#romanzi sulle relazioni
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Dimmi di te – Un viaggio tra introspezione e scoperta nel nuovo romanzo di Chiara Gamberale. Recensione di Alessandria today
Chiara Gamberale esplora le relazioni, l’identità e il bisogno di connessione attraverso un dialogo intimo e profondo.
Chiara Gamberale esplora le relazioni, l’identità e il bisogno di connessione attraverso un dialogo intimo e profondo. Recensione:“Dimmi di te” di Chiara Gamberale è un romanzo che affronta le complessità delle relazioni umane, il bisogno di essere ascoltati e la ricerca di una vera connessione. La trama si concentra su un dialogo continuo tra il narratore e la voce interiore di una protagonista…
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Pennellate di bugie di Pamela Luidelli
La realtà supera la fantasia Pennellate di bugie di Pamela Luidelli edito da Horti di Giano è il quarto romanzo dell’autrice dopo Un caffè per la vittima (2021), Un caffè per l’assassino (2022), e Diretto all’inferno (2023). Il libro è ricco di intrighi e mistero, situazioni pericolose e segreti da non svelare. L’autrice è riuscita a dare a questa storia il giusto pathos con una sapiente miscela di mistero e sensibilitàche coinvolgono il lettore fino all’ultima pagina. Una storia come tante, che si apre con un lutto che cambia la vita e che a sua volta verrà trasformata da un evento che metterà a dura prova la protagonista. Siamo negli Stati Uniti e la signora Müller è una nota scrittrice. L’arrivo forzato della nipote Felicia la costringerà a superare il torpore in cui è caduta, riacuendo i suoi sensi e sprigionando le sue forze vitali. Pamela Luidelli è un’appassionata viaggiatrice. Ama la scrittura e la lettura e quando può scappa alla ricerca dei suoi amati castelli con fantasmi. Gestisce l’interessante canale YouTube PAMLive in cui intervista artisti di vario genere e il blog www.iviaggilowcostdipamela.com, in cui parla di città visitate ma anche di fantasmi, leggende, libri e cucina. Ringraziamo Pamela per questa bella intervista e ne approfittiamo per parlare con lei non solo del suo libro ma anche di scrittura e lettura. Pennellate di bugie di Pamela Luidelli Salve Pamela, lei è nuova ai lettori di Cinquecolonne Magazine. Ci racconta brevemente cosa fa nella vita, di cosa si occupa? Desidero esprimere la mia gratitudine a Cinquecolonne Magazine per avermi concesso la possibilità di presentarmi. Risiedo insieme alla mia famiglia sul Lago Maggiore, sorgente d'ispirazione per i miei romanzi. Nonostante gli imprevisti che la vita riserva, trovo comunque il tempo di viaggiare alla ricerca di castelli europei e dei fantasmi che li abitano. Peccato che non mi accada mai di incontrarli, ma pazienza: la speranza è l'ultima a morire! La routine quotidiana invece prevede lunghe ore trascorse nello studio, in compagnia del fedele amico a quattro zampe Artù, immersa tra le pagine dei libri, sorseggiando talvolta davvero troppe tazze di latte e tè, alla continua ricerca di una nuova storia da raccontare. Pennellate di bugie è la sua ultima fatica letteraria. Rispetto ai suoi romanzi precedenti questo non è un vero e proprio giallo. Cosa l’ha spinta a cambiare genere? Come accennato in precedenza, questo è il quarto mio romanzo pubblicato. Tuttavia, desidero sottolineare che si tratta del mio primogenito, quello che ho voluto sottoporre ad una maturazione accurata. Il genere di appartenenza è il romanzo giallo e per la prima volta ho deciso di adottare un approccio soft nell'ambito investigativo, pur preservando intatta l'emozione tipica del genere. La complessità delle relazioni familiari tra madre, figlia e nipote è stata affrontata con realistica sensibilità, sottolineando la crudele realtà della violenza sulle donne. In questo modo, il mio lavoro si differenzia nettamente dai miei scritti precedenti, mettendo in luce uno stile nascosto che mi appartiene. Soffermiamoci sul titolo del romanzo. Perché lo ha scelto? Che ruolo hanno le bugie nella storia della protagonista? Inizialmente il titolo era diverso: "La vita è un viaggio". Tuttavia, alla luce della trama, ho preferito optare per un nome diverso, in grado di catturare l'essenza delle bugie, quelle raccontate per il bene degli altri, quelle per evitare conflitti e, soprattutto, quelle che raccontiamo a noi stessi per allontanare la realtà. Ma, come ben sappiamo, le bugie sono e rimangono bugie: la verità finisce sempre per emergere, apportando una torrenziale quantità di problemi. Non scordiamoci mai di questo. Alla fine la protagonista e tutta la sua famiglia attingerà da questa saggezza, conservandola come un gioiello prezioso. Quando è entrata la scrittura nella sua vita? Potrei redigere un saggio sulla mia passione per la scrittura, tuttavia mi preme confessare che è giunta in ritardo nella mia vita, solo sei anni fa. Devo ringraziare mio marito che mi ha spinto a provare. Prima di cimentarmi in questo campo, mi sono dedicata alla lettura, divenendo presto una lettrice accanita. A tal punto che non esiterei a leggere anche venti libri al mese per la soddisfazione delle mie ricerche. In effetti, la mia mente è costantemente in fermento. Quando si dedica alla scrittura dei romanzi? Durante i suoi viaggi oppure ha bisogno di momenti di tranquillità e solitudine per dare vita al suo processo creativo? Sono convinta che lo scrittore debba essere considerato un artista a tutti gli effetti, in grado di sperimentare, studiare e commettere errori. In passato, scrivevo solo nel tempo libero, ma ho presto capito che non era abbastanza: necessitavo di dedicarmici a tempo pieno e così ho fatto. Ci sono giorni in cui leggo di più e scrivo meno, ma ciò fa parte del processo creativo. Ogni volta che mi è concesso di viaggiare, devo ammettere che l'effetto benefico è impareggiabile. L'esperienza di scoprire nuovi luoghi e culture mi eleva anima e spirito, offrendomi un nutrimento emotivo senza eguali. Mi è stata donata la fortuna di avere il mio studio personale dove poter trovare rifugio e concentrazione, accanto alla mia amata collezione di libri. La tranquillità che tanto desidero mi attende tra quelle pareti. Ringrazio di cuore per questa opportunità Read the full article
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Consigli di scrittura
Creare un personaggio a 360°
Come si fa? Da dove si parte? Come sempre, il consiglio é quello di attingere il piú possibile dalla realtà. Un errore molto comune - e qui parlo soprattutto delle storie d'amore - é quello di relegare il personaggio al suo ruolo nella storia. Ad esempio, la protagonista di un romanzo rosa parlerà solo e soltanto del ragazzo che le piace, di quanto sia stato crudele il suo ex, di come sia stato sgarbato il nuovo compagno di banco, e via discorrendo, finché attraverso le sue parole non comprenderemo l'avvicinamento tra lei ed il suo interesse amoroso. Allo stesso modo, l'antagonista di una qualsiasi storia entrerà in scena solo per dire cattiverie e fare del male. Qual é il difetto di questi personaggi? Sono piatti.
Lavorare sul carattere
Esattamente come le persone - é questa la parola chiave, si era capito? - i personaggi devono avere pregi e difetti che li contraddistinguano, e che in qualche modo tornino utili alla trama (un personaggio impulsivo, ad esempio, manda avanti l'azione prendendo scelte sbagliate per troppa fretta). Di solito trovo molto comodo stilare una lista dei lati positivi e negativi dei personaggi che creo, tenendo però conto di alcune cose: 1. Non si può programmare tutto in anticipo; dopo un certo numero di capitoli la storia procede spesso da sé e i personaggi sfuggono al controllo. Sono loro a rivelare allo scrittore la propria vera natura, il che può sembrare assurdo, ma bisogna provare per credere; 2. In tal caso, forzare un personaggio in un'azione solo perché avevamo deciso per principio che avrebbe avuto data caratteristica é un errore da non commettere mai; 3 In riferimento al punto precedente, non si deve mai far commettere ad un personaggio una scelta o fargli dire qualcosa che per via delle sue qualità o dei suoi difetti non farebbe o direbbe. Altrimenti si rischia di "uscire dal personaggio" (out of character, come dicono gli anglofoni); 4. I pregi e i difetti talvolta si mescolano, un tratto che può sembrare una debolezza in alcune situazioni può rivelarsi forza eccetera. Ad esempio, la diffidenza (difetto) può rivelarsi utile nel momento in cui il personaggio, non dando fiducia a quello che non sapeva essere l'antagonista, salva la situazione; 5. Non esiste persona al mondo che non abbia almeno un pregio, anche il piú cattivo dei cattivi - non per niente, spesso non crediamo che qualcuno sia malintenzionato proprio perché l'abbiamo visto compiere, ad esempio, un atto di gentilezza.
Lavorare sulle passioni
Consideriamola un'appendice del capitolo "Intelletto e passioni". La giornata si compone di ventiquattro ore, e se in ventiquattro ore la Hope di turno non fa altro che parlare del principe azzurro qualcosa non quadra. Le persone si intrattengono nel corso della giornata, hanno degli hobby, svolgono attività. Vanno a correre, cucinano, dipingono, guardano anime, leggono riviste, fanno i cruciverba, scaricano musica illegalmente. Anzitutto - e qui apro e chiudo parentesi - fate in modo che i personaggi siano spesso impegnati in qualcosa. Nessuno entra in cucina e vi trova fermi, seduti alla sedia, ad attendere che entriate per intraprendere un discorso: ognuno ha vita propria, se entro in una stanza probabilmente troverò qualcuno che sta facendo qualcosa, che sia piegare le magliette, limarsi le unghie, guardare la tv. Ora, tornando alle passioni, e in particolare al fantomatico romanzo rosa: il protagonista deve essere piú di un cuore che batte e si protende verso qualcuno. Dategli dei sogni, delle ambizioni, speranze, e che non sia tutta aria fritta - mostrate in che modo li realizza o in che modo fallisce. Spiegate le origini, le motivazioni di un desiderio o di una passione, e perché perdurano nel tempo anziché scomparire come quando da piccoli, alla maestra, si rispondeva di voler fare gli astronauti e poi si é diventati poeti. Se state utilizzando un narratore onnisciente - il primo capitolo vi rinfrescherà la memoria - potete dare informazioni di questo genere in qualsiasi istante, anche se il protagonista non ricorda come sia iniziata una passione o, meglio ancora, se non sa come sia iniziata la passione di un suo amico/personaggio secondario. Ad esempio, ad Hope piacciono le voliere e tu, narratore onnisciente, sai che é perché sua zia teneva appesa ad una trave del portico una gabbietta con due cardellini colorati, che cinguettavano allietando i pomeriggi. Hope era troppo piccola per poter ricordare questo dettaglio, adesso, ma il narratore può raccontarlo ugualmente.
Parlando poi dell'interesse amoroso della nostra Hope, un bel lavoro di caratterizzazione può essere svolto anche su di l*i. Se dovete dare a questo personaggio una passione per la letteratura solo perché possa tirar fuori nei momenti cruciali qualche frase ad effetto tratta dai soliti tre romanzi (Cime tempestose, Orgoglio e pregiudizio, Jane Eyre), non fatelo. Non é cosí che si esprimono le persone che amano leggere e in generale le persone che amano qualsiasi cosa. Se alla domanda "perché?" l'unica risposta che vi sovviene é "perché sí", non siete sulla strada giusta per la costruzione di un personaggio completo.
Lavorare sui rapporti
I personaggi devono intessere rapporti umani solidi e realistici, di qualsiasi natura, piacevole o spiacevole. La vita sociale fa parte degli impegni di un essere umano, anche se si tratta solo di messaggi, likes sotto ad un post, videochiamate. Gli amici sono membri essenziali; solitamente danno supporto, consiglio, incoraggiamento, ma possono rivelarsi anche serpi in seno, tradire, parlar male alle spalle. Quando si intraprende la seconda strada, di nuovo, ci deve essere una buona motivazione: il protagonista deve rimanere destabilizzato, deve mancargli una certezza, deve rivalutare le proprie relazioni, la fiducia in se stesso e nei rapporti, eccetera eccetera. Stessa cosa vale per le famiglie. Queste possono essere numerose o ridotte, fastidiose, impegnative, marce, un accollo, una sciagura, oppure una benedizione, un sostegno, un nucleo d'amore. Anche in questo caso si deve tener conto dell'effetto che si vuole ottenere sul protagonista ai fini della storia; genitori violenti comportano una serie di disfunzioni comportamentali, cosí come una famiglia amorevole e comprensiva conduce ad un approccio sereno alle relazioni. Anche in queste situazioni entrano in gioco i riscontri non totalmente negativi e non totalmente positivi: ad esempio, un personaggio che ha vissuto tra coccole e vizi può essere debole caratterialmente, abituato ad ottenere tutto e subito, ingenuo, e via discorrendo; cosí come chi ha subito gravi torti può essere spaventato e sfiduciato oppure desideroso di amare e dare ciò che non ha ricevuto. Infine, non dimentichiamo i conoscenti, che si compongono dei colleghi in un ambiente d'ufficio, del cassiere al supermercato sotto casa, del corpo studentesco (insegnanti, compagni di classe e di banco, direttori e direttrici, relatori, bibliotecari, bidell*). Di solito questi personaggi possono essere utilizzati per "comic relief", cioé per alleggerire l'atmosfera con la loro presenza, spesso buffa. Sono dei personaggi macchietta; il bidello che sbuffa mentre scopa e ti acchiappa per il colletto perché hai attaccato una gomma sotto al banco, il collega d'ufficio un po' sbadato che spedisce documentazioni in ritardo e ti versa addosso il caffé bollente. Oppure, possono rivelarsi assi nella manica e compiere azioni decisive: la commessa che tornando a casa vede il partner del protagonista con qualcun altro e decide di riferirlo al diretto interessato.
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Leggere è riconoscere se stessi, ho letto da qualche parte. Ma forse, più propriamente, leggere è riconoscere gli altri (e pertanto stupirsi dell’altro, imbarazzarsi dell’altro, essere fieri e vergognarsi dell’altro, non comprendere l’altro) ma negli altri incontrare, in qualche obliqua maniera imprevista, se stessi.
Può darsi che sia così, è probabile che sia anche così. In ogni caso la lettura deve senza dubbio avere qualcosa a che fare con gli incontri e con gli altri: e senza dubbio deve essere questa una delle ragioni per il cui il web e i giornali pullulano, in questi giorni di quarantena e isolamento, di consigli di lettura, di elenchi di libri da leggere (ne trovate uno interessante qui), di motivi per andare in libreria: tanto da farle pure aprire, le librerie, e anche questo, mi dico io, sarà sempre il sintomo della stessa forma di ansia, l’indizio sghembo di uno spavento che non sappiamo confessarci.
Ma contemporaneamente, ed è questa la confessione del mio post di oggi, succede che io, per esempio, abbia letto pochissimo in questi giorni di isolamento. Qualche romanzo iniziato e lasciato a metà, qualche saggio letto a pezzi, qualche tentativo di riprendere in mano un classico subito abbandonato… Ne ho trovato una possibile spiegazione (di questa fatica, che non so se è solo mia) in un bell’articolo di Enrico Prevedello (lo trovate qui), tra le cui righe ho potuto leggere così:
I romanzi ci permettono di esperire versioni di mondo alternative alla nostra, attraverso la possibilità di interazione dei personaggi nell’ambiente in cui sono immersi. Penso che la soddisfazione nella lettura derivi anche dalla comprensione della differenza tra la struttura di relazioni tra noi e il mondo in cui crediamo di vivere e la struttura di relazioni del mondo-versione di un romanzo. Il senso di una storia è il risultato di una significazione metaforica tra le relazioni interne alla narrazione (azioni che i personaggi fanno o non fanno in un dato ambiente) messa in confronto con le relazioni che noi, nel nostro ambiente, possiamo fare o non fare. Credo che la difficoltà di leggere romanzi e di scriverne sia dovuta alla mancanza di una delle due parti necessarie al funzionamento della comprensione, ovvero manca la versione consolidata ed evidente del mondo in cui siamo immersi, e questo perché noi comprendiamo la nostra realtà attraverso l’interazione con essa, e non ci siamo ancora adattati al pattern di interazioni di questa nuova realtà limitata che è lo stare a casa.
Ma la sua spiegazione, per quanto colta e acuta, non mi è bastata; e sono quindi finito a pensare agli incontri, alle letteratura come incontro, al riconoscere se stessi e agli incontri che non faccio più: perché sto a casa, perché la vita on line non mi piace abbastanza, perché la gente guarda dal balcone con sguardi incupiti, perché non c’è nessuno da incontrare, nessuno a cui stringere la mano, nessuno a cui offrire il caffè, perché paradossalmente non ho nemmeno nessuno da evitare quando esco di casa, il proverbiale scocciatore, la strada da cambiare per non vederlo e non doverlo salutare…
Non so quindi se leggere sia incontrare se stessi o un altro da sé o se stessi negli altri e tutte queste cose che ho pensato svegliandomi stamattina e che mi hanno fatto iniziare questo post così come l’ho iniziato; in realtà mi importa davvero poco saperlo, stamattina. Perché so molto bene, invece, che se non incontro gli altri (a scuola, per strada, al bar, davanti al mare, in libreria, sulle scale) non ho nemmeno più voglia di leggere. L’ho scoperto a causa di questo confinamento. Mi pare, se ci penso bene, una buona notizia.
[Lo scorfano trova sempre le parole adatte]
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Scopri il libro besteseller dell'anno in cui sei nato, questo l’articolo in cui sono incappata su internet: https://www.bookbub.com/blog/bestselling-books-the-year-you-were-born
E ho subito pensato sarebbe stato carino parlarne anche sul mio blog e magari ricavarne un video.
Nel video sopra scorro per la prima volta con voi la lista di libri bestseller (in America), stilata dagli autori dell’articolo, dal 1920 al 2016 e commento i romanzi citati e le mancanze riscontrate.
Io ho scoperto di essere nata l’anno in cui bestseller in America era il romanzo tratto dalla sceneggiatura di E.T, ma anche l’anno di pubblicazione di La valle dei cavalli, secondo libro del Ciclo dei figli della terra di Jean Marie Auel, che io amo molto e a cui dedicherò presto un post esaustivo.
E voi in che anno siete nati e quale era il libro bestseller di quell’anno?
Qui sotto i link ad alcuni dei libri e dei film che cito nel video, nel caso vi interessi saperne di più:
Cimarron, di Edna Ferber, autrice anche di Il gigante, Show Boat ,Saratoga è praticamente introvabile come libro, ma sempre della stessa autrice è invece di facile reperibilità So big. Una storia americana.
Trama: "La vita è tutta una grande avventura": così diceva Simeon Peake, di professione giocatore d'azzardo, a Selina, la figlia adolescente. Erano gli anni Ottanta dell'Ottocento a Chicago, dove i due vivevano in balìa dei capricci della fortuna, ma con brio. Quando Simeon muore, Selina si rimbocca le maniche e diventa maestra in una minuscola scuola di campagna. L'attende un mondo duro ma autentico, fatto di campi sconfinati che brillano come giada sotto il sole e di fattorie isolate abitate da robusti immigrati olandesi, contadini di poche parole e ancora meno fantasie. Qui, con la tempra dei grandi sognatori incapaci di disincanto, Selina vive la sua breve ma intensa storia d'amore. E plasma la "grande avventura" per se stessa e il figlio Dirk, mentre intorno a loro pulsa una nazione in tumultuosa crescita, spietata e generosa, percorsa dai fremiti del sogno americano e dell'imminente crisi mondiale.
Libro: https://amzn.to/3wlP8B6
Film Cimarron: https://amzn.to/31wnzGK
Via col vento, di Margaret Mitchell
Trama: Scarlett O'Hara, la viziata e volubile ereditiera della grande piantagione di Tara, la quale, contando sulle sue sole forze, dovrà cavarsela mentre l'esercito nordista avanza in Georgia.
Libro: https://amzn.to/2QJMZyA
Film: https://amzn.to/3w6pxMa
(Dalla biografia dell’autrice di questo romanzo è stato tratto un film intitolato: L'Amore travolgente di Margaret Mitchell, che è recuperabile su Yuou Tube)
Le chiavi del regno, di A. Joseph Cronin
Trama: Francis Chisholm è un prete "scomodo", un ribelle nel nome del Vangelo. Il suo cammino verso Dio è una selva di ostacoli, è come se Dio lo mettesse continuamente alla prova, seminandogli la strada di continue calamità e tentazioni. Guerre, cataclismi, pestilenze, violenze sono il prezzo che Francis Chisholm paga per le anime guadagnate alla fede e per la conquista delle "chiavi del regno".
Libro: https://amzn.to/3sHszEE
Film (che ha titolo diverso dal libro, Le chiavi del paradiso): https://amzn.to/3dr5vne
La tunica di Lloyd C. Douglas
Trama: Inviato dal Senato in Palestina a presiedere le truppe di frontiera, Marcello Gallio dovrà eseguire la condanna a morte di un pericoloso ribelle sovversivo che ha minacciato di distruggere il tempio di Gerusalemme. Dopo la crocifissione si aggiudica ai dadi la sua veste, un indumento "insanguinato" che trema di una luce misteriosa, che gli ispira un senso di malinconia e di pace e un desiderio indomabile di conoscere la storia del suo possessore. Travestito da mercante di stoffe, Marcello inizierà un lungo pellegrinaggio che lo porta sui luoghi frequentati da Gesù fino ad arrivare a Roma dove scopre il regime di terrore di Caligola e gli inizi della persecuzione dei cristiani.
Libro: https://amzn.to/2QSABfL
Film:https://amzn.to/3mc8MLb
Alla larga dal mare, di William Brinkley
Trama: Durante la seconda guerra mondiale, nella base navale di Tulura, un'isola dell'oceano Pacifico, c'è uno speciale ufficio dedicato alla pubblicità della marina militare americana. Gli uomini del reparto hanno il compito di fornire relazioni e notizie sulla guerra in corso nell'oceano per pubblicizzare lo sforzo bellico Americano e incrementare gli arruolamenti, e se la passano molto bene dal momento che sono lontani da ogni azione e su una splendida isola. Gli unici prolemi che hanno sono quasi solo di tipo sentimentale, infatti Il tenente Siegel si è innamorato di Melora Alba, un'indigena che non ha fiducia negli stranieri, mentre il soldato Garret si è innamorato del tenente del corpo ausiliare Alicia Tomlen, anche se una relazione tra un soldato e l'ufficiale è proibita. Siegel per aiutare l’amico finge di corteggiare Alicia, richiedendo Adam come loro autista durante le loro uscite in modo che i due innamorati possano passare del tempo assieme. A complicare ancora di più le cose però ci penseranno lo strano capo di Siegel, un tenente playboy e l'attrice Deborah Aldrich che vuole imbarcarsi su un incrociatore.... Non c’è mai pace per un pubblicitario a quanto sembra.
Film: https://amzn.to/3fxhPoF
Rossella, di Alexandra Ripley
Trama: Rossella è sempre stata una donna forte, con una fiducia sfrontata nel futuro. Ma ora che Rhett se n'è andato, sconvolto dalla morte della loro bambina, e che anche Mammy l'ha lasciata, consumata dalla malattia, neppure Tara, la sua amata terra, riesce a darle sollievo. È altrove che deve cercare la felicità. Ad Atlanta potrà riprendere in mano i suoi affari, ritrovare il conforto che le parole del caro Ashley sanno dare. E aspettare che Rhett torni da lei, ora che sa di volerlo più di ogni altra cosa. O forse il vento questa volta, la porterà lontano verso una nuova vita. Fino a quando una lieve brezza non giungerà ad annunciare che un altro giorno è davvero arrivato.
Libro: https://amzn.to/3cF36pK
Da qui all’eternità di James Jones
Trama: È il 1941 nella base di Schofield sull'isola hawaiana di Oahu, poco prima dell'attacco a Pearl Harbor. I protagonisti sono due soldati dalla testa dura: Robert Prewitt, un trombettiere di talento ed ex pugile, e Milton Warden, un sergente di ferro, cinico e beffardo ma dotato di un suo personale senso di giustizia. Al centro delle vicende dei due protagonisti e dei loro comprimari - il piccolo e indistruttibile Maggio, italoamericano di Brooklyn; il caporale Bloom e il suo dramma di essere ebreo; i due vitali ma malinconici omosessuali Hal e Tommy; l'intellettuale e filosofo sempre in carcere Jack Malloy - vi sono le relazioni di Warden e Prewitt, tra loro e con le loro donne: Karen, la moglie del capitano Holmes, fragile e alla disperata ricerca di essere amata; e Lorene, la prostituta determinata a diventare un giorno una donna e una moglie rispettabile.
Libro: https://amzn.to/39yi66W
Love story di Erich Segal
Lui è Oliver Barrett IV, figlio di una ricchissima famiglia della East Coast, giocatore di hockey, studente ad Harvard, già lanciato verso una brillante carriera in Legge. Lei è Jennifer Cavilleri, studentessa di musica dal look un po' hippie, figlia di un italo-americano che si guadagna da vivere in maniera semplice e onesta come pasticciere. Opposti in tutto ma, proprio come gli opposti, inevitabilmente attratti l'uno dall'altra. Appartengono a due mondi lontani, ma basta un incontro casuale per accendere tra loro una passione capace di superare barriere, sfidare convenzioni, stravolgere sogni e progetti. Lui, abituato a conquistare trofei e ragazze, è folgorato dall'ironia tagliente di Jenny e dalla sua capacità di leggergli dentro e capirlo nel profondo. Lei, solare e ostinata, affronta la vita con grinta e coraggio, anche quando la vita stessa mostra il suo volto più duro. Anche quando chiederà a entrambi la prova più difficile. Questa è la storia di due ragazzi che si sono amati a vent'anni. Di un amore intenso, struggente, indimenticabile.
Libro: https://amzn.to/3cHmJ0s
Film: https://amzn.to/3sOhuSb
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#Repost @leggerelibrisempre with @make_repost ・・・ Non solo noi è un romanzo new adult con doppio POV. 💌 Questo romanzo parla di attualità, amore, amicizia e affiatamento ma anche dolore e delusione. Se cercate un classico romanzo d'amore, dove ci sono timore e incertezza data dal primo incontro tra i protagonisti, in Non solo noi non lo troverete. Fin da subito si entra nella storia con prepotenza, irrompendo nella vita dei protagonisti, i quali già si conoscono. Protagonisti sono classici ventenni sboccati, acidi e senza pensieri al mondo se non conquistare più cuori possibili e ostentare la loro "figaggine". La storia non ruota solo intorno a Niccolò e a Rossana, la scrittrice infatti non incentra il romanzo sulla loro storia d'amore, quanto piuttosto sull'amicizia e il ricordo dell'adolescenza tra discoteche, canne e alcol. 💁♂️ Niccolò è tutto tranne che un vero gentiluomo. È caparbio, orgoglioso e menefreghista. Non vuole legami seri ma allo stesso tempo non accetta un rifiuto. Niccolò ha mille grilli per la testa, pensa al divertimento e alle ragazze. Prima c'è Sara, poi c'è Elena, poi Rossana. Poi ci sono Elena e Rossana insieme. 💁♀️Rossana è razionale e pacifista solo quando non si parla delle sue relazioni amorose. È combattuta tra il suo cuore, che le dice di stare con Niccolò perché lo ama, e la testa, che invece le dice di lasciar stare, che non ne vale la pena. La scrittrice usa parole secche, senza fronzoli. I dialoghi sono diretti, il linguaggio utilizzato non è ricercato anzi rimanda al linguaggio usato dai ragazzi d'oggi giorno. ⚠️ Di contro lo sviluppo della storia non rientra nelle mie corde e non mi fa impazzire ma è stato qualcosa di nuovo, di diverso rispetto ai soliti romanzi. Dall'altra parte è molto scorrevole, non pesante o ridondante. Il finale poi è del tutto inaspettato... È un finale che fa stare il lettore sospeso, in trepidazione e sulle spine con la voglia di sapere come andrà a finire. 💌 Consigliato per tutti coloro che hanno voglia di leggere una storia su ragazzi in cerca di loro stessi e della loro do https://www.instagram.com/p/CMH2Mxvnjo1/?igshid=1qp4669xpa4zr
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Raccolte di racconti ne abbiamo? 1° parte
Gennaio è iniziato e sembra durare da un’infinità, giorni e giorni e giorni, e le prossime “vacanze” sembrano ancora lontanissime. Il freddo pungente, l’incertezza di trovare pioggia o sole, la voglia di cioccolata calda accoccolati sotto il piumone non rendono facile l’imperativo categorico di essere attivi. Io per la prima volta dopo anni sto affrontando questo gennaio con molta grinta e pace e non lo avrei mai creduto possibile. I sorrisi che spargo in giro sono proporzionali al sonno che mi trascino dietro e alla mia voglia di letargo.
Ma negli ultimi mesi il tempo per leggere è sempre stato molto risicato e a volte ho preferito leggere volumi più brevi che mi dessero la sensazione di leggere come prima anche se di fatto il numero delle pagine macinate si è notevolmente ridotto. Ecco allora che in mio aiuto è venuta una serie di raccolte di racconti che ho accumulato nell’ultimo anno e che di fatti ho preso in mano solo recentemente, a parte uno dei miei amori grandi Bernard Quiriny (spero venga in Italia presto, L’Orma editore fallo venire al Salone del Libro, se viene svengo). E dal momento che stava diventando un post chilometrico ho deciso di dividerlo a metà. Nella prima parte troverete un breve commento a questi volumi:
Racconti di bestie sagge e animali impertinenti – Jean-Jacques Fdida edito da Ippocampo
Lingua nera – Rita Bullwinkel edito da Edizioni Black Coffee
Le novelle dei morti – Jennifer Radulović edito da Abeditore
Vite coniugali – Bernard Quiriny edito da L’Orma Editore
Enjoy!
Racconti di bestie sagge e animali impertinenti – Jean-Jacques Fdida
Storie del tempo in cui gli animali avevano la loro da dire, per farci ridere o per lasciarci a bocca aperta. Asino, leone, iena, capra, lumaca, volpe o farfalla… ognuno con il suo cruccio da bestia. Ma le loro avventure si prendono gioco della nostra visione del mondo con una crudezza, un’efficacia e una profondità che gli uomini faticano talvolta a esprimere.
Di questo volumetto dell’Ippocampo mi sono innamorata in una esplorazione fortuita allo stand dell’editore durante il Salone del Libro dello scorso anno. Si tratta di un insieme di racconti brevissimi che hanno per protagonisti animali, parlanti, saggi, inquietanti, ironici, saccenti, ingenui. È un bestiario illustrato che mostra leggente e fiabe, con immagini strepitose e oniriche che riesce a catturare anche il lettore più distratto. Le atmosfere sono quelle classiche, ma le interpretazioni si modificano di volta in volta per rivoluzionare le scene e le azioni. Il leone che da una lezione di umiltà, la iena che non si accontenta, ogni animale incarna difetti e predilezioni dell’uomo per scardinare le convenzioni. Gli animali antropomorfi d’altronde colpiscono sempre l’immaginario collettivo, basti pensare anche al live action de Il Re Leone. A volte riusciamo a capirci meglio, guardandoci attraverso una lente diversa.
Lingua nera – Rita Bullwinkel
Nei racconti strani e a tratti inquietanti di questa giovane scrittrice al suo esordio letterario i corpi si trasformano in oggetti e gli oggetti in corpi, dando vita a qualcosa di affascinante e inspiegabile, sempre in bilico tra reale e surreale. Un’impiegata sviluppa una profonda fascinazione per la musica d’arpa, una giovane venditrice di mobili trasforma in oggetto d’arredamento il colpevole di un reato indicibile, i prigionieri di un gulag superano in astuzia il loro malvagio carceriere. Scene di vita quotidiana si popolano di spettri, medium e chiese carnivore rievocando umanità e calore attraverso il grottesco. Tra bambine che si procurano terribili ferite e vedove oppresse dai fantasmi dei propri mariti, tutti i personaggi di Lingua nera sono alla ricerca di un modo per scendere a patti con il corpo che hanno e imparare a interagire con quello degli altri nello spazio, per non correre il rischio di precipitare negli abissi della mente. Le voci dialogano oltrepassando i confini dei singoli racconti, si interrogano sull’importanza del contatto fisico laddove il linguaggio non è sufficiente. L’attenzione di Bullwinkel per le potenzialità dell’interazione umana trasforma la raccolta in una lunga catena di storie d’amore (o del loro opposto).
Anche questo volume arriva direttamente dal Salone del Libro, e ha tutto il fascino di racconti esagerati e inquietanti, che non si lasciano indietro nessuna meraviglia. Ogni racconto è uno spaccato a tratti spietato a tratti definitivo, che lascia cadere i fantasmi che popolano la fantasia della Bullwinkel, che rievoca immagini spietate delle sue convinzioni. Ogni racconta ti lascia il dubbio sulla vera natura di ciò che stai leggendo, il confine tra ciò che è vero e ciò che è solo immaginato è difficile da trovare. È più facile buttare all’aria ogni convinzione. Uno dei racconti più impressionanti è proprio quello che dà il titolo alla raccolta, che descrive le vicende di questa donna che da ragazzina ha toccato una presa elettrica con la lingua, rendendola nera. La costruzione della storia, l’incalzare delle vicende, l’orrore che si nasconde tra la corsa verso l’ospedale e la vita dopo che si dipana senza drammi. La Bullwinkel investiga lo spazio che intercorre la nostra intimità e quella degli altri, i limiti da valicare per comprendersi al meglio, il contrapporsi continuo della nostra volontà e quella degli altri e le pulsioni che ci attraversano, inconcepibili, giganti, amare, imprescindibili. La sua scrittura potente rende questo volume un’esposizione affascinante e pericolosa da attraversare con gli occhi spalancati.
Le novelle dei morti – Jennifer Radulović
"I racconti di Jennifer Radulovic risentono - e non possono non risentirne - di una certa 'musica che gira intorno', e di un ritorno prepotente del gotico ottocentesco nel gusto del pubblico contemporaneo: pellicole come The Woman in Black di James Watkins (2012) o Crimson Peak di Guillermo Del Toro (2015), romanzi come Drood di Dan Simmons (2009) o La casa dei fantasmi di John Boyne (2013), o serie tv come Penny Dreadful (2014) sono tutti esperimenti di annullamento pressoché totale della distanza storica, che di certo esprime un desiderio generalizzato. Ma desiderio di cosa? Confesso - come altre volte nella mia vita - di non poterlo esprimere con parole migliori di quelle di Jack Finney: 'Non avete notato anche voi, praticamente in tutte le persone che conoscete, una ribellione montante contro il presente? E un desiderio crescente per il passato? Io sì. Mai prima di adesso, nella mia lunga vita, ho udito così tante persone desiderare di aver vissuto 'a inizio secolo' o 'quando la vita era più semplice' e 'ne valeva la pena', 'quando potevi mettere al mondo dei bambini e fare affidamento nel futuro' o, più semplicemente, 'ai bei vecchi tempi'. La gente non parlava così quando ero giovane! Era il presente il momento di gloria! Ma parlano così adesso'. L'Ottocento ci manca, c'è poco da fare. Certo, che la vita - allora - fosse più facile è quantomeno opinabile: ma non c'è dubbio che le storie di fantasmi lo fossero, e che fosse più facile spaventarsi (e divertirsi), leggendo di orrori che - di lì a pochi anni - la battaglia della Somme avrebbe mostrato essere fin troppo ingenui."
Quando ho letto “Le novelle dei morti” nel titolo ho capito che questo volume doveva entrare senza dubbio nella mia collezione. Il fascino del gotico di fattura ottocentesca, dalle vaghe atmosfere vittoriane che si respiravano nelle strade londinesi è sempre potente e mi irretisce anche quando è costruito a posteriori. Jennifer Radulovic infatti è una donna della nostra contemporaneità che si è cimentata nella sfida di ricostruire dei racconti insoliti, ricchi e inquietanti come possono solo esserlo quelli dell’orrore e quelli che hanno per protagonista la morte. Il gioco è semplice in effetti, e il paranormale la fa da padrona. Uno strano ottico che costruisce occhiali speciali, una fioraia che nasconde un segreto inconfessabile, la casa infestata da presenze che si riconoscono quando è oramai troppo tardi, in un vortice di angoscia e terrore che non sempre lascia il lieto fine. Si soffre, si tentenna, si conquista la propria paura investigando. Una raccolta mirabile per chi non ne ha mai abbastanza.
Vite coniugali – Bernard Quiriny
Vivere insieme è un mestiere difficile. Bisogna farci il callo, relegare in un cantuccio le proprie nevrosi e poi, di tanto in tanto, escogitare un diversivo. C’è chi prende di petto la questione e, fatte le valigie, parte alla volta di un arcipelago lontano per svernare con l’amato all’ombra dei banani e chi, come gli idiosincrasici sedentari di Parigi, si limita a peripli di pochi giorni nei dintorni della città. Altri si rifugiano nei libri e consacrano un’intera esistenza a un grande autore, salvo poi accorgersi che era un emerito imbecille. Ma, in fondo, poteva andare peggio: qualcuno, vittima di un fato bizzoso, si ritrova a sposare più e più volte la stessa donna, o a nascere nell’inaccessibile Pomenia, dove due popoli secessionisti, pur di non incontrarsi mai, si riducono a vivere a orari alterni nella capitale contesa. In queste Vite coniugali Bernard Quiriny affonda la penna nell’inchiostro dell’assurdo e traccia un esilarante bestiario borghese, nel quale le contraddizioni di una contemporaneità spesso inospitale si mescolano ai sempiterni paradossi dell’amore e della convivenza.
Bernard Quiriny è diventato rapidamente uno dei miei scrittori preferiti e sono molto contenta di averlo scoperto tra i volumi del catalogo de L’Orma editore, che guarda caso è una delle mie case editrici preferite. La sua potenza sta proprio nel creare ritratti che si discostano completamente dalla logica e che si incastrano in ambientazioni impossibili, città che sorgono dalla pagina e che si conficcano nella mente del lettore. Quiriny in questo volume si interroga sulle relazioni umane, non solo vita matrimoniale ma anche interazioni tra intere comunità, gruppi di persone con interessi comuni, con caratteristiche strane, abitudini impossibili, incertezze e dubbi. Il centro di ogni vicenda quindi diventa l’esistenza umana e la comunità solo un pretesto per interrogarsi più a fondo nelle paure dell’uomo, della solitudine, della sedentarietà dell’amore. Ogni racconto è uno spaccato di vita e di interazioni, di amore e di incertezza che supera ogni definizione e impone una riflessione sul nostro presente, senza mai dimenticare l’ironia che sempre caratterizza la penna di Quiriny.
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L'amica sfuggente – L’affascinante ritratto di Madeleine St John sull’amicizia e la vulnerabilità umana. Recensione di Alessandria today
Un romanzo che esplora le sfumature sottili dell’amicizia, della solitudine e delle connessioni umane sfuggenti.
Un romanzo che esplora le sfumature sottili dell’amicizia, della solitudine e delle connessioni umane sfuggenti. Recensione:“L’amica sfuggente” di Madeleine St John è un romanzo che affronta il tema dell’amicizia in tutte le sue complessità e fragilità. Ambientato nella vivace e luminosa Sydney degli anni ’90, il romanzo segue le vite di tre donne – Julia, Susan e Philippa – che si trovano a…
#amicizie complicate#autrici di narrativa#Connessioni umane#Dinamiche relazionali#Donne protagoniste#Garzanti narrativa#introspezione#introspezione personale#L&039;amica sfuggente#letteratura australiana#letteratura sulla vulnerabilità#libri sull&039;amicizia#libri sulla crescita emotiva#Madeleine St John#Madeleine St John autrice#Madeleine St John romanzi#narrativa australiana#narrativa contemporanea#narrativa emotiva#narrativa letteraria#Relazioni interpersonali#romanzi che fanno riflettere#romanzi femminili#romanzi su donne forti#romanzi su Sydney#romanzi sull&039;emotività#romanzi sulle relazioni#romanzo Garzanti#romanzo psicologico#romanzo su legami umani
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Morte di mezza estate e altri racconti, Yukio Mishima
Non è che non mi piacciono i racconti rispetto ai romanzi, ma penso che la maggior parte di essi siano insoddisfacenti. I maestri di questa forma d’arte (Kafka, Cechov eccetera) mostrano, tuttavia, che nella sua forma migliore il racconto è in grado di immortalare qualcosa della vera, spesso banale, profondità dell’esistenza umana come poche altre cose.
Nella lista dei “maestri di questa forma d’arte” voglio ora aggiungere Yukio Mishima. Sembra impossibile parlare di Mishima senza citare la sua strana vita privata e le sue peculiari convinzioni. Sulla base del titolo, “Morte di mezza estate”, su altre recensioni che ho letto nonché sulla biografia dell’autore, sono rimasta sorpresa dalla “normalità” di queste, esenti da perversioni e scandali. Sono, nel complesso, racconti domestici, che si concentrano sulle relazioni interpersonali come il matrimonio e i figli. Ci ricorda che per quanto alcuni aspetti della vita di un individuo siano strani, non tiene conto della persona nella sua interezza: Mishima sarà stato un fanatico, un fascista, un pazzo, ma aveva sicuramente un lato dolce e comprensivo, che comportava una profonda conoscenza della gente comune, altrimenti non sarebbe mai stato in grado di scrivere queste storie.
Detto questo, il racconto più famoso della raccolta, “Patriottismo”, è una delle cose più inquietanti che abbia mai letto. Presenta una coppia, un tenente dell’esercito e sua moglie, che commettono seppuku (suicidio), uno tramite l’harakiri (autosventramento) e l’altra pugnalandosi alla gola. Il marito muore per preservare l’onore. Non vuole attaccare un gruppo di ribelli poiché crede nella loro causa, quindi invece di obbedire agli ordini si uccide. Per me quest’azione è indubbiamente affascinante, questa dedizione assoluta, fatale nei confronti dei propri principi. Se mi guardo attorno, ho l’impressione che l’onore e l’integrità scarseggino, che oggi la maggior parte della gente tenga davvero soltanto a sé stessa e ai propri vantaggi e quindi anche se non auguro a nessuno una morte tanto raccapricciante, ammiro lo stesso il tenente Shinji Takeyama.
Per i lettori sensibili, è necessario sottolineare che Mishima non batte ciglio. Nella storia, la moglie viene chiamata ad assistere, a testimoniare all’evento e noi, come lettori, veniamo messi nella stessa condizione. Restiamo quindi con il tenente mentre si apre lentamente lo stomaco, mentre gli cadono le interiora, mentre esala il suo ultimo respiro. È una scena brillantemente scritta, ma resta comunque incredibilmente spiacevole. Sapendo ciò che sappiamo di Mishima (anche lui commise seppuku), sarebbe allettante vedere in “Patriottismo” (soprattutto considerando il titolo) una forma di propaganda, una specie di lettera d’amore al nazionalismo e al suicidio rituale. Indubbiamente descrive il seppuku in modo entusiasta. Ad esempio, secondo Mishima, Shinji “contemplava la morte con sopracciglia severe e con labbra serrate” e “mostrava quale fosse la bellezza virile nella sua forma più superba”.
Tuttavia, è interessante che in quanto parte della raccolta di “Morte di mezza estate”, “Patriottismo” mi è sembrata una storia più sul matrimonio e sull’intimità che sul suicidio. I due personaggi hanno un forte rapporto affettivo, provato non solo dall’accettazione della moglie nel seguire il marito nella morte (muore per suo marito, non per una causa o un principio), ma anche dal modo in cui lui la prega di essere testimone al suo decesso (il che è insolito). Inoltre, facendo ciò lui si fida del fatto che lei lo seguirà e che non cercherà di salvarlo una volta che l’atto è stato cominciato. In effetti, la decisione di morire provoca un’intimità e un amore ancora più forte tra di loro, che arrivano ad avere un rapporto sessuale prima del rituale. Dimenticando per un momento il seppuku, si può considerare la storia un’indagine sull’idea che la mortalità dia slancio alla vita; la morte imminente rafforza l’amore e la gratitudine all’interno della coppia.
“Reiko non aveva tenuto un diario, e le fu ora negato il piacere di rileggere il resoconto della felicità degli ultimi mesi e di affidare ogni pagina alle fiamme”.
Mentre “Patriottismo” è la storia più famigerata della raccolta (e l’ho apprezzata, per quanto possibile), non è probabilmente il migliore. Questo riconoscimento va al racconto che dà il nome alla raccolta, nonché il più lungo. “Morte di mezza estate” inizia in una spiaggia che “per i bagni non è ancora perduta” e dove la sabbia è “bianca e abbondante”. Sono presenti tre bambini con la loro zia, mentre la madre si riposa in hotel. All’inizio sembra tutto idilliaco, ma nell’aria c’è qualcosa di inquietante. Prima di tutto, la madre ha “un’aria fresca da ragazzina”, quasi suggerendo che non dovrebbe ancora avere figli, soprattutto perché non è con loro, li ha lasciati andare via con qualcun altro. Ancora più preoccupante è la frase “si era nel pieno dell’estate e i raggi del sole picchiavano rabbiosi”. Dove o a cosa o a chi è rivolto questo rancore?
Non avremo mai una risposta diretta a questa domanda, ma in breve tempo il significato del titolo diventa evidente. La zia e due dei tre bambini muoiono. Da questo punto in poi, “Morte di mezza estate” diventa un’indagine onesta e commovente sulla natura del dolore. Come era prevedibile, la madre incolpa sé stessa, soprattutto perché la zia non è in vita per assumersi la responsabilità: infatti, paragona informare suo marito (che non era in vacanza con il resto della famiglia) dell’incidente a dover presentarsi di fronte a un giudice. L’ho trovato del tutto credibile, che la persona sia davvero responsabile o meno (e in questo caso direi di no), non è strano sentirsi in colpa di qualcosa quando una tragedia avviene nelle vicinanze. Ci si sente in colpa di vivere, di evitare problemi o la morte. Mishima si sofferma anche sui sensi di colpa provati da coloro che sopravvivono a una tragedia quando si accorgono di star voltando pagina, come se una cosa del genere non dovesse essere possibile se si ha davvero amato la persona defunta. La madre si considera di nuovo una criminale e paragona l’andare avanti con la propria vita al farla franca con un crimine.
Ci sono quasi troppe introspezioni psicologiche; ogni paragrafo, quasi ogni frase contiene qualche costatazione commovente. Come quando il marito riceve la notizia e la paragona al licenziamento. O quando chiede un chiarimento, anche se sa che la notizia non cambierà la seconda volta. O quando la moglie ammette che il dolore dovrebbe essere accompagnato da privilegi speciali. O quando Mishima nota che la morte è una questione amministrativa, che comprende alcune risposte attese e molte cose da organizzare. O, infine, quando sottolinea la povertà delle emozioni umane, laddove la reazione è la stessa sia quando a morire è una persona sola o dieci. Potrei scrivere un intero paragrafo di ognuno di questi temi, ma non lo farò. Voglio solo dire che, come in “Patriottismo”, se “Morte di mezza estate” fosse stato in mani meno capaci e meno sensibili sarebbe stato un racconto eccessivamente melodrammatico. L’autore merita un elogio per aver spostato il cuore del racconto dai bambini morti alla coppia in lutto che sopravvive restando insieme.
Ci sono, ovviamente, altri racconti, ma non mi ci soffermerò. Voglio, tuttavia, indugiare brevemente sulla delicatezza di Mishima in quanto scrittore. A volte mi stanco delle eccessive esplicitazioni, quando i come e i perché e i cosa vengono rivangati in dettaglio. Mishima non lo fa. Al contrario, due racconti mi hanno fatto restare perplessa finché non ho chiuso il libro per pensarci un attimo, poiché ciò che era successo non era immediatamente chiaro, ma ambiguo. Mi piace dover lavorare un po’, impegnare la mia mente, interpretare i gesti e le reazioni. Ad esempio, in “La paura dei thermos”, Mishima non ti dice esplicitamente che la moglie è stata infedele, eppure è sottinteso nel modo in cui “l’altro” parla del figlio della coppia, con autorevolezza, come se lo conoscesse in un modo sbagliato. Penso l’autore l’abbia gestito brillantemente e lo stesso posso dirlo per “Tre milioni di yen”. L’unico racconto che non ha catturato la mia attenzione è stato Onnagata, il che forse la dice lunga sul resto delle storie.
Voto: 8/10
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DEFINIZIONE DI LETTORE FORTE
Le statistiche su quanto leggono gli italiani, immancabilmente, generano reazioni e commenti. I dati Istat assurgono alla narrazione di cui abbiamo bisogno per rafforzare la sensazione di posizionamento socioculturale dell’insieme lettori. Un gruppo che abbisogna di questa narrazione per criticarla – prima – e per mantenersi nella propria inesistente bolla – al netto della critica – generando un cortocircuito di senso da rivendicare, esattamente come una certa confidenza con le attività intellettuali di cui il medesimo gruppo si ritiene portatore sano.(non si capisce una mazza, ok, ma è anche autocritica). Un articolo su L’Espresso ripropone il tema. L’autore si chiede se la promozione della lettura stia andando nella direzione giusta. E ovviamente la risposta è no. Pare ci sia bisogno di un “Alberto Angela della lettura”, da veicolare in televisione. Di un “narratore credibile ed empatico”. Perché “è un problema di linguaggio”. Il problema, per come la vedo io, non è di linguaggio. È un problema di indottrinamento a cui, Deo gratias, la gente rifugge. Borges, uno a caso, diceva che la maniera più efficace di esprimere un concetto o di dire qualcosa è la maniera indiretta. E non ci vuole Borges per capirlo. Come non ci vuole Borges per capire che se le campagne di promozione della lettura, al contrario, vanno nella direzione opposta e sono sempre più dirette e bizzarre probabilmente c’è un motivo. Il motivo – e questi sono i miei due centesimi sull’argomento – è che a nessuno interessa realmente promuovere la lettura, Deo gratias numero due. È solo avanspettacolo, per restare in tema televisivo.(Lo spettacolo vero, in televisione, persegue altri proselitismi, altroché libri).Ma l’intera questione è fuori fuoco perché insistiamo col misurarcelo. (semicit.)Contiamo i libri, definiamo il concetto di “lettore forte” su base quantitativa, calcoliamo quanti lettori abbiamo guadagnato negli ultimi 12 mesi (speriamo nessuno) e quanti ne abbiamo persi (speriamo molti), ghettizziamo implicitamente con frasi come “il 9,1% delle famiglie non ha alcun libro in casa, il 64,4% ne ha al massimo 100” e puntiamo il dito contro quelli che non leggono, ciclicamente, appena sentiamo qualcuno dire Istat. (E siamo contenti di poterlo puntare, quel dito).Forse è tempo di introdurre il fattore “come”.Come leggiamo? Qual è la qualità della nostra lettura? Siamo in grado di mettere in relazione due o più libri? Siamo in grado di avere un pensiero critico e individuale conseguente alla lettura di un libro? Siamo in grado di non limitarci a ricevere passivamente un testo (oppure i 100 libri che abbiamo letto quest’anno) ma essere lettori attivi, guadagnarci il palcoscenico? Quanta cura mettiamo – quanta passione, attitudine, voglia mettiamo – nell’atto di leggere? Quanto ci piace – infine – leggere? (perché leggere dovrebbe essere prima di tutto una passione).Ché, SPOILER: nessuno ci obbliga. Ché, SPOILER: non leggere va benissimo.Se noialtri lettori insisteremo a perseguire la metrica quantitativa (e sociale) del “quanto” e non quella qualitativa (e individuale) del “come” continueremo a raccontarci le storielle a posteriori con i dati Istat. E invece: per leggere di più, per leggere meglio, per essere realmente lettori forti oppure fortissimi dovremmo, chissà, leggere meno e meglio. Leggere meno per leggere di più.Per questo motivo il mero dato: “quattro milioni di non lettori in più rispetto al 2010”, non significa che in Italia si legge meno. Non significa nulla. È solo una statistica in cerca di contesto. E non esclude il fatto che in Italia, paradossalmente, si legga di più. Per quanto ne sappiamo: potremmo avere raddoppiato o triplicato il numero dei lettori forti (forti per come li intendo io).Per quanto ne sappiamo (e per quanto ce ne frega) in Italia si legge sempre di più. E sempre meglio. LETTORE FORTE NEL 2019 Quando parliamo di Borges dobbiamo partire dal fatto che Borges non ha mai scritto romanzi. Borges è una superstar delle lettere, ovvero un autore di fama atemporale che non ha mai scritto romanzi. Perché è un discorso importante?Perché Borges capisce e rileva che i romanzi non hanno alcuna prelazione sulle narrazioni. Le narrazioni si trovano nelle formi orali (ma non è una novità, pensiamo a Socrate e Gesù), si trovano nei racconti, nei saggi (quella commistione tra fiction e non fiction oggigiorno ovunque), si trovano nel cinema (pensiamo agli scrittori che, per narrare, migrano verso il cinema e le sceneggiature: sono tantissimi da Fitzgerald a Fante, da Thompson a Piglia).Che cosa precorre Borges?Borges precorre l’odierna tendenza oltrelibro. Il superamento dell’oggetto libro nell’ambito delle narrazioni e l’evoluzione dell’attività di lettura. Nel XXI secolo le narrazioni hanno saturato la terra. Sentiamo parlare apertamente di storytelling da parte di aziende, marchi e persone. La pubblicità è invasa dalle storie. E la politica ricorre di continuo alle narrazioni (la politica inventa storie di continuo). Il moltiplicarsi dei medium ha moltiplicato le forme delle storie, le ha riprodotte, ramificate. Persino la scrittura è retrocessa, non è più indispensabile per raccontare. La velocità e la facilità di accesso alle masse ha trasformato lo scibile in una narrazione senza forma (prestabilita) e senza soluzione di continuità.E allora che senso ha continuare a difendere i libri, nella misura di un immaginario ed esclusivo diritto che i libri avrebbero ad abitare le storie, il sapere, le narrazioni? Oppure da una supposta cultura che dai libri procederebbe? Fa sorridere. Anzi, fa ridere. È un atteggiamento posizionale, classista, superato.La verità è che ormai possibile leggere senza leggere e che la questione, semmai, è come leggiamo. Dove con leggere non intendo necessariamente il decodificare un sistema di simboli convenzionali ma associare, socializzare e relazionare le narrazioni in cui ci imbattiamo.La nostra capacità di lettura dovrebbe evolversi, entrare in relazione con quanto fruiamo sottoforma di libri, serie televisive, videogiochi, social network, film, giornali. Smetterla di chiedersi quanto oppure cosa, cominciare a chiedersi come. Altroché lettore forte. Altroché libri.Essere in grado di leggere, essere in grado di riconoscere una storia, soprattutto oggi, è indispensabile per orientarsi.Borges ha dedicato la propria vita alle lettere e contestualmente ha cominciato a sdrammatizzarle, ridurle, oltrepassarle.Ma noi siamo ancora qui a misurarci il cazzo, autocit.PS.Le narrazioni migrano da sempre. E questi sono gli anni d’oro delle narrazioni. Un paradosso? Ma evidente. La velocità dei messaggi e la facilità con la quale raggiungono un pubblico ha moltiplicato il numero e i formati delle narrazioni. Sono, semmai, il medium libro e la scrittura a retrocedere pur continuando a godere di immotivata autorevolezza e prestigio sociale (in taluni ambienti e con un contrappasso pesantissimo in termini sociali: l’odierno biasimo nei confronti di tutto quanto sia vagamente intellettuale). Quindi sempre più libri e sempre meno lettori di libri. Ma, a quanto pare, una crescente fruizione di storie e di narrazioni. Il pubblico legge in maniera diversa perché le narrazioni sono esplose, hanno varcato i confini, inaugurato formati. L’ipotetico canone, che deriva comunque da una lettura arbitraria e personale, soprattutto se a proporlo sono gli scrittori che leggono a partire dalla propria produzione, deve tenere conto di questa evoluzione. La critica dovrebbe svilupparsi e relazionare narrazioni dal formato diverso, ibridarsi. Libri e pubblicità, videogiochi e politica, serie televisive e meme. Gli spazi per questo tipo di critica non sono diminuiti. Al contrario. Diminuiscono gli spazi per una critica arroccata, concentrata nella difesa di una supposta superiorità che dai libri deriverebbe. Una critica poco utile, posizionale, che non integra e non realizza in alcuna maniera l’opera. Mi sembrano, invece, anni fecondissimi per una critica che accompagni verso un “ritorno alle storie”. Tornare alle storie per orientarsi nel reale. Indagare le relazioni specifiche tra finzioni e realtà. Viviamo gli anni d’oro delle narrazioni e dei libri e manco lo sappiamo.
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Mi sembrano passati SECOLI dal mio ultimo “Let’s Talk About…” (QUI per leggerlo) essenzialmente perché credo che sia giusto dedicarlo solo alle autrici/ agli autori che davvero lo meritano e che svolgono un lavoro costante ed impeccabile. Dunque si, ho finalmente trovato qualcuno di meritevole per questa rubrica mezza abbandonata!
Oggi parliamo di Sarah J. Maas, un autrice americana che sta spopolando negli USA e, purtroppo, non molto conosciuta qui in Italia. Partiamo con la sua biografia prima di addentrarci nei meandri del suo lavoro!
BIOGRAFIA:
Sarah Janet Maas è nata il 5 Marzo 1986 (31 anni) a New York, dove si è diplomata all’Hamilton College e si è laureata al Magna Cum Laude nel 2008 in scrittura creativa e studi religiosi. Attualmente vive in Pennsylvania, con il marito. Inizia a scrivere alla giovane età di 12 anni ma è solo quattro anni dopo che riceve l’opportunità di diventare una scrittrice a tutti gli effetti. Inizia a scrivere il suo romanzo di debutto “Il Trono di Ghiaccio” sul sito FictionPress.com dove poi viene adocchiata dagli editori della Bloomsbury, la sua attuale casa editrice.
Tra i suoi libri ricordiamo anche la saga in via di scrittura “A Court Of Thorns And Roses” ancora inedita in Italia.
Vi chiederete cosa abbia fatto questa scrittrice per attirare la mia attenzione… Ebbene se avete letto “Throne of Glass” o ACOTAR, beh, sapete di cosa sto parlando. Lo stile di scrittura di quest’autrice è sensazionale e la sua passione per le fiabe folkloristiche lo è ancora di più.
Ho deciso di dividere questo post in due sezioni: una dedicata ad alcuni fatti su Sarah e sulle sue passioni e nella seconda sezione vi saranno alcune domande estrapolate da varie interviste trovate sul web che credo siano molto interessanti. Iniziamo!
12 FACTS ABOUT SARAH J. MAAS:
Personaggio immaginario preferito: Buffy di “Buffy l’Ammazza Vampiri”
Colore preferito: Rosso/Grigio
Crede fortemente nei fantasmi
Spirito animale: Velociraptor
Fiore preferito: Peonia/Lillà
Snack preferito: Kit Kat
Preferisce bere il thè a casa in traquillità e gustare un buon caffè in viaggio
Se non fosse diventata una scrittrice sarebbe un DJ o una fioraia
Preferisce la frutta alla verdura
Casa di Harry Potter: Grifondoro con un tocco di Serpeverde!
Stagione preferita: Autunno, infatti Halloween e il Ringraziamento sono le sue festività preferite
Come combatte il blocco dello scrittore: facendo una passeggiata o guardando un film
Q&A:
Q:Generalmente i personaggi dei YA/Fantasy non hanno delle esperienze sessuali antecedenti al romanzo, dunque come mai Feyre (protagonista di ACOTAR) non è vergine?
A:Con Feyre sentivo semplicemente che non era una parte del personaggio. Volevo che avesse un passato, sessualmente parlando, senza che fosse qualcosa di cui vergognarsi.
Scrivere scene sexy sono una parte divertente del mio lavoro, quando incorporai questo elemento per la prima volta in ACOTAR ebbi bisogno di un bel bicchiere di vino accanto a me perché l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era “O mio Dio la mia famiglia leggerà questo libro e non saremo più capaci di cenare insieme il giorno del Ringraziamento”. Per fortuna non ne parliamo e a me sta bene così.
Q:Se avessi una sola notte a disposizione con uno dei personaggi di ACOTAR chi sceglieresti? E perché?
A:Uhm… decisamente Rhysand. E per quanto riguarda il perché… Sono una donna sposata, ma sai… È Rhysand.
Q:Un vizio che non hai intenzione di perdere?
A:Guardo un infinità di televisione e non mi scuserò mai per questo. (Penso che dovrei aggiungere Netflix come mia religione)
Q:Vero amore- Dato di fatto o qualcosa di immaginario?
A:Dato di fatto. Anche se credo che l’amore richieda lavoro e fiducia prima di tutto. Ma credo anche che ci siano diversi tipi di vero amore. L’amore tra due amici può essere tanto forte quanto un amore di tipo romantico.
Q:Quando cerchi online fan art o blog su ACOTAR i fan parlano soprattutto di quanto Rhys sia seducente ma sono anche attratti dal modo in cui lui cerchi di essere rispettoso nei confronti di Feyre, dal fatto che la tratti come un suo pari. Credi che sia qualcosa che le ragazze oggigiorno riescano ad apprezzare e capire di più?
A:Assolutamente. Penso che le cose stiano cambiando per quanto riguarda ciò che i lettori o i fandom si aspettano dalle storie d’amore. Rhys ha una storia particolare che gli permette di capire come Feyre possa sentirsi. Non è che abbia pianificato di renderli dei personaggi femministi, ma pensando a loro questo è ciò che sono e questi sono i personaggi che mi interessano. A volte ripenso a libri, film o programmi televisivi con cui sono cresciuta e che parlavano di un tipo diverso di amore da quello che cerco io. Sono più interessata nell'esplorare relazioni tra persone poste allo stesso livello. Personalmente ritengo che gli uomini che trattano le donne come esseri umano siano molto attraenti.
Q: Questo libro (ACOTAR) parte da un retelling di diverse fiabe tra cui “La Bella e La Bestia”, “East of the Sun, West of the Moon” e “Tam Lin”. Qual’è stato il tuo percorso per unire queste storie così diverse?
A:“East of the Sun, West of the Moon” ha avuto in un certo senso un impatto maggiore sulla storia rispetto a “La Bella e La Bestia” e “Tam Lin”. Ciò che mi ha legato a queste fiabe è stato il fatto che valorizzano la forza femminile ed è anche ciò che mi ha aiutato a modellare ACOTAR. Le protagoniste sono tutte eroine che perseverano, che inseguono ciò che vogliono e che affrontano infinite sfide e pericoli per salvare le persone che amano.
Q: Quali, secondo te, sono le opinioni negative più popolari sui YA?
A: Ce ne sono tantissime. Generalmente sento molti adulti dire “Non dovrei leggere YA…” mentre io penso che gli YA siano per tutti. Molti pensano che non sono scritti bene o che non hanno senso o che non sono “seri”. I libri che che ho letto durante la mia adolescenza mi hanno cambiato la vita e alcuni di questi libri mi hanno aiutato a superare dei momenti difficili, quindi non riesco a capire perché la gente si accanisca su questo genere quando in realtà il fatto che oggigiorno ci sia qualcuno che prende in mano un libro è un miracolo di per sé. Sono una grande lettrice di romanzi rosa e la gente sparla di questo genere tutto il tempo, quando invece queste autrici parlano di storie a lieto fine e di come prendere in mano la propria vita. Il settore dei romanzi rosa è ampio per una ragione.
Potete seguire Sarah J. Maas su: Instagram | Twitter | Facebook | Goodreads o sul suo sito
Ecco qua! Cosa be pensate di questa giovane autrice? Fatemelo sapere scrivendomi in privato e se vi è piaciuto il post lasciate un like o rebloggate. Grazie mille a tutti coloro che sono arrivati fino alla fine del post! Un bacio😘.
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Il guardaroba di Gabriele D'Annunzio
Conformismo e trasgressione
Annamaria Andreoli
una mostra di Pitti Uomo Italia Museo Andito degli Angiolini, Palazzo Pitti Firenze Luglio - settembre 1988 a cura di Gherardo Frassa
La Nuova Italia,Firenze 1988, 159 pagine
euro 1200,00
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“L’ anima inquieta di Gabriele D’ Annunzio può avere finalmente pace. Uno dei suoi ultimi desideri si avvera: gli abiti che ha lasciato in eredità agli italiani perchè ne stupissero e godessero sono usciti dagli armadi del Vittoriale, si sono scossi la polvere di dosso e hanno preso bellamente posto nella sale dell’ Andito degli Angiolini a Palazzo Pitti per la mostra Il guardaroba di Gabriele D’ Annunzio. Conformismo e trasgressione. Questa sera ci sarà festa grande per l’ inaugurazione riservata al popolo della moda mentre nei giardini di Boboli si proietterà Cabiria e si pranzerà su tovaglie che riproducono scritte autografe del poeta. Purché non piova, dice Luigi Settembrini che ha ideato la mostra per Pitti Uomo Italia. Scruta il cielo e ride: Era alto 1.62, D’ Annunzio, come me. Solo un po’ più stretto di spalle e più largo di sedere; un po’ più lungo di braccia, anche. Sai, quando Artale faceva le fotografie per il catalogo, la tentazione è stata irresistibile. La cosa che mi sta meglio è una divisa da ussaro della morte. Adesso te la faccio vedere. Entriamo nelle sale dell’ esposizione, dribbliamo una diplomata della Domus Academy che, inginocchiata a terra, estrae da uno scatolone dozzine di calze di seta con baguette traforate; salutiamo la signora che stira la cinquantesima camicia da notte di seta écru con collo tondo piatto, passiamo lungo una sfilata di stivaletti di vitello e scamosciati: bianchi, marroni, neri, di colori, con ghette di feltro, di capretto… di tanto in tanto Settembrini richiama la mia attenzione su un oggetto: la mantella inglese di gomma nera portata alla beffa di Bucari, i mocassini con un fallo disegnato sulla tomaia, lo spolverino di lino indossato in tante occasioni aviatorie, una camicia da notte che ha un buco sagomato all’ altezza dell’ inguine. Finché soprendiamo Gherardo Frassa, il realizzatore della mostra, che sta annodando una cravatta nera al manichino con faccia del poeta modellata da Mathias Mucchi. Frassa è spettinato, porta un fazzoletto rosso al collo e fa un bel contrasto con il vate azzimato cui dà gli ultimi tocchi. Lo riconosci? chiede è il completo che D’ Annunzio indossa nel ritratto che gli ha fatto Romainh Brooks nel ‘ 12. Se non sai chi era la Brooks fattelo spiegare dall’ Andreoli. Io ho da fare. Dobbiamo agganciare il Vate per le caviglie e il collo altrimenti cade. La pelliccia d’ orso Anna Maria Andreoli, ordinario di letteratura italiana all’ università di Roma, sta osservando la pelliccia di orso con collo di volpe. Romainh Brooks? Era una pittrice americana, una lesbica internazionale. Ha avuto una relazione importante con D’ Annunzio. Gliel’ ha presentata Robert de Montesquiou a Parigi, quando ci è arrivato per fuggire i creditori. Ma forse è meglio se ci sediamo. Negli assolati giardini di Boboli, la curatrice della mostra dà fondo alle cose che gli studiosi di D’ Annunzio sanno ma non scrivono mai. Cose scandalose, naturalmente. De Montesquiou era il dandy omosessuale che è stato preso a modello da Proust, Huysman, Oscar Wilde per i loro personaggi più famosi. Ha amato follemente D’ Annunzio che, sadico, lo attizzava. Per averne la complicità quello gli presentava donne pericolose come la danzatrice Ida Rubinstein, o Roaminh Brooks. D’ Annunzio aveva 47 anni. Prima di lasciare l’ Italia aveva scritto cose molto toccanti sull’ invecchiamento ma a Parigi, con quelle relazioni, supera la crisi di mezza età e non se ne lascia più riprendere. D’ altra parte gli erano sempre piaciuti gli amori con due donne. Anche la Duse era lesbica; questa è la verità, se vuole lo può scrivere. E’ sicuro anche che ha consumato, almeno una volta, con de Montesquiou. La professoressa Andreoli si accende una sigaretta. Se, 50 anni dopo la sua morte, si è deciso che è lecito frugare nel guardaroba del poeta e studiare di quale seta sono fatte le sue belle mutande, ce ne sono di cose da raccontare! La vera, torbida storia del suo primo matrimonio con Maria Harduin di Gallese, per esempio. In quella casa D’ Annunzio era entrato a 18 anni come compagno di studi del duchino che era un po’ svogliato. E subito divenne amante di mamma e figlia. La madre, Natalia, aveva 37 anni ed incoraggiò poi il matrimonio dell’ amante con la figlia Maria che peraltro ebbe presto una relazione con il principe Sciarra. Sono di Sciarra i tre figli di D’ Annunzio; forse Gabriellino no, ma insomma … altrimenti come si spiega l’ assunzione di D’ Annunzio alla Tribuna, che era il giornale di Sciarra? E perché si sarebbe licenziato D’ Annunzio nell’ 88, quando era pieno di debiti? Descrivere il Piacere? Figuriamoci! Lì c’ è una torbida storia: contemporaneamente al licenziamento di D’ Annunzio, sua moglie si getta dal terzo piano. Andreoli schiaccia il mozzicone col tacco. Scrivere una biografia? No è troppo difficile, ci sono ancora tanti misteri. C’ è un figlio in più che non si sa da dove venga. Per questo sono stata sorpresa, davanti al suo guardaroba: mi aspettavo stravaganze, deviazioni, che usasse combinare, trasgredire. E invece dai suoi armadi esce una gran tendenza al perbenismo: stoffe inglesi, cappelli di rito. D’ Annunzio vestiva come richiedeva la società mondana del suo tempo. Avevano ragione gli intellettuali francesi, quando dicevano che recitava sé stesso, che si comportava come un impresario in cerca di committenti. Trasgrediva solo nei piccoli particolari o nell’ eccesso. Tra moda e letteratura Annamaria Andreoli è incerta se proseguire, se mescolare fino in fondo letteratura e moda. Poi si decide: Aveva migliaia di mutande identiche, migliaia di cravatte tutte uguali. Era un maniaco, un collezionista. Si comportava con gli abiti come con le parole. Era una macchina che produce a cottimo, riusciva a scrivere anche tremila versi al mese. Riusciva a farlo perché aveva trovato un sistema. Ricorda la pioggia nel pineto piove sulle tamerici, sui mirti, sulle ginestre, sulle nostre mani, le nostre fronti, i nostri volti? Poteva andare avanti all’ infinito, con i suoi elenchi di parole, come con l’ acquisto di fazzoletti. Era bravo, era furbo: sapeva sfruttare i vocabolari. Se lei prende il Vocabolario marino e militare dell’ abate Guglielmotti alla voce Onda ci trova la poesia L’ onda di Gabriele D’ Annunzio. Gli occhi di Andreoli brillano; sta per dirci qualcos’ altro di sorprendente: Ho trovato un altro legame, tra lo stile di D’ Annunzio ed il suo gusto nel vestire. Riguarda i romanzi. Lui le donne non le descrive come il Fogazzaro, per cui una signora al massimo ha un abito scuro di lana. No! Lui aveva fatto il cronista mondano, aveva una conoscenza tecnica della moda, parla di tarlantane, di raglan, di panno carmelite, impazzisce per i primi velluti, per i primi paletot che vengono da Parigi! Le donne che si erano vestite in modo che lui potesse descriverle sulla Tribuna furono le prime appassionate lettrici dei suoi romanzi.”
Silvia Giacomoni La Repubblica 9 luglio 1988
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SE SOLO FOSSI TU - DILETTA MARCHEGGIANI, RECENSIONE
Genere:Titolo: SE SOLO FOSSI TU Autore: DILETTA MARCHEGGIANI Casa editrice o Self Publishing: MORE STORIES Data pubblicazione: 14 GIUGNO 2021 Serie/saga: NO Genere: romance Vuoi ricevere in anteprima le nostre uscite ?
Recensione
SE SOLO FOSSI TU - DILETTA MARCHEGGIANI Buongiorno amiche Readers! Oggi vi parlerò di un libro uscito a metà giugno 2021 Se solo fossi tu di Diletta Marcheggiani. A quante di noi è capitato di innamorarsi un pò di uno dei personaggi dei nostri libri preferiti. In quante abbiamo sospirato sperando di incontrare qualcuno che corrispondesse ai canoni stabiliti nei romanzi. Ancora peggio se noi siamo le scrittrici, se modelliamo i personaggi come noi li vorremmo. A questo punto idealizzare e rendere impossibile il confronto con la vita reale è un attimo. Ed è questo che accade a Vivienne Olivier. Dopo aver scritto una serie intera su Catherine e Steven ed essere arrivata all'ultimo capitolo, ormai idealizza l'uomo perfetto con il suo personaggio Steven. Ma la vita reale non è proprio come nei suoi romanzi, soprattutto la sua vita amorosa... Perchè Vivienne Olivier, scrittrice di fama internazionale, con bestseller tradotti in più di venti lingue, ha bisogno dello psicologo? Il fatto che nei miei sogni più sconci vado a letto con il protagonista dei miei libri potrebbe essere una ragione, rifletto. Messa su questo piano la cosa appare più malsana, tanto che quasi mi vergogno e penso se davvero dovrei raccontarla al dottore. Vivienne Olivier famosa e affermata scrittrice, si trova a gestire una relazione in cui non è soddisfatta, con un uomo che la trascura e tratta male ma non riesce e non vuole lasciare. Si rifugia così nella fantasia, almeno finchè Paul non se ne va e lei crolla e sembra che il suo mondo cada a pezzi.Nemmeno i cari amici di sempre Marc e Cassandra riescono a risollevarla. Almeno fino a quando un incontro fortuito sulle scale della metropolitana la risveglia dal torpore... l'uomo misterioso sembra l'incarnazione di Steven! Ma è un uomo un carne ed ossa, non frutto della sua immaginazione! Non so cosa pensare del fatto che non si chiami Steven Atwell e che abbia un nome francese tanto quanto il mio. Se da un lato ne sono delusa, dall'altro penso che un nome diverso significhi che è reale e io non sono diventata pazza! Inizia così una travolgente storia d'amore, quasi da favola, raccontata tutta dal punto di vista di Vivienne. Le premesse sono ottime ma, devo ammettere, non mi ha convinta del tutto. I personaggi sono ben caratterizzati, con gli atteggiamenti, pregi e difetti che rispecchiano i ruoli a loro assegnati. La scrittura è fluida e coinvolgente e la trama è stata anche sviluppata bene.Però non mi ha catturata pienamente. Manca qualcosa nel rapporto tra Vivienne e Anatole, si capisce quasi subito come evolverà la loro relazione. Non sono riuscita a comprendere a pieno cosa abbia spinto Vivienne a innamorarsi così perdutamente di lui, a parte assomigliare molto alle fantasie su Steven.Lo stesso anche nel rapporto tra Vivienne-Marc e Vivienne-Cassandra. Vengono sviluppate alcune vicende che influenzeranno le loro relazioni in modo un pò frettoloso.Posso capire i suoi discorsi sul voler fare le cose con calma e serietà, e rispetto i suoi modi da galantuomo di altri tempi. Sono le ragioni per le quali adoro Steven, per la sua venerazione al limite del platonico nei confronti di Catherine, e non posso che apprezzare lo stesso in Anatole. Però, davvero, un bacio sulla fronte come suore e vecchietti? Non tutto è oro quello che luccica quindi e non sempre ciò che vogliamo è ciò di cui abbiamo realmente bisogno. Vivienne scoprirà quindi che forse l'amore romantico dei libri viene idealizzato troppo e molto spesso trascuriamo ciò che abbiamo sotto gli occhi, che siano amicizie o un probabile amore. Vedremo quindi Vivienne prendere poco alla volta consapevolezza di sè e crescere e maturare quanto basta per prendere la via verso la felicità, si spera. Nonostante qualche perplessità, rimane comunque una bella lettura, scorrevole e ben strutturata. Se volete sognare per qualche ora quindi questa è sicuramente una lettura adatta. Buona letturaSimona SCOPRI IL NOSTRO TEAM Vuoi ricevere in anteprima le nostre uscite ?
Trama
SE SOLO FOSSI TU - DILETTA MARCHEGGIANI Quando sei una scrittrice di successo, capita di innamorarsi del protagonista dei propri romanzi, ma non è cosa di tutti i giorni incontrarlo scivolando per le scale della metro parigina.Invece è proprio quello che succede a Vivienne Olivier, regina del romance francese, convinta che quell’affascinante uomo dai capelli rossi che l’ha aiutata a rialzarsi sia Steven Atwell, uno dei protagonisti della serie che l’ha resa celebre. Ovviamente nessuno le crede, eppure lui esiste, si chiama Anatole Chevalier, è il professore di storia che tutti vorrebbero e sembra essere fatto apposta per Vivienne. Quando però la stesura dell’ultimo capitolo della saga si fa sempre più difficile e i guai si moltiplicano, tra le pagine e anche nella vita, Vivienne inizia a capire che forse l’uomo ideale non esiste… o magari sì, solo che l’ha sempre avuto sotto gli occhi e non tra i libri. SE SOLO FOSSI TU - DILETTA MARCHEGGIANI Buona lettura, simona. Se ti è piaciuta questa recensione ti consiglio di acquistare questo libro direttamente su Amazon Cliccando quiRingraziamo di cuore a tutti quelli che continueranno a sostenerci seguendoci e per chi farà una piccola donazione! Grazie di cuore! Autrice consigliata : monique vane SERVIZI ONLINE PER IL TUO LIBRO Read the full article
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[Books] Dirk Gently, agenzia investigativa olistica di Douglas Adams
Titolo originale: Dirk Gently's Holistic Detective Agency
Autore: Douglas Adams
Prima edizione: 1987
Edizione italiana:
- 1989 Douglas Adams, Dirk Gently. Agenzia di investigazione olistica, traduzione di Anna Mariani, collana Mistral n° 4, Rizzoli
- 1996 Douglas Adams, L'investigatore olistico Dirk Gently, traduzione di Andrea Buzzi, collana I Canguri, Giangiacomo Feltrinelli Editore.
- 2012 Douglas Adams, Dirk Gently, agenzia di investigazione olistica, traduzione di Andrea Buzzi, vol. 704, Piccola biblioteca Oscar, Mondadori.
DIRK GENTLY AGENZIA INVESTIGATIVA OLISTICA
Risolviamo il caso per intero
Troviamo la persona per intera
Telefonate oggi stesso per l’intera soluzione del vostro problema
(Specialista in gatti scomparsi e divorzi difficili)
33a Peckender St. Londra N1 01-354 9112
Dirk Gently, agenzia investigativa olistica è il primo dei romanzi di Douglas Adams (celebre autore di Guida galattica per gli autostoppisti) dedicati alla figura del peculiare detective "olistico", Dirk Gently.
« (...) Il termine “olistica” si riferisce alla mia convinzione che il punto importante sia la sostanziale interconnessione di tutte le cose. Io non perdo tempo con bazzecole quali la polvere per le impronte digitali, indizi rivelatori prelevati dalle tasche o sciocche orme di scarpe. Ritengo che la soluzione di ogni problema vada ricercata nel disegno e nello schema globale. Il rapporto fra cause ed effetti, signora Rawlinson, spesso è più sottile e complesso di quanto noi, a una prima e sommaria visione del mondo fisico, saremmo naturalmente portati a supporre. «Lasci che le faccia un esempio. Se lei va da un agopunturista con il mal di denti, quello le infila un ago nella coscia. Sa perché, signora Rawlinson? No, nemmeno io, signora Rawlinson. Arrivederci.»
Una serie di eventi, apparentemente scollegati l'uno dall'altro, finiscono per implicare Richard MacDuff, giovane programmatore ed ex studente di Cambridge, dove ha avuto la fortuna (o sfortuna, a seconda dei punti di vista) di conoscere Svlad Cjelli, alias Dirk Gently, enigmatico individuo dotato di poco chiari poteri paranormali (o privo degli stessi, a seconda dei punti di vista). Le strade dei due si reincrociano dopo anni, subito dopo l'assassinio di Gordon Way, datore di lavoro di Richard, nonché fratello della sua ragazza, Susan.
Gordon Way era morto, ma non aveva la benché minima idea di cosa fare in proposito. Era una situazione che non gli era mai capitata prima d’allora.
Dirk convince Richard di essere il principale sospettato per l'omicidio, e lo coinvolge nelle sue indagini, che in realtà non riguardano minimamente l'assassinio, ma sono incentrate principalmente su una saliera, protagonista di un apparentemente innocuo gioco di prestigio, e su un possibile caso di possessione. Collateralmente, vengono chiamati in causa anche un Monaco elettrico (e il suo cavallo), il fu Gordon Way, un divano incastrato sulle scale, messaggi sulla segreteria telefonica, la British Telecom, il dodo, uno smemorato professore di Cambridge dall'età indefinita, e Samuel L. Coleridge. Ma ad emergere è soprattutto Dirk Gently con il suo personalissimo metodo investigativo, la sua parlantina, la sua faccia tosta e le sue teorie.
«La mia teoria è che il suo gatto non si sia perso, ma che la sua forma d’onda abbia avuto un crollo temporaneo e debba essere ricostruita. Schrödinger. Planck. E via dicendo.»
Dirk non lesina certo di dire la sua sulle questioni più disparate, e neppure il paradosso del gatto del già citato Schrödinger si salva:
«(...) alcuni ricercatori stavano conducendo proprio questo esperimento, ma quando aprirono la scatola, il gatto non era né morto né vivo, ma in effetti scomparso, per cui mi chiamarono per indagare. Riuscii a dedurre che non era successo niente di drammatico. Semplicemente il gatto, stufo di farsi rinchiudere in continuazione nella scatola e di tanto in tanto di essere gassato, alla prima occasione aveva infilato la finestra. Per me fu questione di un minuto mettere una ciotola di latte vicino alla finestra e chiamare “Bernice” con voce invitante... “Bernice” era il nome del gatto, sai...» «Scusa, aspetta un attimo...» «... così il gatto tornò al suo posto. Una faccenda abbastanza semplice, ma a quanto pare produsse una certa impressione in alcuni ambienti e poi, come succede, una cosa tira l’altra e tutto è culminato nella brillante carriera che puoi vedere con i tuoi occhi.»
Siamo nel territorio della fantascienza umoristica, genere in cui Adams non ha certo rivali.
Decisamente, stava cercando qualcosa. Decisamente, non sapeva cosa.
Ma, a modo suo, siamo anche di fronte ad un "giallo" e c'è quindi un enigma da risolvere:
«Ho trasformato il problema da un enigma di somma difficoltà e forse assolutamente irrisolvibile in un semplice rompicapo linguistico. Anche se» mormorò, dopo un lungo momento di silenziosa riflessione «di somma difficoltà e forse assolutamente irrisolvibile.»
e Dirk effettivamente lo risolve, sebbene il suo contributo principale sia... chiedere la soluzione ad un bambino di 7 anni, fermato casualmente per strada. Poteva poi mancare un riferimento al più celebre dei detective? Ovviamente è d'obbligo:
Sherlock Holmes una volta ha detto che, eliminato l’impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, deve essere la risposta. A me, però, non piace eliminare l’impossibile.
Sebbene sia un continuo accavallarsi, in maniera apparentemente casuale, di situazioni a tratti paradossali (a cui, però, i personaggi reagiscono con il tipico aplomb inglese), alla fine tutto trova il suo perché, e il suo posto, come le tessere di un puzzle. E in questo turbinio, ci scappa anche la salvezza del genere umano dall'estinzione:
“Per: salvataggio della razza umana dalla totale estinzione... nessun compenso”.
Un romanzo indubbiamente piacevole, molto scorrevole, e meno ingarbugliato di quanto ci si possa aspettare, per chi non si sente in dovere di
eliminare l'impossibile.
Dirk Gently torna in azione anche in La lunga oscura pausa caffè dell'anima (The Long Dark Tea-Time of the Soul, 1988) e nell'ultimo romanzo postumo di Adams, Il salmone del dubbio, che avrebbe potuto essere parte non solo del ciclo di Dirk Gently, ma anche della Guida. Adams ha potuto completare solo 10 capitoli, e il resto di quanto pubblicato deriva da appunti, interviste e quant'altro utile a ricostruire quale fosse il progetto dell'autore.
Extra
Dirk Gently è recentemente tornato all'attenzione del grande pubblico grazie alla serie targata BBC America
Dirk Gently's Holistic Detective Agency
, che segue di qualche anno la precedente miniserie in quattro puntate di BBC Four. In entrambi i casi, però, non c'è un adattamento dei romanzi di Adams (ritenuti "inadattabili"), è quel che si cerca di mantenere è soprattutto lo spirito dei libri. Soffermandoci sulla serie televisiva più recente (di cui è stata annunciata recentemente una seconda stagione), i punti di contatto con l'originale stanno soprattutto nel saper gestire una carrellata di eventi, inizialmente scollegati, e poi ricostruiti in un unico disegno più ampio. Il Dirk Gently di Samuel Barnett è sufficientemente stralunato, ma si accattiva le simpatie più facilmente della sua saccente ed un po' scostante controparte letteraria: alla fin fine, non è altro che un aspirante Sherlock Holmes alla ricerca del suo Watson...
Ci si sofferma molto di più sulle relazioni e su come si sviluppino alla luce degli eventi in cui vengono coinvolti i personaggi, mentre i toni più tipicamente "british", con quel particolarissimo gusto per il nonsense, si perdono nella traversata dell'Atlantico. Il risultato è comunque molto buono e facilmente godibile.
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Nell’antica dimora della Grande Madre. Tre domande a Maria Rosa Cutrufelli. “La malattia del nostro mondo è la sterilità”
Partiamo dal titolo del romanzo, molto suggestivo, a cosa vorrebbe alludere il titolo che mette “le madri” su un’isola?
Le isole sono luoghi che proteggono e al tempo stesso ‘espongono’. Sono approdi e insieme luoghi da cui si parte per cercare un altrove. Forse proprio per questa loro natura ambigua, sono spesso culla di storie arcaiche e primigenie: in sostanza, luoghi del mito. E infatti l’isola del romanzo è l’antica dimora della Grande Madre, di Demetra, dea della vita che sempre si rinnova. E nel romanzo è proprio questo che cercano le quattro protagoniste: un luogo dove la vita possa di nuovo trionfare.
Il romanzo è ambientato in un mondo (non troppo lontano da noi) nel quale a causa di cambiamenti climatici si è diffusa la “malattia del vuoto”. Che genere di malattia è?
È una malattia che il nostro mondo purtroppo conosce molto bene: la sterilità. Ogni anno l’ISTAT ci ricorda che l’Italia è in pieno calo demografico, e così tutto il ricco mondo occidentale. Una malattia che ha molte cause: una di queste, come hanno riconosciuto i medici, è sicuramente l’inquinamento, che ha effetti a lungo termine sulle cellule riproduttive. Dunque la ‘malattia del vuoto’, di cui parlo nel romanzo, non è propriamente un’invenzione: è qualcosa che esiste già e a cui dovremmo mettere riparo, evitando di riversare nel ventre della terra fiumi di veleni chimici.
Livia, Mariama, Kateryna, Sara: donne che provengono da luoghi molto diversi e che si ritrovano nel medesimo posto, La casa della maternità, a far fronte allo stesso problema, se pur in maniera diversa. Sembri attribuire alle donne, nella catastrofe che imperversa, un ruolo salvifico. Come?
È vero, le donne nel romanzo hanno un ruolo salvifico. Non per una presunta ‘bontà’ innata, ma perché sono capaci di intessere fra loro relazioni di mutuo aiuto e di solidarietà. In sostanza, perché sono capaci di prendersi cura l’una dell’altra. E anche questa non è una capacità ‘innata’, ma il frutto dell’esperienza, della volontà di cambiare le cose e di rendere il mondo più vivibile e felice (se possibile).
*
La lettura. Ho letto il romanzo di Maria Rosa Cutrufelli L’isola delle madri con molto interesse. Un libro importante, non soltanto per il tema trattato, ma anche per il modo con cui è condotta la narrazione, delicata ma incisiva. Racconta una realtà apparentemente lontana, un mondo futuro, ma non così tanto: cammina con fatti che sono già tra noi, dei quali si parla, si scrive e si studia, tuttavia non abbastanza, o quanto meno non in modo incisivo da invertire la rotta. I romanzi servono anche a questo: le storie possono essere un pungolo, spingerci a riflettere ed agire, a prendere posizioni. Una storia di quattro donne dei nostri tempi, Livia docente universitaria che combatte con il desiderio di un figlio; Mariama, che parte dal continente povero e cammina, ha solo i suoi piedi per camminare verso una vita migliore; Kateryna, che dall’est approda sull’isola e insieme a Sara lavora presso La Casa della maternità, la prima come infermiera l’altra come direttrice. Tutte e quattro combattono la nuova malattia “la malattia del vuoto” e insieme procedono per sconfiggerla. Alla fine sarà Nina, la donna nuova, nata dall’incontro delle quattro protagoniste, che a proposito della vita delle tartarughe marine dirà: “«Vuoi dire le tartarughe adulte? Le madri? Eeh… Quelle se ne sono andate da un pezzo. Di sicuro non sono madri ansiose! Scavano il nido, lo coprono con grande cura, questo sì, almeno un metro di sabbia, ma non appena hanno finito se ne vanno per i fatti loro. Il mare le attende». Con la loro storia”. I piccoli delle tartarughe alla nascita, goffi, correranno “corrono come possono per immergersi e sparire, finalmente, dentro gli abissi marini: vanno a cercare le loro madri. La loro storia”.
La citazione. “Se ne stanno raggruppate in un angolo. Una fruga dentro un cestello di plastica, un’altra strofina le mani sopra un grembiule allacciato in cintura, come per pulirsi o asciugarsi, un’altra ancora butta indietro la testa mostrando l’arco della gola. Sara le fissa una per una, le scruta con attenzione crescente, le studia, le esamina. E all’improvviso sa cosa manca e qual è la natura di quel silenzio irreale che preme contro le sue tempie: i bambini! dove diavolo sono finiti tutti i bambini?”.
Maria Rosa Cutrufelli è nata a Messina, ha studiato a Bologna e attualmente vive a Roma. Ha pubblicato otto romanzi, tre libri di viaggio, un libro per ragazzi e numerosi saggi. Fra i romanzi ricordiamo: La donna che visse per un sogno (finalista al premio Strega nel 2004), Complice il dubbio (da cui è stato tratto il film Le complici) e Il giudice delle donne (tutti pubblicati da Frassinelli). Il suo ultimo saggio è Scrivere con l’inchiostro bianco (Iacobelli). Ha curato antologie di racconti, scritto radiodrammi, collaborato a riviste e quotidiani nazionali. Ha fatto parte della redazione di “Noi Donne”, fondato e diretto la rivista “Tuttestorie” e insegnato Scrittura creativa all’Università La Sapienza di Roma. I suoi libri hanno vinto diversi premi e sono stati tradotti in una ventina di lingue.
a cura di Daniela Grandinetti
*In copertina: Frank Bernard Dicksee, “The Mirror”, 1896
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L’Imprevedibile piano della scrittrice senza nome di Alice Basso
E' così. Lo sei. Sei acida e sarcastica e lucida e critica e odi tutto e tutti. Ma questa tua capacità di immedesimarti, di vedere le cose con gli occhi delle altre persone, di interpretare il mondo da dentro la loro testa... o il loro cuore. Questa che a te può sembrare una mera abilità professionale, be', si chiama empatia, sai. E tu puoi fingere con tutte le tue forze che sia il contrario, ma la verità è che fa di te la persona più compressiva, più tollerante e persino più clemente, che io abbia mai conosciuto.
“L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome” è il romanzo di esordio di Alice Basso, edito Garzanti è un concentrato di allegria e spensieratezza, riflessione e introspezione. Consigliatomi dalla mia personale guru Mirya, questo libro mi ha completamente stravolta e me ne sono completamente innamorata. Per chi ama i libri, i sentimenti genuini ed è un filo di misantropia, questo è il libro giusto… in fondo siamo tutti legati dalla pagina stampata.
Dietro un ciuffo di capelli neri e vestiti altrettanto scuri, Vani nasconde un viso da ragazzina e una innata antipatia verso il resto del mondo. Eppure proprio la vita degli altri è il suo pane quotidiano. Perché Vani ha un dono speciale: coglie l'essenza di una persona da piccoli indizi e riesce a pensare e reagire come avrebbe fatto lei. Un'empatia profonda e un intuito raffinato sono le sue caratteristiche. E di queste caratteristiche ha fatto il suo mestiere: Vani è una ghostwriter per un'importante casa editrice. Scrive libri per altri. L'autore le consegna la sua idea, e lei riempie le pagine delle stesse parole che lui avrebbe utilizzato. Un lavoro svolto nell'ombra. E a Vani sta bene così. Anzi, preferisce non incontrare gli scrittori per cui lavora. Fino al giorno in cui il suo editore non la obbliga a fare due chiacchiere con Riccardo, autore di successo in preda a una crisi di ispirazione. I due si capiscono al volo e tra loro nasce una sintonia inaspettata fatta di citazioni tratte da Hemingway, Fitzgerald, Steinbeck. Una sintonia che Vani non credeva più possibile con nessuno. Per questo sa di doversi proteggere, perché, dopo aver creato insieme un libro che diventa un fenomeno editoriale senza paragoni, Riccardo sembra essersi dimenticato di lei. E quando il destino fa incrociare di nuovo le loro strade, Vani scopre che le relazioni, come i libri, spesso nascondono retroscena insospettabili. Proprio ora che ha bisogno di tutta la sua concentrazione. Perché un'autrice per cui sta lavorando è stata rapita e la polizia vuole la sua collaborazione. C'è un commissario che ha riconosciuto il suo talento unico e sa che solo lei può entrare nella mente del sequestratore. Come nel più classico dei romanzi, Vani ha davanti a sé molti ostacoli. E non c'è nessuno a scrivere la storia della sua vita al posto suo: dovrà scegliere da sola ogni singola parola, gesto ed emozione.
I lettori sono creature strane che ricercano la propria storia nelle storie degli altri, trovano i propri sentimenti nelle pagine in cui si perdono. Ci sono libri che sembrano scritti proprio per loro, quei libri che arrivano a toccare corde nascoste, anche con la loro incredibile semplicità. Eppure non ci si rende conto di quanto contino finché non si volta l’ultima pagina, si scruta l’ultima riga dell’epilogo. L’esordio della Bassi è stata una rivelazione, per me, una di quelle che non mi aspettavo minimamente. È un libro che ti introduce in un mondo nascosto, un mondo costituito da scelte controcorrente, da un immaginario che si discosta completamente da quello classico sul mondo dell’editoria. Quanti casi di ghostwriters sono conosciuti ai più? È pur sempre un’attività da nascondere, che non fa altro che creare problemi, immergendosi in dinamiche che se esposte al mondo raggelano per la sorpresa. Ma non c’è solo questo nel primo libro di Alice Basso. C’è anche un mondo intenso che ruota intorno ad una donna indipendente che lotta con le sue paure e fragilità, con i suoi ricordi e le sue speranze infrante, e quelle scosse interiori che l’hanno resa la donna che è, senza mezze misure, senza buonismi inutili, senza pillole edulcorate, ma con un vita in technicolor che di certo non glissa sulle brutture di una intera generazione.
La protagonista Vani Sarca è una misantropa incallita, che si nasconde dietro il suo impermeabile nero e la sua aria scontrosa e impertinente. Eccezionale nella sua attività che si è praticamente inventata da sola, è un asso nell'immedesimarsi nelle vite di chi entra in contatto con lei. E' come un camaleonte che abilmente si mescola nel tessuto sociale che la circonda. Vani è una personalità complessa e scaltra, che si nutre anche delle sue fragilità e delle sue imperfezioni. E come lei anche la storia ha più piani di lettura, un intreccio che unisce l'indagine poliziesca classica, alla storia d'amore estemporanea, il tutto sullo sfondo del mondo dei libri, quelle ancore di salvataggio di carta che illuminano la vita dei lettori, dei solitari, di coloro che si rifugiano in un mondo di parole per sfuggire alla spietatezza di un mondo in rovina. E se da un lato abbiamo Vani, a farle da contrappunto c’è Enrico, l’editore della casa editrice, che detta il bello e il cattivo tempo nell’attività di Vani. L’editore che guarda ai guadagni, agli interessi, alla via più facile per raggiungere il successo che sembra sempre troppo lontano e mai troppo vicino. Ma soprattutto c’è il Commissario Berganza, che ho adorato letteralmente dal primo momento in cui è comparso in scena. Berganza è serio, imperscrutabile, ligio al dovere, ma senza essere troppo cristallizzato sulle regole. Berganza è una freccia sparata verso l’obiettivo, ma anche dotato di un grande senso dell’umorismo e di un formidabile fiuto per le indagini. Di certo il mio personaggio preferito. E poi abbiamo il classico scrittore, incaponito e incandescente, Riccardo Randi, che con il suo savoir faire irrompe sulla scena per spezzare tutti gli equilibri e regalare diversi colpi di scena in una sequenza rapida e imprevedibile.
Ma ciò che mi ha colpito davvero di questa storia è Torino. Il capoluogo piemontese emerge fulgido, dipinto a chiare pennellate, con la cura di chi, in questo Piemonte aspro e regolare ci ha vissuto davvero. Torino con la sua piazza brulicante viva, con il lungo Po, la Gran Madre, quella Mole sempre troppo nominata, ma che campeggia sullo sfondo di un centro cittadino iper europeo e variegato. Ogni volta che la Basso cita un posto che frequento abitualmente o che conosco scatta in me una sorta di compiacimento che si nutre anche del mio amore sconfinato per il capoluogo piemontese. È incredibile come riesca a sentire mia Torino molto più di Milano o Firenze dove pure ho vissuto per mesi.
Il particolare da non dimenticare? Un sms…
Un libro dal fascino unico, che regala emozioni e colpi di scena, schizzi di vita e sentimenti incontrastati, in un equilibrio perfetto tra la storia di una donna indipendente e che basta a se stessa e un poliziesco intrigante e appassionante. Un mix in cui perdersi e da cui riemergere solo a fine lettura, delusi, perché si è arrivati all’ultima pagina.
Buona lettura guys!
La serie “Vani”:
- L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome
- Scrivere è un mestiere pericoloso
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