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Gli amori difficili di Italo Calvino: Un’esplorazione delle sfumature dell’amore e dell’incomprensione umana. Recensione di Alessandria today
Racconti che catturano la complessità delle relazioni umane in un mondo fatto di incontri e di attese
Racconti che catturano la complessità delle relazioni umane in un mondo fatto di incontri e di attese Recensione Gli amori difficili di Italo Calvino è una raccolta di racconti che esplora le diverse sfumature dell’amore e dell’incomunicabilità umana. Ogni racconto, pur avendo una propria autonomia narrativa, si ricollega agli altri attraverso il tema dell’amore vissuto come avventura, come…
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[...] non posso iniziare questa mail senza riportare alcune parole di chi la vita l’ha capita meglio di noi, pur stando reclusa in una stanza, perché l’anima ha bisogno di poche gocce d’amore e d’odio per costruire i suoi paradisi e i suoi inferni. “Quando le luci si spengono / poco per volta ci si abitua al buio / come quando il vicino, sollevando alto il lume / sigilla il suo addio. Dapprima / i passi si muovono incerti nel buio improvviso / poi / lo sguardo si abitua alla notte / e senza incertezza affrontiamo la strada”. Come si fanno netti i colori e le forme delle cose, quando l’amore finisce. Ma l’amore non dovrebbe non morire mai? Io non ti amo. Allora non ti ho mai amato? La nostra storia ora mi appare come qualcosa di lontano, di passato. Forse perché per me era finita molto prima di finire. A volte mi sforzo di pensare che sia davvero la mia storia, e non un intreccio di un libro o un’idea di una canzone. Quanto mi sembro estraneo a tutta la nostra storia quando guardo alla situazione attuale. Se penso a Berlino – non ero io, forse era qualcun altro. Non riesco ad avere una mia storia personale, è il mio unico modo di essere, lasciare che il vento spazzi via i ricordi. Non mi appartengono. Io non riesco a essere altro che ciò che sono, non più ciò che ero. Mi sento così estraneo a me stesso quando mi penso nel passato da non credere quasi di essere la stessa persona in ogni istante della mia vita. Tu adori poter aggiungere nuove immagini nel baule dei ricordi, sembri a volte voler vivere proprio per poterti poi intrattenere con ciò che hai vissuto. Il modo in cui parli ormai della nostra storia – una gemma preziosa in più nelle tue tasche. La tieni stretta in mano, e ne sei in fondo orgoglioso. Io proprio non ci riesco. Devo liberarmi le ali dalle reti della memoria per essere in grado di potermi ancora elevare e gustare l’estasi del volo. Di quel volo che tu sostieni mi spaventi. Il mio sguardo è rivolto lontano nel cielo. Mi sento uno spirito dell’acqua o un’anima dei boschi, i sensi affinati, e privo del senso del tempo. Perché se tutto si perde per strada, è meglio non ricordare. Non perché i ricordi feriscano a fondo, ma perché con un’anima piena e pesante di memorie non si riesce a camminare sull’acqua. E il rumore delle onde insegna molto più delle esperienze. È con un’anima sempre giovane che non si sente lo scorrere dei secoli. “Fa’ attenzione al senso, e i suoni baderanno a se stessi”, dice la Duchessa ad Alice. Forse è questa l’unica morale. L’assurdo. Ed è meglio non farci caso e parlargli come a un amico. Io non ti amo più purtroppo. Ed è stato talmente bello all’inizio, che gusto già da ora il momento in cui avrò dimenticato anche questo. Non si può andare avanti con un simile confronto se non si vuole essere sommersi da echi di rabbia. “Tu sei il mio dio: io ti adoro” mi hai detto più volte – e allora forse veramente lo ero – queste frasi sono scolpite come iscrizioni su una lapide in me. Ora non le pensi più. Ma le pensavi. Le hai dette, e io le ho ascoltate. Comprendimi. Pesa troppo camminare per il grigiore delle strade con i ricordi di un giardino segreto che ora non ci appartiene più.
#in procinto di scrivere al autore perché devo sclerare con qualcuno su questo romanzo#gli angeli potrebbero esistere ma di certo non sei tu#è anch'essa una vittoria trovare intolleranti i personaggi di un libro?#citazioni#citazione#citazioni libri#citazione libro#angeli da un'ala soltanto#Sciltian Gastaldi#narrativa#lgbt#libri lgbt#letture lgbtq#angeli da un ala soltanto#scilitian gastaldi#Angeli da un'ala soltanto#romanzo di formazione#libri letti#sciltian gastaldi#sciltian gastaldi libri#sciltian gastaldi libro#sciltian gastaldi citazione#lettera#amore#relazione#rapporto#rapporto tossico
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The Lady Orlando
Orlando è così bello che a volte mi chiedo come sia possibile che esista una cosa del genere a questo mondo. Come è possibile che davvero una persona abbia dentro la testa e nel cuore così tanta bellezza, io non lo so. Mi fa essere felice perché riesco a vederla, la bellezza, è per me, e sono anche inspiegabilmente triste al pensiero che il resto del mondo non stia leggendo Orlando, in questo preciso istante. Per me Mrs Dalloway era stato memorabile. ricordo di averlo letto in metro, nei pomeriggi di ritorno dall'Università, e intanto ascoltavo Antony and the Johnsons. è stata l'unica volta che in vita mia sono riuscita a leggere qualcosa ascoltando della musica. E questo perché Virginia Woolf e quella musica si conoscono, parlano la stessa identica lingua. Quella musica è così trasparente, così profonda che mi fa pensare spesso alla morte. E così anche Virginia Woolf. Ci sono tantissimi pensieri dentro Mrs Dalloway che vanno lì senza cercare scuse, senza mezzi termini. È bellissimo. Bellissimo ma vertiginoso. E Orlando lo scrive subito dopo Mrs Dalloway: questo mi ha fatto pensare, quando l'ho scoperto, che tra i libri di uno stesso autore esiste una relazione di parentela che è inversa rispetto a quella che c'è tra i figli di una stessa madre: i primi nati non sono i più grandi; i figli maggiori sono gli ultimi partoriti dalla mente dello scrittore. per capirci, Orlando è il fratello più grande di Mrs Dalloway, e questa è una garanzia di buona condotta nel ragazzo, lui è presumibilmente maturo, assennato, serio almeno quanto la sorella, probabilmente lo è anche di più. E invece, quando lo conosci bene, vedi subito che Orlando è sbarazzino come un fratello minore. Con lui Virginia Woolf si è voluta concedere una "writer's holiday": e si sente tutto, perché lei se la concede gloriosamente. Questa è una vacanza in un hotel di cinque stelle, e l'hotel si chiama Knole. In vacanza, si sa, uno ci va spensierato e leggero, ma Virginia Woolf non lascia niente al caso, tutto è preparato e organizzato nel minimo dettaglio, prima ancora che per se stessa, per la sua compagna di viaggio, Vita. Perché in fondo questa non è solo una vacanza da scrittore, no: è una lettera d'amore. La più lunga lettera d'amore della letteratura. Ogni parola in questo libro è una parola d'amore. E di un amore invidiabile, almeno io lo invidio: perché è fatto proprio di letteratura, costruito con pezzi di quella, raccolti con cura da ogni epoca passata. E a leggere bene, è un amore fatto di poesia, ecco in realtà perché lo invidio. Poesia, proprio come nell'incipit di quella lettera bellissima in cui Virginia annuncia a Vita la sua intenzione di scrivere questo romanzo. Una poesia travestita da lettera, ché a guardar bene quelli a me sembrano proprio pentametri
Never do i leave you without thinking/
it's for the last time. and the Truth Is,/
we gain as much as we lose by this./
E Orlando è una poesia che trasuda arguzia da ogni poro, ed è travestita da narrativa che è travestita da biografia. Ogni idea dentro questo libro è una trappola, fin troppo intelligente, per far capitolare Vita: è un incallito tentativo di compiacerla, di sedurla con le parole, un corteggiamento letterario, un glorioso e velleitario occhiolino: vuole farla ridere, vuole farla innamorare. Difatti per tutto il tempo si ha la netta sensazione di essercisi seduti per sbaglio ad un tavolino che era prenotato per due. E quelle due del tavolino si guardano negli occhi e, appunto, ridono: tu se vuoi puoi pure sederti, tanto loro non ti sentono proprio.
Virginia Woolf inizia a scrivere la sua biografia proprio quando Vita Sackville-West sembra più incostante, le volta le spalle, passeggia con altre donne. Allora deve riprendersela, allora l'invenzione deve essere altissima, deve farla cadere ai suoi piedi, deve lasciarla senza parole con le uniche armi che ha, lei che non sa neanche riconoscere il davanti di un abito dal dietro: allora le regala il tempo, e le regala l'ironia. Le regala un corpo da uomo, e un paio di calze nere perché possa sfoggiarci dentro le sue gambe perfette, le più belle gambe su cui un nobiluomo si sia mai messo in piedi; le regala una vecchia regina Elisabetta, infatuata di lui; le regala una risalita del Tamigi di fronte alla nuovissima Londra di Wren; le regala le coffee houses appena fondate, e le regala i poeti. I poeti sono il suo più grande asso nella manica: sono le sue parole d'amore più irresistibili, e Virginia Woolf lo sa perfettamente. Perché è impossibile che Vita non si sciolga al pensiero di aver cenato con Pope, pranzato con Addison, e preso il tè con Swift. Meglio ancora: i poeti glieli porta dentro casa, e lì dentro Vita può finalmente ridere anche di loro, fino quasi a vergognarsene, può vederli in tutti i loro miseri difetti e in tutti i loro piccoli limiti. Può vederli umani insomma, può vederli davvero. E allo stesso tempo, mentre è così impegnata a disegnare Vita, a dirle quanto è bella, a dimostrarle quanto a fondo la conosce, quanto può riuscire a compiacerla, Virginia Woolf si sta spogliando davanti alla signora Orlando, si sta arrendendo a lei, senza pudore. Il suo amore per il 700 inglese è una confessione spudorata. È seducente persino sentirla descrivere il passaggio di secolo, l'umidità che si arrampica su per le pareti delle case insieme alle rampicanti di edera, le barbe che crescono, i tappeti che avanzano, che conquistano ancora una stanza: i matrimoni che si stringono al freddo del nuovo secolo e la conseguente, inevitabile nascita dell'impero britannico. È un libro intimo: è una conversazione a un tavolo per due.
Verso la fine di questa vacanza nel tempo, sento distintamente che Virginia Woolf comincia a prepararsi per il rientro a casa. Gli ultimi capitoli del libro sono più impegnativi, sembra quasi di sentirla ogni tanto tirare un colpetto di tosse, a far uscire la sua voce di sempre, quella della signora Dalloway, la sorella minore ma più assennata. Con quella stessa voce raccoglie finalmente tutti i fili seminati per la sua biografia fittizia e, senza curarsi di te che stai lì al tavolino, li mette in mano alla sua interlocutrice, la vera questione di questa lettera d'amore: cara Vita, ha forse senso questo mio rincorrere la tua bellezza nei secoli? esiste davvero la poesia? ha qualcosa a che vedere poi con la vita? e dimmi, Dryden può mai essere una parola d'amore? Avvicinati ancora una volta, ascolta: Dryden.
La questione era già perfettamente formulata nella meravigliosa lettera che annunciava il concepimento di Orlando: alla vigilia della scrittura, quando ancora il libro è quasi solo un'idea. Questo è un momento mitico, come quando per la prima volta si incontrano gli sguardi di due amanti della leggenda. Sto per scrivere Orlando perché non voglio più lasciarti: never do I leave you without thinking, It is for the last time. Prima ancora che Orlando abbia iniziato la sua gestazione, molto prima che abbia aperto gli occhi sul mondo, la domanda c'è già, rotonda, sbigottita: come faccio a restare con te? come faccio a tenerti per sempre? come faccio a evitare che questa sia la mia ultima lettera? come può la poesia vincere la vita, o meglio, vincere la morte?
La risposta io credo sia in quella cassaforte dove, allo scoppiare della guerra, Vita aveva nascosto i suoi smeraldi insieme al piu inestimabile dei tesori in suo possesso: il manoscritto di Orlando, che Virginia Woolf le aveva fatto recapitare a casa un giorno prima della pubblicazione del libro per il resto del mondo. Loro due sono ancora sedute a quel tavolo, e lo saranno nei secoli, a ripetersi tre semplici parole d'amore:
Addison, Dryden, Pope.
E a guardare bene, Vita Sackville-West ride e piange allo stesso tempo:
Never do i leave you without thinking, it's for the last time.
#virginia woolf#vita sackville west#orlando#literature#poetry#poesia#illustration#watercolor#watercolour art
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THANK YOU AND GOODNIGHT
A me m’ha sempre colpito questa faccenda dei quadri finali.
Perché inevitabilmente, quando una serie finisce, ripensi all’inizio e ti rendi conto degli anni trascorsi (tanti o pochi a seconda della benevolenza del network), delle cose che hai fatto e di quelle che sono accadute nel frattempo. E mentre la serie andava per la sua strada, con tutte le tappe della propria vita ben scandite come tacchette su un righello — episodio pilota, prima stagione, notizia del rinnovo, produzione della stagione successiva e via dicendo fino all’epilogo, morte naturale o violenta che sia — tu pure andavi per la tua, ma altro che linea retta, altro che righello: per citare Ennio Flaiano, per te la linea più breve tra due punti è stata l’arabesco.
Così, nei sei anni che separano la Midge Maisel che invade ubriaca il palco del Gaslight e la Midge Maisel che — ‘sto giro sobria — si appropria degli ultimi quattro minuti del Gordon Ford Show, io ho iniziato la pratica forense, sono diventata avvocato, mi sono iscritta e poi cancellata dall’albo, nonna se ne è andata, ho cambiato tanti lavori (certo, uno era uno stage di nove ore al giorno per cinque giorni a settimana a cinquecento euro lordi che la Regione chiamava “tirocinio” perché “servitù della gleba” pareva brutto), sono stata trascinata a battesimi e cerimonie religiose contro la mia volontà, stranamente non ho preso il coronavirus, ho pubblicato due romanzi, ho avuto crisi esistenziali, ho detto addio al mio adorato micio, Floppy, mi sono devastata l’anima coi concorsi pubblici, ho fatto tanti passi avanti e altrettanti indietro, molto più spesso ho girato in tondo.
Ecco, forse non sono mai solo serie: piuttosto, capsule del tempo che racchiudono, nel periodo che delimitano, parte dell’esistenza di una persona.
E il fatto che The Marvelous Mrs. Maisel sia la storia di una ragazza che, dopo una batosta improvvisa, cerca di trovare la sua strada, rende forse la connessione tra spettatore e personaggio ancora più evidente, e più solida.
Che in effetti, se non la serie in sé — che a parte i rallentamenti dovuti al Covid è andata dritta per dritta — quanto meno è stato il personaggio di Midge ad avere i suoi begli arabeschi, il cui bandolo solo in apparenza è stato districato nel series finale (ma gli arabeschi hanno i bandoli? Probabilmente no, ma poi mi salterebbe tutta la metafora e allora famo finta che ce l’hanno).
Perché se finalmente la vediamo sfondare come comica, il meritato coronamento di anni di sforzi, la sua vita privata è più ingarbugliata che mai. Anzi, più che ingarbugliata: tragica. Durante tutta la stagione i numerosi flashforward ci hanno dato un assaggio del tetro futuro che l’aspetta: un rapporto inesistente con i figli nel migliore dei casi, conflittuale nel peggiore; una collezione di matrimoni falliti; un ex marito (a cui è sempre rimasta affezionata) in galera, i genitori ormai trapassati e remoti — ma vabbè, erano anziani, ci sta — e Lenny Bruce pure (ma lui per un’overdose, e ci sta un tantino meno). E quel che è peggio, perché alla fine sticazzi di figli e mariti, è stato vedere le condizioni in cui versava l’amicizia con Susie e scoprirla — l’amicizia, eh, non Susie — più estinta di un dodo.
Diciamo che la netta virata sul tragico della quinta e ultima stagione della serie mi ha lasciata un po’ F4 basita. Non che nelle stagioni precedenti non ci siano mai state situazioni — se non proprio tragiche — quantomeno drammatiche (sopratutto nell’accezione narrativa del termine): dall’incidente scatenante (il tradimento di Joel e il conseguente divorzio) alla difficile relazione con i genitori, che né approvavano né comprendevano la sua carriera di comica e ancor meno le istanze di indipendenza (morale ed economica) che essa implicava, passando per tutte le difficoltà e gli ostacoli che Midge ha dovuto affrontare e superare in quanto novellina e in quanto donna, e tutte le varie ed eventuali che stanno nel mezzo. Semplicemente, tutte le situazioni infauste e le difficoltà delle precedenti stagioni erano nel presente, e pertanto non destavano particolari preoccupazioni perché chiunque si sarebbe aspettato che per la fine della serie — io la scena finale me l’ero immaginata con tremila persone ad applaudire Midge al Carnagie Hall, ovviamente con Abe e Rose in prima fila — sarebbero rimaste nel passato. La quinta stagione, invece, ci ha tenuto a dirci che il futuro sarebbe stato meno idilliaco di così. Certo, i problemi di un tempo si sono risolti e al loro posto ne sono arrivati di nuovi, d’altronde così è la vita, ma era necessario farcelo sapere? Era davvero necessario mostrarci Midge a settant’anni suonati vacillare all’idea di avere un martedì libero in un calendario di impegni di lavoro altrimenti fittissimo, perché oltre alla carriera — e a Susie, con la quale per fortuna si è riappacificata ma che però adesso vive in un diverso continente — non ha nient’altro?
Lei stessa — nel suo monologo finale in quegli ultimi gloriosi quattro minuti del Gordon Ford Show — con una certa lucidità arriva a intuire una possibilità di futuro che noi, in effetti, sappiamo essersi avverata: dubita, per esempio, che una relazione stabile sia scritta nel suo destino, e crede che sia inevitabile che i figli la odieranno da grande (e se per le relazioni, vabbè, amen, la questione dei figli è già più delicata anche solo perché saranno loro a scegliere la casa di riposo).
Badate, la mia in realtà non è proprio una lamentela, perché in effetti queste note agrodolci — più agre che dolci — del finale (e di tutta la quinta stagione) mi sono piaciute, è più una riflessione del tenore: già che la vita è miseria e poi si muore, è chiedere troppo che mi venga concessa l’illusione che a Midge Maisel sia andato tutto bene, che sia riuscita ad avere tutto senza dover rinunciare a niente? No? E vabbè.
Ciononostante, l’episodio è finale è stato tutto quello che speravo che fosse, cioè un degno tributo. Il monologo stesso, sia nel ripercorrere gli eventi salienti della carriera ancora in fieri di Midge, sia nello spronare le donne a credere in quello che fanno e a prendersi quello che gli spetta, invitandole a lavorare per far accadere le cose anziché attendere passivamente che accadano da sole, è un po’ il testamento morale del personaggio.
E a proposito di questo, già solo la scena in cui Midge vede il microfono, la telecamera inizia e girare e tutto si fa silenzioso, con lei che avverte Susie che sta per fare un ultimo folle gesto e Susie che è pronta ad affondare con tutta la nave, ecco, già solo questa scena ha fatto passare in secondo piano qualsiasi remora o perplessità io possa avere mai avuto.
E poi c’è stata la consacrazione, con la menzione esplicita del titolo della serie. Non sempre accade, e quando accade è qualcosa di grosso, un vero e proprio cambio di paradigma: tipo Rick Grimes che nella quinta stagione (sarà una cosa delle quinte stagioni, dunno) dice finalmente “We tell ourselves that we are the walking dead”. Così, quando Gordon se ne esce con “May I present the magnificent, the magical… the marvelous Mrs. Maisel” è la chiusura del cerchio. E anche del sipario.
Adesso mi sento un po’ come quegli studenti che — a detta del preside di In viaggio con Pippo, ma lui era evidentemente un mitomane — non hanno idea di cosa fare per non sprecare l’estate ora che la scuola è finita. Solo che il mio problema non è con l’estate mai coi venerdì, perché dopo una settimana di lavoro tornare a casa e dare il via al weekend con The Marvelous Mrs. Maisel era bello. Più che bello: era giusto. Per carità, di roba da vedere ne ho a carriolate, quindi ai miei venerdì uno scopo glielo ritrovo uguale, però, a prescindere, di signora Maisel ce n’era una.
E allora niente: thank you, Midge, and goodnight.
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO SECONDO - di Gianpiero Menniti
L'ESSERE UMANO NELLA PITTURA DI GIOTTO
Un corpo che giace senza vita tra le braccia di una madre disperata. Questo è il punto di passaggio più evidente che compie lo strappo dall’iconicità, strappo ormai pienamente accolto da molti precedenti eppure reso qui con il carattere di plasticità degli umani sensi e dell’umano patire, fino a condurre la resa drammatica in un territorio alieno rispetto alla tradizionale mediazione simbolica. La disperazione diventa, nei diversi personaggi, anche composta rassegnazione, in un misurato equilibrio tra questa e la forza dell’impeto passionale lacerante: come nella figura di un palpitante San Giovanni proteso fin quasi allo spasimo nel gridare il proprio dolore. E ancora più evidente è il segno lasciato da angeli incapaci di controllare i propri sentimenti e che per questo si abbandonano ad un volteggio scomposto in un cielo che stinge l’azzurro in un colore livido, poiché esso stesso influenzato dal carattere intensamente drammatico della scena. Una forma di rappresentazione religiosa che si rivolge agli uomini di un nuovo tempo, ad uomini che si pongono domande e che animano di dubbi la relazione con lo spirito, uomini che obbediscono ad una coscienza insolita, più consapevole, influenzata da una tumultuosa crisi di maturità, orientata verso un marcato senso dell’individuale. Sono gli uomini dei rifioriti centri urbani, protagonisti di una nuova prosperità, espressione della rivoluzione commerciale dei secoli XI e XII. Giotto, a cavallo tra due epoche, riesce a cogliere le nuove sensibilità, mai ritraendosi rispetto alla sperimentazione pittorica. Anzi, investendo sulla differente modalità interpretativa del pathos espressivo delle figure, sull'uso intenso di un'ampia scala cromatica, sulla capacità di organizzazione narrativa della scena concepita come ricerca di un'efficace sintesi estetica in un'aurorale, acerba visione prospettica. Ma la rilevanza di Giotto non è solo nella capacità di raccontare il proprio tempo – questa è dote diffusa negli artisti degni di questo nome – ma soprattutto nella modalità con la quale sembra intuire il ruolo della pittura come potente strumento di rappresentazione: isolando la scena dal rapporto con lo spettatore e fornendole autonomia. Così, è da lui che si dipana quel lungo, coerente percorso che condurrà la pittura fino alle estreme espressioni dell'arte contemporanea.
Giotto (1276-1337): "Compianto sul Cristo morto", 1303 - 1305, Cappella degli Scrovegni, Padova
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Perché Stanley Kubrick è stato uno dei più grandi cineasti di tutti i tempi
Non c’è bisogno di essere dei grandi esperti e appassionati di cinema per conoscere il nome di Stanley Kubrick. Il regista americano, nato a New York il 26 luglio 1928 è considerato uno dei più grandi registi di tutti i tempi, ed è stato elogiato per il suo stile visivo distintivo, la sua attenzione ai dettagli e la sua esplorazione di temi complessi e stimolanti. I film di Kubrick spaziano da generi diversi, tra cui il dramma, la commedia, la fantascienza, il mistero e il thriller. Alcuni dei suoi film più famosi includono 2001: Odissea nello spazio, Arancia Meccanica, Shining, Full Metal Jacket e Eyes Wide Shut. Kubrick era un perfezionista che ha preso il controllo di ogni aspetto dei suoi film, dalla sceneggiatura alla fotografia alla regia. Era noto per le sue lunghe riprese e i suoi ripetuti ciak, e spesso trascorreva anni a sviluppare i suoi film. Il lavoro di Kubrick ha avuto un'influenza significativa sul cinema. I suoi film sono stati analizzati e discussi da critici e studiosi per decenni, e continuano a essere fonte di ispirazione per i registi di tutto il mondo. I motivi per cui Stanley Kubrick è considerato un grande regista cinematografico Kubrick era un maestro della fotografia e del montaggio, e i suoi film sono caratterizzati da immagini vivide e sequenze cinematografiche memorabili; un perfezionista che prestava attenzione a ogni dettaglio dei suoi film, dalla scenografia ai costumi agli effetti speciali. I film di Kubrick affrontano spesso temi complessi e stimolanti, come la natura umana, la violenza, la follia e la realtà. Stanley Kubrick è stato un regista rivoluzionario che ha lasciato un segno indelebile nel cinema. I suoi film continuano ad essere apprezzati e ammirati da milioni di persone in tutto il mondo. Ci sono molti registi moderni che sono stati influenzati dallo stile di Stanley Kubrick. Alcuni dei più noti includono il regista del momento, Christopher Nolan e altri illustri colleghi come Guillermo Del Toro, Darren Aronofsky, Wes Anderson e molti altri. Questi sono solo alcuni esempi dei molti registi moderni che sono stati influenzati dallo stile di Stanley Kubrick. Il suo lavoro continua a ispirare i registi di tutto il mondo, e il suo impatto sul cinema sarà sentito per molti anni a venire. La filmografia di Kubrick dagli esordi fino alla morte avvenuta nel 1999 Stanley Kubrick ha diretto 13 film in un periodo di 40 anni, dal 1953 al 1999. I suoi film sono stati apprezzati dalla critica e dal pubblico per il loro stile visivo distintivo, la loro complessità narrativa e la loro esplorazione di temi complessi e stimolanti. I film di Kubrick spaziano da generi diversi, tra cui il dramma, la commedia, la fantascienza, il mistero e il thriller. Alcuni dei suoi film più famosi includono: 2001: Odissea nello spazio (1968): Un film di fantascienza che esplora il significato della vita, della morte e dell'universo. Arancia Meccanica (1971): Un film distopico che esplora la natura della violenza e della libertà. Shining (1980): Un film horror psicologico che esplora la follia e la famiglia. Full Metal Jacket (1987): Un film sulla guerra del Vietnam che esplora la natura della violenza e dell'orrore. Eyes Wide Shut (1999): Un film drammatico sulla relazione tra marito e moglie. I film di Kubrick hanno avuto un'influenza significativa sul cinema. Sono stati analizzati e discussi da critici e studiosi per decenni, e continuano a essere fonte di ispirazione per i registi di tutto il mondo. Perché 2001: odissea nello spazio è considerato uno dei migliori film della storia del cinema 2001: Odissea nello spazio è uno dei migliori film di fantascienza della storia del cinema. È stato elogiato per il suo stile visivo iconico, la sua complessità narrativa e la sua esplorazione di temi complessi e stimolanti. Il film è stato un successo di critica e pubblico, e ha vinto quattro Oscar, tra cui il miglior montaggio e la miglior scenografia. È stato anche nominato per l'Oscar al miglior film. 2001: Odissea nello spazio ha avuto un'influenza significativa sul cinema. Ha contribuito a definire il genere della fantascienza e ha ispirato molti altri film, tra cui Star Wars, Alien e Blade Runner. Ecco alcuni dei motivi per cui 2001: Odissea nello spazio è considerato uno dei migliori film di fantascienza della storia del cinema: Stile visivo iconico: Il film è caratterizzato da immagini iconiche, come il monolito nero e la sequenza del viaggio nello spazio. Complessità narrativa: Il film è complesso e stimolante, e ha lasciato spazio a diverse interpretazioni. Esplorazione di temi complessi: Il film esplora temi complessi, come il significato della vita, della morte e dell'universo. 2001: Odissea nello spazio è un film che ha resistito alla prova del tempo. È un classico della fantascienza che continua ad essere apprezzato e ammirato da milioni di persone in tutto il mondo. Qual è stata l'influenza di Kubrick nel cinema di fantascienza? perché è così importante ancora oggi? L'influenza di Stanley Kubrick nel cinema di fantascienza è stata significativa e duratura. I suoi film, come 2001: Odissea nello spazio, Arancia Meccanica e Shining, hanno contribuito a definire il genere e continuano ad essere fonte di ispirazione per i registi di tutto il mondo. Kubrick è stato un maestro della narrativa e della visione, e i suoi film sono caratterizzati da uno stile visivo unico e da una complessità narrativa che ha sfidato il pubblico a pensare in modo nuovo. 2001: Odissea nello spazio, in particolare, è un film che ha avuto un impatto duraturo sul cinema. Il film ha esplorato temi complessi, come il significato della vita, della morte e dell'universo, e ha utilizzato tecniche innovative per creare un'atmosfera enigmatica e suggestiva. Kubrick è stato anche un pioniere nell'uso degli effetti speciali. I suoi film hanno utilizzato effetti speciali innovativi per creare immagini realistiche e memorabili. Il regista era un noto appassionato del gioco degli scacchi, motivo per cui nelle sue opere questo tipo di elemento, a volte scenografico è stato più volte messo in evidenza o sfruttato come effetto subliminale. Anche un regista come il celebre Steven Soderbergh per il film Ocean Eleven, ambientato a Las Vegas nel circuito dei live casinò, ha tratto ispirazione da tale elemento per la sua messa in scena sfarzosa e magniloquente. Del resto quando si parla di gambling, l’elemento spettacolare deve essere sempre messo in risalto, come nel caso dell'online casino di Betway, per dare una dimensione del fenomeno sempre attuale del gioco digitale. I motivi per cui l'influenza di Kubrick nel cinema di fantascienza è così importante I film di Kubrick hanno contribuito a definire il genere della fantascienza, stabilendo standard di qualità e innovazione che hanno influenzato i film successivi. Ha esplorato temi complessi, come il significato della vita, della morte e dell'universo, in modo stimolante e provocatorio. I film di Kubrick hanno utilizzato tecniche innovative, come l'uso degli effetti speciali, per creare immagini e storie memorabili. Kubrick è stato un regista rivoluzionario che ha lasciato un segno indelebile nel cinema. I suoi film continuano ad essere apprezzati e ammirati da milioni di persone in tutto il mondo. Qual è il rapporto tra il cinema di Nolan e quello di Kubrick e Spielberg? Il cinema di Christopher Nolan è stato influenzato da entrambi Stanley Kubrick e Steven Spielberg. Nolan ha ammesso di essere un grande fan dei film di Kubrick, e ha spesso citato 2001: Odissea nello spazio, Arancia Meccanica e Shining come alcune delle sue influenze più importanti. Nolan condivide con Kubrick un interesse per i temi complessi e stimolanti, e per l'utilizzo di tecniche innovative per creare immagini e storie memorabili. I film di Nolan, come Inception, Interstellar e The Dark Knight, sono caratterizzati da una complessità narrativa che sfida il pubblico a pensare in modo nuovo, e da un uso innovativo della tecnologia per creare sequenze visive memorabili. Nolan condivide anche con Spielberg un interesse per l'azione e l'avventura. I film di Nolan, come Inception e Dunkirk, sono caratterizzati da sequenze d'azione adrenaliniche e da scene di suspense eccitanti. Gli elementi che Nolan ha preso in prestito da Kubrick, Spielberg e dai grandi cineasti che lo hanno preceduto sono: - Tematiche complesse, ma stimolanti Nolan è interessato a esplorare temi complessi, come il significato della vita, della morte e dell'universo. Questi temi sono presenti in molti dei suoi film, come Inception, Interstellar e The Dark Knight. - Tecniche innovative Nolan è un maestro dell'uso della tecnologia per creare immagini e storie memorabili. I suoi film utilizzano tecniche innovative, come il montaggio, la fotografia e gli effetti speciali, per creare sequenze visive memorabili. - Azione e avventura Nolan è interessato a creare film d'azione e d'avventura che siano anche stimolanti e coinvolgenti. I suoi film presentano spesso sequenze d'azione adrenaliniche e scene di suspense eccitanti. Nolan è un regista originale che ha creato un proprio stile unico. Tuttavia, la sua opera è chiaramente influenzata dai due grandi registi che lo hanno preceduto. L'eredità artistica di Stanley Kubrick nel cinema attuale L'eredità artistica di Stanley Kubrick nel cinema contemporaneo è significativa e duratura. I suoi film, come 2001: Odissea nello spazio, Arancia Meccanica e Shining, continuano ad essere apprezzati e ammirati da milioni di persone in tutto il mondo. Kubrick è stato un maestro della narrativa e della visione, e i suoi film sono caratterizzati da uno stile visivo unico e da una complessità narrativa che ha sfidato il pubblico a pensare in modo nuovo. I suoi film hanno esplorato temi complessi, come la natura umana, la violenza, la follia e la realtà, in modo stimolante e provocatorio. Read the full article
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La vita di coppia è, ancora, molto sopravvalutata: su di essa si costruisce, ancora, un narrativa agiografica: ne consegue che, chi sia, oggi, single, a volte, possa sentirsi spaesato e sottostimarsi, in relazione ad un ideale morale: la realtà, però, è totalmente diversa: condividere spazio e tempo con qualcuno è molto difficile: da ciò ne deriva che sia opportuno evitare qualsiasi forma di compromesso ("accontentarsi"), perché i compromessi si pagano amaramente.
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Book Review: L'amore molesto, Elena Ferrante
My second blossoming book review in Italian is for Elena Ferrante's L'amore molesto (1992). This time I decided to post the translation alongside it, so here's my first bilingual review!
[EN] Ferrante's Troubling Love
“Houses don’t retain ghosts, but they hold the effects of the last gestures of life.”
I had never read anything by Elena Ferrante before. I didn’t want to begin right away with her most famous series, the "Neapolitan Novels"; so, I decided to try instead the first book published by this mysterious writer (whose real identity remains unknown).
Categorized as a psychological thriller and with Naples for its background, L’amore molesto (Troubling Love) approaches the complexity of a daughter’s relationship with her mother after the death of the latter.
This story didn’t capture my attention much. I understand that the confusion of the plot reflects the mourning of the protagonist, but I wasn’t able to empathize much with her, nor to become very engaged in the mystery involving her mother’s death. It seems to try to be noir or crime fiction, but it doesn’t reach the level of excitement incited by this kind of narrative.
The intersection between the present and memories from childhood awakened by certain places is interesting — as she writes, “Childhood is a factory of lies that last in the past tense”; however, it doesn’t seem to me that this is enough to maintain the reader’s attention. The characters are weird, almost bizarre, acting as if they are children. I understand the intention behind all of this, but the execution didn’t really convince me.
[IT] Ferrante's L'amore molesto
"Le case non conservano fantasmi ma trattengono gli effetti degli ultimi gesti di vita."
Non avevo mai letto niente di Elena Ferrante prima. Non volevo cominciare proprio per la serie più famosa, quella di L'amica geniale; dunque, ho deciso di provare invece il primo libro pubblicato da questa misteriosa scrittrice (la cui vera identità rimane sconosciuta).
Classificato come un thriller psicologico e avendo Napoli come sfondo, L'amore molesto approccia la complessità della relazione di una figlia con sua madre dopo la morte di quest'ultima.
Questa storia non è riuscita a catturare molto la mia attenzione. Capisco che la confusione della trama rifletta il lutto della protagonista, però non sono riuscita ad empatizzare molto con lei, nemmeno ad impegnarmi molto al misterio che involve la morte di sua madre. Sembra di provare ad essere un noir o un giallo, ma non raggiunge il livello di eccitazione incitato da questi tipi di narrativa.
L'intersezione tra il presente e le memorie della infanzia risvegliata da qualche luogo è interessante — come scrive lei, "L'infanzia è una fabbrica di menzogne che durano all'imperfetto"; però, non mi pare di essere sufficiente per mantenere l'attenzione del lettore. I personaggi sono strani, quasi bizzarri, agendo come si fossero dei bambini. Capisco l'intenzione dietro tutto questo, però l'esecuzione non mi ha proprio convinta.
#book reviews#elena ferrante#l'amore molesto#troubling love#letteratura italiana#recensione#bookstagram#books and flowers#italian literature
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Il Mondo Oscuro e Emozionante di "Neon Genesis Evangelion": Un'Analisi del Manga
Benvenuti nel mio blog dedicato al complesso e affascinante universo di "Neon Genesis Evangelion", un manga e serie animata che ha rivoluzionato il panorama dei media giapponesi negli anni '90. Questo lavoro di Yoshiyuki Sadamoto, basato sull'opera originale di Hideaki Anno, è una profonda riflessione sulla psiche umana, la religione, e la relazione tra umani e macchine.
Il Contesto e la Nascita di Evangelion
"Neon Genesis Evangelion" è ambientato in un futuro post-apocalittico dove l'umanità è costantemente minacciata dagli "Angeli", giganteschi esseri extraterrestri che fanno irruzione sulla Terra. Per difendersi, l'umanità ha sviluppato i mecha chiamati Evangelion, pilotati solo dai giovani selezionati. Il manga, così come la serie animata, esplora le dinamiche tra questi giovani piloti, i loro traumi, e la loro lotta contro i poteri soprannaturali.
Guarda il collegamento:https://www.mangaconigli.com/
Il Protagonista: Shinji Ikari
Al centro della storia c'è Shinji Ikari, un ragazzo introverso e indeciso che viene forzato a diventare il pilota dell'Evangelion Unit-01. La sua relazione con l'Evangelion, così come con i suoi compagni piloti, diventa il fulcro di molte delle tematiche esplorate nella storia: la sofferenza, la responsabilità, e la ricerca di un senso nella vita.
I Temi Profondi
"Neon Genesis Evangelion" è molto più di un semplice manga di mecha. Esso affronta temi complessi come la depressione, l'angoscia esistenziale, e la ricerca di un'identità personale. Il manga esamina la relazione tra umani e macchine, chiedendosi se l'umanità può trovare redenzione attraverso la tecnologia o se, al contrario, questa la condanna all'alienazione.
Gli Angeli e la Battaglia Cosmica
Gli Angeli, oltre a essere un minaccia fisica, rappresentano anche simboli di difficoltà interiori che gli umani devono affrontare. Ogni battaglia contro un Angelo è un'opportunità per i personaggi di esplorare e risolvere i loro problemi psicologici. Questo aspetto rende il manga profondo e riflessivo, oltre che azionato.
L'Arte e la Stile del Manga
Yoshiyuki Sadamoto ha creato un mondo visivamente suggestivo e ricco di dettagli. Il manga è caratterizzato da linee fluide e dinamiche, che rendono ogni scena un'esperienza visiva unica. Inoltre, l'uso del colori e delle sfumature contribuisce a creare un'atmosfera oppressa e intensa, perfetta per la narrativa.
L'Impatto e la Ricezione
"Neon Genesis Evangelion" ha avuto un enorme impatto sulla cultura pop giapponese e internazionale. Il manga e la serie animata sono stati oggetto di studio accademico, hanno ispirato numerosi spin-off, e hanno influenzato generazioni di creatori nel campo dell'animazione e del manga.
Conclusioni
"Neon Genesis Evangelion" è un manga che non si può dimenticare facilmente. Oltre ad essere un'esperienza visiva e narrativa straordinaria, esso offre una profonda riflessione sulla vita, la morte, e la nostra relazione con il mondo. Se siete ancora in dubbio, vi consiglio vivamente di immergervi in questo universo oscuro ed emozionante. L'avventura vi aspetta!
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Le Tinte Esposte di Luca Venzi. Studi sul colore nel cinema.
DISCLAIMER: Questo elaborato è stato realizzato da me per dei crediti universitari. Quando ho cercato informazioni sul questo titolo ho trovato ben poco online, se ti serve aiuto ti chiedo di non copiarlo spudoratamente ma puoi citare questa analisi senza problemi inserendo questa frase in piè di pagina e nella sitografia: (created 2021, online since JUNE 2024) Romeo Isabella Le Tinte Esposte di Luca Venzi: https://opulenzacinematografica.tumblr.com/post/753265199335833600/tinte-esposte-di-luca-venzi
INTRODUZIONE
Nella storia del cinema l’introduzione del technicolor ha avuto un impatto fortissimo a livello di creazione, di visione e soprattutto di fruizione. I colori che prima erano una scala cromatica monocolore potevano finalmente rivelare le tinte appartenenti allo spettro cromatico.
Luca Venzi nel suo Tinte Esposte approfondisce il tema sull’utilizzo del colore come strumento della formatività cinematografica. Il colore agisce all’interno del film come un elemento espressivo in un arco di modalità molto vasto che può andare dalla pura e semplice presentazione, alla partecipazione e, a volte, alla regolamentazione delle più diverse strategie di costruzione del senso. [1]
Lo studio sul colore, infatti, ha permesso con il tempo di introdurre nuovi studi nel cinema, studi in grado di determinare il legame tra la composizione dell’immagine e ciò che riusciva a comunicare agli spettatori. Il colore ha un forte potere psicologico sul pubblico ed è in grado di scaturirne le emozioni e alterarne quindi lo stato d’animo. Tinte Esposte segue una serie di percorsi e traiettorie dentro e attraverso l’immagine che non è mai una sola ma si veste di svariati significati voluti dal regista che tramite i colori vuole mandare un messaggio o comunicare un certo stato d’animo.
Infatti, il colore è un elemento autonomo all’interno della scena, è trascendente al resto e deve vedersi come per ciò che è. L’audience deve essere in grado di riconoscere un colore nella sua totalità della scena, non solo per qualche elemento che ne fa parte.
L'ANALISI
Il percorso che segue Venzi è attraverso generi e registi, partendo dal musical che è uno dei generi più importanti per l’espressione del colore, d’altronde l’uso del technicolor in bicromia si deve soprattutto ai film musicali prodotti nel lasso di tempo che va dal 1929 al 1930, anche se in questo periodo il colore serve solamente a intensificare la scena e l’orizzonte dell’esibizione. Il boom del colore si avrà però con la tricomia che riuscirà a dimostrare la potenzialità di un elemento che sino ad ora non aveva alcuno ruolo fenomenico. L’uso del colore in maniera narrativa espressiva-simbolica viene promossa da Natalie Kalmus nel suo Color Consciousness [2] dove il colore viene visto come elemento attrattivo ed è proprio grazie a questa sua capacità che le grandi case di distribuzione approveranno l’uso accentuato dei colori nelle esibizioni nei musical. Il colore ha due modalità di espressione:
l’insorgenza, dove il colore attraversa l’immagine ed è la prima cosa che si nota, capace di un’identità d’attrazione
ricorrenza, la ripetizione del colore nel testo che si fa notare attraverso elementi appartenenti allo stesso croma
In Funny Face (Stanley Donen, 1957) di abbiamo un uso del colore che rispetta perfettamente queste due modalità di espressione. La gamma dei colori presenti all’interno del film viene quasi ostentata da Donen che riesce a rendere il cromatismo parte integrante della scena quasi a delinearne le azioni. I colori usati riescono ad essere un legante perfetto in relazione al musical, all’alta moda presente nel film e alle fotografie presenti di Richard Avedon.
Il colore investe lo spazio scenico rendendolo spettacolare. I colori scena dopo scena sembra quasi si vogliano contraddire, si passa dallo slogan “Think Pink” in cui tutta il colore si palesa con insorgenza (la scena con il lungo velo rosa, fig. 1)) e ricorrenza (la scena dove ballano, fig. 2) al colore brillante dei taxi che si perdono per le vie di Parigi e al giallo del cappello indossato da Audrey Hepburn nella scena nella libreria.
L’oscurità della biblioteca, il senso di grande spazio vuoto viene riempito da tinte chiare e brillanti che si adattano perfettamente allo stato d’animo della protagonista. Questo insieme di colori rende questo musical elegante e coinvolgente e perfettamente adatto per spiegare gli elementi di sviluppo del colore.
È interessante come Venzi ritenga che il colore in quanto tale possa essere esibito come testo filmico dalle diversificate funzioni e da svariati significati in grado di alterare la narrazione e le codificazioni extratestuali e non. Tra i coloristi del cinema è impossibile non citare Godard, il suo modo di utilizzare i colori (tre prevalentemente: blu, rosso e bianco/giallo) è parte integrante della produzione dei suoi film che hanno visto un interesse periodico nell’uso di questo elemento. I colori che appaiono più frequentemente in A Woman is a Woman sono il rosso e il blu e la ricorrenza di queste scelte cromatiche sembra quasi avere valenza sulle scelte dei temi affrontati nei film. Ed è proprio in questo film che sempre aver compreso quanto l’elemento del colore fosse importante a livello tematico, tanto che se avesse potuto avrebbe allungato la durata delle singole inquadrature, rallentando i movimenti di macchina per permettere allo spettatore di concentrarsi e cogliere la composizione dei colori costruita in scena. Ma AWIAW è un film veloce e molto vario nelle location e i colori sono in relazione alla caratterizzazione e allo sviluppo narrativo. Angela è il personaggio che motiva l’azione del film, appare per la prima volta in un nightclub dove il colore predominante è il rosso, le sue palpebre sono truccate di azzurro/blu, viene poi mostrata con il suo cappotto bianco e vive in un appartamento dalle pareti chiare. I colori su cui il regista vuole sperimentare si ripetono continuamente e sono sempre presenti per tutto il film.
E qui i colori hanno anche una forte valenza psicologica, Godard vuole far comprendere allo spettatore le vere intenzioni dei personaggi e il loro stato d’animo attraverso i colori a loro accostati.
Emile che è più con i piedi per terra e non vuole avere figli indossa abiti prevalentemente freddi sul blu, l’appartamento che è zona neutrale invece contiene oggetti rossi e blu. Angela che durante tutto il film è accompagnata da una forte indecisione indossa spesso il rosso e il blu insieme, questo denota quanto per il regista fosse fondamentale utilizzare il colore come forma di linguaggio. La tricromia presente nel film può considerarsi quasi come un leitmotiv di accompagnamento al tema narrativo. Ogni scelta cromatica, infatti, ne prevede una successiva opposta, ed è proprio questo che dà ritmo al film e ne scandisce le scene. La tricromia è uno degli schemi di colore meno comuni nei film ma che se saputo usare, riesce ad essere sorprendente e vibrante alla stessa maniera.
Il colore ha quindi una capacità performativa in grado di rappresentare un preciso affetto, una certa sensazione, e di conseguenza, uno stato d’animo, sta quindi al film esporre la connessione tra contenuto e senso. Godard riesce a modellare ciò che si trova tra il dato e il senso, nonostante questi due fattori siano indefiniti ed astratti e lo dimostra in maniera differente in ogni sua opera a colori.
Molto interessante è anche come viene usato il colore nel cinema italiano, all’interno di Tinte Esposte viene affrontato l’uso di questo elemento nel cinema di Carmelo Bene e in quello di Dario Argento. Nel cinema di Bene il colore ha una potenza visuale che riguarda una performance puramente attrazionale e trasfigurante in quello di Dario Argento invece il colore ha un ruolo determinante, quasi come se avesse un ruolo all’interno della trama dei suoi film.
Il cinema di Argento è pervaso dal rosso, il colore saturo del sangue porta lo spettatore a sentire il colore, l’uso infatti dei colori saturi in contrasto l’uno con l’altro, riesce a dare al film un aspetto quasi allucinatorio.
Suspiria (1977) è costruito tutto attorno alla presenza invasiva e divorante del colore, ciò viene accompagnato perfettamente dalla fotografia di Luciano Tovoli che sembra voler alterare il colore della pelle dei personaggi inquadrati.
La fotografia sembra modificare anche il colore della pelle, rendendola più calda, quasi tendente all'arancione. Ciò contribuisce a far risaltare diversi particolari e le scenografie particolarmente dettagliate (per esempio i dettagli geometrici sulle mura dell’accademia che sembrano quasi emergere su tutto). Interessante è sicuramente il colore del sangue utilizzato da Argento, un sangue che si vede essere finto, un’intensità di rosso totalmente diversa da quella delle pareti della struttura dove si sviluppa la storyline del film, quasi a voler evidenziare che è il luogo il posto reale e demoniaco. Il sangue sgorga all’interno delle pareti creando una sorta di dimensione infernale dove è impossibile rilassarsi. Eppure, il salone d’ingresso con le sue pareti blu e e gli ornamenti dorati con le vetrate gialla dona un aspetto quasi rassicurante allo spettatore, come se niente di brutto potesse accadere all’interno di quella struttura.
Molto interessante è l’utilizzo della tricromia per Argento, usa i tre colori primari (blu, rosso e giallo) in una maniera totalmente diversa rispetto a Godard. Questo proprio perché il colore come elemento cinematografico è soggetto al regista.
Il blu in A Woman is a Woman, veste perfettamente la personalità di Emile che è disposto a far andare a letto un altro uomo con Angela per cogliere la sua provocazione e Angela è rappresentata con il rosso, come la passione e il forte desiderio di diventare madre. Certo con Argento abbiamo un film con tematiche e appartenente a un genere totalmente differente ma questo paragone permette di comprendere quanto il colore sia soggetto al volere del regista e della macchina da presa.
Argento conscio di questo suo potere sull’opera sembra quasi giocare con lo spettatore, quasi a volergli lanciare un messaggio e lo vediamo quando cambia la luce improvvisamente in camera di Susy, oppure semplicemente verso la fine del film quando i colori dal rosso e verde passano a una serie di sfumature più tenue che portano lo spettatore a sciogliere la tensione avuta sino a quel momento, quasi come se quelle tonalità scacciassero gli incubi avuti sino a quel momento.
Per Dario Argento il colore è materia, è pura vibrazione e insieme alla fotografia sono in grado di provocare una specie di dinamicità emotiva, Suspiria può per questo motivo, definirsi un film d’autore perché è il regista a decidere come alternare le tonalità dei colori primari.
Sicuramente l’opera di Venzi affronta ampiamente l’importanza del colore come elemento all’interno del cinema e riesce perfettamente a spiegare come in passato, l’avvento del technicolor, abbia e governi tutt’ora l’immagine raccogliendo sulla sua prestazione visuale l’attenzione dello spettatore.
Un esempio calzante è Marnie (1964) di Alfred Hitchcock, il colore viene utilizzato come una sorta di rivelatore della verità, ogni colore che accompagna un oggetto ha un significato ricorrente all’interno del film.
Il giallo è uno dei primi colori che vediamo e viene associato all’utilizzo del denaro per acquisirne benefici emotivi e non. La borsa che Marnie indossa nella prima inquadratura è gialla e al suo interno nasconde del denaro rubato, il padre di Mark invece viene introdotto mentre indossa un gilet dorato.
Ma il rosso è forse il colore che si comporta in maniera più differente e possiede un significato psicologico legato direttamente al passato della protagonista.
Il colore è inizialmente posto in oggetti come i fiori, come dell’inchiostro versato su una camicia o sulla giacca da fantino, è un colore d’accompagnamento che viene minuziosamente posizionato all’interno del film. Quando la protagonista incontra il rosso la natura dell’oggetto passa in secondo piano perché è proprio il colore a turbarla, rendendo così per l’attenzione dello spettatore il colore primario e l’oggetto secondario, invertendo così la normale relazione tra attributo e oggetto.
I fiori rossi rappresentano per Marnie la perdita dell’amore di sua madre e risvegliano il senso di rivalità gelosa incarnata dal marinaio che era quindi suo rivale per ottenere l’amore della madre.
Quindi si può dire che l’utilizzo del colore per Hitchcock abbia un significato primario rispetto all’oggetto che decora, le relazioni con gli oggetti non sono specificate, e solo seguendo il colore si può arrivare al trauma che la protagonista ha avuto in giovane età e ai conseguenti problemi psicologici.
La presenza del rosso nel film funziona come esternazioni dello stato psicologico interiore di Marnie e quindi sono oggettivazioni del suo trauma, di un’esperienza che è stata repressa. Il rosso nel corso del film diventa un oggetto in sé con una propria personalità, un proprio modo di esprimersi ma è bloccato, si sblocca solamente alla presenza di Marnie e della sua visione rendendo quindi lo spettatore partecipe di questa rivelazione che per la protagonista non è chiara.
Ma non è solo il rosso a sbloccare il trauma di Marnie ma anche le tempeste e gli incubi ricorrenti che ha la donna che rielaborano gli elementi cruciali della sua esperienza traumatica infantile.
La sequenza finale del flashback che rivela l’origine del trauma di Marnie è girata magistralmente in quanto i colori che vediamo sono opachi, sbiaditi, come se fossero invecchiati, desaturati. Evocano un passato che non c’è più, passato che però arriva prepotentemente nel presente quando il sangue del marinaio è rosso brillante, saturo, proprio per scuotere il pubblico proprio come lo è Marnie che ha ricordato ogni cosa.
Hitchcock riesce a dare mistero a un colore che non ha niente di misterioso dato che il rosso viene sempre associato al sangue, eppure facendolo diventare un elemento/oggetto di scena riesce a far domandare allo spettatore cosa ci sia davvero dietro quella sfumatura. La verità però è nota a tutti, il rosso ha effettivamente il significato che notoriamente ha e il regista ha voluto giocare dandogli una storia, un passato che nessuno si aspettava e che era stato represso dallo spettatore.
Infatti, la lenta rivelazione del significato del rosso, coinvolge lo spettatore quasi in un processo psicoanalitico, il colore non è solo sangue ma è tutto ciò che riguarda il personaggio principale, la sua storia e le sue relazioni.
In conclusione, possiamo dire che nel cinema hollywoodiano i colori con le loro trasparenze sono in grado di scaturire sensazioni ed emozioni nel pubblico, così come la trama e la descrizione dei personaggi, il colore è un elemento che può alterare lo stato psicologico della fruizione. Ogni regista però riesce a dargli una propria connotazione, il colore può dare profondità ma può anche toglierla ed il pubblico è soggetto all’espressione di questo elemento.
[1] VENZI Luca (2018). Tinte Esposte. Studi sul colore nel Cinema. Cosenza: Pellegrini Editore, p. 12 [2] Natalie Kalmus, 'Color consciousness', Journal of the. Society of Motion Picture. Engineers, August 1935, reprinted in Dalle Vacche and Price (eds)
FILMOGRAFIA
Funny Face (ita. Cenerentola a Parigi), Stanley Donen, Stati Uniti d’America (1957)
Une femme est une femme (ita. La donna è donna) Jean-Luc Godard, Francia (1961)
Suspiria (ita. Suspiria), Dario Argento, Italia (1977)
Marnie (ita. Marnie), Alfred Hitchcock, Stati Uniti (1964)
(CREATED 2021, ONLINE JUNE 2024) Romeo Isabella Le Tinte Esposte di Luca Venzi: https://opulenzacinematografica.tumblr.com/post/753265199335833600/tinte-esposte-di-luca-venzi
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Recensione di "Il Bambino Dimenticato" di Lorhainne Eckhart: Una Storia di Amore, Famiglia e Resilienza. A cura di Alessandria today
Un racconto emozionante sul potere dell'amore e delle seconde possibilità, in cui un uomo solitario trova una nuova speranza grazie a una donna straordinaria.
Un racconto emozionante sul potere dell’amore e delle seconde possibilità, in cui un uomo solitario trova una nuova speranza grazie a una donna straordinaria. “Il Bambino Dimenticato” di Lorhainne Eckhart è un romanzo toccante che esplora le dinamiche familiari, l’amore incondizionato e il tema della crescita personale. Brad Friessen, protagonista della storia, è un uomo che, dopo una serie di…
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Le rivelazioni di Fedez sulla separazione da Chiara Ferragni, i figli e l'ipotesi Sanremo 2025 Gli ultimi virgolettati di Chiara Ferragni sulla sua crisi matrimoniale risalgono alla sua intervista a Che Tempo Che Fa datata 3 marzo. Al netto di alcune frecciatine social e like ad una serie di commenti piccati, l’influencer dei record ha scelto la strada del no comment. Fedez, al contrario, ha aperto il vaso di Pandora condividendo pubblicamente i "guai in paradiso" che hanno portato al game over dei Ferragnez. Dal "rapporto tossico" con la moglie alla sua insofferenza per gli amici di lei passando per l’affido dei figli e di Paloma, ecco le ultime rivelazioni di Federico (confidential). Fedez torna a parlare della separazione Dall’uscita di Sexy Shop, la canzone con Emis Killa in cui ammette di essere stato "un po’ cattivo, ma non inelegante", Fedez torna a parlare pubblicamente della separazione da Chiara Ferragni. Durante una diretta twitch con lo streamer Grenbaud, il 34enne non si tira indietro rispondendo a domande sulla sua vita privata oltre a mostrare con orgoglio l'appartamento in Piazza Castello a Milano dove si è trasferito dal break up e dall’addio alla casa di famiglia a CityLife (di proprietà di Sisterhood la holding di Chiara Ferragni che ha appena nominato mamma Marina Di Guardo come general manager). Non ci è andato leggero Fedez definendo "tossico" il suo rapporto con la moglie. Una relazione in cui "ci facevamo male a vicenda" e in cui non si sente "di attribuire colpe a nessuno" nonostante la narrativa data dalla stampa. Le rivelazioni del rapper Una "storia infinita che poi è finita" che di conseguenza ha segnato la fine di rapporti tra l'ex giudice di X Factor e i fedelissimi della moglie. "Fortunatamente quando chiudi una relazione, chiudi anche con tutta la cerchia. C'erano persone che non mi andavano a genio, non ho mai fatto segreto di non sopportare l'ambiente circostante", ha detto Federico senza troppi eufemismi, "Non mi piacevano le persone con le quali dovevo uscire, fare e pagare anche vacanze". E a chi gli chiede commenti a freddo sulla sua intervista a Belve, il cantante spiega di non avere rimpianti e di essere andato da Fagnani "non per se stesso" anche se le sue intenzioni "non sono state capite" e di aver fatto in una sera quello che un team di esperti di comunicazione non è riuscito a fare in settimane. Oggi per lui è iniziato un "nuovo capitolo della vita", con una nuova routine e amici "che vengono dal mio ambiente e prima non riuscivo a frequentare". Una costante i figli Leone, 6 anni, e Vittoria, 3, la sua "ragione di vita" che rivela di vedere "circa tre volte a settimana" ma per cui sta lottando “per vederli più possibile”. Rispondendo alle domande dei followers, Fedez, che avrebbe scelto per il divorzio da Chiara Ferragni gli stessi avvocati di Ilary Blasi, commenta anche la lontananza dal cane di famiglia, il golden retriver Paloma. "Avevo un cane di cui mi prendevo prevalentemente cura io, se non esclusivamente. E non lo vedo più”, le sue parole, “Mi gira il c***o". Federico poi ammette di non conoscere le ragioni di questa decisione e che se ci scherza su è solo una questione di sopravvivenza: "la prendo sul ridere anche perché in questo periodo se non prendo sul ridere le cose mi lancio dal balcone con le ali di cartone". Fedez ha una nuova fidanzata? Commentando la sua presunta frequentazione con la modella francese classe 2004 Garance Authié (avvistata con lui a Milano e poi sul Lago di Como nel weekend ndr), invece, lancia una frecciatina alla ex cognata Valentina Ferragni, al momento coinvolta in una relazione con Matteo Napoletano, più giovane di lei di 10 anni. "Mi fa ridere la retorica dell''Esce con un ragazza più giovane'. Se una ragazza fa una torta con scritto ‘che figo il mio fidanzato di 10 anni di meno' è una grande, se lo fa un uomo allora è un viscido pezzo di me**a", spiega in un presunto dissing diventato virale. Spazio anche ad una battuta su Sanremo 2025. Sempre nella chiacchieratissima diretta su Twitch sul canale di GrenBaud, Fedez rivela che tornerebbe all'Ariston "con il progetto giusto", ma non solo. "Se mi arriva un messaggio in cui mi dicono che mi vogliono per il Festival di Sanremo 2025? Sì, con l’idea giusta andrei. E poi devo dire che questa volta sarei anche libero di fare quello che voglio. Sì ho detto che sarei più libero [...] Lo so che Amadeus lascia un botto di libertà, ma infatti io non stavo parlando di lui".
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Cavalla golosa
Cavalli famosi aforismi celebri Cavalla golosa, un articolo che parla di cavalli famosi e anche di una portentosa cavalla golosa. Letteratura, aforismi e ricordi di una creatività equina. Voler conciliare la fede con la ragione, significa voler insegnare la matematica ad un cavallo, e pretendere anche che la capisca. Carl William Brown Un giorno chiesi ad un saggio cosa fosse per lui la stupidità, il saggio non esitò e mi rispose: - E' come chiedere ad un pesce cos'è un cavallo.- Ma sono sicuro che non mi ha detto tutto quello che sapeva. Carl William Brown Certo è difficile puntare su un ipotetico cavallo vincente, quando in corsa ci sono purtroppo solo asini. Carl William Brown Se dovete combattere un nemico, non dimenticate mai il cavallo di Troia, non scordatevi l'ossequio ed il travestimento, l'ipocrisia e la falsità, adoratelo e poi pugnalatelo alle spalle. La lealtà infatti è un valore che dal punto di vista della strategia non esiste. Carl William Brown Un asino non si può trasformare in un cavallo, al limite lo si può ammazzare e poi spacciare la sua carne per quella di cavallo. Carl William Brown Avere fiducia in sé stessi è una buona cosa, tuttavia di certo non basta all'asino per diventare un cavallo. Carl William Brown Cavalli celebri: il cavallo di Troia, i cavalli di Frisia, piazza Magnacavallo e il cavallo dei pantaloni. Totò Un uomo nero a cavallo, con la spada e una Z sul mantello nero arriva alla caserma dei carabinieri e consegna un malvivente. E il carabiniere di guardia: "Grazie, Zuperman!". Anonimo Horse sense is the thing a horse has which keeps it from betting on people. W.C. Fields There is nothing so good for the inside of a man as the outside of a horse. John Lubbock Riding: the art of keeping a horse between you and the ground. Anonymous
Cavalli famosi e una cavalla golosa A horse, a horse! My kingdom for a horse! William Shakespeare Nell'Olimpo Zeus trasporta le sue folgori con Pegaso, il cavallo alato; Alessandro Magno cavalca il suo imponente Bucefalo; Orlando il suo Brigliadoro; Atlante, Ruggiero e Astolfo si servono dell'Ippogrifo; Rinaldo ha il suo Baiardo; Astolfo viaggia con il suo cavallo Rabicano, animale senza peso; Zorro impenna il suo Tornado e anche la Grecia non si è fatta mancare il suo famoso cavallo di Troia; ma pure Don Chisciotte ha il suo Ronzinante. Così quando Daimon finalmente chiede a Carl William Brown se per caso anche lui non avesse voluto un portentoso equino, la risposta non si fece attendere a lungo e il nostro legionario, con il suo solito stile divertitamente pensieroso e beffardo, solennemente esclamò - per me magari andrebbe bene anche una "cavalla" e se possibile la vorrei per di più "golosa". Daimon fece un sorrisetto e non mancò di rassicurare il nostro magico sognatore - vedremo, vedremo!- Dal mondo dei ricordi. Lunedì, 08 agosto 2005 Il libro degli inganni delle donne Orbene... vi delizierò in quest'inizio giornata parlandovi di un libro che mi è dato da leggere (avendo finito "re" Stephen King e aspettando con ansia che qualcuno di voi me ne regali un altro) nella battuta finale della mia ascesa verso la laurea-impresa incomprensibile, misteriosa ed oscura nella sua ardua riuscita. Il libro è: Sendebar "il libro degli inganni delle donne" nella cui descrizione si legge: In stretta relazione con la letteratura gnomica della Spagna del secolo XIII, e al tempo stesso intessuto di motivi tipici del folklore universale, il Sendebar documenta il gusto e insieme l'esigenza, assai vivi nell'aristocrazia spagnola dell'epoca, di autorappresentarsi e di delineare un proprio immaginario mediante antichi modelli narrativi di provenienza orientale rielaborati in testi che rivelano una sensibilità narrativa e persino una vocazione romanzesca del tutto nuove. In sostanza, il libro è costituito da una serie di racconti brevi in successione, tutti incentrati sui raggiri e la malvagia disonestà delle donne nei riguardi di ignari, benevoli, affabili, nonché succubi uomini che si trovano spodestati, illusi, maltrattati e ignorati da quelle malvage copie carbone delle meretrici di Babilonia che se li rigirano come pedalini sporchi e pieni di buchi all'altezza dell'alluce valgo. Senz'altro, questi, motivi tipici del folklore universale! Ora io mi domando - senza scadere nella sagra della banalità e della mediocrità - se anni e anni di letteratura romanza ci portano l'esempio di un triviale patriarchismo che insegna in testi che rivelano una sensibilità narrativa e persino una vocazione romanzesca del tutto nuove quanto le donne meritino di essere trattate in maniera marginale e irrisoria, in quanto esseri scialbi, di poco conto e di poca importanza - oltre all'accoppiamento e all'allattamento dei pargoli - ma allo stesso tempo ci educano a quanto questi esseri demoniaci vadano temuti e scacciati via per evitare di soccombere, QUANTO di questa mentalità c'è dietro al comportamento di alcuni esseri, definiti erronamente "uomini" che non si fanno scrupolo di trattare le donne a mò di deliziose bambole gonfiabili? Mi propongo come collaboratrice di una VERA, nuova narrativa di vocazione odierna e attuale post-Bridget Jones: "Come pucciare il biscotto e darsela a gambe. Manuale per i perfetti detentori di bambole gonfiabili di carne." Sono attese adesioni. Equinamente vostra CavallaGolosa Read the full article
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Stranger Things 4: una stagione spettacolare e gigantesca
L'eco scatenato dal fragore di Stranger Things ha valicato i confini del suo prodotto originale sfociando nei vasti campi della popolarità di massa, rendendo la serie creata dai fratelli Duffer un'opera imprescindibile per tutti coloro che negli ultimi anni si sono rivolti alle piattaforme streaming alla ricerca di titoli unici e diversificati tra di loro. Il progetto partito dallo scantinato immaginario di Hawkins è destinato ad espandersi ulteriormente nei prossimi anni, con i Duffer che hanno già annunciato di essere in fase progettazione per uno spin-off di Stranger Things, il quale seguirà una quinta stagione che punta a chiudere tutte le linee narrative del filone principale.
Se il futuro della serie tv appare a dir poco roseo, l'ultima stagione di Stranger Things - conclusasi con i due episodi finali rilasciati tra le serie tv Netflix di Luglio 2022 - è contraddistinta da una resa visiva strepitosa, calibrata sui toni di una computer grafica mai così particolareggiata come nell'ultimo episodio, la quale rende spettacolare fino all'inverosimile una guerra tra universi che espande i suoi confini verso orizzonti ancora imprecisati, assumendosi il rischio di accartocciarsi su se stessa mentre i pigri riferimenti ai favolosi anni '80 cominciano a mancare di vera passione.
L'infanzia del gruppo di eroi formatosi per caso, durante la lotta contro un essere proveniente da una realtà parallela, è ormai agli sgoccioli, ma i ragazzi non potranno avventurarsi insieme nell'avventura dell'adolescenza perché ci sono migliaia di chilometri a separarli. La famiglia Byers ha deciso di lasciare Hawkins in seguito agli orrori che hanno sconvolto la cittadina nella stagione precedente, portando in California la due volte orfana Undici (Millie Bobbie Brown) e dicendo addio ad un luogo sul quale aleggiava la dipartita dello sceriffo Hopper.
La ragazza ha promesso di rimanere in contatto con il suo ragazzo Mike (Finn Wolfhard), ma la relazione a distanza si scontra con la freddezza emotiva di lettere mai abbastanza sentite, mentre Undici deve allo stesso tempo abituarsi ad una nuova vita in assenza di poteri psichici, con l'incapacità di inserirsi nel contesto scintillante dell'high school losangelina. L'assenza dell'unica superstite del progetto del dottor Brenner (Matthew Modine) non ha però garantito la salvezza di Hawkins, perché una serie di efferati omicidi spalanca le porte per l'arrivo di un nuovo potentissimo avversario, il quale costringerà il gruppo di amici a lavorare nuovamente insieme anche a dispetto della lontananza per salvare il mondo da una calamità mai vista prima.
Con L'allargamento dell'orizzonte geografico Stranger Things abbraccia nuove dimensioni narrative, cercando per la prima volta di trovare la giusta misura a diversi contesti scollegati tra di loro.
Non affascina da questo punto di vista il trattamento riservato ad Undici, incapace di trovare un senso alla sua esistenza una volta persi i poteri, e gli scontri con i suoi coetanei (uno dei quali rientra a pieno diritto nel citazionismo sfrenato di Stranger Things 4) si rivelano inconcludenti visto che alla prima occasione utile la sceneggiatura trova un modo di reinserirla nuovamente nel mondo del paranormale, senza darle mai l'occasione di diventare una persona reale. Nettamente più coerente è la linea narrativa che unisce Will, Dustin e Lucas all'Hellfire Club di Eddie Munson (Joseph Quinn), il quale è rivelato una delle migliori aggiunte al cast, riprendendo i temi di unione e fratellanza che avevano reso indimenticabile la prima stagione, mentre perdono mordente in maniera definitiva i "colleghi adulti": Nancy, Jonathan e Steve ebbero un sussulto in termini di profondità emotiva nel corso della terza stagione, ma la loro evoluzione personale durante lo scontro con Vecna è irritante quando non parodistica.
Questa nuova stagione si propone di esplorare i segreti dell'origine del Sottosopra e, sebbene il racconto non spicchi per originalità espositiva - portato avanti da una sorta di flashback indotto a Undici - i tasselli disseminati nel corso di queste tre stagioni (fa eccezione la prima, la quale fu pensata per essere autoconclusiva) cominciano a formare un quadro interessante, allargatosi in maniera decisa rispetto al piccolo mondo che ha visto la luce nel 2016, e per questo sempre in bilico tra l'espansione concreta e il tradimento dell'ambizione. Ma soltanto la stagione finale potrà dirci se questo mosaico narrativo si paleserà in un disegno convincente, ma per il momento la trama sorregge bene il peso dell'aspirazione.
Ma se la sceneggiatura boccheggia in alcuni frangenti, lo stesso non si può dire della messa in scena, la quale si rivela il vero fiore all'occhiello di una produzione che non ha badato a spese per ricreare mostruosità ed effetti strabilianti.
La computer grafica si erge a protagonista assoluta di questa stagione, con un episodio finale capace di emozionare grazie all’elevato il livello dell'impianto scenico, spalleggiato da una colonna sonora come sempre azzeccatissima, spiccano Running up that Hill di Kate Bush e un brano dei Metallica riproposto in maniera così potente da bucare lo schermo. Grande, però, assente risulta l'anima anni Ottanta che aveva fatto innamorare gli spettatori ad una serie decisamente citazionista, perché - al di là dei blandi riferimenti filmici- manca quel vibrante essere nostalgico che aveva reso inimitabile la prima stagione, perso nell'ambizione di accrescere a dismisura e riciclare situazioni e tematiche già abbondantemente esplorate nelle puntate precedenti, declinandole con un fare semplicistico in un'altra area geografica.
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L'America nella cultura italiana, all'Iic il libro di Guido Bonsaver
Di Pietro Nigro Guido Bonsaver presenta il 29 febbraio alle 18 all'Istituto Italiano di Cultura di Londra il suo libro America in Italian Culture. L'America nella cultura italiana, all'Iic il libro di Guido Bonsaver Si intitola America in Italian Culture: La Nascita di un Nuovo Modello di Modernità (1866-1943) il libro che Guido Bonsaver, docente di Storia della Cultura italiana all'Università di Oxford, presenterà il 29 febbraio 2024 alle ore 18 all'Istituto Italiano di Cultura di Londra. L'evento, vedrà la presentazione del libro seguita da una stimolante conversazione tra l'autore, Guido Bonsaver, e il professor David Ellwood, Senior Adjunct Professor alla SAIS Europe, esperto di storia contemporanea internazionale e autore del fondamentale testo "The Shock of the Century" sulla cultura americana. Il libro di Bonsaver esplora il periodo che va dal 1866 al 1943, un'epoca in cui l'America emerge come potenza mondiale mentre l'Italia è ancora una nazione giovane e appena unificata. L'avvento di innovazioni tecnologiche come l'elettricità e il motore a scoppio accelera la diffusione di notizie, idee e artefatti in tutto il mondo. La classe operaia italiana, grazie all'alfabetizzazione e alle riforme sociali, mostra una crescente disponibilità di denaro, tempo e istruzione. Il paradosso di questo periodo è rappresentato dalla dittatura totalitaria fascista in Italia, che cercava di proteggere il paese dall'influenza straniera. Tuttavia, milioni di italiani, con un livello di istruzione più basso, iniziano a sognare l'America, attratti dai film di Hollywood e dalle riviste illustrate che dipingono uno skyline futuristico di Manhattan e raccontano lo stile di vita americano. Il libro analizza gli effetti delle politiche nazionalistiche del regime fascista e pone domande cruciali: perché il jazz, la letteratura americana e i fumetti erano così popolari, nonostante gli Stati Uniti fossero considerati nemici politici dell'Italia? La narrativa di Bonsaver offre uno sguardo accattivante su questo periodo di cambiamento culturale italiano. "America in Italian Culture" è un'opera che fornisce una prospettiva accademica e coinvolgente su un periodo cruciale nella storia culturale italiana. L'evento promette di essere un'occasione unica per esplorare le dinamiche di questa relazione tra due nazioni in un'epoca di profondi cambiamenti sociali e culturali. Per partecipare gratuitamente, è possibile prenotare QUI E' anche possibile leggere l’introduzione al libro QUI Inoltre, i membri di istituzioni affiliate all'Iic (ad esempio le Università di Londra), possono accedere gratutitamente all’ebook, seguendo questo link https://academic.oup.com/book/51692 L'autore, Guido Bonsaver, portatore di una vasta esperienza accademica e riconoscimenti, offre una narrazione avvincente della storia culturale italiana post-unificazione, con particolare attenzione alla letteratura e al cinema. La sua conversazione con il Professor David Ellwood promette di essere un momento di riflessione profonda su come la cultura italiana ha abbracciato e reagito alla modernità americana in un periodo così tumultuoso. Non perdere l'opportunità di partecipare a questo evento che getta luce su una fase affascinante e complessa nella storia delle due nazioni. Guido Bonsaver e Davi Ellwood Guido Bonsaver è Professore di Storia della Cultura italiana all’Università di Oxford e Membro del Pembroke College. Ha studiato presso le Università di Bologna e Verona e ha completato il dottorato durante l’insegnamento presso la Reading University. Prima di arrivare ad Oxford nel 2003, ha insegnato presso le università del Sussex, Kent e Royal Holloway London. Nel 2012 è stato nominato Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica dal Presidente della Repubblica come riconoscimento per il suo contributo alla cultura italiana. Il suo lavoro di ricerca si concentra sulla storia della cultura italiana post unificazione, con un particolare interesse per la letteratura e il cinema. Ha collaborato con una serie di organi di informazione quali i canali radiotelevisivi della BBC e RAI e diversi giornali specializzati e generalisti. E’ autore di una serie di pubblicazioni, tra le quali le monografie: Elio Vittorini (2000), Censorship and Literature in Fascist Italy (2007), Vita e omicidio di Gaetano Pilati (2010), Mussolini censore (2013) e i seguenti libri in collaborazione: con R. Gordon, Culture, Censorship and the State in Twentieth-Century Italy (2005); con E. Bond e F. Faloppa, Destination Italy: Representing Migration in Contemporary Media and Narrative (2015); con A. Carlucci e M. Reza, Italy and the USA: Cultural Change Through Language and Narrative (2019). David Ellwood è Senior Adjunct Professor alla SAIS Europe. Dal 2020, il Professor Ellwood è Membro della Fondazione Einaudi di Torino. Precedentemente è stato professore associato di storia contemporanea internazionale presso l’Università di Bologna (fino al novembre 2012). ... Continua a leggere su
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