#storia alessandrina
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pier-carlo-universe · 25 days ago
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La bella incompiuta - Andrea Scotto: Un Viaggio tra le Cronache e la Vita della Chiesa di San Nicolò a Novi Ligure
Storia e Vita della Chiesa di San Nicolò raccontate da Andrea Scotto
Storia e Vita della Chiesa di San Nicolò raccontate da Andrea Scotto Andrea Scotto, ingegnere e appassionato ricercatore, con La bella incompiuta ci accompagna in un viaggio che attraversa la Storia e la Vita della chiesa di San Nicolò a Novi Ligure. Partendo da cronache documentate, come il verbale di un’assemblea politica svoltasi nella chiesa, Scotto svela come, in epoca medievale, tali…
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🟡SANT'IVOALLA SAPIENZA, CAPOLAVORO DI BORROMINI
🔹🔸La chiesa di sant’Ivo alla Sapienza è una mirabile opera di Francesco Borromini, uno degli esempi più affascinanti del barocco a Roma. L’architetto ticinese nel 1632 era stato incaricato da papa Urbano VIII di portare a compimento il complesso dove sin dal 1497 aveva sede l’Università della Sapienza, fondata nel 1303 da Bonifacio VIII. Per Borromini si trattò, dopo la chiesa di San Carlino alle Quattro Fontane, del primo grande incarico pubblico, e in tale mandato fu determinante la raccomandazione del grande rivale Gian Lorenzo Bernini: un atto di benevolenza che forse derivava dalla volontà – da parte dello scultore – di continuare a servirsi dell’aiuto del Borromini come formidabile collaboratore tecnico.
🔸L’università della Sapienza era stata – fin dalle sue origini – sotto il patrocinio papale. Nel 1497 Alessandro VI aveva promosso la costruzione del Palazzo, edificio che venne poi ampliato nel 1565 per volere di Pio IV su progetto di Pirro Ligorio: un complesso a quattro ali con cortile centrale a doppia esedra, incorniciato da portici a due piani con annessa la chiesa. Nel 1579 su incarico di Gregorio XIII (e poi di Sisto V) i lavori ripresero sotto la direzione di Giacomo della Porta, che eliminò una delle due esedre previste facendo in modo che un corridoio conducesse direttamente alla chiesa, divenuta punto focale dell’intera costruzione. Sotto Paolo V i lavori furono interrotti finché nel 1628-31 il nuovo papa, Urbano VIII, promosse un ulteriore rifacimento del palazzo con la nomina nel 1632 del Borromini.
🔹L’architetto costruì la chiesa di Sant’Ivo, ultimò il palazzo e infine, dal 1659 su incarico di Alessandro VII, eresse la Biblioteca Alessandrina, rievocazione della celebre biblioteca di Alessandria d’Egitto. La chiesa del Borromini doveva sostituire la cappella universitaria fondata da Leone X e accogliere anche le funzioni solenni. Mentre l’edificio progettato dal Della Porta aveva una forma circolare con cappelle molto piccole, Borromini mantenne l’impianto centrale ma ideò una forma stellare, un unicum nella storia dell’architettura e forse l’opera più bella della sua vita.
🔸La prima difficoltà fu costituita dalla necessità di intervenire nel contesto preesistente, costruito dai suoi predecessori: l’impianto del cortile era già stato completato e parte della stessa facciata concava della chiesa era stata innalzata dal Della Porta. Borromini dovette adeguarsi a questa presenza, modificandola in parte. La costruzione ebbe inizio nel 1642, quando fu posata la prima pietra, e per ultimarla furono necessari vent’anni: nel 1660 la chiesa venne consacrata e nel 1659 fu avviata la decorazione interna. La realizzazione dell’opera fu molto travagliata, sia per i continui ripensamenti del Borromini sia a causa delle innumerevoli sollecitazioni da parte della committenza.
🔹La facciata di Sant’Ivo alla Sapienza fa da sfondo al cortile ed è la continuazione delle due ali del palazzo: i due ordini di arcate del porticato proseguono infatti lungo la facciata concava trasformandosi nelle finestre al piano superiore e, al piano inferiore, nelle finestre e nel portale centrale. Dall’attico si eleva la cupola, fiancheggiata da due “torricelli” con i monti simbolo dei Chigi (la famiglia di Alessandro VII): essa è avvolta in un tamburo esalobato scandito da lesene, a sua volta sormontato da una scalinata di dodici gradoni, al cui interno si trova la calotta: una struttura che ricorda – per l’idea del tamburo e il ricorso ai gradoni – la struttura del vicino Pantheon.
🔸Al di sopra dei gradoni si erge la lanterna, divisa da doppie colonne in sei sezioni concave, con cuspide a spirale terminante in una fiamma, a sua volta sormontata da un gruppo formato da corona, globo, colomba dei Pamphili (la famiglia di Innocenzo X, divenuto papa dopo la morte di Urbano VIII) e infine croce. Sembra che per la forma peculiare della lanterna il Borromini si sia ispirato a un modello templare antico, testimoniato ad esempio dal Tempio di Venere a Baalbek: una forma architettonica che riprende lo studio della curvatura e si apre all’esterno. L’elemento soprastante è una forma ad elica che richiama le scale a chiocciola e pare rievocare il pungiglione dell’ape, l’emblema araldico dei Barberini (la casata di Urbano VIII), che si ripete ovunque nella chiesa e nel palazzo. Quando la lanterna venne innalzata sollevò un coro di polemiche per la sua forma ardita e Borromini fu accusato di aver creato un edificio instabile: il rettore dell’Università – preoccupato dallo scalpore – chiese all’architetto di impegnarsi per quindici anni in caso di eventuali danni causati dalla sua creazione.
🔹La pianta di Sant’Ivo alla Sapienza è anch’essa del tutto originale: ha forma stellare, derivante dall’intersezione di due triangoli equilateri – che generano un esagono – su cui attestano cerchi aventi come centro i vertici e i punti di intersezione fra gli assi delle due figure. Delle sei cappelle laterali tre sono dunque semicircolari mentre le altre tre – giacenti sui vertici del triangolo – ne svelano la forma. In alzato tale geometria crea all’interno dell’edificio un’alternanza di parti concave e convesse, scandite e sottolineate da pilastri con capitelli corinzi addossati agli spigoli, che sostengono il cornicione. La parte al di sopra del cornicione – che ripete il disegno della pianta – è caratterizzata dallo slancio della cupola, che poggia direttamente sul corpo della cappella. La cupola è divisa in sei spicchi da costoloni, che salgono restringendosi sempre più fino ad unirsi alla base della lanterna, costituendo il passaggio dall’esagono della base alla forma perfetta del cerchio. In ogni spicchio si apre un finestrone e l’ascensione è scandita da otto stelle alternativamente a sei e otto punte. Al centro del lanternino è visibile la colomba circondata dai raggi dello Spirito Santo portatore di Sapienza: è uno degli innumerevoli riferimenti del Borromini alla Sapienza e alla simbologia religiosa che vi è correlata.
🔸La decorazione interna è essenziale, in un particolare tono di bianco arricchito da elementi a stucco (oltre alle stelle, i monti emblema dei Chigi) e in oro. L’unica nota di colore è costituita dalla pala dell’altare maggiore, opera di Pietro da Cortona, rappresentante Sant’Ivo che si costituisce avvocato dei poveri. Lo splendido pavimento bicromo in marmo bianco e nero, dal disegno geometrico, fu l’ultimo elemento ad essere apposto.
🔹Con il completamento della chiesa fu portata a termine anche la costruzione del Palazzo, con la realizzazione delle facciate su piazza Sant’Eustachio e via dei Canestrari e, da ultima, l’edificazione della Biblioteca Alessandrina: i lavori iniziarono nel 1659 e si protrassero ben oltre la morte del Borromini.
🟨fonte: Viaggiatrice curiosa
🟦foto: Sant'Ivo alla Sapienza
✅@Roma: capitale d’arte di bellezza e di cultura
#roma #church
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parolequotidiane · 2 months ago
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Eccellenza alessandrina: Barber shop di Samuele
di Jacopo Scafaro Eccellenza alessandrina: Barber Shop di Samuele Da oggi "Barber Shop di Samuele" diventa un nostro prezioso sponsor e noi vi raccontano la sua storia ed il perché è un'eccellenza alessandrina. La barberia storica, fondata nel 1984 (con sede in Alessandria in Corso Crimea, 61) da Federico Panico e attualmente gestita con passione e dedizione da Samuele Magnoli, è…
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jacopocioni · 5 months ago
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Alessandrina Acciaioli e il tumulto del "pallone"
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Verso la metà del XVI secolo, Alessandrina Acciaioli fu una donna che a Firenze fece molto parlare di sé, sia per la sua clamorosa bellezza, sia per la tresca che ebbe con un personaggio alquanto discutibile. Alessandrina era nata in una delle più nobili famiglie fiorentine. Era bionda, con grandi e bei occhi azzurri, con un fisico ben tornito e, cosa molto importante all’epoca, con braccia, collo e petto di una bianchezza mirabile. Nel 1526, giovanissima, fu data in sposa a Galeotto Martelli, ma poteva vantare tra le sue conquiste, quando ancora era un giovane “apprendista di marcatura”, quel tal Francesco Ferrucci di cui la storia ci ha tramandato le gesta eroiche. Alessandrina era giovane, bella, schietta, amava essere corteggiata, non si ammantava di falsa modestia, sapeva di piacere e giocava al gioco dell’amore. Forse non si poteva definire un modello di virtù, ed il marito certamente non era certo felice di contendersi i suoi favori con Francesco Ferrucci; certo anche Galeotto ci mise del suo… ben sapendo di avere una bellissima donna in moglie, si compiaceva dell’ammirazione che ella destava negli uomini e tanto ne era fiero che molto spesso conduceva la moglie alle feste della famiglia Medici, famose per la loro sontuosità, dove il lusso era la caratteristica principale, assieme ad una buona dose di corruzione. Molti furono gli amori di Alessandrina, sbocciati nell’accogliente riparo della Corte medicea, ma uno in particolare ebbe risalto, creando scompiglio in tutta Firenze. Tra gli innumerevoli corteggiatori della bella giovane, vi fu un certo Giovanni Buonaparte, dalla cui progenie secoli più tardi nascerà Napoleone; Giovanni aveva suscitato invidie e gelosie tra gli altri giovani che si contendevano le attenzioni della moglie del Martelli, in particolare era tenuto d’occhio da un certo Andrea Minerbetti. I due si guardavano in cagnesco e non aspettavano altro che l’occasione giusta per venire allo scontro, cosa che non risultò difficile in un momento storico come quello, in cui la città era stretta d’assedio.
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Nel 1529, l’ultimo lunedì del Carnevale Alessandrina si stava dirigendo a casa dei genitori, in Borgo SS. Apostoli. Alla cantonata di via Vacchereccia si incontr��, chissà se per un caso o se per un preciso accordo, con Giovanni Buonaparte, col quale si intrattenne a girare tra le botteghe del Mercato Nuovo, proseguendo poi per via Por Santa Maria. In quei giorni era piovuto a dirotto e le strade era piene di pozzanghere e di fango; quando Alessandrina e Giovanni giunsero vicino a Via delle Terme, sentirono delle voci che allegramente, urlando e ridendo, dicevano: “bada! bada! al pallone! al pallone!” e videro farsi loro incontro, irrompendo in Por Santa Maria, un gruppo di ragazzi, mascherati in modo curioso, che agitavano ognuno il proprio pallone legato ad una cordicella. Questo era uno dei giochi che in quel tempo veniva fatto nel periodo di carnevale: consisteva nel girare, riuscendo a far chiudere le botteghe per regalare una piccola pausa ai garzoni, portando con loro dei grossi palloni gonfiati d’aria, legati ad una cordicella, che venivano scagliati addosso alle persone e nelle botteghe (un antenato del gavettone, insomma). Ovviamente questo gioco aveva spesso causato litigi, risse e disordini, perché si sa, allora come oggi, i ragazzi si lasciavano prendere la mano, eccitati dal gioco, e non ponevano attenzione a chi prendevano di mira. Capitava dunque che inseguissero i passanti e le donne addirittura nelle chiese, colpendoli a colpi di pallone, spesso sporco di fango. Quel giorno, accadde che Alessandrina e Giovanni si trovassero di fronte ad un gruppo di questi ragazzi, ed uno di loro prendendo bene la mira, colpì in faccia Alessandrina con un pallone ricoperto di fango. Giovanni, che aveva ben visto chi era stato a scagliare il pallone, si avventò su di lui con un gesto rabbioso e, guarda caso, il giovane lanciatore era proprio Andrea Minerbetti. Vi fu una mischia furibonda, improvvisamente apparvero da sotto le vesti dei pugnali, e Giovanni avrebbe avuto la peggio se non fossero giunti in suo aiuto alcuni giovani che passando avevano visto la scena.
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Si formarono due gruppi, uno pro Buonaparte, uno a favore di Minerbetti e la rissa degenerò in una vera e propria “battaglia”, spaventando la popolazione fiorentina che pensava che gli assalitori avessero invaso Firenze e stessero per saccheggiarla.  Vennero chiuse botteghe e case, suonò la campana del popolo a richiamare alle armi le milizie cittadine ed il comandante Stefano Colonna, che si trovava a San Miniato, scese per Via de’ Bardi, riuscendo poi a sedare il tumulto. Quando i facinorosi vennero ricondotti all’ordine, ci si accorse che, tra i numerosi feriti, era rimasto ucciso proprio Andrea Minerbetti. Venne fatta un’inchiesta che stabilì che il gioco del pallone era stato in realtà solo un pretesto per provocare una sommossa di modo da spingere il popolo ad aprire le porte ai Medici, e che proprio il Minerbetti era uno dei principali artefici. Dopo questo tumulto, Alessandrina volse altrove il suo sguardo, lasciando con un palmo di naso il buon Giovanni, che pure si era prodigato per difenderla. Alessandrina venne attratta da un bieco e famoso personaggio, col quale intrattenne una relazione, più sessuale che sentimentale. Il losco individuo era Alessandro de’ Medici, famoso per la sua spietata brutalità, per la lussuria.  Alessandro, per godere delle grazie di Alessandrina, piantò l’amante precedente, Alessandra de’ Mozzi, che fino a quel momento era stata amica della Acciaioli e che ne divenne prontamente nemica. Della Mozzi non parliamo adesso, ma si deve sapere che non fece una bella fine, e che ne fu artefice il duca Alessandro, che addirittura se ne vantò con la Acciaioli durante uno dei loro incontri amorosi. Alessandrina ne rimase profondamente turbata, tanto da sperare di venir presto piantata da Alessandro, vista la ferocia che dimostrava.  Fu ben presto accontentata. Alessandro mise gli occhi addosso a Luisa Strozzi, e si disinteressò immediatamente di Alessandrina che, però, conosceva troppi dettagli delle scelleratezze commesse dal Duca, ed era uno scomodo testimone da lasciare in circolazione. Alessandrina Acciaioli morì tra atroci sofferenze, a causa di un veleno che il Duca Alessandro le fece somministrare per liberarsi da quello che per lui rappresentava un pericolo.
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Gabriella Bazzani Madonna delle Cerimonie Read the full article
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lamilanomagazine · 1 year ago
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Al “Premio Tenco” il progetto di rilancio del Museo dedicato all’artista nella cittadina di Ricaldone.
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Al “Premio Tenco” il progetto di rilancio del Museo dedicato all’artista nella cittadina di Ricaldone. Alessandria. Un progetto ardito, ambizioso, promosso dal Comune di Ricaldone con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria, prevede il rilancio della Casa Museo dedicata a Luigi Tenco nel paese di Ricaldone in provincia di Alessandria, località natìa dell’artista. L’attuale struttura, realizzata nel 2006 a quasi 40 anni dalla prematura scomparsa dell’artista (1967), che attualmente raccoglie la collezione di dischi, foto, testi e ritratti del cantautore, sarà interessata da un programma di rilancio di spessore internazionale prendendo il nome di Museo Tenco Casa dei Cantautori e sarà inaugurata tra la primavera e l’estate del 2024. Il progetto, che gode della collaborazione del critico d’arte Vincenzo Sanfo, prevede, oltre all’ampliamento della struttura anche un riposizionamento e l’implementazione delle collezioni, l’inserimento di materiali relativi a cantautori internazionali come Bob Dylan, Leonard Cohen, Charles Aznavour, Gilbert Becaud. Ma anche dello spagnolo Paco Ibanez e molti altri ancora e comprenderà anche numerosi nomi di cantanti italiani. Oggetti, dischi, lettere e materiali vari, che saranno alcuni dei preziosi oggetti esposti, racconteranno la storia di Tenco, ma presenteranno anche il panorama cantautorale internazionale della sua epoca. Nel piano di rilancio, oltre quanto in riferimento all’attuale struttura che ospita il Museo Tenco, diverse ipotesi sono in fase di definizione. Tra le più accreditate quelle che riguardano le facciate di alcune case di Ricaldone che dovrebbero essere interessate da un’azione artistica che consentirebbe la trascrizione sui muri di alcuni testi delle canzoni dei cantautori presenti nel museo consentendo ai visitatori, attraverso un QR code, ascoltare sul proprio cellulare le canzoni. A sostenere l’azione di rilancio una collaborazione con la Fondazione Tenco e una partnership con l’importante gruppo bancario della Fondazione della Cassa di Risparmio di Alessandria. La stessa Casa Museo Tenco diventerà così partner istituzionale del Premio Tenco, in programma dal 19 al 21 ottobre p.v. a Sanremo. Proprio in occasione del prestigioso appuntamento, che assegna il riconoscimento alla carriera di artisti che hanno dato un contributo significativo alla canzone d'autore in Italia e all'estero, il progetto del nuovo Museo Tenco sarà presentato alla stampa ed agli ospiti della 46.ma edizione. La presentazione del progetto, durante la tre giorni del Premio Tenco, sarà accompagnata da iniziative di promozione turistica e enogastronomica del territorio del Monferrato. Enti di promozione del territorio accoglieranno cantanti, musicisti, giornalisti, opinion leader ed ospiti alla cena ufficiale e alle serate del festival con degustazione dei prodotti tipici legati alla provincia alessandrina. Partner principali di questa promozione territoriale sono: l’Associazione Museo Tenco di Ricaldone, la Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria, il circuito turistico della Fondazione Slala e il Consorzio Gran Monferrato, Derthona, Gavi e Quarto Piemonte.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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reginadeinisseni · 1 year ago
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Cleopatra: La Storia della Regina d'Egitto - Completo - Grandi Personali...
(LA) «Cleopatra, Aegypti reginarum novissima»
(IT) «Cleopatra, l'ultima delle regine d'Egitto»
(Plinio il Vecchio, Nat. hist., IX, 58)
2 MORSI DI ASPIDE, 2 FORI UCCISERO CLEOPATRA
Cleopatra Tèa Filopàtore[1][N 2] (in greco antico: Κλεοπάτρα Θεὰ Φιλοπάτωρ?;[N 3] in egizio: ḳliw-pꜣ-drꜣ, qliu-pa-dra; in latino: Clĕŏpătra Thĕa Philopătōr; 70/69 a.C.[2] – Alessandria d'Egitto, 12 agosto 30 a.C.[N 4]), chiamata nella storiografia moderna Cleopatra VII o semplicemente Cleopatra, è stata una regina egizia appartenente al periodo tolemaico, regnante dal 52 a.C. alla sua morte.
Fu l'ultima sovrana della dinastia tolemaica a regnare in Egitto e anche l'ultima di tutta l'età ellenistica, la cui fine si fa coincidere proprio con la sua morte. Donna forte e indipendente, portò avanti una politica espansiva e accentratrice, nonostante il continuo avanzare dell'egemonia della Repubblica romana nel mar Mediterraneo; Cleopatra riuscì, infatti, a relazionarsi efficacemente con Roma, grazie anche al rapporto personale che instaurò con due importanti generali romani, Giulio Cesare e Marco Antonio, ed ebbe un ruolo centrale nell'ultima guerra civile repubblicana (44-31 a.C.), che portò alla nascita dell'Impero romano per iniziativa di Ottaviano Augusto.
Dopo una breve co-reggenza con il padre Tolomeo XII Aulete tra il 52 e il 51 a.C., alla morte di questi Cleopatra salì al trono insieme al fratello minore, Tolomeo XIII; successivamente, a seguito della guerra civile alessandrina (48-47 a.C.), regnò congiuntamente all'altro fratello, Tolomeo XIV, fino alla morte di questi nel 44 a.C., e infine con il figlio maggiore, Tolomeo XV Cesare. Non detenne quindi mai nominalmente il potere da sola, ma in realtà fu sempre lei a comandare sul proprio regno.
È inoltre con tutta probabilità tra le più famose personalità dell'antico Egitto e della storia universale: fin dai tempi antichi, infatti, la sua figura è stata al centro di racconti e ricostruzioni storiche più o meno fantasiose, che l'hanno portata a sopravvivere nell'immaginario comune fino all'epoca contemporanea.
Cleopatra nacque tra la fine del 70 e il 69 a.C. (sicuramente prima del 14 gennaio 69 a.C. e probabilmente durante o dopo il mese di dicembre del 70 a.C.), nel 12º anno di regno del padre,[13] e nel periodo seguente, dal 68 a.C. al 59 a.C., vennero al mondo da diverse madri ignote la sorella Arsinoe IV e i fratelli Tolomeo XIII e Tolomeo XIV.[14] Da piccola Cleopatra studiò nella Biblioteca e nel Museo di Alessandria, e sappiamo che il suo tutore fu Filostrato, che l'avviò alla filosofia, alla retorica e all'oratoria; la sua educazione fu molto vasta e coprì anche i campi della medicina, della fisica e della farmacologia.[15] Sappiamo inoltre che Cleopatra, da regina, era in grado di parlare, nonché probabilmente leggere e scrivere, nelle lingue di «Etiopi, Trogloditi, Ebrei, Arabi, Siri, Medi, Parti e molti altri», come ci dice Plutarco;[N 6] tra questi altri idiomi c'erano sicuramente il greco antico, l'egizio e il latino e probabilmente altre lingue nord-africane.[16]
(ЭТУ) "Клеопатра, Aegypti reginarum novissima»
(RU) "Клеопатра, последняя из цариц Египта»
(Плиний Старший, Нат. Хист., IX, 58)
2 УКУСА АСПИДА, 2 ОТВЕРСТИЯ УБИЛИ КЛЕОПАТРУ
Клеопатра Tèa Filopàtore[1] [N 2] (древнегреческий: Κλεοπάτρα Θεὰ Φιλοπάτωρ?Клеопатра VII или просто Клеопатра, была египетской царицей, принадлежащей к периоду Птолемеев, Moderna с 52 г. до н. э. до ее смерти.
Она была последней правительницей династии Птолемеев, правившей в Египте, а также последней из всех эллинистических времен, конец которой совпадает с ее смертью. Сильная и независимая женщина, она проводила экспансионистскую и централизованную политику, несмотря на продолжающееся продвижение гегемонии Римской республики в Средиземном море; Фактически, Клеопатре удалось эффективно общаться с Римом, в том числе благодаря личным отношениям, которые она установила с двумя важными римскими генералами, Юлием Цезарем и Марком Антони, и сыграла центральную роль в последней Республиканской гражданской войне (44-31 до н. э.), которая привела к появлению Римской Империи по инициативе Октавиана Августа.
После непродолжительного совместного регентства со своим отцом Птолемеем XII Авлетом между 52 и 51 гг. до н. э., после смерти этих Клеопатра взошла на престол вместе со своим младшим братом Птолемеем XIII; впоследствии, после Александрийской гражданской войны (48-47 гг. до н. э.), Она правила вместе со своим другим братом Птолемеем XIV, пока они не умерли в 44 г. до н. э., И, наконец, Таким образом, она никогда номинально не обладала властью сама по себе, но на самом деле она всегда была тем, кто командовал своим собственным королевством.
Кроме того, она, по всей вероятности, является одной из самых известных личностей Древнего Египта и всеобщей истории: с древних времен ее фигура была в центре более или менее творческих историй и исторических реконструкций, которые привели ее к выживанию в общем воображении до современной эпохи.
Клеопатра родилась в конце 70-69 гг. до н. э. (определенно до 14 января 69 г. до н. э. и, вероятно, во время или после декабря 70 г. до н. э.), на 12-м году правления своего отца[13], а в следующий период, с 68 по 59 г. до н. э., на свет пришли несколько неизвестных матерей, сестра Арсиноя IV и братья Птолемей XIII и Птолемей XIV.[14] в детстве Клеопатра училась в Александрийской библиотеке и музее, и мы знаем, что ее наставником был Филострат, который посвятил ее философии, риторике и ораторскому искусству; его образование было очень обширным, а также охватывало области медицины, физики и фармакологии.[15] мы также знаем, что Клеопатра, как царица, умела говорить, а также, вероятно, читать и писать на языках «эфиопов, троглодитов, евреев, арабов, Сири, мидян, парфян и многих других», как говорит нам Плутарх; [N 6] среди этих других идиом, безусловно, были древнегреческий, египетский и латынь и, вероятно, другие североафриканские языки.
PICCOLO CAPOLAVORO E GIOCO DELLO SPETTACOLO
PICCOLO CAPOLAVORO STROMBAZZATO RIPETUTAMENTE
PERCHE' IL LAVORO NON E' GRANDE IL LAVORO E PICCOLO NON E' AIUTATO DAI GIUDICI NON E' AIUTATO DALLA POLITICA
LA COLONNA INFAME  E' COINVOLTA NEL MALE PAOLO DEL DEBBIO
ALLO SPETTACOLO SEMBRA UN GIOCO MA IL MALE IL LAVORO LO FA DAVVERO E LORO SONO COINVOLTI NEL MALE PURTROPPO
МАЛЕНЬКИЙ ШЕДЕВР И ИГРА ШОУ
ПОЗОРНАЯ КОЛОННА ВТЯНУТА ВО ЗЛО  PAOLO DEL DEBBIO
МАЛЕНЬКИЙ ШЕДЕВР, НЕОДНОКРАТНО ТРУБИВШИЙ
ПОТОМУ ЧТО РАБОТА НЕ БОЛЬШАЯ РАБОТА И МАЛЕНЬКИЙ ЭТО НЕ ПОМОГАЕТ СУДЬЯМ ЭТО НЕ ПОМОГАЕТ ПОЛИТИКЕ
НА ШОУ ЭТО ПОХОЖЕ НА ИГРУ НО ЗЛО РАБОТА ДЕЙСТВИТЕЛЬНО ДЕЛАЕТ И ОНИ ВОВЛЕЧЕНЫ ВО ЗЛО К СОЖАЛЕНИЮ
❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️
#gustavopetro #colombia #DONALDTRUMP #TRUMP #BOLSONARO #DORIGHEZZI #STRISCIALANOTIZIA #FRANCESCO #RUTELLI #PROPAGANDALIVE #ELUANA #ENGLARO #ELUANAENGLARO #CRISTIANODEANDRE #twitter #facebook #skyrock #linkedin #instagram #okru #tiktok
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roma-sera-giornale · 2 years ago
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PREMIO SOLIDARIETA’ ITALIANA 2022/2023 – Roma 15 aprile. Ecco i premiati
prem solid 2023 PREMIO SOLIDARIETA’ ITALIANA Il prossimo 15 aprile 2023, a partire dalle ore 15,30, presso a Sala Alessandrina del Museo Monumentale della Storia dell’Arte sanitaria a Roma (Lungotevere in Sassia – adiacente Ospedale Santo Spirito) si terrà la Cerimonia di Premiazione del “Premio Solidarietà Italiana 2023″, organizzato da C.I.C.S. – Comitato Internazionale Cooperazione Sviluppo,…
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ilpiccolomondodigalatea · 5 years ago
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Cleopatra, la regina che sedusse il mondo. Parte prima: la giovinezza di Cleopatra
Cleopatra, la regina che sedusse il mondo. Parte prima: la giovinezza di Cleopatra
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Accadde oggi: 12 Agosto 30 a.C. si suicida Cleopatra, regina d’Egitto, la donna che sedusse il mondo. Una serie di post che ne raccontano la storia.
Ci sono molte donne fatali nella storia, ma Cleopatra è qualcosa di più. Non è un personaggio storico, è un archetipo assoluto. Una donna che grazie al suo fascino non solo sedusse uomini di potere, ma che uomini. Giulio Cesare e Marco Antonio, i…
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goodbearblind · 2 years ago
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SCIENZA, FILOSOFIA E LIBERTÀ DI PENSIERO: LA STORIA DI IPAZIA, UNA MARTIRE TUTTA PAGANA
Alcuni personaggi lasciano un segno così forte nella storia che la loro fama rimane immutabile nel corso dei secoli. È il caso di Ipazia, diventata simbolo senza tempo della libertà di pensiero.
Ipazia era una donna di scienza, esperta di matematica, di geometria e soprattutto di astronomia, la materia a cui dedicò maggiore interesse. Si può dire che fosse una figlia d'arte: suo padre era lo stimato matematico Teone d'Alessandria, il quale educò tanto bene la figlia da lasciarle la cattedra presso la stimata Scuola di Alessandria.
Ma Ipazia era molto più che una matematica, era una filosofa, la terza caposcuola del platonismo dopo Platone e Plotino. La sua cultura e la sua saggezza la portarono ad essere uno degli esponenti più stimati all'interno della società alessandrina.
Un intelletto straordinario, che secondo le fonti antiche era accompagnato da una bellezza fuori dal comune; pare che molti dei suoi allievi si innamorarono e vennero puntualmente respinti.
Purtroppo però Ipazia oltre che per la sua vita è famosa sopratutto per la sua tragica fine.
È il 415 d. C. quando la filosofa viene assalita, mentre tornava a casa, da un gruppo di chierici guidati dal predicatore Pietro il Lettore. Gli uomini portarono Ipazia presso la chiesa di san Cesario dove, strappatole le vesti, la uccisero brutalmente utilizzando dei cocci aguzzi, smembrando completamente il suo corpo i cui resti furono, poi, bruciati. Secondo una delle tante versioni della storia sarebbe stato il vescovo Cirillo ad organizzare l'assassinio, forse geloso della fama e della stima di cui Ipazia godeva ad Alessandria..
In realtà è troppo semplice parlare di gelosia. Le vicende che portarono alla tragica fine di Ipazia sono molto più complesse e, soprattutto, le decisioni di Cirillo furono mosse da motivi politici. Non bisogna dimenticare che è un momento delicato della storia: il passaggio dal paganesimo al cristianesimo comportò anche la sostituzione della figura del filosofo con quella del vescovo. Cirillo non fece altro che eliminare il filosofo e affermare il suo potere e il suo ruolo all'interno della nuova società, mosso ovviamente anche dall'odio nei confronti di una donna troppo emancipata per la sua concezione.
Nonostante la tragica fine la fama di Ipazia crebbe ancora di più, attraversando i secoli e ispirando anche la la letteratura moderna a partire dal Settecento, quando cominciano a comparire vari trattati sulla vicenda, addirittura alcuni a favore di Cirillo. Una continua discussione e un continuo confronto che sarebbe stato caro alla filosofa. Del resto è evidente: il libero pensiero, la cultura, il sapere non possono essere fermati.
Cannibali e Re
Cronache Ribelli
#ipazia
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pier-carlo-universe · 23 hours ago
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Cento Immagini per Gelindo: Celebrando un’Icona della Tradizione alessandrina
La mostra fotografica “Cento Immagini per Gelindo” inaugura il 15 novembre 2024 al Palazzo del Monferrato di Alessandria
La mostra fotografica “Cento Immagini per Gelindo” inaugura il 15 novembre 2024 al Palazzo del Monferrato di Alessandria. Alessandria si prepara a rendere omaggio a una delle figure più amate e rappresentative della sua tradizione popolare, Gelindo, con una mostra fotografica intitolata “Cento Immagini per Gelindo 100”. L’evento, organizzato dall’Associazione San Francesco, si terrà presso la…
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aneddoticamagazinestuff · 6 years ago
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TRE ODI DI ORAZIO
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TRE ODI DI ORAZIO
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  § 1. IL MONTE SORATTE (Odi 1,9) Come si stagli (nel cielo), bianco di neve il Soratte, lo vedi tu, né più sostengano il peso le piante affaticate, e per il freddo rigido i corsi d’acqua si siano gelati: lo vedi?
Il freddo scioglilo, legna sul fuoco con abbondanza ponendo, e senza risparmio mesci il vino puro di quattro anni, o Thaliarco, da un’anfora sabina.
Tutto il resto affidalo agli dèi, e, dopo che questi imbrigliano la zuffa tra i venti ed il mare spumeggiante, non più i cipressi si agitano e i secolari ontani.
Sono le prime tre strofe dell’ode n.9 del I libro. Orazio ha pubblicato tre libri di odi + uno. Dico così, perché il progetto era articolato su tre libri, ed infatti a seguire vedremo quella che avrebbe dovuto essere l’ode di congedo dall’opera. Senonché in seguito aggiunse un quarto libro, non resistendo al ritorno della ispirazione poetica. Dalle odi Orazio si aspettava la gloria poetica, e trae ispirazione dalla grande lirica arcaica greca, specialmente da Saffo Alceo ed Archiloco. Però una parte cospicua della sua opera è di ispirazione alessandrina (Alessandria, faro della cultura mediterranea classica, sede della prima biblioteca della Storia, luogo in cui si determinavano le edizioni ufficiali delle opere anti che – Omero ad esempio -, e si elaboravano opere moderne). Il monte Soratte è a nord di Roma, ed è definito anche come monte S.Oreste. prima o poi cercherò con una ricerca di stabilire se Sant’Oreste in realtà non sia una corruzione del nome SORATTE. Thaliarco è uno pseudonimo: nel corso dei banchetti, quelli importanti, si eleggeva un re del convito, il quale sceglieva il tipo del vino, e decideva i brindisi, e tutti si dovevano attenere alla sua autorità, e thaliarco era l’appellativo di tale re del vino. E’ inverno, fa freddo, e la neve ricopre tutto ed i corsi d’acqua si sono gelati, ed il rimedio sono il vino puro, di semplice qualità (è il senso di “anfora sabina”). Gli dèi hanno messo pace tra venti e distese del mare, gli alberi sono addobbati di neve ed immobili, ed i corsi d’acqua si sono fermati per effetto del gelo. Quasi quasi c’è da pensare che anche il tempo abbia interrotto la propria corsa, statico in un presente senza fine…….
Ciò che sarà domani, evita di domandarlo, e quanti giorni la Sorte ti darà, nei guadagni registralo, e i dolci amori non trascurarli, finché giovane, né le danze
finché da te virgulto la canizie è lontana, che rende lenti. Adesso il campo Marzio e le piazzette ed i leggeri sussurri sul far della notte si rinnovino nell’ora dell’appuntamento,
ora anche della ragazza dall’angolo nascosto il riso felice e traditore, ed il pegno strappato al braccio o dal dito che resiste per finta.
Orazio non vuole che ci si illuda, che il tempo si fermi come la natura d’inverno. Metti nella colonna degli attivi, quasi da ragioniere, ogni giorno in più che ti si regalerà, ed goditi la danza della fanciulla (gli uomini non danzavano, era sconveniente), finche non sei cauto e rigido. E poi, che delizia la schermaglia d’amore sul far della sera: lei è nascosta e lui la cerca, e lei non trattiene il riso, ed il suono della risata ed il biancore dei denti la svelano. E lui la punisce, togliendole il bracciale o l’anello da un dito, che fa finta di resistere. Inverno pieno, monti innevati: il clima era diverso. Poverini non avevano le bombe d’acqua, le frane micidiali, lo scioglimento dei ghiacci, e le immense isole di plastica, plastica, plastica. E nemmeno le malattie autoimmuni….
§2. ODE DI CONGEDO: MONUMENTO A SE STESSO
Ho innalzato un monumento più durevole del bronzo, e più alto della mole regale delle piramidi, e non lo potranno intaccare la pioggia che scava né la tramontana inarrestabile, né l’innumerevole serie degli anni o la fuga dei tempi.
Ma non morrò del tutto ed una grande parte di me eviterà Libitina: io nel tempo futuro crescerò di lode sempre nuova, finché sul Campidoglio
si inerpicherà un pontefice con una vestale silenziosa. Si parlerà di me, dove violento strepita l’Ofanto e dove povero d’ acque Dauno regnò sui popoli agresti, importante da umile che ero,
e si dirà che per primo la poesia eolica ho introdotto negli italici ritmi. Prendimi la superbia raggiunta con merito, ed a me con la delfica corona d’alloro, o Melpomene, cingi volendolo la chioma.
Nelle Odi Orazio riponeva la speranza della gloria poetica, speranza che qui, nell’ode conclusiva del III libro, a sua volta conclusivo dell’intero progetto delle Odi, ribadisce con forza, presumendo eterna la gloria, perché la collega a Roma, la città eterna, allora più che oggi. Gran parte di me scamperà a Libitina: alla divinità, cioè, della morte, a cui nel foro era dedicato un tempio, nel quale si andavano a registrare i decessi. Melpomene, musa della poesia lirica. Orazio si attribuisce il merito di avere introdotto nella cultura latina i modi ed i metri della grande poesia lirica greca arcaica (Alceo, Saffo. Archiloco), anche se già prima di lui Catullo s’era esibito alla Saffo. Il gusto poetico del tempo è di marca alessandrina: una delle piacevolezze di un componimento era la gara con un originale famoso, a volte con una citazione allusiva. Quando Orazio, ad esempio, per la morte di Cleopatra esulta con un “Nunc est bibendum”, ora ci si deve ubriacare, le persone colte andavano con il pensiero ad Alceo, poeta di Lesbo di sette secoli prima, che esulta con le medesime parole per la morte del tiranno Mìrsilo. Tra i due poeti corrono sette secoli di distanza, durante i quali si è verificato un cambiamento epocale nella cultura: al tempo di Alceo, anche se le poesie erano scritte, erano destinate ad una diffusione quasi esclusivamente orale, mentre, quando opera Orazio, è stato già inventato il libro, come lo pensiamo noi, anche se è un rotolo di papiro (volumen), e la diffusione è scritta. Il libro è costoso, quindi alla portata di un pubblico ristretto, i danarosi, quelli cioè che hanno avuto modo e tempo di acculturarsi. Quindi ciò che è scritto è leggibile quanto si vuole, e dentro vi si vuole trovare cultura: gara con modelli famosi, e citazioni.
§ 3. LA FONTE DI BANDUSIA
O fonte di Bandusia, più luminosa del cristallo, degna di dolce vino puro, nonché di fiori, ti farò dono di un capretto domani, che la fronte turgida delle corna nascenti
destina alle baruffe d’amore. Ma invano, perché ti tingerà l’acqua con il sangue rosso orgoglio del gregge lascivo.
L’ora feroce dell’ atroce Canicola non sa toccarti, tu l’amabile fresco ai tori stanchi per l’aratro offri ed al bestiame vagante.
Diverrai tu pure una delle nobili fonti, perché canto il leccio che gravita sulla grotta, da cui loquaci saltellano le acque tue.
Inserisco qui il testo latino per l’ultima strofa: “Fies nobilium tu quoque fontium,/ me dicente cavis impositam ilicem/ saxis, unde loquaces / limphae desiliunt tuae. “. Perché questa citazione? Perché è un saggio di bravura compositiva, un divertissement, una sinfonia di onomatopee, con quell’alternarsi di sillabe liquide, inframezzate da sillabe dentali e volutamente dure, a rendere l’idea del movimento delle acque chiacchierine. A Roma si celebravano i Fontanalia, feste dedicate alle fontane, presidiate, si credeva, da ninfe e divinità boschive. Bandusia: probabilmente è il nome di una fonte vicina a Venosa. Orazio se ne ricorda, mentre nell’aria imperversa la feroce Canicola, sotto la costellazione del Cane. La poetica dell’epoca alessandrina prevede anche la composizione su tematiche non auliche, come il canto su una fontana.
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gdsradio7 · 3 years ago
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Biblioteca Alessandrina di Roma: la sua storia è legata a filo doppio con lo Studium Urbis, tra le università più antiche del mondo - fondata nel 1303 da Bonifacio VIII - e oggi la più grande d'Europa
Biblioteca Alessandrina di Roma: la sua storia è legata a filo doppio con lo Studium Urbis, tra le università più antiche del mondo – fondata nel 1303 da Bonifacio VIII – e oggi la più grande d’Europa
Le origini nella seconda metà del Seicento a Sant’Ivo alla Sapienza, il trasferimento nella Città universitaria all’inizio degli anni Trenta del secolo scorso. A disegnarne spazi e arredi sono gli architetti Francesco Borromini prima, Marcello Piacentini poi. La storia della Biblioteca Alessandrina è legata a filo doppio con lo Studium Urbis, tra le università più antiche del mondo – fondata nel…
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carmenvicinanza · 3 years ago
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Alessandrina Massini Ravizza
https://www.unadonnalgiorno.it/alessandrina-ravizza/
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Filantropa, emancipazionista, pioniera di tante battaglie civili, una vita spesa per il sociale, questo e tanto altro è stata Alessandrina Ravizza. Fu protagonista di quella nuova corrente di filantropia laica, che si differenziava dalla beneficenza perché finalizzata al riscatto materiale della popolazione.
Nacque nel 1846 col nome di Alessandra Massini a Gatčina, in Russia, da padre milanese e madre tedesca. Cresciuta in un ambiente cosmopolita, arrivò a conoscere otto lingue. Visse in Belgio e poi a Locarno, prima di trasferirsi a Milano nel 1863. Qui conobbe l’ingegnere Giuseppe Ravizza che sposò quando aveva vent’anni e da cui prese il cognome con cui è passata alla storia.
Ereditò la visione politica e i metodi di lavoro dalla conoscenza e collaborazione con donne straordinarie come Laura Solera Mantegazza e Ersilia Bronzini Majno, organizzatrici infaticabili di iniziative umanitarie, patriote e filantrope emancipazionista. Intraprendenti realizzatrici di opere assistenziali che avevano il fine di trasformare le coscienze per rigenerare la società intera, su basi di giustizia e uguaglianza sociale.
Colta, generosa, comunicativa, Alessandrina Ravizza seppe coinvolgere nelle sue imprese persone di ogni ambiente e classe.
Aderì alla Lega femminile milanese e poi alla Società pro suffragio, che si batteva per il voto alle donne. Fu tra le organizzatrici dell’Unione Femminile Nazionale, collaborando anche al periodico dell’associazione Unione femminile.
Attivando la partecipazione collettiva, riuscì a trasformare iniziative nate con fondi irrisori in imprese modello e spesso prospere. Sostenne numerose iniziative riformiste e vari istituti pionieristici nel campo dell’assistenza, come la Scuola professionale femminile, che consentì a molte giovani della piccola borghesia l’accesso a lavori qualificati; la Scuola laboratorio per adulti e bambini sifilitici dove le prostitute potevano studiare e apprendere un lavoro e i bambini ricevere le cure di maestri sensibili, in un clima affettuoso e rilassato; la Cucina per ammalati poveri, punto di riferimento di emarginati ma soprattutto di adolescenti sbandati e delinquenti, che trovarono in lei una confidente e una protettrice; il Magazzino cooperativo benefico e l’Ambulatorio medico gratuito, che offriva anche assistenza ginecologica alle donne più povere, nel quale prestarono la loro collaborazione le prime mediche italiane come Anna Kuliscioff e Emma Modena.
Nel 1901 fu tra le fondatrici dell’Università popolare, sorta per diffondere la cultura tra le classi più povere.
Nel 1906 venne assunta dalla Società Umanitaria con l’incarico di direttrice della Casa di lavoro, un istituto che aveva il compito di offrire a persone bisognose e disoccupate la possibilità di migliorarsi attraverso l’istruzione e il lavoro. Questa fu l’attività a cui si dedicò con maggiore intensità occupandosi praticamente di tutto, organizzare i corsi, selezionare il personale, procurare i finanziamenti, dirimere le liti interne, e soprattutto difendere l’istituto dagli attacchi di coloro che, in nome del profitto, avrebbero voluto chiuderlo.
Per trovare fondi, nel 1911 con la collaborazione di alcuni giovani artisti futuristi (Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo) organizzò l’Esposizione d’arte libera, una grande mostra dal formato insolito, non una vetrina di artisti famosi, ma una manifestazione che aveva lo scopo di «mostrare che il senso artistico, ritenuto privilegio di pochi, è innato nella natura umana. L’esposizione raccolse oltre 800 opere di circa 400 autori: accanto ad artisti di fama, c’erano illustratori e cartellonisti, ma anche operai (scalpellini e decoratori) e perfino qualche bambino.
Negli ultimi anni della sua vita si confrontò con il disagio per l’avvento di un’epoca dominata dal denaro, dall’antagonismo sociale, dalla fine della solidarietà umana. Nel 1913 la Casa di lavoro dovette chiudere i battenti e per la donna, già malata da tempo, questo fu un colpo di grazia.
Negli ultimi anni della sua vita pubblicò racconti ambientati nei bassifondi di Milano, dando prova di una scrittura efficace e toccante.
Morì il 22 gennaio 1915.
La scomparsa della donna più popolare di Milano fu commemorata solennemente al Teatro del Popolo della Società Umanitaria il 21 marzo dello stesso anno, presero la parola numerose personalità del mondo della cultura, tra cui l’amica di tutta una vita, la scrittrice e poetessa Ada Negri che disse: L’umanità le fu croce da portare sulle spalle: portò questa croce cantando, con la splendente serenità delle vocazioni altruistiche. “Non c’è nulla di impossibile” era il suo motto.
Alessandrina Ravizza per tutta la vita ha combattuto la retorica, la filantropia dell’elemosina e il culto della propria eccezionalità.
Nella sua intensa vita non ebbe paura di nulla, nemmeno di scontrarsi con la disperazione più nera, di accovacciarsi tra prostitute e ammalate di sifilide e di prendere sotto la sua protezione i piccoli manigoldi che preferivano il coltello al gioco della palla. Manteneva le sue promesse e gli impegni presi a costo di mettere in gioco la propria salute, in nome dei diritti naturali universali, propri di ogni essere umano.
È stata una figura antesignana della moderna concezione della politica sociale.Il Comune di Milano le ha intitolato un parco pubblico nella zona sud della città, vicino all’Università Bocconi.Così la ricordava l’amica Sibilla Aleramo, su L’Unità l’1 agosto 1946: “La sua anima aveva un vigore, una tenacia, una passione, un’originalità non inferiori a quelle adoperate da un Michelangelo nel lungo esercizio del proprio genio. (…) Venne subito assalita dalla necessità imperiosa di agire, di non passare oltre: un senso di responsabilità s’era destato nella sua coscienza e non cessò mai più di tormentarla”.
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alessandroiiidimacedonia · 3 years ago
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Europa: Grecia
Eccoci all’articolo più esteso sulla Filatelia Alessandrina in ordine cronologico. Il 1° novembre 1937 uscì il valore Alessandro Magno nella battaglia di Isso (scaduto il 1° luglio 1943) della serie di 21 pezzi sulla storia greca come dal bassorilievo del sarcofago del IV secolo a.C. Lo stesso valore venne poi sovrastampato durante l’occupazione militare italiana delle Isole Ionie. Num.…
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lamilanomagazine · 4 years ago
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Alessandria, il 30 aprile il 77° anniversario del bombardamento del Quartiere Cristo
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Alessandria, la città ricorda ciò che tragicamente avvenne al quartiere Cristo settantasette anni fa, in quel 30 aprile 1944 quando sotto i bombardamenti perirono 239 persone. Lo scorso anno, nella ricorrenza del 76° anniversario, il permanere delle norme anti-pandemiche e la condizione di totale lock-down impedì lo svolgimento del consueto momento commemorativo con le Autorità locali “in presenza”, aperto alla cittadinanza e alla rappresentanza degli studenti, presso la targa posta sulla facciata della Scuola Primaria Zanzi sulla omonima piazza dell’importante quartiere alessandrino. Vi fu solo, infatti, la collocazione di una corona d’alloro da parte del Sindaco Gianfranco Cuttica di Revigliasco, quale unica Autorità deponente, accompagnato dal Comandante Vicario della Polizia Municipale Alberto Bassani. Purtroppo, anche per quest’anno la presenza sulla piazza e presso la Scuola di un importante cantiere di lavoro non rende praticabile la proposta di una specifica cerimonia di fronte alla targa, alla presenza delle Autorità, della cittadinanza e dei parenti delle vittime del bombardamento. Questi fattori tuttavia non mettono affatto in discussione l’impegno dell’Amministrazione Comunale affinché a questo anniversario venga in ogni caso dato il giusto rilievo e sia sottolineata – nei modi più appropriati, presenti e futuri – l’importanza di ricordare un fatto così tragico che caratterizzò la vita della comunità alessandrina durante gli eventi bellici della seconda guerra mondiale. Quel bombardamento di domenica 30 aprile 1944, peraltro, non fu l’unico in Alessandria ad essere latore di morte e distruzione, sebbene fu quello che, per numero di vittime, fu il bombardamento più sanguinoso avvenuto in Città. Come viene ampiamente documentato anche nel testo “Vittime dimenticate” di R. Penna (ediz. dell’Orso, Alessandria 2016, pp. 79-98), quel giorno costituisce per Alessandria il “battesimo di sangue”, ossia «il primo massiccio bombardamento che si abbatte sulla città, di domenica, poco dopo mezzogiorno, trovando la popolazione sorpresa, impreparata e senza difese. Con intervalli e ondate successive l’attacco ha termine dopo le 14. I numerosi bombardieri americani scaricano tonnellate di bombe scortati da aerei caccia che, scendendo in picchiata, a quaranta metri di altezza mitragliano strade e piazze affollate di gente. L’ampiezza dell’attacco portato alla città non aveva, con tutta evidenza, solo il compito di distruggere la stazione e lo scalo ferroviario, ma di terrorizzare la popolazione civile. Al termine il colonnello Glantzberg rimase, comunque, contrariato nell’apprendere che solo il 17 per cento delle bombe aveva colpito gli obiettivi assegnati, nonostante il tempo fosse ottimo e totale l’assenza dei caccia nemici. Nella notte di lunedì 1° maggio la città, a poco più di 24 ore dal primo attacco, fu nuovamente bombardata dagli inglesi con ordigni incendiari sganciati su tutto l’abitato. In quello stesso giorno, chi si era salvato ed era nella condizione di poterlo fare, abbandonò Alessandria diventando uno “sfollato”. Le bombe (al quartiere “Cristo”) colpirono principalmente il territorio prospiciente la ferrovia e lo smistamento delle merci nella direzione di Casalbagliano, le zone della cascina Boida, la Boidina, la Parigina, via Vecchia dei Bagliani e sconvolsero l’intera area . Furono sinistrate parecchie case di abitazione e lesionata la sede della Soms in corso Acqui. Nelle Casermette, a sud del quartiere, si contarono diverse vittime tra i militari e numerose furono le bombe che caddero nel “fondone di Taverna”, la zona che divide l’attuale corso Carlo Marx da via Maria Bensi. Lo stabilimento Mino G.B. e figli, situato in via Buonarroti, nella parte mediana del rione, fu gravemente sinistrato e divenne completamente inattivo ». «La presenza della targa emblematicamente posta sulla facciata della Scuola Zanzi, la storica Scuola Primaria del quartiere Cristo, ricorda alla nostra Città l’importanza e la necessità morale di non dimenticare questo tragico bombardamento — dichiara il Sindaco Gianfranco Cuttica di Revigliasco —. Sotto questo aspetto, ciascuno di noi dovrebbe sentirsi impegnato, come singolo e in quanto componente della nostra comunità locale, verso due direzioni. Da un lato, quella della ricerca della verità storica complessiva di ciò che accadde per rafforzare, di anno in anno, il senso di una consapevolezza condivisa della “nostra” storia di popolo alessandrino. D’altro lato, quella del consolidamento di un legame particolare e specialissimo che può unire l’esperienza dei singoli concittadini che allora perirono all’esperienza di sentirci ancora oggi tutti insieme, dopo 77 anni, come un’unica famiglia cittadina: quella, appunto, della comunità alessandrina che sa fermarsi, ricordare, “fare memoria”, condividere e continuare l’impegno per vivere pacificamente, democraticamente e operosamente, consapevoli di una storia che ci appartiene e che, guardando all’imminente anniversario fondativo della nostra Città, perdura da 853 anni». Read the full article
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camminidiliberta · 4 years ago
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De Meneses Pedro, Theosis. La doctrina de la divinizaciòn en las tradiciones cristianas Il pensiero antico, ortodosso e medievale, dai Padri Greci al tardo medioevo
Il rapporto tra natura e grazia. L’immagine di Dio come fondamento e fine dell’essere umano.
L'antichità, i Padri Greci
Essere creati a immagine di Dio è la radice della divinizzazione, chiamata theosis nella scuola alessandrina (De Meneses, 2001, p 43). La natura umana aspira a divinizzarsi e proprio questa è la volontà divina: Clemente di Alessandria (150 ca.-215 ca.) spiega che Cristo è stato il primo a compiere tale passo e pertanto è il modello, il nostro maestro, verso la nuova e vera umanità. I credenti vengono dunque divinizzati attraverso l'imitazione di Cristo. Origene (185-254) cerca di conciliare la visione storico-salvifica della grazia con la libertà umana, intende mostrare l'armonia tra grazia e libertà. L'essenza divina si comunica all'umano come provvidenza e come pedagogia di Dio, tramite il dono dello Spirito Santo da Gesù all'umanità (ivi , p 50).
La comprensione ortodossa
Gregorio Palamas (1296-1359) si basa su Colossesi 1,15: “Egli è l'immagine del Dio invisibile, il primogenito di ogni creatura” (La Nuova Riveduta), per sostenere che la persona umana è creata a immagine divina, che è l'immagine di Cristo, il perfetto archetipo, che per Palamas l'essere umano è in grado di assimilare. Secondo il teologo medievale, l'assimilazione avviene sul piano della natura umana, sotto forma di un cambiamento ontologico che libera dai difetti prodotti dalla caduta e dal peccato (ivi, pp 60-1). Sulla teologia di Palamas si fonda l'assioma basico del pensiero antropologico ortodosso: l'auto-realizzazione dell'umanità non si da al di fuori della divinizzazione (ivi, p 85). Secondo la teologia ortodossa, l'immagine divina è un dono che chiama alla sinergia la parte umana; è un progetto seminale che si sviluppa attraverso una relazione tra credente e Dio.
La caduta di Adamo ed Eva è una debilitazione ontologica, che ha lasciato muta la capacità originale di raggiungere la somiglianza con Dio. La perfetta immagine di Cristo è allora il modello e il fine dell'essere umano, e la salvezza consiste proprio in questa comunione tra natura umana e divina; salvezza che pertanto consiste nella santificazione e divinizzazione dell'essere umano (ivi, pp 91-3).
L'antichità latina
Diversa è la storia della dottrina della salvezza, e dell'azione della grazia, nella teologia occidentale, per cui il concetto di theosis elaborato dai Padri è stato interpretato in una dimensione morale. Fu la polemica con Pelagio a condurre Agostino a precisare e distinguere tra grazia e natura: l'antropologia agostiniana rappresenta un'immagine di Dio nell'umano che è stata sfigurata dal peccato (ivi, p 116), per grazia divina il credente si orienta verso la vita santa, piuttosto che mondana. Questa interpretazione della divinizzazione non implica un cambiamento ontologico, di natura, ma solo di tipo etico. Le posizioni agostiniane formano la base dello sviluppo moderno della dottrina della giustificazione, lasciando in secondo piano quella della divinizzazione.
L'alto medioevo
Al contrario, all'interno del pensiero monastico (ivi, pp 151-5), la divinizzazione diventa soggetta alla libertà, ossia si configura come compito: la libertà umana ha il privilegio di cercare Dio. Secondo il pensiero monastico, nei confronti della divinizzazione, entra in gioco da un lato la condizione iniziale umana a immagine di Dio, dall'altro lo sviluppo storico e mondano della persona, lo spazio di libertà umana viene visto in questo agire. Si profila quindi una scelta sul cammino di vita da seguire.
Nella scuola di Chartres si approfondisce la dottrina dell'unione di volontà umana e divina, così che le azioni di carità sono di fatto sia atti umani sia divini. In pratica, si ritiene che il dono dello spirito da parte di Cristo conferisca all'uomo la capacità di amore caritatevole (ivi, pp 162-4).
Il tardo medioevo, la scolastica
Recependo in maniera critica il materiale raccolto da Pietro Lombardo (1100 ca.-1160 ca.), la prima scolastica sostiene (ivi, pp 176-7) che le persone giochino un ruolo nella divinizzazione, che la la libertà sia infatti aperta alla divinizzazione, che le azioni umane siano volontarie in quanto non dettate dall'esterno, ma sorgenti dall'intrinseca natura umana. La grazia e la virtù, essendo anteriori al movimento del libero arbitrio, sono intese come forme o qualità, infuse da Dio, grazie alle quali l'essere umano è dotato della volontà di agire in maniera meritoria.
In una successiva fase della scolastica, Tommaso d'Aquino (1225-1274) ritiene che senza una preventiva elevazione ontologica l'essere umano non sia nella condizione di avvicinarsi a Dio e di amare. La divinizzazione è pertanto implicita nell'essere dell'umano, è la radice ontologica della perfezione, essa è una nuova situazione ontologica che consente il vero amore e la conoscenza di Dio. La creazione del credente attraverso la grazia è allora modificazione del suo essere, del nucleo della persona (ivi, pp 188-190).
Il tardo medioevo, la mistica
Nella mistica medievale (ivi, pp 205-6) l'essere umano è costitutivamente in relazione con il divino, non solo sotto l'aspetto morale, ma in maniera ontologica. L'esempio di Cristo è il fulcro di questa relazione. Per Meister Eckhart (1260-1328), la divinizzazione non ha a che fare con le capacità morali, ma con la struttura ontologica umana. Il mandato di rivestirsi di Cristo, in Romani 13,14: “rivestitevi del Signore Gesú Cristo e non abbiate cura della carne per soddisfarne i desideri” (La Nuova Riveduta), non è quindi da intendersi solo in senso morale ma come vera trasformazione ontologica del credente: essere cristiano per grazia divina significa un'esistenza nuova grazie alla partecipazione all'essere di Cristo.
In sintesi: L'essere umano, messo di fronte all'assoluto, comprende se stesso. Fondamento di un pensiero antropologico che si sviluppa attraverso la relazione con Dio.
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