sede vescovile di Nardò, Galatina 1972, 46.
4 Chronicon Neritinum, in L. Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, vol. XXIV, Mediolani, 1738, 904. Vedi anche: G.B. Tafuri, Opere dei Tafuri, vol. I, Napoli 1848, 513. F. Castrignanò, La storia di Nardò, Galatina 1930, 129. B. Vetere, Città e monastero I Segni urbani di Nardò (secc. XI-XV), Congedo Editore, Galatina, 1986, 62 nota 170. M. Gaballo, Civitas Neritonensis, Galatina 2001, 63. F. Casotti, S. Castromediano, L. De Simone, L. Maggiulli, Dizionario biografico degli uomini illustri di Terra d’Otranto, a cura di G. Donno, A. Antonucci, L. Pellè, Editore P. Lacaita, Manduria, 1999, 499.
5 A. Cappelli, Cronologia cronografica e calendario perpetuo, Hoepli, 2002, 327.
6 Schedario Garampi, Miscellanea I, Indice 516, c. 62r.
7 Hierarchia Catholica Medii Aevi, ab anno 1198 usque ad annum 1431 perducta, Typis Librariae Regensbergianae, 1913, 164-165.
8 Bibliografia Archivio Vaticano, Vol. III, 1965, 29, 87. Cfr. anche G. Mollat, Jean XXII (1316-1334). Lettres comunes [analyseés d’après le registres dits d’Avignon et du Vatican]. Paris, 1909, n. 23234 (Bibl. Des Ecoles Francaises d’Athénes et de Rome).
9 Bibliografia Archivio Vaticano, Vol. VII, 1997, 122.
  Pubblicato in “Spicilegia Sallentina, Rivista del Caffè Letterario Neritonensis”, n.12 ,autunno 2018
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Gli Arcadi di Terra d'Otranto (17/x): Filippo De Angelis di Lecce
di Armando Polito
Comincio da alcune incongruenze emerse nel corso della ricerca riportando  la scheda presente in Francesco Casotti, Luigi De Simone, Sigismondo Castromediano e Luigi Maggiulli, Dizionario biografico degli Uomini Illustri di Terra d’Otranto, a cura di Gianni Donno, Alessandra Antonucci e Loredana Pellè, Lacaita, Manduria, 1999, p. 132.
Premesso che l’Accademia dell’Arcadia di Napoli  non può valere che come la colonia Sebezia (che era la sezione napoletana dell’Arcadia di Roma), debbo dire che il presunto nome pastorale Ficandro non compare in nessun catalogo. Preciso, inoltre, che Domenico Andrea De Milo entrò nell’Arcadia col nome pastorale di Ladinio Bembinio il 23 marzo 16991.
Passo ora in rassegna alcune pubblicazioni che del nostro parlano e comincio proprio dal fondatore dell’Arcadia,  Giovanni Mario Crescimbeni, con quattro suoi contributi:
1) L’istoria della volgar poesia, Antonio de’ Rossi, Roma, 1714, p. 318: Nè meno onorato luogo avrà il cultissimo Rimatore Filippo De Angelis Leccese, allorché metterà al pubblico il suo Comento sopra il Sonetto Mentre che ‘l cor dagli amorosi vermi, il quale, siccome vien detto, è diviso in tre parti, contenenti, la prima la locuzione, la seconda l’artifizio, e la terza la sentenza. 
2) Comentari del canonico Giovanni Mario Crescimbeni custode d’Arcadia intorno alla sua Istoria della volgar poesia, Basegio, Venezia, 1730, volume  II, parte II, p. 267: Filippo De Angelis Leccese, tra gli Arcadi Licandro Buraichiano, ha dato alle stampe, tra le altre cose, un Volume di Rime; e il saggio è preso da i Codici manoscritti d’Arcadia.  Segue il saggio costituito da un sonetto sul quale tornerò più avanti. Qui, intanto, rilevo che Licandro corregge il Ficandro del Dizionario biografico citato all’inizio.
3) La bellezza della volgar poesia, Basegio, Venezia, 1730, p. 396: Licandro Buraichiano. D. Filippo de Angelis Napolitano. Prima aveva scritto Leccese; è vero, ma Napolitano qui sta per cittadino del Regno di Napoli.
4) L’Arcadia, Antonio de’ Rossi, Roma, 1711, p. 353: Licandro … D. Filippo De Angelis Napol.
In quest’ultimo volume il nostro risulta incluso tra gli iscritti all’Arcadia il 4 luglio 1701. Basterebbe questo dettaglio per correggere il secolo XVII della scheda del citato dizionario con XVII-XVIII, tanto più che non manca nell’elenco il simbolo relativo dell’eventuale avvenuto decesso alla data del 1711. Accanto al nome del nostro non compare, infatti, tale segno. I puntini di sospensione che seguono Licandro fanno pensare che alla data del 1711 non gli fosse stata ancora assegnata la seconda parte del nome pastorale, che di solito conteneva un riferimento topografico detto campagna.
Se Licandro fa pensare ad un composto dal greco λύκος (leggi liùcos), che significa lupo/lupa (con riferimento a Lecce2), e il tema ἀνδρ– (leggi andr-) di ἀνήρ (legi anèr), che significa uomo, per Buraichiano ipotizzerei una derivazione dal greco Βουραικός (leggi Buraikòs) fiume dell’Acaia, a sua volta dal nome della città Βούρα (leggi Bura).
Dopo aver integrato la scheda del citato Dizionario biografico … informando che le Rime uscirono per i tipi di Mutio a Napoli nel 1698, che il testo è molto raro (l’OPAC segnala la presenza di due soli esemplari:, entrambi nella  Biblioteca statale del Monumento nazionale di Montecassino a Cassino) e che il titolo originale è Prima parte delle rime di D. Filippo De Angelis dedicate al molto illustre signore il signore Paolo De Matthaeis3, Mutio, Napoli, 16984, riproduco e commento il testo del sonetto, saggio riportato dal  Crescimbeni e da me lasciato in sospeso, che sviluppa il consueto tema di una sorta di riconciliazione tra la religione pagana e la cristiana.
  Cercai, è ver, ma indarnoa, i fonti, e l’acque
del bel Parnasob, e la sacrata fronde
di monte in monte, e fra la terra, e l’onde,
ma stanco il corpo al fin dal sonno giacque.
Quando Donna regal, non so se nacque
simile al mondo ancor: – Tu cerchi altrondec
i lauri – disse – e i fonti; e l’almed sponde
del Tebroe lasci , e ‘l vero Apollof – e tacque.
E l’immago di te, Signorg sovrano,
mostrommi h tutta di piropii ardenti
fregiata, con le Muse intorno assisel.
Disse posciam: – Ogni luogo ermon, e lontano
ben riconosce le virtù splendenti
del mio gran Pietroo; ed io son Roma –  e rise.
_________
a invano
b Monte della Grecia consacrato ad Apollo ed alle nove Muse.
c altrove
d nobili
e Tevere
f dio
g Dio
h mi mostrò
i pietre preziose. Il piropo  è un minerale della famiglia dei granati; dal greco πυρωπός (leggi piuropòs) che alla lettera significa dallo sguardo di fuoco, composto da πῦρ (leggi piùr), che significa fuoco, e da ὄψ (leggi ops), che significa sguardo.
l sedute
m poi
n solitario
o S. Pietro
  Quanto al sonetto citato nel Dizionario biografico … e presente alla fine della Poesia di Lorenzo Grasso, preciso anzitutto che Grasso va corretto in Crasso,  che l’opera ebbe diverse edizioni, anche postume, con titoli diversi5 e che, comunque, Lorenzo morì nel 1681, quasi dieci anni prima che l’Arcadia fosse fondata,  ragion per cui il sonetto in questione esula, per motivi cronologici, dal taglio di questo lavoro.
Un altro sonetto ho reperito, invece, in Alcuni componimenti poetici di Giuseppe Baldassare Caputo detto fra gli Arcadi Alamande per le nozze degli Eccellentissimi Signori Pasquale Gaetano d’Aragona Conte d’Alife e la Principessa Maria Maddalena di  Croy de’ Duchi d’Aurè, sorella della Serenissima Principessa Darmstatt, dedicati alla Eccellentissima Signora la Signora D. Aurora Sanseverino de’ Principi di Bisignano, Duchessa di Laurenzano, etc., Muzio, Piedimonte, 1711, p. 15. A differenza di altri componimenti di altri autori inseriti in questa raccolta, in testa a questo c’è la dicitura Di Filippo De Angelis, senza aggiunta del nome pastorale. Tuttavia il fatto che Giuseppe Baldassare Caputo, abate napoletano, fosse arcade (col nome pastorale di Alamande  Meliasteo) dal 7 febbraio 17076 rende più probabile che si tratti proprio del leccese.
Gioisca lieto omaia il bel Tirreno
in questo giorno avventuroso, e caro;
ogni tristo pensier, fosco,  e amaro
sgombri il Sebetob dal profondo seno.
E ‘l gran Padre Ocean, la Scheldac appieno
faccian Eco gioconda al doppio, e raro
di virtù, di valor ben degno, e chiaro
essemplod, al cui lodar l’arte vien menoe.
E dove muore, e dove nasce il Sole
faccia pompaf Imeneog de l’almah, e illustre
coppia gentil, che qui s’ammira, e gode.
E risuoni con fama eccelsa, industre
Maddalena e Pascale; anzi in lor lode
s’alzi eterno trionfo, eterna molei.
__________
a ormai
b Fiume antico di Napoli. Tirreno e Sebeto sono legati alla figura dello sposo duca d’Alife (in provincia di Caserta).
c Fiume che attraversa Francia, Belgio e Paesi bassi. Ocean e Schelda qui sono legati alla figura della sposa di origine fiamminga.
d esempio
e la cui lode adeguata l’arte non è in grado di fare
f solenne celebrazione
g In origine personificazione del canto nuziale, poi dio conduttore dei cortei nuziali.
h nobile
i testimonianza
(CONTINUA)
Per la prima parte (premessa): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/08/gli-arcadi-di-terra-dotranto-premessa-1-x/   
Per la seconda parte (Francesco Maria dell’Antoglietta di Taranto):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/15/gli-arcadi-di-terra-dotranto-2-x-francesco-maria-dellantoglietta-di-taranto/   
Per la terza parte (Tommaso Niccolò d’Aquino di Taranto):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/23/gli-arcadi-di-terra-dotranto-3-x-tommaso-niccolo-daquino-di-taranto-1665-1721/   
Per la quarta parte (Gaetano Romano Maffei di Grottaglie): 
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/31/gli-arcadi-di-terra-dotranto-4-x-gaetano-romano-maffei-di-grottaglie/      
Per la quinta parte (Tommaso Maria Ferrari (1647-1716) di Casalnuovo): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/16/gli-arcadi-di-terra-dotranto-5-x-tommaso-maria-ferrari-1647-1716-di-casalnuovo/  
Per la sesta parte (Oronzo Guglielmo Arnò di Manduria,  Giovanni Battista Gagliardo, Antonio Galeota e Francesco Carducci di Taranto):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/26/gli-arcadi-di-terra-dotranto-6-x-oronzo-guglielmo-arno-di-manduria-giovanni-battista-gagliardo-antonio-galeota-e-francesco-carducci-di-taranto/  
Per la settima parte (Antonio Caraccio di Nardò): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/17/gli-arcadi-di-terra-dotranto-7-x-antonio-caraccio-di-nardo/  
Per l’ottava parte (Donato Capece Zurlo di Copertino): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/21/gli-arcadi-di-terra-dotranto-8-x-donato-maria-capece-zurlo-di-copertino/
Per la nona parte (Giulio Mattei di Lecce):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/28/gli-arcadi-di-terra-dotranto-9-x-giulio-mattei-di-lecce/  
Per la decima parte (Tommaso Perrone di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/03/gli-arcadi-di-terra-dotranto-10-x-tommaso-perrone-di-lecce/  
Per l’undicesima parte (Ignazio Viva di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/11/gli-arcadi-di-terra-dotranto-ignazio-viva-di-lecce-11-x/  
Per la dodicesima parte (Giovanni Battista Carro di Lecce): 
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/18/gli-arcadi-di-terra-dotranto-12-x-giovanni-battista-carro-di-lecce/ 
Per la tredicesima parte (Domenico de Angelis di Lecce): 
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/21/gli-arcadi-di-terra-dotranto-13-x-domenico-de-angelis-di-lecce-1675-1718/
Per la quattordicesima parte (Giorgio e Giacomo Baglivi di Lecce): 
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/26/gli-arcadi-di-terra-dotranto-14-x-giorgio-e-giacomo-baglivi-di-lecce/ 
Per la quindicesima parte (Andrea Peschiulli di Corigliano d’Otranto): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/31/gli-arcadi-di-terra-dotranto-15-x-andrea-peschiulli-di-corigliano-dotranto/
Per la sedicesima parte (Domenico Antonio Battisti di Scorrano): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/11/05/gli-arcadi-di-terra-dotranto-16-x-domenico-antonio-battisti-di-scorrano/
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1 Giovanni Mario Crescimbeni, L’Arcadia, Antonio de’ Rossi, Roma, 1711, p. 348
2 Vedi http://www.fondazioneterradotranto.it/2014/02/17/la-terra-dotranto-ieri-e-oggi-814-lecce/
3 Non è dato sapere se e quando uscì la seconda parte.
4 Al di là della rarità del volume, anche se l’avessi reperito in rete, non sarebbe stato possibile qui riprodurne e commentarne il contenuto, che occupa 144 pagine. Di seguito, però, riporto il sonetto  da Filippo dedicato al fratello Domenico ed inserito (nell’originale è a p. 140) nella parte che raccoglie la recensione delle opere di quest’ultimo a p. 260 del secondo volume di Le vite de’ letterati salentini, Raillard, Napoli, 1713:
Domenico fra tanti Archi ed illustri/trofei, che già leggesti onde fu Roma/adorna, or vedi al variar de’ lustri/spenti, ed appena il sito oggi si noma./Ma mirando gl’ingegni alti, ed illustri,/che furo, e che di lauro ornar la chioma,/eterni, e appar di fragili ligustri/avesser sciolta la terrena soma./Teco dirai, che non in bronzi, e in marmi/s’eterna il nome,od in sepolcri alteri:/ma ‘l saper sol può rintuzzar l’obblio.Ma più Signor da’ tuoi laudati carmi,/che per istudio altrui s’attende il rio/tempo già vinto, e che la fama imperi.
5 Epistole heroiche. Poesie di Lorenzo Crasso Napoletano Baba, Venezia, 1655; Poesie di Lorenzo Crasso barone di Pianura, Combi e la Noù, Venezia, 1663; Epistole heroiche. Poesie di Lorenzo Crasso Napoletano Baba, Venezia, 1665; Epistole heroiche. Poesie di Lorenzo Crasso Napoletano, Combi e la Noù, Venezia, 1667; Poesie di Lorenzo Crasso (terza edizione), Conzatti, Venezia, 1668;  Epistole heroiche. Poesie di Lorenzo Crasso Napoletano, Combi e la Noù, Venezia, 1678; Pistole eroiche. Poesie di Lorenzo Crasso Napoletano, Lovisa, Venezia, 1720
6 Giovanni Mario Crescimbeni, L’Arcadia, op. cit. p. 368
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