#storia americana
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ROANOKE-LA COLONIA PERDUTA
Immagine creata con IA La storia di Roanoke, conosciuta come la “Colonia Perduta”, è un mistero storico e culturale che ha affascinato studiosi, archeologi e scrittori per secoli. La colonia fu fondata nel 1587 su Roanoke Island, nella Carolina del Nord, ma quando una spedizione di rifornimenti tornò nel 1590, i coloni erano scomparsi senza lasciare traccia, se non la parola “CROATOAN” incisa su…
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Boydton, Virginia: Un Viaggio nella Storia e nel Cuore del Sud, 431 abitanti e 380 affezionati lettori di Alessandria today
Alla scoperta di una cittadina affascinante e ricca di tradizioni nel cuore della Virginia meridionale.
Alla scoperta di una cittadina affascinante e ricca di tradizioni nel cuore della Virginia meridionale. Boydton, una pittoresca cittadina situata nella contea di Mecklenburg, in Virginia, è un luogo intriso di storia, tradizioni e bellezze naturali. Conosciuta per il suo fascino tranquillo e l’accoglienza calorosa della sua comunità, Boydton offre ai visitatori un’esperienza autentica del Sud…
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" In fondo, il nostro problema intellettuale è che noi amiamo l’America. Gli Stati Uniti sono stati uno di quei paesi che hanno sconfitto il nazismo, ci hanno mostrato la strada da seguire per la prosperità e la distensione. Se vogliamo accettare pienamente l’idea che oggi stiano tracciando la strada che porta alla povertà e all’atomizzazione sociale, è indispensabile ricorrere al concetto di nichilismo. Quanto alle ragioni tecniche, un’altra cosa che mi spinge a utilizzare questo concetto è la constatazione che i valori e il comportamento della società americana sono oggi profondamente negativi. Come per il nichilismo tedesco […], questa negatività è il prodotto di una decomposizione del protestantesimo, solo che non si verifica allo stesso stadio.
Il nazismo apparve nella sua prima fase dopo che, tra il 1880 e il 1930, il protestantesimo ebbe cessato di essere una religione attiva. Il nazismo corrisponde a un’esplosione di disperazione durante la sua fase zombi, a un’epoca in cui i valori protestanti, positivi e negativi, continuavano a persistere nonostante il venir meno della pratica religiosa. La fase zombi del protestantesimo americano è stata complessivamente positiva. In linea di massima va dalla presidenza di Roosevelt a quella di Eisenhower, e ha visto la nascita dello Stato sociale, delle università che assicurano un insegnamento esteso a tutti e di qualità e il diffondersi di una cultura ottimistica che ha conquistato il mondo. Questa America aveva recuperato i valori positivi del protestantesimo (alto livello di istruzione, egalitarismo tra i bianchi) e stava cercando di liberarsi dei suoi valori negativi (razzismo, puritanesimo). La crisi attuale corrisponde, viceversa, all’approdo allo stadio zero del protestantesimo. Ciò ci consente di comprendere al contempo sia il fenomeno Trump che la politica estera di Biden, tanto il deterioramento interno quanto la megalomania esterna, come pure le violenze che il sistema americano esercita sui propri cittadini e su quelli degli altri paesi. La dinamica tedesca degli anni Trenta e la dinamica americana attuale hanno in comune il fatto di essere animate dal vuoto. In entrambi i casi, la vita politica funziona senza valori, non essendo che un movimento tendente alla violenza. Rauschning definiva il nazismo non diversamente da ciò. Prima di abbandonarlo, fu membro del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP): questo conservatore, per così dire “normale”, non poteva tollerare la violenza gratuita. Nell’America di oggi vedo un pericoloso vuoto di pensiero e di idee, condito dall’ossessione per il denaro e il potere, i quali non possono essere in sé dei fini, dei valori. Questo vuoto conduce all’autodistruzione, al militarismo, a una negatività endemica: in sostanza, al nichilismo. "
Emmanuel Todd, La sconfitta dell'Occidente, traduzione di Alessandro Ciappa e Michele Zurlo, Fazi Editore, 2024.
[Edizione originale: La Défaite de l'Occident, Paris, Gallimard, janvier 2024]
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Mary Cassatt "The Child’s Bath"
L’Impressionismo Americano: Mary Cassatt a Chicago Cattura l’Essenza della Maternità con un Tocco di Ineffabile Dolcezza e Profonda Sensibilità. ‘Intimità Familiare nell’Arte di Mary Cassatt Mary Cassatt, una delle più celebri pittrici impressioniste, ha saputo immortalare momenti di vita quotidiana con una sensibilità unica. Infatti, il dipinto “The Child’s Bath”, custodito presso l’Art…
#Arte americana#Impressionismo#Mary Cassatt#american art#impressionism#impressionist art#impressionist style#impressionist painting#art#art history#storia dell'arte#chicago#art institute of chicago#oil on canvas#oil painting#painter#painting
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Country: Come Creare la Tua Musica
Creare musica country è più semplice di quanto pensi. Harlan Howard, una leggenda della musica country, diceva che scrivere una canzone country richiede “tre accordi e la verità”. Se sei nuovo nel genere, può sembrare difficile tradurre questi principi in parole. Questa guida ti guiderà a scrivere la tua prima canzone country, sia che tu sia un musicista esperto o principiante. Punti Chiave da…
#Cantautori country#Creazione musica country#Folk music americana#Influencer della musica country#Produzione musicale country#Storia della musica country#Strumenti musicali country#Tendenze musicali country#Testi di canzoni country
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Hopper. Una storia d’amore americana
Arriverà nelle sale solo il 9 e 10 aprile il nuovo appuntamento di La Grande Arte al Cinema dedicato questa volta a Hopper, il film evento su uno dei simboli dell’arte statunitense Quella di Hopper è un’America popolare, silenziosa e misteriosa, capace di influenzare pittori neorealisti americani come Rothko e Banksy, cineasti come Alfred Hitchcock e David Lynch, ma anche fotografi e musicisti.…

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Donald Trump è il primo ex presidente della storia americana ad essere incriminato
Il tycoon è colpevole di aver pagato in nero la pornostar Stormy Daniels, che aveva minacciato nel 2016 di rivelare di aver fatto sesso con lui
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Storia Di Musica #363 - Deftones, Diamond Eyes, 2010
Il barbagianni in copertina, nella sua bellezza candida, ha una sua storia da raccontare: il suo nome scientifico è Tyto Alba (da τυτώ, la parola greca che traduce gufo, e dal latino alba perchè è bianco), il nome comune barbagianni, che usiamo solo noi in Italia, potrebbe derivare dal fatto che le piccole piume ricce attorno agli occhi possono sembrare una barba, oppure in maniera molto più fantasiosa, da barba, che in molte regioni soprattutto settentrionali vale "zio", e Gianni, ipocoristico di Giovanni, quindi "zio Giovanni", un nome parentale dovuto alla credenza che questo uccello abbia una funzione tutelare (è una versione che non mi convince, perchè anche al Sud si chiama solo barbagianni, la approfondirò).
La storia invece della band di oggi inizia quasi per caso nella seconda metà degli anni '80 con un incidente stradale: Stephen Carperter, mentre faceva skateboard, è investito da un'auto. Per questo, è costretto per un po' su una sedia a rotelle, e per passare il tempo un suo amico gli regala una chitarra, con cui inizia a imparare le canzoni dei suoi gruppi heavy metal preferiti. Due suoi amici, Chino Moreno, che ama cantare, e Abe Cunningham, che suona la batteria, vengono a scoprire che Stephen sta imparando a suonare la chitarra, così mettono su un gruppo, l'autista che aveva investito Carpenter fu costretto a rimborsarlo a causa dei danni fisici riportati e questo permise al gruppo di acquistare l'equipaggiamento necessario per cominciare ad esibirsi. A loro un amico di Moreno, Dominic Garcia, si unisce come bassista. Manca solo un nome: Carpenter unisce un termine dello slang dello skateboard e dell'Hip Hop, Def (che vuol dire, bello, figo) con il suffisso Tones, che lui leggeva stupito sulle copertine dei gruppi doo-woop che ascoltavano i genitori. Nascono così i Deftones, tra le realtà più importanti della musica alternativa americana degli ultimi 30 anni.
Dopo le prime registrazioni, dove si lanciano in un furioso heavy metal, piano piano vengono fuori altre influenze, dovute agli stili musicali prediletti dai nostri: Carperter ai gruppi heavy metal come Metallica o Pantera affiancava l'amore per l'Hip Hop degli esordi, Moreno era cresciuto con i gruppi post new wave internazionali (ama i The Cure ma pure i Duran Duran). Dopo un po' Cunningham abbandona, per fondare i Phallacy, e viene sostituito da Chi Cheng, bassista, spostando Garcia alla batteria. Cheng, musicista più formato degli altri all'inizio, porta con sé il suo amore per il blues, il jazz e il reggae di Bob Marley. Garcia se ne va, dopo alcuni batteristi provati ritorna Cunningham e con questa formazione nel 1993 vengono scritturati dalla Maverick, la casa discografica di Madonna, che produce i loro dischi fino al 2006. L'inizio è sorprendente: Adrenaline del 1995 è uno dei primi album nu metal, per le influenze di genere diversi su base metal, e grazie ad un tour di concerti dovunque e all'esibizione di un brano suonato dalla band nel film Il Corvo 2 inizia a passi spediti a farli diventare conosciuti, obiettivo che raggiungono con Around The Fur (1997, la cui iconica copertina è una delle foto musicali più apprezzate di Tumblr), e soprattutto White Pony del 2000, meno estremo e più melodico, il brano Elite vince il Grammy del 2001 per la migliore canzone metal. Sono ormai famosi, e le collaborazioni con Maynard Keenan dei Tool o Serj Tankian dei System Of A Down (in Meline, da Saturday Night Wrist del 2006) testimoniano l'affetto non solo nelle vendite dei fan, ma una grande considerazione tra i musicisti, affascinati dalle contaminazioni delle loro canzoni, potenti quanto ricche di lirismo.
Ma accade una cosa: mentre erano alle prese con le prime registrazioni per il nuovo disco, dal titolo provvisorio di Eros, Chi Cheng ha un terribile incidente stradale. Trasportato in coma in ospedale, nel novembre del 2008, in un primo momento le sue condizioni sembravano migliorare, tanto che la band continua a lavorare su quel materiale con Sergio Vega, ex-membro dei Quicksand, che già nel 1999 lo aveva sostituito per un breve periodo durante un tour con i Deftones. Ma le cose non migliorano, e nel 2009 la band abbandona il progetto Eros. Nel frattempo, per aiutare a raccogliere fondi, si esibirono per due sere consecutive il 20 e 21 Novembre del 2009 con alcuni dei più grandi nomi americani del metal.
Nel Maggio 2010, quasi a sorpresa, la band pubblica Diamond Eyes. Un disco prodotto con Nick Raskulinecz, già in consolle con Foo Fighters, Velvet Revolver, Alice in Chains. È un disco che viene costruito in maniera molto più semplice e immediata, abbandonando i metodi degli ultimi lavori per ritornare alla tecnica dei primi: scrivere insieme, provare tantissimo e cercare la sintonia perfetta nei pezzi. Nonostante l'umore, il disco è pieno di ottimismo, si lascia da parte ogni dolore privato e parla con considerazione di emozioni. Svetta e Royal con riff grezzi che graffiano e raschiano i versi, quindi liberano la voce di Chino Moreno in ritornelli luccicanti e minacciosi. Moreno e il chitarrista Stephen Carpenter si spingono avanti e indietro su CMND/CTRL come se cercassero di sbattersi a vicenda fuori tempo, caricando la tensione e la sfumatura che mancano a così tanti contemporanei hard-rock dei Deftones. You've Seen The Butcher dal video musicale splatter, è anche un omaggio alla band amica dei Jawbox . Come sempre amano spaziare e contaminare, come dimostrano le sfumature trip-hop di Beauty School, ma sanno scrivere granitiche canzoni come Prince. Il primo singolo fu Rocket Skates, che fu una delle prime canzoni distribuite gratuitamente sul sito di una band, cosa che fece andare in tilt il sito internet dei Deftones. Due canzoni rimangono nell'immaginario: la potentissima Diamond Eyes, che apre il disco con la rabbia, ma soprattutto Sextape, meravigliosa ballata che ha un titolo fuorviante rispetto al suo incedere e ai suoi testi, collegati con delicatezza al suono e al movimento delle onde del mare, un grandissimo brano.
Accolto con entusiasmo da critica e fan, rimane uno dei loro dischi migliori e uno dei capisaldi del metal moderno. La band continuerà in questo stato di grazia con Koi no yokan, del 2012, dal titolo in giapponese che descrive più o meno la sensazione di due persone che si stanno innamorando. Pochi mesi dopo la pubblicazione, Chi Cheng muore, dopo un'agonia di 5 anni. Due incidenti stradale legano l'inizio e l'evoluzione di una grande band.
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LA FOTO
Ho visto il video dell'attentato, ma questa foto mi colpisce con maggiore violenza per la sua terribile intensità, come un pugno nello stomaco.
È un'immagine che ha l'impatto devastante di un'esplosione stellare.
Il fotografo ha colto il fugace istante in cui Trump svetta col pugno chiuso rivolto al cielo (per inciso, questi fasci vogliono fregarci pure il pugno chiuso?). E proprio in quel momento nel cielo sventola la bandiera americana. Perché il ritratto dell'eroe, per essere emblematico, deve racchiudere tutti i simboli.
L'autore di questa foto già consegnata alla storia è certamente dotato di un talento che ha qualcosa di soprannaturale. Io fatico a farmi un mediocre selfie, anche se sto fermo e non mi corre dietro nessuno, mentre ci sono persone capaci di essere al posto giusto nel momento giusto per inseguire un fotogramma di storia che dura un millesimo di secondo, come se fossero in grado di prevederlo in anticipo. Neppure l'Ultra Istinto di Goku può competere con questa dote.
Provate a guardare il video: dopo l'attentato Trump mostra a più riprese il pugno alla folla, ma è quasi sempre coperto dagli uomini della sicurezza. Il fotografo ha colto l'attimo in cui Trump si è stagliato sul mondo con posa da conquistatore, e la scorta è stata declassata al ruolo del debole argine che non può trattenere il suo impeto guerriero.
Trump ha vinto. Quella foto, con la sua spaventosa potenza evocativa, ci fa intravedere un ciclo di estrema destra delirante e paranoica al vertice dell'Occidente.
So bene che Biden è pur sempre capitalismo e imperialismo. Non mi dovete spiegare nulla. Ma Trump fa davvero paura, perché sembra pronto a fare cose che non possiamo nemmeno immaginare. Ci aspetta una dura lotta.
[L'Ideota]

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Passata alla storia come “regina del soul”
"Canto per i realisti, le persone che si accettano come sono."
– Aretha Franklin (born March 25, 1942 Memphis ( Stati Uniti) )
ARETHA FRANKLIN 🖤
Soprannominata The Queen Of Soul ( la Regina del soul) o Lady Soul..Forza spirituale e vocale, punto di riferimento della cultura popolare americana, portavoce dei temi più incandescenti degli anni 60 e 70 . Un prodigio del gospel, una delle icone della musica soul e R&B...una battagliera sostenitrice dei diritti civili, considerata la più grande cantante degli ultimi cinquant'anni a livello mondiale, ruolo riconosciuto anche da innumerevoli premi...Senza saper leggere la musica, imparo' da sola a suonare il pianoforte e a 12 anni inizio 'a registrare canzoni cantando nei tour gospel con suo padre...fino a firmare , nel 1956 , il suo primo contratto discografico.. Da allora, la sua vasta produzione di musica soul, gospel e R&B ma anche blues, jazz e Rock & Roll, si è aggiudicata ben ventuno premi Grammy (otto dei quali vinti consecutivamente nella stessa categoria dal 1968 al 1975.
È riconosciuta come una delle più influenti interpreti della storia della musica: numerosi artisti, tra cui Anastacia, Alicia Keys, Beyoncé, Mary J. Blige, Fantasia, Joss Stone, Jennifer Hudson, Usher, Giuni Russo, Giorgia, Chadia Rodriguez ed Elisa hanno citato Aretha nelle loro principali ispirazioni e hanno eseguito cover dei suoi brani più famosi.
Atlantide

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Tommaso Merlo
Dopo anni di guerra al terrorismo islamico, in Siria sta nascendo il più grande califfato della storia. Un sogno diventato realtà per i jihadisti islamici e concretizzato grazie ai loro peggiori nemici, gli occidentali. Davvero incredibile. Prima insanguiniamo il mondo in nome della democrazia e dei diritti umani, poi aiutiamo dei fanatici tagliatori di teste a consolidarsi nel mondo. Prima sprechiamo miliardi di risorse pubbliche per annientare qualche efferato nemico dell’umanità, poi gli regaliamo la vittoria su un piatto d’argento. Come in Afghanistan.
Vent’anni di occupazione militare per poi lasciare Kabul ai Talebani e fuggire a gambe levate. Con nessuno che ne risponde. E non solo. Subiamo pure gli effetti collaterali di quei disastri, con milioni di profughi da sistemare. Ma se dopo decenni di fallimenti bellici, il mondo fosse più sicuro e stabile, ci sarebbe poco da obiettare. Ed invece le guerre aumentano di numero ed intensità. Ormai siamo al caos col rischio di un conflitto mondiale dietro l’angolo. E nessuno fa nulla se non buttare benzina sul fuoco. Politicanti, burocrati, affaristi, giornalisti. Una mega inarrestabile lobby della guerra. Con la politica che dà l’ordine di attaccare, gli apparati che eseguono, le lobby che ingrassano e i media che strombazzano all’arrembaggio permanente.
Fu Bush a volere la testa di Saddam per fake news create ad arte, mentre fu Obama a volere quella di Gheddafi e quella di Assad. A volte si combatte sotto il sole, a volte serve invece il lavoro sporco come in Siria. Appoggiando gruppi ribelli con addestramento, fondi, armi e contemporaneamente affamando la popolazione con sanzioni economiche come successo in Siria. Uno schema che si ripete da decenni ma per capire davvero quello che succede in Medioriente, bisogna guardare tutto dalla prospettiva palestinese. Libano, Iraq, Siria, Libia ed Iran che è il prossimo sulla lista nera, hanno tutti qualcosa in comune, sono nemici storici di Israele. Per completare con successo il loro progetto coloniale, i sionisti avevano due strade.
O trattare coi palestinesi e concedergli perlomeno un loro stato, oppure sconfiggere tutti i paesi pro Palestina in modo da essere liberi di imporre con la forza la propria volontà agli indomiti palestinesi. Ed ovviamente hanno scelto la seconda via. Il problema di quella strategia è che Israele è un piccolo paese e gli serviva il supporto militare ed economico degli Stati Uniti, per ottenerlo hanno cavalcato il sistema lobbistico-capitalista comprando l’appoggio di entrambi gli schieramenti della politica americana. Nessun complottismo, fatti risaputi. La Siria di Assad era nel mirino di Israele da anni e senza l’aiuto russo sarebbe già caduta nel corso della guerra civile. Fin qui dunque, triste routine. La novità di questi giorni è che con la cooperazione della Turchia, Damasco è finita nelle mani addirittura di una banda di terroristi islamici conclamati. Secondo alcuni osservatori si tratterebbe di una situazione sfuggita di mano, nel senso che nessuno si aspettava una tale repentina dissoluzione del regime siriano. A confermarlo sarebbe anche la reazione nervosa di Israele che ha subito occupato territori siriani e sta bombardando ovunque. In parte perché Netanyahu ha un nuovo vicino e vuole fare subito amicizia, in parte perché non sa fare altro ma in parte anche perché ha paura che le armi dell’esercito siriano finiscano in mano a dei jihadisti che fino a ieri tagliavano teste di infedeli e glorificavano l’11 settembre. Si tratta poi pur sempre di musulmani e pure bigotti e Gerusalemme è sacra anche per loro. Se a qualcuno di quei barbuti venisse in mente di riconquistare la città, sarebbe davvero una brutta notizia per Israele.
Sconfitto un nemico, se ne troverebbe uno ancora peggiore. Un mega califfato crocevia di terroristi islamici provenienti da tutto il mondo. Roba da brividi. Ma del resto è così, la guerra non risolve nulla e peggiora solo i problemi esistenti. Ce lo ha insegnato la storia infinite volte. Eppure le guerre aumentano di numero ed intensità. Ormai siamo al caos col rischio di un conflitto mondiale dietro l’angolo. E nessuno fa nulla se non buttare benzina sul fuoco. Politicanti, burocrati, affaristi, giornalisti. Siamo come in balia di una inarrestabile lobby della guerra e sarebbe ora che nascesse una lobby per la pace che non è utopia ma l’unica realistica via per evitare l’autodistruzione.
La mega lobby della guerra
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Lorenzo Tosa
Ieri sera, alla presentazione del nuovo libro di Bruno Vespa, è andata in scena la demolizione controllata del peggior vicepresidente del Consiglio della storia repubblicana.
Matteo Salvini si lancia in un elogio sperticato a Trump, alle sue nomine “di livello”.
A quel punto Calenda, che ogni tanto si ricorda di essere all’opposizione, fa quello che avrebbe dovuto fare Vespa (figuriamoci), ovvero fare una domanda.
“Ma esattamente cos’è che ti appassiona della nuova classe dirigente di Trump? Quello con la croce tatuata sul cuore? Quella che ha ammazzato il cane a 12 anni? Il no va*?”
Salvini allora bofonchia l’unico nome, a parte Musk, che gli viene in mente: “Vivek, quello che è stato nominato per il Dipartimento per la sburocratizzazione: un ragazzo in gambissima.”
Poi ammette candidamente: “Gli altri non li conosco…”
“Ma come non li conosci? Sono su tutti i giornali”.
“Ho il brutto vizio, per garantire il mio fegato, di non leggere i giornali”.
Calenda a quel punto se lo mangia: “Il vicepresidente del Consiglio non sa chi è stato nominato da Trump però dà un giudizio meraviglioso di quello che farà Trump”.
Alle corde, Salvini butta lì il nome di Musk, servendo a Calenda un assist su un piatto d’argento.
“Musk? Quello che manderesti in galera per il reato universale di GPA? Quello che si fa le canne?”
Poi la grande chiusura.
“Non puoi dire che l’amministrazione americana è di livello e poi che non hai nemmeno letto i nomi sui giornali: ma che cacchio vuol dire? E poi, seconda cosa: sei il vicepresidente del Consiglio, leggi i giornali, che ti fa bene”.
È finita così, con Salvini che tace e rifà il borsone dopo un 6-0 6-0 agile e in scioltezza.
Non ricordo, a memoria mia, una tale figura fantozziana come quella fatta da Salvini ieri sera con Calenda. Una tale vergogna. Un tale imbarazzo.
Le imprese impossibili che riescono al girasagre: farmi applaudire Calenda!
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Clifton: la perla nascosta del North Carolina tra charme d’altri tempi e bellezza naturale
Un piccolo gioiello nel cuore della Carolina del Nord, Clifton incanta con la sua autenticità, la quiete dei suoi paesaggi e la ricchezza della sua storia locale. Nonostante le sue dimensioni contenute, questo affascinante centro urbano racchiude l’anima della provincia americana più genuina, offrendo al visitatore un’esperienza immersiva tra tradizioni, comunità accoglienti e scenari naturali da…
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" Qualcuno uscí da una tavola calda e cercò di porgergli una bottiglia d’acqua. Era una donna che indossava una mascherina antipolvere e un cappellino con la visiera, e ritrasse la bottiglia e svitò il tappo e quindi gliela tese di nuovo. Lui posò la valigetta per prenderla, a malapena conscio che non stava usando il braccio sinistro, che aveva dovuto posare la valigetta prima di poter prendere la bottiglia. Tre furgoni della polizia svoltarono e si precipitarono verso downtown, a sirene spiegate. Chiuse gli occhi e bevve, e sentí l’acqua scorrergli nel corpo trascinando giú con sé polvere e fuliggine. La donna lo stava fissando. Gli disse qualcosa che lui non sentí, quindi le restituí la bottiglia e raccolse la valigetta. Il lungo sorso d’acqua gli lasciò un retrogusto di sangue. Riprese a camminare. Un carrello del supermercato giaceva immobile e vuoto. Dietro c’era una donna, girata verso di lui, con del nastro della polizia avvolto intorno alla testa e al viso, di quel nastro giallo con la scritta caution che delimita la scena di un delitto. I suoi occhi erano piccole increspature bianche nella mascherina sgargiante, e lei stringeva la maniglia del carrello e se ne stava lí, a guardare dentro il fumo.
Fece in tempo a udire il suono del secondo crollo. Attraversò Canal Street e cominciò a vedere le cose, per qualche motivo, in modo diverso. Non parevano pregnanti come al solito, le strade lastricate, i fabbricati in ghisa. C’era una qualche mancanza cruciale nelle cose intorno a lui. Erano incompiute, per cosí dire. Erano inosservate, per cosí dire. Forse era quello l’aspetto che avevano le cose quando non c’era nessuno che le vedesse. Udí il suono del secondo crollo, o lo avvertí nel tremore dell'aria, la torre nord che cadeva, uno sconcerto sommesso di voci in lontananza. La torre nord che crollava era lui. Il cielo era piú leggero, lí, e riusciva a respirare piú facilmente. C’erano altri dietro di lui, migliaia, che andavano riempiendo la media distanza, una massa prossima a formarsi, gente che fuoriusciva dal fumo. Proseguí finché non dovette fermarsi. Lo investí rapida, la consapevolezza di non poter andare oltre. Provò a dirsi che era vivo, ma era un’idea troppo oscura per riuscire a prendere corpo. Non c’erano taxi e il traffico in genere scarseggiava e allora apparve un vecchio furgoncino, una ditta elettrica di Long Island City, e gli si accostò e il conducente si sporse verso il finestrino dal lato del passeggero a esaminare ciò che stava vedendo, un uomo incrostato di cenere, di materia polverizzata, e gli chiese dove voleva andare. Fu solo una volta salito a bordo e chiusa la portiera che capí dov’era diretto fin dall'inizio. "
Don Delillo, L'uomo che cade, traduzione di Matteo Colombo, Einaudi, 2008. [Libro elettronico]
[Edizione originale: Falling Man, Charles Scribner's Sonspublisher, New York City, 2007]
#Don Delillo#L'uomo che cade#11 Settembre 2001#Stati Uniti d'America#USA#New York City#NYC#Torri Gemelle#terrorismo#letteratura americana contemporanea#XXI secolo#storia contemporanea#imperialismo americano#romanzo#narrativa#letture#leggere#libri#World Trade Center#fondamentalismo islamico#Progetto per un nuovo secolo americano#Project for the New American Century#PNAC#Dick Cheney#Donald Rumsfeld#neocons#Paul Wolfowitz#Donald Kagan#Leo Strauss#neoconservatorismo
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La controrivoluzione delle élite di cui non ci siamo accorti: intervista a Marco D’Eramo - L'indipendente on line
Fisico, poi studente di sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi, giornalista di Paese Sera, Mondoperaio e poi per lungo tempo de il manifesto. Marco D’Eramo ha di recente pubblicato il saggio Dominio, la guerra invisibile contro i sudditi (ed. Feltrinelli, 2020), un libro prezioso che, con uno stile agevole per tutti e dovizia di fonti, spiega come l’Occidente nell’ultimo mezzo secolo sia stato investito di una sorta di rivoluzione al contrario, della quale quasi nessuno si è accorto: quella lanciata dai dominanti contro i dominati. Una guerra che, almeno al momento, le élite stanno stravincendo e che si è mossa innanzitutto sul piano della battaglia delle idee per (ri)conquistare l’egemonia culturale e quindi le categorie del discorso collettivo. Una chiacchierata preziosa, che permette di svelare il neoliberismo per quello che è, ovvero un’ideologia che, in quanto tale, si muove attorno a parole e concetti chiave arbitrari ma che ormai abbiamo assimilato al punto di darli per scontati, ma che – una volta conosciuti – possono essere messi in discussione.
Ci parli di questa rivoluzione dei potenti contro il popolo, cosa è successo?
Nella storia i potenti hanno sempre fatto guerra ai sudditi, se no non sarebbero rimasti potenti, questo è normale. Il fatto è che raramente i sudditi hanno messo paura ai potenti: è successo nel 490 a.C., quando la plebe di Roma si ritirò sull’Aventino e ottenne i tribuni della plebe. Poi, per oltre duemila anni, ogni volta che i sudditi hanno cercato di ottenere qualcosa di meglio sono stati brutalmente sconfitti. Solo verso il 1650 inizia l’era delle rivoluzioni, che dura circa tre secoli, dalla decapitazione di re Carlo I d’Inghilterra fino alla rivoluzione iraniana, passando per quella francese e quelle socialiste. Da cinquant’anni non si verificano nuove rivoluzioni.
E poi cosa è successo?
Con la seconda guerra mondiale le élite hanno fatto una sorta di patto con i popoli: voi andate in guerra, noi vi garantiamo in cambio maggiori diritti sul lavoro, pensione, cure, eccetera. Dopo la guerra il potere dei subalterni è continuato a crescere, anche in Italia si sono ottenute conquiste grandiose come lo statuto dei Lavoratori, il Servizio Sanitario Nazionale ed altro. A un certo punto, le idee dei subordinati erano divenute talmente forti da contagiare le fasce vicine ai potenti: nascono organizzazioni come Medicina Democratica tra i medici, Magistratura Democratica tra i magistrati, addirittura Farnesina Democratica tra gli ambasciatori. In Italia come in tutto l’Occidente le élite hanno cominciato ad avere paura e sono passate alla controffensiva.
In che modo?
Hanno lanciato una sorta di controguerriglia ideologica. Hanno studiato Gramsci anche loro e hanno agito per riprendere l’egemonia sul piano delle idee. Partendo dai luoghi dove le idee si generano, ovvero le università. A partire dal Midwest americano, una serie di imprenditori ha cominciato a utilizzare fondazioni per finanziare pensatori, università, convegni, pubblicazioni di libri. Un rapporto del 1971 della Camera di Commercio americana lo scrive chiaramente: “bisogna riprendere il controllo e la cosa fondamentale è innanzitutto il controllo sulle università”. Da imprenditori, hanno trattato le idee come una merce da produrre e vendere: c’è la materia prima, il prodotto confezionato e la distribuzione. Il primo passo è riprendere il controllo delle università dove la materia prima, ovvero le idee, si producono; per il confezionamento si fondano invece i think tank, ovvero i centri studi dove le idee vengono digerite e confezionate in termini comprensibili e affascinanti per i consumatori finali, ai quali saranno distribuiti attraverso giornali, televisioni, scuole secondarie e così via. La guerra si è combattuta sui tre campi della diffusione delle idee, e l’hanno stravinta.
Quali sono le idee delle élite che sono divenute dominanti grazie a questa guerra per l’egemonia?
La guerra dall’alto è stata vinta a tal punto che non usiamo più le nostre parole. Ad esempio, la parola “classe” è diventata una parolaccia indicibile. Eppure Warren Buffet, uno degli uomini più ricchi del mondo, lo ha detto chiaramente: «certo che c’è stata la guerra di classe, e l’abbiamo vinta noi». O come la parola “ideologia”, anche quella una parolaccia indicibile. E allo stesso tempo tutte le parole chiave del sistema di valori neoliberista hanno conquistato il nostro mondo. Ma, innanzitutto, le élite sono riuscite a generare una sorta di rivoluzione antropologica, un nuovo tipo di uomo: l’homo economicous. Spesso si definisce il neoliberismo semplicemente come una versione estrema del capitalismo, ma non è così: tra la teoria liberale classica e quella neoliberista ci sono due concezioni dell’uomo radicalmente differenti. Se nel liberalismo classico l’uomo mitico è il commerciante e l’ideale di commercio è il baratto che si genera tra due individui liberi che si scambiano beni, nel neoliberismo l’uomo ideale diventa l’imprenditore e il mito fondatore è quello della competizione, dove per definizione uno vince e l’altro soccombe.
Quindi rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto siamo diventati un’altra specie umana senza accorgercene?
L’idea che ogni individuo è un imprenditore genera una serie di conseguenze enormi. La precondizioni per poter avviare un’impresa è avere qualcosa da investire, e se non ho capitali cosa investo? A questa domanda un neoliberista risponde: «il tuo capitale umano». Questa è una cosa interessantissima perché cambia tutte le nozioni precedenti. Intanto non vale l’idea del rapporto di lavoro come lo conoscevamo: non esiste più un imprenditore e un operaio, ma due capitalisti, dei quali uno investe denaro e l’altro capitale umano. Non c’è nulla da rivendicare collettivamente: lo sfruttamento scompare, dal momento che è un rapporto tra capitalisti. Portando il ragionamento alle estreme conseguenze, nella logica dominante, un migrante che affoga cercando di arrivare a Lampedusa diventa un imprenditore di sé stesso fallito, perché ha sbagliato investimento. Se ci si riflette bene, la forma sociale che meglio rispecchia questa idea del capitale umano non è il liberalismo ma lo schiavismo, perché è lì che l’uomo è letteralmente un capitale che si può comprare e vendere. Quindi non credo sia errato dire che, in verità, il mito originario (e mai confessato) del neoliberismo non è il baratto ma lo schiavismo. Il grande successo che hanno avuto i neoliberisti è di farci interiorizzare quest’immagine di noi stessi. È una rivoluzione culturale che ha conquistato anche il modo dei servizi pubblici. Per esempio le unità sanitarie locali sono diventate le aziende sanitarie locali. Nelle scuole e nelle università il successo e l’insuccesso si misurano in crediti ottenuti o mancanti, come fossero istituti bancari. E per andarci, all’università, è sempre più diffusa la necessità di chiedere prestiti alle banche. Poi, una volta che hai preso il prestito, dovrai comportarti come un’impresa che ha investito, che deve ammortizzare l’investimento e avere profitti tali da non diventare insolvente. Il sistema ci ha messo nella situazione di comportarci e di vivere come imprenditori.
Ritiene che l’ideologia neoliberista abbia definitivamente vinto la propria guerra o c’è una soluzione?
Le guerre delle idee non finiscono mai, sembra che finiscano, ma non è così. Se ci pensiamo, l’ideologia liberista è molto strana, nel senso che tutte le grandi ideologie della storia offrivano al mondo una speranza di futuro migliore: le religioni ci promettevano un aldilà di pace e felicità, il socialismo una società del futuro meravigliosa, il liberalismo l’idea di un costante miglioramento delle condizioni di vita materiali. Il neoliberismo, invece, non promette nulla ed anzi ha del tutto rimosso l’idea di futuro: è un’ideologia della cedola trimestrale, incapace di ogni tipo di visione. Questo è il suo punto debole, la prima idea che saprà ridare al mondo un sogno di futuro lo spazzerà via. Ma non saranno né i partiti né i sindacati a farlo, sono istituzioni che avevano senso nel mondo precedente, basato sulle fabbriche, nella società dell’isolamento e della sorveglianza a distanza sono inerti.
Così ad occhio non sembra esserci una soluzione molto vicina…
Invece le cose possono cambiare rapidamente, molto più velocemente di quanto pensiamo. Prendiamo la globalizzazione: fino a pochi anni fa tutti erano convinti della sua irreversibilità, che il mondo sarebbe diventato un grande e unico villaggio forgiato dal sogno americano. E invece, da otto anni stiamo assistendo a una rapida e sistematica de-globalizzazione. Prima la Brexit, poi l’elezione di Trump, poi il Covid-19, poi la rottura con la Russia e il disaccoppiamento con l’economia cinese. Parlare oggi di globalizzazione nei termini in cui i suoi teorici ne parlavano solo vent’anni fa sembrerebbe del tutto ridicolo, può essere che tra vent’anni lo sarà anche l’ideologia neoliberista.
Intanto chi è interessato a cambiare le cose cosa dovrebbe fare?
Occorre rimboccarsi le maniche e fare quello che facevano i militanti alla fine dell’Ottocento, ovvero alfabetizzare politicamente le persone. Una delle grandi manovre in questa guerra culturale lanciata dal neoliberismo è stata quella di ricreare un analfabetismo politico di massa, facendoci ritornare plebe. Quindi è da qui che si parte. E poi bisogna credere nel conflitto, progettarlo, parteciparvi. Il conflitto è la cosa più importante. Lo diceva già Machiavelli: le buone leggi nascono dai tumulti. Tutte le buone riforme che sono state fatte, anche in Italia, non sono mai venute dal palazzo. Il Parlamento ha tutt’al più approvato istanze nate nelle strade, nei luoghi di lavoro, nelle piazze. Lo Statuto dei Lavoratori non è stato fatto dal Parlamento per volontà della politica, ma a seguito della grande pressione esterna fatta dai movimenti, cioè dalla gente che si mette insieme. Quindi la prima cosa è capire che il conflitto è una cosa buona. La società deve essere conflittuale perché gli interessi dei potenti non coincidono con quelli del popolo. Già Aristotele lo diceva benissimo: i dominati si ribellano perché non sono abbastanza eguali e i dominanti si rivoltano perché sono troppo eguali. Questa è la verità.
[di Andrea Legni]
https://www.lindipendente.online/2023/11/01/la-controrivoluzione-delle-elite-di-cui-non-ci-siamo-accorti-intervista-a-marco-deramo/?fbclid=IwAR0J1ttaujW9lXdoC3r4k5Jm46v3rQM_NMampT4Sd_Q-FX4D-7TFWKXhn3c
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La Democrazia Americana
"Portano violenza,
e poi vogliono insegnare al mondo come ci si comporta democraticamente,
non meritano la nostra ammirazione"
"Cari ascoltatori, è molto diffusa l’opinione, non solo in Italia, ma in mezzo mondo, che gli Stati Uniti siano un modello di democrazia. Io, naturalmente, non ho niente contro gli americani, però mi piacerebbe essere minimamente obiettivo per raccontare leggermente la loro storia. Intanto, in quanto ai loro presidenti, ne hanno stecchiti quattro o cinque, così, assassinati, cosa che per esempio in Italia non è mai accaduta, neanche in altri Paesi. Insomma, gli americani quando si stancano di un presidente gli sparano e poi fanno dei bei funerali, quattro lacrime, e si passa al prossimo da assassinare. Insomma, una cosa veramente vergognosa. Ma è la storia degli americani che è inquietante. E quindi l’America non merita tutta la stima che noi abbiamo nei confronti degli Stati Uniti. E vi racconto molto brevemente la loro storia: hanno cominciato con l’uccidere tutti gli apache, i famosi indiani, ci hanno girato mille film su questo argomento. I poveri indiani che si difendevano con l’arco e le frecce, e invece gli americani che usavano ovviamente il fucile e la pistola, e quindi, diciamo, una partita un po’ truccata, ma niente di più. Poi cos’hanno fatto gli americani? Sono andati in Africa e hanno deportato un numero sterminato di neri, li hanno schiavizzati, li hanno trattati male per secoli e adesso passano per quelli buoni, che naturalmente devono insegnare al mondo come ci si comporta democraticamente. Fatta anche questa operazione, cosa hanno fatto gli americani? Così io sintetizzo. Sono andati in Giappone e hanno sganciato due bombe atomiche, due, una su Nagasaki e una su Hiroshima, facendo una quantità sterminata di vittime e anche questa è una bella prodezza. Non paghi, sono andati in Corea a fare un’altra guerra, e anche lì è successo di tutto. Poi sono andati in Vietnam
a massacrare i vietnamiti, un’altra prodezza, diciamo. Poi sono andati in Iraq. Ricorderete, dove volevano esportare la democrazia, invece hanno esportato la morte, perché ne hanno stecchiti un vagone.
Poi hanno finito di fare
i bulli gli americani?
No signori, sono andati anche in Afghanistan.
E lì abbiamo visto com’è andata a finire. Si sono fermati vent’anni, dovevano cambiare la società, non hanno cambiato niente e hanno, diciamo, lasciato una scia di sangue, di morti ammazzati, come loro abitudine. Ecco, questi sono gli americani. E noi dovremmo guardarli con ammirazione nel tentativo di imitarli? Io penso proprio che no. Molto meglio noi italiani, che siamo un po’ confusionari, abbiamo avuto qualche problema, ma rispetto agli Stati Uniti siamo Biancaneve".
- Vittorio Feltri
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