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Fabrizio Priano F.lli d'Italia. Proposta di Intitolazione della Passeggiata dell'Anello di Piazza Libertà: Omaggio ai Sindaci Emeriti di Alessandria
Un progetto per valorizzare la memoria storica e l'identità cittadina
Un progetto per valorizzare la memoria storica e l’identità cittadina La città di Alessandria si appresta a ricevere una proposta dal forte valore simbolico e culturale: l’intitolazione della passeggiata dell’anello di Piazza Libertà a quattro Sindaci Emeriti che hanno segnato profondamente la storia del territorio. Fabrizio Priano F.lli d’Italia, promotore dell’iniziativa, ha inviato…
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Abbiamo il più grande patrimonio storico culturale al mondo e seguiamo le follie di gente che a distanza di secoli non ha neppure imparato a prendersi cura della propria igiene intima.
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Sono trascorsi 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci e, per celebrare questo importante anniversario, torna alla ribalta uno dei suoi dipinti, La Dama in pelliccia, realizzato a Milano tra il 1495 e il 1499 e nascosto per quasi un secolo.
Si tratta di un'opera dal forte impatto emotivo, realizzata su un pannello di pioppo alto 61,5 cm e largo 54,5 cm. Molti sono gli elementi caratteristici dell'artista Leonardo: l'opera raffigura una giovane donna dallo sguardo malinconico e malizioso, con un accenno di sorriso, la cui ambiguità rimanda a quella della Gioconda. La posa delle mani è simile a quella della Dama con l'ermellino.
Sulla base della ricostruzione storica, è molto probabile che l'opera sia stata dipinta nel periodo milanese in cui Leonardo era al servizio di Ludovico il Moro e che il dipinto fosse ancora nelle mani di Leonardo durante il suo soggiorno a Roma e successivamente negli ultimi anni ad Amboise.
Dal 1691 al 1700, l'opera fece parte della collezione privata di Antonio Pignatelli, papa Innocenzo XII. In un successivo passaggio di proprietà, fu scoperta nella residenza di Domenico Morelli, vescovo di Strongoli, poi vescovo di Otranto.
Dal 1975, il dipinto è in possesso di una famiglia residente in Germania, ed è stato ora riportato alla luce da Silvano Vincetti, presidente del Comitato per la valorizzazione del patrimonio storico, culturale e ambientale.
Molti studiosi attribuiscono l'opera a Leonardo senza ombra di dubbio: in un suo scritto del 2 settembre 1921, Adolfo Venturi, uno dei più grandi storici dell'arte del secolo scorso, affermava: "Questo magistrale ritratto di giovane donna dal profilo delicato e gentile è sicuramente opera di Leonardo".
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[...]
Tutto accade nella settimana del 23 maggio quando il paese ricorda il sacrificio del giudice Giovanni Falcone, di Francesca Morvillo, degli agenti di scorta, uccisi dal tritolo mafioso a Capaci.
Ribadiamo un fatto non trascurabile, l’ex direttore del Sisde è stato processato nell’indagine trattativa stato-mafia, per la mancata cattura di Bernardo Provenzano e la perquisizione mai avvenuta del covo di Totò Riina, ma è sempre stato assolto. Alcuni elementi contenuti nell’invito a comparire erano già emersi negli altri procedimenti, ma nell’indagine fiorentina ce n’è sono di nuovi che saranno oggetto dell’interrogatorio di Mori, per ora rinviato. Secondo i pm Mori era al corrente del rischio stragista avendo avuto plurime anticipazioni, ma non ha fatto niente per evitarlo.
Lo avrebbe saputo «dal maresciallo Roberto Tempesta, del proposito di cosa nostra, veicolatogli dalla fonte Paolo Bellini, di attentare al patrimonio storico, artistico e monumentale della Nazione e, in particolare, alla torre di Pisa e, successivamente, da Angelo Siino, che lo aveva appreso da Antonino Gioè, da Gaetano Sangiorgi e da Massimo Berruti (ex manager berlusconiano e poi parlamentare di Forza Italia, morto nel 2018, ndr), durante il colloquio investigativo intercorso a Carinola il 25 giugno 1993, il quale gli aveva espressamente comunicato che vi sarebbero stati attentati al Nord», si legge nell’invito a comparire.
Quello che è chiaro in maniera esplicita e sarà oggetto dell’interrogatorio, Mori è già sentito un anno fa come persona informata sui fatti, è che i pm si sono rimessi a cercare riscontri intorno alla cosiddetta pista nera che vede convergere nella strategia stragista la mafia, l’eversione neofascista, i servizi deviati e la massoneria di Licio Gelli. Una pista già battuta, ma che non ha portato giudiziariamente a nulla di accertato.
Cosa c’è nel passato che unisce i mondi e incrocia Mori? Lo dettaglia il magistrato Roberto Tartaglia (dal 2022 distaccato a palazzo Chigi), nel 2018, durante il processo sulla trattativa stato-mafia (poi naufragato con l’assoluzione) descrivendo la carriera di Mori come costantemente contro le regole.
«I risultati “inimmaginabili” ai quali siamo arrivati su vicende, risalenti, ma importanti del passato di Mori servono a definire in maniera chiara e forte la geometria di un personaggio che poteva e può compiere di tutto». Il magistrato ricordava poi la carriera di Mori al Sid allora guidato da Vito Miceli, descritto come un servizio deviato e parallelo. Con il suo brusco allontanamento da Roma che, per il pm, era da ricondurre alla vicinanza di Mori, poi scoperta, con le azioni dell’organizzazione eversiva di destra Rosa dei Venti. Una ricostruzione che resta curriculum parallelo dell’ex generale, il quale, al contrario, ha sempre rivendicato la correttezza delle sue condotte.
C’è un ultimo incrocio, un’altra coincidenza che ci porta sempre a Firenze. I magistrati vogliono capire chi c’era dietro la fuga di notizie sulle rivelazioni del pentito Salvatore Cancemi che «parlava di quelli di sopra», chiaro riferimento a Silvio Berlusconi. Lo scoop fu pubblicato da Attilio Bolzoni e Giuseppe D’Avanzo su Repubblica nel 1994.
L’allora magistrata Ilda Boccassini, ora indagata per false informazioni ai pm, perché non ha rivelato quella fonte, aveva delegato l’indagine ai Ros, al comandante, Mario Nunzella, e al suo numero due, Mario Mori. Certi nomi, come i misteri, non passano mai.
Via - Infosannio
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ITALIA PRIMA IN UE E SECONDA AL MONDO PER CONGRESSI
L’Italia negli ultimi cinque anni è passata dal sesto al primo posto in Europa per numero di congressi ospitati.
Nella classifica pubblicata dall’International Congress and Convention Association l’Italia si classifica inoltre seconda nel mondo, dietro solamente agli Stati Uniti. Il nostro Paese precede la Spagna, davanti a Francia, Germania e Regno Unito. L’Italia registra il maggior numero di città (7) nella top 100 mondiale: Roma al 7° posto, 29° posto per Milano, 47° Bologna, 60° Firenze, 66° Napoli, 78° Torino, 84° Venezia. Queste città sono conosciute in tutto il mondo non solo per le loro bellezze artistiche e storiche ma anche per il forte tessuto universitario e scientifico che permette loro di essere scelte come destinazioni di interesse da tutte le parti del mondo.
“È un risultato storico per il settore e per il Paese. Con un progetto che abbina i poli accademici, scientifici e professionali alla presenza diffusa di convention bureau e infrastrutture idonee come il Italian Knowledge Leaders … Dieci anni fa si è scelto di valorizzare uno degli asset più significativi del nostro Paese” spiega Carlotta Ferrari, presidente di Convention Bureau Italia. Divenuta leader nell’industria congressuale globale, l’Italia è riuscita a sviluppare la capacità di adattarsi e innovare, mantenendo al contempo un legame saldo con il patrimonio culturale e storico. “Quello congressuale è un turismo di alta qualità che porta grandi benefici all’Italia, sia materiali che immateriali, dall’occupazione alla promozione del territorio, dalla destagionalizzazione all’incremento del prestigio” racconta Tobia Salvadori, direttore di Convention Bureau Italia.
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Fonte: International Congress and Convention Association; Ministero del turismo; foto di Caleb Oquendo
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Il minareto con la meridiana
La moschea Muhaşşi Sinan è una importante moschea facente parte del patrimonio storico e culturale di Beykoz. Muhaşşi Sinan Efendi é stato un importante studioso ottomano del XVI secolo. Ha svolto anche il ruolo di Kazasker dell'Anatolia. Il Kazasker originariamente, era responsabile di risolvere le dispute legali tra i soldati. Successivamente, il ruolo si estese a includere anche la giustizia civile. Nell'ambito dell'amministrazione ottomana, viene spesso considerato secondo solo alla figura del Gran Visir. La moschea venne costruita nel 1574 e si distingue per il suo minareto, l'unico del genere in tutto il mondo. Invece del classico alem (la mezzaluna) sulla sommità del minareto è posta una meridiana. La scelta di installare un orologio solare rifletteva l'interesse dello studioso per l'astronomia e la misurazione del tempo.
Ad Istanbul esiste un'altro minareto unico nel suo genere e si trova ad Eyüp. Il minareto della moschea Defterdar presenta un calamaio ed una penna. Chi aveva commissionata lo moschea era Mahmut Çelebi, ministro delle Finanze (Defterdar) durante il regno di Solimano il Magnifico e famoso calligrafo. La mia Vita a Istanbul: consigli e informazioni turistiche. Disponibile come GUIDA per delle ESCURSIONI in città. Scrivi una e-mail a: [email protected] Seguici anche su www.facebook.com/istanbulperitaliani
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dal patrimonio all'impegno, l'Europa dei nostri figli
L’Europa non è l’appendice vassallizzata di un Occidente posto sotto il geloso dominio di una superpotenza dagli ideali messianici, convinta di dover portare al mondo i benefici dei suoi presunti valori universali. Né è la penisola di un’Eurasia il cui baricentro sarebbe situato alla periferia degli Urali.
L’Europa non è il culmine di una storia vergognosa che dovrebbe essere cancellata, o addirittura sfigurata, per imporre ai suoi eredi il plumbeo velo di un pentimento mortale. Né è la nave dei folli, guidata dai profeti allucinati e deliranti della “decostruzione”, intenzionati a minare le basi antropologiche che garantiscono la crescita e la conservazione delle culture, delle società e dei popoli.
L’Europa non è un insieme di terre sfigurate, una natura devastata in nome di imperativi di crescita illimitata branditi per sostenere politiche miopi. Non è tanto meno la fuga da ogni logica di potere, in nome delle fantasie di un’ecologia poco compresa.
L’Europa non è un corteo di tecnocrati incaricati di nutrire “il più freddo dei mostri freddi”, come un signore senza volto che spoglierebbe i suoi vassalli delle loro prerogative con meticolosa autorità, ma si dimostrerebbe incapace di assicurarne la difesa. L’Europa non è l’Unione Europea.
L’Europa è qualcosa di completamente diverso e molto più di tutto questo. È allo stesso tempo un'eredità antichissima e la prefigurazione del futuro delle persone che la incarnano.
L’Europa è uno spazio geopolitico abitato da millenni da un gruppo di popoli strettamente imparentati. Nonostante la violenza dei conflitti che hanno tessuto il tessuto eroico e tragico della loro storia comune, questi popoli condividono lo stesso patrimonio di civiltà, forgiato da una lega di elementi etnici che non hanno subito variazioni, sulla scala del continente, dall’inizio del l'età del bronzo, duemila anni prima dell'era cristiana. L'espansione celtica, l'alba greca del pensiero, l'ascesa dell'imperium romano , la renovatio imperii carolingia e germanica , il ritorno alle fonti perenni del genio antico al tempo del "Rinascimento", il risveglio della coscienza identitaria degli europei popoli della metà del XIX secolo , tutti questi fenomeni apparentemente molto diversi costituiscono in realtà l'espressione polifonica dello stesso genio europeo, espresso in forme diverse e costantemente rinnovate, sia negli ambiti politico, filosofico e artistico che scientifico e tecnologico. , da persone provenienti dallo stesso crogiolo. Ma il cataclisma del “secolo 14” venne a scuotere questo edificio di civiltà. Ancor più della distruzione e delle immense perdite che causarono, le due guerre mondiali portarono gli europei a dubitare pericolosamente di se stessi. Spesso accecati da ideologie tese a fare tabula rasa del passato in nome di un cosiddetto “senso universale della storia”, i nostri popoli devono oggi uscire dal letargo in cui lo ha gettato il materialismo consumistico degli ultimi decenni.
Perché non siamo solo eredi: questa eredità ci obbliga! Ora ci chiama all'impegno totale, per affrontare le sfide dei tempi con lucidità e determinazione. La posta in gioco è colossale: i popoli europei devono oggi scegliere tra la cancellazione definitiva o la volontà di realizzare il proprio destino storico, pur continuando ad affermare liberamente la propria identità e sovranità sullo spazio continentale dove si è radicato il loro genio più di cinquemila anni fa. In questo contesto ciascuno di noi può scegliere di arrendersi, sforzarsi di conservare cautamente un tiepido e più o meno comodo compromesso, o al contrario restare attivamente fedele a “ciò che siamo”, in tutti gli ambiti della vita e dell'esistenza, per poter “vivere da europeo”. Questa scelta e questo impegno determineranno quale sarà l’Europa dei nostri figli.
Questo è infatti l'appello che lanciamo: l'Europa non è solo la base delle nostre patrie, cioè la “terra dei nostri padri”; deve anche diventare, secondo le parole di Nietzche, la “terra dei nostri figli”. L’Europa è mito e destino, memoria delle origini e desiderio costantemente rinnovato di riconnettersi con la grandezza originaria. È il luogo dove il genio dei popoli europei ha eretto i megaliti di Stonehenge, le colonne del Partenone, le navate delle cattedrali, e ha progettato i canti omerici, la musica polifonica, la fisica quantistica e il razzo Arianna. Ovunque in Europa sta sorgendo una nuova generazione, consapevole delle proprie radici, della propria identità, della propria appartenenza a una civiltà comune. Di fronte a sfide senza precedenti, tocca oggi realizzare una vera “rivoluzione conservatrice”, intesa a liberare le menti dalle catene ideologiche che le ostacolano. Questa è la strada verso le “grandi risorse”, preludio a un nuovo rinascimento che porterà i popoli d’Europa a riprendere insieme il pieno controllo del proprio spazio geopolitico. L’Europa è il gusto del potere ritrovato, dell’orgoglio dei popoli e delle nazioni, trasceso dalla coscienza di servire un interesse più alto, quello della nostra civiltà.
-Henri Levavasseur
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ORVIETO è una città che vanta un grande patrimonio storico artistico, per certi aspetti.
Unico in Umbria nel suo genere.
Una città che può definirsi un vero e proprio museo all’aperto racchiuso e protetto nel tempo dalla ripida rupe di tufo su cui poggia.
Orvieto, città che ha vissuto diverse epoche storiche, alcune delle quali da grande protagonista: in particolare in epoca etrusca ed in quella medievale rappresentando un centro di notevole importanza storico e culturale di tutta l’Italia.
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Il giardino nobile
Italian Landscape Design
a cura di Lucia Valerio
con un testo di Paolo Pejrone, con una intervisarchiviota di François Demachy
Electa, Milano 2011, 192 pagine, 27.31x34.93cm, ISBN 978-8837085759
euro 70,00
email if you want to buy [email protected]
Il volume, commissionato da Acqua di Parma, è un omaggio al giardino all'italiana, patrimonio storico del nostro paese. Struttura formale e anima del luogo sono gli elementi principali del giardino di villa rinascimentale, fonte di ispirazione per i più autorevoli architetti e profumieri a livello internazionale. Un risultato ottenuto grazie al giusto equilibrio fra rigore razionale e fantasia creativa. Curato da Lucia Valerio, nota giornalista e responsabile della sezione verde di VilleGiardini. Ad iris, magnolia e gelsomino, che hanno ispirato la linea femminile de "Le Nobili" di Acqua di Parma, viene dedicato un testo a cura dell'architetto Paolo Pejrone, uno dei più autorevoli garden designer italiani. Mentre Francois Demachy tratta gli stessi fiori come note del linguaggio dei profumi. Fra i giardini selezionati, molti dei quali visitabili su appuntamento, alcune ville della Lucchesia come quella di Marlia, alcune Medicee e altre del FAI come Villa del Balbianello sul Lago di Como. L'apparato fotografico proviene in larga parte dall'archivio di Dario Fusaro, stimato fotografo del paesaggio. I giardini sono ritratti nella migliore stagionalità, con ampie fioriture e vivacità di colori. Un autorevole repertorio per conoscere meglio il giardino all'italiana e la sua relazione con l'alta profumeria.
#giardino nobile#giardino all'italiana#Lucia Valerio#Paolo Pejrone#archivio Dario Fusaro#designbooksmilano#fashionbooksmilano
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L’AMORE AL TEMPO DEI CASINI
A Napoli oltre 900 bordelli tra Chiaja ed i Quartieri Spagnoli.
I luoghi del piacere sono espressione della tradizione partenopea sin dall’epoca romana quando esistevano, nella fattispecie, i cosiddetti lupanari di Pompei.
Oggi, le case chiuse del dopoguerra fanno parte del vastissimo patrimonio culturale di Napoli.
Gli arredi, i costumi utilizzati dalle prostitute, i vizi degli uomini e le virtù delle donne del tempo ci consentono di compiere un viaggio nella storia a partire dal mestiere più antico del mondo.
L’Italia, appena uscita dalla crisi della guerra, si concedeva qualche “vizietto”. Non c’era vergogna e neppure reato a frequentare quei posti così ben curati.
Non si faceva solo sesso, qualcuno richiedeva anche solo un bicchiere di vino in compagnia di una elegante signorina che con savoir faire concedeva momenti di puro piacere.
Nei vicoli di Napoli, tra sacro e profano, altarini votivi a santi e Madonne si alternavano alle case della maitresse e delle sue signorine che rivivono, oggi, grazie alla rappresentazione di figuranti in costume.
In vico Sergente Maggiore sorgeva uno tra i casini più frequentati “Il Monferrante”, la sua maitresse aveva spirito imprenditoriale, si dice che per attirare la clientela anticipava telefonicamente le attrazioni della casa.
Lo storico Casino di Salita S. Anna di Palazzo detto anche “La Suprema” è la più rinomata casa di Tolleranza della città, attualmente sede di un lussuosissimo hotel Chiaja Hotel De Charme dove i clienti più facoltosi attendevano Nanninella a´spagnola, Mimì d´‘o Vesuvio, Anastasia ‘a friulana e Dorina da Sorrento.
Nell’attuale piazzetta Matilde Serao invece, facevano tappa fissa numerosi giornalisti mentre a Parco Comola Ricci, all’Internazionale, si recavano principalmente i militari, qui anche le prostitute spesso erano straniere.
Nei pressi del rione Carità c’era il richiestissimo Casino degli Specchi.
Napoli offriva piaceri per tutti i gusti e le tasche infatti i più squattrinati potevano concedersi qualche gioia a pochi soldi recandosi alla casa delle “tre vecchierelle” a Montesanto.
Ciò che contraddistingueva i luoghi del piacere di Napoli è senz’altro l’intransigente regolamento.
I pagamenti fatti in camera, infatti, non erano considerati validi, non bisognava intrattenere più del dovuto le signorine, specie se in cerca di uno sconto e, in alcuni casi, il buon costume esigeva che i clienti si presentassero all’accettazione in abito, camicia bianca e cravatta.
Il tariffario, generalmente esposto all’ingresso poteva variare in base al tempo di intrattenimento, da mezzora o un’ora sino a mezza giornata.
Come qualsiasi attività che si rispetti, non poteva mancare la politica di offerta, agevolazioni per studenti, militari.
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Cento Immagini per Gelindo: Celebrando un’Icona della Tradizione alessandrina
La mostra fotografica “Cento Immagini per Gelindo” inaugura il 15 novembre 2024 al Palazzo del Monferrato di Alessandria
La mostra fotografica “Cento Immagini per Gelindo” inaugura il 15 novembre 2024 al Palazzo del Monferrato di Alessandria. Alessandria si prepara a rendere omaggio a una delle figure più amate e rappresentative della sua tradizione popolare, Gelindo, con una mostra fotografica intitolata “Cento Immagini per Gelindo 100”. L’evento, organizzato dall’Associazione San Francesco, si terrà presso la…
#Alessandria#Alessandria eventi#Alessandria today#Associazione San Francesco#Buvette Alessandria#celebrazione comunitaria#Cento Immagini per Gelindo#comunità alessandrina#Cultura alessandrina#Cultura contadina#Cultura e Tradizione#Evento culturale#fotografia storica#Gelindo#gelindo storia#Google News#Identità locale#italianewsmedia.com#memoria collettiva#Mostra fotografica#mostre ad Alessandria.#Natale ad Alessandria#Palazzo del Monferrato#passato che rivive#passato e presente#patrimonio condiviso#patrimonio culturale#patrimonio storico#personaggio simbolico#Pier Carlo Lava
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Se fossi stata io ai vertici del comune di Roma qualche anno fa in previsione del Giubileo di merda:
"Allora regà, ce tocca. Purtroppo la città è anche quella del Papa, ce ne siamo fatti una ragione, sempre ce lo prendermo nel culo per 'sta storia ma ok, siamo sopravvissuti ai papaboys col cappelletto giallo, sopravviveremo anche a questo. Adesso ascoltatemi bene: IL PRIMO CHE SPOSTA UN SAN PIETRINO, CHE FA UNA BUCA, CHE PURE PER SBAGLIO PORTA IL CANE FUORI E IL CANE TIRA DUE ZAMPATE ALLA TERRA PER SCAVARE, VERRA' PRIMA ESPOSTO ALLA BERLINA POI UCCISO E IL SUO CORPO IMPALATO. I CORPI DEI TRASGRESSORI VERRANNO MESSI TUTTI INTORNO AGLI ACCESSI DEL RACCORDO, COME MONITO. NON DOVETE SPOSTARE NIENTE CHE QUI NON POSSIAMO RISCHIA' DI TROVARE ROBA. QUESTO NON E' IL MOMENTO DI TROVARE COCCI. RIPETO: MO' NON DOBBIAMO TROVARE COCCI. CHIARO? SE INCIAMPATE IN QUALCOSA CHE SEMBRA UN COCCIO, FATE FINTA DI NIENTE E ANDATE AVANTI. DOBBIAMO SOPRAVVIVERE ALL'INVASIONE, QUESTO NON E' IL MOMENTO DI FAR FINTA CHE SAPPIAMO GESTIRE IL PATRIMONIO STORICO DELLA CITTA', OK? SONO STATA CHIARA?"
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La mattina del 16 agosto 1972, lo Ionio, bacino del Mediterraneo orientale, restituisce alla storia contemporanea la vecchia storia. Il volto iconico e il corpo statuario. La lingua greco antica.
Dal ventre ionico del mare di Riace, a Porto Forticchio, riemergono il petto e la schiena della Magna Grecia. La massa del tricipite, il volume della coscia e la caviglia snella.
Supini, occhi fissi in superficie, spalle atletiche, braccia vigorosamente pronunciate, cosce elaborate secondo la forza umana, zigomi pungenti, e bocca bruna da baciare. Due guerrieri nel mare nostrum.
Il sub Stefano Mariottini, a 300 metri dalla costa del mare di Riace, e a 8 metri di profondità, rinviene, depositati sul fondale, ricoperti da pugni massicci di sabbia, due statue bronzee.
Chi è la?
Lo Ionio, sempre clemente e mai avaro, fa l'omaggio più bello che un mare del Sud avrebbe potuto fare al suo Meridione di terra, offrendo ciò che per ben 2500 anni circa ha custodito. Guerrieri bronzei di manifattura ellenica, con cui la spuma greca del mare di Calabria, ha visibilmente giocato per secoli, elaborando ricami, miriade di piccinissime incrostazioni, stratificazioni di sale e chiazze di ossido.
Sulla via degli antichi greci, il mare ritorna ai postumi i suoi Grandi Padri. Il bronzo B e il bronzo A, il vecchio e il giovane. Tenuti a pubblico battesimo come "I bronzi di Riace".
Un'offerta degli Dei al nuovo mondo. Un complesso di meraviglia stravagante e spettacolo puro, piacere della carne e sublimazione dello spirito. Stato umano di sbalordimento.
Alti rispettivamente 1,98 e 1,97 m, per un peso di 160 kg. Risalenti alla metà del V secolo a.C., con un carico di mistero che li rende praticamente bellissimi. E li fa oggetto di grande ammirazione, di pubblica lode.
I bronzi diventano immediato emblema di una storia unica, sempiterna, rivelata dal gaudio, il lume, il dolore e la gloria, ma velata da un mistero straordinario, irraggiungibile nella normale contemplazione, vivo al di là di ogni ragionevole orientamento, pervaso di reazioni cariche di fascino, in grado di donare ai due guerrieri ulteriore valore storico, artistico e culturale. In una misura che ovviamente non è comune in termini di doti e capacità.
I bronzi di Riace hanno una ritmica impossibile da riprodurre, l'immenso che riflettono li sottopone alla cadenza di un tempo illimitato e indefinito. Indistruttibile e interminabile.
Senza uguali e senza simili, affermato e indiscusso marcatore distintivo identitario della Regione Calabria, seppur patrimonio dell'umanità intera, nel 50° del loro ritrovamento in mare, di cui oggi, 16 agosto 2022 si celebra la grande festa, ancora una volta raccontano l'immortalità del loro tempo, la durevolezza della storia, l'indistruttibilità dell'arte.
Dal 1972, imponenti e fieri, i bronzi di Riace, si offrono nella loro interezza, nudi e abbaglianti, al Museo di Reggio Calabria. Da ogni parte del mondo, per questo compleanno della storia di cui essi sono la goduria e il piacere, è verso il MARRC di Reggio che invito a organizzare processioni di aerei, macchine, pullman. Colonie di giovani. Ciò che sarà visibile ai vostri occhi è di sconcertante bellezza. Verrà naturale prostrarsi innanzi ai Bronzi come coi Santi, che mentre i Santi sono nicchie sacre a custodirli, i Bronzi li custodisce la Calabria. La culla della Magna Grecia.
Percorrendo il chilometro più bello d'Italia, come lo definì il D'Annunzio, arriverete nella casa in cui I bronzi di Riace, carichi di vigore e bellezza, vi incanteranno. Qui comprenderete che la Calabria, con il suo carico di Magna Grecia, non è una trovata qualunque, ma una verità assoluta.
Poi dirigendovi verso la costa Ionica, sostate a Riace, immergetevi nello Ionio, i Bronzi laggiù fanno sempre magie, raccontano cose che non si sono mai dette.
Buon compleanno ragazzi, buon cinquantesimo miei eroi. Buona festa, Bronzi, e che la bellezza vi accompagni sempre. Anzi, porti innanzi a voi il mondo intero a stupirsi.
Giusy Staropoli Calafati
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Il *7 gennaio 1797* nasce a Reggio Emilia il Tricolore, come bandiera della Repubblica Cispadana, costituita dai territori di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia.
A proporre che lo stendardo o bandiera cispadana, formato dai colori verde, bianco e rosso, fosse innalzato in tutti i luoghi soggetti alla sovranità della repubblica cispadana, è il sacerdote cattolico Giuseppe Compagnoni.
La bandiera rossa, bianca e verde, allora a strisce orizzontali con il rosso in alto, sarà confermata come vessillo della Repubblica Cisalpina. Adottato dai patrioti del Risorgimento già nei moti del 1821 e poi nel 1848 dal Re Carlo Alberto di Piemonte, il tricolore sarà la bandiera dell’unità d’Italia.
Ma perché vennero scelti il verde, il rosso e il bianco? L'Italia del 1796 era un agglomerato di piccole Repubbliche di ispirazione giacobina che si erano sostituite agli antichi assolutismi.
E per omaggiare la conquista delle libertà, e chiaramente il modello francese, quasi tutte le Repubbliche si dotarono di bandiere caratterizzate da tre fasce di dimensioni uguali. Mentre i tre colori derivano dalla Legione Lombarda i cui vessilli presentavano proprio con i colori verde, bianco e rosso, fortemente radicati nel patrimonio di quella regione; il bianco e il rosso, infatti, comparivano nell'antichissimo stemma comunale di Milano (croce rossa su campo bianco), mentre verdi erano, fin dal 1782, le uniformi della Guardia civica milanese. Ma anche la Legione Italiana, che accoglieva, i soldati delle terre dell'Emilia e della Romagna, si era dotata di questi tre colori; motivo che probabilmente spinse la Repubblica Cispadana a confermarli nella propria bandiera.
Successivamente al Congresso di Vienna, il tricolore fu soffocato dalla Restaurazione. Ragione per cui assunse, nell'immaginario collettivo, un ruolo di libertà e di speranza; e ciò è testimoniato dai moti del 1831, dalle rivolte mazziniane; o lo si può ritrovare nella disperata impresa dei fratelli Bandiera e nelle sollevazioni negli Stati della Chiesa. E quando giunse la stagione del '48, e della concessione delle Costituzioni, la bandiera divenne il simbolo di una riscossa ormai nazionale, che investì l'intera penisola: da Milano a Venezia, da Roma a Palermo.
Nel 1997, in occasione del secondo centenario del Tricolore, il parlamento proclama il 7 gennaio “giornata nazionale della bandiera”.
Oggi ricorre il 227 anniversario della Giornata nazionale della Bandiera, un simbolo codificato nell'articolo 12 della Costituzione italiana che ne definisce la foggia: "verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni".
Consacrata nella Costituzione, la Bandiera è il simbolo dell’Unità nazionale, racchiude i valori di libertà, solidarietà ed uguaglianza sui quali si fonda la nostra Patria e incarna quello straordinario patrimonio storico, culturale e identitario che universalmente viene riconosciuto all’Italia.
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La nuova integrazione dell'articolo 9 muove il dubbio che il ponte sullo stretto sia anticostituzionale: "La Repubblica (...) Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni." Ecco, sono tutelati gli ecosistemi locali (zps e sic)? È tutelata la biodiversità? E il paesaggio? E chi ci dice che sia nell'interesse delle future generazioni? Sulle opere monumentali ci dovrebbe essere un debat publique, come in Francia, in cui ogni portatore di interesse presenta le proprie ragioni. Qualcosa di più della conferenza dei servizi e oltre la VIA. Nessuna di queste procedure è stata osservata o sono state criticate. Le torri del ponte sarebbero alte come l'Empire State Building, più delle colline immediatamente circostanti, eppure non c'è valutazione paesaggistica. Le gandi opere oggi dovrebbero assecondare lo sviluppo, non guidarlo, specialmente in Italia dove abbiamo divorato suolo come in nessun altro posto. Il ponte è il delirio di onnipotenza onanistico e dimostrativo di sapiens che non riescono a essere armonici con l'ambiente e trasformano ogni valore in un prezzo. Non esiste economia se non c'è una biosfera sana. Una natura senza uomini è esistita per miliardi di anni, il contrario non è dato.
Mario Tozzi, Facebook
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TORNA IL TAKAHE, RITENUTO ESTINTO NEL 1898
Il takahe, uccello di origine preistorica tra i più rari al mondo, torna a popolare la Nuova Zelanda dopo essere stato considerato estinto in natura.
Dopo anni di cura, i colorati volatili sono tornati a popolare l’Isola del Sud in Nuova Zelanda, loro casa originaria, dove vengono custoditi come icona nazionale. Dichiarato estinto nel 1898, quando la sua popolazione era stata decimata dalla caccia e dagli attacchi degli animali portati dai colonizzatori europei, nel 1948 il medico Geoffrey Orbell e la sua equipe ne individuarono alcuni esemplari sopravvissuti. Nel 1985 venne creato il Burwood Takahe Centre, dove le uova dell’animale venivano incubate artificialmente, con lo scopo di propagare la specie e restituirla un giorno alla popolazione selvatica. La sua popolazione oggi è di circa 500 esemplari. Il takahe è un uccello di grandi dimensioni che può arrivare a pesare fino a 3Kg, è incapace di volare ed ha una aspetto robusto con un piumaggio blu e becco e zampe arancioni.
Il Department of Conservation, l’agenzia governativa incaricata di conservare il patrimonio naturale e storico della Nuova Zelanda, ha creato un team di 10 esperti e di volontari ed ha coinvolto la tribù Maori, per la quale il variopinto animale ha un valore quasi sacro. I takahe possono ora crescere liberi in vaste aree della loro antica zona naturale, a tutela della biodiversità e come elemento funzionale dell’ecosistema.
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Fonte: Department of conservation of New Zealand; foto di PxHere
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