#figura poetica
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La Befana di Giovanni Pascoli: Una poesia tra tradizione e malinconia. recensione di Alessandria today
Un ritratto poetico della Befana e delle disparità umane. “La Befana”, celebre poesia di Giovanni Pascoli, ci conduce in un viaggio tra sogno e realtà, raccontando con maestria e sensibilità l’antica tradizione dell’Epifania.
Un ritratto poetico della Befana e delle disparità umane. “La Befana”, celebre poesia di Giovanni Pascoli, ci conduce in un viaggio tra sogno e realtà, raccontando con maestria e sensibilità l’antica tradizione dell’Epifania. L’autore intreccia immagini di dolcezza familiare e momenti di profonda malinconia, offrendo uno sguardo lucido e poetico sulle contraddizioni dell’esistenza. Biografia…
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"Una delle tante chiavi di lettura di Parthenope è che Parthenope non esista. Cioè, tutta la storia, tutta la vicenda ruota intorno a questa figura che non è altro che una sorta di sogno collettivo. E perché non esiste? Perché non esiste una ragazza così giovane che parla solo con le frasi dei film e dei romanzi, che è così bella e allo stesso tempo così clamorosamente intelligente ma ancora allo stesso tempo così ingenua. Parthenope esiste neglì occhi di chi la guarda, anzi, di chi la desidera e basta. E allora diventa l'amore impossibile di Sandrino. E diventa il sogno erotico del fratello. E diventa l'oggetto da esporre alla famiglia del camorrista. E diventa il desiderio irraggiungibile del miliardario. Diventa la santa di Napoli, diventa lo scudetto dei tifosi. Parthenope è una grande illusione collettiva. Ognuno ci vede quello che vuole, quello che desidera. Quello che spera di essere. Quando si parla di Napoli si parla di un dolce amaro perenne, come la sua bellezza e i suoi occhi tristi. Il suo profumo e la puzza di quella sigaretta sempre sulla sua bocca. E Parthenope accoglie i mostri fatti acqua salata, dove lei è nata. E forse pure lei è il mostro, bello o brutto, di questa grande fiaba che ha raccontato Sorrentino." @giuseppedorsi6332
"A me è piaciuto molto. Sicuramente è un film paraculo per mirare a dei premi, ma ho capito il messaggio, mi è arrivato quello che voleva trasmettere. Questo è un film su napoli e su come la vede lui. Partenope è napoli, i napoletani la amano alla follia, ma lei non si concede a loro, se la tira, si sente più in alto, è crudele con chi la ama davvero, mentre si concede alla mafia e alla superstizione del clero, che infatti sono gli unici che non la amano davvero e dopo averla avuta " tranquilla ti chiamo io". Il napoletano che è costretto a emigrare perché è un amore non corrisposto che finché uno è bambino va bene ma poi da grande vuole quagliare , lei gli ricorda che pure se va a milano e gli andrà bene, quando avrà un momento di debolezza, penserà che tornare da lei sia la soluzione, ma sarà troppo tardi ed è perfettamente il sentimento di chi ha lasciato Napoli, la mia ragazza è napoletana e il sentimento è quello, vai via da un luogo che ami, ma non sei ricambiato nella stessa maniera. Il dissing a sofia loren che dissa i napoletani è lo specchio di questo sentimento di amore odio con questa città . Si sono discorsi fatti più per il pubblico che tra i personaggi, ma a me piace la poetica decadentista di Sorrentino che dipinge una la dea napoli che nasce in una ricca casa e che poi va verso il declino tanto è bella che gli frega? Ma non basta la bellezza, serve la cultura per mantenere bella una società." @valerioivrelao6724
“Io non so niente, ma mi piace tutto” Parthenope
“Un napoletano non va mai a Capri in vacanza: o è troppo povero o è troppo pigro” Pranzo con il miliardario
“Il mistero è desiderio ed il funerale è il sesso” Discorso della Diva
“Alla fine della vita resterà solo l’ironia” Cardinale
“Che cosa ti piace di una donna? La schiena. Tutto il resto è pornografia” Cardinale
“Dio non ama il mare” Cardinale
“Sei bella ed indimenticabile”
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LA CHIMERA_ALICE RORHWACHER
“C’è chi l’amore lo fa per noia e c’è chi se lo sceglie per professione, Bocca di rosa né l’uno né l’altro, lei lo faceva per passione…” Nulla di meglio di questo celeberrimo verso di Fabrizio De André per definire la figura di Arthur, tombarolo rabdomantico per passione, magnifico protagonista di un film incantevole, quale è “La Chimera” di Alice Rorhwacher. Arthur soprannominato l’inglese dai “tombaroli” (quelli veri) della Tuscia, ha il potere, quasi magico, di “sentire” la presenza di tombe nel sottosuolo, forse perché guidato anche dal desiderio di raggiungere quel regno dei morti dove vive l’anima (e magari il corpo) di Beniamina, suo perduto amore. L’inglese ha la sua base nella casa-rudere di una anziana e carismatica insegnante di canto, Flora (interpretata da Isabella Rossellini) alle cui dipendenze, un po’ come domestica e un po’ come allieva, c’è Italia (Carol Duarte) che sembra essere l’unica persona capace di tenere il sognante Arthur ancorato a questa terra. Ma se i “tombaroli” hanno come unico scopo il lucro, Arthur sembra essere partecipe più del mondo dei morti che di quello dei vivi e al momento di vendere la testa di una statua ad una cinica trafficante di reperti, preferisce buttare il prezioso pezzo nelle acque di un lago, proprio per sottrarlo alla cupidigia dei trafficanti. Ma la scoperta più importante di tutte, non sarà quella di un corredo funebre, di una pittura murale o di un gruppo statuario, bensì quella che gli permetterà di ritrovare il filo che lo ricondurrà all’amata Beniamina che sembra attenderlo nel regno dei morti. Il cinema di Alice Rorwacher è principalmente un cinema dalle immagini “volutamente sporche”, poco curate, giocate addirittura su tre supporti diversi di pellicola (16 millimetri, super 16 mm e 35 mm). Sono proprio queste immagini che ambientano alla perfezione il film negli anni Ottanta con grande realismo, senza ricorrere ai trucchetti da quattro soldi, come è accaduto di vedere di recente col finto neorealismo della Cortellesi. La differenza è tutta nel fatto che Alice Rorhwacher sa fare il cinema e sa “di cinema”: c’è in lei la forte traccia poetica di Pasolini e infatti Arthur è un “accattone” che vive in una baracca di lamiera e legno, appoggiata alle mura antiche di una città italiana (presumibilmente Tarquinia) che è parte di quella “grande bellezza” sorrentiniana, trattata però con un quid di realismo che la rende ancora più credibile. Ma si sentono anche gli echi di certi personaggi felliniani: è sufficiente per questo osservare le sequenze della sfilata carnascialesca che attraversa il paese o la stessa insegnante-matrona Flora. E poi, soprattutto, tenetevi forte, un altro “fantasma”, oltre a quello di Beniamina, aleggia in tutto il film: è lo spirito sapiente del Maestro Andrej Tarkovskij. La campagna dell’Italia centrale, la cultura antica del Paese, le sue vestigia e Arthur stesso, che è un “matto” come lo fu Domenico, e allo stesso tempo incarna il ricercatore-romantico che in “Nostalghia” era il critico musicale Pavel Sasnowskj. Come Arthur nelle tombe etrusche, anche lui con una candela in mano attraversa la piscina di Bagno Vignoni in una della più poetiche scene della storia del cinema. Bravissima Alice! Di questo cinema dal respiro universale e profondo ha bisogno l’Italia e se lo merita ! Da non perdere, nessun alibi è accettabile.
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My Lady Jane: Quando la Storia si Trasforma in Magia e Risate
Lady Jane Grey: La Regina dei Nove Giorni... o dei Nove Episodi?
Lady Jane Grey è conosciuta nei libri di storia come la "Regina dei Nove Giorni". Una figura tragica che fu usata come pedina politica e che trovò una fine prematura. Tuttavia, la serie televisiva My Lady Jane prende questa narrativa e la stravolge completamente.
La serie offre a Jane un destino radicalmente diverso. In questa versione della storia. La protagonista, infatti, non è una vittima passiva degli eventi, ma una giovane donna intelligente e determinata. In questo mondo fantastico è in grado di cambiare il suo destino con l'aiuto di una buona dose di magia.
Tudorland: Benvenuti nel Regno di Maghi e Metamorfosi
L'ambientazione della serie rimane l'Inghilterra Tudor, ma è arricchita da elementi fantastici che rendono il mondo di My Lady Jane unico nel suo genere.
Tanto per dirne uno: il regno è popolato da persone che possono trasformarsi in animali (what?!). Inoltre, le già intricate dinamiche politiche sono complicate ulteriormente da questi elementi soprannaturali.
Questi cambiamenti non solo aggiungono un tocco di magia alla narrazione, ma permettono anche ai personaggi di esplorare le loro identità in modi nuovi e inaspettati.
Risate Reali: Quando la Storia si Prende una Pausa
Uno degli aspetti più affascinanti di My Lady Jane è la sua capacità di trattare temi seri con un tocco di leggerezza e ironia. La serie non si prende mai troppo sul serio. Questo approccio rende la visione estremamente piacevole.
I dialoghi sono frizzanti e pieni di battute argute, e le situazioni assurde in cui si trovano i personaggi sono gestite con una comicità brillante. Questo stile distintivo è uno dei motivi principali per cui My Lady Jane si distingue tra i numerosi adattamenti storici.
Non ha niente a che vedere con le serie televisive Starz come The White Princess, The White Queen o Becoming Elizabeth.
La protagonista non è più la storia. Al centro brilla la fantasia e la libertà di cambiare il destino storico di un personaggio drammatico come quello di Jane Grey.
Un Cast da Fiaba: Principesse e Principi (e Animali) Incantati
Il successo di My Lady Jane non sarebbe stato possibile senza un cast eccezionale. La giovane attrice protagonista porta sullo schermo una Jane Grey piena di vita e spirito. Gli altri membri del cast offrono interpretazioni altrettanto memorabili.
Ogni personaggio, dai principali ai secondari, è caratterizzato da una profondità e complessità che rendono la storia ancora più coinvolgente.
L'eroina : Jane è una ragazza che vuole ampliare le proprie conoscenze. È intelligente e curiosa. Nonostante la costrizione al matrimonio da parte di sua madre, Jane non perde lo spirito. Per l'intera serie la ragazza dimostra di essere però anche leale. Essa è pronta a rischiare la sua vita per gli amici e per le sue convinzioni.
Il bello e dannato : Guildford viene introdotto come un ragazza senza un vero scopo. In un bar recita versi "poetici" e beve come se non ci fosse un domani. Tuttavia il suo personaggio diventa uno dei più particolari e complessi. Il suo passato continua a tormentarlo e il pubblico finirà per tifare per lui.
Il re malato: Edward non è solo un bambino malaticcio. In questa versione, in cui il monarca inglese è un ragazzo di colore interessato agli uomini (altro che licenza poetica), Edward prende in mano il suo destino.
Dal Libro allo Schermo: Una Magia Diversa, ma Sempre Incantata
Pur rimanendo fedele allo spirito dei libri, la serie televisiva My Lady Jane introduce diverse modifiche rispetto ai romanzi. Alcune sottotrame sono state semplificate o eliminate. Inoltre, nuovi personaggi sono stati aggiunti per arricchire la narrazione.
Questi cambiamenti non fanno che migliorare l'adattamento, rendendolo più adatto al formato televisivo e mantenendo l'attenzione del pubblico. Inoltre, l'elemento visivo della trasformazione degli esseri umani in animali è reso con effetti speciali che aggiungono un ulteriore livello di fascino alla serie.
Conclusione
My Lady Jane è un esempio brillante di come un adattamento televisivo possa prendere una storia conosciuta e trasformarla in qualcosa di completamente nuovo e affascinante. Con la sua combinazione di storia, ironia e magia, la serie offre un'esperienza di visione unica che riesce a intrattenere e sorprendere ad ogni episodio. Se siete alla ricerca di una serie che sappia mescolare abilmente passato e fantasia, My Lady Jane è sicuramente una scelta imperdibile.
Ho trovato questa serie brillante, ma ancora di più la capacità dei creatori di spingere l'hyper per uno show anche relativamente semplice. La storia non è un racconto epico e complesso. Tuttavia cattura il pubblico con colpi di scena e un focus intelligente su certe tematiche rilevanti.
Ovviamente tanto fa anche la chimica tra i due protagonisti, cosa che non fa male ad una storia semplice e senza troppi personaggi.
Ho visto le nove puntate tutte d'un fiato in soli tre giorni. La storia è organizzata bene affinché il pubblico sia spinto a guardare lo show in poco tempo.
Se amate le serie come me, non perdetevi gli altri articoli.
Stay Tuned, la vostra EasyTears.
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Ben Vautier = L'art est pas art
Catalogo a cura di Monica Fornaciari
Lattuada Studio, Milano 2012, 48 pagine, 23,7x30,3cm
euro 35,00
email if you want to buy [email protected]
Mostra a cura di Flavio Lattuada in collaborazione con Roberto Guffanti Gennaio - Febbraio 2012. L'esposizione raccoglie una trentina di opere dagli anni '70 ad oggi e una accurata selezione di documenti e manoscritti che introducono e spiegano la poetica dell'artista e la sua evoluzione.
Nasce a Napoli nel 1935. Ancora giovane, si trasferisce a Nizza, dove continua a lavorare, dopo aver vissuto in Turchia, Egitto e Svizzera. Nel 1954 apre un negozio di dischi usati che, nel 1959, trasforma in un luogo di incontro per persone che desiderano esporre e indagare oggetti nuovi. Negli anni cinquanta inizia la sua produzione pittorica segnata dall'astrattismo, poi nel decennio successivo si avvicina agli ambienti del Nouveau¬Rèalisme, soprattutto a Arman e a Spoerri. Nel 1962 conosce e inizia a frequentare George Maciunas, figura di spicco del gruppo Fluxes, di ispirazione neo-Dada, di cui Vautier diviene membro e sostenitore, condividendo quella filosofia e quella poetica che identifica con l'equazione arte e vita. Negli anni ottanta, passata l'ondata concettuale, inventa per la nuova tendenza pittorica emergente in Francia il termine "Figuration Libre" e introduce nei suoi lavori una componente figurativa ironico-grottesca. In quest'arco di tempo la sua attività non si ferma e prosegue senza soste: vive quindici giorni nella vetrina della One Gallery di Londra, organizza il Festiva] Fluxus, fonda il Théatre Total, tiene performances come Public (in cui la sua azione consiste appunto nel fissare il pubblico), espone una portinaia alla Galerie Zunini di Parigi, gira un film che lo riprende nell'atto d'insultare gli spettatori, pubblica riviste, scrive un volume di interventi teorici, apre una galleria intitolata ai suoi figli , "Malabar et Cunegonde".
14/09/23
#Ben Vautier#art exhibitioncatalogue#LattuadaStudio Milano 2012#Flavio Lattuada#art books#fashionbooksmilano
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SantoClaus BaronNoir sorprende ancora con il nuovo singolo “Negli abissi del ridicolo”
Dal 20 dicembre su tutti i digital stores e in promozione nazionale nelle radio
Dopo il successo di “Rosargento”, il poliedrico cantautore cosmic folk, SantoClaus BaronNoir, torna con un brano che spinge ancor più in profondità nelle tematiche umane e sociali.
“Negli abissi del ridicolo”, disponibile dal 20 dicembre su tutte le piattaforme digitali e in promozione nelle radio, è un'intensa analisi poetica della condizione dell'individuo in una società soggiogata da poteri sovranazionali. Un tema complesso e universale trattato con la maestria lirica che contraddistingue l'artista. Musicalmente il brano offre un viaggio sensoriale unico, unendo il folk viscerale e intenso, ormai marchio di fabbrica di SantoClaus, con incursioni di sonorità spagnoleggianti. L’insieme si arricchisce ulteriormente con riferimenti alla cultura orientale, evidente anche nel videoclip che include una figura femminile intenta nella pratica del Tai Chi. Questo mix tra Oriente e Occidente dà vita a un’esperienza circolare e suggestiva, capace di catturare l’ascoltatore su più livelli.
Ascolta il brano
Dietro al nome d’arte SantoClaus BaronNoir si cela Claudio Spinosa, un artista eclettico dalle atmosfere vintage, che con il suo stile “country man chic retrò” ha saputo distinguersi nella scena musicale indipendente. Il suo genere, definito “Cosmic Folk Noir”, fonde influenze country e folk in uno stile sonoro ipnotico e distintivo, immediatamente riconoscibile. Con “Negli abissi del ridicolo”, SantoClaus non solo conferma il suo talento, ma sfida ogni confine sonoro e tematico, rinnovando ancora una volta il suo invito a riflettere attraverso una proposta musicale unica nel suo genere. Una nuova tappa imperdibile nel viaggio artistico di un cantautore straordinario.
Instagram: https://instagram.com/santoclaus2023?
Facebook: https://www.facebook.com/profile.php?id=100093205480162
YouTube: https://www.youtube.com/@Santoclausensemble
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FIGURAS LITERARIAS EN LA COMPOSICION POETICA
Tipos y clasificación de las figuras literarias
Las figuras literarias, tropos o figuras retóricas, son una serie de giros del lenguaje que se emplean para embellecer el discurso, especialmente en el contexto de la oratoria y de la literatura, alterando significativamente el modo común y cotidiano de emplear el idioma. Fuente: https://concepto.de/figuras-literarias/#ixzz8sqJxu0vT
Metáfora y símil. Van juntos porque se trata de comparaciones: se coteja directa o indirectamente dos términos para resaltar alguna cualidad entre ellos, ya sea por semejanza, diferencia, sentido figurado, etc. La metáfora lo hace de modo directo, sustituyendo términos; el símil indirectamente, con un nexo comparativo: “como”, “semejante a”, etc.
Hipérbole. Se trata de una exageración con propósitos expresivos: para enfatizar o minimizar algún rasgo particular de algo.
Metonimia. Una forma de metáfora, en que se toma el nombre de una cosa por el de otra, con la cual está emparentada o tiene un nexo de cercanía o pertenencia.
Sinécdoque. Otra forma de metáfora, pero esta vez toma el nombre de algo por la categoría mayor a la que pertenece (como especie, grupo, etc.) o sea, toma el nombre de una parte por el todo.
Personificación. Consiste en atribuir propiedades humanas a un objeto inanimado o a un animal.
Anáfora. Consiste en la repetición rítmica de sonidos o sílabas dentro de un verso o una frase.
Alegoría. Ocurre cuando nos referimos a algo sin nombrarlo, sino a través de un conjunto de asociaciones metafóricas o alusiones indirectas.
Hipérbaton. En este caso el orden tradicional de la oración se altera para permitir una expresión más singular, ya sea ajustándose a la métrica (como en la poesía rimada) o no.
Onomatopeya. Consiste en la representación verbal de un sonido mediante su equivalente hablado.
Sinestesia. Se atribuye una sensación (táctil, olfativa, auditiva, etc.) a un objeto o una situación a la que normalmente no corresponde.
Oxímoron. Consiste en el uso conjunto de dos términos o descripciones cuyos significados se contradicen el uno al otro.
Elipsis. Ocurre cuando se omite algún término de la frase o la oración, ya sea con fines de generar suspenso o porque ha quedado claro de frases anteriores y resultaría redundante reiterarlo.
Asíndeton. Consiste en la supresión de un nexo copulativo (“y”) dentro de una enumeración o un contexto en que comúnmente iría.
Polisíndeton. Contrario al caso anterior, incorpora un exceso de nexos copulativos, generando una repetición en la frase.
Fuente: https://concepto.de/figuras-literarias/#ixzz8sqKA4kui
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2.Figuras semánticas o tropos
Los tropos son figuras retóricas que sustituyen una palabra o expresión por otra con un sentido figurado. Para que la sustitución sea posible, es necesario que exista una relación entre los términos.
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3.Figuras de pensamiento
Las figuras retóricas de pensamiento son aquellas que se basan en el significado de palabras o frases para expresar de manera especial pensamientos e ideas.
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4.Figuras de Dicción
Las figuras retóricas de dicción consisten en la modificación de la forma o sonido de las palabras o de su sintaxis dentro de las oraciones.
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Han Kang
Han Kang è la scrittrice sudcoreana che ha vinto il Premio Nobel per la letteratura nel 2024.
Ha iniziato a pubblicare negli anni Novanta ma ha travalicato i confini del suo paese soltanto nel 2016 quando, il suo romanzo La vegetariana ha vinto l’International Booker Prize.
Innovatrice della prosa contemporanea, con uno stile poetico unico e sperimentale, si confronta con traumi storici, esponendo la fragilità dell’esistenza, enfatizzando le connessioni tra corpo e anima, vita e morte.
Nata a Gwangju, il 27 novembre 1970, è figlia dello scrittore Han Seungwon che, come lei, ha vinto il Yi Sang Literary Award.
Si è laureata in letteratura alla Yonsei University e iniziato la sua carriera, nel 1993 come poeta, pubblicando una serie di poesie nella rivista Letteratura e società.
Dal 2013 insegna scrittura creativa al Seoul Institute of the Arts.
Nel 2007 ha pubblicato La vegetariana, romanzo, estremo, provocatorio e affilassimo, che si incentra sulla figura di una donna resa anonima dalla società che ha intorno, che decide di diventare vegetariana e consumarsi in un turbine violentemente fiabesco che, dal rifiuto della carne, la porta a rifiutare ogni tipo di convenzione fino alla decisione estrema di perdersi nell’indifferenza vegetale. Il libro ha impiegato quasi un decennio prima di arrivare al pubblico internazionale.
Nel 2017 ha vinto il Premio Malaparte per il libro Atti umani che parte dalla durissima repressione di un corteo studentesco avvenuta nel 1980 a Gwangju, in seguito al colpo di stato e alla legge marziale, la cui ferocia descrive senza sconti e con una lingua che è potentemente letteraria e, insieme, realisticamente sanguinosa.
L’ora di greco del 2011 (in Italia nel 2023), accompagna una donna che cerca di recuperare la parola aggrappandosi all’estraneità del greco e a un professore immigrato tempo prima in Germania, riflettendo così sui margini invalicabili delle lingue nel definirci.
In italiano sono stati tradotti anche due racconti raccolti in Convalescenza, storie di due donne diversissime (una che elabora la morte della sorella e l’altra che si trasforma in una pianta), accumunate dalla volontà di riflettere sulla dissoluzione dei corpi, delle anime e delle relazioni.
Il 25 maggio 2019 ha consegnato un suo manoscritto inedito dal titolo Dear Son, My Beloved alla Biblioteca del futuro, un progetto artistico culturale ideato da Katie Paterson che vedrà la pubblicazione nel 2114, cento anni dopo l’avvio dell’iniziativa.
Il 10 ottobre 2024 è stata la prima autrice asiatica insignita del Nobel per la letteratura “per la sua intensa prosa poetica che affronta i traumi storici ed espone la fragilità della vita umana“.
Il suo modo di scrivere, pur nutrendosi delle proprie radici e senza perdere la propria identità, ha il potere di dialogare attraverso il tempo e i luoghi. È capace di far risuonare le corde delle fragilità umane, avvicinare realtà diverse, arricchire e rafforzare nello scambio reciproco delle differenze. La sua opera, con precisione puntuale e con altrettanta fantasmagoria espressiva, si dipana su punti, luoghi e occasioni in cui la nostra cultura e la nostra morale incontrano il limite, l’impossibilità e il crollo.
I suoi temi e personaggi girano attorno alla violenza, al dolore, alle costrizioni patriarcali e in fondo a tutte quelle occorrenze in cui l’umanità si ripiega su se stessa e cerca impreviste soluzioni di sopravvivenza.
La sua ultima fatica, del 2024, è Non dico addio, romanzo doloroso, lucido e poetico che narra la storia di tre donne, unite dal filo invisibile della memoria, che si rifiutano di dimenticare la storia dei massacri compiuti a Jeju, tra la fine del 1948 e l’inizio del 1949, in cui trentamila persone vennero uccise e molte altre imprigionate e torturate.
Un libro in cui la frontiera tra sogno e realtà, tra visibile e invisibile, sfuma fin quasi a svanire, che ella stessa ha definito «una candela accesa negli abissi dell’animo umano».
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Historia e teoria de uma lei inconstante a polar
A história e a teoria em que trabalho concentram-se em imagens específicas através das quais o movimento ocorre. Não se trata necessariamente de filmes ou cinema, nem de cerimônias e apresentações teatrais. Mas deve necessariamente haver um movimento através destas imagens com o qual se possa confundir a lei e o direito, ou, para ser mais educado: troca e mudança. Dito de forma mais neutra: imagens através das quais os direitos podem ser percebidos, manuseados e negociados.
Não me preocupo com imagens porque elas aparecem com mais frequência em algum lugar, tornam-se mais importantes. O ato da imagem, as imagens como atores: isto só me interessa quando a crítica e a análise revelam as técnicas com que os objetos são formados, como e com que são investidos como imagens. Por mais que eu assuma que algo é lei em si e por mais que eu assuma que a lei só aparece como lei através da cooperação com outros, eu assumo que as imagens não são imagens em si, mas em cooperações tornam-se efetivas. Louis Marin diz que a imagem atravessa o texto. Trabalho técnicas que são emblemáticas ou como a marchetaria é criada. As imagens se cruzam ali, a lei se cruza ali - de tal forma que a questão do poder e da perda pode ser respondida com muita lucidez para que eu possa fazer mais perguntas.
Meu paradigma é satírico, ou seja, a ars poetica de Horácio, ou seja, as instituições romanas, os diagramas e os conceitos visuais do início do período moderno. Qualquer coisa que siga precisamente a distinção entre imagem e palavra, entre imagem e escrita, imagem e letra, imagem e corpo, imagem e som, imagem e conceito, sem levar a uma distinção principal e a um uso categórico, é interessante para mim porque me pergunta perguntas, deixa-me fazer perguntas - e sempre dá respostas detalhadas, elas não são vistas como uma solução, mas como uma orientação para o problema. Posso entender as imagens como actantes – mas não quando a passividade, a fórmula do pathos, a patologia e a paixão são ignoradas. Se você olhar as imagens como atores ou actantes para afirmar que foi capaz de localizar o poder, encontrar a razão e adicionar a norma, então não acredito em uma palavra da análise Nem uma palavra de crítica. O ato de imagem me interessa, portanto, como 'Akte', como objeto de cooperação – como sugeriu Vismann.
As fantasias de poder servem a outros, assim como as fantasias de impotência. O livro, que deveria ter sido chamado de Anti-Vesting, rejeita sua interpretação de Vismann e sua interpretação, não na questão de que poderia estar errado ou mal interpretado. Ele não cumpre o que promete. A prática social das imagens, as infra-estruturas das imagens: pelo menos não é isso que ele descreve numa palavra. Apresenta imagens e utiliza o decoro, sua decoração e seus padrões. Mas você deve cancelar e passar por isso.
Se não fiz isso bem o suficiente em meu trabalho anterior: estou trabalhando nisso. Uma figura chave neste aspecto é Aby Warburg. Trabalho com imagens por um motivo muito simples: porque sempre fizemos isso, porque o direito sempre foi ciência da imagem.
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[La scrittura di Pasolini][Roberto Travaglini]
Un'esplorazione completa della complessa figura di Pasolini: dalla sua poetica alla sua cinematografia, passando per i suoi scritti più intimi. Un'analisi critica che svela nuovi aspetti della sua personalità.
Le mani di Pasolini: scrittura e destino di un genio tormentato Titolo: La scrittura di Pasolini. I provocatori graffi di un seducente educatoreScritto da: Roberto TravagliniEdito da: Edizioni ETSAnno: 2024Pagine: 104ISBN: 9788846767592 La sinossi di La scrittura di Pasolini di Roberto Travaglini L’affascinante figura di Pier Paolo Pasolini, la sua vita e la sua multiforme opera si prestano a…
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Parigi dorme di Maria Luisa Spaziani: la solitudine di una sentinella tra poesia e immagine. Recensione di Alessandria today
Un ritratto silenzioso di Parigi, sospeso tra il tempo e la memoria.
Un ritratto silenzioso di Parigi, sospeso tra il tempo e la memoria. Alessandria, 15 dicembre 2024 – Maria Luisa Spaziani, una delle più grandi voci della poesia italiana contemporanea, dipinge con parole delicate e precise la sua visione di una Parigi addormentata. Il componimento “Parigi dorme” è un tributo alla solitudine, alla quiete e all’amore per una città universale, descritta attraverso…
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Francesco d’Assisi: dalla poesia alla musica, dalla musica alla poesia.
Oggi, in una chiave non sacrale, Francesco Boemio ci parla di Francesco d'Assisi quale figura rilevante per la poesia e la musica italiana nel giorno della sua ricorrenza. #IlControVerso #notizie #pensieri #politica #libertà
Difficile tracciare in poche righe una panoramica della figura di Francesco d’Assisi. Ancor più difficile è condensarne la grande rilevanza umana, poetica, e spirituale. La critica e i manuali di letteratura lo annoverano come “iniziatore” della letteratura italiana; o meglio, come uno dei primissimi autori di testi in volgare. Il suo “Cantico di Frate Sole”, composto nel 1224, è considerata la…
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WILL HERMÈS: “LOU REED RE DI NEW YORK” (parte II)
(Segue) Una ricostruzione indubbiamente affascinante anche senza il bisogno di indagare sulla veridicità di ogni singola sfuriata di Reed o su ogni colossale "sballo" del suo fondatore. Will Hermes ricostruisce anche tutte le dinamiche che portarono Lou Reed nell'orbita di Andy Warhol del loro convulso rapporto. Lou Reed ebbe con lui e con la Factory un rapporto di interscambio profondo e complesso che lo portò anche ad allontanare Warhol dal gruppo. I Velvet Underground devono a Reed quasi tutta la produzione musicale di brani che entrarono nella storia del rock del pop e del punk da una, per così dire, entrata di servizio : mai troppo famosi, al di fuori di quell'universo della cultura underground che era New York, ma che sono passate di diritto nella storia della musica e della poesia: Sunday Morning, I'll Be Your Mirror, Venus in Furs, I'm Waiting for the Man, The Black Angel's Death Song, All Tomorrow's Parties, e sua maestà “Walk in the Wilde Side” che divenne il manifesto di una stagione breve ma intensa. Mi piace a questo proposito ricordare anche le pagine di dettagliata analisi dei testi di Reed, ma anche del suo voluto o non voluto pressapochismo nella tecnica musicale. Così come degne di menzione sono le parti del volume dedicate alla tarda produzione di Reed, come per esempio quel gioiello che è "Songs for Drella", scritto con John Cale, in ricordo di Andy Warhol. Lou Reed non fu mai un personaggio facile, né per la sua poetica, né per la sua "vita spericolata" (questa sì, non quella dei suoi numerosi emulatori farlocchi). In particolare, la sua multiforme identità sessuale lo portò ad avere complesse relazioni sessual-sentimentali con molti dei protagonisti della scena underground (e queer) newyorkese per approdare poi, alla fine della sua vita, ad un rapporto etero (ma non scevro da tentazoni e sperimentazioni) con un altro mostro sacro dell'avanguardia musicale, quella Laurie Anderson che fu anch'essa una musa dell'avanguardia musicale. Nei primi anni Duemila Reed collaborò intensamente con un altro grande dell’avanguardia artistica statunitense, il regista teatrale Bob Wilson che dopo il suo “Einstein on the Beach” del 1976, lavorò con musicisti come Philip Glass, Tom Waits e il guru della musica elettronica Underground newyorkese La Monte Young. Con Lou Reed, Wilson realizzò l’incredibile opera “Time Rocker”, “The Raven, “POEtry” sui testi di Edgar Allan Poe, figura che affascinava non poco Reed, ed altri lavori ancora. Così come non poteva mancare il racconto della contrastata amicizia di Lou Reed con David Bowie. Definire colossale il lavoro di Will Hermes sembra addirittura necessario, pur con tutte le riserve del caso. Libro intenso, ricco di particolari, analitico e non celebrativo, magari in qualche parte discutibile, ma comunque un magnifico lavoro.
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Amori, lettura e scrittura in estate al lago
Estate al lago Amori, lettura e scrittura in estate al lago, un articolo che analizza il romanzo Estate al lago di Alberto Vigevani, con un estratto di alcune pagine del testo. Attorno agli anni '90 avevo trovato allegato ad una rivista, in omaggio, il libro Estate al lago di Alberto Vigevani e benché non fossi un grande amante dei romanzi, visto che non potevo andare in vacanza e poiché in gioventù avevo trascorso spesso delle giornate estive sul lago di Garda, benché in questo caso si trattasse del lago di Como, memore di qualche rifermento ai Promessi Sposi del Manzoni, decisi di leggerlo. Il lago in ogni caso ha comunque un fascino particolare, e come dicevo anch'io ho trascorso in questi ambienti un bel po' di giornate, prima con mia mamma che mi accompagnava per andare a pescare attorno ai 12-13 anni, nelle acque di Salò, Maderno, Desenzano, poi con i miei amici negli anni turbolenti della mia adolescenza, principalmente a Toscolano Maderno, Manerba, Padenghe, e poi ancora sul Lago d'Idro, e infine ancora con mia mamma alle terme di Sirmione. Ora a distanza di più di trent'anni da quel periodo e a ben 66 anni dalla pubblicazione del libro avvenuta nel 1958, ho deciso di dedicargli questo articolo, anche perché, visto che siamo in estate e la gente in genere legge sempre meno, mi sento di affermare che leggere "Un'estate al lago" di Alberto Vigevani è come concedersi una vacanza letteraria, ricca di emozioni, riflessioni e bellezza. Direi per prima cosa che consigliare questo romanzo, snello ma succulento, significa suggerire un viaggio emozionante nella nostalgia e nella bellezza del passato. Ed ora vi elencherò diversi punti per cercare di convincere qualcuno a non perdere questa occasione letteraria. 1) Vigevani è un maestro nel creare atmosfere che trasportano il lettore direttamente nelle calde estati italiane, tra paesaggi lacustri incantevoli e la quiete della natura. 2) I protagonisti del romanzo sono descritti con una profondità psicologica che permette al lettore di immedesimarsi nelle loro vite e nei loro sentimenti. Le loro storie e interazioni sono il cuore pulsante del libro. 3) La prosa di Vigevani è elegante e poetica, rendendo la lettura un'esperienza estetica oltre che narrativa. La sua capacità di descrivere i dettagli con delicatezza e precisione arricchisce ogni pagina. 4) Il romanzo esplora temi come l'amore, la memoria, la perdita e la ricerca di sé, offrendo spunti di riflessione che risuonano profondamente con i lettori di ogni età. 5) Ambientato negli anni '30, "Un'estate al lago" offre un affascinante spaccato di un'epoca passata. Vigevani riesce a catturare l'essenza del tempo e del luogo, permettendo al lettore di vivere un pezzo di storia italiana attraverso gli occhi dei suoi personaggi. 6) Il libro è pervaso da una dolce nostalgia, che invita il lettore a riflettere sulla propria infanzia e sui ricordi estivi. Questa introspezione rende la lettura profondamente personale e toccante. 7) "Un'estate al lago" è stato accolto favorevolmente dalla critica, che ne ha lodato la qualità narrativa e la profondità emotiva. È un'opera apprezzata sia dai lettori che dagli esperti letterari. 8) La descrizione dei paesaggi, delle giornate estive, e delle piccole gioie quotidiane crea un'esperienza immersiva che consente al lettore di "vivere" l'estate al lago insieme ai personaggi.
Alberto Vigevani Alberto Vigevani (1918-1999) è stato uno scrittore, poeta ed editore italiano. Nato a Milano, si distinse per la sua produzione letteraria caratterizzata da una prosa elegante e malinconica. Oltre a numerosi romanzi e racconti, Vigevani pubblicò poesie e si dedicò all'editoria, fondando la casa editrice Il Polifilo, specializzata in libri d'arte e di alta qualità tipografica. Le sue opere riflettono spesso la nostalgia per un mondo perduto e la complessità delle relazioni umane. Vigevani è ricordato come una figura importante nel panorama culturale italiano del XX secolo. Oltre a Estate al lago ha pubblicato Un’educazione borghese; La casa perduta; L'abbandono; La breve passeggiata. Ha ottenuto, tra altri, il Premio Bagutta. Estate al lago. L'estate era stata diversa da quelle passate: le ultime vacanze dell'infanzia. Era maturata per Giacomo una nuova età: dalla suggestione dei sensi alle delicate immagini del suo amore puerile. Tutto si poteva dire in silenzio e tutto si scioglieva in contemplazione. Come ha scritto Geno Pampaloni nell'introduzione al testo, la verità del libro è in questo attimo di sospensione vitale, in questo (doloroso e insieme corroborante) diritto al segreto di fronte alla violenza della realtà. E, la sua, una sospensione magica, illusa e labile com'è proprio dell’adolescenza. Ma non è solo sua: è anche l’illusione ansiosa del silenzio e della contemplazione, quella lieve vertigine fatta di insicurezza, di angoscia e di nostalgia che caratterizzò la cultura europea tra le due guerre al cospetto delle dittature e nell’imminenza della tragedia. Pampaloni spiega molto bene la natura del romanzo e tutti i suoi risvolti, come si evince da queste sue riflessioni. " Intendiamoci. La qualità poetica del racconto del Vigevani attinge a una cultura riflessa. Tutto è già alle sue spalle. «Tutto è accaduto», come dice un titolo di Corrado Alvaro, che sentì come pochi altri scrittori, con intelligenza amara, la transizione esistenziale propria del nostro tempo. Non per nulla Alberto Vigevani è libraio antiquario, ed è editore di testi preziosi e dimenticati della più raffinata tradizione, quasi che la sua vocazione di uomo sia dedicata al recupero, all’assaporamento di valori non mercificabili, alla fedeltà della memoria. Dietro di lui scrittore si staglia la grande ombra di Proust, il fascino della grande borghesia colta, intenta a cogliere l’ultima essenza di un mondo stremato dai suoi stessi valori... Perciò, contrariamente allo schema usuale, per cui l'adolescente passa dalla innocenza alla torbida scoperta del sesso, egli supera abbastanza rapidamente l’accensione sensuale, e sublima la sua ricchezza affettiva in un amore impossibile per la bionda e gentile madre del suo compagno di giuochi. Ma ecco che qui racconto d’amore e storia di un’educazione sentimentale si saldano.
Lago di Como in estate Che cosa rivela a Giacomo l’incontro con la giovane donna e il suo figliolo malato e ardente? 1. La forza della passione, così profonda e coinvolgente da risultare rasserenante anche se dolorosa; 2. L’« armonia e tenerezza» che unisce madre e figlio in un legame meraviglioso, compatto, inscindibile; 3. L'ambiguità della figura materna, ove si mescolano la dolcezza sensuale e il tepore protettivo, oscuro modello e | presagio di un’ambiguità esistenziale che accompagna l’intera vita; 4. La gioia pura e malinconica della bellezza, che invita al silenzio e alla contemplazione; 5. Gli rivela infine la possibilità stessa della rivelazione dell’io profondo, vertiginosa «come se si trovasse sull’orlo della propria vita ». Tutto questo lo prepara all’intuizione finale: «com'era complesso l’amore; non solo desiderio d’armonia, di bellezza, ma anche aspirazione a non esistere più, ad annientarsi. E ancora: vi era qualcosa di crudele, d’irrimediabile, qualcosa che non si sarebbe nemmeno potuto confessare, anche se lo avesse veramente compreso ». Questo è, mi pare, il tratto originale del personaggio (e del libro): la perdita dell’innocenza, momento fatale di ogni adolescenza, si trasforma, come in dissolvenza, nella consapevolezza della complessità dell'amore, con tutto ciò che di ambiguo, di doloroso, ma anche di certo e, in qualche senso, di supremo, tale consapevolezza porta con sé. Mentre si chiudono, tra le prime piogge e i colori spenti dell'autunno, le «ultime vacanze dell’infanzia », l'educazione sentimentale di Giacomo può dirsi compiuta, ma nel senso che il velo d’ombra di un’incompiutezza infinita si proietta a occupare ogni possibile futuro. Il crepuscolo di adolescenza, la lacerazione tra innocenza e maturità, che egli ha vissuto nell’estate al lago, è destinata a durare per sempre. Ma si capisce che, avviandosi ignaro verso i tempi della violenza e della devastazione che si affacceranno alla storia, egli entrerà nella vita non sotto il segno della conquista ma sotto il segno della poesia." Ma ora lasciamo lo spazio ad alcune pagine del libro. I primi giorni di vacanza seguirono rapidi, come una febbre che accalori le guance e svanisca lasciando una stanchezza, un senso di sonnolenza, e ancora fame di nuova stanchezza e di sonno. I cugini erano arrivati: l’Elisa, gentile e non bella, dal corpo pesante, la fronte a bauletto sporgente sopra gli occhi; Aldo, che aveva l’età di Stefano e dipingeva all’acquarello; Mario, un ragazzo calmo, maggiore di Giacomo di due anni. Stavano sempre insieme: nuotavano, andavano in barca, a volte salivano sulla strada di Porlezza, dov'era una valle segnata da un fiumiciattolo incassato, il Senagra. Altre partivano per Cadenabbia o, dalla parte opposta, per Acquaseria e Gravedona, in bicicletta, con la merenda al sacco, e dopo aver fatto il bagno si riposavano sui prati. Formavano una compagnia allegra, con altri giovani che s'erano aggiunti: la bruna che Stefano aveva conosciuto al Lido, Elsa, figlia del padrone dell’albergo Victoria, e il fratello, un giovane basso, il tuffatore migliore della spiaggia, che anche fuori portava una calottina rossa sui capelli impomatati. Poi le due ragazze Lanfranchi, già da Milano amiche dei cugini: la maggiore slanciata, con occhi verdi luminosi; la minore, grassottella e addormentata, con gli stessi occhi, ma sbiaditi e gonfi, che le davano l’espressione attonita di un pesce... Giacomo aveva scoperto per conto suo che l’Elsa non era tutta muscoli, ma d’una bellezza così piena e persuasiva che se ne sentiva attirato. Tuttavia la sua inclinazione non andava oltre il piacere degli occhi e quel senso di vergogna che lo istupidiva se gli capitava di rimanere solo con lei. La presenza di Clara, d’altra parte, riusciva a rendere leggera l’aria che li avvolgeva, nulla in essa s’incideva con troppa asprezza, appena vi si accennavano le amicizie ancora incerte. L’Elisa e la minore delle Lanfranchi divennero inseparabili, Mario stava insieme con Giacomo che era il più giovane ma non stonava in mezzo agli altri, in quei primi giorni in cui tutto scaturiva con spontaneità, come se per le vacanze fossero tornati ragazzi anche i grandi. Forse non badavano alla differenza di età, o lo ammettevano perché li faceva ridere con uscite in cui, incitato dal desiderio di farsi notare, caricava il suo senso dell'umorismo di una capacità d’invenzione che si smentiva di rado. Le zitelle che aveva spaventato in bicicletta erano divenute dei personaggi, così Antonio, il custode, di cui rifaceva la voce e imitava i discorsi farciti d’interiezioni, di proverbi detti a sproposito. Ma forse erano gli altri, a completare o ad accrescere il ridicolo dei suoi accostamenti, delle trovate che gli nascevano spontanee dal troppo parlare, quando si eccitava: la verità era che avevano voglia di ridere, di sentirsi disinvolti e spensierati prima d’addentrarsi nel terreno sfuggente e sconosciuto delle nuove amicizie.
Cartina del lago di Como Finirono anche quei giorni d’attesa: Stefano ora lo respingeva, se gli andava vicino mentre aveva al braccio l’Elsa; rispondeva a monosillabi. Durante le gite Giacomo e Mario restavano indietro. Prima, avevano tutti riso delle sue immagini, si era sentito ammirato dalle ragazze, invidiato da Mario, in brevi momenti di esaltazione che lasciavano adesso il posto a un risentimento. Supponeva d’essere condannato a portare i calzoni corti in eterno, come un segno d'’inferiorità. Tra loro due e i grandi duravano lunghi silenzi, le parole di Giacomo cadevano senza che nessuno le raccogliesse, e a un tratto s'’accorgevano che i giovani camminavano avanti, sulla mulattiera lungo il monte, o rimanevano solo loro sulla spiaggia, mentre gli altri se n'erano andati in barca senza chiamarli. Li ritrovavano poi che ballavano nella sala a pianterreno della villa o all’albergo Victoria... Presto arrivò luglio. Negli alberghi si davano i primi balli: la stagione vera sarebbe venuta a settembre. Clara si metteva in abito lungo e veniva a farsi ammirare prima di uscire. Stefano vestiva lo smoking e Giacomo gli faceva compagnia mentre si preparava in bagno e annodava la cravatta davanti allo specchio. Forte e giovane, le sopracciglia folte, gli occhi vellutati e scuri uguali a quelli del padre, pareva lontano come mai, e proprio nel momento in cui gli offriva maggiore confidenza. Delle feste parlavano a tavola, il giorno dopo. Gli rimanevano nella mente episodi e nomi di persone, uditi nei discorsi dei fratelli, con il prestigio delle cose inaccessibili. Se la festa era a Menaggio, andava con le domestiche a vedere l’entrata dai cancelli. L’Emilia gli metteva una mano sulla spalla; diceva: «Ti piacerebbe vestirti da sera, ballare anche tu? »... A metà d’agosto il padre tornò per fermarsi una settimana. Giacomo quasi non s’accorgeva di lui. Gli era toccato ancora deluderlo: non aveva mai adoperato gli attrezzi e aveva fatto pochi progressi nello studio. Si sentiva in colpa, guardandolo: come provasse il sentimento che il padre fosse, senza sospettarlo, esposto a subire le conseguenze di ciò che a un tratto poteva insorgere nel suo animo. Gli appariva incapace di difendersi, nell’abito di tela un po’ ottocentesco, con la camicia di seta cruda aperta sul collo e il leggero copricapo di panama che sbiancavano ancor più la sua carnagione cittadina. Del resto non stavano mai insieme: usciva con la madre a visitare parenti o conoscenti che poi venivano a prendere il tè in giardino. A Giacomo sembrava che tra loro due qualcosa fosse già cambiato. Forse temeva per il suo segreto, quando gli occhi del padre si posavano sopra di lui, schiariti da un’ironia dolce e penetrante che avrebbe voluto sfuggire. Eppure, durante il giorno, tra Giacomo e l’Emilia tutto si svolgeva come prima, di nuovo non c'era che la carezza più ardita, le poche sere, ormai, che andavano a passeggio insieme. Spesso lei voleva uscire con l’Elvira, dicendo che si recavano al cinema, dove lui non poteva seguirla. Incontrandolo, sorrideva sempre, lo sfiorava col fianco come per scherzo, forse per vedergli in faccia il turbamento che non riusciva a nascondere. Era come fosse per abbandonarsi a piangere, e non potesse trovare comprensione se non in lei che già mostrava di evitarlo. Ma la notte, prima di addormentarsi, era diverso: come un appuntamento, ogni volta si ripeteva il lungo istante in cui, col respiro disordinato, il capo fitto nel guanciale, brancolava sopra un’immagine di lei oscura e avvincente. Se la raffigurava nuda, nella sua ricchezza segreta, lambita dal buio, le spalle e il petto candidi in luce, il ventre affondato in una macchia. Confusa e incerta ossessione, come confuse e incerte le reminiscenze, il negativo del nudo tra le rocce finte, i corpi femminili alla spiaggia, ogni nutrimento anonimo e frammentario della sua fantasia. A sfiorare quella immagine con una carezza, qualcosa entro di lui si rompeva in una breve liberazione che lo lasciava intontito e vergognoso. Infine una sera, appena partito il padre, che tutti erano usciti - l’Elvira aveva voluto andare al cinema da sola -, udì il passo dell'Emilia nella stanza che occupava all’ultimo piano, sopra la sua. Giacomo aveva già un poco dormito e quei passi gl’illuminarono d’improvviso la figura di lei, i suoi gesti mentre andava spogliandosi. Gli pulsavano le tempie; senz’accorgersene si trovò fuori della porta. Salì le scale nell’oscurità, cercando di non far rumore. Si sentiva un ladro, temeva che qualcuno potesse sorprenderlo. Una striscia di luce bagnava il pianerottolo, da sotto la porta. Non udiva nemmeno più il passo della donna. S’appoggiò alla maniglia, la porta cedette. Dalla finestra ovale entrava la luna e illuminava il letto. Il suo volto era quasi al buio: pareva ancora più pallido. Vide che i suoi occhi lo fissavano. « Giacomo », disse a bassa voce, « sei tu? ». Siccome non si muoveva, rigido contro la porta, il cuore che gli batteva di furia, lei riprese, con una voce alterata che sembrò una carezza: «Vieni qua». Andò verso il letto in punta di piedi. Si muoveva in quella luce quasi irreale come in una delle apparizioni che venivano a sorprenderlo la notte, quando non riusciva a dormire. Lei gli prese i polsi, l’attirò a sé. Piegando le ginocchia contro la sponda del letto, premette la guancia sulla spalla nuda. Il suo profumo lo confondeva. Dietro la testa di lei, sopra il candore del guanciale colpito dalla luce, i capelli sciolti addensavano un bosco oscuro e segreto da cui si staccava il suo volto smorto, senza più quel sorriso che sempre lo pungeva, sulle labbra adesso aride e schiuse. Gli occhi, scintillanti, sembravano vetri in cui la luce acquistasse profondità.
Grand Hotel Victoria Liberò le mani per cercarle il seno: annaspavano contro la tela un po’ ruvida della camicia. Fu lei a offrirglielo, scostando la spalla, e gli sembrò che bruciasse; poi quel fuoco gli entrò nella pelle. Lo palpava intero senza sapere dove indugiare. Si riempiva le mani della ricchezza che lei gli aveva ‘nascosto, e non cedeva alla carezza ripetuta ma la chiamava ancora, rinnovandogli come uno spasimo. Era entro un sentiero buio che lo faceva trasalire, e morbido, in cui ritrovava pungente l’odore dei capelli che gli coprivano le guance, la fronte. Un alito resinoso di terra e di donna che pareva quello del suo sangue. «Giacomo », aveva detto, due, tre volte, irosamente, gli era sembrato, muovendo il petto per svincolarsi. Ma s’avvinghiava a lei come se dovesse spremere, succhiare tutto il profumo e il calore che emanava. Poi gli si abbandonò, ansimante. Gli aveva cercato la bocca, la mano, ma appena raggiunte si era scossa, l’aveva allontanato con violenza, accendendo la piccola lampada sul tavolino. Era rimasto in fondo al letto. La fissava, nella debole luce elettrica, i capelli e la camicia in disordine, il volto quasi cattivo, mutato, con le labbra tremanti e tumide. La sua bellezza pareva a un tratto non più lontana, ossessiva, ma come rozza e affranta. Il torpore lo avvolgeva, allontanando ogni cosa nel tempo: si sentiva quasi spettatore di quel suo risveglio. Vide il seno scomparire nello scollo e gli parve una macchia, un fiore raggrinzito, la punta violacea che esitò un istante sull’orlo della camicia. Contrastando con la pelle chiara del petto somigliava a un oggetto immaginato nel sogno, che alla luce reale stupisca. Anche i suoi occhi erano diversi: lo sfuggivano come fosse lei, ora, a provare vergogna e a temere il suo riso. Gli pareva anche un'illusione il sussurro, quasi un gemito, che aveva colto sulle sue labbra. Si era seduta e aveva preso il pettine. Mentre ravviava i capelli si tolse la forcina dalle labbra e disse, a bassa voce: «Ti voglio bene, però sei un bambino ». Parole così fragili gli avevano fatto l’effetto che le avesse pensate, più che dette. Non capiva perché tornava ora un bambino, quando per un lungo momento era stata lei a soffrire sotto il suo abbraccio, e le sue labbra avevano perduto ogni voglia di sorriso. Read the full article
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