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Nel profondo del bosco – Il thriller avvincente di Kendra Elliot tra segreti, omicidi e misteri sepolti. Recensione di Alessandria today
Un'indagine tra bugie, avidità e un assassino nascosto nell'ombra
Un’indagine tra bugie, avidità e un assassino nascosto nell’ombra Kendra Elliot, autrice bestseller del thriller e del mystery, torna con Nel profondo del bosco, terzo capitolo della serie Columbia River, un romanzo ricco di suspense, colpi di scena e segreti di famiglia. Una cittadina tranquilla dell’Oregon viene scossa da un tesoro nascosto e una serie di omicidi, in un’indagine che spinge i…
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Deep Valley Blues: stoner si, ma non solo
Definire esattamente lo stoner, come molti altri generi, non è semplice. Come in tutti gli stili musicali ci sono elementi caratterizzanti che ne definiscono le coordinate. Ma si tratta di linee guida considerando che poi, inevitabilmente, al suo interno ci sono infinite influenze. A questa descrizione perfettamente si adattano i Deep Valley Blues. La base della loro musica è si stoner, come ambientazione, intenzione, polverosità, tuttavia non può essere limitata solo entro questi confini.
Reminiscenze anni ’70, blues, hard rock, metal, grunge, un pizzico di psichedelia, un approccio sostanzialmente punk (nel senso di diretto, senza appesantimenti) ne fanno un amalgama stilistico definito e riconoscibile. Nei nostri non manca la voglia di sperimentare e non si fanno nessun problema nel farlo. Undici brani caustici, pesanti, avvolgenti, che non possono passare inosservati. Il disco apre con Epitaph (Noir ballad) e la band mette subito le carte in tavola. La scelta è un po’ anomala considerando che si tratta di un brano strumentale. Polvere, deserto, caldo e miraggi.
Questi gli elementi messi in campo. Il brano si muove sulle coordinate di un pesantissimo mid tempo. Dopo un’introduzione all’unisono le due chitarre si separano. L’una resta sulle ritmiche basse mentre la seconda disegna una nuova melodia. La struttura così definita si alterna fino ad un’accelerazione (sempre nei limiti del genere) centrale. Preludio ad un imponente break. Rimane solo il basso, distorto, a richiamare il riff portante. Pochi giri e il brano esplode con un a solo di chitarra.
Si rientra nei binari iniziali. A ¾ nuovo cambio. Si abbassano i toni delle chitarre, sempre separate. Questa volta sono le sei corde a portare avanti il brano. Il basso è in secondo piano fino alla chiusura. Si prosegue con Bronco buster. Il brano impenna subito. Cambio radicale rispetto al precedente. Ritmo incalzante, non troppo veloce. Le due chitarre viaggiano su binari paralleli fin da subito. È la voce a riunire la base strumentale. Voce roca, trascinante. Dopo la prima strofa, intervento solista con slide.
Ottimo l’ingresso di una seconda voce di controcanto sulla strofa successiva. Nel nuovo break si rallenta leggermente. C’è l’ingresso del wha per una delle due chitarre che tiene viva la melodia. Ecco un aspetto che tiene bando per tutto il disco. La melodia. La canzone si spegne sulle due chitarre che si intrecciano. È un’introduzione percussiva di batteria, prima, e batteria e basso poi ad introdurre Malley o mucy. E percussiva rimane la base strumentale.
Ottimo il lavoro della batteria che cambia spessissimo donando al brano una dinamicità congeniale. Questo si regge su una struttura canonica strofa ritornello. Almeno fino allo special centrale in pieno stile lisergico. Visivamente potremmo definirlo come un passaggio di Paura e delirio a Las Vegas. Subito dopo intervento solista. Il ritmo torna incalzante. Il brano si risolleva diventando una cavalcata acida fino alla conclusione. Apprezzabilissimi gli effetti inseriti sul basso poco prima del finale.
Smokey mountain wood porta l’ascoltatore in ambiente cupo. Ottimo il lavoro delle due chitarre che si separano subito su due linne differenti. Si riuniscono poi a basso e batteria sulla strofa pachidermica. Più che apprezzabile anche le linea di basso che si fa via via sempre più incisiva. A metà si rallenta su un refrain caratterizzato dal rif portante. La seconda chitarre si distacca in un intervento solista melodico lento, evocativo. Un crescendo che culmina con l’introduzione del wha. Prima del rientro il brano accelera.
Si torna alla strofa con ritmo cadenzato. In incedere che conduce il brano fino alla chiusura. La seguente Phobos si maniete su coordinate più andanti. Il ritmo è serrato pur rimanendo un mid tempo. Diversi intermezzi e cambi di passo rendono dinamico il brano. Le due chitarre tengono fede alla linea delle strade separate che si incrociano sulla strofa. Con Talisman si rallenta. È un brano evocativo, polveroso, caldo. Sono sempre le due sei corda a definirne le atmosfere.
La prima si prodiga con un arpeggio in crunch mentre la seconda tesse melodie. Davvero ottimo l’intreccio successivo dove le chitarre si incastrano con due a solo differenti. Perfetta la base ritmica che sostiene l’andamento generale. Si tratta di un altro brano strumentale in cui la mancanza della voce non si sente. Pills of darkness riporta ritmi serrati. Molto buono il lavoro della batteria in controtempo sulla strofa. Riff impenetrabili accompagnano la voce che si fa sempre più ‘cattiva’.
Lo special centrale cambia radicalmente passo. Il brano si apre sull’a solo. Inattesa la reprise. Il solo si protrae con suoni quasi space su alternanza di ritmi lenti e veloci che portano alla fine. Maschere è il solo brano in italiano. Il testo è in perfetta linea con il genere scelto. Dopo una partenza acustica la canzone si inasprisce diventando un masso che rotola da una montagna. Il break centrale è perfettamente posizionato. Reminiscenze psichedeliche ne segnano l’andamento.
Sulla medesima falsa riga il seguente solo. Lodevole il lavoro della batteria. Nuova impennata per rientrare su strofa e ritornello. Nuovo cambio. Si rallenta. Nuovamente la batteria a farla da padrona. Prima con un effetto eco sul rullante. In seconda battuta con un breve solo. Su questo rientra poi il basso distorto che apre la strada alle chitarre su ritmo percussivo. Sul finale si cambia di nuovo. Voce narrante, tempo lento, le due chitarre su binari differenti. Sun of the dead crea un wall of sound notevole.
Ritmi in palm muting sulla strofa. Apertura con le due chitarre che nuovamente si separano. Specificità che mantengono per tutto il brano tra una strofa e l’altra. Ottimo il break dopo la seconda strofa. Basso e batteria in primo piano mentre le chitarre fungono da contorno. Scambio di ruoli. Le due sei corde prendono le redini del brano. Incalzano, si alternano.
Nuova strofa, nuovo muro che diventerà sempre più massiccio man mano che ci si avvicina la finale. Una chitarra in wha mentre la seconda accompagna il basso. Unisono sulla chiusura. Il decimo brano è una reprise di Epitaph, questa volta con il cantato. A chiudere il disco è Mum darkwood. Una ballata dalle tine fortemente cupe a richiamare Nick Cave. Lodevole l’intreccio delle chitarre che si incastrano tra arpeggi e a solo. Una nuova strumentale che degnamente chiude questo lavoro.
Concludendo. Come da premesse, i Deep Valley Blues dimostrano come si possa partire da un genere per poi creare uno stile proprio. Un ottimo lavoro che di ascolto in ascolto si arricchisce di sfumature. Una della caratteristiche che colpisce è la coesione della band e il perfetto equilibrio tra gli elementi. Nessuno sovrasta gli altri. Tutto è al servizio della narrazione e della creazione di architetture precise. La tecnica alla band non manca di certo, anche se non viene mai ostentata. È l’insieme che ne dà una precisa idea. Un disco non facile. Per le atmosfere, l’andamento, i suoni. Pesante, in alcuni passaggi claustrofobico. Tuttavia mai ostentato o con la voglia di voler dimostrare qualcosa. Un’esplosione di sentimento puro nato dal più profondo tormento dell’animo umano. Perso in un deserto infuocato.
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#Repost @thrilleriana • • • • • • Buona domenica a tutti! 💐 Il terzo capitolo della serie di Radeschi (che ormai é di casa qui sul mio profilo 😅) mi ha appassionato quanto e più degli altri, le indagini mi hanno tenuto incollata fino all’ultima pagina, mi sono affezionata anche ai nuovi personaggi incontrati nel libro, e ho adorato il finale ❤️ Questa volta Radeschi si divide tra Milano, dove continua a collaborare con il vice ispettore Sebastiani, e la Bassa padana, sua terra d’origine, e forse questa nuova ambientazione più “bucolica” mi ha preso ancora di più: la piccola stazione dei Carabinieri, il paesino in cui si conoscono tutti, il contesto in cui si pensa non possa accadere nulla di grave e invece ci si ritrova a sorprendersi. Per voi che peso ha l’ambientazione di un libro? Preferite libri ambientati nelle grandi metropoli o in contesti più isolati e remoti? —————————————————- #thriller #librigialli #thrillerbooks #thrillerbooksaddict #thrillerbookslovers #libridaleggere #librichepassione #librithriller #libromania #lettureconsigliate #bookstagram #bookstagrammer #bookstagramitalia #booklovers #thrillermania #suspense #suspensebooks #crime #librigiallichepassione #crimebooks #noir #hakunamatatabooks #paoloroversi #radeschi #consiglidilettura https://www.instagram.com/p/CAS8VSKneXH/?igshid=7hqfrvpzpdnc
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Come sopravvivere all’inverno
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Sopravvivere all'inverno - Miniguida per la sopravvivenza all'inverno e alle intemperie della vita. Fra tutti i periodi dell'anno l'inverno è la vostra bête noir? Il freddo vi deprime e vi mette di malumore, detestate le feste natalizie e le corse impazzite ai regali inutili? Ecco a voi una guida che in pochi passi vi svelerà i trucchi utili per sopravvivere indenni all'inverno e al suo gelo. Anche se lo avete soltanto nel cuore.
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La preparazione Sì, esatto. Per vincere l'inverno è necessaria una strategia. Serve partire per tempo. Bel tempo: Vivere l'estate come se fosse infinita. Assaporare i momenti rendendoli lunghissimi, bearsi della calda luce del sole riempiendo ossa e cuore di quella energia dorata, stare sempre nella luce. Persino Ottobre viverlo come un mese estivo. Nei mesi prima e dopo il fatidico inverno, stare all'aperto il più possibile. Non pensare mai all'inverno, ma vivere come se l'estate fosse per sempre. Vari studi scientifici dimostrano la diretta correlazione fra la salute e una moderata esposizione solare, ecco qualche esempio: Abbassamento pressione sanguigna: uno studio realizzato alla Università di Edimburgo e Southampton dimostra che l'esposizione al sole provoca il rilascio di ossido nitrico nel sangue, abbassando la pressione sanguigna e diminuendo i rischi d'infarto. Rafforza la salute delle ossa: ultime ricerche scientifiche hanno scoperto uno stretto collegamento fra la densità ossea e la Vitamina D3 (che si forma dalla vitamina D quando il sole lambisce la pelle). Alti livelli di vitamina D3 diminuiscono il rischio di fratture ossee. Antidepressivo naturale: la privazione di luce solare può provocare la SAD (seasonal affective disorder), comune fra le persone che trascorrono molto tempo in ambienti illuminati artificialmente. Una moderata esposizione alla luce solare migliora l'umore, dato che nei giorni di sole il cervello produce più serotonina. Rafforzamento sistema immunitario: il numero di cellule bianche aumenta con l'esposizione solare, cellule che hanno un ruolo fondamentale nella lotta contro le malattie e nella difesa contro le infezioni. La lista continua ancora con argomentazioni persino più specifiche, come l'ultima ricerca dell'Università di California che ha evidenziato una riduzione del 60% del rischio di sviluppo di ogni forma di cancro in seguito a un supplemento della Vitamina D nel corpo. Molto bene, mi sento già meglio. Ricordarsi però che l'esposizione prolungata al sole senza protezione provoca danni permanenti alla pelle, quindi l'utilizzo costante di un SPF30 di ultima generazione serve a prepararci al meglio per sopravvivere all'inverno. L'inverno Appena i giorni s'incupiscono e le temperature scendono – insieme al livello della nostra serotonina – fare un respiro deciso. Non serve a sentire meno freddo, ma a ossigenare i polmoni e prendere coscienza del fatto che un processo iniziato è già in moto verso la sua fine. E, nel frattempo, possiamo affrontare al meglio la stagione fredda usando questi piccoli trucchi: Il solstizio invernale. Letteralmente "sole fermo" (dal latino sol - sole e sistere - stare fermo), teoricamente rappresenta l'inizio dell'inverno (astronomicamente parlando), in pratica è il giorno più corto dell'anno, ergo... passato questo, le giornate iniziano ad allungarsi. Possiamo già pensare all'estate. Va bene, alla primavera. Il tè. I benefici del tè sono risaputi e valgono per tutte le stagioni, tuttavia è difficile bere caldi infusi in torride giornate estive – abitudine invece altrettanto salutare, in quanto gli alimenti caldi contribuiscono ad abbassare la temperatura corporea. In inverno però il problema non si pone, anzi: possiamo approfittare, recuperando terreno. Esistono varie qualità di tè, ognuna con proprie caratteristiche, come anche innumerevoli infusi e tisane; il mio consiglio è di provarne il più possibile: oltre a riscaldare l'anima, si svilupperà in voi un vero sommelier del tè. Poco utile, molto chic.
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Le letture calde. Leggere in inverno libri che parlano d'estate, di posti esotici e caldi, ecco un'escamotage bellissimo e rilassante per affrontare con leggerezza l'inverno! Qualche titolo? Dai classici ai polizieschi, dai moderni alle letture horror, c'è per tutti i gusti: Cent'anni di solitudine di Gabriel Garcia Màrquez - capolavoro della letteratura, Premio Nobel, l'elenco può continuare a lungo. Quello che interessa a (oltre all'originalissima trama) è l'ambientazione tropicale, le atmosfere umide e intrise di calura, la luce accecante del giorno e le notti limpide in cui frignano grilli. Da accompagnare con qualche pezzetto di cioccolato. La lettura, non i grilli. Ogni cosa è illuminata di Jonathan Safran Foer. La nostra breve recensione vi parlerà del viaggio intrapreso dal giovane Jonathan alla ricerca delle sue origini in una Ucraina estiva, estemporanea e colma di girasoli. Una calda immersione in riflessioni poco calde. Corpi al sole di Agatha Christie. Una delle avventure di Hercule Poirot forse meno conosciute, eppure fra le mie preferite. Intrigante ambientazione sull'Isola del Contrabbandiere, cieli tersi, corpi abbronzati e, naturalmente, delitto a colazione. Perfetto da leggere quando piove. It di Stephen King. Un titolo che è una garanzia per gli amanti del genere, horror assoluto, viene spesso associato all'estate nelle liste di libri che parlano d'estate. Ora: secondo me l'estate è l'ultima cosa che questo libro vi suggerirà, ma sarete talmente annichiliti dalla paura da scordarvi in che stagione siamo. Da leggere con un gatto vicino. Un gatto coccoloso, non grrr.
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Leggere riscalda l'animo. Conclusioni per sopravvivere all'inverno La mia conclusione è breve, personale e si riassume in questa frase di Albert Camus: "...nel bel mezzo dell'inverno, Ho scoperto che vi era in me Un'invincibile estate." Non importa che stagione sia, né che anno è, o che età abbiamo. Quello che importa è non lasciare che l'inverno ci geli il cuore. Invincibile estate Mia cara, nel bel mezzo dell’odio ho scoperto che vi era in me un invincibile amore. Nel bel mezzo delle lacrime ho scoperto che vi era in me un invincibile sorriso. Nel bel mezzo del caos ho scoperto che vi era in me un’ invincibile tranquillità. Ho compreso, infine, che nel bel mezzo dell’inverno, ho scoperto che vi era in me un’invincibile estate. E che ciò mi rende felice. Perché afferma che non importa quanto duramente il mondo vada contro di me, in me c’è qualcosa di più forte, qualcosa di migliore che mi spinge subito indietro. Albert Camus
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RECENSIONE
Leggere i primi due libri di Gormenghast: “Tito di Gormenghast” e “Gormenghast” di Merwin Peake è stato per me un piacere raro. Lo stesso piacere che si prova quando si capisce di avere tra le mani un'opera unica nel suo genere e irripetibile, come “Il signore degli anelli” o “Cent'anni di solitudine”. Gormenghast è un antichissimo castello di dimensioni enormi, circondato da una foresta. Un castello talmente grande da costituire praticamente da solo l'intera superficie della propria nazione. Si tratta di un gigantesco ammasso di edifici che formano una sorta di città-stato completamente autosufficiente la cui vita è governata da rituali antichissimi che sono certamente il risultato dell'isolamento millenario: lentamente alcune consuetudini si sono trasformate in dogmi immutabili.
I rituali governano ogni minuto della vita degli abitanti del castello e gravano in special modo sul conte Sepulcrio De Lamenti che è al tempo stesso il signore di Gormenghast ed anche la persona più afflitta da secoli di tradizioni che i propri antenati hanno predisposto per lui. Moltissimi di questi rituali sembrano non possedere la benché minima utilità: per esempio alle 11:30 di un certo giorno il conte deve salire su una certa torre e liberare 5 falchetti oppure in un dato momento discendere nelle dispense e benedire i ganci della carne compiendo gesti simbolici e indossando vesti di un certo colore. Il rituale è talmente minuzioso da prevedere, vestiti, tempi, percorsi e atti differenti a seconda dell'altezza, del peso, della carnagione e del colore degli occhi di ogni figura coinvolta nei compiti della giornata.
«il sacro spirito della tradizione, così come esso si concretava nelle varie celebrazioni quotidiane, era compreso da tutti, ma i particolari esigevano una vita intera di dedizione».
Il vecchio maestro del rituale Agrimonio veglia sulla correttezza di ogni azione. I rituali costituiscono la linfa vitale e al tempo stesso, potremmo dire, la religione di Gormenghast, osservata e rispettata da tutti. Ogni mestiere all'interno del castello è regolato dalle leggi e le incombenze di ognuno passano ai figli dopo la morte. Gormenghast è un luogo antico e decadente che sacralizza sé stesso e il proprio passato, dove non c'è posto per la novità, il cambiamento o l'apertura al mondo esterno. Non è di sicuro un fantasy tradizionale, l'elemento magico lascia il posto al sacro, al grottesco, a tematiche tipiche della saga antica e pagana, fuoco, tenebre e muffa.
Qualcosa è destinato a cambiare nella vita del castello: la nascita del Settantasettesimo erede della dinastia, Tito De Lamenti, porta nel castello un nuovo trambusto che smuove una polvere di secoli mettendo in moto strani meccanismi. Da un piccolo e apparentemente insignificante difetto nei rodati ingranaggi del castello proviene la scintilla: qualcosa va storto, è un equilibrio che comincia a spezzarsi con lentezza infernale. Vecchi contrasti che si risvegliano, intrighi nella notte, un odore di rivolta che graverà sul castello come una nuvola nera carica di temporale.
Insoliti personaggi dai nomi bizzarri animano il racconto: La contessa Gertrude, circondata da gatti persiani e uccelli (tra i quali un corvo albino di nome Mastro Gessetto!, da cui prende il nome questo blog), sua figlia Lady Fuchsia, giovane e romantica, l'ineffabile Dottor Floristrazio dall'iperbolico eloquio, lo scaltro Ferraguzzo e molti altri ancora: maggiordomi laconici, nobildonne picchiatelle, vecchi domestici inebetiti, poeti, scultori, giardinieri, filosofi, un cuoco simile a un orco cattivo.
Ogni personaggio parrebbe pensato per far sorridere il lettore, i nomi sono buffi e bislacchi, ma ben presto si impara a prendere sul serio questi personaggi ed il loro carattere. A volte sono le loro azioni a far sorridere come quando l'autore descrive la dedizione esagerata di alcuni per le incombenze più semplici e banali. Ma l'amore per i dettagli tipico di alcuni personaggi non fa che rinforzare l'idea di un forte, soffocante, secolare, immanente controllo e non fa che rispecchiare lo stile della scrittura, nella quale l'attenzione per i dettagli è portata a livelli ancor più estremi.
Il castello fornisce un'ambientazione eccezionale, la sua importanza fa in modo che esso stesso possa essere considerato uno dei personaggi, talvolta portatore di una propria volontà, il fascino delle descrizioni rende importanti anche gli spazi più umili: i solai, gli scantinati ammuffiti e i corridoi deserti. La fortezza Bastiani de “Il deserto dei tartari” non può stare al pari del castello di Gormenghast poiché in esso non vi è neppure l'illusione dell'attesa di qualcosa all'orizzonte, l'esterno non esiste, e neppure il futuro, se un nemico deve giungere, allora sarà attraverso una sola strada, quella proveniente dalle proprie stesse fondamenta.
Esiste un terzo volume dal titolo: “Via da Gormenghast” ma a mio avviso è da considerare un'opera a sé, meno interessante, priva di collegamenti con i primi due volumi, scritta più di venti anni dopo e con una nuova ambientazione. La saga prevedeva inoltre un quarto volume.
Tra le curiosità posso aggiungere che la storia di Gormenghast è stata adattata per la televisione in una miniserie della BBC in quattro episodi (con un notevole Christopher Lee nel cast) e ha visto almeno un paio di trasposizioni teatrali. Inoltre Gormenghast ha ispirato molti musicisti: il nome di alcuni gruppi come “Titus Groan” e “Fuchsia”, il tema di alcune canzoni di gruppi come “The Strawbs” e “Fruuup” e addirittura un'opera in tre atti scritta dal compositore Irmin Schmidt.
Immergetevi nelle atmosfere noir di una narrazione che ri-presenta il tema del fascino del male, la sensazione di un'antica claustrofobica trappola, l'eternità della pietra, l'insignificanza della noia e della solitudine, il presente che passa, il passato che si conserva, la sovversione contro le autorità spirituali, animali senzienti, disastri naturali, rispetto per le pietre, prodigi inspiegabili e tanta tanta muffa.
Tito di Gormenghast, Adelphi 1981
Gormenghast, Adelphi 2005
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James Ellroy da Prega detective a Perfidia passando per White Jazz
James Ellroy - Fonte: Wikipedia
Un giudizio altamente lusinghiero é stato a suo tempo espresso su James Ellroy da Giancarlo De Cataldo, autore del noto "Romanzo criminale" e di altre opere noir, che contribuì a metà anni '90 a far conoscere questo autore americano nel nostro Paese.
Ellroy é uno scrittore noir, che, a mio personale avviso, ha portato il genere ad un elevato grado di intensità drammaturgica. Procedo, tuttavia, con delle annotazioni estemporanee. Nel suo penultimo ciclo di romanzi - American Tabloid, Sei pezzi da mille, Il sangue è randagio - Ellroy intesse una trama, che ha delle radici lontane nel tempo, sino agli anni '20, fitta di episodi e di personaggi, facendo ruotare in primo piano da un'opera all'altra figure di fantasia sempre al centro degli avvenimenti. La conclusione si situa intorno all'epoca di Nixon Presidente. Tutto, intorno a queste figure principali, che sono già o diventano presto assassini spietati, é crimine, o quasi; tutto, o quasi, é complotto. Ed é un americano che riscrive gran parte della recente storia americana! FBI, CIA, polizie varie: soprusi ed illegalità a non finire!
Più facile riflettere su J. Edgar Hoover, direttore (nessun Presidente ebbe il coraggio di rimuoverlo!) per più di quarant'anni del Federal Bureau.
Solo che nei romanzi in questione i personaggi simpatizzanti della sinistra e di un sindacalismo diverso da quello ufficiale sono in genere così insignificanti, che solo un sadismo istituzionale dedito alla ricerca di informatori ricattabili (come per le polizie di tutti tempi e di tutto il mondo!) poteva loro dedicare energie e risorse sotto forma di pedinamenti, violazioni del segreto postale, intercettazioni ambientali (ancora rudimentali, per la verità!) e telefoniche, infiltrazioni ed altro di sbirresco ancora.
Geograficamente in questo ciclo si viaggia molto, anche fuori dagli USA. I principali teatri americani sono Washington, Chicago, Los Angeles, Miami, Dallas, Las Vegas, come città. E gli Stati relativi, con un particolare rilievo per la Florida. Ma ci sono, anche, all'estero, Cuba, il Vietnam, il Centro America.
Il crocevia di tutte le storie é, in effetti, la velleità della mafia americana di riprendersi i casinò sequestrati dal (all'epoca!) neo-regime di Fidel Castro: un'ipotesi molto accreditata da varie fonti, ripresa anche di recente da alcuni giornali.
Non potevano mancare, allora, i campi di addestramento per i mercenari della tentata invasione di Cuba del 1962, le esercitazioni ed i riti funesti del Ku-Klux-Klan, una visione in presa diretta del fallito sbarco nella Baia dei Porci, la coltivazione dell'oppio ed il traffico dell'eroina in e dall'Indocina per finanziare attività eversive e la mafia, i summit mafiosi (anche per l'affare dei casinò di Las Vegas), le connesse infiltrazioni di CIA e mafia in Centro America a sostegno o per insediare sanguinosi regimi dittatoriali. Le azioni in Centro America sono descritte in pagine di alta drammaticità e di grande implicita condanna (di cui il conservatore Ellroy, tutto preso dall'ispirazione artistica, forse non si é reso pienamente conto) dei misfatti statunitensi, mai pienamente svelati come in questa occasione.
Il ritmo del racconto viene spesso scandito da titoli e sottotitoli di giornali (presumo quasi tutti reali) e da apocrifi documenti segreti FBI, i quali ultimi sono estremamenti illuminanti, perché ricalcati su quanto gli archivi hanno poi rivelato, soprattutto circa la paranoia che Hoover nutrì verso Luther King, spiato (ed é un eufemismo) anche dopo il conseguimento del Premio Nobel per la Pace.
Con Perfidia (del 2014 ) lo scrittore torna, forse per The Second L.A. Quartet, alla sua ambientazione preferita, specie se d'epoca, Los Angeles, da cui era partito. in cui ha collocato altri suoi lavori, tra cui cito Prega detective (1981) e Clandestino (1982), che me lo fecero conoscere. "White Jazz" (1992), ad esempio, é uno dei romanzi della cosiddetta quadrilogia (o L.A. Quartet), dedicata già più di trent'anni fa da Ellroy a Los Angeles, una serie comprensiva di "Dalia nera" (1987), "Il grande nulla" (1988), "L.A. Confidential" (o "Los Angeles strettamente riservato") del 1990, un libro a me per imponderabile alchimia particolarmente caro, forse perché snodo significativo di quella fitta trama narrativa.
La quadrilogia, nella quale emergono, sempre a mio parere, nuovi archetipi letterari rispetto al genere, si svolge in uno scenario storico preciso sin nei dettagli, in un'arco di tempo (con antefatti risalenti anche a prima della seconda guerra mondiale) che va da fine anni '40 a fine anni '50, in una Los Angeles, che personalmente ho provato a ricostruirmi pensando a film come "La fiamma del peccato", "Viale del tramonto" e "Gardenia blu", perché l'autore su arredi urbani e paesaggi, forse per non appesantire trame di per sé già ponderose, non indugia più dello stretto necessario, pur non trascurando (quando, per ovvii motivi non é dovuto ricorrere a termini di fantasia) denominazioni precise ed accurate, quali strade, canjon, lunch, ristoranti, drive-in, locali notturni, stazioni di polizia, Centrale LAPD, Municipio, uffici di contea, prigioni, alberghi, tra cui il famoso Chateau Marmont, e così via.
I protagonisti sono anzitutto i poliziotti della LAPD, poliziotti violenti, disposti a violare la legge, chi in nome di ideali o presunti tali (pietà ossessiva per le tante, troppe donne vittime del crimine umano; pervicace convinzione di difendere l'astratta giustizia), chi per malinteso spirito di corpo, chi per corruzione congenita od acquisita, chi per la combinazione di diversi di questi fattori: tutte figure da grande tragedia, molte delle quali destinate ad una fine violenta, a volte una sorta di riscatto. Esiste, poi, il grumo di uno spezzone ancora più deviato della polizia losangelina, una sorta di vera e propria Gestapo, che interferisce in tutte le vicende narrate e che, in funzione di un antesignano maccartismo, poi connesso a quello nazionale, e di un razzismo da apartheid, non esita ad infiltrare e a colludere gli ambienti criminali, ivi compresa la mafia.
E, poi, ci sono i criminali per definizione; ma un po' tutti i personaggi sono dei criminali, anche gli ingenui (a volte omosessuali latenti) che perseguono scopi troppo azzardati. Anche i reduci di guerra, già persecutori dei nazisti. E poi ci sono i debosciati ed i pervertiti.
Ma le donne, anche le prostitute e le escort (le definizioni contano in questo caso!), non sono tutte delle criminali, anche perché sono sempre raffigurate come vittime, in molte occasioni soprattutto di omicidi. E spesso sono delle vere e proprie eroine.
Vicende affascinanti, perché narrate con equilibrato pathos, e nel contempo precise sul versante psicologico, nonché storico. Non mi rimane che accennare a situazioni e personaggi non molto noti, come la condizione dei neri e dei messicani immigrati (questi ultimi, ad esempio, protagonisti, insieme a sparuti gruppi di idealisti americani, durante la seconda guerra mondiale di una manifestazione sindacale repressa nel sangue), certe restrizioni di guerra, l'insegna sulla collina che viene ridimensionata per indicare solo Hollywood, i nomi di tante automobili (pacchiane per i rivestimenti e per i colori delle carrozzerie quelle dei "negri"), Downtown (il ghetto), il jazz, la musica popolare da ballo, la Dalia Nera (e di quella vera anche di recente hanno scritto i giornali italiani), Chavez Ravine e gli sfratti di forza contro i messicani per edificare lì un grande stadio, la costruzione delle prime autostrade, gli studios e gli scioperi del personale repressi dalla mafia con la connivenza della polizia in nome dell'anticomunismo, certi attori con il loro vero nome, certi attori ed altri personaggi famosi ed i loro vizi, altri personaggi, specie ricconi, dall'identità più o meno celata al lettore, un comunismo ed un sindacalismo da operetta, quattro gatti comunisti dipinti come intellettuali ed artisti falliti, politici corrotti, poliziotti d'alto grado e procuratori carrieristi e megalomani, qualche amministratore e qualche sindacalista puri d'animo, le riviste scandalistiche, i ricatti, il razzismo, tanto razzismo.
E la droga e la pornografia, importate da un Messico che non poteva non essere che antenato di quello attuale, insanguinato dalle lotte tra i vari cartelli della droga e destinato ad avviare tanti clandestini (e tante ragazze e tante bambine prima stuprate dai delinquenti di sempre, di qua e di là di quella frontiera) sui sentieri della morte nei deserti. Un Messico, quello di allora, destinatario dei turpi vizi di tanti nordamericani e delle scorribande dei loro poliziotti, sempre in combutta con i federales.
Ellroy, come ben si saprà, prima di mettersi a scrivere, ha avuto una vita, che definire travagliata é dire poco, una vita da cui si é riscattato diventando, anche se da autodidatta, uno scrittore di razza. Anche se rimane un gran conservatore, se non un reazionario.
from Adriano Maini: vecchi e nuovi racconti http://bit.ly/2QhWW2c via IFTTT
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La Napoli degli anni Ottanta
I racconti di "Zampino" scritti da Giuseppe Ferrandino
"Fu il compianto Luigi Bernardi, editore e agitatore culturale che nei primi anni Ottanta dirigeva la storica rivista a fumetti 'Orient Express' e che era in cerca di storie noir e d'avventura di ambientazione italiana (una richiesta in controtendenza rispetto all'esterofilia presente sulle pubblicazioni di quegli anni) ad accogliere l'idea di Antonio Zampino, un mediatore proletario che si muove nel sottobosco criminale di Napoli restando invischiato in vicende più grandi di lui.". A parlare è il romanziere ("Pericle il Nero", il recente "Onorato") e sceneggiatore di fumetti Giuseppe Ferrandino all'interno del Napoli Comicon, il Festival del Fumetto e dell'Entertainment che si svolgerà alla Mostra d'Oltremare durante il ponte della Giornata della Liberazione, la casa editrice Allagalla - specializzata nel recupero e nella valorizzazione di classici della narrativa disegnata - presenterà, tra le sue novità editoriali, il volume "Zampino", antologia completa dei racconti apparsi proprio su "Orient Express".
di ALESSANDRO DI NOCERA
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Indagine sotto il vulcano di Roberta Castelli. Un noir intrigante nella vibrante Catania. Recensione di Alessandria today
Roberta Castelli, con il suo nuovo romanzo "Indagine sotto il vulcano", ci conduce nella suggestiva e complessa città di Catania, dove una serie di eventi misteriosi e inquietanti sconvolge la vita dei suoi protagonisti.
Roberta Castelli, con il suo nuovo romanzo “Indagine sotto il vulcano”, ci conduce nella suggestiva e complessa città di Catania, dove una serie di eventi misteriosi e inquietanti sconvolge la vita dei suoi protagonisti. Tra sparizioni, ritrovamenti enigmatici e indagini serrate, questa storia avvolge il lettore in un’atmosfera noir carica di tensione e suspense. Trama del libro In una notte…
#Adele medico legale#Alessandria today#ambientazione noir#Catania#Fratelli Cannizzo#Fratelli Frilli.#Frilli Editori#giallo contemporaneo#Google News#indagine poliziesca#Indagine sotto il vulcano#investigazione#ispettore Nicola Romano#italianewsmedia.com#letteratura siciliana#lettura avvincente#Libri Noir#libro thriller 2024#Mariolina e Manfredi#mistero#narrativa ambientata a Catania#narrativa del mistero#narrativa drammatica#narrativa italiana#noir d’autore#noir italiano#noir siciliano#personaggi complessi#Pier Carlo Lava#Roberta Castelli
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Recensione: Love, Death & Robots
Bella maghi,
non so se lo sapete, ma io ho due principali cause che mi allontanano dalla scrittura di questi articoli e delle mie storie: l’accidia (che ci sta sempre) e Netflix (e pure lui mica scherza). Mi sto recuperando un sacco di serie TV e film, anche se chiamarle serie TV mi fa strano, dato che le guardo o dal computer o dal telefono. Chiamiamole serie, facciamo prima.
In ogni caso, non so quanto tempo fa è uscita la tanto attesa Love, Death & Robots, di cui io ho sentito parlare, da brava persona che non si informa di nulla, solo dopo la sua uscita. Molti dei miei compagni di classe mi hanno detto “è la migliore serie di sempre”, “fantastica”, “bellissima” e un sacco di altre belle cose. E io sono qui per darvi la mia opinione. Chiedo scusa se faccio solo una recensione, ma per i motivi anzicitati non ho potuto fare un Hype-on e mi sono dimenticato di fare un Pareri a caldo. Nessuno mi paga per fare questo blog, quindi va bene così. La serie è uscita tanto tempo fa? Sì. Sono in ritardo con questo articolo e farlo uscire adesso è una pessima scelta di marketing? Certo. Sto pubblicando comunque questo post insieme a tutta la mia testardaggine? Decisamente.
Inizio con il dire che non volevo vederla questa serie, pensando fosse la classica storia futuristica piena di Robot. Non ci sono andato troppo distante, ma capisco di essermi sbagliato dopo i primi due minuti della prima puntata. In soldoni, ogni episodio è una piccola storia a sé stante, con un suo inizio e una sua fine, con tutti in comune l’amore, la morte o i robot (o tutti e tre). Personalmente non approvo il titolo, ma suona bene e non sono Tim Miller.
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La serie è animata, e lo stile di disegno e animazione cambia ogni episodio. Non sono sicuro, ma credo che per ognuno di essi cambino disegnatori, team di animazione e produttori, anche se Wikipedia dice che i produttori, oltre a Miller, sono solo Jennifer Miller, Joshua Donen e David Fincher (dovrei fare un articolo a parte su di lui e un paio di parentesi non bastano, vi basti pensare che è il produttore di Seven (1995), The social Network (2010), House of Cards (i primi due episodi) e Mindhunter (2017) un’altra serie che trovate su Netflix e che mi devo recuperare).
In ogni caso, la domanda che contraddistingue le mie recensioni (come se fossero famose per questo): vale la pena di guardarlo? La serie ha uno dei vantaggi migliori che mi possa venire in mente: ogni episodio dura circa un quarto d’ora e nessuno dura più di trenta minuti. Non scherzo dicendo che l’ho finita in un pomeriggio che è volato via come una farfalla in primavera. Gli episodi non fanno fisicamente in tempo a diventare noiosi e superflui, perché sono riassuntivi per natura. Ognuno di essi può essere estrapolato e diventare una serie o un film “normale” con una semplicità che mi inquieta. Di conseguenza: non ci sono scuse. Non è la serie migliore di Netflix, senza ombra di dubbio, ma è certamente una delle più godibili e che si merita di essere recuperata. La cura ai dettagli la rende una delle serie che non mi fa dubitare della sua posizione, e la fama che ha è completamente meritata. Sì, dovreste guardarla, in poche parole. E poi, se vi stancate al terzo episodio, avrete perso una trentina di minuti, non un’ora e quaranta o più.
Ve lo dico velocemente perché non è importante: il mio episodio preferito è “Mutaforma” mentre quello che mi è piaciuto di meno è “La discarica”. Tutti gli altri, però, li considero piccoli capolavori, cosa che è incredibile. Non c’è un solo episodio bellissimo e tutti gli altri sono nella media, ma tutti quanti sono di altissimo livello (tranne “La discarica”, non riesco proprio a farmelo andare giù quello...).
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Il genere della serie non è ben definito: alcune volte è satirico, altre volte horror, altre ancora comico. In certi momenti sembra di annegare in un fantascentifico noir mentre altre in un fantasy moderno. In poche parole, anche il genere si adatta perfettamente a ogni tipo di pubblico. Preferisco non dirvelo in questa recensione, voglio sentire la vostra opinione a riguardo nei commenti.
In poche parole, io la considero come una Black Mirror animata che non vuole perdere tempo. C’è critica sociale, c’è speranza ma anche una grande voglia di mettere uno specchio sullo schermo per mostrare allo spettatore una società che non è né pessima né bellissima, ma semplicemente realistica e non molto distante dalla nostra. Quindi: se volete una serie TV che vi faccia riflettere per poco tempo, ma quanto basta per lasciarvi con qualche domanda, anche profonda, vi strappi un sorriso e in alcuni momenti sia in grado di lasciarvi senza fiato con dei veri colpi di scena, allora Love Death & Robot è la serie che fa per voi.
Votino: 8.65/10
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Quindi, questa era la mia recensione di LDR. Spero vi abbia convinto a guardarla o aiutato a mettere in chiaro le idee. Il prossimo articolo, almeno in teoria, dovrebbe essere dedicato alla mia ambientazione, ma sapete che io a programmare la mia vita non sono molto bravo. A breve dovrebbe arrivare anche, in teoria, un nuovo capitolo o racconto autoconclusivo, ne ho praticamente una decina all’80% e non so quale finire prima (lo so, sono una persona orribile, ma Netflix non aiuta).
Non c’è nient’altro da aggiungere, quindi non mi resta da dire che torno con la prossima storia.
Ci si legge \(^o^)/
Le immagini sono prese da Google, non sono mie.
Come da prassi, qua sotto tutti i link:
--__--
Twittatemi che io vi twitto i miei capitoli XD: https://twitter.com/FFMaxCasagrande
Scripta blog, il sito con cui sto mandando avanti la collaborazione che ha anche l'esclusiva di “Ars Arkana” (oltre a un sacco di altre belle cose): https://www.scripta.blog/
Ma lo sapevate che ho anche Instagram?: https://www.instagram.com/max_casagrande_dreamer/
Sono sempre alla ricerca di Beta-tester. Quindi, se volete, fatevi avanti!
Se avete un po' di tempo, fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo con una recensione o un commentino qui sotto, mi fa molto piacere XD. (E poi divento più bravo!)
Se vi va condividete il capitolo, così divento famoso!!! \(^o^)/ (mai vero, ma comunque apprezzo :P).
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Segnalazione: Al di là della nebbia di Francesco Cheynet e Lucio Schina
ciao,
ecco a voi un romanzo che richiama alla mente un giallo classico di una volta.
Buona lettura:)
Scheda del romanzo
TITOLO: Al di là della nebbia
SERIE: autoconclusivo
AUTORI: Francesco Cheynet, Lucio Schina
DATA D’USCITA: 26 Marzo 2020
EDITORE: Pubme
GENERE: noir, horror
AMBIENTAZIONE: Inghilterra
Riconoscimenti:
Finalista del concorso nazionale…
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🍺⛱Seconda uscita di Luglio (16) ritorna il nostro investigatore Darden. Il giallo classico firmato da Luca Betti (@theheavyape ) #Repost @sololibrisery with @make_repost ・・・ 🥁🌸 ᑎᑌOᐯᗴ ᑌᔕᑕIT��� 🌸🥁 …Rullo di tamburi ... 🥁🥁🥁🥁🥁🥁🥁🥁🥁🥁 In uscita questa settimana per @segretiingialloedizioni tre titoli strepitosi : 🔍 Sono soltanto Sogni _✍🏻 𝚍𝚒 𝙰𝚗𝚍𝚛𝚎𝚊 𝙱𝚒𝚜𝚌𝚊𝚛𝚘 Ritorna con un libro estivo, abbastanza particolare. Sogni, Incubi e ...Vampiri! 🕵🏻♀️ Segreti dal Passato _✍🏻 𝚍𝚒 𝙻𝚞𝚌𝚊 𝙱𝚎𝚝𝚝𝚒 La seconda indagine del nostro investigatore Darden, stavolta il caso sarà molto più complicato. 🔍 Un nobile Orrore _✍🏻 𝚍𝚒 𝚁𝚘𝚜𝚒𝚝𝚊 𝙼𝚊𝚣𝚣𝚎𝚒 Esce per la Collana Belle Époque, un romanzo dalle tinte noir e di ambientazione storica. Una nuova autrice che ci presenta delle lettere davvero particolari, fuori dalla norma. 🎯Nei prossimi giorni ve li presenterò separatamente così da darvi maggiori informazioni 😋😛 Io sono curiosissima di leggerli tutti e tre, ma ce n’è uno in particolare che mi ha già conquistata per la sua trama 😜, chi mi conosce potrebbe facilmente intuire di quale titolo si tratta 😆!! ⁉️E voi cosa dite? Quale dei tre vi attira di più ? 🕵🏻♀️ 🔍 #nuoviarrivi #segretiingialloedizioni #sonosoltantosogni #segretidalpassato #unnobileorrore #librisulibri #booklover #booklovers #booklove #marcoscaldini #inuscita #giallo #bookstagram #book #bookphotography #bookshelf #bookstagramitalia #bookbloggerspost #bookcover #libribelli #libridaleggere #consiglidilettura #newread #igbooks #instalibri #instabook #gialli #belleepoqueedizioni #romanzo https://www.instagram.com/p/CCgQBXqqCaC/?igshid=14e0sqtihbkdm
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gangsters surreale ambientato anni 40
Ho un ricordo piuttosto vago di questo film, trasmesso di notte su Raitre almeno 20 anni fa, forse più… Ambientazione anni 40, molto noir, gangsters (forse francesi?), ricordo una scena ambientata in una sala da ballo, alcune scene avevano un taglio surreale, con dei movimenti improvvisi e delle pause lunghissime, anche la recitazione era molto atipica, un po teatrale e un po “folle”… Poi mi pare…
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Recensione semiseria de "Il Maestro e Margherita"
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Il Maestro e Margherita è, senza mezzi termini, uno dei cento libri da leggere almeno una volta nella vita. E, anche se nell'elenco Best Books Ever di Goodreaders sta al 112 posto, lo proclamo senz'altro un capolavoro. È molto difficile parlare di libri difficili. Ma partiamo dall'inizio, o quasi. L'inizio è sempre il solito: quello in cui l'adolescente s'incaponisce nel fare esattamente il contrario di quello che dicono i genitori. In questo caso l'adolescente ero io che mi rifiutavo di leggere i libri osannati dal genitore. Il genitore era Madre, la mia, che faceva, guarda caso, la bibliotecaria. Di libri se ne intendeva. Mentre a me sono serviti altri quindici anni per scoprire il talento di Bulgakov . L'edizione che mi è capitata fra le mani aveva un gatto in copertina, solo in seguito ho scoperto che la maggior parte delle diverse edizioni aveva come soggetto l'immagine di un gatto. Generalmente smilzo, quindi in completo disaccordo col personaggio. Andiamo con ordine.
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In copertina: Théophile Alexandre Steinlen, Riapertura del cabaret Chat Noir, 1986 Ambientazione de Il Maestro e Margherita Sullo sfondo Mosca, anni 30, circoli intellettuali, discorsi impegnati, impiegati, scrittori, impiegatucci, umanità varia costretta ad arrangiarsi sotto la morsa feroce del regime che permea ogni atomo. Ed è questo regime il vero Satana, peggio di Woland, l'oscuro Diavolo venuto in visita nella capitale russa in una placida estate come tante. Eppure il regime resta in secondo piano, mai nominato davvero, mai esplicitamente indicato come ragione di tutti i mali. Quando di mali ce n'erano in abbondanza. A capitoli alternati, ci spostiamo indietro di 2000 anni: Gerusalemme, palazzo di Ponzio Pilato, palme, caldo afoso, una decisione da prendere: crocifiggere Jeshua Hanozri oppure... Personaggi de Il Maestro e Margherita Diversamente dal regime, Woland invece è ben presente come personaggio, in primissimo piano, sul palcoscenico addirittura. Un Lucifero profondo come l'inferno, giusto come solo un Innominato può essere, onnipotente, paurosissimo. Ancor di più se si analizza quel modo di dire tutto balcanico (e presente nella maggior parte dei romanzi est-europei) "che il Diavolo ti porti", un "augurio" spaventoso, ma usato con la leggerezza di chi non dà peso alle parole. Specie se indirizzato verso sé stessi: "che il Diavolo mi porti...", specie se si dà il caso che il Diavolo sia nei paraggi. Woland però è oltre lo spauracchio da tenebra, lui è l'essenza della controparte, il peso perfetto sulla bilancia universale. La compagnia di Woland è "piccola, mista e senza malizia": Behemoth – il gatto della copertina per l'appunto, ma molto più ciccione e combina-guai –, Korov'ev, personaggio fastidioso e difficile da inquadrare, Azazelo, un tipo che non promette nulla di buono, e Hella, discinta ragazza dal nome che è tutto un programma.
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Behemoth Ph.@Museo di Bulgakov Confesso che inizialmente ho avuto difficoltà nel trovare la chiave di lettura, avevo sentito dire che le chiavi per questo libro erano persino molteplici, ma Korov'ev e Behetmoth mi confondevano non poco: ciarlieri, buffoni, talmente grotteschi da non riuscire a star loro dietro. La vacuità dei loro discorsi innervosiva la mia sete di compiuto, ma non erano vacui, loro, ero io a essere cieca. Solo dopo parecchie pagine ho avuto un'epifania, mi si è aperto finalmente il mondo del libro e improvvisamente mi è sembrato di leggere in una lingua che potevo comprendere. Momento epico. La Donna. Margherita Nikolaevna, personaggio sublime nella sua semplicità assoluta, talmente da rasentare la purezza d'animo, eppure capace di stringere un patto col Diavolo. Esatto. Margherita è pronta a tutto per salvare il suo amore. E, pagato il pegno, al momento di riscattare il suo premio, pensando di essere stata ingannata, non fa domande, non implora giustizia, non piange pietà. Lei è così immensa da congedarsi semplicemente così: "– Stia bene, Messere, – disse ad alta voce e pensò: >" Eppure il Diavolo non inganna, la sua parola è sola verità, quindi messa nuovamente davanti alla scelta del suo premio, Margherita sorprende ancora. Sorprende il lettore, rinunciando a tutto quello per cui si è venduta l'anima, il suo adorato Maestro e, ancor più strabiliante, sorprende Lucifero, che tutto sa (ma questa non se l'aspettava). Nella sua soave pacatezza, Margherita incarna regalmente le mille anime della donna: quella da amante, da strega, da guerriera, quella sacrificale e quella vendicativa, la donna completata dall'amore, eppure completa anche senza. Il Maestro. Se Margherita è pronta a tutto per il suo amore, il Maestro rinuncia a tutto per il suo. Che è il suo libro. Stroncato impietosamente dalla critica. Così, Bulgakov fa vivere al suo personaggio, anch'esso scrittore, l'angustioso tormento che lui stesso ben conosceva: la critica, la censura, il negare la possibilità di scrivere, di pubblicare. Il Maestro si deprime, impazzisce, butta le armi, brucia il manoscritto. Ah, di cosa parlava, il suo libro? Di un posto afoso, pieno di polvere e sabbia e palme, di Ponzio Pilato e di una decisione da prendere... I punti salienti de Il Maestro e Margherita La società che si delinea con chiarezza nel libro di Bulgakov potrebbe essere ovunque, in qualsiasi momento della storia, composta da chiunque. La corruzione, gli escamotage, una mano che lava l'altra, le bassezze umane, il lecca-piedismo, vi suonano conosciute? Ed ecco che è il Diavolo a punire tutto questo, un Diavolo giusto che non se la prende mai con i giusti, un Diavolo amante della verità, della rettitudine e della bellezza, chi l'avrebbe mai detto? Il personaggio negativo per eccellenza che diventa eroe Le ambientazioni quasi oniriche magistralmente descritte: il volo di Marherita sopra la città, il ballo di mezzanotte, la foresta oscura che piega i suoi rami al passaggio di Woland, tu sei lì, ogni volta sei lì e respiri la loro stessa aria pregna di mistero e sottile minacciosità. La storia di Ponzio Pilato: un libro nel libro, il tormento di un uomo che sembra avere solo una scelta, la pacifica rassegnazione di un altro uomo davanti a una scelta già fatta.
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Il ballo di Satana Ph.@Pinterest Le frasi de Il Maestro e Margherita La prima freschezza (Il Diavolo al barista disonesto) " – Io, – disse con amarezza il barista, – dirigo il buffet al teatro di Varietà...” L'artista tese la mano, sulle cui dita brillavano gemme, come per sbarrare le labbra del barista, e disse con molto calore: – No, no, no! Non una parola di più! In nessun caso, mai e poi mai! Non metterò mai in bocca niente dal suo buffet! Io, egregio, sono passato ieri vicino al suo banco, e non riesco ancora a dimenticare lo storione e il pecorino! Carissimo! Il pecorino non può essere verde, qualcuno l'ha ingannato. Deve essere bianco. E il tè? È sciacquatura di piatti! Ho visto con i miei occhi una sozza ragazza che versava nel vostro enorme samovar acqua fredda da un secchio, e continuava a servire il tè! No, carissimo, così non va! – Chiedo scusa, – disse Andrej Fokič sbalordito da quel attacco improvviso, – io non sono venuto per questo, e lo storione qui non c'entra... – Come sarebbe a dire, che non c'entra, se è guasto! – Hanno mandato uno storione che non era più di prima freschezza, – comunicò il barista. – Amico, sono assurdità! – Perché assurdità? – Una cosa che non sia più di prima freschezza! La freschezza è una sola: la prima, ed è anche l'ultima. Se lo storione non è più di prima freschezza, vuol dire che è putrefatto." Le giuste regole (Il Diavolo a Margherita) "– Non chieda mai nulla a nessuno! Mai nulla a nessuno e tanto meno a quelli che sono più forti di lei. Ci penseranno loro a offrire e daranno tutto." L'ovvio (Korov'ev al controllo tessere) "– Lei non è Dostoevskij, – disse la donna a cui Korov'ev faceva perdere il filo. – Be', chi lo sa, chi lo sa, – rispose lui. – Dostoevskij è morto, – disse la donna, ma con poca convinzione. – Protesto! – esclamò calorosamente Korov'ev. – Dostoevskij è immortale." L'amore "Ma chi ama, deve condividere la sorte di colui che egli ama." L'atmosfera "E, finalmente, Woland volava anch'egli col suo vero sembiante. Margherita non avrebbe potuto dire di cosa erano fatte le briglie del suo cavallo, e pensava che, forse, erano catenelle di raggi lunari e il cavallo era soltanto un blocco di tenebra, e la criniera di questo cavallo, una nube, e gli speroni del cavaliere, bianche macchie di stelle." Conclusione "Tutto sarà giusto, su questo è costruito il mondo."
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La mia invece, di conclusione, non è esattamente in linea con quella di Woland. D'altronde io, di tenebroso, non ho neanche il gatto. E non avendo neppure il tempo dalla mia, devo concludere con un'ovvia amarezza in cui i regimi sono peggio di qualunque immaginario, gli eroi sono tali solo dopo la morte e i salvatori arrivano sempre quando non è rimasto più nulla da salvare. Annabelle Lee Read the full article
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Un poliziottesco a Civitanova Marche.
L’idea di aprire una nuova (l’ennesima) rubrica mi è venuta pensando a quanti film hanno come protagonisti degli omaccioni, che riescono a prevalere sui loro avversari grazie al loro essere energumeni violenti più dei “cattivi” e a riuscire a passare persino per “buoni”.
Da qui l’idea de Il Filmaccione, recensioni di film in cui gli schiaffoni e le sparatorie ignoranti hanno la meglio su ogni tentativo di ragionare e, anzi, bullizzano i neuroni coinvolti, costringendoli a mesi di ospedale in terapia intensiva.
i neuroni bullizzati
Negli anni 70 i poliziotteschi erano un genere molto seguito: sorta di western metropolitani, dipingevano scenari cruenti mescolando noir, thriller, inseguimenti, sparatorie, commissari sempre accigliati e monoespressivi e villains decisamente più simpatici di loro. I poliziotteschi sparirono dai cinema nel 1981, quando di colpo a registi e sceneggiatori non rimasero più cartucce da sparare (e non solo in senso figurato).
e neanche benzina
I maggiori registi di questo genere furono Enzo G. Castellari, Umberto Lenzi, Ferdinando Di Leo e Stelvio Massi, mentre i protagonisti più assidui e riconoscibili furono Maurizio Gasparri, Franco Nero, Luc Merenda, Tomas Milian e soprattutto Maurizio Merli.
Il biondo commissario baffuto, ostile alla criminalità e poco gestibile dai piani alti, sarebbe diventato una delle maschere più rappresentative dei poliziotteschi, oltre a segnare (e per tanti versi ingabbiare) la carriera di Merli.
eccolo poco prima di accoppare un commando che voleva ammazzarlo.
Essere uno dei volti di un genere considerato da sempre di serie z (salvo poi rivalutarlo decenni dopo come spesso capita), lo porterà purtroppo all’esclusione da nuove produzioni cinematografiche per gran parte del decennio successivo e paradossalmente proprio quando questa ghettizzazione sembra possa terminare, un’improvviso malore durante una partita a tennis nel 1989 non gli lascerà altre occasioni.
Nel 1978 Maurizio Merli va ancora per la maggiore e interpreta l’ennesimo commissario poco incline alle mezze misure: Francesco Olmi, commissario della questura di Roma. La storia del film si svolge inizialmente nella solita ambientazione metropolitana, ma a differenziare Un poliziotto scomodo dalle altre pellicole di genere è lo spostamento del protagonista in provincia a metà della storia. Stelvio Massi, regista del film e originario di Civitanova Marche, volle infatti celebrare la sua città natale girando molte scene nei suoi luoghi più riconoscibili.
la piazza di Civitanova Marche
La trama vede l’integerrimo e manesco funzionario interpretato da Merli combattere nella prima parte della pellicola con la corruzione che regna suprema a Roma e che non gli permette di arrestare un pericoloso malvivente.
e Olmi non la prende benissimo
e poi si sfoga con il figlio del cattivo
La parte più spettacolare del film si ha nell’efficace scena dell’inseguimento di un furgone pieno di banditi spietati da parte di un elicottero della Polizia.
prima il commissario prende la mira
e poi ammazza l’autista
Non pago, Olmi stermina tutti i criminali tranne uno, che fugge per la campagna.
anzi, no
Purtroppo la connivenza tra i superiori di Occhio di Falco Olmi e il capo dei cattivi gli impedisce di scarnificarlo vivo nel bitume.
“mai una gioia”
La frustrazione del commissario lo porterà a sparare per sbaglio ad un passante, causandone la morte: inevitabile a questo punto il trasferimento. Viene spostato nella più pacifica provincia marchigiana, dove dovrebbe, in teoria, avere poche occasioni per sparare.
“peccato”
Ma per menare le mani si trova sempre qualcuno.
Le Marche, però, permettono all’irrequieto Olmi di fare un incontro piacevole: Anna.
la splendida Olga Karlatos, già in Amici Miei e poi mamma di Prince in Purple Rain.
La storia tra la bella maestrina e il portatore sano di mazzate scorre piacevolmente per molte scene del film.
tra passeggiate…
…e altro
Purtroppo il richiamo dei guai è troppo forte e Olmi è costretto a sventare l’assalto di alcuni hippies allo stadio di Civitanova.
facendogli sparare alle gomme
e prendendo poi a schiaffoni quello vestito peggio
Viene fuori poi che anche nella sonnacchiosa provincia la criminalità è molto attiva e il commissario Sganassone Olmi si frega le mani. Con estrema facilità smonta un pericoloso traffico d’armi, non prima però che i cattivi si vendichino di lui prendendo in ostaggio Anna e la sua classe.
ma Olmi si arrampica e penetra nella scuola
e finalmente fa pace con la sua pistola
Un poliziotto scomodo è alla fine un film irrisolto sotto molti aspetti, forse dovuti soprattutto al suo essere diviso in due parti quasi del tutto distinte nei toni e apparentemente unite senza molta convinzione. La prima parte a Roma è di maggior effetto e più consona alle specifiche del genere, mentre la seconda prova a coniugare (senza riuscirci più di tanto) lo spottone per la città del regista con un Merli più malinconico e suo malgrado costretto a tornare alla violenza. Non si capisce poi per quale motivo Olmi possa ammazzare un povero passante e invece di finire dentro con l’enorme sollievo dei suoi capi si becca come punizione solo un trasferimento nelle Marche (che visto così è anche un tantino offensivo).
E’ di indubbio effetto per me, che vivo a pochi chilometri da Civitanova Marche, vedere come erano molte delle zone riprese nel film quasi quarant’anni fa e come sono cambiate, ma a parte questo, la scelta di spostare l’azione in un contesto diverso è un esperimento che se fosse stato utilizzato più spesso e meglio, avrebbe magari allungato la vita ai poliziotteschi.
Anche il tentativo di dare una maggiore introspezione psicologica al solito commissario omaccione e virilmente proteso verso le maniere rudi non avrebbe che aiutato il genere, ma questo tipo di evoluzione non è stata evidentemente considerata dagli autori.
Alla fine un Filmaccione onesto e con qualche scena molto spettacolare (girate tutte da Merli senza controfigura), anche se il numero di morti e violenza è forse eccessivo persino per il genere.
Il Filmaccione: Un poliziotto scomodo
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La Napoli degli anni Ottanta
I racconti di "Zampino" scritti da Giuseppe Ferrandino
"Fu il compianto Luigi Bernardi, editore e agitatore culturale che nei primi anni Ottanta dirigeva la storica rivista a fumetti 'Orient Express' e che era in cerca di storie noir e d'avventura di ambientazione italiana (una richiesta in controtendenza rispetto all'esterofilia presente sulle pubblicazioni di quegli anni) ad accogliere l'idea di Antonio Zampino, un mediatore proletario che si muove nel sottobosco criminale di Napoli restando invischiato in vicende più grandi di lui." A parlare è il romanziere ("Pericle il Nero", il recente "Onorato") e sceneggiatore di fumetti Giuseppe Ferrandino. Sabato 27 aprile, alle 12, all'interno del Napoli Comicon, il Festival del Fumetto e dell'Entertainment che si svolgerà alla Mostra d'Oltremare durante il ponte della Giornata della Liberazione, la casa editrice Allagalla - specializzata nel recupero e nella valorizzazione di classici della narrativa disegnata - presenterà, tra le sue novità editoriali, il volume "Zampino", antologia completa dei racconti apparsi proprio su "Orient Express". All'incontro parteciperanno, assieme a Ferrandino, anche il giallista Maurizio de Giovanni, autore della prefazione al libro e profondo estimatore dello scrittore ischitano. Allo stesso tavolo sarà presente però pure Sergio Brancato per parlare del terzo tomo dell'integrale di "Capitan Erik", saga avventurosa illustrata da Attilio Micheluzzi e pubblicata sempre da Allagalla. "Zampino" (56 pagine in bianco e nero, brossurato, 12 euro) si avvale del fondamentale contributo grafico del romano Ugolino Cossu (oggi in forza allo staff di disegnatori di "Tex") che all'epoca, per entrare nell'atmosfera delle vicende narrate, lavorava alle tavole ascoltando le canzoni di Pino Daniele e Teresa De Sio. Attraverso "Zampino" è quindi possibile riscoprire oggi, in maniera per nulla nostalgica, le ansie e l'oscurità di una Napoli post-terremoto, che ambiva a essere moderna e metropolitana, ma che già covava nel suo seno gli spettri futuri di "Gomorra"
di ALESSANDRO DI NOCERA
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