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Novembre di Giovanni Pascoli: La malinconia autunnale nella poesia italiana. Recensione di Alessandria today
Un viaggio nella poesia di Giovanni Pascoli, tra simbolismo e riflessione sulla natura e sulla caducità della vita
Un viaggio nella poesia di Giovanni Pascoli, tra simbolismo e riflessione sulla natura e sulla caducità della vita. La poesia “Novembre” di Giovanni Pascoli rappresenta uno dei componimenti più emblematici dell’autunno italiano, rievocando immagini di malinconia e riflessione sul tempo che passa. Pascoli, maestro della poesia simbolista italiana, si immerge nella descrizione di un paesaggio…
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PFM canta De Andrè: è il nuovo concerto di "Vicenza in Festival", il 3 settembre in piazza dei Signori
PFM canta De Andrè: è il nuovo concerto di "Vicenza in Festival", il 3 settembre in piazza dei Signori. PFM canta De André in Piazza dei Signori. È il nuovo concerto di "Vicenza in Festival", firmato da DuePunti Eventi in collaborazione con il Comune di Vicenza. In programma il 3 settembre con inizio alle 21, l'evento arricchisce il cartellone che ospiterà anche lo show di Achille Lauro (2 settembre) e il concerto di Fiorella Mannoia con orchestra sinfonica (5 settembre). «Un nuovo nome va a comporre il calendario di Vicenza in Festival. Dopo Fiorella Mannoia e Achille Lauro con soddisfazione annunciamo l'arrivo della PFM: la storica band si esibirà proponendo brani di Fabrizio De André– dichiara l'assessore ai grandi eventi Leone Zilio -. Ed ecco che Vicenza propone un calendario che incontrerà i più diversi gusti musicali del pubblico. Piazza dei Signori si conferma sede privilegiata in cui si possono apprezzare differenti generi appartenenti alla cultura musicale italiana. Con l'arrivo della Premiata Forneria Marconi i brani di De Andrè saranno eseguiti per un pubblico di differenti generazioni che non smette mai di amare il grande cantautore». Quarantacinque anni dopo il tour "Fabrizio De André e PFM in concerto", la prog band più famosa al mondo torna sui palchi italiani con "PFM canta De André Anniversary" per celebrare il fortunato sodalizio con il cantautore genovese e riproporre una serie di concerti dedicati a quell'evento. Per rinnovare l'abbraccio fra il rock e la poesia, alla scaletta originale saranno aggiunti anche brani tratti da "La buona Novella", completamente rivisitati dalla band. "PFM canta De André - Anniversary" avrà sul palco una formazione spettacolare, con tre ospiti d'eccezione: Flavio Premoli (fondatore PFM) con l'inconfondibile magia delle sue tastiere, Michele Ascolese, chitarrista storico di Faber e Luca Zabbini, leader dei Barock Project. Fabrizio De Andrè disse: «La nostra tournée è stata il primo esempio di collaborazione tra due modi completamente diversi di concepire e eseguire le canzoni. Un'esperienza irripetibile perché PFM non era un'accolita di ottimi musicisti riuniti per l'occasione, ma un gruppo con una storia importante, che ha modificato il corso della musica italiana. Ecco, un giorno hanno preso tutto questo e l'hanno messo al mio servizio...». PFM – Premiata Forneria Marconi ha uno stile unico e inconfondibile che combina la potenza espressiva della musica rock, progressive e classica in un'unica entità affascinante. Nata nel 1970 (discograficamente nel 1972), la band ha guadagnato rapidamente un posto di rilievo sulla scena internazionale, che mantiene tutt'oggi. Nel 2016 la prestigiosa rivista inglese "Classic Rock" UK ha posizionato PFM – Premiata Forneria Marconi al 50esimo posto tra i 100 migliori artisti più importanti del mondo, mentre "Rolling Stone" UK ha inserito l'album "Photos of ghost" al 19esimo posto tra i dischi più importanti della musica progressive. Nel 2018 ha ricevuto a Londra il prestigioso riconoscimento come "International Band of the year" ai Prog Music Awards UK, mentre nel 2019 la rivista inglese "PROG UK" nomina Franz Di Cioccio tra le 100 icone della "musica che hanno cambiato il nostro mondo" (unico musicista del mondo latino). Vicenza in Festival è promosso da DuePunti Eventi in collaborazione con la Città di Vicenza. I biglietti del concerto sono disponibili in prevendita nel circuito Ticketone (online e punti vendita). Tutte le informazioni su: http://www.vicenzainfestival.it/ Biglietti: poltronissima platinum € 45+diritti di prevendita poltronissima gold € 35+ diritti di prevendita poltronissima € 30+ diritti di prevendita poltrona € 25+ diritti di prevendita Informazioni: DuePunti Eventi, Tel. 0445 360516, [email protected]... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Anna Jencek
esce “Saffosonie - Cantando liriche di Saffo”
Il disco dello spettacolo dedicato alle liriche di Saffo nella traduzione di Salvatore Quasimodo. Un recital teatrale di Alessandro Quasimodo, "Operaio di Sogni", dedicato alla poesia del padre Salvatore, con la regia di Lorenzo Vitalone e la partecipazione di Mario Cei. Ad Anna Jencek il compito di inframmezzare l'interpretazione poetica di Alessandro con siparietti musicali, accompagnando con la chitarra, musicando e cantando alcune liriche di Saffo nella traduzione di Salvatore Quasimodo: «di questo suo lavoro il poeta parlava spesso a noi, allievi affascinati del suo corso di letteratura al conservatorio Giuseppe Verdi di Milano». Nasce così “Saffosonie” il nuovo disco di Anna Jencek,
«Bisogna ringraziare Saffo: l'invito di Bollani in quella puntata del 5 aprile 2021 del bel programma televisivo di Stefano Bollani, "Via dei Matti n. 0", mi ha spinta a completare quel lavoro appena accennato e a restituire nuovo canto a quei versi d’amore.
D'altronde non sono affatto estranea all'ispirazione di musicare poeti (Goethe, Marc De Pasquali, Cesare Pavese, Shakespeare, Neruda, Arturo Schwarz) formata dall'esperienza entusiasmante, negli anni giovanili della bohème, del comporre canzoni per e con Herbert Pagani, con cui ho condiviso la magia di quel tempo». Anna Jencek
Traduzione: Salvatore Quasimodo Musica: Anna Jencek, Flavio Minardo Orchestrazione: Dario Toffolon Canto: Anna Jencek Voci Recitanti: Matteo Chiarelli, Anna JencekSolisti: Jacopo Dentice (cornamusa) - Flavio Minardo (chitarra e sitar) - Simone Rossetti Bazzaro (viola)
Anna Jencek, artista poliedrica, svolge intensa attività nei settori della musica, del teatro, della danza. Ha studiato pianoforte e canto, nonché chitarra classica al conservatorio G. Verdi di Milano, sotto la guida del M° Ruggero Chiesa, negli anni in cui Salvatore Quasimodo era docente di letteratura italiana. Ha scritto musica per Herbert Pagani, con cui ha condiviso anni di lavoro e di vita, e altri artisti; per spettacoli teatrali e di danza, spot radiofonici e televisivi, ottenendo vari premi e un disco d'oro. Cantautrice, attrice, tiene recitals nei principali teatri milanesi, in Italia e all'estero. Ha diretto stage professionali di canto in cui era docente di interpretazione, tecniche vocali e presenza scenica. È stata vocal coach in talent televisivi. Ha inciso numerosi dischi con sue composizioni. È citata nel dizionario delle compositrici lombarde. Voce di Radio Montecarlo e altre, affronta le prime esperienze di palcoscenico sotto la guida registica del M° Alessandro Brissoni. Ha collaborato con la scuola del Piccolo Teatro. È stata docente di recitazione, commediografa e regista in compagnie filodrammatiche. Ha partecipato come compositrice cantante e attrice nella "Compagnia del lago", diretta da Luigi Chiarelli. Allieva di Ada Franellich nel percorso decennale di "Ginnastica, Ritmica, Danza secondo il metodo Hellerau - Laxenburg", ha studiato all'Istituto Yoga di Carlo Patrian. Danzatrice e coreografa, ha insegnato danza creativa, nei corsi del Comune di Milano e presso la scuola di danza Mara Terzi. È insegnante di yoga. Dal padre, mecenate di artisti, ha appreso il gusto della pittura. La scrittrice Lalla Romano, amica di famiglia, ha guidato i suoi primi passi nella conoscenza di poesia e letteratura, per cui fin da bambina ha ottenuto premi e borse di studio. È stata redattrice editoriale. Ha insegnato attività creative presso le scuole medie statali durante il primo settennato di sperimentazione didattica, avendo ottenuto abilitazione ministeriale. Ha tenuto laboratori di scrittura della memoria e di lingue. Consulente di Assessorati alla Cultura, aveva fondato e diretto l'associazione di servizi culturali "L'albero dell'Arte", per l'ideazione e organizzazione di eventi nei campi dell'arte, dello spettacolo, della cultura, dell'educazione, con all'attivo centinaia di progetti realizzati per enti privati e, soprattutto, pubblici (Vacanze a Milano, Milano d'estate, Carnevale ambrosiano, Folk festival, Cinema nel parco, Celebrazioni mozartiane, Celebrazioni per la Certosa di Pavia, Il giardino dell'Arte: teatro musicale per bambini e ragazze, Centri socio ricreativi, Università della terza età ecc.). La sua discografia ha sempre cercato il connubio tra musica, letteratura e poesia. La sua ultima pubblicazione è “Saffosonie - Cantando liriche di Saffo” per Moletto Edizioni Musicali.
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Chi mette il piè su l'amorosa pania.
cerchi ritrarlo, e non 'inveschi l'ale;
che non è in somma amor, se non insania,
a giudizio de' savi universale:
e se ben come Orlando ognun non smania,
suo furor mostra a qualch'altro segnale.
E quale è di pazzia segno più espresso
che, per altri voler, perder se stesso?
Orlando Furioso, Ludovico Ariosto
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“Nella forma più nobile, la vita sottrae. Il gesto divelto della prova”. Veronica Tomassini fa la rivoluzione: caro lettore, se vuoi un romanzo rivolgiti direttamente all’autore… Come le grandi mistiche, dal niente trae la luce
Questa piccola donna, statuaria nel suo dolore, convinta di essere una candela – colei che si scioglie all’obbedienza di una fiamma – è una spada, in verità. Questa piccola donna, con occhi simili al Canto del Servo di Isaia, dieci anni dopo l’esordio, clamoroso, Sangue di cane, eleva il suo sangue dalla cagnara della letteratura presente, vigente, vincente, e ne fa opera. Fa una piccola rivoluzione, come sa fare lei: disegna qualcosa sulla terra, in uno squarcio periferico, nel mezzogiorno metallico ostile alla pietà, dove i palazzi in falangi hanno pure l’ardore della Città di Dio, e muove un millennio. Come le grandi mistiche – quante volte gliel’ho detto – Caterina da Siena, Veronica Giuliani, Louise du Néant, che dal niente traggono un Niagara di luce. Veronica Tomassini. Eccola lì, fragile, all’apparenza, questa donna devota e violenta, coraggiosa alla preghiera, capace di mordere il crudo, di strappare. Graziata da una serie di libri importanti – ne cito alcuni: Il polacco Maciej, Christiane deve morire, L’altro addio, Mazzarrona – divenuta già canone nell’altro lato dell’oceano (è discussa nello studio, Righetous Anger in Contemporary Italian Literary and Cinematic Narrative, a cura di Stefania Lucamante, edito dalla University of Toronto Press), s’è rotta le palle dell’editoria italiana, prona non tanto alle convenienze e alle conventicole ma al volo basso, alle mezze misure, alle mezze seghe, e ha stampato l’ultimo romanzo, Vodka siberiana, da sé. L’ha fatto come si confà a un grande libro: copertina accurata, grafica adatta (il tutto a cura di Alina Catrinoiu), scrittura… beh… fate voi, vi lego un brandello. Una volta Flavio Santi ha scritto che se fossimo in un Paese normale la poesia di Simone Cattaneo sarebbe trattata come quella di Simon Armitage (incidentalmente elevato a poet laureate in UK). Io dovrei dire che se fossimo in un Paese decente Veronica Tomassini, che scrive con l’estro di Marina Cvetaeva, è allo stesso tempo classica e postumana, arcadica e arcana, totalmente ‘attuale’ e del tutto fuori tempo, una specie di incrocio tra Katherine Mansfield, Angela da Foligno e l’Apocalisse, avrebbe la fama che fu concessa a Marguerite Duras. Dai suoi libri mungerebbero film. In tivù farebbero a gara per avere la sua opinione su tutto. E lei li incenerirebbe tutti – tutti abominevoli nel loro urlato perbenismo, nella loro laccata rincorsa al trono. Ma questo è un paese a contrario, incapace a forgiare un immaginario, uno straccio di mito, è un paese a quattro zampe che subisce i miti altrui, servile, inebetito, beato in un vuoto cinismo. Ecco. In questo paese votato al sorriso e all’ira misera Veronica Tomassini ha compiuto una piccola rivoluzione. Il suo gesto, da scrittrice con una bibliografia aurea alta così, non riguarda la rivalsa: qui la vicenda delle altezze e del rango (proprio di chi, da re, lecca il sottosuolo) è ribaltata. Le grandi major editoriali, abbiate pietà di loro, non sono in grado, non hanno la grandezza per pubblicare Veronica Tomassini. La scrittrice è ingombrante. Sembra una creatura piccola, una ‘creaturina’, ma è troppo vasta. È un oceano. Un oceano decuplicato. Come fai a contenerla? Veronica Tomassini ti massacra. Pubblicare lei significa mandare al macero gli altri. Allora, lei fa da sé. E impone un nuovo ritmo alla letteratura. Da ora, è il lettore che deve reclamare lo scrittore. Se vuoi il libro, devi rivolgerti allo scrittore. E lui, con una cura magistrale, te lo spedisce. Gli editori debbono incassare; allo scrittore, a precipizio nell’opera, basta sopravvivere, vivere. Il gesto di Veronica Tomassini, in fondo, è una chiamata. Fate come me. Impone un novo modo, un mondo nuovo. Sfida gli altri scrittori. Avete le palle di fare come me? Veronica Tomassini sembra fragile. Ma è una che fonda monasteri. (d.b.)
*
Pubblichiamo un brano da “Vodka siberiana”, l’ultimo romanzo di Veronica Tomassini
Ti attraversano d’un tratto – come scivolando confusamente su un corrimano malconcio – gli ultimi mesi, che non sai come chiamare. Miracolo. Se devi per forza dare un nome alle cose. Tanto hai peccato, tanto sei precipitata, tanto qualcosa ti restituiva nella perfezione del dolore.
La perfezione del dolore si sarebbe manifestata alla fine del tempo fissato per te e gli abitanti della casa costruita sulle maree. Una ciurma di sbandati con una sola aspirazione: disaffezionarsi alla vita. La vita, qualsiasi cosa volesse significare. Allora ti sembrava che fosse soltanto una questione di sottrazione, che la vita avanzava, togliendo. Nella forma più nobile, la vita sottrae. Il gesto divelto della prova. Riconsegna talvolta, anzi lo fa senz’altro, non quel che credevi, forse, o speravi. Ma è meglio, è peggio?
Cosa puoi dirmi oggi? La perfezione del dolore è di gran lunga superiore alla perfezione della tua solitudine. La tua dimora è inedificabile eppure è indistruttibile.
Sotto la pioggia, aspetti fino a sera. Novembre diventa un mese implacabile, luttuoso. Novembre contiene giorni di lontananze. La tua dimora erigeva piano piano bastioni e isole di infelicità, erano cime, pinnacoli svettanti e lucidi. Lampeggiavano quel che sarebbe stato da allora.
La pioggia ti scivolava addosso, era il cenno, un sentiero verso reiterate mestizie. E in reiterato risuona nel tempo l’aggettivo all’occorrenza che rimprovera l’accecamento, l’ostinazione, la tua devozione alla suggestione di un desiderio, lo trasformi, diventa una speranza. Sei ostinata. Vuoi essere amata, non senti ragione.
Sei misera.
Sei sola.
L’usciere ha dato il turno al collega, anonimo e indifferente alla stessa maniera. Dentro, la brigata di imperdonabili è una macchia, un paesaggio di carne viva all’apparenza, un esperimento di costruzioni empiriche imperfette, da verificare e espellere come un feto concepito svogliatamente, un parto orrorifico.
C’è un bar di fronte il palazzo della caserma. Due arabi conversano animosamente. Un tale chiede soldi ai passanti. Non vedi altro che l’umanità derelitta declinare di sbieco in un enorme sottoscala, bigio, giallognolo.
Aspetti l’autobus sotto la pensilina, non ti protegge abbastanza da una strana morte che ti ha investito, il gelo dell’impossibilità, o la morte. E tuttavia è soltanto un anticipo o la conferma del tuo destino, sarebbe diventata la tua poetica, il destino dell’impossibilità, delle cose che non succedono, che si divaricano piuttosto, il tuo protrarsi nella disperazione, compiaciuta, nel crogiolo di ogni disfatta, accudita meticolosamente. Tornerai l’indomani e aspetterai per sempre finché le cose avrebbero smesso di succedere per procurare cordoglio, separarti dal resto.
Separarti, ogni volta, separarti. Hai imparato a chiedere perché, perché, perché, fino a sfinirti. Ma mai del tutto. La tua infelicità parziale ti abita, sicché, nessuno può entrarvi.
Sali sulla corriera. Poggi la fronte al vetro, le gocce arrivano di traverso, come la tua vita, l’umanità che procede verso i reflui, la sottodimensione del poveraccio, del peccatore debitore. Non sei una santa. A te non importa nulla dell’umanità che procede. Vuoi solo dormire. Così dormi, la fronte sul vetro, le lacrime stentoree e fisse, sono tracce del tuo spirito provato, indefesso o pigro. Ma provato, nell’istante in cui la pioggia sbatte di sbieco sul finestrino di una corriera. E tu dormi.
Veronica Tomassini
**In copertina: Caravaggio, Santa Caterina d’Alessandria, 1599
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BEST OF 2019: I DIECI LIBRI PIÙ BELLI LETTI QUEST’ANNO
È venerdì 3 gennaio, sono in pausa pranzo dopo aver ripreso in mano la email di lavoro e la mia agenda e cercando di raccapezzarci qualcosa, il problema è che ho rimosso tutto. Per fortuna il vero problema sarà rientrare in ufficio il 7 gennaio, con il clamore del rientro. Ma questo è un dettaglio per un altro momento. Fare i conti con le mie letture dell’anno potrebbe essere più problematico che mai, dal momento che ho si raggiunto la sfida di Goodreads di leggere 100 libri, ma ho barato un po’: ho letto tanti libri brevi, tante novelle, tante raccolte di racconti, tante romance. Se ripenso ai libri davvero belli che ho letto quest’anno me ne tornano in mente pochi. E in effetti sono poche le letture che hanno colpito il mio immaginario. Ho recuperato un sacco in realtà durante le vacanze di Natale, solo a dicembre ho letto 22 libri, che sono tantissimi (certo, valgono le raccomandazioni di cui sopra). È per questo che quest’anno voglio darmi un obiettivo più basso, ma leggere libri di sostanza, che mi interessano davvero e che non sono semplici tappabuchi. Non che quelli che ho letto quest’anno non mi abbiano intrigato, preso, conquistato. Ma sono stata piuttosto pigra. La sera ho preferito andare a letto o guardare serie tv (ho rifatto una super mega maratona di Scrubs, telefilm della vita) e/o drama.
Ma voglio sicuramente rimediare nel 2020. Vorrei leggere della bella narrativa, orientarmi di più sui saggi, e tornare a leggere classici. Ecco mi piacerebbe avere un insieme di letture più consistente, meno quantità e più sostanza. Considerando che per me le romance sono un vero e proprio antistress vedremo come si metterà. Un’altra cosa che mi piacerebbe fare è leggere i cartacei che ho accumulato nel tempo, ormai sono davvero sommersa, ho pile ovunque. E pur avendone letti tanti, tantissimi restano intonsi, a meno degli autografi che ho beccato.
E ora, eccoci con l’elenco dei dieci libri più belli che ho letto quest’anno, ci tengo a precisare che non si tratta di una classifica, ma di un elenco casuale. Tra l'altro si tratta di una classifica tutta al femminile, e non posso che esserne infinitamente contenta.
Enjoy!
I leoni di Sicilia – Stefania Auci
Dal momento in cui sbarcano a Palermo da Bagnara Calabra, nel 1799, i Florio guardano avanti, irrequieti e ambiziosi, decisi ad arrivare più in alto di tutti. A essere i più ricchi, i più potenti. E ci riescono: in breve tempo, i fratelli Paolo e Ignazio rendono la loro bottega di spezie la migliore della città, poi avviano il commercio di zolfo, acquistano case e terreni dagli spiantati nobili palermitani, creano una loro compagnia di navigazione… E quando Vincenzo, figlio di Paolo, prende in mano Casa Florio, lo slancio continua, inarrestabile: nelle cantine Florio, un vino da poveri – il marsala – viene trasformato in un nettare degno della tavola di un re; a Favignana, un metodo rivoluzionario per conservare il tonno – sott’olio e in lattina – ne rilancia il consumo in tutta Europa… In tutto ciò, Palermo osserva con stupore l’espansione dei Florio, ma l’orgoglio si stempera nell’invidia e nel disprezzo: quegli uomini di successo rimangono comunque «stranieri», «facchini» il cui «sangue puzza di sudore». Non sa, Palermo, che proprio un bruciante desiderio di riscatto sociale sta alla base dell’ambizione dei Florio e segna nel bene e nel male la loro vita; che gli uomini della famiglia sono individui eccezionali ma anche fragili e – sebbene non lo possano ammettere – hanno bisogno di avere accanto donne altrettanto eccezionali: come Giuseppina, la moglie di Paolo, che sacrifica tutto – compreso l’amore – per la stabilità della famiglia, oppure Giulia, la giovane milanese che entra come un vortice nella vita di Vincenzo e ne diventa il porto sicuro, la roccia inattaccabile.
Di questo libro mi rimarrà impresso l’abbraccio che ci siamo date io e Stefania Auci nello stand della Gems nel mezzo del Salone del Libro, in cui perse completamente le speranze di incontrarla, me la sono trovata di fianco mentre salutavo Alice Basso e naturalmente ha autografato la mia copia del romanzo. Ma di questo libro ero immensamente curiosa: un po’ perché seguendo la Auci da tanto tempo so quanto sia meticolosa, attenta, capace, un po’ perché le saghe familiari sono uno dei filoni che più mi attraggono, soprattutto se parliamo di uno sfondo storico, soprattutto se verità e leggenda si confondono. La storia di una famiglia, di una città, di una impresa dai colori sgargianti del mare, dai profumi delle spezie, dai miasmi delle carcasse dei tonni, dalle intemperanze degli uomini e dai sentimenti autentici di chi cerca di emergere a dispetto di tutto.
La mia recensione.
Circe – Madeline Miller
Nella casa del dio Sole nasce una bambina, Circe, tanto diversa dai suoi genitori e fratelli divini. Ha un aspetto fosco, un carattere difficile e, soprattutto, preferisce la compagnia dei mortali a quella degli dèi. Per queste sue eccentricità, e a seguito dei primi amori infelici, finirà esiliata sull'isola di Eea, dove affinerà le arti magiche, scoprirà le virtù delle piante e apprenderà a addomesticare le bestie. Qui il suo destino si incrocerà con quello di alcuni dei principali eroi della mitologia classica: l'inventore Dedalo e il suo figlio ribelle Icaro, il mostruoso Minotauro, l'avventuroso Giasone e la tragica Medea, e poi, naturalmente, il suo amato Odisseo, ma anche il figlio di lui Telemaco e la moglie Penelope…
Quando si affrontano personaggi tanto famosi c’è sempre una certa trepidazione, perché inevitabilmente si deve fare i conti con l’immaginario collettivo, la tradizione consolidata, i mille tentativi di rappresentazione più o meno riusciti. Circe poi è un personaggio controverso e complicato che non si conquista certo un bel posto nelle preferenze dei lettori, soprattutto per quell’immagine inquietante della maga che trasforma gli uomini in maiali presa da una rabbia feroce e irrefrenabile. Eppure la Miller riesce in un’impresa meravigliosa, prendere Circe e trasfigurarla, in una donna, in una figura femminile forte, consapevole, intelligente, umana. Circe è la somma delle proprie scelte, dei propri sentimenti, dei propri incantesimi. È l’emblema della maga, ma è anche una donna appassionata e passionale, che vive tutte le sue battaglie con coraggio e amore. Questa è la storia di una dea maga, ma è soprattutto la storia di una donna alle prese con tutto il caleidoscopio di esperienze che la rendono umana.
La mia recensione
LeAli – Rebecca Quasi
Una figlia appena nata, una promessa alla quale non può sottrarsi e un futuro tanto incerto quanto doloroso, sono ciò che Adriano Abregal, ingegnere di Formula Uno, si trova a dover affrontare. Il fatto che al suo fianco ci debba per forza essere Bianca Bastiani, una ballerina dallo stile di vita turbolento, non è certo incoraggiante. E per far funzionare la cosa i due “soci” studiano un patto blindato e preciso come un pit stop, una terra di nessuno asettica e impersonale dove all'apparenza sentimenti e passione non dovrebbero avere diritto di cittadinanza.
Ci sono incontri fortuiti e non premeditati che avvengono per caso e riescono a cambiare prospettiva sulle cose. Ci vuole poco in effetti e poi riescono a cambiare le prospettive. Con Rebecca Quasi è stato così, me ne stavo a lamentarmi su Goodreads del fatto che non trovassi romance all’altezza delle mie aspettative, quando una ragazza mi ha suggerito il suo nome. A quel punto è stato inevitabile comprare il primo libro e leggerlo, innamorarmi, e letteralmente macinare le pagine di tutta la sua produzione in una decina di giorni frenetici. E questo volume non fa eccezione, forse il mio preferito. Le sue storie riescono a restituire una atmosfera in cui riconoscersi, storie realistiche, mai banali, che allo stesso tempo non hanno bisogno di chissà di quale artificio per essere godibili. “LeAli” non fa eccezione e si illumina di due protagonisti dalle passioni forti e contrastanti che però riescono a trovare più di un punto in comune. Una storia che sembra svolgersi su un palcoscenico, la danza, inquieta e impietosa, di due dolori che si intersecano per creare una nuova realtà. Un cerchio che si chiude guidato dalla penna magica di Rebecca Quasi.
La mia recensione
I Cieli – Sandra Newman
New York, 2000. Kate e Ben si incontrano a una festa e s'innamorano subito. È l'alba di un nuovo millennio, il primo senza una guerra in nessuna parte del mondo. L'ONU ha appena piantato la sua bandiera su Marte. Una senatrice del partito dei verdi sta per diventare la prima presidente degli Stati Uniti. Kate si addormenta, consapevole di essere amata. Londra, 1593. Da sempre, ogni notte, Kate sogna di essere Emilia, musicista e poetessa italiana nell'Inghilterra della fine del Cinquecento. Tormentata dal presagio di una città bruciata e distrutta, decide di salvare il mondo. Ogni decisione che prenderà, influenzerà la vita di un giovane e sconosciuto poeta, William Shakespeare, quella di Kate e di Ben, il mondo del Duemila. Una storia d'amore, di universi alternativi, di follia, di poesia e di viaggi nel tempo. Un sogno annidato in un bizzarro risveglio; un romanzo su quel che abbiamo perduto e quel che ancora possiamo salvare.
È difficile incasellare questo libro, è difficile trovargli una collocazione ed è anche estremamente complicato parlarne senza spoilerare tutto, in un incastro di situazioni sempre più rapide in un mondo che evolve con un battito di ciglia. È una storia travolgente, che ridisegna i confini del mondo così come lo conosciamo e che si riassesta ad ogni cambiamento, ad ogni modifica in maniera quasi incongruente. Una storia incerta e assoluta, la sovrapposizione di così tanti layer, di così tante decisioni, che è il risultato probabilmente anche delle interpretazioni del lettore. A tratti angosciante e a tratti illuminante, I Cieli è una storia da leggere in un fiato.
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Persone normali – Sally Rooney
A scuola Connell e Marianne fanno finta di non conoscersi. Lui è popolare e ben inserito, la star della squadra di calcio della scuola, lei invece è una solitaria, orgogliosa e ci tiene alla sua privacy. Ma quando Connell va prendere sua madre che fa la domestica a casa di Marianne, una strana e indelebile connessione cresce tra i due adolescenti – una connessione che sono determinati a tenere nascosta. Un anno più tardi, stanno entrambi studiando al Trinity College a Dublino. Marianne ha trovato il suo posto in una nuova realtà sociale, mentre Connell rimane in disparte, timido e incerto. Durante i loro anni al college, Marianne e Connell si rincorrono, deviando verso altre persone e possibilità, ma sempre, magneticamente e irresistibilmente attratti l’uno verso l’altro. Poi, mentre lei vira verso l’autodistruzione e lui inizia a cercare significati altrove, devono confrontarsi entrambi su quanto entrambi sono disposti a sacrificare per salvare l’altro. Sally Rooney porta il suo brillante acume psicologico e la sua prosa in una storia che esplora il sodalizio di classe, l’elettricità del primo amore e il complesso legame tra famiglia e amicizia.
È una storia potente che sfugge alle linee guida della narrativa e si incunea nella descrizione dei millennial, con i loro egoismi, le loro sensazioni, le loro idiosincrasie e le loro inadeguatezze. Le storie, anche quelle d’amore, partono sempre dagli individui singoli che creano una coppia, partono dai loro pensieri, le loro emozioni, le loro paure. È sempre la somma di due entità che si amalgamano, di scelte che si comprimono, di egoismi che si snaturano. Non è facile trovare il compromesso, non è facile prendere in mano la propria vita, soprattutto quando sei in una provincia dispersa, con i pregiudizi che si affastellano intorno a te. Sally Rooney ha la capacità di cristallizzare momenti e fissare dialoghi in diapositive che riassumono il disincanto di una generazione e i disagi della giovinezza, in un imperativo impellente che sfugge le logiche di quella che comunemente chiamiamo normalità.
La mia recensione
Le avventure di Washington Black – Esi Edugyan
George Washington Black, detto Wash, è uno schiavo di undici anni in una piantagione di canna da zucchero delle Barbados. Wash è terrorizzato dalla scelta del suo padrone di cederlo al fratello come servitore. Con sua sorpresa, tuttavia, l’eccentrico Christopher Wilde risulta essere un naturalista, un esploratore, un inventore e, soprattutto, un abolizionista. Presto Wash viene introdotto in un mondo di bizzarre invenzioni, in cui una macchina volante può trasportare un uomo attraverso il cielo, dove un ragazzo nato in catene può abbracciare una vita di dignità e libertà e dove due persone, separate da classi sociali distinte, possono vedersi solo come esseri umani. Ma quando un uomo viene ucciso e viene messa una taglia sulla testa di Wash, Christopher e Wash devono abbandonare tutto. Quello che segue è il loro volo lungo la costa orientale dell’America e, infine, verso un remoto avamposto nell’Artico. Presto la fuga spingerà Wash ancora più lontano, alla ricerca del suo vero sé. Dai campi di canna da zucchero dei Caraibi al lontano Nord, dai primi acquari di Londra agli inquietanti deserti del Marocco, La storia di Washington Black racconta una faccenda di tradimento, amore e redenzione, ponendo una domanda universale: qual è la vera libertà?
Questo libro mi è apparso davanti gli occhi in una scorribanda in libreria questa estate. La copertina mi ha incuriosita, la trama mi ha conquistato completamente. Prendete una storia insolita, un esploratore, un pallone aerostatico ed eccomi sono pronta a partire per l’avventura. E in effetti questo libro ti risucchia completamente nella storia. La storia di Esi Edugyan è una freccia scagliata nel buio, che segue, inevitabilmente le peregrinazioni di un giovane uomo che sfugge a tutta quella che potrebbe essere la sua condizione di schiavo fino alla fine dei suoi giorni per una serie fortuita di eventi. Ma anche chi ce la fa in fondo, ha sempre dalla sua lo zampino della sorte, che fornisce o le condizioni ideali o i presupposti per far muovere i passi alla storia. Descrizioni incredibili, un’emozionante avventura, un viaggio fisico e mentale per il globo e nel cuore alla ricerca delle risposte alle domande universali che sono in testa all’uomo da secoli. Perché la vita è un viaggio e ogni viaggio una scoperta.
La mia recensione
Una volta è abbastanza – Giulia Ciarapica
L'Italia è appena uscita dalla guerra. A Casette d'Ete, un borgo sperduto dell'entroterra marchigiano, la vita è scandita da albe silenziose e da tramonti che nessuno vede perché a quell'ora sono tutti nei laboratori ad attaccare suole, togliere chiodi, passare il mastice. A cucire scarpe. Annetta e Giuliana sono sorelle: tanto è eccentrica e spavalda la maggiore - capelli alla maschietta e rossetti vistosi, una che fiuta sempre l'occasione giusta - quanto è acerba e inesperta la minore, timorosa di uscire allo scoperto e allo stesso tempo inquieta come un cucciolo che scalpita nella tana, in attesa di scoprire il mondo. Nonostante siano così diverse, l'amore che le unisce è viscerale. A metterlo a dura prova però è Valentino: non supera il metro e sessantacinque, ha profondi occhi scuri e non si lascia mai intimidire. Attirato dall'esplosività di Annetta, finisce per innamorarsi e sposare Giuliana. Insieme si lanciano nell'industria calzaturiera, dirigendo una fabbrica destinata ad avere sempre più successo. Dopo anni, nonostante la guerra silenziosa tra Annetta e Giuliana continui, le due sorelle non sono mai riuscite a mettere a tacere la forza del loro legame, che urla e aggredisce lo stomaco. In queste pagine che scorrono veloci come solo nei migliori romanzi, Giulia Ciarapica ci apre le porte di una comunità della provincia profonda: tra quelle colline si combatte per il riscatto e tutti lottano per un futuro diverso. Non sanno dove li porterà, ma hanno bisogno di credere e di andare.
È uno di quei libri capitati per caso nella mia lista delle cose da leggere, ma sono rari i libri ambientati nelle Marche, mia terra di origine e non potevo lasciarmi scappare l’occasione di immergermi in quelle colline baciate dal mare e dalla montagna, con quintali di storia da scoprire e centinaia di piccoli Borghi. La Ciarapica mi ha conquistato fin dalla prima pagina, con il suo linguaggio schietto e le descrizioni stringate, con il carattere tipico di un popolo un po’ diffidente e un po’ alla buona. Giulia Ciarapica ha tratteggiato una storia che supera i confini di un territorio e parla a tutti, pur conservando strette le proprie radici. Questa è una storia di forza, di sacrificio, di valori che si nutrono di sofferenze e sorrisi, di famiglia e di nemici, con un finale mozzafiato. Benvenuti nelle Marche.
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La fabbrica delle bambole - Elizabeth Macneal
Giorno dopo giorno Iris Whittle siede nell’umido emporio di bambole di Mrs Salter e, china sui visi di porcellana in lavorazione, dipinge schiere di boccucce e occhietti tutti uguali. Ma la notte esce di soppiatto dal letto, scende in cantina, tira fuori colori e pennelli e riversa sulla carta la sua passione per la pittura. La tecnica è primitiva, certo, la famiglia e la società contrarie, e perfino la sua gemella Rose, un tempo sua complice ma ora esacerbata da un male che l’ha deturpata per sempre, le è ostile. E c’è quel leggero difetto della spalla a consigliarle di cercarsi un buon marito e accontentarsi di quel che ha. Ma lo spirito di Iris è indomito, la sua vocazione prepotente e, quanto alla presenza femminile nell’arte pittorica, non esiste forse il precedente di Lizzie Siddal, pittrice oltre che modella di John Everett Millais e Dante Gabriel Rossetti, esponenti di quella cosiddetta «Confraternita dei Preraffaelliti» che fa tanto parlare di sé? Quando Louis Frost, un altro membro della stessa cerchia, le chiede di posare per lui, Iris, in spregio a ogni convenzione del decoro vittoriano, accetta, ma solo in cambio di lezioni private di pittura. Per lei si aprono nuovi orizzonti: la libertà per sé e quelli che ama, da sua sorella Rose al generoso monello di strada Albie, l’arte, l’amore, molti incontri importanti, alcuni insospettati. Passeggiando in quella tumultuosa fucina di novità che è il cantiere per la Grande Esposizione di Hyde Park, la sua figura singolare cattura lo sguardo di un passante fra i molti. È Silas Reed, tassidermista di poco conto e grande ambizione, con un morboso attaccamento per le cose morte e una curiosa predilezione per ciò che è imperfetto. Silas, Iris, Louis, il monello Albie, le prostitute del bordello, i clienti della taverna, i pittori preraffaelliti danno vita a un romanzo storico vividissimo e carico di tensione che appassionerà i lettori di Jessie Burton e Sarah Perry.
Questo libro è entrato nelle mie cose da leggere perché mi sono innamorata a prima vista della copertina (curioso vero?) e perché al primo accenno di atmosfere della Londra Vittoriana ero già partita per la tangente, compreso il riferimento ai pittori Preraffelliti che mi hanno sempre colpito molto. Ci è voluto un attimo per perdermi nelle atmosfere di questo libro, e innamorarmene. Sono sempre particolarmente affascinata dalle atmosfere vittoriane, di quella Londra ottocentesca che si sviluppa all’ombra delle fabbriche a vapore e che si destreggia tra la povertà estrema e la ricchezza più sfarzosa, che trova il suo culmine proprio nella Grande Esposizione, un ricettacolo di invenzioni, scoperte, eventi. La bravura della Macneal, una ceramista, sta proprio nella sua incredibile bravura nel delineare personaggi e situazioni, tratteggiandoli con pochi semplici tratti. Una storia affascinante e misteriosa, che segue le aspirazioni, le paure e gli amori di un gruppo di persone apparentemente lontanissime tra loro, ma collegate dalla trama del destino. Un viaggio tra tecniche di imbalsamazione, studio pittori e stratagemmi per la sopravvivenza. Un ritratto magico e impressionante della Londra Vittoriana.
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Chirù – Michela Murgia
Quando Eleonora e Chirù s'incontrano, lui ha diciotto anni e lei venti di più. Le loro vite sembrano non avere niente in comune. Eppure è con naturalezza che lei diventa la sua guida, e ogni esperienza che condividono - dall'arte alla cucina, dai riti affettivi al gusto estetico - li rende più complici. Eleonora non è nuova a quell'insolito tipo di istruzione. Nel suo passato ci sono tre allievi, due dei quali hanno ora vite brillanti e grandi successi. Che ne sia stato del terzo, lei non lo racconta volentieri. Eleonora offre a Chirù tutto ciò che ha imparato e che sa, cercando in cambio la meraviglia del suo sguardo nuovo, l'energia di tutte le prime volte. È cosí che salgono a galla anche i ricordi e le scorie della sua vita, dall'infanzia all'ombra di un padre violento fino a un presente che sembra riconciliato e invece è dominato dall'ansia del controllo, proprio e altrui. Chirù, detentore di una giovinezza senza più innocenza, farà suo ogni insegnamento in modo spietato, regalando a Eleonora una lezione difficile da dimenticare. Michela Murgia torna al romanzo, e lo fa con coraggio, raccontando la tensione alla manipolazione che si nasconde anche nel più puro dei sentimenti. Negli occhi di Eleonora e Chirù è scritta la distanza fra quello che sentiamo di essere e ciò che pensiamo di dovere al mondo: l'amore è la più deformante delle energie, può chiederci addirittura di sacrificare noi stessi.
Potevo probabilmente scegliere altri libri della Murgia, ne ho letti altri nel 2019, Il mondo deve sapere o Noi siamo tempesta, ma è Chirù che più mi ha colpito. È una storia complicata e anche provocatoria, sopra le righe e un po’ inquietante, ma è anche molto onesta e offre parecchi spunti di riflessione. La Murgia scava in Eleonora e attraverso di lei veniamo a scoprire anche le contraddizioni presenti in Chirù, il suo allievo. Ma la protagonista indiscussa è lei, una donna che lotta per affermarsi, ma che è troppo fragile per essere davvero felice. Un complesso racconto che si staglia tra un passato rivangato sempre più malvolentieri più ci si avvicina al nocciolo della imperturbabilità di Eleonora e alle vere ragioni del suo tentennare, quel passato che plasma e uccide pezzi di noi. Una storia complessa che mi ha molto colpito.
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E ogni corsa è l’ultima – Leila Awad
“Lui è mio” è quello che Daisy Potter pensa guardando Niccolò De Santis, con orgoglio, gioia e un pizzico di paura. Su Niccolò ha costruito i propri progetti per il futuro, i sogni, le speranze. Non come fidanzato o come amante, ma come pilota di punta della scuderia di Formula 1, la Potter Racing, di cui sta prendendo le redini. Quello che Daisy non ha considerato, però, è che Niccolò non è solo il vip che nel tempo libero si improvvisa dj e si accompagna a modelle sui red carpet. Quando una convivenza obbligata li costringe a mettersi a nudo, in una Roma da scoprire attraverso le parole di un diario antico secoli, ogni distanza comincia ad affievolirsi e quel “è mio” assume tratti diversi. Troveranno il coraggio di affrontare i rispettivi sentimenti o si nasconderanno dietro muri di maschere e paure?
Questo libro è in questo elenco perché se devo pensare ad un libro che mi ha fatto bene al cuore penso inevitabilmente alla storia di Daisy e Niccolò. Leggerla è come fare un tuffo in una realtà alternativa e si percepisce immediatamente la passione per un mondo, come quello della Formula1, serio, dinamico, sfidante e totalizzante. La storia di Daisy e Niccolò è un viaggio, alla scoperta delle proprie passioni e delle proprie origini che lascia lo spazio a nuove emozionanti avventure. E io, ne voglio ancora. La bravura di Leila emerge chiara dalle pagine, in una corsa contro il tempo e contro le paure dei protagonisti, in un incontro scontro che evolve tra momenti magici e atmosfere adrenaliniche, in mezzo ad un mondo, come quello della Formula1, che non lascia troppi spazi a dubbi.
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Viaggiatori tedeschi nel Sud Italia
di Paolo Vincenti
L’interesse dei tedeschi per il sud Italia parte da lontano. Già nel Cinquecento, Paul Schede detto Melissus (1539-1602) parlò di Rudiae negli Epigrammata in urbes Italiae del 1585 (1). Johann Heinrich Bartels (1761-1850) visita il Sud ma solo la Calabria e la Sicilia, verso la fine del Settecento, e documenta il suo viaggio nell’opera Briefe über Kalabrien und Sizilien. Dieterich, Göttingen 1787–1792 (2). Nel Settecento, arrivano in Italia il Barone von Riedesel e il pittore Jacob Philipp Hackert. Abbiamo già detto del tedesco Johann Hermann von Riedesel, barone di Eisenbach (1740-1785) e del suo libro, Un viaggiatore tedesco in Puglia nella seconda metà del sec. XVIII. Lettere di J.H.Riedesel a J.J.Winckelmann, che è, come dice il titolo, un’opera epistolare, diretta al famoso archeologo Winckelmann (3).
Diplomatico e ministro prussiano, Riedesel aveva conosciuto a Roma e frequentato il Winckelmann, il quale gli aveva fatto da guida nella esplorazione dei monumenti della città. Il suo libro divenne un punto di riferimento in Germania e fu molto letto, anche da Goethe, che lo elogia nella sua opera “Viaggio in Italia”, in cui sostiene di portarlo sempre con sé, come un breviario o un talismano, tale l’influenza che quel volume, per la puntigliosità e l’esattezza delle notizie, esercitava sugli intellettuali (4).
Jacob Philipp Hackert (1737-1807), nella sua opera pittorica I porti delle Due Sicilie (Napoli 1792) inserì i porti di Gallipoli e di Otranto. Il grande artista divenne pittore di corte del re Ferdinando IV di Napoli e in questa veste fu in Italia con molti incarichi come quello di supervisionare il trasferimento della collezione Farnese da Roma a Napoli. Fu amico di Goethe che scrisse di lui nella sua opera “Viaggio in Italia”. Ma l’incarico più prestigioso che il pittore ricevette dal re Ferdinando IV fu la commissione del famoso ciclo di dipinti raffiguranti i porti del Regno di Napoli.
Le numerose vedute dei porti si articolano in tre gruppi suddivisi tra le vedute campane, pugliesi, calabresi e siciliane. Per eseguire i disegni preparatori si recò così in Puglia e in Campania. La serie comprende 17 quadri e si trova ancora oggi custodita alla Reggia di Caserta; vi sono raffigurati esattamente i porti di Taranto, Brindisi, Manfredonia, Barletta, Trani, Bisceglie, Monopoli, Gallipoli, Otranto.
La serie è stata in mostra, dal 20 giugno al 5 novembre 2017, presso la Sala Ennagonale del Castello di Gallipoli (Lecce). L’esposizione intitolata “I porti del Re”, a cura di Luigi Orione Amato e Raffaela Zizzari, prodotta dal Castello in collaborazione con la Reggia di Caserta e il Comune di Gallipoli, ha visto all’inaugurazione l’intervento dello storico dell’arte Philippe Daverio e del direttore generale della Reggia di Caserta, Mauro Felicori (5). Nel giugno 2018, si è tenuta a Brindisi la grande mostra: “Brindisi: Porto d’Oriente”, a Palazzo Nervegna, dove è stato possibile “ammirare per la prima volta il celebre quadro ‘Baia e Porto di Brindisi’ che il vedutista prussiano Jakob Philipp Hackert realizzò nella seconda metà del ‘700 su incarico del re Ferdinando IV di Borbone. L’esposizione è stata organizzata nell’ambito del progetto ‘La Via Traiana’ e comprendeva una serie di opere che raccontano la storia della città attraverso alcune vedute del porto, fatte dai viaggiatori del ‘700” (6). Anche lo scrittore Johann Wilhelm von Archenholtz (1741-1813), famoso politologo, era stato in Italia ma egli, pur essendo tedesco, aveva pubblicato un’opera intitolata England und Italien, nel 1785, nella quale contrapponeva i due paesi, appunto il Regno Unito e l’Italia, con due sistemi politici diversi, propendendo decisamente per l’Inghilterra. Tuttavia nelle critiche feroci che Wilhelm fa a Genova, Venezia, allo Stato della Chiesa e al Regno di Napoli, è facile scorgere una larvata accusa alla sua Germania (7). Il poeta Friedrich Leopold Stolberg (1750-1819) nella sua opera Reise in Deutschland, der Schweiz, Italien und Sicilien in den Jahren 1791 und 1792, 4 voll., 1794, documenta il suo viaggio nel sud Italia dove però manifesta una posizione anticlassica e irrazionalistica, che provocò la sdegnata reazione di Goethe.
L’opera è stata recentemente tradotta in italiano da Laura A. Colaci, che scrive: “Dopo il viaggio nel Sud della Germania e della Svizzera col fratello e con Goethe, Stolberg ne intraprese uno più lungo in compagnia della moglie Sophie von Redern, del figlioletto, di G.A. Jacobi e G.H.L. Nicolovius attraverso la Germania, la Svizzera e l’Italia.
Frutto di questo viaggio è il volume Reise in Deutschland, der Schweiz, Italien und Sicilien in den Jahren 1791 und 1792. Viaggiò in Puglia dal 3 al 17 maggio del 1792”(9). Si tratta di un’opera epistolare, composta cioè delle lettere che egli aveva inviato durante il suo soggiorno nel nostro Paese a vari corrispondenti tedeschi. Queste lettere però vennero rielaborate per la loro pubblicazione e ciò portò ad una certa stilizzazione, soprattutto in quelle che hanno un maggiore contenuto politico religioso. Egli visitò Brindisi, Lecce, Otranto, Gallipoli.
Il compagno di viaggio di Stolberg, Georg Arnold Jacobi (1768-1845), al ritorno dal suo viaggio pubblica Briefe aus der Schweiz und Italien nel 1796-7, ossia una raccolta delle sue lettere inviate da Brindisi, Lecce e Gallipoli. Sempre di un’opera epistolare dunque si tratta, ma le lettere dello Jacobi sembrano essere più in presa diretta, ovverosia meno stilizzate, di quelle del suo compagno di viaggio Stolberg, e soprattutto si nota in lui una minore componete polemica, pur essendo protestante e classicista anch’egli. È molto più critico però nei confronti del governo di Napoli e del malcostume che in quella città allignava. Mentre la prosa dello Stolberg è più accattivante, controllata e in qualche modo romantica, avendo egli rimaneggiato le lettere, quella dello Jacobi è invece più scarna e realistica. Entrambi i viaggiatori comunque sono attratti dai resti dell’antichità classica, per cui, specie quando giungono in Puglia, a partire da Taranto, la loro attenzione si sofferma sulle influenze greche della nostra civiltà. Stolberg sente tutta la civiltà europea tributaria della cultura classica. Il suo classicismo però è filtrato dal cristianesimo. Questo lo porta a vedere l’Italia, e in particolare il Sud, in quanto più diretta emanazione di quella cultura, come una sorta di paradiso perduto che, con antesignano gusto romantico, egli idealizza, dandone una visione edenica, certo lontana dalla realtà. “Pur vivendo nel clima del classicismo winckelmaniano, lo Stolberg è distante dall’dea di classico alla Winckelmann”, scrive Scamardi (10). Dunque egli ripudia ogni idea dell’arte che non sia classica, per esempio il barocco leccese. “l ruderi classici evocano, sì, l’idea della caducità della vita umana, un elemento, questo, certo presente in tanta poesia sulle rovine della fine del Settecento, solo che lo Stolberg oppone la certezza della fede cristiana[…] In questo lo Stolberg anticipa non solo taluni stilemi di un certo romanticismo, ma anche un certo kitsh romantico. Si può concordare, in definitiva, col giudizio di Helga Schutte Watt secondo la quale lo Stolberg in Italia ritorna ai fondamenti classici della cultura europea e della sua stessa formazione intellettuale e non solo non scorge alcun conflitto tra classicismo e cristianesimo, ma vede in quest’ultimo una forma di coronamento, di inveramento del primo” (11).
A Taranto sono ricevuti dal Vescovo Giuseppe Capecelatro, uomo di vastissima cultura, lo stesso che accompagnò il viaggiatore svizzero Carlo Ulisse De Salis Marschlins (1728-1800 ) nel suo viaggio in Puglia. Come già Eberhard August Zimmermann (1743-1815), naturalista e geografo, che venne in Puglia su incarico del Regno di Napoli per studiare la nitriera naturale di Molfetta (12), anche il conte svizzero era accompagnato dall’Abate Fortis e i suoi interessi principali erano volti all’agricoltura e all’allevamento. Abbiamo già detto del De Salis Marschlins, che pubblica per la prima volta le sue impressioni di viaggio in tedesco in due volumi a Zurigo nel 1790 e nel 1793. La prima pubblicazione del libro in lingua italiana viene fatta nel 1906 (13), con la traduzione di Ida Capriati De Nicol�� (ottima traduttrice anche delle memorie di Janet Ross)(14), e poi viene più volte ripubblicato (15).
Lo storico Ferdinand Gregorovius (1821-1891) visse più di vent’anni in Italia, soprattutto a Roma. Pubblicò i suoi resoconti di viaggio in Italia nell’opera Wanderjahre in Italien tra il 1856 e il 1877, in cui fa una descrizione analitica, davvero minuziosa delle condizioni di vita del nostro popolo in quegli anni. Il suo è un interesse erudito, per cui alle note naturalistiche, si accompagnano le descrizioni artistiche e letterarie e soprattutto sociologiche. L’opera si compone di cinque volumi ed è nell’ultimo volume, con il titolo Apulische Landschaften, (Lipsia, F. A. Brockhaus, 1877) che si occupa del nostro territorio. Gregorovius venne in Puglia due volte, nel 1874 e 1875. La prima traduzione della sua opera è di Raffaele Mariano nel 1882 (16). L’itinerario si snoda attraverso le città di Lucera , Manfredonia, Monte Sant’Angelo, Andria, Castel del Monte, Lecce e Taranto.
“Il Gregorovius seguiva con interesse la ricezione della cultura tedesca in Italia e intratteneva rapporti cordiali con chiunque in qualche modo se ne occupasse. Ma è soprattutto la scuola filosofica hegeliana che attrae l’attenzione dello storico tedesco che, come è noto, aveva egli stesso studiato filosofia all’Università di Konigsberg. Fu proprio attraverso il Rosenkranz, suo maestro a Konisberg, che conobbe lo storico del cristianesimo e filosofo Raffaele Mariano, con cui oltre a compiere i viaggi in Puglia intrattenne sempre rapporti di amicizia. Il Mariano tradusse in italiano le Apulische Landschaften. Nell’introduzione alla sua traduzione, nella quale il Mariano ricostruiva, attingendo alla pubblicistica meridionalistica di Pasquale Villari e Raffaele De Cesare, la situazione politico-sociale della Puglia, l’autore non nascondeva una certa animosità nei confronti dei pugliesi, che suscitò le forti proteste di Niccolò Brunetti…”. Così scrive Scamardi (17), che pubblica nel suo libro anche i Diari inediti di Gregorovius del secondo viaggio in Puglia (1875)(18). Si rimproverava cioè al traduttore e quindi all’autore un punto di vista troppo “tedescocentrico”.
In realtà, Gregorovius dimostra grande interesse nei confronti dell’Italia meridionale, dei suoi punti di forza ma anche delle sue mancanze. Si appassiona della questione meridionale, si rammarica dell’arretratezza delle infrastrutture, si intrattiene sulla rete viaria e quella ferroviaria, sul porto di Brindisi, parla della mafia e della lotta dello stato contro la criminalità, ecc. Da storico non può non essere attratto dal fascino della storia millenaria, soprattutto a Roma, sua città elettiva. “In una pagina delle Wanderjahre in Italien fa una digressione sui paesaggi storici italiani dove si avverte, più che altrove, il respiro del passato. Dai monumenti emana come una forza elettrica per la quale il Gregorovius conia l’espressione ‘magnetismo della storia’”(19). A lui si deve la definizione di Lecce come “Firenze del Sud”. Gregorovius non amava il romanico e prediligeva il gotico. Il tedesco Gustavo Meyer Graz (1850-1900), corrispondente del Sclesische Zeitung di Breslavia arriva nel 1890 per raccogliere i canti della Grecia Salentina. I suoi articoli di viaggio vennero poi tradotti da Cosimo De Giorgi (che lo accompagnò nel viaggio) nel 1895 per “Il Popolo Meridionale”, rivista leccese, e poi successivamente in volume (20). Gli articoli si intitolano: “Da Brindisi a Lecce”; “Lecce-San Nicola e Cataldo”; “Da Lecce a Calimera”; “Taranto”. Il Meyer è molto preoccupato dal fatto che la lingua greganica vada persa a causa dell’incuranza dei governi.
Taranto nel 1789, Incis. da Hackert
Venne in Italia anche lo storico dell’arte Paul Schubring (1869-1935) corrispondente del giornale “Frankfurter Zeitung”, il quale mandava i suoi reportage di viaggio descrivendo minuziosamente la nostra regione. I suoi articoli vennero poi raccolti in volume da Giuseppe Petraglione (21). Secondo il traduttore, gli articoli di Schubring potrebbero essere considerati un ampliamento del libro del Gregorovius in quanto vi sono menzionati alcuni monumenti lì assenti, come la Chiesa di Santo Stefano in Soleto, e approfonditi altri di cui era stato fatto solo un fugace cenno, come la chiesa di Santa Caterina e la Cattedrale di Troia.
Note
[1]Raffaele Semeraro, Viaggiatori in Puglia dall’antichità alla fine dell’Ottocento: rassegna bibliografica ragionata, Schena, 1991, p.73.
[2] Johann Heinrich Bartels, Lettere sulla Calabria Viaggio in Calabria Vol III, Catanzaro, Rubettino, 2007.
[3] Johann Hermann von Riedesel ,Un viaggiatore tedesco in Puglia nella seconda metà del sec. XVIII. Lettere di J.H.Riedesel a J.J.Winckelmann, Prefazione e note di Luigi Correra, Martina Franca, Editrice Apulia, 1913, poi ristampata in Tommaso Pedio, Nella Puglia del 700 (Lettera a J.J. Winckelmann), Cavallino, Capone, 1979.
[4] Teodoro Scamardi, La Puglia nella letteratura di viaggio tedesca. Riedesel Stolberg Greborovius, Lecce, Milella, 1987, pp.35-58.
[5] http: www.famedisud.it/il-sud-settecentesco-di-philipp-hackert-in-mostra-a-gallipoli-i-porti-…
[6] http:www.brundarte.it/2018/03/23/baia-porto-brindisi-jakob-philipp-hackert/
[7] Teodoro Scamardi, op. cit., p.64.
[8] Friedrich Leopold Graf Zu Stolberg, Reise In Deutschland, Der Schweiz, Italien Und Sizilien In Den Jahren 1791 Und 1792 1794 Con traduzione italiana a cura di Laura A. Colaci, Edizioni Digitali Del Cisva, 2010.
[9] Carlo Stasi, Dizionario Enciclopedico dei Salentini, 2 voll, Lecce, Grifo, 2018, p.1128.
[10] Teodoro Sacamardi, op. cit., p.76 .
[11] Idem, p.77.
[12] Idem, p.24.
[13] Carlo Ulisse De Salis Marschlins, Nel Regno di Napoli : viaggi attraverso varie province nel 1789, Trani, Vecchi, 1906.
[14] Janet Ross, La terra di Manfredi, traduzione dall’inglese di Ida De Nicolo Capriati, illustrazioni di Carlo Orsi, Trani, Vecchi, 1899, poi ripubblicato in Eadem, La Puglia nell’Ottocento : la terra di Manfredi, a cura di Maria Teresa Ciccarese, Lecce, Capone, 1997.
[15] Fra gli altri, in Carlo Ulisse De Salis Marschlins, Viaggio nel Regno di Napoli, Galatina, Congedo, 1979, con Introduzione di Tommaso Pedio, e in Idem, Viaggio nel Regno di Napoli – che riproduce la prima traduzione italiana di Ida Capriati De Nicolò -, a cura di Giacinto Donno, Lecce, Capone, 1979 e 1999, e ancora in Idem, Nel Regno di Napoli Viaggi attraverso varie provincie nel 1789, Avezzano, Edizioni Kirke, 2017.
[16] Ferdinand Gregorovius, Nelle Puglie (1877), versione dal tedesco di Raffaele Mariano con noterelle di viaggio del traduttore, Firenze, G. Barbera, 1882.
[17] Teodoro Scamardi, op.cit., p.97.
[18] Idem, pp.137-147.
[19] Idem, p.127.
[20] Gustavo Meyer-Graz, Apulische Reisetage, a cura di Cosimo De Giorgi, Martina Franca, 1915. Poi ristampato in Idem, Puglia . Sud (1890), a cura di Gianni Custodero, traduzione di Cosimo De Giorgi, Cavallino, Capone Editore, 1980.
[21] Paul Schubring ,La Puglia: impressioni di viaggio (1900), traduzione e introduzione di Giuseppe Petraglione, Trani, Vecchi, 1901.
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"Il Gobbo" di Alda Merini: Un viaggio tra fatica, solitudine e speranza. Recensione di Alessandria today
Un capolavoro lirico della poetessa della sofferenza e della rinascita.
Un capolavoro lirico della poetessa della sofferenza e della rinascita. La poesia “Il Gobbo” di Alda Merini rappresenta uno straordinario esempio del suo stile unico e profondo, capace di evocare sentimenti universali attraverso immagini semplici ma potenti. Scritto il 22 dicembre 1948 e inserito nella raccolta “Poetesse del Novecento” (1951), il componimento esplora temi quali la fatica del…
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Anna Dari, Prigioniera Libera oltre la nebbia
Pianista per scelta, compositrice per caso, scrittrice per passione
All’attività musicale Anna Dari affianca quella letteraria pubblicando “PRIGIONIERA LIBERA 2.0”, uno straordinario testo autobiografico in prosa e poesia, con la casa editrice Pubme e la prefazione dello psichiatra Giuseppre Tavormina, segretario di Eda Italia Onlus (Associazione Italiana sulla Depressione).
Tra narrazione e lirica, il libro racconta dodici anni del viaggio umano e artistico della scrittrice musicista legati al tunnel della depressione maggiore e alla possibilità del suo superamento attraverso l’imperscrutabile processo di creazione artistica. Il coraggioso progetto editoriale diventa così una versione rinnovata e più completa della precedente “Prigioniera libera”, pubblicata a maggio 2019 con la casa editrice astigiana Letteratura Alternativa e la partecipazione al Salone internazionale del libro di Torino, ricevendo la menzione al Premio internazionale letterario “Salvatore Quasimodo”. Un’opera intensa, di valore poetico-letterario e al contempo una potente arma di autoguarigione per continuare a combattere il male oscuro, come la stessa autrice definisce la depressione. E di questo Anna Dari vuole dare forte testimonianza.
Una testimonianza di vita e un progetto artistico partito il 10 luglio 2007 quando, attanagliata da un profondo dolore morale, Anna Sfregola, in arte Anna Dari, in memoria del ramo artistico familiare materno (Scordari), si avvicina al pianoforte dopo diciotto anni di silenzio, nonostante un diploma al conservatorio “A. Vivaldi” di Alessandria rimasto appeso al muro, iniziando a improvvisare e comporre la sua musica. È come uno squarcio, nuovi orizzonti si spalancano nella sua mente intrappolata nel tunnel della depressione. Da lì un creativo susseguirsi di brani che, partendo da una matrice classica, approdano con raffinata eleganza a richiami pop, blues, jazz, a seconda dell’ispirazione del momento e dello stato d’animo, in un variegato e versatile quanto suggestivo stile compositivo.
Il 6 agosto 2021 vede la luce “Oltre la nebbia” (Blue Spiral Records), un album come metafora umana e artistica, in cui il pianoforte è protagonista nel suo intimo e suggestivo dialogare, in alcuni casi, con altri timbri strumentali sapientemente ricercati nell’incorruttibile volontà di spingersi continuamente oltre, “a ricordarci di volgere sempre lo sguardo verso l’alto, verso la bellezza, verso l’armonia, verso l’amore, verso tutto ciò che sa di vita vera. Oltre l’apparenza, oltre l’indifferenza, oltre la paura, oltre il muro di nebbia che avvolge di aspre miserie le nostre piccole affannate vite”. È questo il significato profondo del primo album dell’artista piemontese, nonostante molte altre composizioni ancora inedite abbiano preceduto dal 2007 ad oggi l’uscita discografica di “Oltre la nebbia”. La tracklist trova il suo epilogo in “Terre di mezzo”, un brano di struggente attualità con inserti sonori di combattimenti ed esplosioni. Tragicamente attuale, da oriente ad occidente, è dedicato a tutti i popoli che soffrono, dilaniati dalla barbarie della guerra e dalla paura che morde il cuore.
Tra parole che scavano in profondità, versi adamantini e raffinate suggestioni musicali diventate colonna sonora del film “Il rumore del mare” della regista Enza Lasalandra, seducendo mente e cuore di chi legge e ascolta, questo è solo il suo risveglio. La storia di Anna Dari non finisce qui.
Biografia
In memoria del ramo artistico familiare materno Scordari, Anna Sfregola, in arte Anna Dari, si avvicina al pianoforte dopo diciotto anni di silenzio, nonostante un diploma al conservatorio “A. Vivaldi” di Alessandria rimasto appeso al muro, iniziando a improvvisare e comporre la sua musica: nasce così “Broken heart” (Cuore in frantumi), una composizione dall’evidente sapore blues. Da lì, misteriosamente, in meno di un anno arrivano tutti gli altri brani composti a mente, senza l’ausilio dello spartito, ed eseguiti ad Asti, Torino, Alessandria, Perugia, Trieste, Piacenza, Lake Como Festival, con grande consenso di pubblico e di critica. Sempre a Torino, presso il teatro Orpheus, in occasione della Giornata internazionale della donna l’8 marzo 2011, partecipa al concerto “Mozart e le donne”, durante il quale presenta in prima esecuzione nazionale “La forza della vita”, nella versione per piano e orchestra d’archi, e “Una carezza per Chiara”, per violoncello e piano, brano dedicato a tutte le bambine e le donne vittime di violenza sessuale.
Contemporaneamente scrive una raccolta di poesie dal titolo “Suoni e colori dell’anima”, da cui sono tratti i versi collegati alle singole composizioni. Attraverso la musica e le liriche Anna Dari racconta, non solo della sua vita in particolare ma dell’universo femminile in generale, declinato nelle sue tante e preziose sfumature; parla dei bambini vittime di violenza, del profondo senso di solitudine e dolore insito al male oscuro della depressione; racconta anche della potenza della musica e della poesia e del miracoloso potere catartico della creazione artistica, del senso di amore universale a cui la sua anima anela e di come arte e vita siano diventate per lei due facce della stessa medaglia. Dal 2015 all’estate 2017 un lungo periodo di crisi e silenzio compositivo. Poi nuovamente l’urgenza di trasformare in musica le proprie emozioni. Nascono i nuovi brani “Assolo” (vincitore l’11 gennaio 2020 al Cet di Mogol del Premio internazionale letterario “Salvatore Quasimodo” sezione Musica) e “Sognando il mare”, che segnano per Anna Dari una nuova vena compositiva, più pop, intima e minimale. Nel marzo 2018 riprende a suonare dal vivo con un concerto ad Azeglio sul lago di Viverone e a giugno dello stesso anno con un recital durante la Festa della musica di Torino. Contestualmente avvia il progetto “Dreams and hopes” con il collega cantautore Alessandro Fantino, delle cui canzoni Anna Dari cura gli arrangiamenti pianistici, e il 6 agosto 2021 vede la luce “Oltre la nebbia” (Blue Spiral Records), un album come metafora umana e artistica.
All’attività musicale Anna Dari affianca quella letteraria, pubblicando a maggio 2019 “Prigioniera libera” con la casa editrice astigiana Letteratura Alternativa e la partecipazione al Salone internazionale del libro di Torino, che riceve la menzione al Premio internazionale letterario “Salvatore Quasimodo”. Tra narrazione e poesia, lo straordinario testo autobiografico racconta dodici anni del viaggio umano e artistico della scrittrice musicista legati al tunnel della depressione maggiore e alla possibilità del suo superamento attraverso l’imperscrutabile processo di creazione artistica. Il coraggioso progetto editoriale, pubblicato per Pubme come “Prigioniera libera 2.0”, con la prefazione dello psichiatra Giuseppre Tavormina, segretario di Eda Italia Onlus (Associazione Italiana sulla Depressione), diventa una versione rinnovata e più completa della precedente edizione, per continuare a combattere il male oscuro della depressione. E di questo Anna Dari vuole dare forte testimonianza.
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Instagram: https://www.instagram.com/anna_dari_pianist_composer_/
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Web: https://www.annadari.it/
source https://www.ilmonito.it/anna-dari-prigioniera-libera-oltre-la-nebbia/
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Vicenza, La Bertoliana omaggia il premio Nobel Seamus Heaney a 10 anni dalla sua scomparsa
Vicenza, La Bertoliana omaggia il premio Nobel Seamus Heaney a 10 anni dalla sua scomparsa Ricorre quest'anno il decennale della scomparsa del poeta nordirlandese Seamus Heaney (1930-2013), premio Nobel per la letteratura nel 1995. Per l'occasione la Biblioteca civica Bertoliana, con Rossella Pretto e Monica Centanni, propone giovedì 30 novembre, alle 18 nella sala Dalla Pozza di Palazzo Cordellina, la presentazione del libro "Speranza e storia. Le quattro versioni sofoclee" di Heaney, a cura di Sonzogni, Guzzo, Pretto, Zanetti (Il Convivio Editore, 2022). La Bertoliana - con la Fondazione Pordenonelegge.it, il Centro culturale di Milano e l'Università di Catania - partecipa infatti al progetto "Le pietre parlano - Heaney e l'Italia", ideato e curato da Francesco Napoli e Rossella Pretto per ripercorrere e riflettere sulla grande attualità della poesia di Heaney e sul suo pensiero letterario e linguistico, tenuto conto del forte legame del poeta irlandese con l'Italia, derivato in particolare dallo studio di Dante, Virgilio e Giovanni Pascoli. "Speranza e storia" raccoglie per la prima volta in traduzione italiana tutte le versioni sofoclee di Seamus Heaney. Le riscritture integrali del "Filottete. La cura a Troia" (1990) e dell' "Antigone. La sepoltura a Tebe" (2004) sono accompagnate da un passo dell'"Edipo a Colono. Quanto accadde a Colono" (2004) e da un passo dell'"Aiace. Testimonianza: il caso di Aiace" (2004). Queste versioni documentano due aspetti fondamentali della poetica del premio Nobel: quello della traduzione letteraria come spazio "originale" per arricchire la propria scrittura e quello della rilettura dei classici come spazio "ideale" per riflettere e far riflettere sulla natura umana tra passato, presente e futuro. Rossella Pretto è poetessa, traduttrice e redattrice di riviste letterarie. Il suo primo poemetto, "Nerotonia", ispirato al Macbeth, è uscito nel 2020 (Samuele Editore). Con Marco Sonzogni ha curato "Memorial di Alice Oswald" (Archinto, 2020) e "Speranza e Storia. Le quattro versioni sofoclee di Seamus Heaney" (Il Convivio Editore, 2022). Ha curato inoltre "La Terra desolata" di T.S. Eliot per la riedizione della traduzione di Elio Chinol (InternoPoesia, 2022). Suoi articoli sono apparsi su "Alias-Il Manifesto", "Poesia", "L'Ottavo", "Journal of Italian Translation", "Studi Cattolici" e "L'Estroverso". Monica Centanni, filologa classica, grecista e accademiaca olimpica, insegna Lingua e letteratura greca all'Università Iuav di Venezia. È studiosa del teatro antico (drammaturgia, strutture, funzione politica della tragedia greca; riprese del dramma classico nel Novecento), di civiltà tardo antica (il romanzo ellenistico e il passaggio tra paganesimo e cristianesimo), di storia della tradizione classica nella cultura artistica e letteraria, dall'antico al contemporaneo. Su questi temi ha curato mostre ed eventi teatrali, ed è autrice di studi e monografie. Ingresso libero fino ad esaurimento dei posti disponibili. Per informazioni: [email protected]... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Michele Fenati - Domani
Il nuovo brano estratto dall’album “Dall’altra parte del mare”
Amore e tempo sono spesso uniti e, altrettanto spesso, in competizione fra loro. L’eterna rincorsa del tempo, delle lancette, delle stagioni «un mese, un anno, la nebbia e il vento», che si intrecciano con una relazione alla fine della sua corsa.
Questo è “Domani”, singolo estratto dall’album “Dall’altra parte del mare” in cui il cantautore romagnolo ha raccontato la parte “inedita” e più intima di sé e del suo rapporto con la musica, attingendo a sonorità classiche, mescolate con sapienza al pop d’autore.
Dicono di “Dall’altra parte del mare”
«“Dall’altra parte del mare”, mette in gioco dodici brani: intensi, superlativi, affascinanti e inimitabili. “Dall’altra parte del mare”, offre un ventaglio di genere incommensurabile: pop, jazz, acustica, elettronico, classico e sfumature di soul e folk. Il disco di Fenati è monumentale anche per il suo canto grintoso, nostalgico e magnetico.» The Music Way Magazine
«Un disco di cantautorato semplice e diretto, a tratti pop a tratti classico con molto sentimento e sentimenti. Dall’altra parte del mare è il tentativo di raccontarsi in maniera intima parlando d’amore, insicurezze, dipendenze, voglia di ricominciare.» Il blog dell’alligatore
«Incontro di due linguaggi questo, antichi nelle radici e apparentemente lontani nella forma ma che qui diviene altro ancora in un disco sostanzialmente di pop d’autore e dagli arrangiamenti puliti e di grande mestiere a firma di Fabrizio Tarroni». Raro più
«Il suo ultimo disco è un lavoro fatto principalmente di pane e cuore, parole che s’intrecciano ed entrano dentro e un pizzico di gioia che non guasta mai.» MusicLetter
Credits Musica: Michele Fenati
Parole: Erika Berti
Etichetta: I dischi di Beatrice
Distribuzione: Believe
Michele Fenati è un artista italiano, conosciuto al grande pubblico per aver tradotto in chiave classica, brani popolari di grande successo, creando una veste originale, attuale e sempre in bilico tra musica colta e musica popolare. La sua alta professionalità e la capacità di gestire il palco tra canzone, poesia e teatro, lo ha portato in questi anni a solcare tantissimi palchi di grandi, medie e piccole città di tutta Europa.
Vienna, Linz, Augsburg, Praga, Klagenfurt, Breslavia… sono solo alcune delle città europee che hanno visto sempre il tutto esaurito. Centinaia di città e piccoli e medi comuni italiani, in piazze e teatri, hanno accolto il concerto di Michele Fenati in questi anni, sempre con formazione voce e chitarra, pianoforte e clavietta, violino e violoncello. Una carriera descritta in numerosi articoli su quotidiani locali e nazionali e partecipazioni importanti come la diretta su Radio24 - Il sole 24 ore, con quattro brani in diretta nazionale, prima del tour europeo, la partecipazione a “L’Italia in diretta” su Rai 2 oppure a “Buongiorno Regione” su Rai 3.
Nel 2014 riceve la lettera del Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano, prima del tour europeo. Il suo percorso inizia a 9 anni sul palco del Cantagiro Romagnolo presentato da Maria Giovanna Elmi, la reginetta della TV, proseguito al Conservatorio, dove ha studiato violoncello con il Maestro Lauro Malusi e chitarra e canto con l’insegnante Lina Montanari. In questi anni Fenati ha prodotto cinque album (Girotondo, Sicuro son sicuro, Acustico Live, Battisti in Classics e Live in Europe), una importante collaborazione con l’Associazione Bubulina per la raccolta fondi per i bambini malati di leucemia, fino al concerto “Michele Fenati & Friends” nel 2018, al Teatro Rossini di Lugo di Romagna (Ra). Ha collaborato con Andrea Mingardi nella conduzione della trasmissione “Cuore Rossoblu”, tutte le domeniche in diretta su Radio Bruno dallo stadio Dallara, fino allo spettacolo/concerto, nel 2020, a Villa Cacciaguerra Ortolani di Voltana (Ra) per la presentazione del libro di Andrea “Professione Cantante”. Nel 2020 Il concerto di Michele Fenati a Ladispoli (Roma) vede l’autorevole presenza di S.E l’ambasciatrice della Repubblica di Armenia Tsovinar Hambardzumyan, che ne introduce la performance, con una suggestiva presentazione.
Nello stesso anno scrive il brano “E la gente si chiuse in casa” con promozione sui social per raccogliere fondi per l’ospedale Covid di Lugo di Romagna (Ra)
Nel 2021 prende il via il tour estivo in Italia con oltre 40 concerti
, mentre due brani, di vecchie produzioni discografiche entrano nelle classifiche di vendita di Itunes
in Olanda e negli Stati Uniti
. Contemporaneamente iniziano le registrazioni per il nuovo album in uscita nel 2022
. Il 19 novembre 2021 esce il primo singolo con video del nuovo album, “Il mio nome è Aurelio”, dedicato al Maestro Secondo Casadei e al suo capolavoro “Romagna mia”. Il brano raggiunge la 34° posizione nella classifica di gradimento delle radio private italiane.
Il 20 maggio 2022 esce il secondo singolo che anticipa l’album, “Mille Volte Buona Notte”, trasmesso da tantissime radio private e che in brevissimo tempo supera i 50.000 streaming su Spotify, seguito dopo un mese dal video. Anche il 2022 è un anno pieno di concerti live per Michele Fenati sempre in formazione acustica (voce, chitarra, pianoforte, violino e violoncello).
A ottobre 2022 pubblica l’album “Dall’altra parte del mare”.
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A scuola con gli Iron Maiden
È sempre bello studiare a ritmo di musica (se metal, ancora meglio!). E allora ecco a voi “una giornata a scuola con gli Iron Maiden” (rientro pomeridiano compreso).
Nel 1975, un giovanissimo Steve Harris fonda quella che, probabilmente, è la metal band più influente al mondo (anzi, toglierei il “probabilmente”): appunto, gli Iron Maiden.
Il nome deriva dalla Vergine di Norimberga, chiamata anche vergine di ferro, uno strumento di tortura del XVIII secolo.
Ciò che colpisce di più degli Iron Maiden non è tanto il successo planetario ottenuto, che è decisamente scontato, quanto l’incredibile quantità di riferimenti storici, letterari, religiosi e, in generale, culturali presenti nei loro testi.
Per questo motivo, da professore quale non sono, ho immaginato “una giornata a scuola” in loro compagnia, divisa in sette ore (perché io ho sempre fatto il rientro pomeridiano, e sono abituato così!), dove le lezioni saranno caratterizzate dall’analisi di alcune canzoni e dei relativi riferimenti.
*Suona la campanella: driiiiiiiiiin.
8.20-9.20: Storia Antica - Imperi e condottieri
Le storie di condottieri e di potere, affascinano tutti, anche gli studenti più svogliati.
In ordine cronologico, in quest’ora, racconteremo le gesta di tre colonne portanti della storia classica:
Alessandro Magno, figlio di Filippo II, Re di Macedonia, forse il miglior condottiero di sempre. A lui è dedicato il brano “Alexander the Great”, dall’album Somewhere in Time (1986);
Da Killers (1981), il secondo album, ecco “The Ides of March”, ispirata dalla morte del grande console romano, Giulio Cesare, assassinato nel 44 a.C.;
Nello stesso album troviamo anche “Genghis Khan”, traccia che narra la storia del sovrano mongolo, che si credeva fosse figlio del dio Tengri.
9.20-10.20: Letteratura Inglese
Per la lezione di letteratura inglese, invece, ci rifacciamo a tre classici:
“The Rime of the Ancient Mariner” (Powerslave, 1984), ispirata dal poema omonimo scritto da Samuel Taylor Coleridge nel 1798;
“The Murders in the Rue Morgue” (Killers, 1981), che trasporta in musica il famosissimo racconto di Edgar Allan Poe;
Il brano “The Trooper” (Piece of Mind, 1983), discendete della poesia Charge of the Light Brigade, pubblicata nel 1854 da Alfred Tennyson, e che narra della Guerra di Crimea.
10.20-11:10: Letteratura Italiana
Che ci crediate o no, anche la letteratura italiana gioca un ruolo importante nei testi della band inglese.
“Sign of the Cross”, dall’album The X Factor (1995), si ispira al romanzo (vincitore del Premio Strega 1981) “Il nome della rosa”, del Maestro Umberto Eco, pubblicato nel 1980.
Va da sé che le atmosfere gotiche intrecciate dal Maestro si sposano alla perfezione con le sonorità della Vergine di Ferro. Il risultato? Quasi dieci minuti di puro misticismo: ammaliante.
11:10-11.20: Break
Chiacchiere, brioscina e succo di frutta.
11.20-12.20: Storia del Cinema
Dopo lo spacco di metà mattina, è tempo di storia del cinema.
Il primo riferimento lo troviamo nella traccia “The Edge of Darkness” (The X-Factor, 1995). La canzone trae spunto da Apocalypse Now (1979), capolavoro di Francis Ford Coppola.
Il secondo, invece, è facilmente intuibile già dal nome della canzone: quella Quest for Fire (da Piece of Mind, 1983) che ricalca l’omonimo film (1981) del regista francese Jean-Jacques Annaud.
Infine, l’ultimo disco degli Iron Maiden, Senjutsu (2021), uscito qualche mese fa, contiene “Days of Future Past”: un brano veloce, potente e liberamente ispirato al film culto “Constantine” (2005), di Francis Lawrence e con il mitico Keanu Reeves.
12.20-13.20: Epica
Prima della pausa pranzo, la mia materia preferita: epica.
La traccia scelta è “Flight of Icarus” (Piece of Mind, 1983), che, chiaramente, racconta il famosissimo mito di Icaro.
“Fly on your way like an eagle Fly as high as the sun On your way, like an eagle Fly, touch the sun”
13.20-15.00: Lunch Time
Visto che il lunedì la mensa proponeva legumi, facciamo finta che sia martedì, quindi: penne al sugo, cotoletta e insalata.
15.00-16.00: Storia Contemporanea
Storia contemporanea. Storia contemporanea...ah! Possiamo parlare delle due guerre mondiali, attraverso ben tre brani.
Il primo è "Paschendale" (Dance of Death, 2003), che parla, appunto, della battaglia di Passchendaele (Prima Guerra Mondiale), in Belgio, avvenuta tra il luglio e il novembre 1917, e che vedeva contrapposti l’esercito britannico (e i suoi alleati) a quello tedesco. La battaglia, per la cronaca, non viene ricordata positivamente dagli inglesi.
“Aces High” (Powerslave, 1984) e “The Longest Day” (A Matter of Life and Death, 2006) sono ambientate, invece, nel Secondo Conflitto, e narrano rispettivamente la battaglia d'Inghilterra e lo sbarco in Normandia.
16.00-17.00: Drammaturgia
Oh! Siamo alla fine di questa giornata estenuante, ma ricca di... chiacchiere.
Con la speranza che questo viaggio vi sia piaciuto, chiudiamo con drammaturgia.
“Phantom of the Opera” (Iron Maiden, 1980) si ispira al romanzo di Gaston Leroux, Il fantasma dell'Opera (Le Fantôme de l'Opéra, 1910).
E per finire in bellezza, uno dei miei brani preferiti: “The Evil That Men Do” (Seventh Son of a Seventh Son, 1988), che riprende un passo del Julius Caesar di Shakespeare.
“The evil that men do lives after them, the good is oft interred with their bones”
Alla fine della giostra, restano fuori anche alcune tracce storiche, come “Run To The Hills” (da The Number of the Beast”, 1982), che narra della colonizzazione europea ai danni dei nativi americani, e “For the Greater Good of God” (da A Matter of Life and Death, 2006), ispirata dalle storie sui Templari.
Il materiale per creare un corso di ironmaidenologia c’è!
Up the Irons!
*Suona la campanella: driiiiiiiiiin.
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Ferrara Summer Festival, decine di eventi e concerti fino al 21 luglio 2023. Tra gli altri: 30/6 Biagio Antonacci, 6/7 Europe, 12/7 Steve Hackett, 13/7 I Soliti Idioti
Dopo il successo assoluto dei primi quattro eventi (l'elettronica tutta da ballare di Peggy Gou per l'inaugurazione del 17 giugno, tante risate con Max Angioni domenica 18 giugno, le melodie scatenate di Umberto Tozzi martedì 20 giugno ed "Eleganzissima", lo show di Drusilla Foer, andato in scena il 22 giugno), Ferrara Summer Festival entra nel vivo.
In Piazza Trento Trieste, nel pieno centro di una città simbolo del Rinascimento italiano nel mondo, Ferrara Summer Festival vanno in scena spettacolo di livello assoluto. Tutto questo nel pieno centro di una città simbolo del Rinascimento italiano nel mondo. L'organizzazione del Ferrara Summer Festival porta la firma di Fabio Marzola, presidente dell'Associazione Musicale Butterfly ed il patrocinio di Comune di Ferrara e Regione Emilia-Romagna.
Un weekend o una pausa durante la settimana a Ferrara, una città meravigliosa, è sempre un'ottima idea. Se poi tutto questo succede d'estate e c'è la possibilità di vivere anche un concerto o uno show in Piazza Trento Trieste, in pieno centro città, grazie ad una rassegna decisamente eterogenea come Ferrara Summer Festival, il risultato sono momenti di puro relax tutti da vivere... e poi da ricordare.
Ferrara Summer Festival offre concerti ed eventi per ogni tipo di pubblico: ci sono artisti amatissimi dai più giovani come Salmo (il 28 giugno) e Gué (il 15 luglio) e dj internazionali come Paul Kalkbrenner (l'8 luglio), ma non mancano l'eterno Gianni Morandi (il 20 luglio), la voce unica di Giorgia (l'11 luglio) e pure una Fluo Run (il 7 luglio) per chi ha voglia di correre... e divertirsi.
Tra i tanti eventi di Ferrara Summer Festival, che va avanti fino 21 luglio, ecco poi il 30 giugno, il concerto di Biagio Antonacci, una delle voci simbolo della scena musicale italiana. Con una carriera lunga ormai più di trent'anni, il cantautore ha scritto e interpretato successi assoluti come "Sognami" e "Non so più a chi credere", fino ai brani più recenti come "Mio fratello" e "In questa nostra casa nuova". Con la sua voce unica ed il suo approccio diretto Biagio Antonacci ha sempre saputo conquistare il pubblico con la sua poesia musicale.
Il 6 luglio al Ferrara Summer Festival va invece in scena un atteso concerto rock, quello degli Europe. Amati da milioni di fan fin dagli anni '80 e '90, sul palco interpreteranno live successi mondiali come "The Final Countdown", "Carrie", "Rock the Night", "Superstitious", "Cherokee", "I'll Cry for You" e "Open Your Heart". La formazione è quella originale: Joey Tempest alla voce, Mic Michaeli alle tastiere, Ian Haugland alla batteria, John Levén al basso e John Norum alla chitarra sono pronti a incendiare il palco del Ferrara Summer Festival con la loro energia.
Il 12 luglio, invece, il Ferrara Summer Festival 2023 ospiterà il chitarrista inglese Steve Hackett, uno dei chitarristi più importanti della storia del rock e membro negli anni '70 della formazion originale dei Genesis con, tra gli altri, Peter Gabriel e Phil Collins. Ha poi intrapreso una carriera solista di successo, pubblicando numerosi album e collaborando con molti altri musicisti. La sua musica si distingue per l'uso virtuoso della chitarra e per le influenze che spaziano dal rock progressivo alla musica classica, al jazz e al folk. Durante il concerto al Ferrara Summer Festival, Steve Hackett eseguirà brani tratti dalla sua vasta discografia, ma non mancheranno omaggi alla sua esperienza con i Genesis, di cui ha fatto parte fino al 1977.
Il 13 luglio ecco invece la comicità dei Soliti Idioti, ovvero Francesco Mandelli e Fabrizio Biggi protagonisti con il loro Fiodena Summer Tour. Insieme hanno dato vita a personaggi iconici e sfacciati, che rappresentano in maniera grottesca la vita quotidiana dell'italiano medio attraverso stereotipi e archetipi fissati nel tempo. Tantissime le maschere proposte da Biggio e Mandelli diventate dei cult della comicità italiana creando veri tormentoni: famoso lo sketch Father & Son, con l'anziano Ruggero De Ceglie e il figlio Gianluca, oltre agli iconici I tifosi, L'amante del primario, Gisella e Sebastiano, Mamma esco...
Tutti gli appuntamenti di Ferrara Summer Festival
Info e biglietti
+39 0532 473033 – +39 351 5952501
Ferrara Summer Festival, cos'è
Ferrara Summer Festival è una manifestazione che punta a proporre Artisti ed Eventi presentando una Rassegna di Spettacoli Musicali, e non, nel periodo estivo all'interno del Centro Storico di Ferrara. La cornice rinascimentale della città di Ferrara crea la suggestione per vivere serate di spettacolo uniche. L'organizzazione del Ferrara Summer Festival porta la firma di Fabio Marzola, presidente dell'Associazione Musicale Butterfly ed il patrocinio di Comune di Ferrara e Regione Emilia-Romagna.
17.06 – PEGGY GOU
18.06 – MAX ANGIONI
20.06 – UMBERTO TOZZI
22.06 – DRUSILLA FOER
23.06 – MODÀ
24.06 – THE LUMINEERS
28.06 – SALMO
29.06 – NU GENEA & COMA COSE + GINEVRA
30.06 – BIAGIO ANTONACCI
01.07 – TEENAGE DREAM
02.07 - COMFORT FESTIVAL
05.07 – EROS RAMAZZOTTI
06.07 – EUROPE
07.07 – FLUO RUN FERRARA
08.07 – PAUL KALKBRENNER
09.07 – LAZZA
11.07 – GIORGIA
12.07 – STEVE HACKETT
13.07 – I SOLITI IDIOTI
14.07 – BLACK EYED PEAS + PAOLA & CHIARA
15.07 – GUÈ + GEOLIER + ERNIA + SHABLO
16.07 – FIORELLA MANNOIA / DANILO REA
18.07 – GIACOBAZZI & FRIENDS
19.07 – VOGLIO TORNARE NEGLI ANNI 90
20.07 – GIANNI MORANDI
21.07 – MADAME
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“Il problema cinese da solo è così vasto che nessuna nazione può permettersi ormai di ignorarlo”. Il libro fondamentale di Ezra Pound: “Cathay” (tranquilli, in Italia non c’è più)
Nel 1915 Ezra Pound pubblica a Londra, in una bellissima edizione in coperta azzurra – che ricorda, col senno del dopo, i volumi Scheiwiller – per Elkin Mathews, Cathay, silloge – all’apparenza – di poesie cinesi del canone classico. Per lo stesso editore Pound aveva pubblicato Personae (1909), Exultations (1909), Canzoni (1911). Sono gli anni in cui il poeta fonda riviste – “Blast”, ad esempio, con Wyndham Lewis – e avanguardie, che nascono e subito muoiono – l’imagismo, il vorticismo –, anni, cioè, in cui cerca la propria voce. Con Cathay, prima di tutti, ad esempio, il poeta insegna che la vera avanguardia è scavare nei recessi di civiltà perdute. Pensate a Picasso ispirato dall’arte africana, a Van Gogh sedotto dalle stampe giapponesi: Pound trova in Cina il suo linguaggio. Autentico. Autonomo. Perché è attraversando qualcosa che si approda a se stessi. Per alcuni, Cathay è la più bella raccolta di poesie di Pound. Non è un puzzle critico: sappiamo che il poeta, quando traduce, crea – un esempio nostrano: Quasimodo che piglia e modella i lirici greci. Sentite che bellezza i versi dell’apocrifo Rihaku (la traduzione è di Alfredo Rizzardi):
A settentrione delle mura monti azzurri, Bianco fiume che serpeggi intorno ad essi; Qui dobbiamo separarci E andarcene per miglia e miglia di erba morta.
La mente simile ad ampia nuvola ondeggiante, Il tramonto simile all’addio di vecchi amici Che di lontano s’inchinano al di sopra delle mani congiunte. I cavalli nitriscono l’un l’altro Mentre partiamo.
*
Quando è estetico, l’interesse di Pound è soprattutto ‘scientifico’, infine etico. Pound aveva scoperto la grandezza della poesia cinese antica e del teatro giapponese Noh (amore, quest’ultimo, condiviso con William B. Yeats) attraverso gli studi di Ernest Fenollosa, insigne studioso americano, orientalista entusiasta, già professore all’università di Tokyo, morto a Londra nel 1908. Pound vedeva nell’ideogramma cinese – usato con continuità nei Cantos – un “mezzo di poesia”, come scrive, con indole profetica, come sempre, nel saggio dedicato a Fenollosa: “Il secolo ventesimo non solo apre una pagina nuova sulla storia del mondo, ma schiude anche un nuovo sorprendente capitolo. Orizzonti di strani futuri si aprono all’uomo: culture che abbracciano il mondo intero… Il problema cinese da solo è così vasto che nessuna nazione può permettersi ormai di ignorarlo”. Non solo Pound impone il tema della grande poesia classica orientale, poi di moda (in Italia, fu sdoganata anche da Montale), con forza (“Abbiamo degradato i Giapponesi al rango di plagiari. Abbiamo ritenuto stupidamente che la storia cinese non presentasse alcun barlume di cambiamento nell’evoluzione sociale, nessun’epoca saliente di crisi morale e spirituale… Disgraziatamente in America e Inghilterra si è fatta strada l’idea che la poesia cinese e giapponese sia quasi un gioco futile, senza importanza nel complesso delle grandi letteratura”), ma gl’interessa l’ideogramma come dispositivo linguistico. L’ideogramma infatti è concreto, visivo, molteplice. È immagine che diventa suono e che crea, con forza sintetica, ineguagliata, molti sensi. L’ideogramma sembra rispondere all’utopia di Rimbaud (le parole che si odorano, si vedono, si toccano) e ai criteri dell’imagismo (che postula di “trattare direttamente la ‘cosa’”, non usare parole di troppo, definire un ritmo). L’ideogramma è un amuleto: sei tu a farlo parlare.
*
Insomma, Cathay è il punto di snodo della poetica di Pound. Negli States la Fordham University Press, per la cura di Timothy Billings, ha pubblicato una critical edition del libro, che va trattato come testo poetico di Ezra Pound più che come abbecedario del sinologo dilettante. Nel mondo spagnolo, Buenos Aires Poetry ha da poco partorito una versione di Cathay per la cura di Juan Arabia, poundiano di platino. Anche noi avevamo una bella edizione di Cathay, nella collana ‘trilingue’ Einaudi curata da Valerio Magrelli: in quel caso le poesie di Pound furono ‘trattate’ da Maria Rita Masci e Alessandra C. Lavagnino. Naturalmente quel libro, edito nel 1997, così importante (e bello!, pura poesia desunta da nuvole e pietre), ora risulta “non disponibile”.
*
Certo, non che vada meglio in altri mondi all’apparenza ‘avanzati’, più colti. In un saggio pubblicato sulla rivista del “The Russell Kirk Center”, J.L. Wall usa miniere di preservativi per dirci sapide ovvietà, cioè che Pound è “una delle figure cardine della letteratura del XX secolo”. Prima però dobbiamo sorbirci un pippone retorico e puritano (“Cosa dovremo fare di Pound? Una risposta sarebbe ‘cancellarlo’, gettare la sua statua nel fiume e attendere che l’acqua la cancelli. Un gesto del genere non è privo di fondamento: definire ripugnante la sua politica e la sua personalità è un eufemismo. Ma sarebbe anche troppo semplice. Le impronte di Pound sono ovunque: su The Waste Land, ma anche sulle carriere di Yeats, Frost, William Carlos Williams e H.D.; sulla pubblicazione dell’Ulisse di Joyce; sull’imagismo, il vorticismo, la ‘nuova poesia’ del secolo scorso”) e una proposta critica inaccettabile (“È stato poeta di talento, innovativo, fino ai trentacinque anni. I Cantos, sui quali ha scommesso la propria reputazione, sono stati un fallimento”: idiozia al cubo, Pound è poeta implacabile perché imperfetto, imperituro proprio nelle ultime poesie, della vecchiaia, nitide come profezie mutilate, al vento, come uno che vada a bracciate nello stellato). Amen. Affrettiamoci a ripubblicare Cathay.
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L’impegno di Pound dentro la letteratura cinese, come detto, continuò, con l’ostinazione dell’avventuriero. Quando fu arrestato, prese con sé i libri di Confucio, consolazione al St. Elizabeths. Nel 1954 la Harvard University Press pubblica la sua versione di The Classic Anthology Defined by Confucius, tradotta per Scheiwiller da Carlo Scarfoglio nel 1964 (“È questo il tesoro di voci e di vite umane che ci è stato tramandato dal fondo degli ultimi tremila anni; che Confucio, secondo i cinesi, ha non creato, ma messo nella sua vera luce e che Ezra Pound ha reso accessibile a tutti coloro che sanno legger l’inglese”). Nel 1951 aveva tradotto gli Analecta, specificando che “lo studio della filosofia confuciana giova maggiormente di quella greca in quanto non si spreca tempo in vane disquisizioni sull’errore”. Di “ricerca etica e linguistica” più che di traduzione parla Mary de Rachewiltz, che di quel libro ha curato la versione italiana, sempre per Scheiwiller. Sulla copertina gialla, adornata da ideogramma in rosso, l’autore risulta “Pound-Confucio”. Anche quei libri sono difficili da trovare, va da sé, e sono un autentico tesoro.
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“Non conoscere le parole significa non possedere il fluido necessario per conoscere gli uomini” sentenzia Confucio attraverso Pound. Nell’educazione canonica, per chi volesse raggiungere ruoli di governo, in Cina e in Giappone, all’epoca, era necessario superare prove che dimostrassero la conoscenza della lirica, in tutti i suoi generi, nelle sue forme cangianti. Non si doveva diventare poeti, ma saper scrivere poesia: cioè conoscere l’arte dell’allusione, riposare all’ombra di alcune lettere, distinguere la logica dall’ispirazione. Ignari della grammatica, del ritmo, della presenza retorica sarebbe stato impossibile condurre un popolo, dare leggi agli uomini, capire la parola del cielo e quella della terra. (d.b.)
L'articolo “Il problema cinese da solo è così vasto che nessuna nazione può permettersi ormai di ignorarlo”. Il libro fondamentale di Ezra Pound: “Cathay” (tranquilli, in Italia non c’è più) proviene da Pangea.
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Ágnes Ludmann
IL SALTO MORTALE DI LUIGI MALERBA COME PRECURSORE DELLO STILE EMILIANO
Luigi Malerba (1927–2008) è uno dei romanzieri più colorati e particolari del Novecento. Durante la sua carriera si occupò di scrittura di romanzi, libri per bambini, sceneggiature, sempre con una sete di conoscenza e la volontà di creare registri veri. La sua esperienza parte come membro del Gruppo 63’ il che influenza il suo rapporto con la letteratura detta classica: come lui stesso confessa in un’intervista
L’esperienza della Neoavanguardia mi ha dato soprattutto un forte senso della libertà e una disinvoltura sia nella scrittura che nei temi dei miei libri. Una esperienza estrema, disorganica, avventurosa, che tuttavia ha lasciato un segno in chi vi ha partecipato.
Questa libertà, questa volontà di cambiare quel che ormai era logorato, troppo usato, inattuale, porta con sè come risultato il rinnova- meno della struttura, della sintassi e del lessico presenti nei romanzi “postmoderni”. Come Edoardo Sanguineti e Alberto Arbasino, anche Malerba rifiuta la trama in senso realistico-ottocentesco in tutti i suoi aspetti (stile, trama, struttura, lineamento, narratore) e si indirizza alla ricerca di un linguaggio nuovo, privato di ogni orpello lettera- riamente decorativo, ma arricchito di un’ironia che spunta tra le righe. L’umorismo ha un ruolo anche dal punto di vista sintattico oltre che da quello stilistico, è permeato da un linguaggio che si avvicina allo standard parlato senza rendere banale il contenuto, introducen- do delle strutture che corrispondono meglio al tema scelto. Si tratta quindi di un cambiamento totale, necessario per riuscire a tenere il passo con lo scorrere del mondo. Quello che può dare spazio a queste sperimentazioni non è solamente la poesia, come normalmente si potrebbe pensare, visto che in essa, anche grazie alla struttura e alle forme poetiche, si avvalgono maggiormente le novità menzionate, ma anche il racconto, il romanzo in cui bisogna prima rompere i margini della struttura classica e di una lingua di pietra come l’italiano, per poter creare delle realtà nuove ed eccitanti. Come dice Malerba stesso
Il racconto è realtà multiforme, forma stratificata, mai definitivamente chiusa e sempre in espansione, sempre riformulabile, che continuamente ingloba, assimila, assorbe e poi propone altro racconto in un continuo gioco di contaminazioni di rimandi, inneste, interferenze. Ogni storia nasce da un’altra storia, si ramifica, cresce su e dentro sè, intreccia motivi diversi, si sfrangia in digressioni, si interrompe, riprende, si dilata.
Salto mortale è una di queste realtà multiformi, una realizzazione geniale (come dice l’autore stesso, con Il pataffio la più riuscita) di sperimentazioni create da Malerba sui linguaggi nuovi, un romanzo-non romanzo che può essere considerato anche come precursore di quelli del gruppo emiliano (costituito da – per menzionare i nomi più rilevanti – Gianni Celati, Ermanno Cavazzoni, Paolo Nori, Ugo Cornia e Daniele Benati). Lo stile emiliano, presente con le sue opere soprattutto negli ultimi tre decenni della letteratura italiana contemporanea, è caratterizzato dall’uso contemporaneo di più elementi che allontanano il testo dal lettore. Si pensi all’uso della figura del narratore inaffidabile, nella maggior parte dei casi in prima persona singolare (spesso lunatico, psicopatico o leggermente schizofrenico), oppure al linguaggio avvicinato al parlato ed allontanato dalla lingua di pietra indurita e scricchiolante, arricchito di elementi anche dialettali, o ancora all’uso frequente di ripetizioni, di parole, frasi e concetti che prestano una certa ritmicità al testo, assieme alla mancanza o alla presenza molto ridotta della punteggiatura, che aiuta la lettura a voce alta e la rende piacevole al pubblico, impedendogli di perdersi tra le figure retoriche. Per quanto riguarda la struttura, spesso si comincia in medias res, la storia rimane senza una (lieta) fine, sospesa in aria, spingendo il lettore a ripensare agli episodi appena letti, a ricomporre l’opera in sè, o anche a rileggerla per capirne ancora di più. La let- tura di tali opere è sempre piacevole perché fluente, sorprendente, nuova rispetto al vecchio canone, anche perché il lettore è costretto a scendere dal piedistallo sul quale stava per secoli. Le emozioni che gli vengono regalate nel corso della lettura non sono sempre positive, non si tratta più, quindi, di raggiungere la soddisfazione di una storia ben finita.
L’opera trattata in questo breve saggio dimostra tutte le suddette caratteristiche delle opere emiliane – anche se non possiamo trascurare il fatto che Malerba sia soltanto nato a Parma, la sua attività in realtà si svolge prevalentemente a Roma. Salto mortale è un’opera difficilmente categorizzabile: è un giallo in cui il colpevole non viene trovato, anzi, in cui il delitto stesso viene messo in dubbio. Si tratta di un romanzo il cui protagonista narra da solo tutta la storia, ma accompagnata da una voce interna, un’opera in cui i protagonisti spariscono nel nulla, in cui gli elementi affermati per analogia vengono continuamente negati per poi essere distrutti. Se volessimo riassumere la trama (anche se questa attività porta ad uc- cidere un’opera d’arte), ci troveremmo di fronte ad un intreccio piuttosto semplice: viene commesso un delitto, un uomo viene ucciso sul prato, la polizia comincia ad indagare ed anche il nostro protagonista comincia a farlo, parallelamente alle forze dell’ordine. Il protagonista, il narratore Giuseppe detto Giuseppe, cerca di capire chi potrebbe es- sere l’assassino, ma i suoi sospetti non vengono mai rafforzati, anzi svaniscono con la morte dei sospettati. La storia finisce sospesa in aria e, negli ultimi capitoli, viene messo in dubbio anche se davvero sia stato commesso un delitto o si tratti, in- vece, solo di un sogno del protagonista. Il narratore aiuta a mantenere la tensione, tramite i suoi occhiali vediamo il groviglio della trama che si sta formando mano a mano durante i capitoli. La figura del protago- nista è di un’identità incerta, Giuseppe detto Giuseppe, compratore di metalli. La scelta del nome segnala la circolarità ed anche l’impotenza del discorso, che ritorna in sè stesso come l’uomo con il salto mortale. Oltre a lui è presente la sua voce interna con la quale discute spes- so, vi sono quindi affermazioni in prima persona singolare alle quali vengono date risposte in seconda persona singolare, con tono spesso rimproverante: la voce non è una coscienza interna, non gli dà dei con- sigli, la sua occupazione principale è invece quella di litigare con lui. Tramite questo litigio interno veniamo avvisati degli eventi presenti nel romanzo, che già in sè sono un segno di inaffidabilità del narratore, anzi, vediamo mano a mano realizzarsi la storia che viene addirittura creata tramite le fantasie del narratore. Come afferma Malerba stesso
Che i miei personaggi siano dei mentitori è una necessità interiore perché sono loro che costruiscono le loro storie, le loro trame, e vi si adattano con impegno totalitario.
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Carla Fracci. La danza
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Ovunque si possa danzare, dovunque si possa far conoscere la bellezza di quest’arte, vado sempre con trasporto. Tra le mie più grandi soddisfazioni, infatti, non c’è solo quella di aver danzato nei più grandi teatri del mondo, ma anche di aver portato il balletto nei posti più remoti, nelle periferie, e di aver trasmesso a tanti giovani questa passione.
Carla Fracci non è stata soltanto la nostra più grande e importante ballerina classica, il suo nome in Italia, dagli anni ’50 è sinonimo di danza, grazia, eleganza. È senza dubbio tra le donne italiane che hanno riscosso maggior successo nel mondo.
Oltre a una tecnica impeccabile, è stata una donna dalla straordinaria sensibilità, che riusciva a entrare intensamente in ogni personaggio e riproporne le emozioni e le caratteristiche. È stata una delle più grandi ballerine del ventesimo secolo.
Nel 1981 il New York Times l’ha definita prima ballerina assoluta.
Nata a Milano il 20 agosto del 1936 col nome di Carolina è stata un’icona mondiale della danza. Artista dall’ineguagliabile talento, ha vissuto la sua vita sempre in punta di piedi deliziando il pubblico di tutto il mondo.
Figlia di un tranviere e di un’operaia, cresciuta durante la guerra in campagna vicino Cremona, come ha spesso ricordato senza rinnegare le sue origini legate alla terra, è stata iniziata alla danza da amici di famiglia che la vedevano volteggiare alle feste campestri con un’innata grazia. Ha studiato alla Scuola di danza del Teatro alla Scala dal 1946. Conseguito il diploma nel 1954, dopo soli due anni è diventata solista e nel, 1958, prima ballerina.
Nel 1967 è stata artista ospite dell’American Ballet Theatre, una delle principali compagnie di balletto con sede a New York.
I più importanti ballerini del mondo da Nureev a Baryšnikov, hanno danzato con lei che ha interpretato tutte le più grandi eroine. È stata la più grande Giselle della storia della danza. Ha anche riproposto una serie di balletti perduti e nuove creazioni sotto la direzione di Beppe Menegatti, regista sposato nel 1964.
Fino agli anni ’70 ha fatto parte di prestigiosissime compagnie straniere come il London Festival Ballet, il Royal Ballet, lo Stuttgart Ballet e il Royal Swedish Ballet.
Nel 1982 è stata in una produzione televisiva sulla vita di Giuseppe Verdi, in cui ha interpretato la parte di Giuseppina Strepponi, soprano e seconda moglie del grande compositore.
Alla fine degli anni ’80 ha diretto il corpo di ballo del Teatro San Carlo di Napoli, assieme a Gheorghe Iancu.
Nel 1994 è stata membra dell’Accademia di Belle Arti di Brera. L’anno seguente è eletta presidente dell’associazione Altritalia Ambiente.
Dal 1996 al 1997 ha diretto il corpo di ballo dell’Arena di Verona.
Nel 2003 le è stata conferita l’onorificenza italiana di Cavaliera di Gran Croce. Nel 2004 è diventata Ambasciatrice di Buona Volontà della FAO.
Dal 2000 al 2010 è stata direttrice del corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma. Famosa è rimasta la sua aspra critica a Alemanno, allora sindaco della capitale, durante una manifestazione contro i tagli imposti al Fondo Unico per lo Spettacolo, nel 2010.
Dal 2009 al 2014 è stata Assessora alla Cultura della Provincia di Firenze.
Nel 2013 è stata pubblicata la sua autobiografia dal titolo Passo dopo passo. Partendo dal libro, recentemente è stata girata una serie tv sulla sua vita, Carla.
Eugenio Montale, che è stato un suo grande amico, le aveva dedicato la poesia La danzatrice stanca.
Carla Fracci, da sempre sinonimo di leggiadria, eleganza, delicatezza, aveva però un carattere forte e determinato. Da ragazzina indigente è riuscita con tenacia, forza e tanto lavoro a calcare i più importanti palcoscenici del mondo. Senza mai dimenticare le sue origini ha voluto portare la danza a ogni tipo di pubblico, avvicinarla anche alle fasce di popolazione meno abbienti. Il suo più grande rammarico è stato di non essere mai riuscita a diventare la direttrice del Corpo di ballo della Scala di Milano.Una donna straordinaria, che resterà immortale nonostante abbia lasciato il suo corpo il 27 maggio 2021.
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