#GENITORI E FIGLI
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Vero vero e vero. Questo vale per ogni tipo di relazione e in particolar modo per quelle dove si ha la responsabilità dell'altro.
Da figlia la cui figura paterna ha creato più danni che altro, posso esprimere il fatto che nessun genitore dovrebbe mancare in questo, anche quelli che credono di esprimerlo con i fatti e senza attuare atteggiamenti accudenti e teneri. Sono tutte cazzate, se un figlio è respingente magari state sbagliando metodo, ma non è affatto vero che non voglia ricevere amabilità, se invece a respingere l'amabilità siete voi fatevi una cazzo di domanda, perché un Essere umano nasce per tre cose, una delle quali è manifestare amore nel mondo.
Nessun genitore dovrebbe diventare genitore se ha problemi a esprimere emozioni di bene.
[nota a margine: anche il troppo non è una forma sana di amorevolezza, che spesso nasconde il bisogno dell'adulto e non affettività autentica].
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Ci sono voluti quasi 45 anni perché io e mia sorella riuscissimo ad avere un rapporto pacifico, ma ora finalmente riusciamo a parlare tranquillamente di quanto nostra madre sia una manipolatrice seriale e nostro padre sia un depresso anaffettivo.
Se ci penso, trovo miracoloso il fatto che sia io che mia sorella non ci siamo suicidati e non siamo diventati tossicodipendenti! I danni ci sono stati lo stesso, ovviamente, le nostre vite avrebbero preso una strada diversa e ci saremmo affermati nel lavoro se non fossimo stati menomati dell'autostima fin da piccoli, ma poteva andare peggio in fin dei conti...
Faccio questa confessione personale solo per dire che dai genitori di merda si può guarire, basta accettare il fatto che siamo stati vittime di patologie altrui di cui non siamo responsabili e andare avanti per la nostra strada senza cercare il loro consenso né quello altrui.
Non è facile e non è privo di dolore, di errori e di ricadute, ma è l'unica strada percorribile se non vogliamo diventare come le persone che tanto male ci hanno fatto...
L'insegnamento di certi genitori, più spesso di quanto vorremmo, è per negazione: cosa non vogliamo diventare, come non vogliamo comportarci, a chi non vogliamo assomigliare. Prima lo si capisce e meglio è, perché se muoiono prima che ce ne siamo emancipati psicologicamente c'è il serio rischio di prendere il loro posto!
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Quando il branco di bestie non arriva all’uva se la prende con la forza, dicono che era consenziente e pensano, in fondo, che l’uva acerba è tr0ia. La madre di uno del branco aggiunge che l’uva acerba è una poco di buono. Donne (madri) che odiano altre donne (figlie) pur di salvare il membro del branco che hanno partorito e diseducato.
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“ Il mondo di un bambino è fresco, nuovo e bellissimo, pieno di meraviglia ed eccitazione. È davvero una sfortuna che per la maggior parte di noi questa visione limpida, questo istinto autentico per ciò che è bello e ispira incanto, si oscuri fino a perdersi ancor prima di raggiungere l’età adulta. Se avessi un qualche influsso sulla fata buona che veglia sul battesimo di tutti i piccoli, chiederei che il suo dono per ogni bimbo del mondo fosse un senso di meraviglia così indistruttibile da durare tutta la vita, come antidoto infallibile contro la noia e il disincanto degli anni futuri, la sterile preoccupazione per cose che sono artificiali, l’alienazione dalle sorgenti della nostra forza. Se vogliamo che un bambino mantenga vivo questo senso innato di meraviglia – senza aspettarci un dono dalle fate – sarà necessaria la compagnia di almeno un adulto che possa condividerlo e riscoprire insieme a lui la gioia, l’eccitazione e il mistero del mondo in cui viviamo.
I genitori spesso provano un senso di inadeguatezza quando si trovano di fronte alla mente impaziente, sensibile, di un bambino da un lato, e dall’altro a un mondo dalla natura fisica tanto complessa, abitato da una vita così varia e strana che sembra impossibile sottometterla all’ordine e alla conoscenza. Abbattuti, esclamano: “Come posso insegnare a mio figlio qualcosa sulla natura? Non so neppure distinguere un uccello dall’altro!”. Credo sinceramente che per il bambino, e per il genitore che cerchi di guidarlo, conoscere non sia neanche lontanamente importante quanto sentire. Se le nozioni sono i semi che più avanti producono conoscenza e saggezza, le emozioni e le impressioni dei sensi sono il terreno fertile in cui quei semi devono crescere. Gli anni della prima infanzia sono il momento adatto per preparare il terreno. Quando le emozioni saranno state risvegliate – un senso di bellezza, l’eccitazione per ciò che è nuovo e sconosciuto, un sentimento di partecipazione, compassione, ammirazione o amore – allora sì che desidereremo conoscere l’oggetto della nostra risposta emotiva. Una volta trovato, il suo significato durerà per sempre. È più importante preparare il terreno perché il bambino abbia voglia di conoscere anziché nutrirlo di nozioni che non è ancora pronto ad assimilare. “
Rachel L. Carson, Brevi lezioni di meraviglia. Elogio della natura per genitori e figli, traduzione di Miriam Falconetti.
NOTA: La citazione è tratta da un articolo apparso per la prima volta nel 1956 sulla rivista “Woman’s Home Companion” con il titolo Help Your Child to Wonder e poi pubblicato in volume da Harper nel 1965 (col titolo The Sense of Wonder). È il racconto intimo delle escursioni fatte in compagnia di Roger, il piccolo nipote di tre anni che in un’estate degli anni ‘50 le aveva fatto visita nella sua casa in riva all’oceano nel Maine.
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Ma io glielo dirò lo stesso, perché per una madre ogni silenzio di verità è un aborto, ogni sacrificio di memoria è una rosolia dell'anima che genera figli deformi dentro, incapaci di ricordo, a basso quoziente di libertà.
Michela Murgia, Dare la vita
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“Desideravo la bellezza e l’ho avuta: ho avuto te.”
Ada D’Adamo, Come D’aria
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Il cielo stasera era di un rosso fuoco... adatto al film che sono andata a vedere al cinema: Elemental della Disney Pixar
Parola d'ordine: l'importanza di seguire i propri sogni anche a costo di ferire la propria famiglia, perché il sogno dei genitori non deve per forza essere anche quello dei figli.
PS. chicca super emozionante il corto di UP a mo'di sequel prima dell'inizio del film (piango🥺)
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Piccoli per sempre
Oggi Ginevra compie quattro anni.
L’ho appena accompagnata all’asilo, ma per il suo giorno, andremo a prenderla prima. [...] Agli armadietti mi ha chiesto: - Papà, ora che ho quattro anni sono grande? - e io non sapevo cosa risponderle, perché non ero sicuro di cosa volesse sentirsi dire. Ho azzardato un: - Sì, - ma lei mi ha incalzato quasi subito dicendomi: -Io non voglio diventare grande, voglio restare piccola. [...] mi sono seduto sulla panca, me la sono tirata sulle ginocchia, e quasi stessi per confessarle un segreto le ho detto: - Sai una cosa, Ginevra? Per quanto uno possa diventare grande, se vuole può restare piccolo lo stesso. Anche da adulto.
- E come si fa?
- Basta continuare a fare le cose che ci piacciono di più.
Lei mi ha guardato fisso negli occhi e subito non ha detto niente, ma io sapevo che aveva capito. L’ho accompagnata in classe e prima che me ne andassi si è voltata e mi ha detto: - Papà, oggi quando torno a casa posso dipingere le ciliegie? - E io le ho detto: - Sì, Ginevra, puoi.
Poi sono uscito, ho fatto il giro dell’edificio e mi sono piazzato davanti alla finestra per il saltone di saluto. Lei mi rideva dal vetro e io pensavo solo: “Ti prego, resta sempre così”, perché a me quello che piace di più al mondo è accompagnarla all’asilo in auto e vederla saltare dietro quella finestra e ridermi con quei dentini piccoli, come se quell’immagine fosse davvero l’unica cosa in grado di salvarmi dal diventare un adulto triste e senza speranza.
- Matteo Bussola, Notti in bianco, baci a colazione
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Recensione di Il dilemma di B.A. Paris. A cura di Alessandria today
Un’intensa storia familiare in cui segreti, paure e scelte difficili si intrecciano, mettendo alla prova i legami più profondi
Un’intensa storia familiare in cui segreti, paure e scelte difficili si intrecciano, mettendo alla prova i legami più profondi. Titolo: Il dilemmaAutrice: B.A. ParisGenere: Romanzo psicologico / Dramma familiareCasa editrice: NordAnno di pubblicazione: 2020 (prima edizione italiana) Breve riassunto della trama:Il dilemma racconta la storia di una famiglia che si prepara a festeggiare un…
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Di recente ho parlato con un uomo fiero di non volere nessun tipo di relazione col genere umano e ostinatamente cosciente di quanto non gli frega nulla del prossimo. A esclusione dei rapporti formali o di ruolo (lavoro, condivisione di spazi, situazioni sociali standard), per lui è importante soltanto il suo nucleo familiare.
In sintesi: si fottano tutti tranne moglie e figli.
Quest'uomo ha una figlia di 18 anni che già dai 10 presentava le stesse caratteristiche e che oggi hanno anche in lei la fermezza di chi dice ad alta voce: tanto a me non frega niente di nessuno.
L'altra figlia che di anni ne ha 13, non dice, ma rivela nel comportamento una prepotenza di fondo che trapela la stessa superiorità emotiva. Avendo una personalità di base più portata alla socialità tuttavia indossa una maschera più docile e mirata ai suoi scopi.
Il padre si preoccupa per loro, soprattutto per un fattore finanziario, ma non si rende minimamente conto delle conseguenze che il suo corpo emotivo e il suo comportamento hanno generato.
Questo è quello che intendo quando ripeto che le parole con l'educazione emotiva hanno il peso di una piuma, mentre l'esempio pratico è quasi l'unico a produrre risultati.
Molti genitori si preoccupano del futuro della loro prole dal punto di vista materiale e non vedono quello che creano a un palmo dal naso nella struttura del pensiero.
Come lui, dietro il concetto di famiglia, chissà quanti ce ne sono, poi si arriva a un livello di odio sociale collettivo e ci si chiede come mai.
Poi è colpa dei giovani...
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Toglietevi quel senso di debito e di riconoscenza, non hanno esaudito la vostra richiesta di nascere ma hanno compiuto una scelta egoistica: siete nati perché lo volevano loro, per la loro felicità, non per la vostra. Non vi conoscevano ancora, come potevano amarvi?
Poi, se guardiamo anche quanto dolore comporta vivere, non sono nemmeno così sicuro che ci sia qualcosa da ripagare, a conti fatti.
@clacclo
I figli non nascono per ripagare i genitori del fatto di averli messi al mondo.
- Serena P. (unaragazzadadifesa)
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𝗪𝗲𝗲𝗸𝗻𝗱 𝗰𝗼𝗻 𝗶𝗹 𝗺𝗼𝗿𝘁𝗼
Weeknd avete letto bene, no non è un errore. Niente titolo di un film del 1989. Weeknd è un cantate e il morto sono io.
Ora mi spiego.
Figlio 2 insieme alla sua Rebecca decidono di andare a un concerto, il concerto di Weeknd a Milano per l’appunto, in una serata di luglio rinfrescata dalle tempeste monsoniche dei giorni precedenti.
- Pa’
- Dimmi Gabriele
- Domani c’è il concerto, potresti venirci a prendere?
- Ci mancherebbe certo che sì
Furono le mie ultime parole famose, del resto lasciare due ragazzi diciottenni in piena notte ostaggio dei mezzi pubblici, non proprio vicino casa, non mi andava.
I ragazzi si alzano presto, l’andata al concerto sarà autonoma: treno, metro e poi una camminata di mezz’ora. Partenza la mattina presto, ore 7:00, per un concerto che inizierà alle ore 21:00.
Come sempre i messaggi su WhatsApp durante il giorno piovono a catinelle. In realtà da parte mia, da parte sua sporadici messaggi da decifrare. Manco stesse usando un dispositivo elettromeccanico di scrittura crittografata degna della famosa “Enigma”. Così si succedono risposte del tipo:
“Ben”
“Ok, arrivat”
“A post”
“Fa hot”
“Cojon”
“So seduto”
“Mo eating”
“Mo drinking”
“Mo piscing”
“Mo ‘nizia”
Mi sembra di chattare con Cattivik, il personaggio di un fumetto che si mangiava le lettere finali, eppure studia, ha anche dei bei voti, ambisce alla carriera lavorativa nel campo della medicina.
Mi immagino se fosse medico: “Rott falang, mo gess e ripos così impar. Statt attent la pross volt, cojon”.
La sera parto con anticipo per andare con calma e senza correre a recuperare Gabriele e Rebecca. Autostrada e arrivo alla zona del concerto a Milano abbastanza tranquillo. Mi posiziono fuori dall’auto appoggiandomi a essa, si sente chiaramente il concerto. Sono molte le auto parcheggiate in quella zona, tutte contengono almeno un genitore in attesa.
Li vedi subito quelli abituati ai concerti, hanno l’aria sicura e scommetto che hanno preparato il giusto ristoro e il kit da viaggio di rientro per i ragazzi che attendono (cosa che ho capito dopo e lo leggerete). Poi ci sono quelli social, che condividono l’attesa facendosi selfie e go go, oppure postando storie dove riprendono sullo sfondo le luci e i suoni del concerto. Si sentono giovani.
Poi ci sono quelli come me. I novelli. Quelli che si chiedono se la posizione trovata è strategica, se si fosse potuto fare di meglio. Mille dubbi.
Mentre osservo questo mi si avvicina un padre della mia categoria
- Scusa sai se il concerto è da quella parte? – darsi del tu in queste occasioni è alla base per sopravvivere all’ansia della prima volta.
- Si si, è di là.
- Ho usato questa diavoleria della geo localizzazione su WhatsApp mi troveranno?
- Fidati, quelli vivono di geo localizzazione. La usano anche per trovarsi in casa “Dove sei?”, “In cucina, aspetta che mi geo localizzo”.
- Davvero? – occhi sbarrati.
- Ma no scherzavo, ti troveranno questi sono il loro metodi per ritrovarsi anche in paese.
- Ah certo, noi dovevamo girare per le vie della città col motorino per trovare la compagnia se arrivavi in ritardo, te lo ricordi anche tu?
- Si, solo che io non li trovavo mai.
- Perché?
- Perché si nascondevano da me.
- Ah ah ah, bella questa. Sei un tipo a cui piace scherzare.
- Sono serio – il suo volto si pietrifica come se fosse stato colto da una paresi. Il suo imbarazzo e percepibile.
- Ehm, io ho qua due figlie tu?
- Figlio 2 maschio e la sua compagna.
Ed è in quel momento che dalle mie spalle, zona concerto, si sente un fortissimo “Grazie MiLLanoH!”.
Ok, il concerto è finito, io e l’altro genitore vergine di concerti ci guardiamo. Come a dire sei pronto? Con cenni da Marines, in silenzio indichiamo da dove potrebbero arrivare.
Passano pochi minuti e i primi ragazzi che hanno partecipato al concerto si palesano. Arrivano da lì, ma anche da là e pure da quell’altra parte. Siamo circondati. In breve l’orda di gnu che attraversa il Serengeti è arrivata.
Cominciamo a girare con la testa come se fossimo gufi, lui si alza sulle punte dei piedi.
Lo guardo, mi guarda – Sembri Roberto Bolle sulle punte – gli dico.
- Eh, le mie ragazze non sono molto alte, tuo figlio è alto?
- Non l’ho più misurato ma credo che sia 1,87 cm – dico con orgoglio.
Ma lo sguardo di quel padre che mi squadra come a dire “l’altezza non è il tuo forte, di sicuro avranno preso da tua moglie”, mi mette in ginocchio.
Arriva Gabriele e saluto padre ansioso un po’ stronzo con la mia altezza, augurandogli buona fortuna.
- Pa’ diciotto minuti di cammino, non potevi avvicinarti? – le prime parole di Gabriele
- Gabriele era tutto strapieno, anche il parcheggio di Lampugnano era pieno.
Ripartiamo.
Percorro cento metri. E lì ci rimango per un’ora abbondante, tutto bloccato sia sulla mia carreggiata che sull’altra. I ragazzi dopo avermi raccontato, soprattutto Rebecca, del concerto crollano nel sonno più profondo. Neanche lo strombazzare di genitori impazienti e arrabbiati li sveglia. Cavolo suonano il clacson, la coda non ha fine con chi se la prendono? Con un semaforo o un incrocio che crea colonne di traffico a due chilometri?
La gente continua a sfilare camminando sulla destra, dalla sinistra e pure in centro tra le due corsie di marcia. Alcuni ragazzini molto giovani sono stati accompagnati al concerto dai genitori. Li vedo molto provati sul volto.
Se lo avessi fatto io sarei sembrato Bob Dylan al concerto di Gigi D’Alessio. Un estraneo.
Sono stanco, stanco morto quando finalmente ho raggiunto la tanto agognata tangenziale.
L’ingresso all’Autostrada è chiuso per lavori in corso. Rabbia.
Deviazione su altra autostrada ma per arrivarci devo percorrere una tangenziale trafficatissima dove una corsia è chiusa per lavori in corso.
Sono più morto di prima.
Esco nelle zone di Monza. La circumnavigo e per altre chiusure per lavori notturni viaggio per paesi e comuni diversi attraverso strade provinciali. Vedo strade da 50 Km all’ora, prostitute, gente che barcolla ubriaca e l’orologio che indica le 3:00 del mattino.
Ricordo il tempo delle strade secondarie percorse il mattino presto e di musica condivisa con amici, mentre si tornava dalla discoteca. Avevamo ancora voglia di spaccare il mondo. Oggi vorrei spaccarmi a letto.
Arriviamo a casa che sono le 3:35, penso che alle 6:00 dovrò svegliarmi. Sveglio i ragazzi, e Gabriele nota subito l’orario – Papà perché così tanto tempo? –
- È stato un viaggio un po’ complicato. Domani ti spiegherò. Ora andate a dormire? – più che una domanda era una preghiera.
Sento la sua voce, quella di Rebecca che si rivolge a me sempre come se fossi un padre. La figlia che non ho me la ritrovo in lei – Io ho un po’ di fame – mi dice scusandosi con i suoi dolci occhi.
Hanno fame, si vede. In casa tutti gli altri esseri viventi dormono di un sonno profondo, preparo loro da mangiare e li saluto. Guardo l’orologio. Due ore. Me le farò bastare. Perché per loro mi farei anche la notte in bianco, morto (di sonno) ma felice.
Cerco di fare pensieri felici prima di addormentarmi e penso a loro due. Penso alla battuta di Gabriele che rivolgendosi a Rebecca gli ha detto – Mio padre quando andava ai concerti suonava ancora Beethoven.
Beethoven, me lo immagino a un suo concerto in chiave moderna:
- Siete caldi?
- Siiiiiiì!
- Non vi sento!
- Siiiiiì!
- Non vi sento, sono sordo! Ahahahahah!
Ok meglio dormire. Sono morto di sonno con Weeknd. Può bastare.
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[Quelli che restano][Gerbrand Bakker]
Simon vive una vita solitaria ad Amsterdam, gestendo il negozio di famiglia. Dopo la morte improvvisa del padre in un disastro aereo, cerca di colmare il vuoto attraverso il racconto degli altri, ma anche attraverso il desiderio fisico. Un romanzo toccant
Solitudine e desiderio: un romanzo che racconta il dramma di un’assenza Titolo: Quelli che restanoScritto da: Gerbrand BakkerTitolo originale: De kapperszoonTradotto da: Elisabetta Svaluto MoreoloEdito da: IperboreaAnno: 2024Pagine: 320ISBN: 9788870916874 La trama di Quelli che restano di Gerbrand Bakker Simon vive da solo sopra il suo negozio in un quartiere bohémien di Amsterdam. Come il…
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Zero Calcare, Quando muori resta a me
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