Tumgik
spicchiodarancia · 3 years
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Consigli di scrittura
Descrizione di ambientazioni e paesaggi
Proiettare personaggi e lettori all’interno di una data ambientazione e atmosfera è decisamente tra le fasi di scrittura che preferisco; nel corso degli anni ho appreso trucchi e sviluppato teorie che mi appresto a condividere con voi:
Le atmosfere
Quando ho in mente una nuova storia o, in termini più ristretti, un nuovo capitolo, di solito la prima cosa che faccio è cercare di immaginare dove prenderà luogo. E no, non sto parlando di worlbuilding, ma di quella che definisco “atmosfera”: dove è più appropriato che una storia, una scena si sviluppi? Quali emozioni può conferire il luogo, con le sue caratteristiche, alla mia scena?  Dov’è il caso di far conoscere i miei protagonisti? Dove litigheranno, dove si batteranno all’ultimo sangue, dove chiacchiereranno del più e del meno?
I frammenti delle storie si sviluppano nella mia testa in fotogrammi e poco a poco inizio a zoomare sul paesaggio alle loro spalle o attorno a loro. Ma non si tratta solamente di quel che la vista può cogliere ;)
I cinque sensi
Credo questo sia l’insegnamento più vecchio del mondo, derivabile da un qualsiasi percorso scolastico: le descrizioni devono avvenire attraverso i sensi - tanto che si tratti di persone o, come in questo caso, di luoghi.
Ci sono moltissimi modi di mettere a frutto questa tecnica. Se si ha in mente una descrizione parecchio lunga, è il caso che i sensi vengano coinvolti tutti, senza esclusione; se invece miriamo ad una descrizione più breve, una cernita di due o tre sensi sarà sufficiente.
Come scegliere che sensi utilizzare? Dipende da quali sono i vostri obiettivi.
Ci si può basare, ad esempio, su quelle che sono le preferenze e le capacità di un personaggio: se la descrizione avviene dal punto di vista di un appassionato di musica, è probabile si accorga della melodia che proviene dal fondo di un vicolo e si concentri sul suono, piuttosto che sui manifesti appesi ad un palazzo. Un personaggio affamato sarà catturato dal profumo di stufato proveniente da una finestra spalancata; un bambino sarà incuriosito dal rombo di un aereo piuttosto che dal colore del fogliame, un cieco dovrà usufruire il più possibile del tatto e dell’udito per muoversi all’interno di un ambiente che non conosce, e così via.
Oltre ad affidare la scelta ai personaggi, ci si può basare anche su quel che può rendere un luogo riconoscibile e caratteristico - se siamo in una zona portuale, le barche fluttuanti incolonnate al molo, il rumore della risacca contro gli scogli, l’odore della salsedine - oppure significativo:
Dare utilità alle descrizioni
Un luogo può essere descritto per tanti motivi: per gusto estetico, per dare uno scorcio della condizione sociale dei personaggi o dell’epoca in cui vivono (tipico di correnti quali naturalismo e verismo), perché si vuole dare una dimensione spaziale agli oggetti, soprattutto a quelli che un personaggio sta utilizzando (un tavolo, una sedia, un letto).
Ma non va sottovalutato il fine psicologico che si può attribuire ad una descrizione. James Joyce nella sua Eveline descrive con minuzia la tappezzeria consunta della stanza in cui si trova la protagonista, la polvere sui mobili. Non lo fa per dirci che la casa è vecchia e che non l’ha pulita nessuno, ma per sottintendere che lì il tempo si è fermato. Eveline, come tutti gli abitanti di Dublino, è ferma, bloccata in una “paralisi” che le impedisce di muoversi, di agire, di decidere per se stessa, cambiare rotta. Anche lei, come le suppellettili, è immobile da così tanti anni che sul suo cuore si è formata la polvere.
Anche gli scrittori romantici utilizzavano una tecnica simile - nel primo paragrafo ho parlato di “emozioni conferite da un luogo”. Se pensate al mare, ad un burrone, ad una casa abbandonata, al cielo terso di settembre, quali emozioni si sprigionano nel vostro petto? La correlazione sentimento-paesaggio era tipica del periodo romantico, e non è nulla che non si possa rispolverare in tempi moderni, tenendo però sempre chiaro quel che credo di aver detto almeno una volta: noi non siamo il nostro personaggio. Comprendere che emozioni una vista ci suscita è un buon punto di inizio per capire come orientarsi in una descrizione introspettiva, ma il mare non rappresenta la stessa cosa per tutti. Per un personaggio che ha perso i genitori in un naufragio, può rappresentare tanto un luogo di terrore quanto una sfida da superare con coraggio.
Rendere le descrizioni dinamiche
Per non cadere nella staticità descrittiva e rendere i vostri personaggi e il paesaggio due universi separati, i primi devono interagire con quel che li circonda, e viceversa.
Se c’è vento, che scompigli i capelli del personaggio. Che gli renda difficile tenersi in equilibrio sulla propria barchetta, che gli porti via il cappello con conseguente rincorsa. L’erba appena tagliata sporchi di verde l’orlo dei suoi abiti, i rovi li pungano, le foglie gli cadano in testa. Che il personaggio si segga, che rattizzi il fuoco nel camino, che si sollevi bruscamente per raddrizzare un quadro storto che sta fissando da un quarto d’ora con un cipiglio infastidito. 
Sentire risate di bambini in lontananza, che effetto gli fa? Che ricordi o rimpianti disseppellisce? Il personaggio è distratto, ha fatto cadere un barattolo di marmellata - pazienza, ce n’è un’intera parete, barattoli stipati su un vecchio scaffale in cantina, che scintillano di succosi rossi e gialli quando la luce è accesa.
Spero di aver reso l’idea.
La lista della spesa
Dopo queste lungaggini teoriche, passiamo alla pratica, con un consiglio che ho già dato per le descrizioni fisiche: evitare gli elenchi. Il lettore è in grado di immaginare anche da sé quel che è presente in una camera da letto o in una cucina. E’ preferibile attenersi a piccoli cenni, significativi (da qualsiasi punto di vista preferiate, psicologico, emotivo, sociale) e basati su alcuni dei cinque sensi. Ci si sofferma, invece, su particolari insoliti, che il lettore non potrebbe figurarsi da solo - la presenza in un salone, per esempio, di un trofeo di pesca - oppure sulla descrizione di luoghi che non tutti hanno avuto la possibilità di vedere (una città straniera, ad esempio, o le pendici di un vulcano*).
Da evitare sono anche le forme “c’è/c’era/ci sono/c’erano”, che conferiscono ancor di più quel senso di lista della spesa.
Facciamo un esempio e vediamo assieme come correggerlo:
“Nella camera c’era un letto a baldacchino, di fronte c’era un camino con la fiamma quasi spenta e davanti al camino un tappeto persiano. Di lato al letto c’era una poltrona.”
La ripetizione dei “c’era” non è l’unico errore. La descrizione risulta anonima e spenta. 
“Entrando nella camera, colpiva la massiccia struttura di un letto a baldacchino dai tendaggi porpora. Di fronte, nel camino di pietra, moriva a poco a poco un fuocherello, i cui ultimi guizzi illuminavano i disegni di un tappeto persiano. Accostata alla parete adiacente il baldacchino, sonnecchiava una poltrona dello stesso rosso dei drappeggi.”
Queste sono tra le prime modifiche che ho ritenuto opportuno fare. A seconda del proprio gusto e dello stile utilizzato, si può decidere di scendere ancor più nel dettaglio: la “massiccia struttura” potrebbe essere in legno di mogano, i “disegni” sul tappeto possono diventare intricati ghirigori di fiori neri come bacche di vaniglia, eccetera eccetera. Pongo l’attenzione su una tecnica che ho utilizzato: dar vita agli oggetti. Le fiamme illuminano il tappeto, la poltrona sonnecchia - le “azioni” che gli oggetti compiono hanno due funzioni diverse. Anzitutto, ho eliminato la necessità di dire che “c’è questo e quest’altro”, perché la presenza del tappeto è rivelata dalla luce della fiamma. In secondo luogo, dire che la poltrona “sonnecchia” suscita nella mente del lettore immagini diverse: è immersa nell’ombra, viene utilizzata per dormire, è una vecchia poltrona. Ovviamente non per tutti i lettori quel verbo avrà lo stesso significato, potrebbe anche non averne nessuno, ma ho comunque risolto un lungo intento comunicativo con il solo verbo “sonnecchiare”.
Come ultimo appunto, aggiungo che ho dato uno spazio agli oggetti, stabilendo dove fossero collocati: di fianco a qualcosa, adiacenti ad una parete, e via discorrendo. A volte specificare la posizione esatta di un oggetto, anche in relazione ad un altro (un pouf sotto la finestra) permette di evitare l’utilizzo del  “c’è/c’era/ci sono/c’erano”.
*Quando neppure io ho mai visto dal vivo il luogo che voglio descrivere, faccio ricerche, non solo limitandomi alle foto che si possono trovare sul web, ma guardando anche video per sentire i rumori, realizzarne la grandezza, lo spazio, i cambiamenti di colore, e leggo le informazioni di tipo geografico/naturale a riguardo, per sapere se sono presenti piante, animali, tipi di vestiti che nei video o nelle immagini non ho visto ma sarebbe bello inserire :)
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spicchiodarancia · 3 years
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Consigli di scrittura
Stile e dialoghi
Come già annunciato nel titolo, lo stile della narrazione e i dialoghi presenti al suo interno saranno i punti all’ordine del giorno: possono parere tematiche eterogenee, ma sono in realtà strettamente correlate.
Stile
Cos’è lo stile? Non è una domanda semplice a cui rispondere. A scuola ci viene spesso insegnato che si costituisce di un’insieme di tecniche e formalità (lessicali, logiche, grammaticali) e che può essere diviso in alto/sublime, medio e basso.
In realtà la distinzione va applicata su più piani, e in uno stesso scritto possiamo trovare una mescolanza di stili a seconda dell’aspetto preso in considerazione. L’esempio più concreto è quello della Commedia: è spesso considerata come massima esplicazione dei tre stili; alto per il Paradiso, medio per il Purgatorio e basso per l’Inferno, ma su quale base sono state fatte queste affermazioni?
Anzitutto, svolgiamo un’analisi di tipo cronologico: al giorno d’oggi, possiamo considerare basso lo stile dell’Inferno? Viene spontaneo rispondere di no, non fosse altro perché imitare Dante risulta impossibile - il lessico utilizzato nella Commedia era arcaico e complesso già rispetto a quello utilizzato dagli uomini del suo tempo. 
E lo stile de I promessi sposi? Anche quello, proiettato in un discorso odierno, sarebbe da considerarsi basso: vi sono innumerevoli espressioni dialettali oltre che forme linguistiche che oggi verrebbero ritenute errori grammaticali.
Ma per il periodo in cui sono stati giudicati, tanto l’Inferno quanto i Promessi Sposi, presentavano rispettivamente uno stile basso ed uno stile alto - applicare ad oggi i nostri criteri su opere così antiche traviserebbe quello che era il significato di “basso”, “medio” e “alto” per i tempi in cui sono state scritte. 
Quindi, quando tentiamo di decidere quale stile applicare al nostro romanzo, racconto breve o qualsivoglia manoscritto, non è il caso di gettare così tanto in là lo sguardo. 
Ma procediamo: quali sono gli aspetti da tenere in considerazione per definire uno stile? Davvero moltissimi, e possono essere altalenanti. Si possono trattare tematiche alte, squisitamente morali, utilizzando un lessico colloquiale, o al contrario parlare di quisquiglie in terminologia altisonante. Parlare di stile “alto”, “medio” e “basso” senza specificare a quale piano della scrittura si sta facendo riferimento vuol dire tutto e non vuol dire nulla: si discute dei temi? Del lessico? Della struttura fraseologica e periodica, della punteggiatura, delle figure retoriche? Ribadisco che tutte queste caratteristiche, in un unico scritto, possono essere contemporaneamente sublimi, medie o basse, a discrezione del gusto dello scrittore. Che poi sarebbe il vostro gusto: sta a voi decidere con che linguaggio affrontare tale tematica, con che allegoria esprimerla, eccetera.
Fatta questa premessa, che mi auguro sia chiara, possiamo passare ai dialoghi:
In che relazione sono con lo stile adoperato in un testo?
Per spiegarlo, occorre una digressione, parola che avete già trovato e che vi consiglio di rispolverare, se fosse poco fresca, nella sezione dedicata alle descrizioni dei personaggi :)
Torniamo ancora una volta a parlare di scrittori naturalisti/veristi quali Zola e Verga. 
Entrambi avevano, come oggetto dei loro romanzi, il vero, la realtà quotidiana affrontata con il rigoroso approccio di uno scienziato che si interroga sul perché e sul come degli atteggiamenti umani, e li riporta su carta inseriti in un dettagliato contesto storico-culturale.
Ma i loro metodi erano diversi e hanno condotto entrambi a diversa fama:
Zola assumeva un’aura di distacco (non perfettamente riuscito*) rispetto alle vicende di cui trattava: il suo stile rimaneva di tipo medio/alto che narrasse di una famiglia aristocratica, borghese o di umili pescatori. Descriveva un mercato con immagini crude, senza lesinare su dettagli quali la fanghiglia ai piedi del marciapiede, le mosche su di un taglio di carne, ma senza rinunciare ad un lessico forbito. Tuttavia, quando erano i personaggi a prendere parola, lasciava che si esprimessero come la loro estrazione sociale avrebbe richiesto: e così, nel giro di poche righe, è possibile trovare una fiorita narrazione in cui emerge la voce dotta dell’autore e dialoghi scomposti, aridi, rozzi di un contadino, con tanto di errori formali. 
Verga non applicava questo contrasto: il suo stile si uniformava all’ambiente di cui raccontava, l’autore/narratore diveniva popolano tra i popolani, pescatore tra i pescatori e conte tra i conti. 
Entrambe le alternative sono validissime e vi invito ad utilizzarle - magari leggendo alcuni testi degli autori per avere un’idea più precisa di come applicarle.
Ma attenzione, perché si incorre spesso in un errore: dare ai personaggi la propria voce. Per quanto il vostro David possa avere un tono colloquiale, da bravo anglofono non può e non deve utilizzare espressioni del vostro dialetto o della parlata italiana - altrimenti tanto valeva farlo nascere ad Ostia.
A meno che il vostro personaggio non sia nato e cresciuto in alcune zone del Nord Italia, ad esempio, evitate di fargli utilizzare il pronome personale oggetto “te” al posto del soggetto “tu” - e questo è altamente sconsigliato anche nella narrazione, a meno che per qualche motivazione artistica non vogliate cadere nella scorrettezza grammaticale (ad ognuno il proprio stile e gusto). Allo stesso modo sconsiglio di far utilizzare ad un personaggio dei passati remoti (siciliani, vi osservo) per raccontare di eventi avvenuti giorni, settimane o pochi mesi prima, se il suo nome è Jacob ed è nato in Nebraska :/
Attenetevi all’etnia/nazionalità dei vostri personaggi e cercate di mantenere un’impostazione neutra (non dialettale, non “italianeggiante”) anche nella narrazione, a meno che non ci siano ragioni particolari per inserire regionalismi.
*Aggiungendo una curiosità alla tecnica di Zola: per quanto si sforzasse di rimanere al di sopra dei suoi personaggi, con una voce il più possibile imparziale e strettamente descrittiva, gli capitava spesso di cedere a giudizi e di evidenziare cose cui una persona (e quindi un personaggio) bene immersa in un certo tipo di realtà non farebbe caso, perché costituiscono la sua normalità.
Come sempre, spero di esser stata esaustiva ed utile. Non esitate a fare domande! Parleremo successivamente dei dialoghi estrapolandoli dallo stile ed inserendoli in un contesto emotivo :)
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spicchiodarancia · 3 years
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Consigli di scrittura
Errori lessicali e grammaticali più comuni
La grammatica italiana è strabordante di regole, e capita talvolta di dimenticarne alcune. Per quanto il consiglio sia quello di consultare le enciclopedie online, come la Treccani, in caso di dubbio, ho deciso di elencare qui gli errori che trovo più spesso, e alcune regole per non ripeterli ;)
Plurale di parole che terminano al singolare in "cia" e "gia":
Il plurale di coscia è coscie o cosce? E quello di camicia? Esiste una regola per determinarlo senza difficoltà: se il segmento "cia" o "gia" è preceduto da consonante, come accade nel caso di coscia (notare la "s" prima del gruppo "cia"), allora il plurale non richiede la "i": coscia/cosce. Se, al contrario, il segmento è preceduto da vocale, come nel caso di camicia, allora il plurale richiede la i: camicia/camicie. Ovviamente la parola camice esiste, ma è un singolare a sé stante (fornito anche di plurale, "camici"), che indica il tipico indumento da laboratorio.
Fanno eccezione a questa regola i singolari valigia e ciliegia, che al plurale sono accettati sia nelle forme valige/ciliege che valigie/ciliegie. La Treccani evidenzia comunque come preferibili le forme "valigie" e "ciliegie".
Come si scrive?
Esistono molte parole, nella lingua italiana, che cambiano di significato a seconda del modo in cui vengono scritte - troncate, con apostrofi, con accenti.
Attaccato o staccato?
I lemmi "a fianco" e "affianco" sono spesso utilizzati nel modo sbagliato, pur essendo entrambi corretti nel giusto contesto. Affianco non è di oggetto/persona che stia accanto a qualcosa o qualcuno, come nella frase "c'è un tavolo affianco al letto". Affianco è invece prima persona singolare, al tempo presente indicativo, del verbo "affiancare", e significa mettersi, porsi di fianco a qualcosa, dunque si può utilizzare in frasi come: "Camminando, (io) affianco Giorgio per parlargli all'orecchio". Se si vuole indicare la prossimità di un oggetto/persona a qualcosa o qualcuno, la forma corretta è a fianco ("c'è un palazzo a fianco alla panetteria").
Stesso accade con "in fondo" e "infondo". Infondo, scritto tutto attaccato, è prima persona singolare, tempo presente indicativo, del verbo "infondere", che significa versare (dentro o al di sopra) e figurativamente ispirare - si sente spesso dire "Infondere coraggio/speranza"; nel caso particolare di infondo, avremo "(Io) infondo coraggio/speranza". In fondo, così distaccato, indica invece una posizione, stare sul fondo di qualcosa ("In fondo al tunnel", "In fondo al bicchiere").
Ancora, "a posto/apposto": a posto, scritto in questo modo, significa "collocato nella giusta posizione", in senso figurato può essere utilizzato per riferirsi positivamente agli atteggiamenti di una persona, dunque avremo espressioni come "É tutto a posto", "É un tipo a posto", "Ho messo a posto". Apposto è invece prima persona singolare, tempo presente indicativo, del verbo "appostare", che significa disporre qualcuno in un certo luogo, oppure "fare la posta", ovvero osservare qualcuno (anche in forma riflessiva). Alcuni esempi sono: "(Io) apposto quel delinquente, tu l'altro", "(Io) mi apposto di fronte casa sua", "(Io) apposto un gruppo di soldati di fronte al cancello".
"C'entra" e "centra": centra è terza persona singolare, tempo presente, del verbo centrare (ovvero "far centro", "beccare"), quindi da utilizzare in frasi come "Luca centra sempre l'obiettivo"; c'entra si utilizza per indicare inclusione, il far parte di qualcosa - "Non c'entra niente", "Non so quanto possa c'entrare, ma...".
Alcuni lemmi hanno solo una forma corretta e l'altra risulta un errore in qualsiasi circostanza:
Esiste: Non esiste:
Infine In fine
A parte Apparte
Apposta A posta
Davanti D'avanti
D'accordo Daccordo
D'altronde Daltronde
Accento o apostrofo?
Anzitutto, ripassiamo la differenza tra troncamento ed elisione.
L'elisione è un fenomeno di soppressione di vocale. Quando una parola termina con vocale, e la successiva inizia con vocale, allora la vocale finale della prima parola si elide. Accade in casi come "lo avvocato/l'avvocato", "lo amico/l'amico", "quello imbuto/ quell'imbuto", "ci era/c'era - ci è/c'è". Non si elide la vocale quando può esserci fraintendimento tra un singolare/plurale e un maschile/femminile, ad esempio se ci riferiamo ad un'artista donna, sarà il caso, almeno la prima volta, di mantenere la forma "quella artista" per renderne chiaro il sesso. Stesso accade con la parola "auto", ad esempio. Se scrivessi l'auto, chi legge penserebbe ad un singolare, alla presenza di un solo veicolo, quindi se voglio indicarne due conviene l'espressione "le auto".
Il troncamento prevede che l'ultimo elemento di una parola (vocale, sillaba, consonante) cada del tutto, senza necessità di apostrofi. É obbligatorio troncare, ad esempio, l'articolo indeterminativo "uno" di fronte a parole che iniziano per vocale. Quindi avremo "un amico", "un albero", "un ulivo". Mi raccomando, senza l'apostrofo, che è richiesto solo con l'articolo indeterminativo una (ed è dunque un'elisione). Altre parole che si possono troncare sono gli aggettivi indefiniti "nessuno", "ciascuno", "alcuno", come nei casi, "nessun fratello", "alcun cane", "ciascun ragazzo". Nel caso alcuno, nessuno e ciascuno svolgessero funzione di pronomi indefiniti ("Non ho visto nessuno (essere umano)", "Non ne ho visto alcuno (gatto)", "Ho dato una penna ciascuno (ragazzo)") non si deve, ovviamente, ricorrere al troncamento. Ricordo ancora, passando al femminile, che gli aggettivi indefiniti "nessuna", "ciascuna", "alcuna", richiedono assolutamente l'elisione, dunque l'apostrofo, di fronte a parole femminili che iniziano per vocale, come "nessun'amica", "ciascun'addetta", "alcun'imperatrice".
Fanno eccezione alla regola base del troncamento (nessun apostrofo) le parole "poco" e "modo", che vanno scritte come po' e mo' in caso di abbreviazione ("Un po' di pane", "A mo' di minaccia"). Assolutamente scorrette le forme pò/po e mò/mo.
Le varie forme di "da", "fa", "va", "di" e sillabe simili vengono spesso confuse.
Da è preposizione semplice ("Da qui a lì", "Da te a me"); questa sillaba, accentata o con apostrofo, assume due funzioni diverse all'interno della frase: se con accento, quindi nella forma dà, è terza persona singolare, tempo presente del verbo dare ("Egli dà"), e viene posto l'accento per distinguerla dalla preposizione semplice "da". Con apostrofo, da' è seconda persona singolare dell'imperativo dare, come forma contratta di "Dammi!", quindi "(Tu) da' (dammi) quella penna".
Fa è terza persona singolare, tempo presente, del verbo "fare", in frasi come "(Egli) fa i capricci quando è stanco"; può essere anche utilizzata alla forma impersonale "Non fa nulla". La forma fà, accentata, è sempre sbagliata. Fa', con apostrofo, rispetta la stessa regola di da', ed è cioè contrazione della seconda persona, imperativo presente, del verbo fare ("(Tu) fa' (fai) come ti ho detto!").
Va è terza persona singolare, tempo presente, del verbo "andare", in frasi come "(Egli) va al parco quando fa bel tempo"; può essere utilizzata in forma impersonale ("Così non va"). Accentata (và) è sempre sbagliata. Va', con apostrofo, è di nuovo contrazione della seconda persona, imperativo presente, del verbo andare ("(Tu) va' (vai) a controllare!).
Di preposizione semplice ("Sei di qui?", "Che ne dici di andare?"). Accentata, nella forma dì, è sostitutiva della parola "giorno", in frasi come "Una volta al dì", "Ci vediamo a mezzodì". Di', apostrofato, è contrazione della seconda persona singolare, imperativo presente, del verbo dire: "(Tu) di' (dimmi) la verità!".
La particella "Si" va accentata solo nel caso di un'affermazione ("Sì, vengo"), mai quando indica una forma riflessiva ("Si pettina i capelli", "Si lava il viso" "Non si sopportano) o impersonale ("Si vede che è stanco").
La particella se indica una probabilità, una casualità e di fronte a condizionali/congiuntivi si usa non accentata in frasi come "Non so se verrà", "Se l'avessi saputo prima...", "Non sapevamo se avrebbe accettato". In forma accentata, sé, è una declinazione del pronome riflessivo di terza persona, è contrazione di "se stesso", quindi "Parlava sempre di sé", "Cantava tra sé e sé", "Bisogna trovare del tempo per sé".
Se stesso e Sè stesso sono, secondo la Crusca, entrambi accettabili. C'è una corrente di pensiero che non ritiene corretto accentare la particella riflessiva "se", poiché essendo accompagnata da "stesso" è distinguibile dal "se" congiunzione ipotetica. Il "se" particella riflessiva va comunque accentata di fronte al plurale di "stesso", e cioè con "stessi", per distinguere la forma sè stessi (loro stessi) dal congiuntivo presente se stessi (se (io/tu) stessi).
Le grafie "Se no" e "Sennò" in sostituzione di "altrimenti" sono entrambe accettate.
Esiste: Non esiste:
Qui Quì
Qua Quà
Su Sù*
Giù Giu
*Tuttavia attenzione, perché invece è corretto dire "quassù" e "lassù".
Dimenticare o scordare?
Non so a quanti sia accaduto, ma di fronte al verbo "scordare" i miei docenti di italiano hanno sempre storto il naso, aggiungendo: "Solo gli strumenti si scordano!". In realtà, sono corrette entrambe le forme, con maggiore diffusione di "dimenticare" al Nord e "scordare" al Sud. Le radici etimologiche di queste due parole sarebbero però leggermente diverse, perché "dimenticare" deriva dal latino e si usa per le cose che ci sfuggono dalla mente ("mentis"), in riferimento a faccende o informazioni, mentre "scordare" è per ciò che sfugge dal cuore ("cor"), quindi persone care. In proposito consiglio di consultare questo articolo: https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/scordare-e-dimenticare/753#:~:text=Anche%20se%20il%20tipo%20scordare,%C3%A8%20preferito%20al%20Centro%2DSud.
Spero come sempre che questi consigli tornino utili! Se avete difficoltà non esitate a chiedere :) la prossima volta parleremo di dialoghi e punteggiatura.
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spicchiodarancia · 3 years
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Consigli di scrittura
Creare un personaggio a 360°
Come si fa? Da dove si parte? Come sempre, il consiglio é quello di attingere il piú possibile dalla realtà. Un errore molto comune - e qui parlo soprattutto delle storie d'amore - é quello di relegare il personaggio al suo ruolo nella storia. Ad esempio, la protagonista di un romanzo rosa parlerà solo e soltanto del ragazzo che le piace, di quanto sia stato crudele il suo ex, di come sia stato sgarbato il nuovo compagno di banco, e via discorrendo, finché attraverso le sue parole non comprenderemo l'avvicinamento tra lei ed il suo interesse amoroso. Allo stesso modo, l'antagonista di una qualsiasi storia entrerà in scena solo per dire cattiverie e fare del male. Qual é il difetto di questi personaggi? Sono piatti.
Lavorare sul carattere
Esattamente come le persone - é questa la parola chiave, si era capito? - i personaggi devono avere pregi e difetti che li contraddistinguano, e che in qualche modo tornino utili alla trama (un personaggio impulsivo, ad esempio, manda avanti l'azione prendendo scelte sbagliate per troppa fretta). Di solito trovo molto comodo stilare una lista dei lati positivi e negativi dei personaggi che creo, tenendo però conto di alcune cose: 1. Non si può programmare tutto in anticipo; dopo un certo numero di capitoli la storia procede spesso da sé e i personaggi sfuggono al controllo. Sono loro a rivelare allo scrittore la propria vera natura, il che può sembrare assurdo, ma bisogna provare per credere; 2. In tal caso, forzare un personaggio in un'azione solo perché avevamo deciso per principio che avrebbe avuto data caratteristica é un errore da non commettere mai; 3 In riferimento al punto precedente, non si deve mai far commettere ad un personaggio una scelta o fargli dire qualcosa che per via delle sue qualità o dei suoi difetti non farebbe o direbbe. Altrimenti si rischia di "uscire dal personaggio" (out of character, come dicono gli anglofoni); 4. I pregi e i difetti talvolta si mescolano, un tratto che può sembrare una debolezza in alcune situazioni può rivelarsi forza eccetera. Ad esempio, la diffidenza (difetto) può rivelarsi utile nel momento in cui il personaggio, non dando fiducia a quello che non sapeva essere l'antagonista, salva la situazione; 5. Non esiste persona al mondo che non abbia almeno un pregio, anche il piú cattivo dei cattivi - non per niente, spesso non crediamo che qualcuno sia malintenzionato proprio perché l'abbiamo visto compiere, ad esempio, un atto di gentilezza.
Lavorare sulle passioni
Consideriamola un'appendice del capitolo "Intelletto e passioni". La giornata si compone di ventiquattro ore, e se in ventiquattro ore la Hope di turno non fa altro che parlare del principe azzurro qualcosa non quadra. Le persone si intrattengono nel corso della giornata, hanno degli hobby, svolgono attività. Vanno a correre, cucinano, dipingono, guardano anime, leggono riviste, fanno i cruciverba, scaricano musica illegalmente. Anzitutto - e qui apro e chiudo parentesi - fate in modo che i personaggi siano spesso impegnati in qualcosa. Nessuno entra in cucina e vi trova fermi, seduti alla sedia, ad attendere che entriate per intraprendere un discorso: ognuno ha vita propria, se entro in una stanza probabilmente troverò qualcuno che sta facendo qualcosa, che sia piegare le magliette, limarsi le unghie, guardare la tv. Ora, tornando alle passioni, e in particolare al fantomatico romanzo rosa: il protagonista deve essere piú di un cuore che batte e si protende verso qualcuno. Dategli dei sogni, delle ambizioni, speranze, e che non sia tutta aria fritta - mostrate in che modo li realizza o in che modo fallisce. Spiegate le origini, le motivazioni di un desiderio o di una passione, e perché perdurano nel tempo anziché scomparire come quando da piccoli, alla maestra, si rispondeva di voler fare gli astronauti e poi si é diventati poeti. Se state utilizzando un narratore onnisciente - il primo capitolo vi rinfrescherà la memoria - potete dare informazioni di questo genere in qualsiasi istante, anche se il protagonista non ricorda come sia iniziata una passione o, meglio ancora, se non sa come sia iniziata la passione di un suo amico/personaggio secondario. Ad esempio, ad Hope piacciono le voliere e tu, narratore onnisciente, sai che é perché sua zia teneva appesa ad una trave del portico una gabbietta con due cardellini colorati, che cinguettavano allietando i pomeriggi. Hope era troppo piccola per poter ricordare questo dettaglio, adesso, ma il narratore può raccontarlo ugualmente.
Parlando poi dell'interesse amoroso della nostra Hope, un bel lavoro di caratterizzazione può essere svolto anche su di l*i. Se dovete dare a questo personaggio una passione per la letteratura solo perché possa tirar fuori nei momenti cruciali qualche frase ad effetto tratta dai soliti tre romanzi (Cime tempestose, Orgoglio e pregiudizio, Jane Eyre), non fatelo. Non é cosí che si esprimono le persone che amano leggere e in generale le persone che amano qualsiasi cosa. Se alla domanda "perché?" l'unica risposta che vi sovviene é "perché sí", non siete sulla strada giusta per la costruzione di un personaggio completo.
Lavorare sui rapporti
I personaggi devono intessere rapporti umani solidi e realistici, di qualsiasi natura, piacevole o spiacevole. La vita sociale fa parte degli impegni di un essere umano, anche se si tratta solo di messaggi, likes sotto ad un post, videochiamate. Gli amici sono membri essenziali; solitamente danno supporto, consiglio, incoraggiamento, ma possono rivelarsi anche serpi in seno, tradire, parlar male alle spalle. Quando si intraprende la seconda strada, di nuovo, ci deve essere una buona motivazione: il protagonista deve rimanere destabilizzato, deve mancargli una certezza, deve rivalutare le proprie relazioni, la fiducia in se stesso e nei rapporti, eccetera eccetera. Stessa cosa vale per le famiglie. Queste possono essere numerose o ridotte, fastidiose, impegnative, marce, un accollo, una sciagura, oppure una benedizione, un sostegno, un nucleo d'amore. Anche in questo caso si deve tener conto dell'effetto che si vuole ottenere sul protagonista ai fini della storia; genitori violenti comportano una serie di disfunzioni comportamentali, cosí come una famiglia amorevole e comprensiva conduce ad un approccio sereno alle relazioni. Anche in queste situazioni entrano in gioco i riscontri non totalmente negativi e non totalmente positivi: ad esempio, un personaggio che ha vissuto tra coccole e vizi può essere debole caratterialmente, abituato ad ottenere tutto e subito, ingenuo, e via discorrendo; cosí come chi ha subito gravi torti può essere spaventato e sfiduciato oppure desideroso di amare e dare ciò che non ha ricevuto. Infine, non dimentichiamo i conoscenti, che si compongono dei colleghi in un ambiente d'ufficio, del cassiere al supermercato sotto casa, del corpo studentesco (insegnanti, compagni di classe e di banco, direttori e direttrici, relatori, bibliotecari, bidell*). Di solito questi personaggi possono essere utilizzati per "comic relief", cioé per alleggerire l'atmosfera con la loro presenza, spesso buffa. Sono dei personaggi macchietta; il bidello che sbuffa mentre scopa e ti acchiappa per il colletto perché hai attaccato una gomma sotto al banco, il collega d'ufficio un po' sbadato che spedisce documentazioni in ritardo e ti versa addosso il caffé bollente. Oppure, possono rivelarsi assi nella manica e compiere azioni decisive: la commessa che tornando a casa vede il partner del protagonista con qualcun altro e decide di riferirlo al diretto interessato.
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spicchiodarancia · 3 years
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Consigli di scrittura
É innegabile che nell'ambientare le nostre storie tendiamo sempre a spostarci verso i cugini statunitensi. Però, poiché leggi e istituzioni scolastiche sono diverse, non solo da quelle italiane, ma in generale da quelle europee, é facile incorrere in errori. Ecco alcune dritte basate su ricerche che ho fatto nel corso degli anni:
Le scuole superiori negli USA
Durano quattro anni, non cinque, come in Italia - si frequentano, quindi, dai quattordici ai diciotto anni. I grades, ovvero i quattro anni di frequentazione, prendono ciascuno un nome diverso: • Freshman Year (14/15 anni) - primo anno • Sophomore Year (15/16 anni) - secondo anno • Junior Year (16/17 anni) - terzo anno • Senior Year (17/18 anni) - quarto anno
Tutto il sistema di studi statunitense é gratuito (ad eccezione del college, di cui parleremo prossimamente). I libri, infatti, non vengono acquistati dai genitori ma forniti dallo Stato alle scuole e dalle scuole agli studenti - a volte vengono messi a disposizione anche zaini, agende, articoli di cancelleria, computer, tablet. Tutto va solitamente restituito al termine del percorso.
Licei?
Negli USA non esistono licei specifici come i nostri - scientifico, classico, linguistico... - e nemmeno gli istituti - tecnico, industriale, eccetera. La scuola superiore é ad indirizzo unico e comprende una certa vastità di materie. Alcune sono obbligatorie - matematica, letteratura, storia - altre sono facoltative, vengono scelte dallo studente con l'aiuto di un consulente basandosi sulle sue attitudini. Esistono ad esempio corsi di matematica o fisica avanzata, attività extracurriculari come teatro, fotografia. Le ore di educazione fisica sono standard, ma le scuole offrono diversi sport per gli atleti: un unico istituto, in base alla propria grandezza e al fondo cassa, può offrire baseball, pallacanestro, football, nuoto e tanto altro. Inoltre, gli studenti possono iscriversi a svariati club, organizzati dal corpo studentesco stesso.
Struttura
Proprio come nei film, le scuole superiori negli USA hanno corridoi molto larghi per poter ospitare la moltitudine di studenti che si sposta da un'aula all'altra. Com'é risaputo, non esistono le "classi" intese come un gruppo fisso di studenti che segue le lezioni in una stanza assegnata. Anzi, esistono aule dedicate ad ogni materia, e sono i ragazzi a spostarsi ogni ora per raggiungerle. Le classi spesso appartengono all'insegnante di data disciplina, che può decorarle come piú ritiene opportuno. Ad orario di pranzo (di solito le 12) gli studenti possono riunirsi nella mensa - cafeteria per gli americani - e consumare ciò che hanno portato da casa o ciò che decideranno di prendere facendo la fila al bancone.
Prove, verifiche, esami
Negli USA é tutto scritto, gli studenti non sostengono prove orali di alcun tipo, eccezion fatta per la presentazione di powerpoint o relazioni. Le verifiche sono tutte scritte e spesso a crocette. Agli studenti viene solitamente data un'ora di tempo al giorno per svolgere i compiti assegnati, cosí che possano frequentare tranquillamente le attività pomeridiane (sport, club) e non abbiano nulla da fare una volta tornati a casa.
Tra il penultimo e l'ultimo anno svolgono i SAT, test attitudinali che non hanno alcuna valenza per lo svolgersi delle superiori: danno loro un punteggio che viene inviato alle università, in modo che queste sappiano se accettare o meno uno studente in base alle sue capacità. Diversamente da noi, non sostengono un esame di maturità al termine del quarto anno. Semplicemente, gli studenti che hanno ottenuto voti bassi nel corso dei quattro anni, devono sostenere i finals, esami con cui dovranno dimostrare di aver recuperato le lacune. Gli studenti che hanno una media superiore alla B possono evitarli.
Orari, festività
Solitamente le scuole aprono i cancelli alle 7:45 e li chiudono alle 14:30. Gli orari sono cosí dilatati rispetto ai nostri perché includono la pausa pranzo e l'ora per svolgere i compiti, di cui si era già parlato. Gli studenti hanno scuola dal lunedí al venerdí, dopodiché inizia il weekend.
Le lezioni iniziano per la metà di settembre e si concludono a metà giugno. Tra settembre e ottobre cade il Capodanno ebraico, che dura due giorni. Tra ottobre e novembre ci sono le festività del Ringraziamento, anch'esse durano un paio di giorni. Dal venti dicembre circa al sei gennaio le lezioni si interrompono per le vacanze di Natale. Ci sono poi la Winter Break e la Spring Break, pause che coprono rispettivamente le ultime due settimane di febbraio e la seconda e penultima di marzo.
Eventi
Gli statunitensi prendono gli sport molto sul serio e gli studenti sono spesso in prima linea quando si tratta di incoraggiare la squadra della scuola alle partite. Tutti i venerdí sera c'é il Friday Night, l'evento sportivo in cui la squadra di football o quella di baseball si scontrano con un'altra della stessa città. Il giorno stesso la banda suona per i corridoi e le cheerleader si esibiscono nel cortile per incoraggiare chi in serata dovrà giocare, e per entusiasmare gli studenti.
L'homecoming é il primo evento di un anno scolastico, che prende luogo ad ottobre. Si tratta di un ballo cui partecipano tutti gli studenti, e durante il quale gli studenti degli anni passati "tornano a casa" (da qui homecoming) per festeggiare nella loro vecchia scuola. É preceduto dalla Spirit Week, un'intera settimana che prevede ogni giorno travestimenti a tema. Il ballo si svolge di sabato ed é talvolta preceduto da partite amichevoli di un qualche sport e giochi vari. Gli abiti richiesti sono formali ma non come quelli del prom.
Il prom é il ballo di fine anno, definito anche Night of the nights ("Notte delle notti"). Vi partecipano gli studenti del primo anno e quelli del quarto. É usanza avere un date per il prom, ovvero un accompagnatore/ice - di solito sono i ragazzi ad invitare le ragazze, ma é possibile anche il contrario. La sera del prom la coppia si scambia dei presenti: il corsage e il boutonniere. Il corsage é il bracciale decorato con fiori che il ragazzo mette al polso della ragazza, il boutonniere il fiore all'occhiello che l'accompagnatrice dà all'accompagnatore. Spesso vengono acquistati in modo che si abbinino tra loro e al vestito, ma si può andare anche ad occhi chiusi. La notte del prom si eleggono il Re e la Reginetta del ballo: diversi giorni prima vengono fatti girare per la scuola fogli con su i nomi di tutti gli studenti, e ognuno ha a disposizione tre voti. Il Re e la Reginetta sono un giovane e una giovane estratti indipendentemente dalla formazione di coppia che si é presentata al prom.
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spicchiodarancia · 3 years
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Consigli di scrittura
Descrivere i personaggi
Le descrizioni dei personaggi possono essere di due tipi: dirette e indirette.
Si parla di descrizione diretta quando il personaggio, narrando in prima persona con focalizzazione interna, si mostra agli occhi del lettore. L'errore più comune quando si utilizza questa tecnica è quello di fare gli elenchi: "Mi chiamo Carla, ho grandi occhi azzurri e capelli biondi lunghi fino alle scapole, sono magra ma non troppo, la mia pelle è pallida come quella dei cadaveri e per questo i miei compagni mi prendono in giro chiamandomi 'zombie'", e ancora "Mi preparo per andare a scuola. Indosso la mia felpa grigia preferita con sotto un paio di jeans elasticizzati, le Converse nere con le stelle rosse, mascara, rossetto, poi lego i capelli in una coda disordinata". Ragazzi, non si fa. Questo è un modo di descrivere che gli insegnanti, quando frequentavo le elementari, chiamavano "lista della spesa" - nient'altro che un lungo elenco di informazioni, anche banali, buttate tutte insieme sotto gli occhi del lettore. Come si ottiene una descrizione diretta efficace? Anzitutto, fate in modo che ogni dettaglio sia rilevante e ben incastonato all'interno del discorso. Nel 1800, con l'avvento del Realismo, Verismo, del Naturalismo* e dei romanzi storici, era in voga la "digressione": lunghi paragrafi descrittivi che interrompevano il flusso narrativo. La differenza tra una digressione e la lista della spesa sopra citata è che la prima ha una valenza a livello di significato. Per uno scrittore verista o di romanzi storici riportare su carta il verosimile, ambienti e personaggi particolareggiati, descritti di tutto punto - nell'atteggiamento, negli abiti, nell'acconciatura, fino alla fibbia delle scarpe - era essenziale per catapultare il lettore nella realtà di cui stavano parlando. [*movimento parallelo al Verismo italiano. Esso prevedeva lo studio approfondito della condizione umana attraverso gli ambienti in cui si sviluppava: era una scrittura di approccio scientifico, che voleva andare a determinare la natura, il carattere delle persone (e dunque dei personaggi) analizzando la classe o il ceto in cui erano nati, gli studi fatti, la lingua parlata, il periodo storico vissuto, i valori, le tradizioni, i principi, i sentimenti acquisiti grazie o a causa dell'ambiente sociale. Come, dunque, non perdersi in digressioni lunghissime anche sul mestolo usato per girare la brodaglia?] Vi riporto due esempi, il primo di Manzoni, il secondo di Balzac (Honoré de Balzac fu esponente del Realismo). I promessi sposi prendono luogo nel XVII secolo, con esattezza nell'anno 1628. Essendo Manzoni uno scrittore del 1800, era necessario - sia per aiutare la fantasia dei suoi contemporanei, sia per rimanere fedele al romanzo storico - che si cimentasse in lunghe e particolareggiate descrizioni del mondo in cui i suoi personaggi si muovevano. Quando Renzo si presenta in casa di Don Abbondio per definire gli ultimi dettagli del matrimonio, Manzoni ne descrive con minuzia gli abiti, il cappello con la piuma, i calzoni colorati, persino il manico del pugnale che spunta tra i vestiti. Al giorno d'oggi questo modo di fare è passato di moda - anzi, per il lettore moderno risulta pesante leggere determinati passi dei classici. Sarà perché andiamo tutti di fretta. Ma abbiamo comunque da imparare da questi grandi maestri. Sia Balzac che Manzoni utilizzano nelle loro opere un tipo di descrizione che viene definita fisiognomica. In parole molto spicce, si tratta di un tipo di descrizione, oserei dire, centripeta: dall'abbigliamento di un personaggio, dagli oggetti che conserva in camera, da una particolare luce nello sguardo, si arriva ad intuire quale sia la sua indole. Manzoni aveva il pallino degli occhi, e celebre è la descrizione dello sguardo della Monaca di Monza: languido, sfuggente, a volte fisso, altre perso nel vuoto, tipico di chi ha qualcosa da nascondere (Gertrude ha macchiato il velo monacale con il peccato della lussuria) ma vivido di intelligenza (Manzoni stesso dice che la monaca facesse il bello ed il cattivo tempo all'interno del convento, una donna determinata ed astuta). In Papà Goriot di Balzac ritroviamo la descrizione dell'abbigliamento della signora Vauquer, proprietaria di una pensione. Ella indossava abiti sdruciti, la vestaglia dall'orlo strappato, le ciabatte vecchie ingrigite, eppure era ricca. Cosa ci fa capire questo di lei? Che era una gran tirchia. Il consiglio che vi do, sulla base di quanto appena detto, è di fare in modo che le vostre descrizioni vadano oltre la superficie, e servano a dirci qualcosa anche sul carattere del personaggio. Ma fate in modo che siano spezzettate e ben amalgamate all'interno della storia, non fate elenchi, liste e papiri. Basta con la solita protagonista diciassettenne che si guarda allo specchio e inizia ad analizzare ogni tratto del suo volto - nessuno lo fa nella vita reale. Nessuno dopo la doccia si ferma davanti allo specchio e si dice: "Ho pagliuzze dorate negli occhi verdi e capelli lisci come seta, del colore del mogano". Spargete queste notizie nel corso della storia - magari entro i primi dieci capitoli, non si può arrivare all'ultimo per scoprire che il protagonista ha gli occhi neri - ed inseritele con fantasia. Ad esempio, un personaggio può arrivare a parlare dei propri capelli se si tratta di fare un paragone con quelli di qualcun altro: "Mia madre stamattina ha un incontro di lavoro, lo capisco dal modo in cui ha legato ordinatamente i capelli. Sembra più seria. E' un peccato che nessuno possa vederla quando le scendono in voluminose onde castane attorno al volto - a volte la invidio, i miei sono di un triste giallo paglierino, come quelli di papà". Così avete preso due piccioni con una fava, perché avete fatto contemporaneamente una descrizione diretta (il personaggio che in prima persona e con focalizzazione interna dice dei propri capelli che sono giallo paglierino) e una indiretta. Quando si ha una descrizione indiretta? Quando un personaggio non si descrive da solo, ma è qualcun altro a farlo per lui, che si tratti di un altro personaggio (la ragazza che parla dei capelli della madre) o del narratore (Manzoni stesso con gli occhi di Gertrude). I consigli per questo tipo di descrizione sono identici: niente cascate di dettagli. Inoltre, non tutti notiamo le stesse cose nelle persone, e questo è da tenere a mente. C'è chi si accorge prima del colore degli occhi, chi della forma delle labbra. Se qualcuno indossa un colore sgargiante, noteremo prima la maglia e poi tutto il resto. Se siamo attratti fisicamente da un particolare tratto, è molto probabile che sarà ciò che cercheremo anzitutto in chiunque incontriamo - la forma delle spalle, le gambe, il sorriso. Ci sono tempo e capitoli successivi per aggiungere tutto ciò che non abbiamo analizzato di primo acchito. Infine, a volte può essere divertente mostrare anche quelle che sono le imperfezioni: le unghie mangiate, una voglia, smagliature, il naso adunco.
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spicchiodarancia · 3 years
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Consigli di scrittura
Scrivere di personaggi appassionati di letteratura
Solitamente, chi è lettore è anche scrittore. Non per forza un buon scrittore, comunque. E nemmeno uno scrittore poliedrico.
Mi pongo di nuovo come esempio di vita reale: sono una discreta scrittrice di romanzi, una modesta scrittrice di analisi del testo, una pessima scrittrice di poesie, una vomitevole scrittrice di saggi e racconti brevi.
Al liceo, tra il saggio, la traccia libera e l’analisi poetica, mi gettavo sempre e comunque sull’analisi poetica.
Quindi, ripetiamo, la scrittura non è nelle corde di tutti e, soprattutto, non può essere sempre intinta in tutte le salse.
Ma torniamo alla letteratura.
Non basta che il vostro personaggio porti con sè sempre un libro da leggere per renderlo un appassionato.
Non basta che dica di esserlo.
Non basta che chi entra in camera sua trovi di tanto in tanto un libro aperto sul letto, abbandonato durante la fase di lettura.
E non basta nemmeno che l’appassionato in questione faccia uscite iperboliche sulla vita di Shakespeare e Scott alla florida età di sedici anni.
Ricordiamoci, anzitutto, che essere appassionati non vuol dire essere esperti, soprattutto a sedici anni.
Tutte le passioni partono da una fase germinale, in cui non si sa assolutamente niente di niente, si è letto a stento un libro di un autore famoso a caso perché aveva la copertina scintillante. Poi si giunge ad una fase di conoscenza discreta: si leggono parecchi libri, si fanno ricerche, si conosce la vita di qualche autore. Man mano la sapienza aumenta, a seconda del ritmo di apprendimento.
Spetta a voi decidere in quale fase si trovi il personaggio.
Inoltre, si può essere assoluti conoscitori di testi teatrali (Molière, Ibsen, Goldoni, Marlowe, per citarne qualcuno) e ignoranti in letteratura scientifica (Galilei, Darwin).
Folli ammiratori del realismo inglese (Clarissa e Pamela di Richardson) e capre senza pastore se si parla di gotico (cito autori come Mary Shelley, Ann Radcliffe, Lord Byron).
Oppure si può essere esperti in tutto. Anche questo è a discrezione dello scrittore.
Come si comporta un amante della letteratura?
Non è detto che abbia sempre il naso sprofondato tra i libri - seppelliamo lo stereotipo del topo di biblioteca, dell’intellettuale timido e con gli occhiali.
Le ragazze appassionate di letteratura possono indossare la minigonna e andare in discoteca, i ragazzi essere tatuati e guidare le Harley.
Oppure nessuna di queste cose. Il punto è, non sprofondate negli stereotipi.
E sappiate sempre che leggere tanto non rende una persona necessariamente sensibile e virtuosa.
Proseguiamo.
Chi ama la letteratura non deve necessariamente spiattellarlo ai quattro venti.
Potete creare un personaggio super entusiasta, che ne parli liberamente con chiunque incontri, che posti foto su foto dei libri che sta leggendo, delle passeggiate in biblioteca, che abbia addirittura un blog dedicato alle recensioni.
Oppure potete creare un personaggio che tiene questa cosa per sè e lo rivela solo a pochi eletti. Che legge quando è da solo, che viva in un clima in cui la passione per materie umanistiche non è bene accetta - “devi diventare dottore”, “sei un futuro ingegnere”, “scrivere poesie è da femminucce”, “la letteratura non serve a niente”, queste sono solo alcune delle frasi che credo abbiamo sentito tutti almeno una volta nella vita.
C’è chi si lascia condizionare al punto da vergognarsi di ciò che fa e tenerlo nascosto, chi se ne infischia e se la gode.
Spetta a voi scrittori scegliere dove far pendere l’ago della bilancia.
Per un appassionato di letteratura, trovare un altro appassionato di letteratura è il Paradiso.
Ma non devono per forza andare d’accordo su tutto - possono avere pareri discordanti, teorie differenti. Possono anche aver letto libri totalmente diversi e consigliarseli a vicenda.
Poi ci sono gli amici che li stanno a sentire anche se di letteratura non capiscono nulla: per un appassionato può essere un po’ frustrante dover spiegare la trama di un romanzo dall’inizio per farsi capire, ma può sicuramente apprezzare l’attenzione disinteressata che gli viene offerta, soprattutto se non ha nessun altro con cui parlarne.
Se la storia è ambientata in un mondo “social”, l’appassionato può anche mettere giù il libro, di tanto in tanto, e scrivere al suo migliore amico/a: “Darcy ha appena fatto una cavolata”, e poi mandare un audio su quanto ciò che ha detto ad Elizabeth sia stato assurdo e perché.
Ricordiamo, inoltre, che esistono anche personaggi poveri, che hanno difficoltà a pagare le bollette e l’affitto, e sicuramente non si possono permettere una spesa per un kindle o per l’edizione fresca di stampa di un libro. Scrivete di personaggi che prelevano una tonnellata di libri dalla biblioteca, che sono clienti fissi al punto che i dipendenti li chiamano per nome e li avvertono se arriva qualcosa che può interessargli. Scrivete di personaggi che scaricano illegalmente libri in pdf e leggono sul telefono di notte perché durante il giorno non hanno tempo di farlo.
Scrivete di personaggi che sono felici come Pasque se gli viene regalato un segnalibro, che hanno le notifiche attivate per il blog del loro scrittore preferito e abbandonano qualsiasi cosa stiano facendo per andare a leggere il nuovo post. Scrivete di personaggi che rispondano ai commenti di quelli che chiedono “in che capitolo succede questa cosa?” perché ricordano il libro a memoria. Scrivete di personaggi che dal nulla dicano “Questa è proprio una cosa da *nome di un personaggio qualsiasi*”, senza essere capiti da chi li circonda. Scrivete di personaggi che facciano citazioni, che seguano pagine di meme su Shakespeare e ridano come matti, perché la letteratura è anche qualcosa su cui ridere. Scrivete di personaggi che si lamentino della vita squattrinata e poco ortodossa di un autore in fila al supermercato con il loro compagno, come se stessero parlando di qualcuno che conoscono davvero. Scrivete di personaggi che telefonano alla loro migliore amica solo per dire che stanno leggendo Profumo di Suskind dopo anni di attesa e lo stanno trovando tremendo al punto che lo abbandoneranno da un momento all’altro. E scrivete di personaggi che non riescono ad abbandonare un libro, devono portarlo a termine a tutti i costi, non importa quanto faccia schifo.
Infine, non siate scontati nella scelta dei libri che i vostri appassionati stanno leggendo.
Non ricadete nel solito “Romeo e Giulietta”, “Cime tempestose”, “Orgoglio e Pregiudizio”, “Jane Eyre”.
Esiste un mondo di libri là fuori e questi li hanno letti tutti ormai, anche chi non è appassionato, perché vengono addirittura assegnati e studiati a scuola.
Fate leggere ai vostri personaggi qualche raccolta di Rimbaud o di Verlaine, fateli appassionare alla storia d’amore di questi due autori, allo scandalo che fu la loro vita privata, al tentato omicidio commesso dall’ultimo ai danni del primo.
Fategli leggere Neruda, Coleridge, Swinburne, Flaubert, Hugo, Zola, Balzac, Lorca.
Fate leggere agli italiani di scrittori italiani, una volta tanto - cos’è questa tendenza verso l’estero? E fate leggere agli stranieri la letteratura italiana.
Cimentatevi in Machiavelli, Alfieri, Tasso, Foscolo, Leopardi, Manzoni, Calvino, Pasolini, Pavese, Cavalli, Eco, Fo, Arminio, Scotellaro, Saba, Dante, Petrarca, Boccaccio, Merini, Maraini.
E vogliamo dimenticare i greci e i latini?
Davvero, la letteratura è vastissima: non limitatevi ai soliti tre o quattro autori, e ricordate che anche quelli definiti “minori” possono sorprendere per bravura, e piacere anche più dei maestri.
Ora, la domanda sorge spontanea: è davvero necessario, se voglio scrivere un personaggio appassionato di letteratura (o di qualsiasi altra cosa, questi consigli valgono per tutto) che io conosca tutti questi autori e le loro vite, morti, miracoli?
No.
Il consiglio più ovvio è quello di dare al personaggio un’attitudine su cui siete ben ferrati anche voi. Vi garantisco, inoltre, che spesso ciò che imparate a scuola (soprattutto al liceo) - se spiegato e studiato per bene - è già sufficiente, e va solo approfondito.
Ma, se volete scrivere di personaggi con passioni di cui non sapete nulla, fate ricerche. Non fate ricerche su tutto, ma solo su quel che è utile alla storia.
Non c’è bisogno che sappiate a che ora Kant prendeva il caffè per far citare al vostro personaggio una frase qualsiasi presa dalla Critica della ragion pura.
Internet è un luogo magico: vi fornirà tutte le informazioni necessarie e anche quelle meno necessarie. Spetta a voi scegliere cosa vi serve e cosa no.
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spicchiodarancia · 3 years
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Consigli di scrittura
Scrivere di personaggi intelligenti
Partiamo dal presupposto che esistono vari tipi di intelligenza.
Un personaggio che prende 10 (o A+, o 30 e lode) in tutto non è per forza intelligente nel senso più pieno e lato del termine. E’ sicuramente ciò che oggi definiremmo “book smart”: leggo una cosa, la imparo, la espongo - forse la ricordo.
Ebbene sì: i primi della classe non sempre ricordano ciò che hanno studiato a lungo termine, e non sempre lo capiscono davvero.
A volte imparano solo a memoria.
Mi viene in mente, per chi ha letto Orgoglio e pregiudizio, il paragone tra Mary e sua sorella maggiore Elizabeth.
Elizabeth è un personaggio universalmente conosciuto per essere di un’intelligenza vivida, che si applica alla vita quotidiana e viene esposta attraverso brillanti osservazioni. È sarcastica, sottile, intuitiva.
Mary? È pedante.
Impara solo per sfoggiare e in qualche modo rivaleggiare con Elizabeth, ma la cultura non sostenuta dall’ingegno serve a poco.
Quindi, non date per scontato che il vostro personaggio dalla brillante carriera accademica sia geniale, che comprenda davvero ciò che sta leggendo quando gli vengono messi davanti un Kant, un Hegel, un Einstein.
Ancor meglio, ci sono personaggi che invece comprendono perfettamente - i sapientoni, gli intellettuali, gli Sheldon Cooper della faccenda. E che, proprio come i personaggi di Big Bang Theory, non sanno relazionarsi con il mondo che li circonda.
Conoscere la matematica, la fisica, non ti rende per forza adatto alla vita: un sapientone può diventare imbarazzante e imbarazzato se messo a contatto con qualcuno che trovano attraente, e dire o fare cose stupide.
Non confondiamo, in sostanza, la cultura con l’intelligenza - e ricordiamoci che la chiusura mentale, nella maggior parte dei casi, rende inutili entrambe le cose. Divertitevi anche con personaggi plurilaureati e razzisti, se volete. Oppure omofobi. Retrogradi. Comunisti. Fascisti. Maschilisti. Tutte le chiusure di questo mondo.
Scrivere di personaggi con attitudini e passioni
Tutti sono più bravi in una cosa piuttosto che in un’altra. Oppure preferiscono una cosa ad un’altra.
Un personaggio non deve essere, comunque, il migliore degli intenditori per avere una determinata passione.
Vi faccio un esempio preso dalla vita reale, la mia: impazzisco per la chimica.
Eppure, mio malgrado, difficilmente ho preso voti più alti di 3, per quanto mi piacesse e per quanto sbattessi la testa sui libri. E adesso è anche troppo tardi per ripartire da zero e capire dove fosse l’intoppo, riempire le lacune che mi impedivano di comprendere.
Ma se trovo articoli di chimica, li leggo ugualmente e, se mi è possibile, imparo e riutilizzo.
I personaggi alla fine non sono altro che proiezioni della realtà, quindi, se volete, createne alcuni con hobby in cui sono incapaci, per una motivazione o per l’altra.
Un aspetto importante delle passioni è che esse definiscono la persona, come un tratto caratteriale.
Spesso si legge di personaggi che hanno una determinata attitudine che nel corso della storia viene solo nominata, ma mai esplorata, mai sfruttata.
Si sa solo che alla Nicole di turno piace la biologia, ma perché?
E cosa vuole fare di questa passione? Ha dei progetti? Ne parla con gli altri? È una cosa che preferisce tenere per sè? Qual è il suo trattato scientifico preferito? Ci sono delle pagine di scienza tra i suoi preferiti su Chrome? Ci sono foglie secche nella sua stanza, che da piccola raccoglieva e metteva in controluce per studiarne la struttura?
Una passione non è solo un abbellimento: è ciò che indirizza la nostra vita e, di conseguenza, quella del nostro personaggio.
E soprattutto, non è necessariamente collegata al tipo di vita che conduce, al lavoro che fa, agli studi che ha scelto.
Scrivete di ingegneri che leggono la Divina Commedia sul divano, a tarda sera, con un bicchiere di vino. Che venerano Dante e postano su Instagram per il Dantedì.
Scrivete di insegnanti di scuola elementare che prendono lezioni di tango argentino e ballano fino a tarda notte nei locali volteggiando tra avvenenti sconosciuti.
Di madri e padri che giocano alle parole crociate mentre aspettano in macchina che i figli escano da scuola, che abbiano una passione per il linguaggio e si divertano ad insegnare ai loro bambini una parola nuova al giorno.
Una passione è una valvola di sfogo. È ciò che ci tiene in piedi dopo una giornata di studio, di lavoro. Una cameriera che ama la letteratura farà il sacrificio di rimanere sveglia anche alcune ore della notte pur di finire quel romanzo che l’ha stregata.
E a proposito di letteratura, approfondiamo nel prossimo post uno degli hobby che mi viene più facile trattare:
Scrivere di personaggi appassionati di letteraura
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spicchiodarancia · 3 years
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Consigli di scrittura
Il POV
Introduciamo anzitutto la differenza tra i termini “autore”, “narratore”, “persona” e “focalizzazione”:
-L'autore è colui che scrive la storia, persona in carne ed ossa;
-Il narratore è colui che racconta la storia, la “voce” cui l’autore affida il compito di raccontare - a volte può coincidere con l'autore stesso, come nel caso di un'autobiografia;
-Un racconto può essere narrato in prima o in terza persona, con focalizzazione interna o esterna:
La prima persona presuppone obbligatoriamente una focalizzazione INTERNA - é il narratore (in questo caso un personaggio interno alle vicende) a parlare di sé stesso e degli altri. Specifichiamo che il narratore in prima persona, pur essendo il personaggio che racconta l'azione, non é per forza il protagonista della storia: può essere anche un personaggio a cui é stata riferita una vicenda da terzi, che decide poi di raccontarla al pubblico, oppure un personaggio secondario (magari il migliore amico del protagonista) che ne segue le azioni dal proprio punto di vista.
La terza persona può avere focalizzazione INTERNA o ESTERNA. Interna quando il narratore, che non coincide in questo caso con il personaggio di cui si racconta la storia, "entra" nella mente di suddetto personaggio e ne riferisce le emozioni, le sensazioni, ciò che vede. La focalizzazione é esterna quando il narratore si pone come una telecamera sulle spalle del personaggio e lo osserva muoversi, senza entrare nella sua mente e quindi senza poter dire con esattezza quali siano i suoi pensieri (anche se il "common sense" non gli impedisce di dedurre dal tono di voce o da uno sguardo che si stia arrabbiando, intristendo o altro).
Entrambe queste due focalizzazioni - sempre usate in terza persona - sono dislocabili.
Significa che il narratore in focalizzazione interna può uscire dalla testa di un personaggio ed entrare in quella di un altro, a suo piacimento e quando lo ritiene necessario, e che un narratore in focalizzazione esterna può seguire i movimenti di un personaggio piuttosto che di un altro, oppure di un gruppo intero di personaggi (come se descrivesse il pubblico di uno stadio).
Vantaggi e svantaggi delle persone e delle focalizzazioni:
La terza persona con focalizzazione esterna ha, ovviamente, lo svantaggio di non poter comunicare ai lettori tutte le emozioni di un personaggio, talvolta creando un muro, una sorta di distacco, una difficoltà di simpatia ed empatia tra lettore e personaggio.
Però può spostarsi molto piú facilmente da una scena all'altra, cosí come nei film la telecamera cambia di inquadratura senza passaggi intermedi.
La terza persona con focalizzazione interna MOBILE permette al narratore di essere "onnisciente": egli sa tutto, a partire da cosa pensa ogni personaggio alla storia intera. Se l'autore lo desidera, il narratore può sapere anche come andrà a finire, e seminare piccoli spoiler e giudizi qua e là (es. "Matilda ancora non lo sapeva, ma si sarebbe pentita di quella scelta").
La prima persona con focalizzazione obbligatoriamente interna ha spesso il limite di dover raccontare le cose man mano che succedono, perché spesso il narratore coincide con il protagonista e le vicende sono narrate al presente.
Tuttavia, se si sceglie di utilizzare il passato e il personaggio parla di eventi già accaduti e a cui ha preso parte, potrà anche lui svolgere lo stesso ruolo di un narratore onnisciente (con la differenza di non poter entrare, però nella testa di tutti i personaggi).
Attenzione però al tipo di storia che si racconta, perché parlare al passato in prima persona in un horror ci fa già capire che il protagonista é sopravvissuto per raccontare tutto ;)
Cambiare il POV:
I punti di vista, pur mantenendosi sempre dello stesso tipo (non si può passare dalla prima persona alla terza e viceversa) possono spostarsi da un personaggio all'altro.
Forse qualcuno di voi ha letto Divergent: la protagonista é Beatrice Prior, tutta la storia viene raccontata da lei, al presente, in prima persona (il narratore coincide con il protagonista). Nell'ultimo libro della serie, tuttavia, il suo punto di vista si alterna a quello di Tobias Eaton (che per non fare spoiler definirò suo compagno di avventure) sempre in prima persona e con focalizzazione interna, tempo presente.
I capitoli in cui é Beatrice a parlare sono intitolati con il suo nome, stessa cosa con Tobias.
Questo perché, ovviamente, c'é bisogno di un distacco fra i due narratori (sarebbe confusionario se prima parlasse Beatrice e poi Tobias, senza alcuna distinzione, senza indicazioni che il punto di vista sia cambiato, no?).
Questo procedimento NON é obbligatorio quando si utilizza la terza persona con focalizzazione interna.
Vedo un sacco di persone scrivere storie divise in capitoli con POV Tizio, POV Caio. Per quanto non mi senta di dire che é sbagliato, é sicuramente antiestetico e crea interruzioni inutili, soprattutto se poi questo avvertimento non é posto all'inizio di un capitolo ma nel bel mezzo di una scena.
Il punto di vista in questo caso si può switchare senza bisogno di segnalazioni: basta andare a capo e iniziare la frase con il nome della persona nella cui mente stiamo entrando (in White Lies lo faccio spesso, se serve un esempio concreto).
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