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Come neve che cade – Kristin Hannah. Recensione di Alessandria today
Un racconto di segreti di famiglia, amore e resilienza tra il passato e il presente.
Un racconto di segreti di famiglia, amore e resilienza tra il passato e il presente. Kristin Hannah, una delle autrici più amate della narrativa contemporanea, ci regala con Come neve che cade un’opera che intreccia la profondità dei legami familiari con il peso delle scelte passate. Questo romanzo si sviluppa in un doppio intreccio narrativo, alternando la vita delle sorelle Meredith e Nina…
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Recensione di Annesa sul blog Ariaeparole
Ci sono romanzi che catturano completamente il lettore, tenendolo col fiato sospeso, con il desiderio di sapere quale piega prenderà la storia, fino a quando non è finita e allora, ma solo allora, si comprenderà se è piaciuto oppure no. Per me, con Tradimenti, è andata proprio così, come poche altre volte mi è capitato: leggere con l’urgenza di sapere, di vedere e scoprire che cosa succederà, nonostante la storia sia un po’ particolare e i protagonisti non entrino subito nelle simpatie, anzi. Sergio e Lorenzo sono due persone molto diverse tra loro, conosciutisi in un ambiente particolare, un tennis club. Un giovane e ricchissimo avvocato il primo, il ragazzo della manutenzione che gioca occasionalmente con i membri del club il secondo. Si conoscono superficialmente, non sono amici e, se le cose fossero rimaste così, non lo sarebbero mai diventati. Lorenzo lavora in questo circolo, senza infamia e senza gloria, e anche se il suo ruolo lo appaga e lo soddisfa economicamente, lo usa come facciata di comodo per evitare le responsabilità che la vita gli avrebbe richiesto di assumersi. Di tutt’altra pasta è Sergio, avvocato, come suo padre prima di lui, e ricco di famiglia. Appare un po’ fragile. Così come Lorenzo, è in crisi con la sua fidanzata, una donna particolare, con una sessualità spregiudicata che la spinge a sfidare se stessa e Sergio fino al punto che, con una fantasia molto particolare, sconvolgerà l’uomo riportando in superficie un suo ricordo, o meglio, un’ossessione.Con Sergio era diverso, si era lasciato andare molto e lui, a sua volta, gli aveva raccontato e gli aveva parlato senza nessuna censura, nessun pudore e, in certi momenti, davvero lo aveva sentito come un fratello più piccolo da proteggere. E poi, quello che lo prendeva di più era il suo modo di fare. Si faceva usare, comandare, più o meno a suo piacimento, quasi contento di obbedirgli, di assecondarlo. E poi contemporaneamente però, gli aveva dimostrato di essere uno tosto.***Lorenzo era stato il suo maestro, e lui lo aveva scelto apposta. E aveva scelto bene. Lo aveva portato lì dove voleva arrivare, senza nessuna incertezza, senza nessuna tensione e, man mano che andavano avanti, lui si era lasciato andare sempre più tranquillamente. Aveva sentito Lorenzo come il suo fratello maggiore, la sua guida, il suo maestro. Gli aveva dimostrato di saperlo fare e lui aveva cominciato ad abbandonarsi a lui, a riconoscergli potere, a vivere la sua sottomissione, come qualcosa di naturale, da sempre cercata, quella passività che ti consegna all’altro, sicuro che in lui troverai un conforto, una guida, un amico.Infatti, Tradimenti inizia come un racconto erotico, e sin dal principio tutto sembra attenersi a questo genere, per poi cambiare del tutto, presentandoci le lunghe ed estenuanti elucubrazioni mentali dei due protagonisti, in un’attenta, sottile e spesso feroce critica della società e dei rapporti interpersonali, della vita e della morte, della maternità e della paternità, dell’amore e dell’amicizia. E ovviamente dei loro problemi, degli enormi scheletri nell’armadio che hanno entrambi e che, aiutandosi l’un l’altro, riusciranno a tirar fuori e a seppellire per sempre. O così si spera. In un modo che ho trovato affascinante, Augusto Novali inizia con quella che sembra una storia un po’ torbida: un giovane uomo, Sergio, in preda a inattesi turbamenti sulla propria sessualità, chiede aiuto alla persona più improbabile, Lorenzo, per risolvere un problema che lo sta divorando all’interno e che ormai sta influenzando la sua vita, ossessionandolo. Quasi controvoglia, ma in qualche modo intrigato, Lorenzo, di qualche anno più giovane, si ritroverà a provare piacere nell’aiutarlo con un metodo tutto suo. Cominciando insieme a loro questa “cura”, si assisterà a un profondo sviluppo dei due personaggi, che piano piano si evolvono, prima in modo quasi impercettibilmente e poi sempre più freneticamente, in un altalenarsi di eventi che, come sulle montagne russe, lasciano il lettore col cuore in gola, tra momenti di spensieratezza e veri e propri pugni nello stomaco, fino a un drammatico e sorprendente scambio di ruoli. Lo stile narrativo è particolare ma efficace, sa tenere viva l’attenzione e la curiosità, anche attraverso le continue discussioni tra i due, che vengono comunque stemperate da veri e propri “fermi immagine” nelle scene più emotivamente significative. Ho trovato intrigante come vengono sviluppate certe argomentazioni. Tutti i dialoghi sono resi come se davvero si assistesse a una discussione in diretta, seguendo il pensiero dei protagonisti, ripetendo più e più volte lo stesso concetto, quasi come si trattasse della trascrizione di una registrazione, parole ascoltate e poi riportate su carta. Forse è questa la causa dell’estrema lunghezza del romanzo, lunghezza che è stata più volte criticata, tanto da spingere l’autore a scrivere una giustificazione al termine del libro. Devo confessare che anch’io mi sono fatta prendere dall’angoscia ogni volta che, dopo aver letto pagine e pagine dove davvero accadevano molte cose importanti, la percentuale di lettura non aumentava che di pochi punti! Ma nonostante questo, il romanzo mi ha sorpresa, coinvolta e, cosa che non mi capita spesso, commossa. Perché davvero, questa storia così particolare è sì dura e torbida, ma anche tenera ed emozionante, e alla fine della lettura si comprende quanta strada hanno fatto i due protagonisti, quanto l’uno ha cambiato l’altro, come se si fossero scambiati la pelle.Lorenzo girò il viso verso Sergio due volte e poi tornava a guardare fisso davanti a sé e se ne restava addossato al lampione. Quando Sergio sentì di poterlo fare, di essersi riavuto, lentamente si diresse verso Lorenzo e lo fissò. Lorenzo lo fissò, con un’espressione dura, sofferta. “Questa me la paghi. Giuro quanto è vero che mi chiamo Lorenzo che questa me la paghi stronzo.” Sergio lo fissava tranquillo, con uno sguardo amico: “E perché? Per cosa dovrei pagare? Per aver cercato di evitarti tutta la mia triste storia, per non dirti tutto il bello che mi hai dato, e di quanta sicurezza mi davi? Ci avevo provato. Avevo cercato di condensare tutto quanto in una sola parola. Non sono una checca, non parlavo di lustrini e piume di struzzo. Parlavo di questo: di amicizia, di sesso, di senso di protezione. Che colpa ne ho io se tu hai paura?”Ritornando alle discussioni sulla loro visione della vita e del mondo: lo stesso titolo del romanzo, Tradimenti, prende tutta una nuova connotazione attraverso le esperienze di Sergio e Lorenzo, che danno un significato molto più particolare, originale e profondo di quello che comunemente si è propensi a intendere. È il voltare le spalle, l’abbandonare l’altro quando ha più bisogno, il decidere al posto suo, partendo dal presupposto che sia meglio così, o la volgare condivisione della propria intimità con estranei, anche peggiore della più semplice infedeltà. Tutto molto difficile da comprendere con una lettura superficiale, ma che nel contesto del romanzo si rivela la chiave di lettura per raggiungere la storia e quello che vuole realmente raccontare.Erano amanti? Sì, oggettivamente si poteva accettare una definizione del genere. Grossolana, si diceva, ma vera. Ma non riusciva a legare a questa il sesso, gli pareva di immiserire qualcosa che sentiva più bella, più preziosa del semplice sesso. Sentiva di amarlo, di questo era sicuro, ma non riusciva a vedere nessuna speranza di un avvenire, di un amore pienamente vissuto. Nemmeno lo desiderava più di tanto. Di più desiderava vederlo sereno, felice, con una compagna al suo fianco, una famiglia sua. Decise che il sentimento che meglio poteva esprimere il loro rapporto era l’amicizia. Si disse che forse era un po’ riduttivo, banale. Ma lui si sentiva così: un amico. Anche l’amicizia è un sentimento grande, nobile come l’amore e Sergio non riusciva a trovare la differenza tra l’uno e l’altro. ”È solo questione d’intensità – concluse – ma sono, possono essere la stessa cosa!”Nella conclusione, quando le cose sembrano dirigersi in tutt’altra direzione, rendendo indigesta non solo la storia ma il romanzo stesso, ecco che compaiono le pagine più belle, più vive e commoventi, dove, con mia sorpresa, mi sono scese le lacrime. Nei ringraziamenti, l’autore non esclude una seconda fase della vita dei due protagonisti. Questo confesso che mi preoccupa un po’, perché, anche se non è propriamente una storia romantica, trovo la conclusione perfetta così com’è, quasi sospesa, anche se sarebbe bello ritrovare Sergio e Lorenzo alle prese con la loro vita, il loro futuro, i loro messaggi telefonici, le chiacchierate sulla vita, l’amore, il loro chiamarsi “coglione”, “stronzone” e “tutte quelle belle cose lì”.
Annesa
https://www.amazon.it/Tradimenti-Augusto-Novali-ebook/dp/B00XK4O39W/ref=pd_sim_nf_351_4/261-0888627-0728123?_encoding=UTF8&pd_rd_i=B00XK4O39W&pd_rd_r=4a992c74-bfde-4e46-9528-a257f236ae6d&pd_rd_w=JAumj&pd_rd_wg=ETUsA&pf_rd_p=04f07bd7-dd17-4d82-affb-b5f57f1d8696&pf_rd_r=V649HZC5V04C11R35HWN&psc=1&refRID=V649HZC5V04C11R35HWN
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Pubblicato nel 1900, il libro appartiene al ciclo dei 𝑅𝑜𝑚𝑎𝑛𝑧𝑖 𝑑𝑒𝑙 𝑚𝑒𝑙𝑎𝑔𝑟𝑎𝑛𝑜, che doveva essere compiuto da 𝐿𝑎 𝑣𝑖𝑡𝑡𝑜𝑟𝑖𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙'𝑢𝑜𝑚𝑜 e 𝐼𝑙 𝑡𝑟𝑖𝑜𝑛𝑓𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑣𝑖𝑡𝑎, romanzi che non furono mai scritti.
L'opera parla dell'amore del poeta Stelio Effrena - di nuovo un alter ego di D'Annunzio - per l'attrice Foscarina Perdita e per la cantante Donatella Arvale.
Le figure si stagliano sullo sfondo della 𝐶𝑖𝑡𝑡𝑎̀ 𝑎𝑛𝑎𝑑𝑖𝑜𝑚𝑒𝑛𝑒 di una inimitabile bellezza: si tratta della Venezia cinquecentesca come centro di dominazione e di piacere, spesso trasfigurata dall'attività poetica, ritratta con nostalgia e con i colori caldi del crepuscolo.
Il romanzo è intessuto di superbe, incantevoli pagine irraggianti a volte di un'armonia ardente e irrompente, a volte soffuse di una musica lieve e aerea.
Ricco di riflessioni sull'arte, sulla bellezza, sulla poesia, il libro a tratti trascende la realtà tangibile attraverso le descrizioni del poeta.
Tuttavia, non mancano commoventi tocchi di corporeità, carnalità e profonda umanità nei personaggi, tra risa e lacrime.
Si disse che D'Annunzio avesse adombrato in questo romanzo la sua relazione con Eleonora Duse, infatti l'opera fece scandalo per aver rivelato molti segreti intimi della grande attrice, la quale però dichiarò di averne letto il manoscritto e di averne consigliata la pubblicazione: l'opera di un artista è al di sopra di ogni preoccupazione contingente, per cui non sarebbe stato il caso di privare la letteratura italiana di un capolavoro.
E voi lo conoscete? Lo avete letto? Se no, vi attira?🤍
#gabrieledannunzio#ilfuoco#romanzo#dannunzio#frasi d amore#frasi#citazione#frammento#divulgazioneletteraria#letteraturaitaliana#letteratura
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Azora Rais, "Tutto per invidia" è il titolo del nuovo libro
"Tutto per invidia" è il nuovo libro di Azora Rais. Scrittrice, cantante, modella, Azora Rais è un talento multiforme che è sbocciato in Bulgaria, il suo paese d'origine. Da qualche tempo si è però fatta conoscere anche in Italia proprio come scrittrice e non solo come modella e cantante. Azora Rais, nel nostro paese è infatti conosciuta anche per aver interpretato tante canzoni dance (incluse in tante compilation di Radio m2o e pubblicate in diversi paesi, oltre all'Italia, tra Austria, Repubblica Ceca, USA) e come attrice nella fiction "Distretto di polizia 4". Non c'è solo lo show business e la scrittura nel suo background. Ha conseguito due lauree, una in Scienze Politiche e una in Psicologia. "L'oroscopo intimo" (Albatros), il suo libro precedente, uscito nel novembre 2018, è stato un notevole successo. L'editore di "Tutto per invidia", il suo nuovo libro, sarà ancora Albatros e la data di uscita sarà comunicata nei prossimi giorni. Abbiamo incontrato Azora, che ci ha raccontato come è nato questo suo nuovo libro.
Come hai iniziato a scrivere?
"Scrivo da sempre. Quando avevo 10 anni ho vinto un concorso letterario per i bambini. Ho cominciato con la poesia e piccoli racconti. Poi è subentrato l'amore per la psicologia e l'astrologia"
Che tipo di libri scrivi? "I miei non sono romanzi filosofici, bensì libri divertenti e facili da leggere. 'L'Oroscopo intimo', ad esempio, racconta l'astrologia da un punto di vista psicologico ma anche erotico, mentre 'Tutto per invidia' è dedicato a quell'impulso primordiale che tutti noi conosciamo ".
Il tuo nuovo libro, "Tutto per Invidia", parte anche da una tua esperienza personale? Sei una modella di successo: sei stata Miss Bulgaria e playmate di "Playboy" Italia 2019….
"Direi proprio di sì. Il libro dell'invidia è lungo duecento pagine ma poteva essere anche mille. Sono stata testimone di comportamenti orrendi e anche di sentimenti molto belli e commoventi. Mi meraviglia la capacità degli esseri umani di essere cosi perbenisti con se stessi e nello stesso modo di una cattiveria estrema quando si tratta degli altri. Tutto dipende dalla singola persona, ma credo il libro sia interessante appunto perché collega l'invidia con la gelosia. All'interno ci sono ricette per vincere le emozioni negative, per uscire da una situazione di disagio e tristezza con la forza che tutti noi abbiamo dentro. Bisogna solo ritrovarla".
Quindi ognuno di noi ha questa forza interna per neutralizzare le emozioni negative?
"Certo! Sono molto contenta quando un lettore mi scrive che i miei libri hanno cambiato o migliorato il suo modo di vedere se stesso e gli altri. Ognuno di noi può evolversi e creare emozioni positive intorno al suo mondo. Ognuno può crescere, maturare, cercare di capire il prossimo e diventare empatici. L'invidia e la gelosia, specialmente se diventano patologiche, generano solo l'odio e la divisione. Sono peggio del razzismo e della xenofobia".
Il sito ufficiale di Azora Rais https://www.azora.it/
Una recente intervista ad Azora Rais https://www.internationalblog.eu/intervista-ad-azora-rais-sul-suo-nuovo-libro-oroscopo-intimo/
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Volevo avvisare alcuni dei miei contatti, che il mio romanzo è stato acquisito da #lettereanimate, che hanno editato e ripubblicato il romanzo, e li ringrazio per l'ottimo lavoro svolto. Potete trovarlo in tutti gli store sia in versione digitale e tra qualche giorno anche in cartaceo. Se invece siete interessati a una copia firmata (io ho già il cartaceo disponibile), contattatemi in privato per avere più informazioni :D grazie!
#lui dagli occhi di ghiaccio#lui#lei#frasi libri#libro#nuovo libro#romanzo#romanzi#amore#bei libri#best book#amarsi#sognare#sentimento#romantico#immagine#immagini#novità#libri emozionanti#libri commoventi#da leggere#leggere
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[INTERVISTA] BTS x CamCam - Ed. agosto 2019
RM
"Divento davvero nervoso sui palchi grandi ma il pensiero di doverlo fare ad ogni costo mi fa diventare più forte."
Quando si parla dei ricordi in America, non si può che pensare ai BBMAs. È stata la nostra prima esibizione live con Halsey quindi ha davvero lasciato un’impronta. Ho anche incontrato Drake, che ho sempre ammirato, e lui ha detto: "Voi ragazzi siete i più famosi in America al momento". Ho trovato divertente il fatto che me lo stesse dicendo l'artista che considero essere il migliore in America. Stare su un palco così incredibilmente grande mi rende nervoso ma quando siamo in America i miei sentimenti di "devo farlo ad ogni costo" si fanno ancora più forti per coprire i membri. Non si può fare altrimenti, visto che gli altri non possono dire molto. Penso di essere più figo del solito quando sono in America. (*ride*) Parlando di essere fighi, personalmente trovo che JK lo sia molto di recente. Sta quasi sempre ad allenarsi. Non mi è stato possibile fare lo stesso ultimamente, ma JK sta sempre ad aumentare la sua massa muscolare. C'è qualcosa di affascinante nel suo corpo, anche dalla prospettiva di un uomo. (*ride*) L'altra cosa che mi è rimasta impressa in America è stato il secondo concerto a Los Angeles, quando ho guardato il pubblico durante l'encore. C'è un'esibizione in cui i fan ci illuminano con le torce dei loro telefoni ed era semplicemente troppo bello. La canzone giapponese "Lights" questa volta rappresenta esattamente quello. In un luogo e in un tempo oscuro, guarda quella luce e continua a camminare. In un certo senso, rappresenta la luce che gli ARMY ci hanno mostrato. In un altro, sono gli ARMY stessi. Ho scritto la canzone con quel tipo di sentimenti. È per questo che quando chiudo i gli occhi ora ciò che mi viene in mente è… Uhm? È V. Perché l'ho appena visto dormire di là. (*ride*)
Q&A
D. Il tuo leggendario commento al Rose Bowl è stato un’improvvisazione? Avevo preparato un commento per la fine del concerto ma le luci del pubblico erano così belle che mi hanno tolto il fiato. Erano così belle che mi è venuto spontaneo parlare della galassia. D. Qual è un punto della nuova canzone che consigli di osservare attentamente? La parte di Boy with Luv in cui sembra che facciamo l’autostop. Voglio provarlo per davvero ma non penso che qualcuno si fermerebbe per me perché sono spaventoso. (*ride*) D. Come ti ricarichi ultimamente? Mi piace osservare l’arte. In termini di arte giapponese, mi piace “Taki” di Senju Hiroshi. Ho sentito che Senju-sensei ha una galleria d’arte quindi mi piacerebbe visitarla un giorno. D. Hai in programma di scrivere un libro in futuro? Diventare un autore era il mio sogno quando andavo alle elementari. Ma dopo aver conosciuto la musica e aver avverato i miei sogni come parte dei BTS, mi piacerebbe continuare a lavorare duramente con loro (*ride*). Una volta che avrò 40,50 anni sarebbe bello scrivere romanzi e saggi.
JIN
"Perfino nei momenti più semplici delle nostre vite giornaliere, mostriamo considerazione gli uni per gli altri. È questo che ci rende i BTS."
Sono il più grande del nostro team ma sono il tipo che approccia gli altri senza tenere conto delle gerarchie dettate dall’età. Non sono mai stato molto attento a quelle cose, ma recentemente ho cominciato a credere che "la cultura del cambiare comportamento o il modo in cui tratti gli altri in base all'età non è buona" e fa sembrare spente le relazioni. Il fatto che non solo io ma anche gli altri membri la pensino a questa maniera è parte di ciò che rende i BTS i BTS. Mostrare considerazione gli uni per gli altri al di là di tutto, non importa quanto piccolo il gesto sia, si può avvertire nei momenti più semplici delle nostre vite di tutti i giorni. Se c'è qualcosa che infastidisce un altro membro, un altro membro si fa avanti e dice per primo: "dovresti probabilmente smettere di fare quella cosa". Al di là di quello, il fascino dei membri che solo io conosco… Penso che gli ARMY lo sappiano meglio di me visto che io non osservo così attentamente gli altri… (*ride*) Ah, ma è divertente se prestate attenzione ad RM durante le interviste americane. Lui sa parlare fluentemente in inglese e conduce le interviste attraverso le sue risposte ma si assicura anche di reindirizzare alcune domande a noi. Ogni volta che lo fa, si assicura di darci l'opportunità di rispondere con una o due parole facili invece di frasi complicate - in modo che anche noi possiamo rispondere. Come RM eccelle nelle lingue e gli altri eccellono nella danza o nel canto… La forza del nostro gruppo sta nel fatto che ognuno di noi ha la sua propria specialità, cosa che trovo molto figa.
Q&A
D. Qual è una piccola felicità che hai provato ieri o oggi? Recentemente mi sono appassionato alla serie televisiva “The Walking Dead”. C’era un personaggio che non mi piaceva per niente e che avrei preferito veder sparire. Poi uno zombie ha risolto il problema per me. (*ride*) D. Che cosa vedi quando chiudi gli occhi in questo momento? (*mentre ha gli occhi chiusi*) Uno zombie. (*ride*) Continuano ad apparire quando chiudo gli occhi. D. Che cos’è qualcosa che trovi adorabile nei tuoi membri? Quando incontrano ai Billboard delle celebrità che hanno sempre voluto conoscere, diventano davvero felici. D. Quale coreografia ti piace tra le canzoni dei BTS? La parte in cui colpiamo il tavolo in Dionysus. D. Come ti ricarichi ultimamente? … Zombie. (*ride*) Ho parlato solo di zombie oggi, è un problema?
SUGA
“L'ansia ai Billboard, la coreografia di una nuova canzone. Mi diverto sempre a fare cose nuove!”
Adesso riusciamo a malapena a trovare il tempo per fare questo tipo di interviste, per cui essere in grado di trasmettere le nostre parole agli ARMY e ai lettori in questa maniera mi rende felice. Quando scriviamo una nuova canzone interamente in giapponese, teniamo in considerazione diversi aspetti. Ciò che ho notato nel farlo è che esiste un grado di delicatezza che si può ritrovare solo nelle canzoni giapponesi. Come per la melodia e per lo stile delle canzoni, anche il testo possiede una propria sensibilità. Con tutte le sue parti commoventi, penso che ‘Light’, la nuova canzone, abbia espresso particolarmente bene queste emozioni. Vorrei inoltre che prestaste attenzione alla coreografia di Boy With Luv! C'è qualcosa di nuovo rispetto allo stile che abbiamo avuto fino adesso. Mi diverto sempre a fare cose nuove. Anche ai Billboard, con la sensazione di euforia nel vedere il nome del nostro gruppo durante il premio per il Top Duo/Group. O la tensione provata nell'entrare al Rose Bowl come se stessimo partecipando alle finali dei Mondiali… Sono tutti ricordi che avrò per sempre di occasioni in cui mi sono divertito tantissimo. Quando voglio uscire da questo stato di eccitazione e rilassarmi, spesso ascolto lo- fi hip-hop. Mi porta conforto a livello mentale. Il mio preferito è Nujabes. Mi è sempre piaciuto, ma recentemente ho iniziato ad ascoltarlo di più. Riguardo ai cambiamenti recenti, mi sono fissato con un gioco. Prima non ero una persona che giocava molto, ma ora sono proprio preso da questo gioco. Ci giocherò finché ne avrò la possibilità. Sono il tipo di persona che continua a fare qualcosa quando se ne ossessiona - e non succede solo con la musica. Tutti dicono che da quando ho iniziato con i giochi parlo di più? Non è vero. A loro sembrerà così perché siamo insieme 24 ore su 24 (*ride*).
Q&A
D. Quand'è, tra ieri e oggi, che hai provato una piccola felicità? Ieri… Non ho fatto nulla… Il tempo che ho passato sul letto dell'hotel è stata la mia felicità (*ride*). D. Se adesso chiudi gli occhi, cosa vedi? (*Chiude gli occhi*) Provo la sensazione di essere in uno stadio e di guardare un pubblico di circa 70,000 persone dal palco. Era davvero come guardare una galassia piena di stelle. D. Hai comprato qualcosa durante questo tour americano? Ogni volta che vengo in America compro qualche nuovo apparecchio musicale. Questa volta ho comprato un microfono. D. Che canzone consigli di ascoltare per quando ci si sente giù di morale? Dionysus. È latino, per cui ti dà energia. D. Che caratteristiche deve avere qualcuno perché tu lo possa considerare una bella persona? Deve saper fare bene il proprio lavoro. Indipendentemente dall’impiego o dal sesso, le persone che fanno le cose come si deve sono fighe.
J-HOPE
“Non devo più preoccuparmi degli altri membri quando siamo sul palco”.
Noi membri siamo insieme da così tanto tempo che sul palco capirci ci è facile tanto quanto respirare. Dopo aver passato più di 7-8 anni insieme, siamo in grado di dire cosa sta pensando l’altro anche solo incrociando lo sguardo. Dal momento che sappiamo tutti qual è il nostro ruolo e cosa dobbiamo fare, non dobbiamo più preoccuparci troppo di cosa stanno facendo gli altri quando sono sul palco – in senso positivo. Ma dentro di noi stiamo sempre attenti che nessuno si faccia male o non si senta bene, dal momento che ogni membro è una parte preziosa e insostituibile di un tutto. Per rendere il palco un posto migliore, personalmente mi impegno nel ridefinire l’immagine delle esibizioni. Penso costantemente al modo per rendere come nuovi gli stessi contenuti a ogni concerto. Riguardo alle cose che faccio per me stesso… Vediamo. Recentemente ho iniziato a bere succo di cipolla (玉ねぎ汁) ogni mattina. Prendo anche una serie di altre cose, come rimedi erboristici e vitamine (ride). Credo che un mente sana non sia solo collegata a cosa si mangia o cosa si bene ma anche al mantenimento di uno stato mentale positivo. Quando sono di buon umore ovviamente mi sento meglio, e sorridere di più porta a stare meglio fisicamente. Il segreto della mia faccia sorridente? Grazie del complimento (ride)! Questo è come sono io tutti i giorni! Vivendo ogni momento con riconoscenza, finisco spontaneamente per mostrare i miei sentimenti tramite il mio viso. Anche adesso, quando penso che appariremo sulla copertina di CanCam, mi viene da sorridere perché ne sono grato.
Q&A
D. Quand'è, tra ieri e oggi, che hai provato una piccola felicità? È veramente una cosa da nulla, ma è stato respirare l’aria di LA. Essere in grado di lavorare all’aperto in location come queste sia ieri sia oggi e percepire l’atmosfera del posto mi rende felice. D. Se adesso chiudi gli occhi, cosa vedi? Mi chiedo cosa… “Se solo potessi addormentarmi così”, credo? Ho un po’ di sonno adesso (*ride*). D. Cosa ti piace della nuova canzone? Amo la mia parte in ‘Lights’. Anche se sono certo che a tutti piaccia la loro parte (*ride*). D. Che caratteristiche deve avere qualcuno perché tu lo possa considerare una bella persona? Deve essere qualcuno che fa il suo lavoro come deve, una persona che sappia chiaramente distinguere tra pubblico e privato, qualcuno di altamente professionale. E qualcuno che sorrida molto! Sì, sto parlando di me (*ride*). D. C’è qualcosa che recentemente ti ha fatto battere di più il cuore? Quando ho comprato qualcosa che mi piaceva. Ho fatto un bel po’ di shopping a LA… Tipo di arte e cose del genere.
JIMIN
“Vedere la vera natura dei membri mi ha fatto venire voglia di cambiare”
Sono con i membri ogni giorno da otto anni, per cui non trovo più nulla di così inaspettato in loro. Nonostante ciò, durante il tour mondiale attualmente in corso, ho di nuovo notato come ognuno di loro membro lavori con una sincera devozione. Il giorno prima di un concerto, durante le prove generali, ciascuno controlla ogni singolo dettaglio delle loro canzoni da solista per cui si finisce dopo circa 13 ore. Questo mi ha fatto realizzare quanto veramente loro amino il palco. Anche solo stare al loro fianco mi ha fatto riflettere molto. Da quando sono in America, dormo e mi sveglio prima. Ho iniziato ad alzarmi prima e ad ascoltare canzoni, accendere il computer e giochicchiare con il mouse (ride). Riuscire a svegliarmi da solo per la prima volta negli ultimi tempi invece che aspettare che lo faccia il manager mi fa venire voglia di ricevere complimenti (ride). Cosa cerco in una bella persona? Vediamo un po’: recentemente ho fatto una nuova amicizia, e quando vedo questa persona penso: “Che bella persona”. È responsabile e ama quello che fa. Un’occasione recente in cui mi sono sentito grato e felice è quando abbiamo cantato Mikrokosmos allo stadio. Il pubblico ci ha illuminati con le luci (del cellulare). L’atmosfera e i testi mi sono rimasti impressi. A proposito, il testo era: “Forse questa è la ragione per la quale l’espressione di questa notte è così bella”. Sono le parole che RM ha scritto per me (ride).
Q&A
D. Quand'è, tra ieri e oggi, che hai provato una piccola felicità? La vista da qua (lo studio di una casa a LA) è davvero bella, per cui anche solo guardare fuori mi rende felice. D. Se adesso chiudi gli occhi, cosa vedi? (*con gli occhi chiusi*) Mmh… Oggi non ho ancora mangiato. Per cui sto pensando di andare a mangiare non appena abbiamo finito l’intervista. D. Che canzone consigli di ascoltare per quando ci si sente giù di morale? Boy With Luv e Jamais Vu. Jamais Vu è cantata da J-Hope, Jin e Jungkook. Mi sta facendo stare meglio. D. C’è qualcosa che recentemente ti ha fatto battere di più il cuore? Il momento più emozionante è stato quando abbiamo ricevuto un premio ai Billboard! Inoltre, il mio cuore batte più forte quando guardo CanCam (*ride*). D. C’è qualcosa cui stai molto attento quando ti prendi cura dei capelli? Negli ultimi tempi sto facendo fatica a prendermi cura dei miei capelli, per cui si stanno accorciando anche se non li taglio. Voglio essere un po’ più gentile nei loro confronti per cui li terrò neri per un po’.
V
“Le voci dei fan sono la mia ricompensa. È come se tutto ciò che ho fatto stia dando i suoi frutti!”
Al momento siamo nel bel mezzo del nostro tour mondiale, ma ho potuto nuovamente constatare come i nostri fan siano davvero un’enorme fonte di energia per noi. Ogni volta che teniamo un concerto e così tante persone ci incoraggiano, mi sento come se tutti gli sforzi che ho fatto finora stiano ripagando. La vista al Rose Bowl era veramente bella. Quando mi sono trovato davanti a quella vista pittoresca, mi sono sentito come se i miei sforzi avessero dato i loro frutti. Allo stesso tempo, dal momento che ogni membro spicca individualmente, l’intero gruppo si distingue. Ho davvero pensato che tutti fossero così fighi. Nel tempo libero che ho durante il tour, mi piace visitare gallerie d’arte e scoprire nuove opere. Ultimamente mi piacciono molto i lavori di Fernando Botero e di Edward Hopper. Naturalmente le opere famose hanno il loro fascino, però ce ne sono anche di meno conosciute che sono incantevoli tanto quanto. È per questo che ultimamente mi sto divertendo molto a scoprire le opere che non sono molto conosciute dagli altri ma che risplendono ai miei occhi quando le guardo. Pensando ad altri metodi per rilassarmi… Mi sento felice quando guardo i vestiti e i mobili che mi piacciono. Posso capirne il motivo con i vestiti, ma non so spiegarmi perché mi sento calmo quando guardo dei bei mobili (*ride*). Parlando di vestiti, l’altro giorno mi sono lasciato prendere la mano con gli acquisti di una marca che amo! Ho comprato una camicia elegante, una giacca, delle maglie e delle T-shirt, e ciò mi ha reso molto felice. Riguardo ad altre cose che mi hanno emozionato recentemente, la cucina coreana di poco fa era veramente buona. Non avrei mai immaginato che sarei stato in grado di mangiare così bene in America, per cui sono veramente felice.
Q&A
D. Se adesso chiudi gli occhi, cosa vedi? Degli uccelli. Non so se siano belli o meno, ma è uno stormo che vola (ride). D. Pare che tu abbia molti amici, quali sono alcuni trucchi per stringere amicizia? Se penso che qualcuno abbia una personalità compatibile con la mia, mi avvicino di mia spontanea volontà e inizio a parlare. Quando sento che siamo sulla stessa lunghezza d’onda, spesso sono io che rendo il rapporto più profondo. D. Quale canzone dei BTS consiglieresti per alzare il morale a qualcuno? Mikrokosmos. È una canzone che ultimamente ascolto molto io stesso. D. Che caratteristiche deve avere qualcuno perché tu lo possa considerare una bella persona? Deve essere qualcuno con chiarezza mentale e che sa esprimersi bene. Qualcuno che, anche solo sentendolo parlare, faccia pensare: “Voglio seguire questa persona”. Non pensa anche lei che sia fantastico? Qualcuno esattamente come RM.
JUNGKOOK
“Personalmente, vorrei possedere un talento spiccato per qualcosa.”
C’è una parte del testo della nuova canzone, ‘Lights’, che dice: “Nessuno è perfetto”. Amo davvero questa parte. È come se mi stesse consolando dicendomi che non è un problema non essere perfetti. Spesso la gente mi complimenta sul fatto che ballo e canto benissimo, ma non è affatto vero. Mi piacerebbe eccellere in qualcosa. Ho fatto diversi tentativi nella ricerca di questo qualcosa, ma ora come ora mi sto concentrando sul fare al meglio le cose che devo fare. Nel frattempo, ascoltare questa canzone mi ha fatto realizzare che non devo essere perfetto, il che mi conforta. Ah, non sarò bravo in qualcosa nello specifico ma c’è qualcosa che proprio non riesco a fare. Usare la testa! Non ci riesco proprio (*ride*). Parlando di nuove canzoni, Boy With Luv è davvero bella. Alla fin fine, la coreografia è abbastanza semplice se paragonata a quelle delle altre canzoni dei BTS. Questo è un punto a mio favore (*ride*). È veramente difficile recuperare completamente le energie mentre si è sul palco. Io cerco inconsciamente di dare tutto me stesso quando il concerto sta per finire. Ci sono stati dei periodi in cui, il giorno dopo un concerto, non riuscivo a muovermi per i dolori muscolari. È per questo che adesso la mia priorità è quella di non farmi del male. Voglio essere in grado di tonificare e controllare di più il mio corpo… Uh, la parte di me di cui sono più sicuro? Ah… (*sorriso timido*) Mmh, mi chiedo… Non mi conosco. Farò del mio meglio per tonificare di più il mio corpo!
Q&A
D. Qual è la tua opinione sincera sul tour mondiale in corso? Nel nostro album c’è una canzone intitolata ‘Mikrokosmos’, ma (quando la cantiamo in concerto) è come vederla dal vivo. Mi ispira davvero tanto e mi riempie il cuore. Lo considero davvero un momento felice. D. Se adesso chiudi gli occhi, cosa vedi? Mi vengono in mente tante cose indistinte. Sono tutte offuscate… Come se fossi lì lì per vederle ma non riesco (*ride*). D. Qualcosa dei membri che trovi adorabile? Jimin. Si vede davvero che ama il palco dal profondo del cuore. Noi due ci capiamo molto bene sotto questo punto di vista. D. Un metodo che usi per rilassarti? Recentemente sono stato al concerto di Ariana Grande e mi sono divertito molto. Mi sono sentito incoraggiato come artista e sono riuscito a godermi la musica, per cui è stato bello! D. Che caratteristiche deve avere qualcuno perché tu lo possa considerare una bella persona? Deve essere qualcuno che ha molto da insegnare agli altri, qualcuno che io riesco a capire. E qualcuno di figo!
Traduzione a cura di Bangtan Italian Channel Subs (©Cam, ©lynch) | Trans (©kocchi)
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Tempo di legalità: mafia e letteratura
Si è appena concluso il progetto “Dopo le mafie”, nato per valorizzare e gestire in modo partecipato i beni comuni confiscati alla criminalità, ideato dall'Associazione Circola – Cultura, Diritti, Idee in movimento e sostenuto dal nostro Sistema bibliotecario, il quale ha organizzato anche, in molte biblioteche, una serie di proposte e iniziative sul tema della legalità e dei beni comuni. Eventi che si sono svolti fra marzo e maggio, e che proseguiranno in settembre.
Vogliamo inserirci in questo percorso suggerendovi la lettura di alcuni romanzi, a cominciare da Il Giorno della civetta, il primo in Italia ad affrontare l’argomento in modo assolutamente esplicito.
Il binomio mafia e letteratura ha avuto una fortunata evoluzione nel panorama letterario italiano. Partorito, analizzato e studiato da scrittori e personalità artistiche non solo della regione siciliana, ma anche da eminenti scrittori e intellettuali del centro nord, quali Calvino e Pasolini. Ecco quindi anche I vecchi e i giovani di Pirandello ed il canonico Lupi del Mastro don Gesualdo di Verga. Ma pure Il Gattopardo, di Tomasi di Lampedusa, Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti di Calvino, ripreso in Romanzi e racconti, e i Vicerè, di Federico de Roberto.
Fra le opere più recenti vi suggeriamo invece Il pianeta azzurro, di Malerba. In queste pagine si snodano, nella forma di un giallo paradossale, le trame occulte della P2 e le ramificazioni di un potere perverso e mafioso che si estende nei sotterranei della politica italiana. Al centro della narrazione la storia di un attentato con precisi riferimenti alla realtà storica del Novecento, dalla quale emerge un personaggio politico di primo piano che il lettore non tarderà a riconoscere. In Malacarne, di Calaciura, il palcoscenico è quello dei tradimenti e dei regolamenti di conti mafiosi, delle esecuzioni, delle stragi. Sembra di riconoscere profili noti, le cronache dure dell'attualità. Vi suggeriamo poi il bellissimo Ciò che inferno non è di Alessandro D'avenia sulla storia di don Pino Puglisi, assassinato perché, educandoli, sottraeva alla mafia i ragazzi del quartiere Brancaccio a Palermo.
Fra i numerosi autori che si sono cimentati con questa tematica ricordiamo anche Vincenzo Consolo, Gesualdo Bufalino ed il celeberrimo Roberto Saviano con i suoi Gomorra e La paranza dei bambini Ma anche Gianrico Carofiglio che, in L'estate fredda, ci porta all'estate del 1992, in una Bari costretta a fare i conti con una guerra di mafia in una situazione sempre più tesa.
Non possiamo poi dimenticare il mitico commissario Montalbano, di Andrea Camilleri, anche se questi si inserisce nel nostro percorso in modo atipico: nelle opere di Camilleri, infatti, il mafioso non è mai al centro delle indagini. Ciò per espressa volontà del suo ideatore, che ha dichiarato apertamente di non voler contribuire al consolidamento del mito della mafia. «Vuoi o non vuoi, il romanzo finisce col nobilitare anche i personaggi più indegni», ha scritto o fatto scrivere più volte Camilleri.
Nei suoi romanzi – ne citiamo tre solo per brevità: Un mese con Montalbano, Una voce di notte, La voce del violino - dunque, la mafia, impersonata dai Sinagra e dai Cuffaro, finisce per restare sullo sfondo senza invadere la scena, che resta appannaggio di una realtà popolata da uomini e donne portatori di tutto il bello e il brutto che ci circonda: piccoli miserabili, esplosioni di grande generosità e amore, rapporti familiari commoventi e a volte malati.
Vogliamo salutarvi con il pensiero di Giovanni Falcone, e con due opere dedicate alla sua vita: Per questo mi chiamo Giovanni, di Luigi Garlando - un testo che, seppur in forma romanzesca, permette a bambini e ragazzi di conoscerne l'impegno e la lotta – e Giovanni Falcone, dell'editore BeccoGiallo, che persegue la divulgazione e la conoscenza di tematiche di forte interesse sociale e storico con una bella collana a fumetti.
Il problema della mafia, sosteneva Falcone – autore del primo manuale per capire la mafia: Cose di Cosa Nostra - sarebbe risolvibile se non fosse aggravato e amplificato dalla mafiosità, cioè da quella cultura, o sottocultura come si preferisce, che diffonde e afferma un modo di pensare e di vivere capace di giustificare tutto e persino di accettare il capovolgimento delle logiche e delle regole del vivere civile.
Ma può davvero qualcuno di noi, italiani di qualsiasi regione, dire che questa mafiosità appartiene solo al suolo di Sicilia?
#PERCORSIDILETTURA#mafia#giovannifalcone#Andrea Camilleri#Montalbano#legalità#gianrico carofiglio#roberto saviano
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Le piccole memorie
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Le piccole memorie by José Saramago
Le piccole memorie. Sì, le memorie di quando ero piccolo, semplicemente. Ecco ciò che sono questi ricordi dell'infanzia e dell'adolescenza, nelle parole del grande scrittore portoghese. Saramago torna indietro nel tempo perché vuole farci conoscere da dove viene l'uomo in cui si è trasformato: come un commosso racconto davanti a un focolare più che un'autobiografia. Dal paese di Azinhaga, nel Ribatejo, fino ai primi anni nei quartieri popolari di Lisbona, è un Saramgo intimo e personalissimo quello che ricorda persone e luoghi di un tempo passato. Sono storie familiari, ora allegre ora commoventi, sui primi quindici anni di vita dello scrittore, ma anche la fonte di ispirazione dei suoi futuri romanzi.
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Claude Simon, il più maltrattato dei Nobel. “Un cavaliere dell’Apocalisse senza Dio che viene a dirti il fallimento di tutte le utopie”
La parola Nobel confina con quell’altra, oblio. In effetti, si premia qualcuno perché da quel momento se ne possa fare felicemente a meno.
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Di lui mi piacevano tre cose. Anche quattro. Il luogo dov’è nato. Altrove. Atananarivo, in Madagascar. Il nome della metropoli sembra squittio di fiume. Il viso, poi. Squadrato, ruvido. Non da letterato. In effetti, faceva il viticoltore, a Roussillon, sui Pirenei, un luogo possente, dove la morte si coagula in massi sul mare. Prima, irreggimentato tra i ‘dragoni’, era stato imprigionato dai nazi – poi è scappato di gabbia, si è affiliato ai resistenti. Prima ancora aveva fatto la Guerra di Spagna, andava di moda, tra i repubblicani. Ma mi piaceva – per così dire, per affinità biografica – quell’altra cosa. Il padre che muore a Verdun, Prima guerra, nella tarda estate del 1914. Il figlio non ha neanche un anno. Nel 1925, falciata dal cancro, muore la madre. Lui ha 12 anni. Questo doppio espatrio mi affascinava: sradicato dalla Francia, dai genitori. Un uomo senza genealogia – meglio, e sarà utile a decrittarne lo stile: senza una grammatica della parentela. Poi c’è il quarto motivo – che è poi un ulteriore espatrio. Quando gli danno il Nobel per la letteratura, nel 1985, gli urlano contro. Lui di anni, allora, ne ha 72, e vivrà ancora a lungo, fino al 2005, ruvido e pimpante. E gli urlano addosso.
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“Il 17 ottobre 1985 la Francia, sorpresa, apprende il nome del vincitore del Nobel per la letteratura. Claude Simon. Chi? Simon. Ma dove abita? L’hai mai letto? No. Certo, è irragionevole, dopo Sartre e Camus… Nel suo Discorso di Stoccolma Simon ironizza sullo sgomento della critica francese e americana. Allo sbigottimento, seguirà la reazione, violenta. Claude Simon? Illeggibile, dicono alcuni. E il suo messaggio morale? Introvabile. Il mostro del nouveau roman che uccide la letteratura. Una provocazione, un complotto. In realtà, il tempo ha dimostrato quanto l’autore de La strada delle Fiandre sia diverso dai suoi contemporanei. Gli effetti di Robbe-Grillet invecchiano rapidamente, l’enfasi di Marguerite Duras si è attenuata con la fine del lungo regno di Mitterrand, i nodi psicologici di Nathalie Sarraute si disfano, il rigore scheletrico di Beckett resiste, ma sul palco. Come mai? Perché in Simon la presenza della Storia è fisica, la sua narrazione è crudele e lirica. Faulkner? Certo, ma anche Conrad, Proust, Céline… Simon è un cavaliere dell’Apocalisse senza Dio che viene a dirti con una profusione di dettagli il fallimento di tutte le utopie, il fallimento dell’umanesimo. Simon è intrattabile, inarginabile, marginale, ‘maiale nero nato da una pecora nera’, si dice. È anarchico, sensibile, viscerale”. Così Philippe Sollers, su le Nouvel Observateur, era il 2006, Claude Simon era già pappa per bisce della terra, Gallimard era uscito con il primo tomo delle Oeuvres, in quarta si paragonavano i suoi romanzi a quelli di Balzac, “la forma si rinnova di romanzo in romanzo… l’opera di Simon è una delle più commoventi del nostro tempo”. Eppure, c’era ancora bisogno di difenderlo, Simon, pure da morto. La foto-tessera sui due tomi Gallimard: sempre quel viso brusco, agricolo, anti-letterato.
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L’altitudine letteraria di Simon. “Non dimostrare più: mostrare. Non riprodurre più: produrre. Non esprimere più: scoprire”. Il primo romanzo, Le Tricheur, poco dopo la guerra, nel 1945, per le preziose Éditions du Sagittaire, legate ai surrealisti. Nel 1967, con Histoire, vince il Prix Médicis; da dieci anni – con Le Vent – Simon pubblica con le Éditions de Minuit. Simon prosegue, con instancabile rigore, contadino, a dissodare il genere romanzo, fino a vortici che in troppi snobbano come biecamente ‘sperimentali’. In realtà, Simon è in adorazione di Proust e di Faulkner, ma trascina quei dettami nell’era atomica, li fa esplodere. Si pone, in fondo, la domanda fondamentale: come posso dire, ora, la realtà? Alterare la formula della forma e quella del linguaggio – sbobinando le grammatiche – è il compito dello scrittore.
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Da ragazzo, con foga certamente snob, andavo in giro con La battaglia di Farsalo nella tasca della giacca. Pubblicato in Francia nel 1969, per Einaudi nel 1987, è uno dei libri estremi di Simon. Un frammento dal De bello civili di Cesare scatena il forsennato patchwork tra eventi dell’oggi, del passato, con esaltazione registica di quisquiglie quotidiane. Simon mantiene una lingua corrusca, epica, che s’aggroviglia, però, al delirio contemporaneo – “quel personaggio ponderabile e severo contempla il campo di battaglia di Farsalo con quegli occhi dalle pupille scavate nel bronzo, freddo, ambizioso e conciso… là, sulla pietrosa collina di Tessaglia, emanazione paradossale e anacronistica di un passato da cui tornavano a ondate gli effluvi bisunti dei biglietti di banca mischiati ai profumi melensi usati dalle vecchie signore e al puzzo d’incenso sullo sfondo sonoro di litanie, suppliche, e all’ossessionante cigolio delle carrozzine per invalidi”. Un lungo saggio di Guido Neri, in calce al libro, Il romanzo come intersezione, assegnava all’autore il volgare valore del ‘classico’.
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Ovvio: se vuoi dilettarti, se vuoi spassartela, non leggere Claude Simon. (Come se dicessi: se prediligi Raffaello, non andare a una mostra di Francis Bacon. Solo che nell’ambito artistico è tutto più chiaro: chi si mette, oggi, a rifare Raffaello – o i preraffaelliti – se l’imitazione è peggio dell’originale? In letteratura, invece, la cattiva imitazione del romanzo ottocentesco vince). Inattuale, solitario, Claude Simon – più prossimo, per intenderci, a Julien Gracq, un genio, che ai granatieri del Nouveau Roman – chiede lo scombinamento delle proprie convinzioni estetiche. Un libro più abbordabile, decisamente, è L’acacia, dove allo tsunami cronologico – si alternano le navate del tempo, tra 1880 e 1982, raspando nell’autobiografia dell’autore – si fa fronte con una scrittura marmorea, verticale. (Esempio: “Era il periodo in cui l’estate incomincia a ritirarsi, a precipitare, a crollare per così dire sotto il suo stesso peso, con quella sua pesante e inesorabile sfinitezza, e quell’anno, a mano a mano che le giornate si accorciavano, che le sere si portavano dietro un po’ più di quella nostalgica frustrazione della luce e che la calura di attenuava gradatamente, lasciando dietro di sé – l’estate – quella cosa mostruosa di cui si era gonfiata, che aveva portato a termine come una donna incinta, con quello stesso stupore, quello stesso ebete orgoglio, sgravandosene al suono delle trombe e degli schiamazzi da ubriachi, pronta già ad abbandonarla, inorridita, per ritrovarla un anno più tardi, diventata adulta, coperta di fango e tramutata a sua volta in fango, sepolta viva fino al collo o a marcire sotto il sole ritornato in un fetore di escrementi, di purulenza e di carogne in decomposizione”). Le ossessioni di Simon – la morte del padre, la scrittura melmosa, magmatica, a spirali – trovano qui un disinvolto punto di statura, di sutura.
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Pubblicato in estro da Gruppo 63 – nel 1962, per Einaudi, esce La strada delle Fiandre, nel 1965 è l’ora de Il palace; nel 1975 è Nanni Balestrini, sempre per Einaudi, a tradurre Trittico –, Claude Simon, a poco a poco, esce dall’orbita dell’editoria nazionale. L’acacia, appunto, è pubblico per Einaudi nel 1994. Il resto è l’iniziativa sporadica di piccoli editori: Lavieri nel 2012 pubblica Le georgiche; nel 2014 e nel 2015 l’editore Nonostante recupera L’erba e Il tram. Nel 2015 Neri Pozza ripubblica La strada delle Fiandre: la frase lapidaria di Franco Cordelli in quarta (“Dopo la morte di Thomas Bernhard, lo stilista maggiore”) non evita al romanzo di finire quasi subito fuori catalogo.
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Viene da pensare che per i romanzi anomali non siamo attrezzati. Lo sperimentalismo – che significa: la riflessione formale, la lotta, il massacro del linguaggio – lo lasciamo tutto a Gadda (sia lode), alle clownerie di Manganelli (sia lode), il resto ci suona al palato un poco rancido (chessò: i romanzi di Edoardo Sanguineti e di Antonio Porta). D’altronde, chi si avvia verso cabbale formali notevoli – cito a caso: Davide Orecchio, Riccardo Corsi, Andrea Zandomeneghi – sta, con fierezza, ai margini del noto. Tra gli ultimissimi premi Nobel – macchissenefrega del Nobel – nessuno è stato trattato così male come Claude Simon, in esilio dai marchi editoriali che contano, dagli scaffali dove impera l’ovvio. Forse è invecchiato lui, forse non ne siamo degni noi. La propensione intellettuale, selvatica, non ci piace – tanto meno l’aristocrazia della forma. (d.b.)
*In copertina: Claude Simon (1913-2005) nel 1981; nel 1985 è onorato con il Nobel per la letteratura
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Sabato 31 marzo ha preso il via Spritz con gli autori, una simpatica iniziativa ideata e promossa da Isabella Borghese presso la libreria Sinestetica, che sarà replicata sabato 14 aprile con Massimo Torre e Luca Ricci, rispettivamente autori di La dora dei miei sogni (Giulio Perrone Editore) e Gli autunnali (La nave di Teseo).
Sorseggiando uno spritz, Isabella Borghese ha presentato Romana Petri e Nadia Terranova e ha chiacchierato con loro cercando di scoprire dettagli e particolari sulle loro modalità di scrittura e sui loro luoghi di ispirazione. Poi la parola è passata a Giulia Peci, del gruppo Leggo Letteratura Contemporanea, che ha presentato Il mio cane del Klondike, appena pubblicato da Neri Pozza. Nadia Terranova, di cui uscirà a ottobre il nuovo romanzo sempre per Einaudi, è stata, invece, raccontata da Simona Mangiapelo dell’Associazione Culturale Caffè Corretto che ha commentato Gli anni al contrario.
È stata una mattinata frizzante e coinvolgente dove si è parlato di libri e di scrittura, dove si è riso e sorriso in un’atmosfera rilassata, con Isabella Borghese che ha dettato i tempi e ha rotto gli indugi chiedendo a Romana e Nadia di raccontare il loro esordio letterario.
“Come ho cominciato?” Nadia Terranova ci pensa un attimo e poi inizia a raccontare: “Sono arrivata a Roma 15 anni fa per frequentare un corso di editoria dopo essermi laureata in filosofia. Volevo scrivere ma sapevo di dovermi fare le ossa e sentivo che mi avrebbe aiutato di più studiare editoria che non scrittura creativa. La mia palestra è stata scrivere le bandelle, le quarte di copertina, perché ho capito che il magma di un libro doveva essere narrabile e seducente. Mi sembrava come quando da piccola scrivevo le lettere a mio padre, che non viveva più con me essendosi separato da mia madre, e dovevo scegliere i fatti salienti della settimana per renderli divertenti e commoventi. Dopo aver imparato tantissimo, sono andata via, ho preso un dottorato, ho fatto altri lavori e mi sono presa un paio d’anni sabbatici per scrivere e pubblicare Gli anni al contrario. Essendo un esordiente, Einaudi mi ha parcheggiata per 5 anni e io, in attesa che venisse pubblicato, ho scritto dei libri per ragazzi perché dovevo sfogare la mia voce narrativa che ormai premeva per esprimersi. Ora scrivo indistintamente per adulti e per ragazzi, dipende dal destinatario che mi viene in mente quando immagino una storia”.
Gli inizi di Romana Petri sono invece molto diversi: “Avevo 22 anni e non sapevo a chi far leggere i miei scritti fino a quando mia madre mi consigliò di proporli al mio scrittore preferito e cosi feci. Contattai Giorgio Manganelli, dopo aver trovato il suo numero sull’elenco telefonico e dopo tre settimane mi chiamò: Signora Pezzetta (ancora non avevo un nome d’arte, chiarisce) lei ha scritto un gran bel libro e vorrei incontrarla. Mi prese un collasso a sentire che Manganelli in persona, il mio idolo letterario, si complimentava con me. Mi armai di coraggio e andai a casa sua. Lui era seduto su una specie di trono mentre io ero in basso, ma non mi sono scoraggiata e dopo aver superato a pieni voti un vero e proprio interrogatorio sulla letteratura inglese, mi disse che avrebbe proposto il libro alla Rizzoli. Poi passarono forse due anni di silenzi, fino a quando finalmente squillò il telefono, inizialmente non capii cosa diceva il tizio dall’altra parte del telefono, poi lentamente realizzai che quello che parlava era un agente letterario e mi stava proponendo un contratto. È iniziata cosi. Poi purtroppo Manganelli scrisse una recensione meravigliosa che segnò il mio destino. Fece il mio nome insieme a quello di Michele Mari definendoci le due promesse della letteratura italiana e mi ha fregato… perché mi sono sposata proprio con Mari”.
Isabella Borghese incalza e chiede a Nadia e a Romana se quando scrivono hanno delle abitudini particolari, magari come Balzac che non poteva fare a meno di bere 50 tazze di caffè al giorno o Schiller che doveva avere un cesto di mele marce sotto la scrivania o come Hugo che scriveva nudo con i vestiti chiusi a chiave nell’armadio per non avere la tentazione di uscire. Ridendo, Romana Petri ci assicura che lei scrive assolutamente vestita perché ha sempre freddo e anche con 40 gradi deve avere lo stomaco coperto. Ma svela di avere un’abitudine particolare: “Quando finisco di scrivere un libro segno il giorno, il mese, l’anno, l’ora e i minuti della prima stesura. Se il numero che esce non mi piace resto inquieta perché ho una certa ossessione per i numeri. Per il resto, giuro, di essere una persona molto normale. Mi dedico alla scrittura creativa quando non lavoro e io lavoro come una pazza, perché questo non è uno sport da signorine”.
Nadia ribatte e confessa di vivere da anni su una poltrona viola e spera di concludere i suoi libri in posti suggestivi. “Sono con la stessa persona da 15 anni e la relazione non finisce perché lui mi fa scrivere e non mi disturba mai. La mia casa è molto piccola, ho provato a scrivere a letto, alla scrivania, mentre cucino, ma solo quando mi sono costruita il mio angolo con la poltrona viola, ho capito di aver trovato il mio posto. La mia scrivania è il computer sulle ginocchia; il mio studio è la libreria che mi fa angolo e mi circonda. Quando non sono a casa, scrivo in albergo e in treno. Ho finito la prima stesura del prossimo romanzo, che uscirà a ottobre per Einaudi, in treno, mio malgrado, perché speravo di finirlo sulla mia poltrona o davanti al Partenone dove sono stata per il mio compleanno, ma purtroppo non è andata cosi: l’ho finito sulle rotaie, entrando in stazione”.
Romana racconta invece di come ha perso il suo studio a casa, piccolo e umido ma pur sempre suo. Il fattaccio è accaduto quel giorno in cui “mio figlio è tornato a casa con due piccioni senza piume, in fin di vita, che non solo sono sopravvissuti, ma hanno preso possesso dello studio. Cosí mi sono trasferita in camera da letto, anzi proprio nel letto, circondata da cuscini. Ora i piccioni sono volati via ma non so se tornerò nel mio studio, forse quando casa sarà ripulita, ma non ne sono sicura. Mi trovo bene a letto tra i cuscini, mi auto-coccolo e ho la mia routine di scrittura: la mattina mi alzo, bevo il caffè, faccio colazione e poi mi rimetto a letto e inizio a scrivere. Vivo con pezzi di carta ovunque, dove fermo le idee che mi vengono e spesso scrivo al buio durante la notte, mentre cerco di dormire, e poi la mattina decifro con molta fatica quello che ho scritto con una scrittura da medium. Quando scrivo un romanzo ho invece un metodo collaudato: scrivo, lo rileggo e poi lo abbandono per almeno un anno. Quando lo riprendo, deve essere ormai lontano da me, tanto da averlo quasi dimenticato, cosí da non ricordarmi alcuni passi e poter iniziare a fare l’editing, indispensabile ma per niente piacevole”.
Nadia scrive anche in biblioteca, dove va “quando sento che al libro manca aria, lo porto a fare una passeggiata come fosse il mio cagnolino. Quando vado a Messina mi porto il computer ma non scrivo neanche una riga. Poi torno a Roma e inizio a scrivere romanzi che sono sempre ambientati a Messina. È come se tornassi a casa per saccheggiare i ricordi, e una volta a Roma apro il bottino e inizio a scrivere”.
Ma scrivere per voi è un mestiere, chiede Isabella Borghese?
Con la consueta e affascinante impulsività Romana non fa finire la domanda che subito risponde: “Un mestiere c’è quando sei pagata a fine mese. Sarebbe molto bello poter vivere di scrittura e in parte ci vivo perché scrivo anche articoli, faccio delle traduzioni, insegno letteratura, ma sarebbe un’altra cosa potersi dedicare esclusivamente alla lettura e alla scrittura. Oggi siamo inondati di libri, ma pochi sono quelli validi. Siamo di fronte a un ossimoro pazzesco: tutti vogliono scrivere, ma nessuno vuole leggere e quindi inevitabilmente i risultati sono mediocri. Bisognerebbe frequentare più corsi di lettura che di scrittura. Come si può prescindere da alcune letture, come Don Chisciotte, Oblomov, come puoi scrivere se non ami leggere? Ecco perché spesso si leggono cose banali che con la letteratura non hanno nulla in comune. La letteratura è altro dalla vita reale, deve essere qualcosa che quando la leggi vai da un’altra parte, perché se rimani qui è inutile quel libro”.
Nadia Terranova interviene con la sua dolcezza siciliana, perché tra le altre cose tiene anche corsi di scrittura e si dice d’accordo con Romana: “anche io vivo di scrittura ma non esclusivamente di romanzi. Mi occupo anche di cose collaterali come le collaborazioni con i giornali e i corsi di scrittura a proposito dei quali, come giustamente dice Romana, spingo molto sull’importanza del leggere che non prescinde dallo scrivere. Bombardo gli aspiranti scrittori di consigli di lettura, assegno compiti e dissemino libri, perché è impossibile scrivere se non si ha un orizzonte in cui anche solo idealmente collocarsi. Quando scrivo sento l’obbligo di sapere che sto compiendo un gesto che prima di me ha compiuto Dostojevski, Steinbeck… io devo pormi l’obiettivo di essere alla loro altezza, poi non ci riuscirò, scriverò magari dei libri mediocri, ma l’importante è tenere alta l’asticella. Non posso scrivere la prima cosa che mi viene in mente, quella non è letteratura, gli scivoloni non sono ammessi, come le frasi scontate e banali…Lo scrittore deve fermarsi e pensare che magari c’è un altro modo di dire una cosa senza essere scontati e che è proprio quell’altro modo di dirla che rende un testo letterario, senza arrivare al virtuosismo. Per esempio la poesia italiana del ‘900 è per lo più scritta con parole di uso comune ma poste in un contesto altro che quando le leggi capisci di non aver pensato a quel verbo o a quella parola in quei termini. Non deve essere la ricerca dell’originalità a tutti i costi, ma neanche la fiera della banalità”.
E la Petri rincara il concetto: “Tabucchi per esempio aveva il dono del togliere, del non detto, usava parole semplici che creavano la magia, che procuravano quello strappo nelle viscere che fa la grande narrativa.
E quindi come scegliete i libri contemporanei da leggere, considerando che ogni giorno gli scaffali delle librerie si riempiono di testi?
Nadia confessa di aver escogitato un trucco: “cerco di non farmi influenzare dalle conoscenze, perché spesso ai festival si incontrano gli scrittori e non sono sempre incontri piacevoli. Allora cerco di scindere perché molti mi sono antipatici e quindi finirei per non leggerli preferendo solo libri di persone gentili e carine, ma spesso le due cose non coincidono. Se si scrive per rivelare un segreto nascosto, per raccontare una parte di noi intima, allora quella voce non coincide sempre con quella persona e smontando questo pregiudizio ho avuto delle belle sorprese, ho letto libri molto belli scritti da persone che nella vita non frequenterei mai. Inoltre mi sforzo di trattare i contemporanei come classici e viceversa, con un classico mi piace capire cosa ci sta dando ancora oggi e faccio lo stesso con un contemporaneo.
Romana Petri invece non ci rivela alcun criterio di scelta ma come un simpatico ciclone passa direttamente e senza indugi a consigliare L’estate del ’78 di Roberto Alajmo e David Machado (autore tra l’altro di Indice medio di felicità) di cui sta leggendo, in portoghese, il suo ultimo romanzo Sottopelle, sperando di riuscire a farlo pubblicare in Italia.
A questo punto Isabella Borghese si vede costretta a interrompere la chiacchierata per motivi di tempo, ma il dispiacere viene subito compensato dall’intervento di Giulia Peci del gruppo Leggo Letteratura Contemporanea.
“Sono felice di aver letto Il mio cane del Klondike di Romana Petri. Non mi sono voluta far influenzare dalla rete e condizionare dalle recensioni e ho deciso di non leggere niente che ne parlasse . Quindi quando ho aperto il libro non avevo idea di cosa avrei trovato. Ammetto che mi ha emozionata tantissimo, l’ho sentito molto vicino, perché è un libro carico di emozioni. La storia racconta il salvataggio di un cane e di un riconoscimento tra un cane e una donna: lei lo incontra per caso davanti alla scuola dove insegna, lui è in fin di vita e lei decide di salvarlo. In un momento storico in cui soccorrere viene considerato un crimine, questo elemento rende questo libro estremamente attuale, perché il cane del romanzo è in un certo senso un immigrato con problemi d’integrazione. È lui il vero protagonista, è l’unico non a caso che ha un nome, Osac, e un cognome e ha una voce tutta sua. Osac è l’anagramma di caos e di caso e questo dice tanto sul personaggio. Tra Osac e la donna nasce un fortissimo rapporto d’amore, esclusivo, totalizzante e travolgente, forse anche esagerato, e l’evolversi di questa storia permette alla salvatrice di fare una serie di riflessioni sui sentimenti, sulla vita e su quello che accadrà. È un libro sull’abbandono, ma anche sulla maternità e su come questa cambia il rapporto tra i due.
“I cani sanno amare, lo sanno fare in modo coraggioso, buono e disinteressato ed è per questo che non si trasformeranno mai, come è successo a Pinocchio, in esseri umani veri.”(Il mo cane del Klondike, ed. Neri Pozza)
È anche un libro di ricordi, e di affetti che perdurano nel tempo, a dispetto della perdita di una persona che rimane talmente presente nel nostro cuore da essere a tutti gli effetti viva.
Talvolta ci si innamora degli uomini sbagliati, tutti ci avvisano che ci farà del male, che sarebbe meglio lasciarlo perdere ma spesso noi donne abbiamo la sindrome da crocerossina e ci immoliamo. È quello che accade alla protagonista umana del libro, capisce subito che sarà un cane difficile, inizialmente vuole salvarlo per poi darlo a qualcun altro, anche il veterinario la mette in guardia, ma sarà travolta da un amore travolgente per un cane travolgente che le sconvolgerà la vita e per il quale sarà pronta a rinunciare anche alle relazioni sociali. È un cane difficile da gestire, un bipolare, un malato psichico.
“Allora ci guardavamo, e insieme recitavamo la miracolosa frase: io sono le mie paure, e dunque non posso avere paura di me. Continuo a usarla ancora, e ogni volta mi ricordo di lui, deluso temperamento d’assalto che nascondeva pero delle paure antiche, contro le quali gli tocco combattere per la vita intera. Cose sue profonde, dell’anima, ferite che, per quanto mi abbia raccontato nel suo lapidario linguaggio in cui le y venivano usate al posto di tutte e cinque le vocali, rimasero per mucosa mai sapute per intero. intuite, certo, a volte addirittura sentite mie, per quanto mi turbavano tutti suoi tormenti”.
Questo libro è un potente concentrato di emozioni e sentimenti diversi: dalla paura dell’abbandono a ciò che prova una donna scoprendo per la prima volta sulla propria pelle la maternità, per arrivare a tutti quegli affetti profondi che spesso ci legano a dei nostri cari scomparsi da anni, siano costoro esseri umani o “disumani”. C’è un’immagine a tal proposito che ho molto amato, ed è quella di “rimestare con un cucchiaio nel proprio cuore per far spazio a tutti i propri affetti … dividendoli e moltiplicandoli”. Inoltre ha una prosa coinvolgente, attenta alle parole e alle lingue in generale, persino a quella del cane, cui alla fine è dedicato addirittura un omaggio .. particolare. Mi ha molto colpito la riflessione che fai sul linguaggio, che è diverso per ognuno di noi, anzi per ogni creatura vivente e che bisogna solo saperlo interpretare per imparare a relazionarsi, usandone uno che sia comprensibile a entrambi. È cosi Romana?
Si, ho inventato un linguaggio gutturale per dare voce a Osac, perché a lui non manca la parola, bisogna solo aver voglia di capirla e non a caso Osac arriva dopo il ciclone (Le serenate del ciclone, Neri Pozza), perché sono stati due i cicloni della mia vita. Ho scritto questo romanzo perché Osac è fascino puro. Quando ci portiamo a casa un animale ci portiamo dentro la natura, basta pensare a un gatto che salta senza fare rumore sulla spalliera e sta con una zampa ciondoloni, lo guardi e vedi la savana. Osac mi è entrato dentro casa e mi ha portato mezzo Klondike e in questo romanzo, che è un esplicito omaggio a Il richiamo della foresta (di Jack London – ndr) io mi sono identificata con Osac, non con la donna che lo salva. Alcuni hanno criticato la fine, ma io credo che i libri che consolano siano spesso da buttare, mentre i libri che danno inquietudine sono da conservare. È un libro che parla di inquietudine, ma c’è anche tanto amore e alla fine tutto si ricompone. Come nella vita, che se ci fermiamo alla baionetta che abbiamo davanti agli occhi, non comprendiamo la battaglia, per parafrasare Stendhal.
È ora il turno di Simona Mangiapelo (autrice del romanzo Di nessuno, Alter Ego edizioni) dell’Associazione culturale caffè corretto che introduce Gli anni al contrario al pubblico in sala per poi porre alla scrittrice alcune domande sul testo.
Questo libro arriva al cuore, chiarisce subito Simona Mangiapelo, anche se in alcuni punti fa male, e la scelta narrativa è puntuale, sai trovare la parola giusta per imprimerti nel cuore e nel ricordi di chi ti legge e proprio per questo ho avuto difficoltà a scegliere solo pochi brani per oggi. I protagonisti sono due ragazzi, Aurora e Giovanni, così determinati a prendere le distanze dai loro genitori al punto da non capire cosa davvero vogliono per loro stessi. S’incontrano e s’innamorano. Nel giorno del ritrovamento del corpo senza vita di Aldo Moro e di quello di Peppino Impastato nasce la figlia di Aurora e Giovanni. Si avvicinano lentamente e grazie alla struttura delle pagine lentamente e inesorabilmente si allontanano. Giovanni è tormentato, si sente parte dell’importante movimento storico che vive, ha un’ansia cieca di rivoluzione che si rivela distruttiva e lo porta fino a far uso di eroina. In questo romanzo c’e la lotta armata degli anni settanta, la piaga dell’eroina e il dramma di due persone che vivono insieme, ma che possono essere lontane e profondamente sole.
“Nessuno dei due aveva il coraggio di ammettere la solitudine. La casa, per quanto in miniatura, certi giorni sembrava fin troppo grande e vuota. Si specializzarono in silenzi opportuni, divennero complici e conniventi. Una sera si sedette accanto al marito con una siringa in mano: Non abbiamo mai fatto niente insieme…” (Gli anni al contrario, Einaudi)
Simona Mangiapelo chiede a Nadia Terranova da quale desiderio narrativo è nata questa storia?
“È sempre difficile parlare di questo libro senza parlare del finale, non lo farò neanche oggi, ma è nell’ultima pagina che è depositata la mia necessità di scrivere questa storia. Non è un romanzo autobiografico o biografico, anche se i due protagonisti raccontano i miei genitori e io sono Mara che, per una distorsione narrativa, nasce il 9 maggio. Dopo aver compiuto un lungo percorso personale, per accettare la storia tormentata di Giovanni che si interrompe nel 1989, quando io ero una bambina, ho sentito il bisogno di raccontare la storia di quest’uomo, per liberarla dal tabù di silenzio assoluto che vigeva a casa mia. Mi interessava portare in salvo il destino di Giovanni e capire cosa aveva portato nella mia vita e con chi si confondeva, con quante storie comuni in quel decennio cosi particolare. Mi sono documentata su quegli anni, ma non avevo intenzione di scrivere un romanzo storico, e non volevo dare una parola decisiva. Volevo solo raccontare la storia di una persona che era uno tra tanti, uno come tanti, uno di quelli che, se fosse sopravvissuto, a distanza di anni avrebbe detto, con forte senso di appartenenza, quella è la mia generazione. Un desiderio di appartenenza che noi non abbiamo, ma che per lui rappresentava quell’immaginario che aveva condizionato profondamente le sue scelte private. Se fosse vissuto a Roma avrebbe fatto politica, ma invece viveva a Messina e quello che accadeva in Italia lo viveva in modo sconvolgente per la sua vita privata. Era un’epoca in cui la messa in gioco era personale, fisica direi, anche se Aurora e Giovanni non fanno nulla di eroico. Questa è la cifra dell’anti-eroismo di Giovanni, il contrario di quello che accade ne La Meglio gioventù (film di Marco Tullio Giordana – ndr) dove i protagonisti sono persone comuni, ma sempre in prima linea. I protagonisti de Gli anni al contrario agiscono invece per sottrazione, per quello che non riescono a fare, ma a cui sentono di appartenere. Nelle domande che mi sono fatta scrivendo, mi sono chiesta quando far iniziare la storia di Giovanni. Con la tossicodipendenza, con la malattia, con la decisione di fare politica? Ho deciso di far cominciare la storia con il concepimento di Giovanni, perché tutto nasceva da quel momento. Nato dieci anni dopo gli altri fratelli, ha fin da subito un marchio addosso di differenza e di costante ritardo, per cui Giovanni sa di essere nato per sbaglio, di essere l’ultimo e proprio per questo ha l’esigenza di afferrare qualcosa, ma di non riuscirci.
Cara Aurora… non abbiamo mai usato lo stesso dizionario, parole uguali, significati diversi. Dicevamo famiglia, io pensavo a costruire e tu a circoscrivere. Dicevamo politica, io ero entusiasta e tu diffidente. Io combattevo, tu ti rifugiavi. Se non ci fosse stata Mara ci saremmo persi subito…(Gli anni al contrario, Einaudi)
Una volta hai detto: I grandi non sono che bambini sopravvissuti, e ho pensato a Mara che sembra dirci che malgrado un passato ingombrante e tormentato, nonostante due genitori senza gli strumenti per crescerla, Mara sopravvive malgrado tutto ciò. È questo il messaggio che volevi dare?
“Sì, mi accorgo che sono ossessionata dai sopravvissuti e dal sopravvivere. Infatti il prossimo romanzo è dedicato proprio a loro, perché credo che ognuno di noi lo sia, non c’è nessuno che possa ritenersi immune da questa definizione. Nello scrivere il nuovo libro avevo la tentazione di dedicarlo a qualcuno che non c’è più ma poi ho realizzato che quello che facciamo è sempre dedicato a qualcuno che non è più con noi. La letteratura serve anche a tenere in piedi i fantasmi, a chiamarli vicino, a farli vivere intorno alla poltrona viola, ma poi la storia è letta da chi vive e da chi cerca continuamente un senso per esserci. Io ho vissuto la prima parte della mia vita segnata dal non avere più un padre, dall’averlo visto andare via molto presto, quando è morto era più giovane di me adesso e quindi ogni anno della mia vita, ancora di più dopo aver compiuto 37 anni, è un anno da sopravvissuta. Nella prima parte della vita viviamo in una dimensione mitica, soprattutto noi che siamo cresciuti senza Internet e il mio collegamento con il mondo erano i libri, Diventavo di volta in volta Il richiamo della foresta, Delitto e castigo e tutto quello che leggevo. Ero felice di questa immersione in altri mondi. Non a caso il mio scrittore preferito è Bruno Schulz perché racconta un’infanzia mitica ma non mitizzata e neanche non idealizzata perché l’infanzia è anche un luogo terribile, dove tutto succede in modo atroce, anche perché tutto quello che ci succede, accade per la prima volta: la perdita, la morte di qualcuno, l’abbandono, la paura dell’abbandono, l’amore, il perdersi. Per un bambino è molto importante la prima volta in cui si perde, è quasi una tappa di passaggio della crescita, sia per il figlio che per la madre. Quindi si, credo proprio che tutta la letteratura sia di chi sopravvive, tanto che alla fine di ogni libro potrebbe esserci la frase “sono sopravvissuto per raccontarlo”.
E noi siamo sopravvissuti per leggerlo sottolinea Giulia Peci, un attimo prima che questa splendida iniziativa termini.
Il prossimo appuntamento è per il 14 aprile alle 10 presso la libreria Sintetica con Isabella Borghese, Massimo Torre e Luca Ricci. A presto
Spritz con gli autori: Romana Petri e Nadia Terranova si raccontano e ci raccontano Sabato 31 marzo ha preso il via Spritz con gli autori, una simpatica iniziativa ideata e promossa da Isabella Borghese presso la libreria Sinestetica, che sarà replicata sabato 14 aprile con Massimo Torre e Luca Ricci, rispettivamente autori di La dora dei miei sogni (Giulio Perrone Editore) e Gli autunnali (La nave di Teseo).
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Il grande inverno – Kristin Hannah. Recensione di Alessandria today
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🇬🇧 Happy release day to #FromSandAndAshby Amy Harmon italian edition! This is one of my fav book ever and I can't wait to get it signed this June at Rare Rome. Now my mission is to get the italian edition! 🇮🇹 Da oggi in libreria - digitali e non - il romanzo storico di Amy Harmon, uno dei romanzi più romantici e commoventi mai ambientato in Italia durante la II Guerra Mondiale. Sul blog trovate la mia recensione (link in bio). Questa in foto è l'edizione inglese ma non vedo l'ora di poter aggiungere in libreria ancbe quella italiana, #IlSegretodiEva edita @newtoncomptoneditori #NewtonCompton #ioleggo #bookstagram #booklover #bookdragon #libribelli #libri #romanzi #tdl #bookporn #amyharmon #rarerome #rare18 #historicalfiction #ww2
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L'estate in cui imparammo a volare – Kristin Hannah. Recensione di Alessandria today
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Un treno per Varsavia di Gwen Edelman: Un viaggio nella memoria e nell’amore. Recensione di Alessandria today
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Tatà: Valérie Perrin e il racconto della memoria e della maternità. Recensione di Alessandria today
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Sentimi – Il potere delle voci femminili nel romanzo corale di Tea Ranno. Recensione di Alessandria today
Cento voci, una storia: la forza delle donne e dei loro racconti in un romanzo corale intriso di emozioni e memorie.
Cento voci, una storia: la forza delle donne e dei loro racconti in un romanzo corale intriso di emozioni e memorie. Recensione:“Sentimi” di Tea Ranno è un romanzo corale che raccoglie le voci di cento donne, intrecciando le loro storie in un unico racconto che celebra la forza e la resilienza femminile. La narrazione si sviluppa in un piccolo paese siciliano, dove ogni donna porta con sé un…
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