#successo letterario
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[Cancellazione][Percival Everett]
Uno dei romanzi più geniali e iconici di Percival Everett. Da questo libro, il film American Fiction, candidato a 5 premi Oscar.
Uno scrittore afroamericano in crisi: tra rifiuti e successi, Monk Ellison lotta per trovare la sua voce Titolo: CancellazioneScritto da: Percival EverettTitolo originale: ErasureTradotto da: Marco BosonettoEdito da: La nave di TeseoAnno: 2024Pagine: 416 ISBN: 9788834618264 La trama di Cancellazione di Percival Everett Affermare che la carriera da scrittore di Thelonious “Monk” Ellison sia…
#2024#American Fiction#Cancellazione#crisi creativa#critica sociale#dilemmi esistenziali#Erasure#fama#famiglia#film#ghetto#identità#La nave di Teseo#Malattia#Marco Bosonetto#parodia#Percival Everett#pseudonimo#rifiuti editoriali#Scrittore afroamericano#successo letterario#Vita nel ghetto
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Andrea Calogero Camilleri è stato uno scrittore, sceneggiatore, regista teatrale, drammaturgo e docente universitario.
Porto Empedocle (Agrigento), 6 settembre 1925 – Roma, 17 luglio 2019)
ANDREA CAMILLERI è a pieno titolo, uno dei più grandi e popolari scrittori. Le sue opere, tradotte in quaranta lingue, hanno venduto nel mondo oltre 10 milioni di copie, mentre in Italia hanno superato i 20 milioni. Un vero e proprio fenomeno letterario, confermato dal successo narrativo, e televisivo, del suo personaggio, il commissario Salvo Montalbano, in assoluto tra i più famosi ed amati di tutta la letteratura italiana.
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La cultura del nulla.
Partirei col dire che oggi che è il giorno della memoria 'corta' ci si è dimenticati di una lezione dura, come detto altre volte non impariamo dai nostri errori, sapendo che l'olocausto non fu solo per gli ebrei ma anche per tutte quelle minoranze che non andavano bene al regime nazista come i nomadi, gli omosessuali e quelli dalla pelle non bianca, ma di norma questo giorno viene considerato solo per gli ebrei. Quei poveri cristi gassati o uccisi male non hanno niente a che fare con quello che sta succedendo adesso tra israele e la palestina, netanyahu e compagnia bella non sono gli stessi, decisamente, e su questo e quello che c'è attorno ci sarebbe molto da dire, ma mi fermo qua perché il post non è dedicato a loro o al massacro che stanno facendo da mesi sotto gli occhi di tutti senza che nessuno che abbia un minimo di voce in capitolo faccia qualcosa.
Ieri si è aperta la stagione che vede Tartu (la città estone dove vivo) come capitale europea della cultura. Sono andato a prendere un caffè con la piccoletta che a fine mese si trasferisce in Svezia e abbiamo visto nel gelo della giornata parecchie persone vestite con i costumi tradizionali e in piazza c'era un palchetto con musica terribile, facevano le prove. Li per li pensavo che è legato a una delle loro celebrazioni, ho letto qualche post del compleanno del paese o qualcosa del genere, ma mi sbagliavo. Poi la sera arrivava da non molto lontano l'eco di musiche tecno e house a volumi esorbitanti e la mia compagna mi ha detto che è iniziato il periodo della cultura. Quale cultura? Questo paese al confine del mondo conosciuto, di fatto non viene mai calcolato nelle statistiche europee, nato da pochissimo, se si considera che si sono liberati dall'unione sovietica nel 91 e che gli anni 90 li hanno passati ad assestarsi, si può capire che in realtà il paese ha più o meno 25 anni, niente se si paragona a paesi europei come il nostro o altri che hanno contribuito alla storia e alla creazione di questa civiltà in declino. Ma in quegli anni i governi hanno puntato sulla tecnologia, avrete sentito che l'Estonia è una piccola silicon valley e fin qua niente da dire se si pensa che alcuni software di successo sono stati creati qua, skype e nod32 in testa, ma quello che hanno fatto è stato creare una società stile americano, degli stati uniti, ma assorbendo la parte peggiore quella del puritanesimo per avere una facciata bella ma con un interno vuoto e spesso orribile. Questo ha influenzato la cultura, ovviamente, che è stata messa da parte per dare al popolo l'idea che il lavoro sia una priorità assoluta e che tutto il resto è superfluo. C'è anche da non sottovalutare l'enorme gap che hanno questi paesi, quelli del ex blocco sovietico, in termini di tempo (furono inglobati nel 1940) e siccome i russi non volevano che niente di occidentale venisse venduto o riprodotto o consumato dai popoli sottomessi ecco che tutto quello che abbiamo avuto noi, a livello culturale artistico e letterario nel bene e nel male, loro non l'hanno visto. Recuperare 50 anni di storia e di cultura mondiale non è facile, anzi è quasi impossibile perché i periodi storici e i cambiamenti sociali e culturali si devono vivere e capire per poi progredire, loro no, una volta liberi hanno preso quello che pochi e avidi personaggi propinarono loro attraverso i media, quindi parecchio mainstream e qualcosa che recuperavano dagli anni precedenti, per farvi un esempio quelli della mia età e più grandi ricordano con amore i nostri cantanti come Toto Cutugno, Al bano e Romina i ricchi e poveri e tutti quelli di quei San Remo primi anni 80, io dico che i russi li torturavano con il festival come battuta ma in pochi la capiscono perché il nostro festival non lo conosce quasi nessuno, è una cosa prettamente nostra e soprattutto poco esportabile. Si può capire da questa piccola storiella come l'interesse per le arti in generale non sia una priorità per l'estone medio, per carità ho conosciuto persone che hanno una buona cultura musicale, visto che sono del ramo, molti conoscono l'arte e così via, ma perché sono anche loro nel campo ed è logico che prendendo una nicchia cercano di esplorarla il più possibile, anche grazie al mezzo internet. Ma mi è capitato anche di parlare con persone che non conoscono neanche i loro di cantanti, non dico nomi astrusi di nicchia stranieri, ma neanche quelli locali che ve li sbattono ovunque in tutte le salse? Questo la dice lunga quanto sia bassissimo l'interesse.
Quindi la domanda è : Quale cultura andate a celebrare in questo periodo visto che siete la città della cultura europea? Se poi considerate che schifate lo straniero e quindi non tollerate altre forme culturali, cosa andate a mostrare? La cultura dell'alcol? O quanto siete copia e incolla fatto male di un mondo che non ha niente a che vedere con l'Europa?
Questo è a grandi linee un paese che sulla carta è moderno e innovatore, ma che se sposti la carta vedi tanto di quel marcio che diresti 'Ok, statevi per fatti vostri per altri 150 anni poi ne riparliamo'. A me non frega molto fra 2 settimane torno in Trinacria per un periodo XY a rigenerarmi da tutto questo e non so neanche se tornerò più a vivere qua, ma questo dipende molto da come si mettono le cose con lei. Da noi si dice "comu finisci si cunta" (quando finisce si racconta). Penso che l'album giusto sia l'immortale capolavoro del Banco
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L' arte d'insultare:
D’Annunzio su Marinetti
Cretino fosforescente.
Marinetti su D’Annunzio
Idiota con lampi di imbecillità.
Gore Vidal su Truman Capote
È in tutto è per tutto una casalinga del Kansas, pregiudizi compresi.
Truman Capote su Jack Kerouac
Quello non è scrivere, è battere a macchina.
Oscar Wilde su Alexander Pope
Ci sono due modi per disprezzare la poesia: uno è disprezzarla, l’altro è leggere Pope.
D.H. Lawrence su Herman Melville
Nessuno riesce a essere più buffonesco, sgraziato e sentenziosamente di cattivo gusto come Herman Melville, persino in un grande libro come Moby Dick… Uno sforzo immane. Ma c’è qualcosa di finto. Ed è Melville. Oh Dio, quando il solenne asino raglia, raglia raglia!
Charles Baudelaire su Voltaire
Mi sono annoiato in Francia – e la ragione principale è che tutti assomigliano a Voltaire… il re degli imbecilli, il principe dei superficiali, l’anti-artista, il portavoce delle portinaie, il padre Gigogne dei redattori del “Siècle”.
Vladimir Nabokov su Fëdor Dostoevskij
La mancanza di gusto di Dostoevskij, il suo monotono trattare di personaggi sofferenti di complessi pre-freudiani, il suo modo di sguazzare nelle tragiche sventure dell’umana dignità – tutto ciò è difficile da ammirare.
William Faulkner su Ernest Hemingway
Non risulta aver adoperato mai parola che costringesse il lettore a consultare il dizionario.
Ernest Hemingway su William Faulkner
Povero Faulkner. Davvero crede che i paroloni suscitino forti emozioni?
William Faulkner su Mark Twain
Uno scribacchino che in Europa non sarebbe stato considerato nemmeno di quart’ordine, e che ha agghindato qualche vecchio schema letterario di provato successo con la giusta dose di regionalismo per affascinare i superficiali e i pigri.
D.H. Lawrence su James Joyce
Dio mio, che minestrone è James Joyce! Nient’altro che avanzi, torsoli di citazioni bibliche, e tutto il resto cotto nel brodo di una deliberata, giornalistica lascivia.
Virginia Woolf su Aldous Huxley
Completamente rozzo, immaturo e oppositivo.
Friedrich Nietzsche su Dante Alighieri
Una iena che scriveva poesie sulle tombe.
Gustave Flaubert su George Sands
Una muccona piena di inchiostro.
Elizabeth Bishop su J.D. Salinger
L’ho odiato [Il giovane Holden]. Mi ci sono voluti giorni per leggerlo, una pagina alla volta, con cautela, imbarazzandomi per lui a ogni frase ridicola. Come hanno potuto permetterglielo?
Mark Twain su Jane Austen
Non ci guadagno nulla a stroncare libri, e non lo faccio a meno che non li odii. Spesso ho provato a scrivere di Jane Austen, ma i suoi libri mi fanno diventare matto a tal punto che non riesco a nascondere la mia furia al lettore; perciò devo fermarmi ogni volta che comincio. Tutte le volte che leggo Orgoglio e Pregiudizio mi viene voglia di disseppellirla e colpirla sul cranio con la sua stessa tibia.
Henry James su Edgar Allan Poe
Provare entusiasmo per Poe è segno di uno stadio di pensiero decisamente primitivo.
Gertrude Stein su Ezra Pound
Lui descrive villaggi. Sarebbe eccellente se tu fossi un villaggio, ma nel caso non lo fossi, allora non lo sarebbe.
Thomas Bailey Aldrich su Emily Dickinson
Una reclusa eccentrica, sognatrice, di un villaggio fuori mano del New England (o di qualunque altro posto del mondo) non può impunemente disprezzare le leggi della gravità e della grammatica. L'oblio è in attesa nelle immediate vicinanze.
Bernhard su Heidegger
Ridicolo filisteo nazista con calzoni alla zuava, ciarlatano, ruminante, imbecille delle Prealpi.
Giacomo Puccini su Richard Wagner
Non si può giudicare l'opera di Wagner dopo averla ascoltata una sola volta, e non ho nessuna intenzione di ascoltarla una seconda
Lord Byron su John Keats
Ecco qui la poesia di Keats piscia-a-letto, e tre romanzi da iddio sa chi… Non più Keats, vi supplico: scorticatelo vivo; se qualcuno fra voi non è disposto a farlo, lo dovrò fare io in persona: non c’è posto per quelle schifezze idiote nel genere umano.
Céline su Proust
Sì, sarà anche bravo ma vorrà ammettere che scrivere 300 pagine per dire che lo vuoi prendere nel culo sono un pochino troppe.
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Vertigini Letterarie
Leggendo Robinson, l'inserto domenicale de la Repubblica, mi è capitata nella sempre bellissima intervista a fine inserto di Antonio Gnoli questa risposta: la letteratura è insieme all'arte il più straordinario serbatoio di immagini e di suggestioni. Certi romanzi spiegano la geografia meglio di un geografo. Queste parole sono state dette, appunto, da un grande geografo italiano, Franco Farinelli. E mi sembrano perfette per parlare un po' di questa carta geografica della letteratura del '900 che è questo libro, che mi ha tenuto tutto il mese di Settembre sulle sue pagine.
Ho scoperto il nome di William Gaddis anni fa, dopo aver letto quel capolavoro che è L'Incanto del Lotto 49 di Thomas Pynchon. Del misterioso autore di quel libro non si sanno che poche cose, fotografie solo da giovane studente, tanto che alcuni sospettarono che fosse uno pseudonimo di Gaddis. Questa è leggenda, Pynchon esiste davvero, ma è vero invece che tutti e due sono i pilastri del post-modernismo letterario americano, che ha incantato tutta una serie di scrittori diventati iconici, con romanzi quali L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon (1973), Infinite Jest di David Foster Wallace (1996) e Underworld di Don De Lillo (1997) o Le Correzioni di Jonathan Franzen (2001).
Le Perizie è un libro mondo, scritto nel 1955 (1220 pagine) che è stato riproposto da Il Saggiatore dopo quasi 50 anni dalla prima edizione Mondadori, che all'epoca lo divideva in due volumi (1967). Racconta la storia di Wyatt, un giovane del New England cresciuto dal padre pastore protestante e la Zia Mary, ultra calvinista, nel ricordo di sua madre Camilla, morta in un viaggio in Spagna. Wyatt scopre di avere un talento particolare nel disegno, tanto che una volta arrivato a New York viene ingaggiato come falsificatore di antichi quadri rinascimentali fiamminghi da un ricco uomo d'affari, Recktall Brown (il cui nome è tutto un programma). Tutto intorno a questa vicenda gira un gruppo di personaggi secondari e delle loro storie, tra scrittori in cerca di successo, attrici, artisti, poeti, critici d'arte che tra feste senza senso e dissertazioni esistenziali si interrogano sul ruolo dell'arte, degli artisti e del loro senso nel mondo. Le perizie del titolo è un sottile gioco semantico: sono sia quelle tecniche che certificano l'autenticità di un'opera d'arte, ma sono anche in senso più ampio una disamina infinita che vede i personaggi coinvolti in un interrogarsi minuzioso sulla crisi del pensiero filosofico occidentale, dalla metafisica aristotelica alla storia dell’alchimia, dalla storia delle dottrine religiose alla storia dell’arte moderna.
Quello di Gaddis fu volutamente un tentativo di scrivere un libro che andasse oltre, sia in termini strutturali che soprattutto linguistici. È l'apoteosi della citazione, di oscuri pittori fiamminghi del 1500, di testi scritti da santi eretici, di luoghi veri e immaginari, in un mix che si pone a metà strada tra il Faust e Finnegans Wake. All'epoca fu un fiasco, tanto che Gaddis per oltre venti anni abbandonerà la letteratura e lavorerà come pubblicitario per grandi gruppi industriali americani, come l'IBM. Ritornerà al romanzo solo venti anni dopo, con un'opera forse ancora più audace, JR, che però stavolta fu un successo, tanto che vincerà nel 1976 il prestigioso National Book Awards, premio che Gaddis vincerà ancora nel 1994 con A Frolic Of His Own (non tradotto in Italiano).
Tra i suoi più grandi ammiratori c'è Jonathan Franzen, che ha intitolato il suo podcast e blog personale Mr Difficult, non a caso, dato che era il soprannome di Gaddis per via del suo stile barocco, a tratti schizofrenico, imperscrutabile e con la caratteristica, unica e singolare, di caratterizzare i personaggi per uno stile riconoscibile nel linguaggio (per spiegarmi meglio, come quei tic linguistici che si hanno, il ripetere spesso un intercalare, un modo di dire e così via). Nel 2002 Franzen scrisse sul New Yorker un articolo, intitolato Mr. Difficult: William Gaddis and the Problem of Hard-to-Read Books, in cui divide i lettori in due gruppi: gli Status Model, che cercano in un romanzo una forma d'arte, e i Contract Model, che cercano in un romanzo una forma di intrattenimento. In Gaddis lo sfoggio, nel caso de Le Perizie, di citazioni erudite, rimandi all'antropologia, all’esoterismo, alla teologia cristiana o alla pittura fiamminga sono segnali paradigmatici di Status Model, e fu questa analisi stilistica che portò lo stesso Franzen a passare dal romanzo forbito (e a tratti indimenticabile) ma "difficile" da leggere che fu Le Correzioni a quello più semplice strutturalmente e più godibile che fu il successivo Crossroads.
Leggendolo, ho detto alle mie amicizie di lettura che non lo avrei consigliato a nessuno, sebbene sia stata una delle letture più incredibili della mia vita. Perchè c'è uno sforzo intellettuale che, e non so nemmeno se sia in fondo un problema, non è solitamente più richiesto per lo meno in un momento personale di riflessione come può esserlo una lettura.
Lascio l'ultima riflessione alla traduzione: fu opera già nel 1967 del grande Vincenzo Mantovani, uno dei più grandi traduttori di autori anglofoni della nostra editoria, scomparso l'anno scorso. Lui aveva un amore viscerale per Gaddis, che mi rendo conto era una sfida da rompicapo per un traduttore ma che per lo stesso motivo era amatissimo da chi queste sfide le accettava. Lo stesso Mantovani lavorò per 15 anni alla traduzione di JR, che è in pratica un romanzo dialogo su un giovane genio adolescente che scopre un modo per fare soldi nella finanza, ma non trovò mai un editore disposto a pubblicarlo. Ci riuscì solo nel 2009, grazie alle Alet di Padova, che tra l'altro non pubblica più, rendendo introvabile questo altro romanzo così sui generis e forse per questo così fondamentale.
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The Maze Runner - Il Labirinto (2014)
E’ arrivata su Netflix una saga letteraria young adult di successo, con elementi che rimandano in maniera più o meno diretta al mondo delle serie TV e dei videogame.
Quando Thomas si sveglia all'interno dell'ascensore che lo porta in superficie verso la Radura non ricorda ancora il suo nome, non sa chi è, dove si trova e perché è lì. Nulla del proprio passato, come tutti gli altri ragazzi che trova ad aspettarlo: la comunità vive senza memoria e secondo le proprie regole in questa valle selvaggia, circondata dalla mura di un misterioso labirinto le cui porte si aprono di giorno e si chiudono di notte.
Nessuno è mai riuscito ad attraversarlo, e nessuno è mai riuscito a vedere i misteriosi Dolenti che lo popolano e a restare vivo. Thomas è l'unico che sembra voler provare a capire, frammenti di ricordi affiorano durante i sogni, una sigla, una voce… "WCKD è buono". Ma le domande non sembrano avere una risposta, fino a che un giorno dall'ascensore sale una ragazza, Teresa: anche lei non ricorda nulla, tranne il nome di Thomas.
Lost in the maze
Maze Runner - Il labirinto: una scena tratta dal film fantascientifico
nel suo anno di uscita, IL 2014, c’era da parte dei produttori una ricerca compulsiva di un nuovo franchise rivolto al pubblico young adult, ma poco importava quale sia la derivazione del genere, da quello sci-fiction al soprannaturale o urban fantasy, quello che contava era creare il fenomeno trovando la storia giusta che riuscisse a diventare un successo cinematografico oltre che letterario.
Presentato come il nuovo Hunger Games (come del resto era stato per Divergent) Maze Runner - Il labirinto, dai romanzi di James Dashner (ovviamente una trilogia, più un prequel), si differenzia dagli altri sci fiction distopici essenzialmente per tre ragioni: un inconsueto approccio sostanzialmente più dark e meno patinato, la mancanza della descrizione, di solito posta come assunto iniziale, del nuovo ordine sociale distopico che ha portato allo svolgersi degli eventi, e soprattutto (almeno per questo film) si fa a meno dell'imprescindibile componente romantica.
Maze Runner - Il labirinto: una suggestiva scena del film
Già di per se questi tre fattori sarebbero sufficienti a conferire una certa dignità al film dell'esordiente Wes Ball, che nonostante vari difetti ha avuto il pregio di riuscire bene o male a mantenere desta l'attenzione dello spettatore fino alla fine, ma soprattutto di suscitare la curiosità di vedere come prosegue la storia. Se non fosse però per la durata eccessiva, potremmo trovarci davanti al perfetto pilot di un serial tv, sul cui impianto il film è costruito: in puro stile Lost, che ne costituisce il riferimento seriale più evidente, è scritto in maniera intelligente, dissemina enigmi e rimanda qualsiasi tipo di spiegazione: perché i protagonisti sono lì e chi ce li ha messi? Perché fanno quello che fanno? Bisogna arrivare alla fine del labirinto per avere le risposte, ma sono comunque parziali e (volutamente) insoddisfacenti, perché aprono le porte a nuovi scenari e nuovi quesiti che verranno chiariti nella prossima puntata.
Al livello successivo
Maze Runner - Il labirinto: una delle prime foto ufficiali del film post apocalittico
Nobili echi letterari che rimandano a Il Signore delle Mosche, la comunità di ragazzi isolata in un contesto selvaggio, la società adulta fatta di gerarchie e regole a volte brutali, il tentativo di ritrovare l'identità perduta e di far fronte alla paura che spinge a sentire la propria prigione come l'unico luogo sicuro: temi da sociologia di gruppo reinterpretati in chiave young adult, riproposti dunque in ottica da serial tv (dai quali infatti provengono i due interpreti Dylan O'Brien e Kaya Scodelario) e non ultimo contaminati da una forte estetica da videogame.
Non a caso, insieme alle serie televisive, l'altra forma di intrattenimento che è più tributaria nei confronti del cinema è proprio quella dei videogiochi, sia a livello creativo che di produzione. Al di là delle scene di inseguimento nel labirinto, con salti e scivolate, le porte che si chiudono e i mostri che inseguono in perfetto stile runner game, anche in questo caso ritroviamo soprattutto la filosofia multilivello: si è spinti ad andare avanti e a finire lo schema per sbloccare quello successivo, cambiare scenario e vedere quali sorprese riserva. La fine non è la fine, ma è un nuovo inizio, e in questo senso il film non potrebbe essere più esplicito: "La fase uno è finita, ora comincia la fase due".
Maze Runner - Il labirinto: una scena corale del film
Conclusione
Non è alla fine risultato essere il nuovo Hunger Games, ma è un passo avanti rispetto a Divergent. Strutturato come il pilota di una serie tv induce alla serialità, contaminandola con l'estetica e la filosofia del videogame: magari non così riuscito ed avvincente da rigiocarlo da capo, ma tutto sommato la voglia di vedere cosa c'è al livello successivo rimane.
#the maze runner#the maze runner imagines#the maze runner il labirinto#dylan o'brien#kaya scodelario#the scorch trials
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L’ultima volta che ho incontrato Michela, prima che diventasse famosa, è stato nel 2001, eravamo al termine di un triennio in Azione Cattolica, che ci aveva visto lavorare insieme: lei come responsabile dei giovani della Sardegna, io come responsabile nazionale. "Che farai ora?", le chiesi. "Farò l'allevatrice di lumache", mi rispose. La salutai frastornato da un misto di nostalgia anticipata (pensavo infatti che difficilmente ci saremmo rivisti) e di rabbia (ma come è possibile - riflettevo - che una pesona di così grande talento non trovi altro spazio nel nostro paese che quello di allevare gasteropodi?).
Fortunatamente mi sbagliavo su entrambi i fronti: il talento di Michela è esploso rapidamente e io ho avuto la fortuna di continuare a frequentarla. Non credo che Michela abbia mai allevato lumache, di mestieri però ne ha fatti tanti: i più noti sono quelli di portiere di notte in un albergo e di venditrice attraverso un call center. C'è una costante però nelle diverse vite (la definizione è sua) che ha vissuto: quella di brillare e illuminare. Così quando lavorava in albergo ha incontrato Vinicio Capossela e insieme hanno registrato un brano a due voci, che spero un giorno avremo modo di ascoltare; il racconto dell'esperienza nel call center invece è diventato il suo primo grande successo letterario, quello che le ha aperto nuove e inaspettate vite: scrittrice, sceneggiatrice, saggista, attivista, candidata alla presidenza della regione Sardegna e tante altre ancora.
Quando le ricordavo quello che pensavo sarebbe stato il nostro ultimo dialogo, lei spiegava tutto con una metafora da campagna sarda: ho fatto la mossa del topo, quello che costretto in un angolo da una scopa, non avendo più vie di fuga, per evitare il colpo ferale, aggredisce. Ecco allora un'altra costante che ho trovato in Michela dagli anni giovanili ad oggi: la ribellione. Parola quest'ultima che però non va fraintesa. Michela sulla scena pubblica è stata troppo spesso interpretata come una barricadera, un'icona di posizioni ideologiche di un'area ben precisa. Un ritratto falso e semplicista questo, che non dice nulla di chi è stata Michela Murgia. Torno alla metafora del topo: Michela ha lottato per quelli che via via ha ritenuto fossero i più deboli, lo ha fatto con la forza delle sue parole, della sua prorompente personalità, a volte in maniera urticante, nella società come nella Chiesa, ma non è mai stata un'intellettuale da salotto. Le battaglie che ha sostenuto (al di là della valutazione di merito che ciascuno di noi può dare) le ha fatte sulla base di una ricerca, di uno studio, mai attraverso scorciatoie ideologiche. Michela si è esposta e ha pagato di persona. Michela ha detto parole dure non per odio verso qualcuno, né per compiacere circoletti intellettuali, Michela ha parlato in coscienza e consapevolezza, attirandosi per questo, oltre ad ammirazione, anche l'odio di molti. Circostanza per cui ha sofferto. Il sogno di traferirsi in Corea, coltivato negli ultimi anni, veniva proprio da questo: dalla sofferenza di essere insultata, magari mentre era in fila al supermercato, in ragione delle sue idee.
C'è poi un'altra dimensione meno conosciuta di lei che, per questo, vale la pena di raccontare: quella della fede. Michela ha studiato teologia, animata da quella che Ignazio chiamava la santa inquietudine. Michela ha polemizzato e fatto a botte con la religione, non con la fede che mai ha rinnegato. Michela è stata un'intellettuale credente che ha provato sempre, nella sua coscienza come nelle pagine scritte, a far dialogare la cultura e le istanze del nostro tempo con il Vangelo, con tutta la fatica e le incongruenze che questo comporta. Non spetta a nessuno giudicare il suo percorso, per quanto mi riguarda sento di ringraziarla anche per la testimonianza, profondamente evangelica, di come ha vissuto la malattia, per averci dimostrato, come ha scritto Chiara Valerio, che "i legami tra le persone sono più persistenti delle persone stesse" e per averci lasciato una delle più belle definizioni di Paradiso che mi sia toccato di ascoltare: "una comunione continua senza intervalli".
Gennaro Ferrara, Quella sete d'assoluto, "Avvenire", 12 agosto 2023
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Un grazie di cuore all'amico e collega-autore Paolo Arigotti per avermi di nuovo ospitata nel suo Salotto Letterario. Questa volta è stato il turno del mio libro
L’AUTISMO visto da una PROSPETTIVA DIVERSA – La storia di successo di Cesare (Tommasini & De Donato, 2019)
Amore incondizionato, empatia, accettazione ed apprezzamento dell’altro e della sua unicità e diversità e sostegno alle famiglie tra gli aspetti considerati.
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⚠️ NOVITÀ IN LIBRERIA ⚠️
Un grande successo internazionale arriva in Italia
Javier Ruiz Portella
GLI SCHIAVI FELICI DELLA LIBERTÀ
Trattato contemporaneo sul dissenso
Capita – in questo tempo dominato dal denaro e deformato dalla materia – che si manifesti una perversa forma di schiavitù volontaria, sovente spacciata per “diritto” inalienabile. La cifra di questo declino è lampante: risiede nel trionfo dell’individuo edonista e del consumatore sradicato, nella morte del sacro e nelle masse omologate, nel naufragio delle idee e nell’oblio della bellezza.
Javier Ruiz Portella – con queste pagine infuocate – firma un profondo appello contro la modernità. Già acclamato a livello internazionale, questo bestseller è insieme un saggio e un manuale, un trattato e un monito, un dialogo e un pamphlet. Si tratta di un potente e sincero grido di rabbia, che non manca di anelare una speranza viva: edificare una rivoluzione che crei una sintesi tra la visione del mondo che determina le nostre azioni e le azioni che determinano la nostra visione del mondo.
“Un libro straordinario, pieno di autentico talento letterario. Una bomba atomica filosofica senza il linguaggio dei filosofi. Nessuno ha mai scritto niente di così forte e veritiero sulla nostra epoca: perché il brutto sostituisce il bello?”
– Dominique Venner, La Nouvelle Revue d’Histoire, Parigi.
INFO & ORDINI:
www.passaggioalbosco.it
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Henry James, tra fantasmi e realismo
Lo scrittore che segnò un punto di svolta nella narrativa americana… Henry James nacque il 15 aprile 1843 al 2 di Washington Place a New York e durante la sua infanzia viaggiò tra Londra, Parigi e Ginevra, prima di giungere a Newport, nel Rhode Island, dove conobbe il pittore John La Farge, che lo avvicinò alla letteratura francese, in particolare a Balzac. Nel 1861, mentre stava cercando di spegnere un incendio, James subì un infortunio alla schiena e ne sentì le conseguenze per il resto della sua vita, al punto che in occasione della Guerra Civile Americana venne reputato inadatto al servizio militare. A diciannove anni Henry si iscrisse alla Harvard Law School, ma la frequentò senza successo, essendo più interessato all'attività di scrittore. Nel 1864 pubblicò in forma anonima il suo primo racconto breve, A tragedy of error, per poi dedicarsi unicamente alla scrittura, anche grazie alle collaborazioni con diversi giornali come Scribner's, Harper's, The Atlantic Monthly e The Nation. James nel 1871 pubblicò il romanzo Watch and Ward, conosciuto in italiano come Tutore e pupilla e nel 1875 diede alle stampe Roderick Hudson. Successivamente si trasferì a Parigi, per poi andare a vivere nel 1876 in Inghilterra, prima visse a Londra, ma a partire dal 1897 si spostò nel Sussex orientale, presso la Lamb House di Rye. Nel 1877 pubblicò L'americano, seguito un anno dopo da Gli europei e nel 1880 da Fiducia. Dopo aver scritto la novella Piazza Washington, nel 1881 completò Ritratto di signora, sul fallimento sentimentale di una giovane americana in Europa, e nel 1886 scrisse Le bostoniane, cui seguirono Principessa Casamassima, prima di Il riflettore, satira sulla stampa, e La musa magica. James nel 1896 pubblicò il suo capolavoro, il racconto lungo Giro di vite, su una giovane governante che sospetta i piccoli Flora e Miles, suoi pupilli, di essere vittime dell’influenza di due fantasmi, che furono il giardiniere della dimora dove si svolge la storia e la precedente governante. Nel 1904 Henry James tornò negli Stati Uniti, ma decise di interrompere i suoi viaggi al di là dell'Oceano Atlantico dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. A quel punto lo scrittore manifestò l'intenzione di diventare un cittadino britannico, in segno di protesta nei confronti della decisione assunta dagli americani nel conflitto di non intervenire, ma il 2 dicembre 1915 fu vittima di un attacco di cuore a Londra. Henry James morì il 28 febbraio 1916 e le sue ceneri sono state tumulate nel cimitero di Cambridge, nel Massachusetts. Dal punto di vista letterario James fu il padre della teoria secondo la quale gli scrittori sono chiamati a presentare, attraverso le loro opere, una visione del mondo e, grazie al punto di vista soggettivo, il monologo interiore e vari tipi di narrazione psicologica, ha dato una significativa svolta al romanzo moderno. Read the full article
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"Itinerari in cerca di senso" di Giuseppe Aletti: un viaggio emotivo tra sogni e riflessioni. Un libro che esplora la finitezza umana e l'importanza di perseguire i propri desideri
Con "Itinerari in cerca di senso", il poeta, editore e formatore Giuseppe Aletti prosegue il suo percorso esistenziale e letterario, offrendo una riflessione profonda sull'essenza della vita e sulle aspirazioni che la rendono significativa
Con “Itinerari in cerca di senso”, il poeta, editore e formatore Giuseppe Aletti prosegue il suo percorso esistenziale e letterario, offrendo una riflessione profonda sull’essenza della vita e sulle aspirazioni che la rendono significativa. Pubblicato dalla Aletti Editore, questo volume rappresenta la seconda opera della trilogia dedicata al viaggio e al tempo, dopo il successo di “Feritoia”. Un…
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"Eugénie Grandet" è uno dei romanzi più celebri di Honoré de Balzac, pubblicato per la prima volta nel 1833. Fa parte del vasto ciclo narrativo de "La Comédie Humaine", un'opera monumentale che Balzac ha dedicato a rappresentare la società francese del suo tempo.
Il romanzo è ambientato nella cittadina di Saumur, nella Valle della Loira, e racconta la storia di Eugénie, una giovane donna che vive sotto il giogo del padre, Félix Grandet, un uomo estremamente avaro e manipolatore. La trama si sviluppa attorno alla vita monotona e opprimente di Eugénie, che viene sconvolta dall'arrivo del cugino Charles, recentemente orfano e senza un soldo. Questo incontro risveglia in Eugénie sentimenti di amore e ribellione, portandola a scontrarsi con l'autorità paterna.
Balzac utilizza la figura di Grandet padre per criticare l'ossessione borghese per il denaro e il potere. La sua avarizia non solo rovina la vita della figlia, ma rappresenta anche una critica più ampia alla società del tempo, dove il valore delle persone è spesso misurato in termini di ricchezza materiale. La descrizione dettagliata della vita provinciale e delle dinamiche familiari rende il romanzo un ritratto vivido e realistico della Francia post-rivoluzionaria.
Honoré de Balzac nacque il 20 maggio 1799 a Tours, in Francia, da una famiglia borghese. Suo padre, Bernard-François Balzac, era un funzionario pubblico, mentre sua madre, Charlotte-Laure Sallambier, proveniva da una famiglia di commercianti parigini. Balzac trascorse un'infanzia solitaria e difficile, segnata dai frequenti disaccordi tra i genitori.
Dopo aver frequentato il Collège des Oratoriens a Vendôme, Balzac si trasferì a Parigi, dove studiò diritto. Tuttavia, la sua vera passione era la letteratura. Dopo alcuni tentativi falliti di affermarsi come drammaturgo, Balzac iniziò a scrivere romanzi sotto vari pseudonimi. La sua carriera letteraria decollò con la pubblicazione di "Les Chouans" nel 1829, il primo romanzo che firmò con il suo vero nome.
Balzac è noto per il suo stile di vita frenetico e per la sua incredibile produttività. Lavorava spesso per lunghe ore, alimentato da caffè nero, e scriveva in modo compulsivo. La sua opera più famosa, "La Comédie Humaine", è una serie di quasi cento romanzi e racconti che offrono un ritratto dettagliato della società francese del XIX secolo. Tra le sue opere più celebri si trovano "Le Père Goriot", "La Cousine Bette" e, naturalmente, "Eugénie Grandet".
Nonostante il successo letterario, Balzac ebbe una vita personale tumultuosa, segnata da numerosi debiti e relazioni amorose complicate. Nel 1850, sposò la contessa polacca Ewelina Hańska, con la quale aveva intrattenuto una lunga corrispondenza. Purtroppo, Balzac morì pochi mesi dopo il matrimonio, il 18 agosto 1850, a Parigi.
Balzac è considerato uno dei padri del realismo nella letteratura europea. La sua capacità di creare personaggi complessi e di descrivere con precisione la società del suo tempo ha influenzato molti scrittori successivi, tra cui Émile Zola, Charles Dickens e Marcel Proust.
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AI Groove: King Diamond, il Gran Sacerdote del Metal
Quando si parla di King Diamond, si evoca una figura mitica del metal, una combinazione unica di teatralità, oscurità, e una maestria vocale che lo ha reso un’icona inconfondibile. Nato Kim Bendix Petersen a Copenaghen nel 1956, King Diamond non è solo un cantante straordinario, ma anche un architetto del terrore musicale, capace di costruire interi mondi narrativi che fondono horror, esoterismo e musica heavy metal.
I primi anni: Mercyful Fate e l’alba di un’epoca
King Diamond iniziò la sua carriera nei primi anni ’80 come leader dei Mercyful Fate, una delle band più influenti della scena heavy metal. Con album come Melissa (1983) e Don’t Break the Oath (1984), i Mercyful Fate tracciarono le coordinate di un sound oscuro e teatrale, radicato nel satanismo letterario e nella mitologia esoterica. L’inconfondibile falsetto di King Diamond, una voce capace di passare da toni angelici a grida demoniache, divenne il tratto distintivo della band.
“King Diamond è stato una delle mie principali ispirazioni,” ha dichiarato Lars Ulrich dei Metallica. “Crescendo in Danimarca, vedere qualcuno come lui affermarsi a livello internazionale era incredibile. E poi c’era quella voce: nessuno cantava come lui.”
La nascita del solista: Un horror teatrale
Dopo la separazione dai Mercyful Fate nel 1985, King Diamond intraprese una carriera solista che gli permise di ampliare ulteriormente il suo universo creativo. Album come Abigail (1987), Them (1988) e Conspiracy (1989) non sono semplicemente raccolte di canzoni, ma opere concettuali che raccontano storie dell’orrore degne di un film di Dario Argento o di un racconto di H.P. Lovecraft.
La teatralità dei suoi live show, con croci rovesciate, scenografie gotiche e costumi elaborati, ha contribuito a creare l’immagine di King Diamond come una figura a metà tra un occultista e un cantastorie demoniaco.
“King Diamond ha portato il teatro nel metal,” ha affermato Rob Halford dei Judas Priest. “Non si tratta solo della musica: è l’esperienza completa. Ogni suo concerto è un viaggio in un altro mondo.”
Il personaggio e l’occulto
Una delle chiavi del successo di King Diamond è stata la sua capacità di costruire un personaggio coerente. Il suo trucco distintivo – una maschera facciale che combina croci rovesciate e figure geometriche – è diventato iconico tanto quanto il suo falsetto. Ma dietro l’estetica c’è un’autentica passione per l’esoterismo.
In diverse interviste, King Diamond ha dichiarato di essere un credente nel satanismo laveyano, un sistema filosofico che si distanzia dall’adorazione letterale di Satana e si concentra invece sull’individualismo e sull’esaltazione del libero arbitrio.
“Non si tratta di sacrificare capre o cose del genere,” ha spiegato in un’intervista con Metal Hammer. “È una filosofia di vita che mette l’uomo al centro del suo universo.”
Questa prospettiva ha informato non solo i testi delle sue canzoni, ma anche il modo in cui ha costruito il suo personaggio pubblico, rendendolo un’icona per chi cerca nel metal una forma di ribellione intellettuale e spirituale.
L’eredità e le influenze
King Diamond ha influenzato generazioni di musicisti, dai black metaller norvegesi alle nuove leve del progressive e del power metal. Dani Filth dei Cradle of Filth, ad esempio, ha spesso citato King Diamond come una delle sue principali influenze:
“La sua capacità di raccontare storie attraverso la musica e il modo in cui ha reso ogni performance un rituale hanno avuto un impatto enorme su di me.”
Anche Tobias Forge dei Ghost ha riconosciuto il debito verso King Diamond:
“Le nostre maschere, i temi occulti e l’idea di un personaggio centrale nello show? Molte di queste cose vengono da King Diamond e dai Mercyful Fate.”
Conclusioni: Il Re del Metal Oscuro
King Diamond è più di un cantante. È una forza creativa, un innovatore, e una figura centrale nell’evoluzione dell’heavy metal. La sua abilità nel fondere musica, narrativa e immaginario esoterico ha creato un mondo in cui i fan non sono semplici ascoltatori, ma partecipanti di un’esperienza multisensoriale.
Come lui stesso ha detto:
“Il mio obiettivo non è solo spaventare la gente. Voglio trasportarla in un altro mondo, dove la realtà e il mito si confondono.”
E ci è riuscito, costruendo un impero di oscurità che continua a ispirare e incantare milioni di fan in tutto il mondo.
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Il Viaggio di Paulo Coelho verso l’Icona Letteraria Globale
Paulo Coelho è diventato uno dei più celebri scrittori contemporanei grazie alla sua capacità di toccare corde universali con le sue storie spirituali e ricche di saggezza. Nato in Brasile, la sua vita è stata un percorso straordinario che lo ha portato da esperienze difficili a un successo globale come autore. Il suo cammino, nonostante le numerose sfide, ha ispirato milioni di lettori in tutto il mondo, e attraverso piattaforme come z.library Coelho ha visto le sue opere diffondersi tra coloro che amano la lettura digitale.
Le Origini di Coelho: Ribellione e Sogni Infranti
Il viaggio di Coelho inizia con una giovinezza turbolenta caratterizzata da una ricerca costante di libertà e comprensione. Cresciuto in una famiglia conservatrice, trovava spesso rifugio nei libri e nei sogni di diventare uno scrittore. Tuttavia, il suo spirito ribelle portò anche a difficoltà personali. Fu mandato in istituti psichiatrici dai genitori preoccupati per il suo comportamento anticonformista ma non si lasciò abbattere e usò queste esperienze come fonte d’ispirazione.
Un insegnamento nascosto nella sua esperienza adolescenziale è l’importanza della perseveranza e della ricerca di sé, valori che traspaiono in molti dei suoi scritti. È come se ogni libro fosse una parte di lui stesso riflessa tra le pagine.
Il Momento di Cambiamento: Santiago e il Pellegrinaggio
Uno dei momenti più significativi nella vita di Coelho avvenne quando decise di intraprendere il famoso cammino di Santiago de Compostela. Questo pellegrinaggio fu un’esperienza di trasformazione profonda che segnò una svolta spirituale e letteraria nella sua vita. Al termine del cammino, Coelho sentì il bisogno di condividere questa scoperta interiore attraverso la scrittura.
Il Pellegrinaggio divenne il primo romanzo in cui Coelho esplora il concetto di ricerca personale e realizzazione, un tema che sarebbe poi diventato centrale in tutta la sua opera. Per lui, scrivere non era solo raccontare una storia, ma offrire ai lettori una guida alla scoperta di sé.
L'Alchimista: Il Successo Mondiale
Con la pubblicazione de L’Alchimista, Paulo Coelho raggiunse il successo planetario. Questo romanzo, incentrato sulla ricerca del proprio destino, ha conquistato lettori di ogni età e cultura per la sua semplicità e profondità. L’alchimista ha venduto milioni di copie e ha trasformato Coelho in una figura iconica nella letteratura moderna.
La sua popolarità si basa su alcuni punti distintivi che fanno di lui un autore unico:
Storie dal linguaggio semplice e diretto
Temi universali come l’amore e la realizzazione personale
Spiritualità e filosofia accessibili a tutti
Utilizzo di personaggi che riflettono il viaggio interiore dell’autore
Inoltre, la presenza delle sue opere nelle biblioteche digitali ha permesso a sempre più persone di scoprire il suo mondo letterario senza dover andare in una libreria fisica.
Il Messaggio di Coelho: Trasformare il Dolore in Crescita
I libri di Paulo Coelho non sono solo romanzi ma veri e propri strumenti di riflessione per affrontare le sfide della vita. Coelho invita i lettori a considerare le difficoltà non come ostacoli, ma come opportunità di crescita e trasformazione. La sua filosofia si rivolge a chiunque cerchi uno scopo più profondo nella propria esistenza e riconosce che la vita è una continua evoluzione.
Riflessioni Spirituali nei Romanzi di Coelho
Le riflessioni spirituali sono il cuore della narrativa di Coelho. Nei suoi romanzi, ogni esperienza è vista come un tassello essenziale del viaggio umano. Tra visioni mistiche e insegnamenti antichi, Coelho invita ciascun lettore a esplorare la propria anima e a trovare risposte dentro di sé.
Un Esempio di Perseveranza per Scrittori Emergenti
Paulo Coelho è oggi una fonte di ispirazione non solo per i lettori, ma anche per molti scrittori emergenti che vedono nel suo percorso una prova che, nonostante le difficoltà, il successo è possibile.
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Match Point, la Rabbia di Flavia Catena vince l'edizione 2024 del concorso
Di Annalisa Valente E' Flavia Catena con il racconto Rabbia che vince l'edizione di quest'anno di Match Point, il concorso letterario organizzato da Il Circolo e Londra Scrive. Secondi e terzi, Alessia Piermarini con la Muscia Dentro e Max Mauro con Il Dito. Match Point, la Rabbia di Flavia Catena vince l'edizione 2024 del concorso E' Rabbia di Flavia Catena che vince l'edizione 2024 di Match Point, il concorso letterario riservato a racconti inediti scritti in italiano da residenti in Regno Unito. La musica dentro di Alessia Piermarini e Il dito di Max Mauro vincono rispettivamente il secondo e terzo premio. Come di consueto è stato l’Istituto Italiano di Cultura di Londra ad ospitare giovedì 17 Ottobre, all’interno della Settimana della lingua italiana nel mondo, la serata di premiazione del concorso organizzato da Il Circolo - Italian Cultural Association, charity italiana in UK in collaborazione con Londra Scrive, scuola di scrittura creativa fondata dallo scrittore Marco Mancassola col patrocinio del Consolato Generale d'Italia a Londra e nell’ambito delle attività di promozione integrata del Sistema Italia del Ministero degli Affari Esteri. Il Premio, giunto quest’anno alla sua terza edizione, è stato sponsorizzato dallo studio commercialista Del Vigna Dobson. Il tema della challenge 2024 è stato “FUTURO O NO?” e ha rappresentato l’occasione per parlarne in tutte le possibili declinazioni: visioni del futuro dell’umanità, tecnologie che avanzano o nuove società, storie contemporanee basate sulle nostre vite e sulle scelte, i progetti, i sogni, le relazioni, le speranze che possono influenzarle. E di racconti, incentrati sul topic, ne sono arrivati quasi un’ottantina. Tra questi, la giuria composta da Olga Campofreda, Luisella Mazza, Isabella d’Amico, Daniele Derossi, Marco Mancassola, Paolo Nelli, Caterina Soffici e Giovanna Salvia ha fatto un lavoro di cernita accurata e anche un po' combattuta, per arrivare a una scrematura di dodici finalisti. Importante sottolineare che la giuria ha giudicato i racconti, contrassegnati da un numero progressivo, senza sapere nulla degli autori. Perché l’intento fosse proprio quello di garantire completa trasparenza e obiettività nella scelta. La serata di premiazione di giovedì 17 Ottobre, aperta con i saluti del Console d’Italia a Londra Alessandro Mignini e della presidente de Il Circolo Simona Spreafico, è stata poi condotta da Etta Carnelli De Benedetti, direttrice de Il Circolo. Presente anche la moglie del Vice Capo Missione, Signora Marina Smimmo De Antonellis. I finalisti sono stati tutti invitati alla serata, e fino al momento della premiazione, è stato mantenuto dagli organizzatori il massimo riserbo sulle posizioni in classifica. Ecco, allora i risultati risultati e le menzioni speciali della giuria. - Premio - RABBIA di Flavia Catena - Premio – LA MUSICA DENTRO di Alessia Piermarini - Premio – IL DITO di Max Mauro Il primo racconto classificato, premiato dalla signora Marina Smimmo De Antonellis, si è aggiudicato un trofeo e un premio di 1.000 sterline. Motivazione del premio: “Per la capacità di esplorare il tema dell’incertezza del futuro con una forte, avvincente allegoria; il taglio originale nell’affrontare il genere distopico; la creazione di un’atmosfera intensa e inconfondibile; l’equilibrio di un racconto in bilico tra narrazione esplicita e mistero”. Il secondo racconto, premiato dal Console Mignini, e il terzo, premiato dallo sponsor Del Vigna Dobson, hanno ricevuto un trofeo e un premio in denaro di 500 sterline. Ma ci sono state anche tre menzioni speciali per i testi di Martina De Camillis "La storia del mio cuore”, di Marco Medugno “Quattro lezioni” e di Simone D’Aquino (“Tuffati picciri’!’’). Ma quest’anno Match Point ha riservato anche una novità rispetto alle edizioni passate: il premio Mondo Nuovo, istituito per sottolineare il crescente successo ottenuto dal nuovo bookclub de Il Circolo, appunto Mondo Nuovo, diretto da Olga Campofreda, e che attualmente vede il coordinamento di Luisella Mazza fino al prossimo mese di Gennaio. I dodici racconti finalisti sono stati sottoposti ad una giuria composta da grandi lettori del bookclub ai quali è stato chiesto di votare il vincitore. A maggioranza dei voti il Premio Mondo Nuovo è andato a "L’ultima conversazione" di Anna Sergi (premiata da Luisella Mazza) e a lei è andato un buono d’acquisto per libri del valore di 100 sterline. Ma ci sembra doveroso citare anche i nomi degli altri finalisti che hanno partecipato alla serata insieme ai colleghi decretati poi vincitori: Irene Morlino, Luciano Parisi, Marco Chiola, Martina Bozza, Paolo Barucca. Nel corso della serata l’attore Alex Marchi ha letto dei brani tratti dai tre racconti premiati, che vincono inoltre la possibilità di un percorso di editing professionistico e, nelle prossime settimane, la pubblicazione sulla rivista letteraria Cattedrale – Osservatorio sul racconto, partner del concorso. E, mentre si spengono i riflettori su Match Point edizione 2024, si inizia già a pensare alla prossima edizione del concorso, nel 2025, con un topic, se possibile, ancora più affascinante: “BUON VIAGGIO”. Un’occasione per essere fantasiosi, introspettivi, proiettati verso le più disparate forme di itinerario attraverso le esperienza di vita, i ricordi, gli obiettivi futuri, i territori ancora inesplorati. Vedremo di cosa saranno capaci i prossimi talenti letterari pronti a sfidarsi nella quarta edizione di Match Point. ... Continua a leggere su
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