#la società è narcisista
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Mi fa spaccare questa cosa del “non è il patriarcato è che non sappiamo relazionarci con l’Altro, soprattutto donna”
Bimbi, l’Occidente maschile e bianco, aristocratico prima e borghese poi, non ha mai saputo relazionarsi con l’Altro da quando ne ha scoperto l’esistenza, se non attraverso violenza e oppressione sistemiche, a prescindere che l’Altro fosse donna, nero, ebreo o mussulmano
Senza dimenticare l’Altro che ognuno è a se stesso, con quello è sempre andato meno d’accordo che col resto probabilmente
Fate voi
#ma guarda tu che roba#che mi tocca sentire#i maschi vengono cresciuti per essere narcisisti dicono#chiediamoci perché?#la società è narcisista#SI LA SOCIETÀ È NARCISISTA#ma chiediamoci perché?#e sopratutto chiediamoci perché il narcisismo colpisca gli uomini in tal misura#da farne degli assassini o dei suicidi#non semplificate mai#non in questi casi#non per interrogare questi fenomeni#mailmiocuoredipietratremaancora#femminicidio#violenza di genere#patriarcato#femminismo#colonialismo#oppressione#razzismo#maschilismo#mascolinità tossica
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Lo sai Giulia cosa diranno adesso?
Che dovevi scappare, che dovevi lasciare un uomo del genere.
Dai primi dubbi, dal sentore di quella relazione con la collega, dai segnali che percepivi.
Perché voi donne in un modo o nell'altro, un po' di colpa ve la dovete tenere.
Perché in una società come la nostra, l'uomo ha sempre qualche attenuante.
Alla fine ve lo insegnano da piccole, che se Eva non avesse mangiato la mela, vivremmo ancora nell'Eden.
Che se le donne lavorano nascono meno figli
Che le donne troppo libere sono pericolose.
Che la minigonna dà segnali inconfutabili.
Che dire no non basta se metti troppo trucco
Che se i tuoi figli son maleducati è colpa tua.
Che se la casa è in disordine è colpa tua
Che se tuo marito ti tradisce è perché non te ne occupi abbastanza.
Che se il tuo compagno ti ammazza, un po' te la sei cercata
Vivete di sensi di colpa.
In ogni contesto
Perché prima gli uomini erano mariti e padroni.
Ora sono confusi, per la vostra indipendenza, per l'intrapredenza, per la sicurezza.
E vanno capiti...loro.
Già parlano di lui come di un bravo ragazzo, sempre col sorriso, nessuno se lo sarebbe mai aspettato.
I più cattivi diranno che è un narcisista patologico, un anaffettivo, freddo, calcolatore.
E invece no, Giulia
Un assassino. E' semplicemente un assassino.
E tu non sei scappata
dalle responsabilità, dal chiarimento, dal faccia a faccia.
Perché voi donne i problemi li affrontate.
Dolorosi o meno, scomodi, difficili.
E non voglio immaginare quando hai capito che era troppo tardi, per salvarvi.
E fa troppo male Giulia, pensare al tuo futuro che resta racchiuso in una foto.
E fa troppo male pensare a quel pancione che non sarà mai vita.
Fa troppo male pensare che tante, troppe Giulie vivono in ricordi, fotografie per colpa di uomini piccoli e meschini. Violenti. Perché la violenza ha mille tentacoli e mille forme.
Peccato che quando la si denuncia, in pochi casi viene creduta, o capita.
E non lo so Giulia che sarà di voi, di una società in cui non si fa mai abbastanza, in cui si insegna alle donne a scappare e non agli uomini a rispettarvi
In cui i problemi si eliminano con una lama affilata.
In cui tutto questo cordoglio sembra solo una resa.
Un fallimento.
In cui avrete voce solo da morte.
Giuseppe Frascà
AUGURI MAMMA GIULIA ❤️❤️
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I dieci danni che ci lasciò il '68
Mezzo secolo fa l'arroganza del (presunto) contropotere generò la dittatura chiamata "politicamente corretto"
Sono passati cinquant'anni dal '68 ma gli effetti di quella nube tossica così mitizzata si vedono ancora. Li riassumo in dieci eredità che sono poi il referto del nostro oggi.
SFASCISTA Per cominciare, il '68 lasciò una formidabile carica distruttiva: l'ebbrezza di demolire o cupio dissolvi, il pensiero negativo, il desiderio di decostruire, il Gran Rifiuto.
Basta, No, fuori, via, anti, rabbia, contro, furono le parole chiave, esclamative dell'epoca. Il potere destituente. Non a caso si chiamò Contestazione globale perché fu la globalizzazione destruens, l'affermazione di sé tramite la negazione del contesto, del sistema, delle istituzioni, dell'arte e della storia. Lo sfascismo diventò poi il nuovo collante sociale in forma di protesta, imprecazione, invettiva, e infine di antipolitica. Viviamo tra le macerie dello sfascismo.
PARRICIDA La rivolta del '68 ebbe un Nemico Assoluto, il Padre. Inteso come pater familias, come patriarcato, come patria, come Santo Padre, come Padrone, come docente, come autorità. Il '68 fu il movimento del parricidio gioioso, la festa per l'uccisione simbolica del padre e di chi ne fa le veci. Ogni autorità perse autorevolezza e credibilità, l'educazione fu rigettata come costrizione, la tradizione fu respinta come mistificazione, la vecchiaia fu ridicolizzata come rancida e retrò, il vecchio perse aura e rispetto e si fece ingombro, intralcio, ramo secco. Grottesca eredità se si considera che oggi viviamo in una società di vecchi. Il giovanilismo di allora era comprensibile, il giovanilismo in una società anziana è ridicolo e penoso nel suo autolesionismo e nei suoi camuffamenti.
INFANTILE Di contro, il '68 scatenò la sindrome del Bambino Perenne, giocoso e irresponsabile. Che nel nome della sua creatività e del suo genio, decretato per autoacclamazione, rifiuta le responsabilità del futuro, oltre che quelle del passato. La società senza padre diventò società senza figli; ecco la generazione dei figli permanenti, autocreati e autogestiti che non abdicano alla loro adolescenza per far spazio ai bambini veri. Peter Pan si fa egocentrico e narcisista. Il collettivismo originario del '68 diventò soggettivismo puerile, emozionale con relativo culto dell'Io. La denatalità, l'aborto e l'oltraggio alla vecchiaia trovano qui il loro alibi.
ARROGANTE che fa rima con ignorante. Ognuno in virtù della sua età e del suo ruolo di Contestatore si sentiva in diritto di giudicare il mondo e il sapere, nel nome di un'ignoranza costituente, rivoluzionaria. Il '68 sciolse il nesso tra diritti e doveri, tra desideri e sacrifici, tra libertà e limiti, tra meriti e risultati, tra responsabilità e potere, oltre che tra giovani e vecchi, tra sesso e procreazione, tra storia e natura, tra l'ebbrezza effimera della rottura e la gioia delle cose durevoli.
ESTREMISTA Dopo il '68 vennero gli anni di piombo, le violenze, il terrorismo. Non fu uno sbocco automatico e globale del '68 ma uno dei suoi esiti più significativi. L'arroganza di quel clima si cristallizzò in prevaricazione e aggressione verso chi non si conformava al nuovo conformismo radicale. Dal '68 derivò l'onda estremista che si abbeverò di modelli esotici: la Cina di Mao, il Vietnam di Ho-Chi-Minh, la Cuba di Castro e Che Guevara, l'Africa e il Black power. Il '68 fu la scuola dell'obbligo della rivolta; poi i più decisi scelsero i licei della violenza, fino al master in terrorismo. Il '68 non lasciò eventi memorabili ma avvelenò il clima, non produsse rivoluzioni politiche o economiche ma mutazioni di costume e di mentalità.
TOSSICO Un altro versante del '68 preferì alle canne fumanti delle P38 le canne fumate e anche peggio. Ai carnivori della violenza politica si affiancarono così gli erbivori della droga. Il filone hippy e la cultura radical, preesistenti al '68, si incontrarono con l'onda permissiva e trasgressiva del Movimento e prese fuoco con l'hashish, l'lsd e altri allucinogeni. Lasciò una lunga scia di disadattati, dipendenti, disperati. L'ideologia notturna del '68 fu dionisiaca, fondata sulla libertà sfrenata, sulla trasgressione illimitata, sul bere, fumare, bucarsi, far notte e sesso libero. Anche questo non fu l'esito principale del '68 ma una diramazione minore o uscita laterale.
CONFORMISTA L'esito principale del '68, la sua eredità maggiore, fu l'affermazione dello spirito radical, cinico e neoborghese. Il '68 si era presentato come rivoluzione antiborghese e anticapitalista ma alla fine lavorò al servizio della nuova borghesia, non più familista, cristiana e patriottica, e del nuovo capitale globale, finanziario. Attaccarono la tradizione che non era alleata del potere capitalistico ma era l'ultimo argine al suo dilagare. Così i credenti, i connazionali, i cittadini furono ridotti a consumatori, gaudenti e single. Il '68 spostò la rivoluzione sul privato, nella sfera sessuale e famigliare, nei rapporti tra le generazioni, nel lessico e nei costumi.
RIDUTTIVO Il '68 trascinò ogni storia, religione, scienza e pensiero nel tribunale del presente. Tutto venne ridotto all'attualità, perfino i classici venivano rigettati o accettati se attualizzabili, se parlavano al presente in modo adeguato. Era l'unico criterio di valore. Questa gigantesca riduzione all'attualità, alterata dalle lenti ideologiche, ha generato il presentismo, la rimozione della storia, la dimenticanza del passato; e poi la perdita del futuro, nel culto immediato dell'odierno, tribunale supremo per giudicare ogni tempo, ogni evento e ogni storia.
NEOBIGOTTO Conseguenza diretta fu la nascita e lo sviluppo del Politically correct, il bigottismo radical e progressista a tutela dei nuovi totem e dei nuovi tabù. Antifascismo, antirazzismo, antisessismo, tutela di gay, neri, svantaggiati. Il '68 era nato come rivolta contro l'ipocrisia parruccona dei benpensanti per un linguaggio franco e sboccato; ma col lessico politicamente corretto trionfò la nuova ipocrisia. Fallita la rivoluzione sociale, il '68 ripiegò sulla rivoluzione lessicale: non potendo cambiare la realtà e la natura ne cambiò i nomi, occultò la realtà o la vide sotto un altro punto di vista. Fallita l'etica si rivalsero sull'etichetta. Il p.c. è il rococò del '68.
SMISURATO Cosa lascia infine il '68? L'apologia dello sconfinamento in ogni campo. Sconfinano i popoli, i sessi, i luoghi. Si rompono gli argini, si perdono i limiti e le frontiere, il senso della misura e della norma, unica garanzia che la libertà non sconfini nel caos, la mia sfera invade la tua. Lo sconfinamento, che i greci temevano come hybris, la passione per l'illimitato, per la mutazione incessante; la natura soggiace ai desideri, la realtà stuprata dall'utopia, il sogno e la fantasia che pretendono di cancellare la vita vera e le sue imperfezioni... Questi sono i danni (e altri ce ne sarebbero), ma non ci sono pregi, eredità positive del '68? Certo, le conquiste femminili, i diritti civili e del lavoro, la sensibilità ambientale, l'effervescenza del clima e altro... Ma i pregi ve li diranno in tanti. Io vi ho raccontato l'altra faccia in ombra del '68. Noi, per dirla con un autore che piaceva ai sessantottini, Bertolt Brecht, ci sedemmo dalla parte del torto perché tutti gli altri posti erano occupati. Alla fine, i trasgressivi siamo noi.
Marcello Veneziani
Editorialista del Tempo, sul '68 ha scritto Rovesciare il '68 (Mondadori, anche in Oscar, 2008)
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L’harem del narcisista.
Quasi tutti i narcisisti, o meglio quelli che appartengono ad un subcategoria di narcisi cioe’ OVERT.
I narcisi overt a mio parere sono meno pericolosi, perché più facilmente sgamabili, ne parleremo in un altro post.
In ogni caso, molti narci, hanno il proprio HAREM.
E il bello è che non lo nascondono.
Ora possono etichettarsi come ‘ poliamorosi’, avendo anche il benestare di una società, sempre più aperta e ben disposta verso nuovi modelli di interazione amorosa.
Per lui è normale avere un harem e te lo dice.
A volte tu presenta persino le altre sue ancelle, e gli piace che andate d’accordo.
Gli piace che tu sia compiacente di fronte alla sua scelta, e se osi contraddire o mostrarti infastidita, sei una rompi palle, o una all’ antica o una che ‘ pretende troppo’.
Dunque ricordate bene questo:
Lui ve lo dice.
Non c’e’ NULLA DA INTERPRETARE.
Non si sta proteggendo o non sta accampando scuse.
Lui ha altre donne.
Ci va a letto
Ci esce
Gli regala le rose e gli invia gli stessi identici messaggi che invia a voi.
Dovete purtroppo accettare questa realtà, che lui, proprio per deresponsabilizzarsi, vi scodella sotto gli occhi.
Perché il Narci-O si comporta cosi?
Egli NON e’ in grado di andare in profondità, di vivere l’intimità che richiede una relazione, di essere autentico.
Bensì lui è perfettamente in grado di MIMARE sia amore che EMPATIA.
Ma e’ un copione.
Le sue ferite, come ho scritto molte volte, sono profonde e laceranti, e lui non riesce a metterci mano, perciò è costretti a crearsi un trono, uno scudo di alterigia, per rendersi invulnerabile.
Non puoi curarlo
Non puoi salvarlo
E ne tanto meno, sperare che vada in terapia.
Devi semplicemente ascoltare quello che lui stesso ti dice e cioe’ che lui non sa amare e non vuole impegnarsi.
Non sei TU che hai qualcosa che non va .
Non si impegnerà MAI e e se lo fara’ sarà sempre un teatro, una finzione una messiscena.
Fin quando accadrà qualcosa che lo destera’ dalla sua pantomima.
Ma non puoi sapere quando e come sarà.
Puoi solo allontanarti e uccidere la maledetta speranza.
Se ti aggancia, vuol dire che fa leva sul TUO bisogno di sentirti SPECIALE E UTILE.
E quindi sul TUO narcisismo.
Quindi l’umiltà è la cura.
E imparare che non hai bisogno di qualcuno per sentirti speciale o utile .
Puoi lavorare su di te e sul tuo bisogno di dover sempre dimostrare e non sentirti mai abbastanza.
_ClaudiaCrispolti_
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La Vigliaccheria è la prima
caratteristica del Fascismo
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La Realtà ti chiama a prendere posizione. A non essere indifferente. A dire da che parte vuoi stare. Che società vuoi. Per quale Futuro ti batti.
Ogni persona responsabile di questo paese, lo sa.
Ne è consapevole.
Le persone che tacciono. Che assumono una posizione di indifferenza.
Le persone che non prendono posizione, come l'attuale Presidente del Consiglio, sono campioni di vigliaccheria. Di ambiguità. Di volontà di non fare mai i conti, con la Storia.
Gente che non è mai cresciuta. Che non ha il senso nè dello Stato, nè delle Istituzioni, nè della responsabilità pubblica, che è implicita nella carica che ricoprono.
Perchè l'Italia è una Repubblica antifascista nata dalla lotta dei nostri nonni partigiani.
Dal loro sacrificio e da un popolo che rovesciò un regime violento e autoritario che ci aveva portato dentro la tragedia di una guerra disastrosa.
Una guerra, ricordiamocelo tutti, intrapresa per la folle superficialità, di un uomo narcisista e arrogante come Benito Mussolini.
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LA PSICOLOGIA DEL NARCISISTA PATOLOGICO: ESPLORANDO IL PROFILO DEL MANIPOLATORE PERVERSO
Riconoscere e Affrontare il Narcisismo Patologico nelle Relazioni:
Consigli Pratici
Negli ultimi tempi, il Narcisismo Patologico è diventato un argomento di ampia discussione, grazie all'accesso facilitato alle informazioni tramite internet e ai social media. Questo disturbo, caratteristico della società contemporanea individualista, è oggetto di interesse per psicologi, psichiatri, coach, counsellor e persone comuni che condividono le proprie esperienze.
Tuttavia, è importante notare che il Narcisismo non è necessariamente patologico. Esiste un livello sano di Narcisismo che contribuisce alla crescita individuale, promuovendo autostima, autoefficacia e empatia. Questo articolo si concentra su aspetti pratici legati al Narcisismo Patologico, tralasciando l'approfondimento teorico, facilmente reperibile in letteratura.
In questo articolo, esploreremo:
Chi è il Narcisista Patologico (rispetto a un Narcisista sano).
Come identificarlo.
Come gestire una relazione con un Narcisista Patologico.
Il Narcisismo Patologico vs. il Narcisismo Sano
Il Narcisismo diventa patologico quando comporta danni all'altro e si manifesta attraverso:
Bassa autostima: Il narcisista patologico dipende dall'approvazione esterna per mantenere l'ego, senza di essa sperimenterebbe un grave crollo psicologico.
Megalomania: Questo individuo esagera non solo la propria persona ma anche i propri successi, cercando di apparire superiore agli altri.
Mancanza di empatia: Questa è la caratteristica distintiva rispetto al narcisismo sano. Il narcisista patologico non riconosce o considera le emozioni altrui, causando sofferenza senza rendersene conto.
Incapacità di amare: Questo individuo non sa amare autenticamente; i suoi gesti d'affetto hanno scopi manipolatori e di controllo.
Comportamenti Tipici del Narcisista Patologico
I comportamenti del Narcisista Patologico possono variare ma includono:
Love bombing: Durante la fase iniziale, il narcisista patologico cerca di attrarre la vittima con attenzioni e gesti affettuosi.
Cambiamento di comportamento: Dopo aver conquistato la vittima, il narcisista diventa freddo e distante.
Critiche e manipolazione: Il narcisista utilizza critiche sottili, giudizi e silenzi punitivi per manipolare l'altro.
Tradimenti e bugie: Spesso ricorre alla triangolazione, paragonando l'attuale partner con ex per seminare insicurezze.
Riconquista: Se la vittima cerca di terminare la relazione, il narcisista può cercare di riconquistarla, almeno finché non trova una nuova vittima.
Come Gestire una Relazione con un Narcisista Patologico
Terminare una relazione con un Narcisista Patologico è complesso, poiché spesso sussiste una dipendenza affettiva. È fondamentale mantenere un senso di realtà e cercare il supporto di un professionista per affrontare la situazione.
Altri passi includono:
No contact: Smettere ogni tipo di contatto con il narcisista, inclusi messaggi e social media. Questa scelta deve essere supportata da una terapia.
Lavoro psicologico: Rivolgersi a uno psicoterapeuta per affrontare i disturbi derivanti dalla relazione con il narcisista, come depressione, ansia o somatizzazioni.
In sintesi, gestire una relazione con un Narcisista Patologico richiede consapevolezza, supporto professionale e il coraggio di intraprendere un percorso di guarigione personale.
Scopri ora la complessa psicologia del narcisista patologico e impara a riconoscere il manipolatore perverso nelle tue relazioni. Contattami acquisire consapevolezza e proteggerti da comportamenti dannosi.
Tito Bisson
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American Psycho - Bret Easton Ellis
"American Psycho" è un romanzo di Bret Easton Ellis scritto nel 1991. L'edizione da me letta è quella del 2014, pubblicata da Einaudi Editore. Il romanzo rientra in parte nel genere thriller ed in parte nella narrativa contemporanea. Infatti, la componente spazio-temporale è molto forte, tanto da prevalere sulla trama.
Il libro è ambientato negli anni '80 negli Stati Uniti, più precisamente a New York e si concentra su una particolare categoria di persone, un particolare status sociale, quello della alta borghesia e ne fa un affresco partendo da una trama prettamente thriller. La trama, appunto, si incentra su Patrick Bateman, un uomo di 27 anni definito come il ragazzo della porta accanto che lavora a Wall Street e, nel tempo libero, si diletta ad uccidere. Quindi, il romanzo in breve racconta le vicende di un serial killer, ma non è questo l'obiettivo del romanzo.
"Senti, dovremmo tutti poter fare esattamente ciò che vogliamo. Io voglio che tu faccia quel che vuoi."
Si provi ad analizzare attentamente il personaggio di Patrick Bateman: è un uomo che si confonde con i suoi colleghi, perché la classe sociale rappresentata è estremamente superficiale e non ha interesse nell'approfondire veri e propri rapporti. Questo comporta una sorta di generalizzazione di Patrick Bateman, perché egli può essere chiunque. Ovviamente, queste non sono le uniche informazioni che si guadagnano sul tale personaggio durante la lettura, infatti l'autore riesce a dipingere un quadro estremamente dettagliato di Bateman attraverso episodi sconnessi tra loro, ma che crescono di tensione con lo scorrere del tempo. Questi episodi non sono univoci, bensì si possono distinguere episodi sociali, ovvero tutti quei momenti in cui Patrick Bateman è inserito in un contesto sociale con i propri colleghi, che permettono di osservare l'interazione del protagonista con altre persone; episodi "psicopatici", molto esplicativi, in cui il protagonista commette atti violenti e omicidi; episodi generici, che descrivono la vita di tutti i giorni di Bateman, con i quali l'autore di approfondire diversi aspetti della società che sta trattando. Un esempio di questi ultimi sono tutti quei capitoli in cui Ellis si intromette nella narrazione per poter parlare di musica, di moda. Queste tre tipologie di episodi danno al lettore tutti gli strumenti per conoscere Patrick Bateman: un uomo narcisista, violento, metodico, nonché razzista, maschilista e omofobo, caratteristiche che lo accomunano ai suoi colleghi. Infatti, l'obiettivo dell'autore va oltre la narrazione degli atti di uno psicopatico, ma è quello di evidenziare e analizzare una precisa classe sociale, caratteristica che accomuna anche altre opere di Bret Easton Ellis. Si osserva, in questo romanzo, come già detto, come Patrick Bateman si mimetizza tra i suoi colleghi, per cui vale anche il viceversa: sono tutti uguali, si vestono nella stessa maniera, frequentano gli stessi luoghi e le stesse persone, nessuna persona tra loro spicca, si distingue, Bateman si distingue solo perché l'autore ha deciso di raccontare la sua storia. Questa somiglianza è presente soprattutto nelle ideologie di questi uomini: essi sono razzisti, maschilisti, omofobi. Ciò viene descritto direttamente tramite l'utilizzo di episodi diversi, con l'interazione con altre persone, l'interazione tra loro, come parlano delle donne, come le trattano, cosa dicono. L'intento di Ellis è, quindi, mettere in evidenza i lati negativi di una società che pensa di meritarsi tutto dal mondo, che pretende tutto e Patrick Bateman è solo un modo per farlo.
"Questa era la geografia intorno alla quale ruotava la mia vita: non mi era mai venuto in mente, mai, che la gente fosse buona o che un uomo potesse cambiare o che il mondo sarebbe potuto essere un posto migliore grazie a un sentimento o a uno sguardo o a un gesto, o al fatto di accettare l'amore o la gentilezza di un'altra persona."
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Guida rapida alla monogamia
Servono:
Attrazione. Se non c'è, non ci sarà mai. Se non vuoi andarci a letto, passa oltre. Gli amici sono una cosa, i partner un'altra.
Simmetria. Se il suo valore sul mercato sessuale è molto più alto del tuo, stai aprendo la porta al disastro. Sarai costantemente insicuro in merito a potenziali defezioni, e il tuo partner si accontenterà di te sempre meno volentieri. Trova una persona più vicina al tuo livello, o alzalo. La scala da 1 a 10 è tanto avvilente quanto vera.
Stabilità emotiva. Sempre. Comunque. Anche quando si punta alla relazione mordi e fuggi. I costi di stare con una persona instabile sono più alti del piacere che ne deriva. Sempre. Comunque.
Valori comuni. Il dialogo con chi la pensa diversamente è un'impresa lodevole, ma una coppia non può avere continue discussioni su religione, politica, educazione dei figli e compagnia bella. Ci sono i piatti da lavare.
Stabilità emotiva. No, dico sul serio. Ve ne potete accorgere fin da subito: dalle espressioni che ha nelle foto, dal modo che ha di vestire, dalla maniera in cui vi parla. Se voi ignorate i segnali, noi ignoreremo le vostre lamentele in merito all'ex narcisista e alla ex psicopatica.
Personalità affini. No, gli opposti non si attraggono. Se lei è da rave party e tu da coperta e film, i sabato sera saranno un casino. Ci si bilancia a vicenda solo fino a un certo punto.
Stabilità emotiva. Sì, tre volte, perché vi conosco. Siete quelli che vedono il buono e che "lo/la salverò io." Il test è semplice. Se già non lo siete, immaginatevi madri o padri. Chiedetevi: "Darei in mano la salute mentale di mio figlio a questa persona?". Se la risposta è no, saluti e baci.
Entusiasmo. Se non è entusiasta di stare con voi, per quale motivo dovreste essere entusiasti di stare con lui/lei? Siete forse a vostro agio, nel ruolo di mendicanti?
Qualità universali. Uomini e donne sono diversi e cercano cose diverse, ma alcune qualità mettono d'accordo tutti: generosità, intelligenza, compassione, un minimo di abilità sociali, saper fare scelte di buon senso, saper gestire tempo e risorse, vedere gli altri come persone anziché oggetti. Non fidanzatevi con una palla al piede, a meno che questa non stia adoperandosi per cambiare. La vita è già un casino così.
Aspettative ragionevoli. No, il tuo partner non ti darà mai tutto ciò di cui hai bisogno. E' una persona, non un sex robot d'avanguardia. Prendi quel che c'è e sii grato, per tutto il resto ci sono gli amici. E nei momenti di maggior egoismo, ricordati di quante robe il tuo partner deve accontentarsi per stare con te.
Autocritica. Le persone decenti non scelgono partner indecenti. Non si può pretendere ciò che non si può offrire a nostra volta.
Pazienza. Da contratto, di partner ne potete avere solo uno (alla volta). La paura di rimanere soli è realistica, e chi vi dice il contrario non vi sta aiutando. Rimane il fatto che una scelta affrettata potrebbe rivelarsi più catastrofica del saper gestire una temporanea, strategica solitudine. Però a un certo punto bisogna iscriversi a tinder e muovere il culo, eh. Per certe cose non si possono aspettare i sessant'anni. Nonostante quel che ci racconta la società di oggi, l'adolescenza non dura per sempre.
Meglio soli che mal accompagnati, sì. Ma meglio ben accompagnati che soli.
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Io la conoscevo prima che facesse il collegio e tanti le davano della pick me girl perché pubblicava cartelli con scritto cose del tipo “sono maschio non maschilista” e scriveva come la società consideri tutti i maschi come maschilisti o una cosa del genere, lo trovi scorrendo infondo infondo agli inizi😅… prima del collegio parlava tantissimo anche delle problematiche maschili dove spiegava anche di come anche gli uomini possono essere stuprati, vittime ecc… poi entrata nel collegio piano piano ha iniziato a dire quello che alle persone piace sentirsi dire e a esagerare. Infine ha conosciuto la divadeltubo ( la divadeltubo è la prima a dire di essere narcisista e penso che abbia anche un po’ manipolato Maria Sofia).
Maria Sofia è impazzita ed è passata all’estremismo, arrivando a richiedere eguali diritti e normalizzazione anche per chi ha rapporti sessuali con famigliari. 🐺
è semplicemente una che non sa più che fare
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Capitolo 33 - Spazio d'immagine
Nel 2001 in occasione della prima edizione di Yohokohama Triennale, oggi alla sua ottava edizione, Yayoi Kusama partecipa con due opere che vogliono essere il suo personale omaggio al nuovo inizio dell’arte contemporanea in Giappone e all’inizio del XXI secolo. Per la prima opera, ospitata al chiuso nella sala del Pacifico Yokohama, Kusama riveste di specchi un’intera stanza, al soffitto appende delle sfere riflettenti e infine ricopre anche il pavimento di sfere specchiate, di modo che
“Chi entrava vedeva la propria immagine riflessa in millecinquecento sfere, e riusciva a percepire l’infinito mutamento di prospettiva generato dai propri movimenti, in un’esperienza di repetitive vision.” (Y. Kusama)
Intitola l’opera Endless Narcissus Show.
Nella seconda opera, questa volta all’aperto, le sfere riflettenti sono duemila, hanno un diametro di 30 centimetri, sono di acciaio inossidabile e bagnate galleggiano in una sezione del canale lungo la passeggiata che collega la stazione ferroviaria Sakuragicho all’area portuale di Shinko. Assecondando il flusso delle onde e i loro movimenti, le duemila sfere riflettono per gli spettatori il profilo delle nuvole, il bagliore intermittente della luce, le geometrie del porto. Il titolo dell’opera è Narcissus Sea e l’artista così ne descrive l’effetto
“Le infinite palle a specchio si avvicinavano e poi si allontanavano, tornavano ogni volta a mutare il loro aspetto in risposta al movimento continuo e senza posa del canale. Emettevano suoni delicati, ora un ticchettio, ora un cicalio. Era una visione stupefacente: creature enigmatiche che si moltiplicavano nell’acqua.”
Da una stanza tutta per sé del primo trentennio del Novecento siamo passati a una stanza tutta piena di sé del nuovo Millennio, dove con un movimento spontaneo e naturale gli individui della società liquida di Z. Bauman del XX secolo, seguendo il flusso della corrente senza sosta, si sono riversati nel narcisismo senza fine di Kusama e degli individui del XXI secolo.
Le esperienze di repetitive vision affollano i nostri schermi e le immagini che più si ripetono sono autoritratti estemporanei e giornalieri di persone comuni e di personaggi famosi. I selfie si diffondono nei primi anni del Duemila, arrivano con l’uso delle fotocamere digitali, che permettono di duplicare un’immagine all’infinito e l’uso delle piattaforme social, con le quali è possibile condividere e diffondere la propria immagine infinitamente.
La prima piattaforma che permetteva di pubblicare il proprio autoritratto fu MySpace, la piattaforma offriva uno spazio di presentazione di sé stessi e un modo di affermarsi fu proprio occupare lo spazio della galleria fotografica, non con le proprie opere ma inserendovi i propri selfie, prendere il proprio spazio significava fare mostra e negozio di sé stessi.
La parola selfie viene dall’Inglese ed ha la stessa radice del termine selfish che definisce chi non tiene in considerazione gli altri e i loro bisogni, chi è o si comporta da egoista. Non voglio né insinuare né affermare che chi si faccia dei selfie sia egoista o per forza narcisista. Amo ricevere i selfie delle persone che mi sono care, amo vedere i loro volti, leggere sulle loro espressioni come stanno e penso che sia una meravigliosa opportunità quella di comunicare usando la propria immagine ma ritengo comunque significativo porre l’attenzione sulla diffusa abitudine di ritrarre sé stessi e su quanto sia diventata necessaria sia a livello individuale sia a livello sociale.
Un tempo chi voleva rintracciarci aveva bisogno di conoscere il nostro indirizzo di posta fisico o il nostro numero di telefono fisso, adesso basta che digiti il nostro nome su una qualsiasi App social per trovarci subito dopo, sorridenti sulla foto del nostro profilo. Mentre prima bisognava recarsi all’indirizzo e suonare il citofono per raggiungerci o telefonarci per parlare con noi, adesso raggiungerci significa accedere ai nostri contenuti social, conoscerci significa guardare le nostre foto e leggere i nostri slogan.
Facebook è stata la prima piattaforma social completamente basata sull’identità degli iscritti, tanto da avere la parola Face nel proprio nome, per essere riconosciuti e connettersi alla propria comunità di seguaci bisognava metterci la faccia. In Facebook, come anche in altri social, Instagram incluso, l’uso dei selfie è indispensabile per il successo di un account e di recente alcune aziende, alla vecchia lettera di presentazione preferiscono l’invio di un video di pochi minuti, in cui i candidati che aspirano a ricoprire la posizione offerta, si presentano rispondendo alla domanda: perché saresti la persona giusta per questo lavoro?
Presentarsi è mostrarsi seguendo i dettami del marketing, applicando correttamente armocromia e make-up fotografico, post editing grafico per rendere fotogenico qualsiasi volto e la grammatica degli slogan vincenti.
Gli individui del secolo scorso con relazioni e identità fluide, senza legami duraturi, senza passato e senza progetti gettati nel futuro, immersi nell’eterno scorrere del presente sono confluiti in una società di individui che si autodefiniscono sul dire non sul fare, sull’apparire non sull’essere, sul presentarsi non sull’essere riconosciuti dalla comunità di riferimento in base alle opere compiute. Una società di individui che occupano posti di potere decisionale fondamentali per la comunità, che occupano spazi pubblici con l’opportunità di influenzare il pensiero di molte persone, che occupano spazi educativi e culturali con la responsabilità di formare le nuove generazioni, che occupano spazi di influenza, occupano questi spazi non per il riconoscimento dovuto alle loro opere, perché in possesso di quelle competenze che li rendono i candidati migliori per quel determinato ufficio o servizio, ma perché capaci di presentarsi e abili nell’uso del linguaggio del successo, perché come le palle a specchio di Kusama sono capaci di mutare, pur restando uguali, in risposta al movimento senza posa del canale.
Individui che fondano la loro narrazione sull’essersi fatti da soli, sull’aver raggiunto il successo partendo dal basso e non scoraggiandosi mai, sempre fissi sulla meta, pronti a tutto per raggiungere i propri obiettivi, perseverando sempre. Siamo pieni di narrazioni di individui che non devono ringraziare nessuno per la loro ricchezza e il loro successo, incapaci di riconoscere l’aiuto ricevuto, individui che si appropriano delle intuizioni o delle scoperte di altri e di altre senza darvi il giusto riconoscimento, individui che si presentano come eroi solitari, con capacità straordinarie e una visione del mondo non comune, ostinati nel loro desiderio di realizzare i propri sogni, disposti a tutto per farlo e soprattutto vincenti, vincenti su tutto e tutti.
Questi individui sono come le sfere di Kusama, pianeti solitari che nella perfezione della loro forma sono impermeabili a qualsiasi cosa provenga dall’esterno, assumono i contorni del mondo esterno senza subire cambiamenti, s’identificano con i movimenti della corrente senza esserne trascinati, riflettono l’immagine dell’altro da sé senza esserne tuttavia trasformati, così pericolosamente dissociati da abusare segretamente di quelle stesse donne che pubblicamente, e nella vita virtuale, esaltano difendendone i diritti.
Sfere di acciaio inossidabile sorde alle sollecitazioni del mondo esterno come a quelle del loro mondo interiore, unità compatte con una separazione netta tra dentro e fuori, continuamente fluttuanti tra verità e menzogna, tra bene e male, acrobati equilibristi dell’ Endless Narcissus Show.
A Est di Roma, 28 agosto 2023 h 2:04 p. m.
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Lo sai Giulia cosa diranno adesso?
Che dovevi scappare, che dovevi lasciare un uomo del genere.
Dai primi dubbi, dal sentore di quella relazione con la collega, dai segnali che percepivi.
Perché noi donne in un modo o nell'altro, un po' di colpa ce la dobbiamo tenere.
Perché in una società come la nostra, l'uomo ha sempre qualche attenuante.
Alla fine ce lo insegnano da piccole, che se Eva non avesse mangiato la mela, vivremmo ancora nell'Eden.
Che se le donne lavorano nascono meno figli
Che le donne troppo libere sono pericolose.
Che la minigonna dà segnali inconfutabili.
Che dire no non basta se metti troppo trucco
Che se i tuoi figli son maleducati è colpa tua.
Che se la casa è in disordine è colpa tua
Che se tuo marito ti tradisce è perché non te ne occupi abbastanza.
Che se il tuo compagno ti ammazza, un po' te la sei cercata
Viviamo di sensi di colpa.
In ogni contesto
Perché prima gli uomini erano mariti e padroni.
Ora sono confusi, per la nostra indipendenza, per l'intrapredenza, per la sicurezza.
E vanno capiti...loro.
Già parlano di lui come di un bravo ragazzo, sempre col sorriso, nessuno se lo sarebbe mai aspettato.
I più cattivi diranno che è un narcisista patologico, un anaffettivo, freddo, calcolatore.
E invece no, Giulia
Un assassino. E' semplicemente un assassino.
E tu non sei scappata
dalle responsabilità, dal chiarimento, dal faccia a faccia.
Perché noi donne i problemi li affrontiamo.
Dolorosi o meno, scomodi, difficili.
E non voglio immaginare quando hai capito che era troppo tardi, per salvarvi.
E fa troppo male Giulia, pensare al tuo futuro che resta racchiuso in una foto.
E fa troppo male pensare a quel pancione che non sarà mai vita.
Fa troppo male pensare che tante, troppe Giulie vivono in ricordi, fotografie per colpa di uomini piccoli e meschini. Violenti. Perché la violenza ha mille tentacoli e mille forme.
Peccato che quando la si denuncia, in pochi casi viene creduta, o capita.
E non lo so Giulia che sarà di noi, di una società in cui non si fa mai abbastanza, in cui si insegna alle donne a scappare e non agli uomini a rispettarci
In cui i problemi si eliminano con una lama affilata.
In cui tutto questo cordoglio sembra solo una resa.
Un fallimento.
In cui avremo voce solo da morte.
Laura Dogani
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Saba Anglana
https://www.unadonnalgiorno.it/saba-anglana/
Ce ne andiamo in giro con una specie di invisibile esoscheletro, noi donne, ci siamo ancora costrette, per difesa, per necessità. Un’armatura che potenzia le capacità fisiche e quelle psichiche, uno scudo che ci protegge. Ora, immaginiamo sia fatto di luce, il nostro carapace: nessun bisogno di piacere o di compiacere, così come invece ci hanno abituato fin da piccole. Non siano il successo, i followers o la fisicità vincente il nostro lasciapassare. Ma un corpo fatto di luce, che illumini il mondo quando lo attraversiamo, che rieduchi la nostra società narcisista alla capacità di amare.
Saba Anglana è un’artista poliedrica. È cantautrice, attrice, autrice, conduttrice radiofonica, lavora in produzioni teatrali e televisive e sviluppa progetti discografici internazionali.
Ha all’attivo quattro dischi distribuiti in oltre sessanta paesi del mondo, i cui testi sono scritti nelle lingue che compongono il suo albero genealogico, tra Italia e Africa orientale.
È nata a Mogadiscio, in Somalia, il 17 novembre del 1970 da padre italiano e madre etiope.
Aveva cinque anni, nel 1975, quando il regime di Mohammed Siad Barre, sospettando la sua famiglia di spionaggio, li ha costretti ad abbandonare il paese. Riparati prima in Etiopia e poi in Italia, si sono stabiliti a Roma.
Dopo la laurea in Storia dell’Arte all’Università La Sapienza ha iniziato a lavorare come attrice, ha fatto parte del cast del telefilm La squadra per due stagioni, è stata doppiatrice nel film Totò Sapore e ha recitato in tanti teatri italiani.
Nel 2006 ha inciso l’album Jidka – The Line, cantato in somalo e inglese, con la prestigiosa etichetta inglese World Music Network, che l’ha vista esibirsi in centinaia di spettacoli in cui alterna il canto alla narrazione. Da segnalare la sua partecipazione a The Earth Nat Geo, il 22 aprile 2008 in Piazza del Campidoglio a Roma, insieme a artiste e artisti del calibro di Cesária Évora e Nidi D’Arac, per fare qualche nome.
Il secondo album, del 2010, Biyo – Water is Love, dedicato all’acqua e alle problematiche legate al suo sfruttamento, entrato nella Top 10 della European Top Chart of World Music, l’ha vista testimonial di campagne mediatiche internazionali in materia di salute e diritti umani.
Nel 2012 è uscito Life Changanyisha, sul valore della mescolanza, registrato in Tanzania e cantato in swahili. Tre anni dopo ha visto la luce Ye katama hod – The belly of the city, sguardo sul rapporto tra il progresso e la tradizione nell’epoca delle grandi trasformazioni.
Il suo suo libro di prosa poetica, Lettera al mio fantasma. Piccola epopea dell’assenza, è stato dato alle stampe nel 2018.
A teatro ha recitato con Marco Paolini, è stata diretta da Gabriele Vacis, Armando Pugliese, Jacopo Gassman e altri.
È anche autrice di spettacoli che ha anche interpretato come Mogadishow, Abebech – Fiore che sboccia – Storia di identità, preghiera e guarigione e Riti ruggenti.
Nel 2021 è nel cast del film Boys con Neri Marcorè e Marco Paolini.
Saba Anglana è una donna consapevole del suo presente che non trascura le sue origini e il passato. La sua voce è uno strumento potente, di prorompente comunicazione corporea e spirituale. Gestisce complesse modulazioni vocali nell’esercizio del suono, un’armonica padronanza della sua forte capacità espressiva. È fatta di luce, suoni e essenza.
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Dov’è tuo fratello?
Caino e Abele, il narcisista e l’altro
Il mito di Caino e Abele ci mostra nella sua attualità più sconcertante quel lato scabroso che investe ognuno di noi nel suo rapportarsi con l’altro. Infatti, dice bene Massimo Recalcati, psicanalista e saggista milanese, quando riportando l’interpretazione di Sant’Ambrogio, sostiene che c’è una parte di Caino e di Abele in tutti noi, simbolo di questa lotta mai sopita tra il nostro Io e l’altro. L’uomo è da sempre, infatti, caratterizzato da una duplice natura: da una parte quella spinta all’apertura nei confronti del mondo che ci circonda e ci orienta alla sua scoperta, dall’altra quella pulsione securitaria che ci fa temere l’ignoto e quindi l’altro perché potenziale minaccia per la nostra vita. Quest’ultima pulsione la possiamo chiaramente intravedere tra le maglie della società contemporanea; una società sempre più chiusa su se stessa, costruita sui divieti e sui confini che tanto politicamente vengono sfruttati proprio per soddisfare questa necessità che sentiamo in noi. È questa nostra naturale tendenza ad allontanare e rifuggire l’altro di cui Recalcati scrive nel suo saggio “Il gesto di Caino”, dove si trova a reinterpretare in chiave psicanalitica il mito biblico. In particolar modo si concentra su quel tentativo fallito di Caino di annientare quell’alterità, suo fratello Abele, causa prima della sua feroce invidia, non riconoscendo nell’altro però la sua natura insostituibile e fondante del nostro stesso essere.
Secondo l’interpretazione Lacaniana, infatti, il desiderio umano è sempre contraddistinto da una mancanza mai colmabile né saziabile. A differenza dei bisogni che hanno una natura oggettuale in cui una volta ottenuto ciò che lo possa soddisfare si estingue (ho fame, mangio e mi sazio), il desiderio si muove sempre verso l’orizzonte dell’insoddisfazione. Esso non può trovare una banale soddisfazione di sé tramite un qualsiasi oggetto, ma è “abitato da una mancanza” costitutiva che fa si che si muova sempre verso nuove direzioni senza mai però colmare quel vuoto. Il desiderio si genera e rigenera indipendentemente dalla nostra volontà (non si può decidere cosa desiderare) e rende l’uomo inqueto, incapace di completare se stesso. Caino è dunque, come tutti noi, un uomo incompleto, mancante, il quale vede in Abele suo fratello l’essere che si frappone fra sé e il suo io ideale e completo. Lui vuole essere l’unico, mentre Dio lo costringe a constatare il contrario, non cogliendo che perdere l’unicità al mondo non vuol dire perdere valore, ma che invece il rapporto di fratellanza con l’altro può essere un’opportunità di comprensione di sé. L’altro quindi con la sua presenza lo riporta alla constatazione della sua incompletezza e dunque l’unica strada narcisisticamente percorribile è l’annientamento di Abele.
David Scott, "Cain Degraded (Remorse)", 1831. Particolare
L’illusione di Caino sta proprio nella sua incapacità di ammettere questa sua “mancanza ad essere” e di conseguenza di ammettere di non poter essere senza l’Altro, simboleggiato dal fratello Abele. Ciò che sancisce questa nostra mancanza è proprio la Legge della Parola “che vincola il soggetto all’Altro” e che sancisce l’impossibilità di evitarlo in quanto il linguaggio, introducendo comunicazione, ha sempre a che vedere con un altro da me. Da qui origina la violenza perversa e narcisistica di Caino, che nel suo efferato gesto omicida infrange questa Legge nell’illusione di potersi realizzare come essere senza passare per “la faticosa e ineludibile mediazione dell’Altro”. Il tentativo di valicare questo limite imposto dalla Legge, coincide con l’aspirazione a divinizzare se stesso di Caino, a raggiungere Dio (unico essere completo), non rendendosi conto della fragilità della natura umana, mancante per definizione.
“Si tratta di una promessa perversa […] raggiungere un godimento che escluda la separazione, un godimento assoluto, privo di mancanza, capace di cancellare la differenza, di abolire la distanza che separa l’uomo da Dio […]. L’Altro non serve, è solamente un ingombro.”
Il rifiuto incondizionato dell’altro, del diverso da noi conduce dunque alla violenza più efferata che rifiuta l’opportunità della parola, per annientare ciò che si oppone alla più cocente e dolorosa delle verità da accettare, cioè quella di non essere gli unici. Oggigiorno l’altro moderno può assumere diversi profili: il nostro rivale in amore, un collega di lavoro, lo straniero che invade i nostri confini… tutti elementi come ci insegna il racconto di Caino e Abele costitutivi della nostra vita e mai evitabili. Recalcati pone infatti l’accento proprio sull’Uno, l’unico, il solo, come la vera matrice della violenza e del razzismo e non sull’altro, il diverso, il nemico. La vera eredità del disperato e narcisistico gesto di Caino è proprio quel fondamentalismo più becero che mira a “cancellare la differenza, a unificare le lingue, fare esistere razzisticamente un solo popolo” in parole povere ad annientare il diverso ponendo la Verità nell’Uno, nell’unico. Caino è però in grado di superare questo impasse; dal suo gesto omicida riconosce il suo rifiuto dell’alterità e infine si rende responsabile del suo gesto facendosi uomo. Ciò che possiamo in ultima analisi cogliere è dunque che il diverso non risponde per forza al nemico, ma costituisce una parte invalicabile e insostituibile sempre presente nelle nostre vite. L’altro non è eliminabile e sarebbe folle pensare il contrario proprio perché è tramite lui che formiamo la nostra identità; per tutta la durata della nostra vita ci misuriamo infatti con le persone che ci circondano, a partire dalla famiglia e gli amici, e con un grande Altro che è la cultura e la società che abitiamo. Il riconoscimento del proprio Io, ci viene proprio dato da queste interazioni sociali, da quell’immagine riflessa di noi stessi che l’altro ci dona. Solo il narcisista Caino può pensare di poter essere indipendentemente dagli altri, coltivando un io illusorio che non può giocoforza rinunciare all’alterità; ammettere quel debito simbolico, invece, è fondamentale da riconoscere proprio per non cedere a quella pulsione securitaria che abita tutti noi e ci allontana da chi ci circonda. Se può esistere dunque un’alleanza con il prossimo, quella può esserci solo tramite la parola; parola che può costituire un’opportunità di dialogo, che ci salva dalla furia fratricida in-evitabile del rifiuto dell’altro perché “dove c’è violenza, manca sempre la parola”.
“Fratellanza è infatti l’indice del carattere insuperabile e vincolante della relazione con l’Altro, non tanto con il fratello di sangue, con il più prossimo, ma innanzitutto con lo sconosciuto, con il fratello che ancora non ha nome”
Leonardo Mosole
Fonti:
Massimo Reclacati - Il gesto di Caino
Leonardo Rigoni - «L’insondabile decisione dell’essere». Spunti per un’antropologia pedagogica - FrancoAngeli Editore - ISBN 9788835124740 - 2019
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Le fake news, funzionano così:
L’80% degli elettori repubblicani, negli USA, è convinto che le elezioni siano state truccate e che, in realtà, avrebbe vinto Trump. Questo nonostante siano state avviate decine di procedimenti legali che non hanno portato a nulla, nonostante si siano svolti dei riconteggi che, al massimo, hanno ottenuto l’effetto di assegnare più voti a Biden, nonostante ogni organo giudiziario del paese e dei singoli stati (dalle varie corti federali fino ad arrivare alla Corte Costituzionale a maggioranza repubblicana) abbia certificato che non esiste neanche uno straccio di prova di brogli. E nonostante il fatto che Trump avesse iniziato a parlare di “elezioni truccate” da prima che si votasse, perché sapeva che avrebbe perso. Ma se parlate con un qualsiasi sostenitore di Trump, quello vi risponderà che, in alcuni posti, “hanno votato anche i morti”, che sono state trovate casse di voti per Trump nascoste, che Obama ha telefonato a Renzi che ha parlato con Conte (visto che sono grandi amici) che ha fatto non so cosa per hackerare il sistema di voto USA. Giuseppe Conte come Anonymous, in pratica. Tutta roba completamente inventata, frutto di bufale apparse sul web, non esiste una sola delle affermazioni di sopra che abbia una corrispondenza nella realtà. Tanto è vero che nessun tribunale ha rilevato una sola irregolarità reale nelle votazioni. Ma, come dicevo, l’80% degli elettori repubblicani, resta convinto che le elezioni siano state truccate. Perché l’ha detto Trump. Vi faccio un altro esempio: avete presente il coglione vestito da bisonte che l’altroieri è entrato nel Campidoglio di Washington? È un noto attivista dell’estrema destra USA, tale Jake Angeli, un complottista con diversi problemi mentali noto come “lo sciamano di QAnon”. Uno che ha un blog su YouTube e compare a ogni manifestazione pro Trump da sempre. La donna uccisa, invece, si chiamava Ashli Babbitt, anche lei era una fan di Trump, anche lei adepta di QAnon, la setta che crede che il mondo sia dominato da democratici pedofili cannibali che bevono il sangue dei bambini. Bene, secondo quello che sta girando oggi su internet, la rivolta di due giorni fa sarebbe una messinscena degli “antifa”, che si sono finti repubblicani. E non conta il fatto che sul web, ad esempio, ci siano centinaia di video in cui Jake Angeli vaneggia di QAnon e supporta il suo idolo Trump, per la maggior parte di queste persone, resta comunque una messinscena. Questo perché, una volta che la bufala è partita, non c’è modo di recuperare. Ogni smentita non riuscirà mai ad arrivare alle stesse persone che, in prima battuta, hanno creduto a quello che avevano letto, e pure se riuscisse ad arrivarci non otterrebbe alcun effetto. Il debunking, di solito, serve a chi già non crederebbe alle idiozie che girano per scoprire cosa è successo davvero, ma non convince nessuno tra quelli che avevano creduto alla bufala originale. Attualmente, esistono milioni di persone convinte del fatto che Trump, ovvero uno psicopatico narcisista e bugiardo patologico, sia stato un eroe che ha lottato contro il Deep State, e non un pericoloso pagliaccio fascistoide. E non c’è debunking che possa fargli cambiare idea. Semplicemente, non è possibile farlo. Un po’ come da noi, dove milioni di persone si sono convinte che un tizio che fino a qualche anno fa considerava i meridionali la feccia della società, di colpo sia diventato il più convinto nazionalista e il più grande fan delle bellezze del sud Italia. Ieri Mark Zuckerberg ha annunciato che gli account di Trump su Facebook e Instagram saranno sospesi almeno fino all’insediamento di Biden. “Adesso è troppo pericoloso”, dice Zuckerberg. O forse, semplicemente, adesso Trump ha altre cose a cui pensare e non farebbe in tempo a reagire contro di lui prima della scadenza del mandato, a dirla tutta. La verità è che le democrazie moderne, se non vogliono scomparire nei prossimi anni, devono capire come affrontare il problema delle fake news e della propaganda di odio della alt right, la destra populista moderna. Altrimenti quello che ci aspetta è, nella migliore delle ipotesi, un futuro di “democrazie illiberali” come l’Ungheria, la Polonia, la Turchia, la Russia. La democrazia è una cosa molto fragile e preziosa. A Weimar se ne sono accorti troppo tardi. E ho il sospetto che anche noi stiamo dando per scontate troppe cose. Ma la verità è che, la prossima volta che qualcuno chiederà “i pieni poteri”, potremmo anche decidere di darglieli. Emiliano Rubbi
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Nel paese dove “la mamma è sempre la mamma” io oggi voglio avere un pensiero per te, che la mamma non ce l’hai. La mamma è una figura amorevole ed accogliente in grado di dare amore incondizionato. Ma se tu hai una madre narcisista, tu hai una madre di merda. Una madre egoista che ti ha sempre fatto pesare il fatto di averti messo al mondo, come se fosse qualcosa che hai chiesto tu. Una madre che non ha mai avuto alcun tipo di istinto materno, ma che ti ha avuto senza sapere cosa stava facendo o peggio ancora per assicurarsi che qualche povero uomo si dovesse occupare economicamente di lei per il resto dei suoi giorni. Una madre che per tutta la tua vita non ha fatto altro che sabotarti, invidiarti, impedirti di realizzare i tuoi sogni. A te che hai una madre di merda, oggi voglio dire che non è colpa tua. E che non devi nascondere la verità a nessuno. Hai il diritto di fare sapere al mondo intero che tu una madre non l’hai mai avuta. Non devi vergognarti di niente, perché non è per via di come sei tu che tua madre è una madre di merda. È per via di come è lei. Voglio anche che tu sappia che oggi non devi farle gli auguri che si aspetta da te, perché oggi è la festa della mamma, ed è una festa che non la riguarda. Oggi ti invito a smettere di sentirti in dovere nei suoi confronti, e ti invito a ricordare che hai il diritto di prendere le distanze da chi vuoi, anche da una genitrice. 〰️⠀Carolina ➡️SEGUI @narcistop!⠀⠀⠀⠀ ⠀⠀ 🛑 Condividi questo post nelle tue storie perché il mondo sappia che la mamma non è per forza sempre la mamma. ⠀⠀ 〰️⠀⠀ ⠀⠀ La missione di #NarciStop è aiutare tutte le vittime di #abusonarcisistico e creare #consapevolezza circa l’esistenza di questo tipo di #violenza in ogni tipo di #relazione e nella #società.⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ 〰️⠀⠀⠀ #narcisismopatologico #narcisista #abusopsicologico #narcisismo #relazionidolorose #abuso #amore #salutementale #amorproprio #crescitapersonale #sentimenti #psicologia #narcisismo #manipolazioneaffettiva #amoretossico #mamma #mamme #festadellamamma #lamiamamma #mammaefiglia #mammaefiglio #maternità #madre #miamadre https://www.instagram.com/p/COpHlR9t1NQ/?igshid=13sv9kq68thwq
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Crowded Desert
SABA ANGLANA
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Nel 2009 Saba e il produttore co-autore delle musiche Fabio Barovero, incontrano ad Addis Abeba musicisti tradizionali e contemporanei: una ricerca musicale sul campo nella capitale etiope, dove convergono un po’ tutti gli stili musicali del Corno d’Africa, che danno origine al secondo album di Saba, Biyo. Il titolo dell'Album è una parola che rimanda al termine greco Bios, cioè ‘vita', ma che in somalo indica anche con significativa attinenza, l’acqua, la risorsa in assoluto più importante per l’uomo, il perno attorno a cui ruota tutto il progetto discografico, pubblicato e distribuito da marzo 2010 in Italia con l'entusiasta appoggio di Egea Music e di Amref, di cui l'artista diventa Testimonial.
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"Ce ne andiamo in giro con una specie di invisibile esoscheletro, noi donne, ci siamo ancora costrette, per difesa, per necessità. Un’armatura che potenzia le capacità fisiche e quelle psichiche, uno scudo che ci protegge. Ora, immaginiamo sia fatto di luce, il nostro carapace: nessun bisogno di piacere o di compiacere, così come invece ci hanno abituato fin da piccole. Non siano il successo, i followers o la fisicità vincente il nostro lasciapassare. Ma un corpo fatto di luce, che illumini il mondo quando lo attraversiamo, che rieduchi la nostra società narcisista alla capacità di amare."
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Il suo suo libro di prosa poetica, Lettera al mio fantasma. Piccola epopea dell’assenza, è stato dato alle stampe nel 2018.
A teatro ha recitato con Marco Paolini, è stata diretta da Gabriele Vacis, Armando Pugliese, Jacopo Gassman e altri.
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