#Giovanni Pascoli opere.
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pier-carlo-universe · 5 days ago
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Novembre di Giovanni Pascoli: La malinconia autunnale nella poesia italiana. Recensione di Alessandria today
Un viaggio nella poesia di Giovanni Pascoli, tra simbolismo e riflessione sulla natura e sulla caducità della vita
Un viaggio nella poesia di Giovanni Pascoli, tra simbolismo e riflessione sulla natura e sulla caducità della vita. La poesia “Novembre” di Giovanni Pascoli rappresenta uno dei componimenti più emblematici dell’autunno italiano, rievocando immagini di malinconia e riflessione sul tempo che passa. Pascoli, maestro della poesia simbolista italiana, si immerge nella descrizione di un paesaggio…
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natipvrmorire · 2 years ago
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Perché dolore è più dolor,
se tace.
- G. Pascoli
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ristorantequid · 7 months ago
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Cosa vedere a Matera nel centro storico: una guida completa
Il centro storico di Matera è un vero e proprio tesoro ricco di storia e cultura, che va oltre i famosi rioni dei Sassi. In questa guida ti condurremo in un viaggio attraverso le strade e le piazze di Matera, svelandoti i suoi tesori nascosti e le sue attrazioni meno conosciute.
Piazza del Liceo e Palazzo Lanfranchi: un tuffo nella storia
Il cuore del Piano
Partiamo da Piazzetta Giovanni Pascoli, conosciuta anche come “Piazza del Liceo”, che ospita Palazzo Lanfranchi, un’imponente costruzione del XVII secolo. Oggi il palazzo ospita il Museo Nazionale d’Arte medievale e moderna della Basilicata dove ammirare una vasta collezione di opere d’arte, tra cui dipinti della scuola napoletana e capolavori di Carlo Levi, come il famoso pannello “Lucania ’61”, lungo 18 metri.
Il Museo Archeologico Nazionale
Proseguendo lungo via Ridola, è possibile raggiungere il Museo Archeologico Nazionale, situato nell’ex convento barocco di Santa Chiara. Fondato nel 1911, il museo conserva reperti significativi del territorio materano e lucano, offrendo una straordinaria testimonianza delle stratificazioni storiche della regione, dal Paleolitico ai giorni nostri.
Piazza del Sedile: il crocevia dei Sassi
Il cuore politico ed economico
Piazza del Sedile è stata il fulcro politico ed economico di Matera nel XVI secolo, sede del Palazzo del Sedile, l’antico municipio. Oggi, il palazzo ospita il Conservatorio di musica intitolato al compositore Egidio Romualdo Duni. Da qui, è possibile ammirare lo spettacolare panorama dei rioni Caveoso e Barisano, che si ergono ai lati della piazza.
Piazza Duomo e la Cattedrale di Matera
Un capolavoro romanico-gotico
Percorrendo via Duomo, si arriva in Piazza Duomo, dominata dalla maestosa Cattedrale di Matera, costruita nel XIII secolo in stile romanico-gotico. L’interno della cattedrale è un vero scrigno di tesori artistici, con affreschi medievali, altari barocchi e la famosa “cappella del presepe”, che ospita un presepe in pietra del XVI secolo realizzato dall’artista Altobello Persio di Montescaglioso.
Il museo Diocesano
Accanto alla cattedrale, si trova il Museo Diocesano inaugurato nel 2011 e dedicato all’arte sacra. Tra le sue collezioni spiccano gli argenti provenienti dal tesoro della cattedrale, che raccontano la ricca tradizione religiosa di Matera.
Piazza Vittorio Veneto: il salotto della città
Una vista mozzafiato sul panorama lucano
Piazza Vittorio Veneto è la piazza principale di Matera, da cui si gode una vista spettacolare sui rioni Sassi e sulla Civita. Da qui, è possibile visitare il Palombaro lungo, un enorme serbatoio d’acqua scavato nella roccia, e immergersi nella vivace atmosfera dei negozi e dei ristoranti lungo via delle Beccherie.
Belvedere Guerricchio
Non dimenticare di visitare il belvedere Guerricchio, da cui ammirare il suggestivo panorama del Sasso Barisano e della Civita, soprattutto al tramonto, quando i colori caldi accendono le antiche facciate di pietra.
Chiesa di San Giovanni Battista: un gioiello nascosto
Arte e storia
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Ristorante Quid a Matera
Se stai pianificando di visitare Matera, non perdere l’occasione di gustare un pranzo presso il Ristorante Quid. Situato nel cuore dei suggestivi Sassi di Matera, offre una cucina raffinata che promette un’esperienza sensoriale completa. Abbinamenti innovativi, menù raffinato, atmosfera incantevole e ricerca dell’eccellenza culinaria rendono questo ristorante una tappa imperdibile durante la tua visita a Matera.
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marcogiovenale · 1 year ago
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oggi, 22 giugno, a ravenna: "percorsi fluidi e vegetali ignoti", dialogo tra giovanni anceschi, francesco tedeschi e luca scarabelli
OGGI, giovedì 22 giugno 2023 alle ore 21.00, la Fondazione Sabe per l’arte (via Giovanni Pascoli 31, Ravenna) presenta Percorsi fluidi e Vegetali ignoti, una conversazione con Giovanni Anceschi e Luca Scarabelli. A margine dell’esposizione Levia Gravia, che vede affiancate le opere di Valerio Anceschi e Luca Scarabelli, l’incontro, coordinato da Francesco Tedeschi, curatore della mostra e del…
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fotopadova · 6 years ago
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24 fotografi italiani a Mestre
di Andrea Scandolara
  --- M9 non è un carrarmato e non è soltanto un modello di Leica: è anche il nome del Museo del Novecento aperto dal dicembre 2018 a Mestre. Tre piani di spazi espositivi, due permanenti con tutto ciò che ha caratterizzato il secolo scorso in Italia; il terzo piano adibito invece a mostre temporanee e dedicato in questi giorni alla fotografia italiana. Dovremmo parlare di quest’ultima ma prima permetteteci di manifestare il nostro stupore per la realizzazione del nuovo e moderno edificio del museo magistralmente inserito in un contesto antico, un ex convento ed altre case del centro di Mestre. Uno dei tanti esempi di questo tipo di interventi, come ce ne sono diversi in giro per l’Europa, che ti fanno insorgere la domanda se sia più bello l’edificio o ciò che espone, il contenitore o il contenuto.
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      ©Mario De Biasi, Moira Orfei si avvia verso la Galleria Vittorio Emanuele. Milano, 1954.
La mostra scelta per l’inaugurazione, L’Italia dei fotografi. 24 storie d’autore, non poteva che riprendere la grande fotografia italiana del Novecento, un’arte che ha travalicato i confini nazionali e che proprio nel secolo scorso ha avuto il suo massimo sviluppo e un forte interessamento ai fenomeni sociali che hanno modellato storia e cultura nazionale.
A costo di essere noiosi bisogna citare i fotografi esposti: Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Letizia Battaglia, Gianni Berengo Gardin, Carla Cerati, Luca Campigotto, Lisetta Carmi, Giovanni Chiaramonte, Mario Cresci, Mario De Biasi, Franco Fontana, Maurizio Galimberti, Arturo Ghergo, Luigi Ghirri, Mario Giacomelli, Francesco Jodice, Mimmo Jodice, Nino Migliori, Riccardo Moncalvo, Ugo Mulas, Fulvio Roiter, Ferdinando Scianna, Tazio Secchiaroli, e Massimo Vitali.
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      © Gianni Berengo Gardin, Oriolo Romano, Lazio, 1965.
Curata da Denis Curti “propone oltre 230 immagini di formati diversi, a colori e in bianco e nero, scattate da 24 grandi fotografi italiani che raccontano così il Paese nel corso del ’900, in una sorta di ideale continuazione con la narrazione multimediale della mostra permanente sul XX secolo e sulle sue trasformazioni”.
Basta scorrere i nomi degli autori per capire l’eterogeneità degli stili e dei contenuti delle opere ma la scelta operata dal curatore bene identifica la produzione fotografica del periodo: dalla poetica di Ghirri e Campigotto agli anni travagliati di Mulas, dalla pura rappresentazione formale di Fontana ai reportage schierati di De Biasi, Battaglia, Cerati e Berengo Gardin; oppure quella di Ghergo, il fotografo delle dive, che senza avere a disposizione photoshop negli anni ’40 realizza immagini in sintonia con la visione di Picasso.
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      ©Luca Campigotto, Venezia, Italia. 1992.
 Una mostra che non è un’antologica della fotografia italiana ma un sunto ben strutturato. Da vedere certamente, fino al 16 giugno 2019.
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M9, via Giovanni Pascoli 11 30171 Venezia Mestre - T +39 041 2387230 - [email protected] -https://www.m9museum.it/it/italia-dei-fotografi-24-storie-autore
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senzasterischi · 6 years ago
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La letteratura molto molto in breve
Avvertenze:
1) L’articolo ha un alto contenuto ironico. Avrei preferito non specificare, visto che nominare l’ironia è un po’ ammazzarla, ma pensando a quello che vedo in giro sul web quotidianamente ho cambiato idea.
2) Le “pillole di letteratura brevissima” sono tutt’altro che tutte mie: hanno collaborato con me Matilde Zambon, Giulia Mangiafico, Zia Cin e Marta Capoccia.
Chi ha il tempo di leggere i classici per intero? Dopotutto siamo nell’era della velocità, no? La formazione scolastica deve incentrarsi sull’utile, sul produttivo, sul rigoroso, eccetera, eccetera. Non c’è tempo di leggere le opere, e a pensarci bene non c’è tempo neanche per i libri di letteratura così come sono ora. Presenti, per esempio, i Luperini? Chi ha il tempo di sciropparsi sei volumi di quella roba?Non c’è da stupirsi se i poveri studenti vanno a studiarsi le sintesi di fine capitolo. Solo che quei riassuntini purtroppo spesso non sono adeguatamente espressivi, non colgono lo spirito dell’autore o dell’opera che si sta studiando. Nel corso di queste ultime ore estive io e i coautori sopracitati ci siamo chiesti proprio questo: come si può combinare la necessaria brevità con un’autentica comprensione?Meno male che ci siamo noi.Noi che vi salveremo le interrogazioni, i test, gli esami, qualunque cosa. Sull’esempio di
questo
e
quest’altro
video di Yotobi, eccoci qua, a presentarvi
la letteratura molto molto in breve
.Così avrete più tempo per dedicarvi a cose
ben più importanti
.
GIUSEPPE PARINI
Quello del cane.
I PROMESSI SPOSI
Asp, succedeva altro dopo le gride?
ADONE di GIAMBATTISTA MARINO
5000 ottave di niente
A MIA MOGLIE di UMBERTO SABA
Chissà perché Lina si è incazzata
VITA DI BENVENUTO CELLINI
Una fiction della Rai
CANZONIERE di FRANCESCO PETRARCA
Petrarca incontrò Laura un lunedì di Venerdì Santo
OSSI DI SEPPIA di EUGENIO MONTALE
No ma che vuol dire “farandola”?
SATURA di EUGENIO MONTALE
Ti chiamo Mosca perché ti voglio bene eh
ALLEGRIA di GIUSEPPE UNGARETTI
PocoDa,Dire
SENTIMENTO DEL TEMPO di GIUSEPPE UNGARETTI
Basta, mi secca andare sempre a capo.
VITA di VITTORIO ALFIERI
Io mangiavo lucertole aperte da ragazzino
tornavo a casa e vomitavo in mezzo al giardino
ah no quello è Fabri Fibra
LEZIONI AMERICANE di ITALO CALVINO
Stai easy che tutti ricordano solo quella sulla leggerezza di essere
ULYSSES di JAMES JOYCE
È lungo.
GIOSUÈ CARDUCCI
Chi ha detto che metrica e retorica non rendono famosi?
DI NUOVO GIOSUÈ CARDUCCI
Intanto io il Nobel l’ho vinto, tiè.
ANCORA GIOSUÈ CARDUCCI
Chi l’ha detto che chi non sa fare insegna?
IL SIMPOSIO di PLATONE
“Naaah… stasera non bevo che sto ancora male da ieri”
SAUL di VITTORIO ALFIERI
Davide, mi stai cantando una canzone perché mi vuoi bene? Muori pezzo di merda
UNO, NESSUNO E CENTOMILA di LUIGI PIRANDELLO
– Hai il naso storto– Sarai bella teFine.
VITA NOVA di DANTE ALIGHIERI
Che bella Beatrice devo dirglielo, ma ora sto male. Cavolo è morta! Ora sto ancora più male.
LA DIVINA COMMEDIA
Il mondo in cui rubare o scialacquare è peggio di ammazzare
DI NUOVO LA DIVINA COMMEDIA
Se mi stai sul cazzo te la faccio pagare peggio del diario di una teenager
DIVINA COMMEDIA: GIRONE DEI SODOMITI
“Non sono omofobo, ho tanti amici gay”
UNA VITA di ITALO SVEVO
Odio i miei colleghi di lavoro e mi lamento per 300 pagine
SENILITÀ di ITALO SVEVO
Un quadrilatero perfetto di gente che non voglio incontrare mai
LUDOVICO ARIOSTO
Beautiful mi fa una pippa
MYRICAE di GIOVANNI PASCOLI
Vivere? È vietato, si pensa solo al passato e ai lutti familiari. Amare? È peccato, ma in segreto posso amare mia sorella. Il cosmo? Piange con la mia piccola anima. E attenti ai temporali…
FUTURISMO
;))))))))) XDDDDDDDDDDDD ^_______^ per fortuna :O .-. .-.  :(((((((((((( O_____________O non c’erano ancora
;P ;P
:____________Qle emoticon  :* :* :### *___________*
ALDO PALAZZESCHI
Crepuscolare ma gli piace la vita, futurista non interventista, cazzo è l’uomo perfetto!
GAIO VALERIO CATULLO
Quello dell’uccello.
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Se avete altre proposte, proponetele liberamente qua sotto oppure nella pagina facebook! Siamo aperti a tutte le proposte. Brevi però, che non c’abbiamo tempo da perdere.
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dlvampires · 7 years ago
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[I didn't know if I I could talk in italian because I felt some guilty towards all the others qwq But, since Ruki did, I will too] [Spero solo che non sia un problema... '-'] Oh, wow! Quindi ti piace la letteratura italiana? Se posso chiedere, ti piace qualche autore o qualche opera in particolare? Penso che, tra le opere che ho studiato a scuola, la ‘Divina Commedia’ di Dante sia quella che preferisco di più, insieme all'‘Orlando Furioso’ di Ludovico Ariosto e ‘Alla sera’ di Ugo Foscolo ^-^
Ruki: La letteratura italiana è tra le mie preferite, oltre a quella russa; nulla da togliere a tutte le altre, sia ben chiaro.
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Ruki: Tra i miei autori preferiti ci sono soprattutto Giovanni Verga, Luigi Pirandello e Italo Svevo... trovo le opere di quest’ultimi due molto stimolanti, da un punto di vista psicologico.
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Ruki: Non posso escludere poeti quali Carducci, Pascoli, Ungaretti e Montale.
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Ruki: Vorrei focalizzarmi sugli autori della letteratura del Settecento e inizio Ottocento... prima, però, ho intenzione di leggere Gabriele D’Annunzio.
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dovefiniscituecomincioio · 4 years ago
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Emozioni di carta
A volte hai la sensazione che tutto stia crollando, ti guardi intorno e tutto non sembra adatto a te. Ti senti come catapultata in un mondo che non ti appartiene e a cui tu non appartieni, la gente non è come te, le persone sono diverse da te e spesso tendi ad essere ferita da ciò perché credi che tutti abbiano il tuo stesso cuore,   credi che il mondo abbia la tua stessa bontà ma più cammini per il mondo più ti rendi conto di appartenere ad un qualcosa molto diverso da te.   Ti chiedi se sei tu ad essere sbagliata,   se sei tu ad essere troppo o troppo poco; guardi le persone attorno a te e non ti somigliano, no, non parlo di somiglianza fisica, parlo di somiglianza d’animo.   E ancora una volta non capisci se sei tu quella sbagliata. Il rumore della pioggia ti distrae dai tuoi pensieri,   guardi fuori e noti il tempo grigio, grigio come piace a te; ti soffermi a guardare dalla finestra e noti le goccioline d’acqua che scorrono sul vetro e ti vengono in mente i ricordi di bambina, quando immaginavi che le gocce sul vetro stessero facendo una gara tra loro e allora le seguivi con lo sguardo attento di una bimba già troppo sensibile che voleva crescere e non sapeva ancora che la vera felicità era proprio quella. Le dita scivolano veloci sulla tastiera di un pc, cercano di rincorrere i pensieri che sono più veloci delle parole e ti perdi, non sai di preciso in cosa, ma ti fermi e immagini, e sogni. Ho avuto sempre un debole per la pioggia, mi è sempre piaciuto l’odore della pioggia in estate; quell’odore che a molti non piaceva perché preludeva la fine dell’estate ma a me non importava perché sono sempre stata diversa da tutti gli altri. Come la maggior parte delle persone anch’io amo l’estate, ma non per andare a ballare o per stare in giro fino a tardi; io amo l’estate per il mare, perché è l’unico luogo che rispecchia sempre il mio stato d’animo, il mare ti capisce.   Preferisco stare in spiaggia la notte ad assaporare il suo odore e ad ascoltare il rumore delle onde piuttosto che una rumorosa discoteca; preferisco fermarmi ad osservare quella distesa azzurra che sembra non finire mai piuttosto che dormire sotto l’ombrellone. Certe anime vengono messe in posti a cui non appartengono, ma se il mondo è solo questo bisogna adattarsi; non c’è un altro pianeta su cui vivere e non ci sono altre persone oltre queste con cui condividere questo pianeta. Da sempre il mio momento preferito della giornata è quello in cui annullo ogni contatto con il mondo, il momento in cui esistiamo solo io e la scrittura, io e le parole. Le parole mi sono state a volte amiche e a volte nemiche: ci sono volte in cui escono talmente naturali che non credevo che la mia mente ne potesse contenere così tante; invece ci sono volte in cui per quanto mi sforzi di cercarle loro si nascondono nell’angolo più piccolo e nascosto della mia mente. Da sempre il momento che più amo è quello della scrittura, quel momento in cui cerco di trasformare i miei pensieri in parole e in emozioni; a volte ci riesco bene, a volte un po’ meno. Da bambina sognavo di diventare una scrittrice; ma da piccoli non si ha idea di cosa sia il mondo reale, siamo fatti solo di sogni e speranze e sai, credo che sarebbe bello rimanere così per sempre.   Al Liceo ero innamorata della Letteratura, e certamente lo sono ancora, ci sono stati tanti autori, scrittori e poeti che mi hanno fatto innamorare e mi hanno fatto sentire l’anima più leggera, mi hanno fatta sentire un po’ meno diversa. Non sto qui a fare l’elenco delle opere e degli autori che mi hanno particolarmente colpita ma ce n’è uno in particolare che supera tutti e tutto: Giovanni Pascoli. Si, lui e la sua poetica del fanciullino in cui mi sono sin da subito ritrovata. Secondo il poeta, infatti, dentro di noi esiste un fanciullino, un bambino che rimane così com’è anche quando cresciamo e diventiamo adulti. Il fanciullino continua a comunicare emozioni e sensazioni con la stessa voce, ma quando cresciamo non lo ascoltiamo, in quanto siamo impegnati con i problemi che dobbiamo affrontare quotidianamente. Solo il poeta riesce ad ascoltare la voce del fanciullino, il quale vede tutto come nuovo e meraviglioso e viene affascinato da avventure ed eroi. Questo bambino che non cresce mai è presente in tutti gli esseri umani e in ognuno di noi ride, sogna, si meraviglia, prova entusiasmo e curiosità.   Questa teoria mi ha fatto capire che in realtà non sono io ad essere sbagliata, in realtà io sono una delle poche persone che riesce ancora a dare ascolto al fanciullino: mi emozioni per le piccole cose, mi basta davvero poco per essere felice, a volte rido a crepapelle come una bambina fino alle lacrime, a volte piango di fronte ad un film, mi commuove ancora una canzone di Natale, i tetti ricoperti dal bianco candore della neve, un bimbo appena nato, un cucciolo che ti rincorre perché decide di fidarsi di te. Mi fido di poche persone, di quelle che credo siano come me, non mi piace omologarmi alla massa, a chi fa una cosa perché la fanno tutti. Io sono diversa e diversa non vuol dire sbagliata, significa che ho consapevolezza di ciò che sono e non prendo ciò che capita ma ciò che voglio e soprattutto ciò che merito.  |© dovefiniscituecomincioio
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personal-reporter · 4 years ago
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Giovanni Pascoli, poeta dal cuore grande
Giovanni Pascoli, poeta dal cuore grande
Il poeta che cercava di trovare nelle sue opere la magia dell’infanzia… Giovanni Placido Agostino Pascoli nacque a San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855 e all’età di dodici anni perse il padre, ucciso da una fucilata sparata da ignoti, nella serata del 10 agosto 1867. (more…)
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berna282 · 4 years ago
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DOLPHIN & DOG SPECIAL FRIENDSHIP - Vangelis: Song Of The Seas
ABBIATE TENERO AFFETTO  GLI UNI PER GLI ALTRI’’
‘’CON AMORE FRATERNO ABBIATE TENERO AFFETTO GLI UNI PER GLI ALTRI’’ .ROMANI 12:10.
E INVECE FRA VOI SIAMO STATI PREMUROSI COME UNA MWADRE CHE NUTRE I SUOI PICCOLI E NE  HA TENERA CURA.COSI ,NEL NOSTRO RENERE AFFETTO PER VOI,ERAVAMO DECISI NON SOLO A TRASMETTERVI LA  BUONA NOTIZIA  DI DIO,MA ANVCHE A DSARVI NOI TESSI, TANTO CI ERAVATE  DIVENTATI CARI. ( 1TESSALONICESI 2:7,8)
‘’E’ ,ECCO  ,S O CHE NESSUNO DI VOI,A CUI HO PREDICATO IL REGNO ,VEDRA’  PIU’ LA MIA FACCIA. ( ATTI 20:25)
ALLORA TUTTI SCOPPIARONO IN UN GRAN PIANTO ABBRACCIARONO PAOLO E LO  BACIARONO AFFETTUOSAMENTE, ( ATTI 20:37)
TENERE AFFETTO E AMORE 
COSI’ ,NEL NOSTRO TENERO AFFETTO PER VOI,ERAVAMO DECISI NON SOLO A TRASMETTERVI LA BUONA NOTIZIA DI DIO,MA ANCHE’A DARVI NOI STESSI, TANTO CI ERAVATE DIVENUTI CARI. ( 1TESSALONICESI 2:8)
ALA DEVOZIONE A DIO L’ AFFETTO FRATERNO ,ALL’ AFFETTO FRATERNO L’ AMORE. ( 2PIETRO 1:7)
IL VOSTRO AMORE SIA SENZA IPOCRISIA. DETESTATE CIO’ CHE E’ MALVAGIO, ATTENETEVI A CIO’ CHE E’ BUONO.  CON AMORE FRATERNO  ABBIATE TENERE AFFETTO  GLI UNI PER GLI ALTRI. PRENDETE LINIZIATIVA NEL MOSTRARVI ONORE A  VICENDA.( ROMANI 12:9,10)
COME AMORE FRATERNO ABBIATE TENERO AFFETTO GLI UNI PER GLI ALTRI. PRENDETE   L’INIZIATIVA NEL MOSTRARVI ONORE A VICENDA. ( ROMANI 12:10)
FINCHE’ NE ABBIAMO LA POSSIBILITÀ’, DUNQUE ,FACCIAMO DEL BENE A TUTTI,MA SPECIALMENTE A QUELLI CHE  APPARTENGANO ALLA NOSTRA FAMIGLIA DELLA FEDE. ( GALATI 6:10)
OPRA CHE VI SIETE PURIFICATI MEDIANTE LA VOSTRA UBBIDIENZA ALLA VERITA’,VCON IL RISULTATO DI UN AFFETTO  FRATERNO SENZA IPOCRISIA, AMATEVI DI CUORE LI UNI GLI ALTRI INTENSAMENTE. ( 1PIETRO 1:22)
‘’AMMAESTRATI DA  DIO AD AMARVI GLI UNI GLI ALTRI’’
E’ A  CAUSA DELL’ AUMENTO DELLA MALAVITA L’ AMORE DELLA  MAGGIORANZA SI RAFFREDDERÀ ( MATTEO 24:12) 
QUANDO ALL’ AMORE FRATERNO   ,NON AVETE BIS OGNO CHE VE NE SCRIVIAMO, PECHE E’ DIO  CGE VI INSEGNA AD AMARVI GLI UNI GLI ALTRI. ( 1TESSALONICESI 4:9)
CONDIVIDETE QUELLO CHE AVETE CON  I SANTI SECONDO LE LORO NECESSITA’. SIATE  SEMPRE OSPITALI. (ROMANI  12:13).
 COLUI CHE NON SPARGE CALUNNIE  CON LA SUA LINGUA,  CHE NON DIFFAMA GLI AMOICI; COLUI  CHE RESPINGE CHI E’ SPREGEVOL,E , MA  ONORA CHI TEME GEOVA -; COLUI  CHE NON RIMANGIA LA PAROLA , ANCHE SE DOVESSE RIMETTERCI  COLUI CHE NON PRESTA DENARO DI CHI E’ INNOCENTE CHI AGISCE CODSI’ NON SARA’ MA I SCOSSO. ( SALMO 15:3-5)
CIO’ CHE RENDE GRADITO UN UOMO E’ IL SUO AMORE LEALE, EDE E’ MEGLIO ESSERE POVERI CHE BUGIARDI ( PROVERBI 19:22) 
E INTERESSANTE GLI UNI’ DEGLI ALTRI PER  SPRONARCI  ALL’ AMORE  E ALLE OPERE ECCELLENTI. MA NON  TRASCURANDO  DI RIUNIRCI  INSIEME,,COME  INVECE  , ALCUNI FANNO ABITUALMENTE, MA INCORAGGIANDOCI A VI9CENDA, TANTO PIU’ CH3E VEDETE AVVICINARSI IL GIORNO. ( EBREI 10:24,25)
DOVRESTE ‘ALAGARVI’?
LA NOSTRA BOCCA VI HA PALATO FRANCAMENTE, CORINTI ,E  IL NOSTRO AFFETTO PER VOI NON E’ LIMITATO ;E IL VOSTRO  TENERO AFFETTO  PER  NOI  A ESSERLO. PERCIO’ ANCHE VOI. PARLO COME A FIGLI -CONTRACCAMBIATECI, APRITE VISTRO CUORE. (   2 CORINTI 6:11.13)
COM AMORE FRATERNO ABBIATE TENERO AFETTO GLI UNI PER GLI  ALTRI. PRENDETE L’INIZIATIVA NEL MOSTRARVI ONORE A VICENDA ( ROMANI 12:10) 
EPURE SOLO  POCHE COSE SONO NECESSARIE,O UNA SOLA. DAL CANTO SUO, MARIA HA SCELTO LA PARTE BUONA,E NON  LE SARA’ TOLTA’’. ( LUCA 10:42)
POI’DISSE ALL’ UOMO CHE LO AVEVA INVITATO:’’QUANDO ORGANIZZI UN PRANZO O UNA CENA,NON CHIAMARCI I TUOI AMICI ,I TUOI FRATELLI,I TUOI PARENTI O I TUOI VICINI RICCHI.ALTRIMENTI ANCHE  LORO POTREBBERO INVITARTI A LORO VOLTA,E IN QUESTO MODO SAREOME SE VENISSI RIPAGATO. INVECE , QUANDO FAI UN BANCHETTO,INVITA POVERI,STORPI,ZOPPI, CIECHI,  E ALLORA SARAI FELICE,PERCHE’ LORO NON HANNO BULLA PER RIPAGARTI; SARAI INFATTI RIPAGATO ALLA RISURREZIONE DEI GIUSTI. ( (LUCA 14:12-14)
SPERO COMUNQUE DI VEDERTI PRESTO,E ALLORA PARLEREMO DI PERSONA,.  ABBI PACE.  GLI AMICI TI MANDANO I LORO SALUTI. SALUTA GLI AMICI UNO A UNO. ( 3 GIO0VANNI 14)
SEUNO DICE: ‘’IO AMO DIO’’,MA POI’ ODIA SUO FRATELLO ,E’ BUGIARDO. INFATTI CHI NON AMA IL PROPRIO FRATELLO,CHE PUO’ VEDERE,NON PUO’ AMARE DIO,CHE NON PUO’ VEDERE. E DA LUI ABBIAMO QUESTO COMANDAMENTO:CHI AMA DIO DEVE AMARE ANCHE  ANCHE IL PROPRIO FRATELLO. ( 1 GIOVANNI 40:20,21)
LA FIDUCIA CHE ABBIAMO IN LUI E’ QUESTA : QUALUNQUE COSA  CHIEDIAMO IN ARMONIA CONN LA SUA VOLONTÀ ,LUI CI  ASCOLTA.  E SE SAPPIAMO CHE LUI VCI ASCOLTA QUALUNQUE COSA CHIEDIAMO,SAPPIAMO CHE AVREMO LE COSE CHIESTE DATO CHRE LE ABBIAMO CHISTE A LUI. ( 1 GIOVANNI 5:14,15)
SOPRATTUTTO ,ABBIATE INTENSO AMORE GLI UNI  PER GLI ALTRI, PERCHE’ L’ AMORE COPRE UNA GRAN QUANTITÀ DI PECCATI. ( 1PIETRO 4:8)
APRITE IL VOSTRO CUORE AD ALTRI!
CHI SI ISOLA PERSEGUE I SUOI DESIDERI EGOISTICI: VA CONTRO OIGNI SAGGEZZA. ( PROVERBI 18:1)
NON VI CHIAMO PIU’ ‘SCHIAVI’. PERCHE’ IO SCHIAVO NON SA QUELLO CHE FA IL SUO PADRONE.MA VI HO CHIAMATO ‘AMICI’. PERCHE’ VI HO FATTO CONOSCERE TUTTE LE COSE CHE HO SENTITO DAL PADRE MIO. (GIOVANNI 15:15)
IN OGNI CODSA VI HO MOSTRATO CHE, FATICANDO COSI, DOVETE ASSISTERE QUELLI CHE SONO DEBOLI E DOVETE RICORDARVI DELLE PAROLE DEL SIGNORE GESU’,CHE DISSE: ‘C’E’ PIU’ FELICITA’ NEL DARE CHE NEL RICEVERE’’’. ( ATTI 20:35)
SE DUNQUE C’E’ QUALCHE INCORAGGIAMENTO IN CRISTO  QUALCHE CONSOLAZIONE CHE NASCE DALL’ AMORE, QUALCHE COMUNIONE DI SPIRITO ,SE  CI SONO TENERO AFFETTO E COMPASSIONE   ,RENDETE COMPLETA LA MIA GIOIA AVENDO LO STESSO MODO DI PENSARE E ,O STESSO AMORE,ESSENDO PERFETTAMENTE  UNITI E DELLO STESSO PENSIERO. NON FATE NULLA PER RIVALITÀ’ O VANAGLORIA, MA,CON UMILTA’.  CONSIDERANDO GLI ALTRI SUPERIORI A VOI.; NON CERCATE SOLAMENTE IL VOSTEO INTERESSE,MA ANCHE QUELLO DEGLI ALTRI. ( FILIPPESI 2:1-4)
E’ MEGLIO UNA RIPRENSIONE APERTA  CHE UN AMORE NON DIMOSTRATO(PROVERBI 27:5)
GLI OCCHI RAGGIANTI FANNO RALLEGRARE IL CUORE, E UNA BUONA NOTIZIA RINVIGORISCE   LE OSSA. ( PROVERBI 15:30)
CO,ME MELE D’ORO IN VASSOI D’ARGENTO LAVARATO E’ UNA PAROLA DETTA AL MOMENTO GIUSTO. (  PROVERBI 25:11)
IL VETRO AMICO AMA IN OGNI CIRCOSTANZA E SI DIMOSTRA UN FRATELLO NEI MOMENTI DIFFICILI. ( PROVERBI 17::17)
‘’IO TI HO APPROVATO’’ 
E DAI CIELI VENNE UNA COCE:’’TU SEI MIO FIGLIO,IL MIO AMATO FIGLIO.IO TI HO APPROVATO ‘’.( MARCO 1:11)
INFATTI IL PADRE VUOLE BENE AL FIGLIO E GLI MOSTRA TUTTE  LE COSE CHE LUI STESSO FA, E GLI MOSTRERÀ’ OPERE PIU’ GRANDI DI QUESTE, AFFINCHÉ’ VI MERAVIGLIATE. ( GIOVANNI 5:20)
GESU’ DISSE: IN VERITA’ VI DICO:NON C’E’ NESSUNO CHE, AVENDO LASCIATO CASA O FRATELLI O SORELLE O MADRE O PADRE O FIGLI O CAMPI PER AMOR MIO E PER5 AMORE DELLA BUONA NOTIZIA, NON RICEVEìA ORA,IN QUESTO PERIODO DI TEMPO , CENTO VOLTE TANTO ,DI CASE,FRATELLI,SORELLE,MADRI ,FIGLI E CAMPI,INSIEME A PERSECUZIONI,E NEL SISTEMA DI COSE FUTURO LA VITA ETERNA. ( MARCO 10:29,30)
FINCHE’ MNE ABIAMO LA  PSSIBI8LITA’,DUNQUE  FACCIAMO DEL NBENE A TUTTI, MA SPECIALMENTE A QUELLI CHE APPARTENGANO ALA NOSTRA FAMIGLIA DELA FEDE. (GALATI 6:10)
E A RIVESTITEVI DELLA NUOVA PERSONALITÀ’ CHE E’ STSATA  CREATA SECONDO LA VOLONTÀ’ DI DIO IN VERA GIUSTIZIA E LEALTA. ( EFESINI 4:24)
NON ESSERE UNO CHE SI OFFENDE FACILMENTE, PERCHE’ L’OFFENDERSI RISIEDE NELL’ ANIMO DEGLI STUPIDI. ( ECCLESIASTE 7:9)
ALLO STESSO MODO VOI CHE  SIETE PIU’ GIOVANI SIATE  SOTTOMESSI A CHI E’ PIU’ ANZIANO DI VOI.  MA RIVESTITEVI TUTTI UMILTA’ NEI CONFRONTI DEGLI ALTRI,PERCGE’ DIO SI OPPONE AI SUPERBI,MA MOSTRA IMMERITATA BONTA’ AGLI UMILI. ( 1PIETRO 5:5)
‘’GEOVA E’ MOLTO TENERO IN AFFETTO’’
 PERCHE’ CERCHIAMO DIO, ANCHE ANDANDO A TASTONI ,E DAVVERO LO TROVIAMO, BENCHE’ IN REALTA’ NON XSIA LONTANO DA OGNUNO DI NOI. (ATTI 17:27)
AVVICINATEVI A DIO,ED EGLI SI  AVVICENERA A VOI,PULITE LE VOSTRE  MANI, O PECCATORI,E PURIFICATE I VOSTRI CUORI ,O INDECISI. ( GISACOMO 4:8)
GEOVA  E’ VICINO A QUELLI CHE HANNO IL CUORE AF FRANTO; SALVA QUELLI DALLO SPIRITO ABBATTUTO. ( SALMO 34:18)
GEOVA E’IL MIO PASTORE.  NON MI MASCHERA’ NULLA . MI FA RIPOSARE IN PASCOLI ERBOSI; MI GUIDA LUNGO I SENTIERI NDELLA  GIUSTIZIA  PER AMORE DEL SUO NOME . BENCHE’ IOO CAMMINI NELLA VALLE DELLA PROFONDA OMBRA, NON TEMO ALCUN MALE PERCGE’ TU SEI CON ME; LA BTUA VERGA E IL TUO BASTONE MI RASSICURANO. MI IMBANDISCI UNA TAVOLA DAVANTI AI MIEI NEMICI. COSPARGI  D’OLIO LA MIA TEESTA, ; IL MIO CALICE E’ RICOLMO. BONTA’ E  AMORE LEALE MI ACCOMPAGNERANNO DI CERTO PER TUTTA LA VITA, E DIMOSTRERÒ NELLA CASA DI GEOVA PER TUTTI I MIEI GIORNI. ( SALMO 23 SOPRASCRITTA -6)
IL PADRE STESSO,INFATTI,VI VUOLE BENE, PERCHE ’ VOI AVETE  VOLUTO BENE A ME E AVETE CREDUTO CHE PROVENGA DA DIO. ( GIOVANNI 16:27)
TUTTO CIOI’ CHE E’ STATO SCRITTO IN PASSATO E’ STATO SCRITTO PER ISTRUIRCI, AFFINCHÉ MEDIANTE  LA NOSTRA PERSEVERANZA E IL CONFORTO DELLE SCRITTURE AVESSI9MO SPERANZA. ( ROMANI 15:4)
O GEOVA,CHI SARA’ OSPITE NELLA TUA TENDA? CHI RISIEDERE SULO TUO MONTE SANTO? COLUI CHE CAMMINA CON INTEGRITÀ’, CHE FA CIO’ CHE E’ GIUSTO E DICE LA VERITA’ NEL SUO CUORE; ( SALMO 15:1,2)
QUELLI CHE TEMONO GEOVA DIVENTERANNO SUOI INTIMI AMICI, ED EGLI FARA’ LORO CONOSCERE IL SUO PATTO. ( SALMO 25:14)
ECCO, NOI CONSIDERIAMO FELICI QUELLI CHE HANNO  PERSEVERATO.VOI AVETE SENTITO PARLARE DELLA PERSEVERANZA DI GIOBBE E AVETE VISTO QUELLO CHE GEOVA ALLA FINE  GLI RISERVO’, DATO CHE GEOVA E’ MOLTO TENERO E MISERICORDIOSO. ( GIACOMO 5:11) 
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iltopodibiblioteca · 5 years ago
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I “Risvegli” e la sofferenza di Giuseppe Ungaretti
Giuseppe Ungaretti ebbe una vita longeva (nacque nel 1888 e mori’ nel 1970, ad 82 anni) ricca di piacevoli soddisfazioni, come il matrimonio o la nascita dei figli , e ricca di gratificazioni lavorative, poiché il suo lavoro e’ stato un imprescindibile punto di partenza per molti poeti del secondo Novecento.
Egli ebbe una lunga vita che non basto’ , tuttavia, a cancellare gli orrori che vide e le sensazioni che provo’ durante la Prima Guerra Mondiale.
Quando l’Italia entro’ in guerra nel 1915, il nostro poeta si arruolo’ come soldato semplice e si ritrovo’ (nel 1916) a combattere sul Carso, quell'altipiano brullo e roccioso che abbraccia Trieste e copre la parte più orientale del Friuli Venezia Giulia, estendendosi al di là del vecchio confine, in territorio sloveno. Nella storia militare d’Italia è ricordato soprattutto perché lungo il suo corso, tra il maggio 1915 e l’ottobre 1917, si svolsero le dodici grandi battaglie contro l’esercito austroungarico, battaglie alle quali Ungaretti prese parte.
Di fronte alla concretezza della guerra, alla vastità dell’orrore, il giovane scrittore matura una profonda mutazione che dara’ vita ad un gruppo di poesie, 33 in tutto, che racchiudono la sua esperienza esistenziale di quell'anno in trincea. Ma il continuo confronto con la morte fece cadere in lui ogni sentimento patriottico e ogni ideologia celebrativa. Nella sua raccolta , manca infatti ogni caratterizzazione storica e politica relativa alla guerra, si analizza solo l’essere umano, il suo animo e come questo reagisca alle crudeltà’ alle quali e’ costretto a fare da spettatore.
Ungaretti quindi non rientra nella definizione di poeta-vate (come D’Annunzio) e in questa sua prima raccolta per dare forma al suo dolore, rifiuta ogni tipo di retorica, cercando termini precisi e chiari che rispecchiassero esattamente ciò che provava.
Leggendo non solo le sue opere, ma anche quelle di molti altri scrittori che parteciparono alla stessa guerra, non posso fare a meno di notare pero’ che la differenza fra dolore e sofferenza e’ il risultato del loro livello di accettazione.
Si prenda d’esempio Gabriele D’Annunzio, (nonostante appartenga, insieme ad Ungaretti, alla corrente decadentista),  essendo legato all’estetismo, vede la Prima Guerra Mondiale come un’avventura; al contrario Ungaretti la vive come un esperienza drammatica e piena di orrori, dalla quale non si riprese mai pienamente.
Il tema della precarietà’ umana e’, difatti, molto ricorrente in Ungaretti proprio in riferimento alla sua esperienza in guerra, basti pensare alla poesia “Soldati” dove il poeta paragona la fragilità’ di quest’ultimi a quella delle foglie.
Tuttavia questa situazione di precarietà’ viene estesa, in un secondo momento a tutti glie esseri umani, poiché i soldati potrebbero essere gli uomini e la guerra potrebbe essere la vita.
La guerra duro’ altri due anni e si concluse nel 1918. Ma cosa sono due anni paragonati ad una vita? Sono un attimo.
E quello fu un attimo talmente incisivo che condiziono’ il resto della sua vita.
Per molti scrittori e poeti (contemporanei ad Ungaretti e non) e’ sufficiente quel solo istante a provocare in loro un dolore tale che il resto della loro vita non e’ sufficiente per interiorizzarlo.
Si prenda in considerazione Emilio Gadda, che con il suo “Giornale di Guerra e di prigionia” ci fornisce una testimonianza degli eventi che visse quando venne fatto prigioniero dopo la disfatta di Caporetto; o Primo Levi dove in “Se questo e’ un uomo” ci racconta ciò’ che avvenne nel campo di concentramento di Auschwitz, o ancora Ernest Hemingway e il suo “addio alle armi” .
Per tutti questi scrittori, e molti altri ancora che non mi soffermo a citare, l’attimo fu la guerra.
Ma per Giovanni Pascoli, ad esempio, fu la morte del padre; per Virginia Woolf fu la morte della madre e gli abusi che subì’ da giovane; per Frida Kahlo fu l’incidente di cui fu vittima da adolescente.
Poteri elencare milioni di autori e milioni di attimi che li portarono ad una vita di riflessioni, perché’ la verità’ e’ che ogni scrittore o poeta degno di questo nome ne ha uno.
Questi attimi sono indice di sofferenza, ed e’ dalla sofferenza che nascono le migliori opere, poiché la sofferenza ci apre gli occhi, anche se per un istante, sulla crudeltà’ del mondo. E una volta aver iniziato vedere, tornare a guardare ci sembra impossibile.
Ed e’ proprio questo ciò’ che accadde a Giuseppe Ungaretti. La guerra fu il suo attimo, dopodiché lui inizio’ a vedere.
“La vera morte si sconta vivendo” scrive in “Sono una Creatura” il 5 Agosto 1916, e ancora “E’ il mio cuore il paese più straziato” il  27 Agosto dello stesso anno, riconoscendo che ciò’ che credeva di aver appreso sul mondo e sulla sua natura non erano altro che menzogne inventate dagli uomini che si limitavano a guardare.
La sofferenza, lo ha condotto ad essere più’ profondo e ad avvertire le contraddizioni della società contemporanea.
Adesso non e’ evidente? Alla base di ogni grande opera vi e’ la sofferenza. Ciò che cambia e’ come il poeta decide di esprimerla.
In epoche passate era uso scrivere lunghi testi ricchi di metafore ed analogie, ma Ungaretti decide di mantenersi fedele all’essenzialità’ e alla concentrazioni dei significati.
Per lui la sofferenza va espressa in maniera chiara, precisa e trasparente, quasi finalizzata alla comunicazione. Tramite parole-verso e spazi bianchi carichi di tensione ci pone davanti la sofferenza cosi come lui la percepisce.
Forse e’ per questo motivo che viene ritenuto un poeta di difficile interpretazione: perché’ e’ proprio quando si ha la verità’ davanti agli occhi che si fa finta di non riconoscerla, di non capirla.
In conclusione credo che la la poetica di Ungaretti sia stata si, influenzata dalla guerra, come molti poeti suoi contemporanei del resto, ma come lui sia riuscito ad interiorizzarla è la vera peculiarità: in un modo unico e  senza precedenti.
La sofferenza è stata, è e sarà la musa ispiratrice di molti scrittori.  D’altronde, non è forse vero cioè che sosteneva il filosofo Henry Bergson? Ossia che nonostante i nostri patimenti, grandi o piccoli che siano,  “noi siamo il nostro passato” ?
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biblioncollection · 5 years ago
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Myricae | Giovanni Pascoli | Poetry, Single author | Audiobook full unabridged | Italian | 2/2 Content of the video and Sections beginning time (clickable) - Chapters of the audiobook: please see First comments under this video. Myricae, è la raccolta di poesie più amata dal Pascoli. [...] Nel 1903, la raccolta definitiva comprendeva 156 liriche del poeta. I componimenti in esso raccolti sono dedicati al ciclo delle stagioni, al lavoro dei campi e alla vita contadina. Il titolo indica la modestia e la semplicità della poetica. Le myricae, le umili tamerici, diventano un simbolo delle tematiche del Pascoli ed evocano riflessioni profonde. La descrizione realistica cela un significato più ampio così che, dal mondo contadino si arriva poi ad un significato universale. La rappresentazione della vita nei campi e della condizione contadina è solo all'apparenza il messaggio che il poeta vuole trasmettere con le sue opere. [...] Il significato delle Myricae, va quindi oltre l'apparenza. (Summary from Wikipedia) This is a Librivox recording. If you want to volunteer please visit https://librivox.org/ by Priceless Audiobooks
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senzasterischi · 6 years ago
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Canzoni che mi fanno pensare a cose (#1)
E i temi sociali, e gli exempla, e le recensioni delle tragedie di Siracusa, ed è finita l’estate, e ci siamo rotti tutti un po’ le palle di leggere cose serie, quindi oggi vi propino la manifestazione estrema di una delle mie principali ossessioni. La fissa in questione è: le canzoni mi fanno pensare alle cose. Quando si tratta di cose personali, queste cose restano naturalmente personali; ma siccome spesso mi fanno pensare anche a cose che poi sono argomenti di studio, ve ne rifilo un po’. Per divertimento puro, stavolta.
Ho come la sensazione che questo post sarà il primo di una lunga serie.
Per cominciare mi butto solo su “canzoni che mi fanno pensare ad autori e opere della letteratura italiana”. Così, per cominciare con qualcosa di universalmente noto. Vi faccio la lista e vi spiego come mi sia venuto in mente ogni collegamento. Tanto mi prenderete per pazza comunque, ma fa nulla.
Ovviamente nessuno dei cantanti o delle band pensava davvero a quegli autori, ma lasciatemi divertire.
1.      STRESSED OUT dei Twenty One Pilots e Giovanni Pascoli
Boh, questo è un po’ il mio abbinamento preferito, e volevo cominciare con qualcosa di bello. Una canzone che comincia con “I wish I found some better sounds no one’s ever heard“, che ci porta subito nel clima di sperimentalismo metrico e di fonosimbolismo. Senza contare il bellissimo gioco di parole alla fine della prima strofa: il verso “I wish I didn’t have to rhyme every time I sang“, in effetti, non rima con nulla.
“I was told when I got older all my fears would shrink” – ecco che, dopo aver finito con le considerazioni formali, siamo nel fulcro della tematica più ovvia, cioè l’infanzia. Che poi esplode nel ritornello: “Wish we could turn back time to the good ol’ days when our momma sang us to sleep, but now we’re stressed out“. Devo sottolineare davvero il ruolo del rimpianto per la famiglia e l’infanzia perduta nella poesia di Pascoli?
“Mi sembrano canti di culla,
che fanno che torni com’era…
sentivo mia madre… poi nulla…
sul far della sera.“
Nella seconda strofa di Stressed out appare un fratello, che è un po’ la Mariù della situazione, cioè l’ultimo legame forte. Il cantante viene riportato al passato da un odore che vorrebbe trasformare in una candela da vendere esclusivamente il fratello, “‘cause we have the same nose, same clothes“.
E il punto è che la fissa per le fonti di luce non è solo dei Twenty One Pilots:
“Io sono una lampada ch’arda
soave!“
La lampada pascoliana è la poesia – e non escludo che la candela della canzone sia la canzone stessa, o la musica… Insomma a queste fantasticherie segue, nella canzone, il ricordo di qualche attività svolta col fratello da ragazzini, tipo costruire case sull’albero o buttare sassi nei ruscelli. Tra l’altro “out of student loans and tree-house homes we all would take the latter” è un primo riferimento ai problemi economici, che furono in effetti una costante nella vita di Pascoli. Poi lo stesso tema è riproposto nel finale della canzone: “«Wake up, you need to make money» – yo“. Non so se dica più yeah o più yo, ma a me piace yo.
2.      CRYIN’ degli Aerosmith e la donna gentile (VITA NOVA)
Ok, per chi non conoscesse l’episodio, in due parole: Beatrice è defunta da relativamente poco; Dante se ne va in giro estremamente triste e si chiede “Chissà se qualcuno si accorge della mia tristezza?” Alza lo sguardo e vede una giovane donna che lo guarda dalla finestra con compassione, e lui allora comincia a piangere. Poi, dopo un po’ di incontri, di lacrime e di pallori vari, Dante capisce di starsi innamorando della nuova venuta, ma al tempo stesso si sente uno schifo, data la situazione. Segue una visione gloriosa di Beatrice che gli fa dimenticare la nuova fiamma. Poi nel Convivio ci ripensa e dice che non c’era nessuna donna ma era la filosofia che lo consolava. (Avreste voluto un racconto scritto bene? Allora avreste dovuto leggere le opere di Dante, non questo blog. Forza che siete ancora in tempo per chiudere il browser).
Insomma, c’è tutto. Dante ridotto una pezza all’inizio: “There was a time when I was so broken-hearted, Love wasn’t much of a friend of mine“, con una bella personificazione di Amore che fa tanto Stilnovo. Ma siamo pronti a una svolta (“tables have turned“) e a un amore che era diventato terribile sofferenza se ne è sostituito uno a cui è molto difficile resistere.
“Ei [il cor] le risponde: «Oi anima pensosa,
questi è uno spiritel novo d’Amore,
che reca innanzi me li suoi disiri;
e la sua vita, e tutto ‘l suo valore,
mosse degli occhi di quella pietosa
che si turbava de’ nostri martiri.“
“I was cryin’ when I met you, now I’m tryin’ to forget you” potrebbe essere il motto dell’intero episodio. “Love is sweet misery” potrebbe essere il motto di molte altre cose. La canzone prosegue fra dichiarazioni d’amore assortite (e un po’ troppo passionali per Dante, o almeno per questo Dante).
Gli ultimi versi che voglio sottolineare sono “Now the word out on the street is the devil’s in your kiss, if our love goes up in flames it’s a fire I can’t resist“. Inferno, condanna dell’affidarsi alla filosofia, condanna dello stinovismo giovanile, Paolo e Francesca, la fiamma di Ulisse, Dante-autore e Dante-personaggio… trippatevi pure voi stessi.
3.      Alibi dei Thirty Seconds to Mars e la GERUSALEMME LIBERATA
Ci sta benissimo sin dal titolo, visto che per la gran parte del tempo i protagonisti della Liberata sono, beh, dovunque, tranne che dove dovrebbero. “Took our chance, crashed and burned: no, we’ll never, ever learn“, sempre nel peccato, sempre distratti da qualcosa, sempre in tentazione.
È una canzone che parla di cadute e di errori – come, guarda un po’, la Liberata. Cadute e risalite, in effetti. Una canzone del genere la deve inquadrare in una situazione dicotomica (bene-male). “I fell apart – but got back up again and then I fell apart, but got back up again“. Ognuno va a cercare quello che vuole, che sia l’onore o l’amore o qualunque cosa, e poi si rende conto dei propri errori, e poi ci ricade. Ma il finale deve essere una risalita definitiva (“We both could see, crystal clear, that the inevitable end was near“) e ciascuno dei personaggi principali deve scegliere, definitivamente, la causa cristiana (“made our choice, a trial by fire, to battle is the only way we feel alive“).
E poi c’è una delle frasi più tassesche di questo mondo, che contraddice e completa tutto un quadro che si è delineato, nei secoli, in poemi su poemi: “If I could end the quest for fire, for truth, for love, for my desire“. Eh già. Goffredo è d’accordo, poveraccio, mentre va in giro a recuperare guerrieri vaganti. Si deve risalire.
Senza contare il fatto che anche moltissime altre canzoni dello stesso album, per esempio This is war e Closer to the edge, restituiscono benissimo l’atmosfera della prima crociata come-la-vede-e-descrive-un-poeta-del-Cinquecento. (Osservazione tra parentesi: una di queste canzoni, Hurricane, mi fa pensare a Silence di Martin Scorsese. Forse questo film e Tasso hanno alcune cose in comune, tipo la Controriforma).
4.      APPLAUSI PER FIBRA di Fabri Fibra e Vittorio Alfieri (VITA in particolare)
Ok, non è la prima volta che parlo qui di Alfieri. E neanche della Vita. E neanche della Vita in relazione a Fibra
(è già capitato in quest’articolo). Quindi mi toglierò questo sassolino-ossessione definitivamente, proclamando la mia idea in termini chiari: Fibra è un lontano discendente di Alfieri. Molto lontano, ma pur sempre un (inconsapevole) discendente. Fidatevi di me.
Ora, una delle prime prove di questa parentela segreta è il loro comune egocentrismo. Perché, sì, Alfieri sarebbe stato capacissimo di scrivere una tragedia, una poesia, un’opera di qualunque tipo e intitolarla Applausi per Alfieri, acclamato da lui medesimo.
Flashback: zoom sul piccolo Vittorio, anni sette, innamorato perso di un po’ di fraticelli come ho già raccontato. Preso da questa forte passione (vedete? già da piccolo le sue passioni sono forti), come racconta lui stesso, corre nel giardino e mangia fili d’erba fino a ingozzarsi, nella speranza che in mezzo al prato di casa sua cresca della cicuta. Sì, sempre a sette anni. Dopodiché vomita.
Sostituisci l’erba del prato con qualcosa di, beh, peggiore, e ottieni “Io mangiavo lucertole aperte da ragazzino, tornavo a casa e vomitavo in mezzo al giardino“. “Non ho mai smesso un giorno di fantasticare” si spiega da sé, “non ho mai fatto grandi successi in generale” sembrerebbe una negazione del solito orgoglio, se non fosse che Alfieri evitava i “grandi successi” di proposito perché il popolo fa schifo e la borghesia è sesquiplèbe.
Un po’ di (auto)emarginazione, un riferimento alla morte prematura del padre, qualche altro accenno alla situazione familiare un po’ disastrata e giù applausi.
Altra sequenza: il piccolo Vittorio che viene punito per ragioni varie, incluso il suddetto vomito, (“Ho perso la testa troppe volte, da ragazzino“). Rinchiuso in qualche ripostiglio, umiliato con qualche indumento ridicolo da indossare in pubblico, diventa una persona francamente poco amichevole (“Ho ancora qualche problema a socializzare ma tutto sommato non diresti che sto andando male“).
Dopodiché la canzone deraglia, e non c’entra più molto. Peccato. Altri applausi, altre cose che non c’entrano, altre applausi. Sarebbe potuta essere una delle canzoni più azzeccate, se non fosse stato per il finale.
5.      Captain Jack di Billy Joel e Giacomo Leopardi (almeno quello giovanile)
Sì, sto chiudendo associando a Leopardi una canzone che parla palesemente di droga. Fa nulla. Tanto già si sente l’aria recanatese nella prime parole (“Saturday night“) se le si unisce con il “village” della seconda strofa. Lo so – non vi ho convinti, ma vi convincerò.
Il giovane della canzone se ne va in giro di sabato sera (poco leopardiano, lo ammetto), “tired of living in your one-horse town“. La fuga dal provincialismo, disgusto da paesello, sconforto – c’è tutto. ” You’d like to find a little hole in the ground for a while“.
Ed ecco la prima apparizione di questo Captain Jack, pronto a salvare il protagonista, a portarlo “to your special island“, a farlo evadere. Per Billy Joel è droga; per Leopardi magari l’unica fuga dalla noia di quel postaccio era lo studio, o magari il carteggio con Giordani.
La sorella ha un appuntamento (Paolina!) e il protagonista della canzone resta a casa a farsi le seghe (eviterò facili ironie) ed aspettare qualcosa che non avverrà. Succedono un po’ di cose poco leopardiane, o interpretabili in senso leopardiano con molto molto sforzo, e io sono stanca. Dopo un tentativo di fuga (“ah, there ain’t no place to go anyway, what for?” – vedo pure la delusione della visita effettiva a Roma, quando questa avvenne), la canzone butta giù qualche spunto filosofico non lontano dalle idee di Leopardi. “So you got everything, ah, but nothing’s cool” e “but still you’re aching for the things you haven’t got, what went wrong?” ricordano molto l’idea della differenza fra quello che si può ottenere, che è comunque limitato, e il desiderio umano, che è illimitato.
“And you can’t understand why your world is so dead […] well, you’re twenty-one and still your mother makes your bed, and that’s too long.“
Tanto bello quanto triste. Wo, ma a me che frega? Tanto entro martedì avrò mollato la mia vita provinciale. Vado a farmi deludere pure io!
    Bonus: In a heartbeat e Guido Cavalcanti
Bonus e non in lista naturalmente perché non è una canzone, ma un corto (anche se ha una gran soundtrack). Questa non ve la spiego. Guardatelo e basta. Guardate quel cuoricino bellissimo e sentite l’averroismo che vi si radica (ah! ah!) nell’anima.
Arrivederci. È stato più stancante del previsto, vi assicuro. Però ne seguiranno in futuro. Ho un intero arsenale di roba malcollegata.
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abatelunare · 7 years ago
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Arriva Lancillotto succede un quarantotto
Coloro che producono opere geniali […] sono coloro che hanno avuto il potere, cessando bruscamente di vivere per se stessi, di rendere la propria personalità simile a uno specchio, nel quale la loro vita […] si rifletta. Marcel Proust
 Affinché un importante prodotto dello spirito possa esercitare immediatamente un influsso vasto e profondo, deve esserci un’affinità segreta, anzi una concordanza, fra il destino personale del suo autore e quello generale dei contemporanei. Thomas Mann
  Rivoluzione è una parola-prezzemolo. Si tira fuori ogni volta che è possibile farlo. A proposito, ma soprattutto a sproposito. Tanto che ormai – al pari delle più blasonate Amore, Dio, Pace, e via eccetera discorrendo – si è ridotta a un puro guscio del quale probabilmente quasi nessuno ricorda più il significato. Serve più che altro a riempirsi la bocca d’aria quando uno non sa bene che dire. La sua etimologia lascia pochi dubbi. Deriva dal latino tardo revolutio, «rivolgimento, ritorno», che a sua volta viene da revolvĕre, «rivoltare, rivolgere», il quale discende infine da volvĕre, «travolgere, rovesciare». Il Dizionario Enciclopedico Treccani dà come secondo significato «mutamento radicale di un ordine sociale e politico», e – aggiungo io – letterario e culturale. Può essere violento come può anche non esserlo. Sicuramente, non è mai indolore. Lascia tracce. Provoca ferite che cicatrizzano lentamente. Fa dire, a chi viene dopo: «Prima non era così.» Il cambiamento che una rivoluzione – di qualunque tipo essa sia – reca con sé è tangibile, misurabile. Non subito, chiaramente. Ci vuole distanza (temporale), per poter giudicare. Sulle prime, non ti accorgi delle conseguenze. Non puoi. Con la testa sei ancora dentro il vecchio ordine, quello che è stato scalzato. Poi capisci. Perché pensieri, azioni, parole e tecnologia cambiano. Devono adeguarsi, veicolare il Cambiamento, promuoverlo. Per stare al passo col tempus che fugit. E va sempre più forte.
Le scritture che hanno portato – o che almeno hanno cercato di farlo – un po’ di (sano) scompiglio nella Repubblica delle Lettere appartengono a un altro tempo. I contemporanei non innovano. Percorrono sentieri battuti da altri. Alcuni di loro sono già decrepiti alla loro seconda prova. C’è gente che scrive sempre lo stesso romanzo: si limita ad apportare qualche variazione, così non sembra proprio la stessa minestra (riscaldata). Nessuno sperimenta. Forse non hanno coraggio. Forse non ci sono più idee. Oppure gli strumenti espressivi sono esausti, hanno già dato tutto quello che potevano e ora non ne possono più. Non sanno cosa può essere inventato di nuovo. Il lavoro grosso, in fondo, l’hanno fatto gli Altri, Quelli Che Sono Venuti Prima. Hanno nomi ingombranti, impegnativi. Se li sono guadagnati lavorando sodo. Dante Alighieri. Giovanni Pascoli. Alessandro Manzoni. Carlo Emilio Gadda. Carlo Dossi. Philip K. Dick. André Breton. Filippo Tommaso Marinetti. Avevano il medesimo obiettivo: lasciare una traccia – possibilmente indelebile – del loro passaggio su questa terra. E innovare. Cambiare le Regole del Gioco, ne fossero consapevoli o meno. La loro ricerca si è concentrata sui contenuti, sulla forma, su roba che andava costruita dal nulla perché nulla c’era prima di loro. Hanno percorso strade che ancora non esistevano, costruendole passo dopo passo, spianando il cammino. Sono tutti (o quasi) capiscuola, specializzati nell’iniziare qualcosa. La Macchina. Il Dinamismo. Il Sogno. La Scrittura Automatica. La Poesia Epica. Il Romanzo Storico. Il Neologismo. Si potrebbe continuare a lungo. Ma non serve. L’idea è stata resa. Viene da farsi una domanda: è ancora possibile, in questo atteso e famigerato Terzo Millennio, dare il vita a qualche mutamento culturale di quelli radicali? Chi lo sa. Già era difficile nel Novecento, secolo confuso e indistinto. Duemila movimenti, duemila scuole, alcuni dei quali durati lo spazio del battere di ciglia di una mosca. Il crollo delle certezze e l’avvento di una cosa chiamata Relatività, insieme ai quanti e compagnia bella hanno complicato tutto. Se non so più come stabilire dove si trova una particella minuscola, come faccio a crearmi dei Punti Fermi? Da dove riparto? Da niente. Non posso. O per lo meno mi creo l’alibi di non poterlo fare perché non ci sono le condizioni. La realtà è troppo fluida. Tutto scorre. Lo ha sempre fatto, a dire il vero. Ma è una giustificazione che non regge.
Mi sentirei, nel mio piccolo, di muovere un invito a chi scrive, a chi sente che la scrittura è ancora capace di produrre conoscenza, di proporsi quale strumento interpretativo del reale. Non intendo esortare alla Rivoluzione. Ci mancherebbe. Vorrei solo che cercaste strade nuove. Se non ci sono, createle voi. Cominciando a camminare. Individuate una fra tutte le direzioni possibili e iniziate a mettere un piede davanti all’altro, se non altro per il gusto o la curiosità di vedere cosa succede, dove si può arrivare. Per farlo, avete uno strumento straordinario: i libri. Leggete quello che hanno scritto prima di voi. Per non dire le stesse cose. Per vedere cosa ancora deve essere fatto, quali possibilità esplorare. Non ripetetevi. E non imitate. All’inizio potete anche farlo. L’emulazione non è un delitto. Anzi, è una prova di affetto e di stima nei confronti dell’imitato. Ma fate che questa fase non duri più di tanto. Trovate una voce che sia interamente vostra, che spinga chi vi legge a riconoscervi fra tutti. E camminate da soli. Lo so, è una cosa che fa paura. Ma la paura passa. Come molte delle cose di questo mondo. Ricordate solo una cosa: una rivoluzione che si limiti a distruggere non è una vera rivoluzione. Chi cambia, costruisce. E se sostiene il contrario, non credetegli. Perché vi sta raccontando delle balle.
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italianaradio · 6 years ago
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POESIA E PENSIERO DI GIOVANNI PASCOLI Grande partecipazione alla conferenza di Caterina Mammola da MAG
Nuovo post su italianaradio http://www.italianaradio.it/index.php/poesia-e-pensiero-di-giovanni-pascoli-grande-partecipazione-alla-conferenza-di-caterina-mammola-da-mag/
POESIA E PENSIERO DI GIOVANNI PASCOLI Grande partecipazione alla conferenza di Caterina Mammola da MAG
POESIA E PENSIERO DI GIOVANNI PASCOLI Grande partecipazione alla conferenza di Caterina Mammola da MAG
R. & P.
Si è svolta nella libreria “Mag-La ladra di libri”, a Siderno, la conferenza sul saggio critico di Maria Caterina Mammola,“Fermento e tormento di vita in Giovanni Pascoli – Formazione poetica tra simbolismo ed espressionismo” e sulla poesia e sul pensiero di Giovanni Pascoli, come ha evidenziato  il giornalista Gianluca Albanese nella sua introduzione.
La prof.ssa Simona Masciaga ha messo in rilievo alcuni elementi del mondo poetico pascoliano, tra cui il simbolismo diffuso nelle opere del Poeta, e analizzato un testo di Diego Valeri del 1952. Ha letto e commentato la nota poesia “X agosto”, cogliendone vari significati simbolici, religiosi, analogici, attraverso le descrizioni del cielo con le stelle cadenti, la rondine uccisa mentre porta il cibo ai suoi rondinini, l’uomo riverso sul suo calesse, colpito da una pallottola assassina, che cristianamente chiede perdono a Dio, mentre tiene due bambole che avrebbe donato alle sue bambine, tornando a casa. La prof.ssa Masciaga ha  offerto una critica originale, del testo esaminato.
La conferenza si è svolta in forma di dialogo culturale, non solo, fra i relatori e l’Autrice, ma anche tra questi e il numeroso pubblico presente.
Caterina Mammola ha rilevato il valore del linguaggio poetico, la profondità del sentimento, la capacità del Pascoli di condensare parole, immagini e suoni nei versi, contemporaneamente, in un unicum.
Il dott. Vincenzo Tavernese, da cultore attento di filosofia e letteratura, ha rilevato l’importanza del sottotitolo del libro della Mammola: “Formazione poetica tra simbolismo ed espressionismo”, tratteggiando la teoria pascoliana del “Fanciullino”. Ha letto con tono efficace un passo del poemetto Solon, tratto dai Poemi Conviviali, soffermandosi su alcune vicende della vita e degli studi del Pascoli intrecciate agli esiti poetici e critici.
Pregevole l’intervento della prof.ssa Pina Cappelleri, che ha messo in rilievo un testo critico di Giacomo De Benedetti che, prima di Gianfranco Contini, aveva giudicato l’altezza e l’innovazione poetica del Pascoli.
Tra le molte persone presenti che hanno dichiarato la propria predilezione per le poesie pascoliane, anche la d.ssa Marida Gemelli, autrice di testi teatrali, che ha letto “Il lampo” aggiungendo osservazioni e un personale commento. Infine, la “Maestra” Maria Celi Campisi ha espresso con ricordi personali il valore etico, non solo lirico, di tante sublimi poesie del Pascoli.
Amore e morte, natura e storia, campagna e famiglia, dolore e speranza, vivono nei versi del poeta, che vanno oltre il loro significato letterale e simbolico. Secondo la Mammola, Pascoli anticipa l’ermetismo per alcune poesie brevi e illuminanti, va oltre i canoni dominanti della sua epoca e approda a forme espressionistiche nella sua poetica, anzi è l’unico grande poeta espressionista italiano.
  R. & P. Si è svolta nella libreria “Mag-La ladra di libri”, a Siderno, la conferenza sul saggio critico di Maria Caterina Mammola,“Fermento e tormento di vita in Giovanni Pascoli – Formazione poetica tra simbolismo ed espressionismo” e sulla poesia e sul pensiero di Giovanni Pascoli, come ha evidenziato  il giornalista Gianluca Albanese nella sua
Gianluca Albanese
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pangeanews · 6 years ago
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Ciao “Deca”! Ci lascia Giancarlo De Carolis, l’ultimo degli jedi. Plurinovantenne, conobbe Morandi, fece una gita con Pasolini in divisa fascista, suo padre dipingeva gli aerei di D’Annunzio
Per la barba di Tolstoj. Proprio così. Fu la barba di Tolstoj. Poi dalla barba di Tolstoj passammo alla punta per le incisioni di Giorgio Morandi. Poi mi raccontò di quando un giovane Pasolini, addobbato alla fascista, portò in gita una scolaresca bolognese. Tra i pupi – incantato dall’eleganza e dall’elegante oratoria di PPP – c’era anche lui. Giancarlo De Carolis, classe 1923, era un uomo d’altri tempi? Macché. Era un uomo che ad ogni parola inventava un futuro ancestrale. Proprio così. Era un esteta nell’arte del paradosso. D’altro canto, incisore eccellente, sapeva che per far vedere una cosa devi scavare, vedi ciò che non c’è, vedi il vuoto. Devo dire che fui incantato. Per la barba di Tolstoj. Nel 2015, con l’editore Raffaelli, pensiamo di pubblicare una parte dei magnifici, miliari “Diari” di Tolstoj. Raffaelli fa le cose in grande e affida l’illustrazione di Tolstoj a Giancarlo De Carolis. La xilografia proposta dal grande De Carolis, ‘Deca’ per gli intimi, è un capolavoro: dopo svariati bozzetti l’artista opta per un Tolstoj dalla barba immane. Difficilissima da realizzare, opera di raffinatezza nello scavo. ‘Deca’ ha vissuto, nell’anima, da artista, a Rimini è stato un medico ortopedico indimenticato, di fama: ha preso lezioni, a Bologna, da Giorgio Morandi e ha sposato una sua talentuosa allieva, Giulana Mazzarocchi, pittrice assai apprezzata da Francesco Arcangeli, tra gli altri. Una vita segnata da un destino d’arte – lo zio, Adolfo De Carolis, è stato il massimo incisore del Novecento italiano; il papà, Dante, tra le altre cose, ha dipinto i velivoli di D’Annunzio quando il Vate ha fatto l’impresa aerea su Vienna – e di dolore – il figlio, Mattia, muore imbarcato sul ‘Parsifal’, nel 1995, durante una delle tragedie nautiche più gravi della storia recente – quella del ‘Deca’, interrotta questa notte, forse mentre dialogava con i suoi avi pittori. I suoi “Aforismi e noterelle” sono libri formidabili – esempi: “Ci sono scrittori che scrivono per essere letti ed altri per leggersi” – che non trovate nelle grandi catene librarie; le sue incisioni sono speciali, ma non le trovate alla Tate o nelle gallerie di arte contemporanea; la sua verve, la sua vibrante intelligenza sono irriproducibili. In un articolo l’ho definito come uno jedi, un antico maestro, uno che non sta nelle enciclopedie, ma nelle encicliche del cuore, uno che ha fatto davvero la storia. L’ho conosciuto grazie al grande architetto Fabio Mariani, che è riuscito in una impresa straordinaria: quest’anno la Biennale del Disegno di Rimini ha dedicato una mostra alle “Xilografie e Carte” di De Carolis, mentre in altro contesto erano esposte opere dello zio Adolfo. Finalmente l’opera del ‘Deca’ messa in mostra insieme ai grandi artisti di ieri e di oggi, lui, giovane incisore di 95 anni! Gli ero simpatico e un giorno tirò fuori da una cartellina un breve memoriale. Ricordava il suo incontro con Pier Paolo Pasolini. Fui sorpreso e commosso. Ne scrissi qualche articolo. Ora, in memoria, e anche per tentare un po’ di ‘archivio’ intorno a un personaggio tanto luminoso da preferire le zone d’ombra e i flutti del pudore (ma visitarlo nella sua casa-studio era una festa delle intelligenze e del buon umore), ricalco alcuni articoli pubblicati negli anni. Il primo è stato pubblicato il 17 agosto 2017 su ‘Rimini 2.0’ e ripreso dal Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia; gli altri, precedenti, sono stati editi da “La Voce di Romagna” e proposti, in forme diverse, a ‘il Giornale’. ‘Deca’ era una personalità eccentrica, imprevedibile, aliena al noto, inafferrabile; l’anima elettrica di un bimbo lo percorreva. Ci vuole genio per vivere così, altro che Picasso. (Davide Brullo)
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Alcune opere di Giancarlo De Carolis per il Club Nautico di Rimini
“Se non sei un artista, pazienza”: incontro con il ‘Deca’, l’ultimo maestro
11,30, Bar Embassy, arriva il maestro. Un tempo per incontrare un ‘maestro’ si facevano chilometri, si viaggiava per mesi. Non c’è bisogno di andare all’Atene di Aristotele. Negli anni Sessanta a valanghe atterravano a Parigi ad ascoltare Jacques Lacan e Roland Barthes. Che sia stato tempo ben speso, lo dirà il tempo. Quanto a noi, basta andare al Bar Embassy, Rimini, ‘marina’, intorno alle 11,30. Di solito, al tavolino, siede un tipo baffuto, d’incomparabile eleganza – spesso indossa indimenticati papillon – con bastone fedele al fianco. Occorre farsi ghermire dalla qualità della chiacchiera – un’arte antica e tramandata – di costui, che è un viaggio nel tempo, così piena di arguzia e di dolce cinismo. Giancarlo De Carolis, classe infinita, è una specie di ruspante Mosè di questo lato di mondo. Già medico di pregio, ha vissuto immerso nell’arte: suo zio, Adolfo De Carolis, è il massimo incisore del secolo scorso, ha illustrato le opere di Gabriele d’Annunzio – compresa la Francesca da Rimini – e di Giovanni Pascoli, è autore che si studia nelle scuole d’arte. La moglie di De Carolis, invece, Giuliana Mazzarocchi, già amata insegnante, è pittrice di valore, scoperta da Giorgio Morandi – alle cui lezioni partecipava pure il ‘Deca’, come è battezzato amichevolmente – di cui Francesco Arcangeli ha scritto, “è in lei una costanza, una necessità, una incapacità alle deviazioni dannose che fanno della sua opera qualche cosa di felicemente acquisito; qualche cosa cui ci si può riferire con sicurezza”.
“Osservavo Pasolini con un misto di ammirazione e antipatia”. Artista ‘esploso’ in veneranda età, notevolissimo incisore – da collezione le cartoline per il Club Nautico riminese, fatte, per altro, anche in memoria di Mattia De Carolis, scomparso tragicamente nel 1995, in mare, a bordo del ‘Parsifal’ – il ‘Deca’ ha una conoscenza eccentrica della storia dell’arte. Quanto a me, io lo amo anche come scrittore. Le sue storie, delicatamente rètro, con un retrogusto di irosa malinconia – ad esempio, la placca Le mamme ai Giardini Margherita – hanno le cadenze di un mondo perduto, perciò bellissimo. Tra i testi che conservo con una certa gelosia c’è un dattiloscritto del 1985 in cui il ‘Deca’ ricorda “l’inverno 1938/1939, un tempo così lontano per situazioni e cultura che vien da rabbrividire a pensarci”. Che ha di bello quella storia? Che il ‘Deca’ incontra, in una gita studentesca, Pier Paolo Pasolini, “in perfetta divisa del Guf (Gioventù universitaria fascista): sahariana nera con spalline azzurre, fazzoletto pure azzurro al collo, calzoni grigi da cavallerizzo, stivali neri”. A causa “di una mostruosa attitudine allo studio”, Pasolini, a 17 anni, è già all’Università. “Io l’osservavo con un misto di ammirazione e di antipatia, lo confesso. Questo ‘enfant prodige’ che si permette di andare all’Università a 17 anni e che subito era divenuto collaboratore del giornale letterario del Guf, l’Architrave”. La scena in cui il giovane Pasolini prende con sé i liceali e racconta loro le “storie di boscaioli e di neve, di madri e di animali, di lavoro duro e di poco pane, di solitudine” del suo Friuli, e i ragazzi sono lì, “presi, affascinati (…) per l’interesse che ci suscita con le sue parole che ci sembrano nuove, così lontane da tutta la retorica che ci viene ammannita in un frastuono di propaganda urlata”, è bellissima. Il racconto, che dura 15 pagine dattiloscritte, insolito rispetto alla bibliografia pasoliniana ‘ufficiale’, mi sembra straordinario. Ho tentato – finora inutilmente – di farlo pubblicare a un editore che sappia valorizzarlo. Ritenterò.
La Street Art? Una degenerazione. La bibliografia personale del ‘Deca’, artista instancabile e polimorfico, aforista quasi di professione, è ormai faraonica. Solo per l’editore riminese Raffaelli, stampate per gli amici in copie risicate, ha pubblicato cinque libretti. L’ultimo, ancora in forma di taccuino, s’intitola Piccolo zibaldone sull’arte moderna e contemporanea ed è un tesoro di ispirazioni. De Carolis s’è messo in testa di ricapitolare l’ultimo secolo artistico, dall’Art Déco (“Il Liberty è una forma di arte signorile, patrizia anzi. Per questo, non fu popolare”) alla Pop-Art, con una intelligenza icastica, sarcastica (“La Street Art è una contumelia contro ogni ‘distinzione’ e una ‘degenerazione’ artistica dell’Arte”; “La pittura di Mark Rothko è la pietra tombale della grande Arte”; “Se non sei un artista, pazienza. Cerca però di gestirti come tale”) che ricorda il Witold Gombrowicz del Corso di filosofia in sei ore e un quarto. Il manoscritto, è in attesa di editore pure quello. Sentirlo leggere dal vivo dal suo autore, è una rara esperienza in una città nota e risaputa come Rimini.
Vogliamo un catalogo dei ‘grandi vecchi’ riminesi. E una mostra. Sintesi dell’articolo. Andrebbe stilato un catalogo dei ‘vecchi maestri’ di Rimini, come il ‘Deca’. Sono monumenti viventi più utili dell’Arco d’Augusto. Bisogna rincorrerli, registrarli, metterli a disposizione dei riminesi come un ‘bene pubblico’. I vecchi maestri, quando non sono rimbecilliti dal contemporaneo, sono molto più interessanti dei comuni mortali, afflitti dalla vita, frastornati dal sistema dei consumi costi quel che costi – e quanto costa… Quanto al ‘Deca’, artista di prestigio, ho un’altra idea. Alla prossima Biennale del Disegno bisogna metterlo in mostra, in scena. No, non intendo le sue opere – l’Assessore alle arti attuale non sa andare oltre il perimetro tribale dei propri pregiudizi. Bisogna mettere in mostra lui, il ‘Deca’. Una stanza. Una poltrona. Una scrivania piena di fogli. Una libreria. E la gente. Mezz’ora con Giancarlo De Carolis detto ‘Deca’, artista riminese d’altri tempi. Ecco il titolo della mostra. Si varca la stanza, ci si siede di fronte a lui. Si parla, si condivide un caffè. Soprattutto, si ascolta. Che bello. (17 agosto 2017)
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Pasolini fu giovane e fu fascista. Ricordo intriso di “luce notturna”
Gioventù fascista. Nella recente e improvvida santificazione di Pier Paolo Pasolini, nessuno ha voglia di ricordare la pagina nera. Già, anche Pasolini è stato fascista. Come tutti, per carità. Allievo modello al Liceo Galvani di Bologna, PPP brucia le tappe (nel 1939, a 17 anni, per meriti gli è concesso di discutere la maturità e poi di iscriversi all’Università bolognese) collabora ad “Architrave”, foglio della Gioventù Universitaria Fascista (in cui, a dirla tutta, si sono sgranchiti la penna anche Enzo Biagi, Roberto Roversi e Francesco Arcangeli, per dire di alcuni), e su “Il Setaccio”, rivista della Gioventù Italiana del Littorio. Una memoria di quegli anni, anzi, un Ricordo di Pier Paolo Pasolini studente ci proviene, come un sontuoso fossile, da Giancarlo De Carolis, figlio d’arte (lo zio Adolfo è tra i massimi artisti liberty del Novecento, illustrava i libri di Pascoli e di D’Annunzio; il padre, Dante, ha decorato i velivoli con cui D’Annunzio ha volato su Vienna), di un anno più giovane di Pasolini, compagno al Liceo Galvani, che nel 1939 incontra il poeta (nel 1941 comincia la scrittura delle Poesie di Casarsa, subito notate da Gainfranco Contini) in un Campeggio invernale a La Villa in Val Badia. Un ricordo, in realtà, che ha preso forma di fascicolo dattiloscritto di 16 pagine, redatto in origine nel 1985, per far memoria dei primi dieci anni dalla morte di Pasolini. De Carolis tira fuori lo scritto oggi, dopo lo scotto di allora: “inviai la mia memoria al Fondo Pier Paolo Pasolini di Roma. Nessuno mi ha mai risposto, probabilmente giudicarono lo scritto di scarso interesse”. Ma cosa dice questo scritto di tanto urtante per la vulgata?
Niente. De Carolis, narrando con saggia delicatezza il «campeggio invernale» promosso, «nell’inverno 1938-39 a cavallo fra Natale ed Epifania», dal GIL, «l’organizzazione giovanile fascista», non dice niente di strano, ma qualcosa di ovvio e nello stesso di rimosso: che tutti a quel tempo non potevano non dirsi fascisti. L’incontro con Pasolini accade a La Villa, appunto, in Val Badia, all’ora di pranzo. «Manca qualcheduno, lo denuncia la sedia non ancora occupata. Aspettiamo. Ed ecco che, quasi ad arte, fa la sua entrée Pier Paolo Pasolini». Con i quasi coetanei (De Carolis ha un anno meno di lui) Pasolini, «in perfetta divisa del GUF: sahariana nera con spalline azzurre, fazzoletto pure azzurro al collo, calzoni grigi da cavallerizzo, stivali neri», non dialoga, «erano tanti più immaturi di lui», che si ergeva abissale e ostile. D’altronde, lui, «a causa di una mostruosa (così allora mi pareva) attitudine allo studio, a furia di saltar classi, si era trovato all’Università precocissimamente». Il fatto di essere “superdotato” «doveva inorgoglire il ragazzo», che non era affatto simpatico, ostentando «un atteggiamento misto di sussiego e di presunzione, ma soprattutto di vanità […]. Il tutto amalgamato poi da una fortissima carica di esibizionismo che gli sarà poi utilissima per esprimere e far accettare quelle doti d’intelletto che indubbiamente possedeva in maniera fuor dal comune».
L’epifania del diverso. Durante i reiterati pranzi insieme, Pasolini «siede a capotavola, sulla mia destra, due posti dopo il mio», vuole le attenzioni di tutte le cameriere, fa qualche battuta in direzione di «un bel ragazzo molto bruno, dai capelli nerissimi e riccioluti», donandogli l’epiteto, «Montanari, sei bello come un fiore nero», scatenando domande: «Cosa vuol dire PPP con questa frase? […] È forse solo un omaggio innocente alla bellezza non senza una punta d’ironia, da parte del poeta che sta per nascere». Pasolini sconcerta, «io l’osservavo con un misto di ammirazione e di antipatia, questo “enfant prodige” che si permetteva di andare all’Università a diciassette anni e che subito era divenuto collaboratore del giornale letterario del GUF». Eppure, ci sono due passaggi, in questa clamorosa e tersa memoria, che ci fanno palpare il Pasolini ancora ragazzo, profezia dell’intellettuale che sarà. Pasolini «impeccabilmente vestito da sciatore anteguerra» che seduto «su di un gradino delle scale che portano ai piani superiori», raccoglie a sé i ragazzi, «narrando avventure del suo Friuli che sembrano fiabe», «con le sue parole che ci sembrano nuove, così lontane da tutta la retorica che ci viene ammannita in un frastuono di propaganda urlata, ogni giorno». E poi Pasolini, di notte, quando «la neve scricchiola sotto gli scarponi, fa freddo, il cielo è stellato come sa essere solo in montagna», che sta «solo, fermo, colpito da quella luce notturna», che non vuole nessuno se non la solitudine, «non vuole perdere il contatto magico con la natura assoluta, cosmica». Così, di spalle, inoltrandosi nella natura e nella Storia, quel «ragazzo che il destino aveva segnato per un futuro drammatico, con cui avrebbe pagato il privilegio di una sensibilità e di un’intelligenza eccezionali», quel ragazzo, soltanto un ragazzo tuttavia già precocemente adulto, che lasciava in chi lo incontrava l’«oscura coscienza di sentirlo “diverso”», era già altrove, era già un eretico, nel nonluogo di una glaciale malinconia. (4 novembre 2015)
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“Per mio padre Gabriele d’Annunzio ha rimandato il volo su Vienna”: dialogo con Giancarlo De Carolis
La scrivania è piena di fogli. Lui si muove come il suo “folletto dei boschi”, creatura evanescente, ironica, inafferrabile. Scatena il tavolo. Tira fuori l’opera. «Ho lavorato a questo per tutta l’estate». Il volto di Lev Tolstoj. «Vedi, il problema era la barba, come fai a inciderla?». Mi mostra la matrice, che compra a Praga, come gli strumenti per graffiarla. Il volto del vecchio Tolstoj, che andrà ad adornare un libro edito prossimamente da Raffaelli, scavato con genuina rapacità, è rude e mistico. Per ispirarsi «mi sono rivolto a Emil Nolde e a Ernst Kirchner», ma soprattutto, dico io, alla sua sapienza atavica. Si aggira nello studio con elfica leggiadria, Giancarlo De Carolis. Classe 1923. Tra i più ispirati incisori di questa terra. Recluso al quinto piano della sua casa riminese, in un palazzo alle spalle del mitologico Embassy, pressoché ignorato dagli artisti ignoranti e globalizzati, «l’unica mostra che ho fatto? Nel 1964, a Urbino, insieme a Renato Bruscaglia e a Pietro Sanchini. Adesso è una perdita di tempo». 
Lev Tolstoj secondo Giancarlo De Carolis, 2015
Giorgio Morandi? Un cretino-genio. Bologna, anno di grazia 1947. In mostra, accademici e dilettanti. Giuria composta da Roberto Longhi, Francesco Arcangeli e Giorgio Morandi. «Partecipai anch’io, ma cosa vuoi, nessuno si accorse di me…», sussurra De Carolis, con il suo spirito corrosivo. Piuttosto, Morandi si accorge della moglie di De Carolis, Giuliana Mazzarocchi, sua allieva e futura, indimenticata professoressa al Liceo classico di Rimini, quello frequentato da Fellini. «Morandi impiegava dieci giorni per spiegare ai suoi studenti come costruirsi da soli una punta per incisioni, che potevi comprarti con due lire. Per questo dico che è un “cretino-genio”: quando gli parlavi sembrava un po’ sciocco, ma la sua opera è straordinaria, ovvio. Anche Albert Einstein è un “cretino-genio”…». La punta per incisioni di Morandi è a casa di De Carolis, con tanto di firma. «Mia moglie non riuscì a farsela da sé. Allora Morandi le regalò la sua».
Dagli astrattisti alle cure per la virilità. De Carolis non è un artista accademico, al contrario, «la storia dell’arte fatta dalle Accademie ha frenato la curiosità, l’iniziativa davvero ispirata». Cresciuto in una famiglia di artisti, lo hanno obbligato a mettere la testa a posto, a studiare medicina. Pratica al “Rizzoli” di Bologna, si specializza a Parigi e negli Stati Uniti, diventa un ortopedico di fama. La professione non lo distoglie dall’arte, «che frequento, anzi, gioco, da quando ho sette anni». Nel 1949 è a Firenze, arretra dall’ambiente dei medici, «non mi piaceva affatto il loro snobismo», frequenta Vinicio Berti, Alvaro Monnini, Gualtieri Nativi e Mario Nuti, i fondatori dell’“astrattismo classico”. «Bravi pittori. Anche se con loro litigavo un po’». Perché? «Perché per me l’arte è soprattutto libertà. Non può esistere una differenza ideologica e pregiudiziale tra astratto e concreto: alcune cose vanno fatte in astratto, altre ricorrendo alla forma». A Firenze però diventa famoso per ben altre magie. «Lavoravo per l’esercito, mi chiamavano il “curatore di uccelli”». E ride, De Carolis, con la sua eleganza un po’ dandy, un po’ dadaista. Che vuol dire? «C’era un napoletano che aveva un problema proprio lì. Necessitava di una circoncisione. Lo operai. Il giorno dopo viene da me, “caro dottore, sono solo un tenente, ma lei mi ha fatto un uccello da ufficiale!”». In quegli anni De Carolis conosce anche Walter Reder, l’ufficiale delle SS responsabile della strage di Marzabotto. «In quel periodo era mio prigioniero, per così dire. Aveva un’altissima percezione del “dovere militare”, non penso sia totalmente colpevole di quei fatti, ma la questione è molto delicata. Ricordo che passava le giornate a leggere la “Divina Commedia”, era molto educato».
Il decoratore del Vate. Artista fuori dai canoni, che si prende in giro (è capace di convincerti che la sua opera migliore è un’incisione stampata su una maglietta che celebrò, nel 1984, i 50 anni del Club Nautico di Rimini, mentre, distrattamente, ti fa svolazzare sotto il naso un vero capolavoro, l’autoritratto del 2010, “L’incisore dalla bocca torta”), che «non faccio classifiche perché l’arte non è mica una gara di biciclette», però poi si produce in corrosive didascalie (su Giuseppe Capogrossi: «poveretto, condannato a fare scarafaggi per tutta la vita…»; su Ottone Rosai: «non capisco perché sia così famoso. Non sa dipingere. Certo, qualche paesaggio, nonostante lui, per caso, gli è venuto bene»), De Carolis non ha potuto fuggire dalla mania di famiglia. Lo zio, Adolfo De Carolis, è tra i massimi incisori del secolo scorso, ha illustrato i libri di Giovanni Pascoli e di Gabriele D’Annunzio. Insieme al papà di Giancarlo, Dante, tra le molte commissioni, affresca il Palazzo del Podestà di Bologna. «Sa, per mio padre il Vate posticipò il suo famoso volo su Vienna…», attacca l’aureo erede. Che vuol dire? «Mio padre, Dante De Carolis, era un ottimo decoratore. Fu richiamato dal fronte per espressa volontà di Gabriele D’Annunzio. Gli chiese di dipingere con vessilli dannunziani i dodici velivoli “Ansaldo S.V.A.” che avrebbero sorvolato sull’Austria». 
Mette in guardia Papa Francesco. Consapevole che «è finita l’epoca dei grandi quadri ad olio, ormai siamo bombardati di immagini, Internet ti disorienta», DeCarolis combatte la battaglia nell’eremo del suo appartamento-bunker, come un sopravvissuto, ridendo. Nei suoi progetti, oltre alle superbe incisioni “marine”, c’è la scrittura di uno “Zibaldone dell’Arte moderna e contemporanea”. Aforista micidiale (fa stampare tutto, in copie numerate, dall’editore Raffaelli), ha messo in guardia Papa Francesco («La Chiesa cristiana che converge sempre più verso la “sinistra”, non si rende conto del rischio mortale che corre»), sa che «oggi ci sono “scuderie” di artisti ispirati da critici-manager», e che il segreto dell’arte è che «il buon artista ama fare ciò che gli è naturale fare». Semplice. Che DeCarolis sia l’ultimo dei saggi, una specie di ipnotico maestro jedi? (12 settembre 2015)
L'articolo Ciao “Deca”! Ci lascia Giancarlo De Carolis, l’ultimo degli jedi. Plurinovantenne, conobbe Morandi, fece una gita con Pasolini in divisa fascista, suo padre dipingeva gli aerei di D’Annunzio proviene da Pangea.
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