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#disertori
ideeperscrittori · 6 months
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POST SERISSIMO
Sarà per le mie idee anarchiche, ma la penso come De André: non esistono i poteri buoni.
C'è un solo modo per essere antimperialista in maniera credibile.
Si lotta contro tutti gli imperialismi.
Contro l'imperialismo occidentale, ma anche contro l'imperialismo di Putin e della Cina.
Jorit che fa le foto con Putin non è un antimperialista.
È un servo.
Gli unici eroi in questa storia sono gli obiettori di coscienza e i disertori disertori russi, bielorussi e ucraini.
Questo occhio di riguardo verso Putin, perfettamente simmetrico rispetto alle idee di chi sostiene l'imperialismo occidentale, ha reso marginale la lotta per dare accoglienza e protezione a chi si oppone alla guerra e rischia di subire una brutale repressione.
FINE
[L'Ideota]
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ghenghenga · 11 months
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le deserteur lyrics
youtube
4 novembre giornata delle forze armate... auspicherei un giorno anche destinato ai disertori grazie
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lascitasdelashoras · 2 months
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Benvenuto Disertori - Crepuscolo, 1913
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random-brushstrokes · 6 months
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Antonio Rizzi - Ritratto di Benvenuto Disertori (1912)
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gregor-samsung · 4 months
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" Bailey manda giù un sorso di latte e chiede se il paese è ormai in guerra ed Eilish osserva i baffi bianchi sopra le labbra e l’interrogativo nei suoi occhi. Nei notiziari internazionali la definiscono una rivolta, dice Molly, ma se vogliamo dare alla guerra il nome giusto, dobbiamo chiamarla intrattenimento, ormai siamo spettacolo televisivo per il resto del mondo. Samantha posa forchetta e coltello accanto al piatto. Mio padre lo definisce terrorismo, secondo lui questi tizi non sono altro che terroristi e avranno quello che si meritano, lo sbraita sempre quando vede il telegiornale. Eilish guarda da un’altra parte e Molly resta in silenzio a fissare il proprio piatto. Questo agnello è venuto proprio bene, non ti pare?, dice Eilish, che peccato che Mark non sia qui. Muove il coltello sulla carne senza tagliarla, poi si alza e accende la luce, Bailey la guarda mentre si risiede. Insomma è là che è andato Mark, chiede, ad arruolarsi nell’esercito dei ribelli? Un’espressione di cupa angoscia attraversa il volto di Samantha, mentre Eilish finge di aggiungere sale e Bailey si pulisce la bocca con la manica. Non so di cosa stai parlando, dice la madre, t’ho già spiegato che Mark è andato su nel Nord a studiare. E allora come mai non ci posso parlare? Credi che sono stupido? Perché dici sempre stronzate?
Trafigge la carne con il coltello e poi se la porta alla bocca. Ho sentito dire che l’altro giorno tre disertori sono stati giustiziati per strada, un colpo alla nuca, bang, bang, bang, dice, mimando una pistola con il dito. Eilish mette giù forchetta e coltello e spinge indietro la propria sedia. Non voglio sentire un linguaggio simile, lo rimprovera, Bailey, tu riempi la lavastoviglie, Samantha, ti fermi per il dolce? Possiamo guardarci un film tutti insieme. Molly e Samantha si trasferiscono in soggiorno ed Eilish le segue, poi Molly sale di sopra per andare in bagno e Samantha guarda le foto appese. Non era mia intenzione… sa, dice, con voce vaga, è solo che mio padre non mi sta molto simpatico, secondo me è uno di quei complottisti matti. "
Paul Lynch, Il canto del profeta, traduzione di Riccardo Duranti, 66thand2nd (collana Bookclub n° 75), 2024¹; pp. 147-148.
[Edizione originale: Prophet Song, Oneworld Publications, London, UK, 2023]
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giovannicioni · 5 months
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PAROLE TREMANTI
storie di sfollati, disertori e deportati
scritto con i ragazzi delle scuole medie di Scarperia a partire dai racconti raccolti in famiglia
regia, riprese e montaggio Giovanni Cioni, 70 mn, 2024
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curiositasmundi · 3 months
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[...]
Le pulsioni fascistoidi di taluni «rappresentanti delle istituzioni» (sic) ripropongono a getto continuo momenti, protagonisti e strutture di un passato liberticida, trasfusi nell’aura dell’epopea, quali alfieri della dignità e del senso nazionale. 
Un borioso generale ha di recente condotto la campagna elettorale europea con riferimenti espliciti alla X Mas, mentre un volitivo parlamentare della Lega salviniana ha rilevato che – per quanto lo concerne – lo scandalo non sta nell’esaltazione della X, ma piuttosto nel canto di Bella ciao, inno dei partigiani massacratori.
Assai opportunamente Hannah Arendt ammoniva – a proposito di Adolf Eichmann – di non rappresentare né trasformare l’orrore in mito. È l’operazione compiuta dagli esaltatori di Mussolini e dei suoi camerati, ringalluzziti dai venti di destra che soffiano in Europa (e non solo), alimentati dalle guerre che insanguinano Ucraina e Palestina.
Vediamo dunque di riportare con i piedi per terra – sul piano storico – la X Mas e il suo comandante, in relazione al ruolo espletato durante la Repubblica sociale italiana (Rsi), oggi presentato come adempimento di una missione patriottica nel segno dell’onore, mentre si trattò di collaborazionismo con l’invasore tedesco e di crudele repressione antipartigiana.
[...]
Nel giugno 1944 la Decima viene assoggettata al generale Gustav-Adolf von Zangen. Tessere di riconoscimento bilingui portano un’eloquente avvertenza: «Il titolare appartiene alla Divisione ‘Decima’, alleata alle FF.AA. Germaniche, ed è autorizzato a circolare armato. Tutte le autorità militari e civili italiane e tedesche sono pregate di dargli assistenza in caso di necessità». L'antiguerriglia viene condotta secondo le direttive del feldmaresciallo Kesselring e del generale Wolff, con particolare intensità nel Piemonte e contro il partigianato slavo.
Misura di carattere preventivo è il prelievo di ostaggi civili; manifesti murali, precisano che «ad essi non sarà fatto alcun male se nessun atto di sabotaggio, attentato alla vita, o delitti in genere saranno compiuti nella zona a carico di uomini o cose appartenenti alla Divisione X». In caso di attacchi, i prigionieri saranno considerati conniventi con i partigiani e trattati come tali.
Gli eventi di Valmozzola, piccola località appenninica tra Emilia e Liguria, rivelano le crude logiche della guerra civile. Verso le 8,30 del 12 marzo 1944 un gruppo di «ribelli» ferma il treno La Spezia-Parma, per liberare tre compagni catturati in combattimento e condotti al Tribunale militare di Parma, anticamera della fucilazione. Quando però il comandante Mario Devoti («Betti») chiede la consegna dei prigionieri, il sottotenente del Battaglione «Lupo» della X Mas Gastone Carlotti lo dilania con una bomba a mano. Nella furiosa sparatoria i partigiani neutralizzano la trentina di militari della scorta. Oltre a Carlotti, muoiono un marò e due sottufficiali della Gnr. Gli assalitori si ritirano con numerosi prigionieri: sei verranno fucilati, altri liberati (tra di essi, tre tedeschi) e altri ancora aderiranno alla Resistenza. Per vendicare i due camerati, i marò prelevano dalle carceri di Pontremoli sei italiani e due disertori georgiani – catturati tre giorni prima sul Monte Barca –, li trasportano alla stazione di Valmozzola e ne fucilano sette (graziano un giovanissimo, dopo le insistenze dei morituri sulla sua estraneità alla Resistenza).
L’estate 1944 vede gli uomini di Borghese accentuare la pressione antipartigiana.
Il 13 giugno la Compagnia operativa «O» al comando di Umberto Bertozzi spalleggia i tedeschi della 135a brigata da fortezza (Festungs Brigade) nello spietato rastrellamento di Forno (frazione di Massa), culminato in 68 uccisioni.
Il 29 luglio, a Ivrea, il ventiduenne Ferruccio Nazionale – accusato di aver voluto scagliare una bomba a mano contro un cappellano militare – viene impiccato nella piazza centrale al canto di Giovinezza. Il volto tumefatto rivela le sevizie inflittegli nelle ultime ore di vita.
A Sernaglia della Battaglia (Treviso), il contadino Giovanni Parussolo, partigiano della Brigata «Mazzini», viene torturato, finito a revolverate la notte del 9 dicembre 1944 e impiccato dai marò della «Sagittario» a un albero della piazza municipale. Parussolo era caduto nella trappola del giovanissimo maresciallo Eugenio De Santis,
fintosi aspirante disertore alla ricerca di contatti con i partigiani. Il cadavere rimane esposto per un giorno e una notte, con appeso al collo il cartello IL PIOMBO DELLA X AI TRADITORI. L’indomani, analoga sorte tocca a tre persone che, in contatto con Parussolo, avevano manifestato disponibilità ad aiutare i disertori.
Ancora in provincia di Treviso, nel Comune di Cordignano, il 14 febbraio 1945 vengono fucilati sei ostaggi per vendicare la cattura del sergente Guido Marini (mai più ritrovato). Pressato dal vescovo di Vittorio Veneto per evitare ritorsioni, il capitano Nino Buttazzoni, comandante del Battaglione «NP» (nuotatori e paracadutisti), pronuncia davanti al segretario del vescovo un’imprecazione rivelatrice del suo stato d’animo: «Li ucciderò tutti! Poi uccideranno anche me, così andremo tutti all’inferno!» (arrestato dopo un biennio di latitanza, nel luglio 1949 Buttazzoni verrà condannato dalla Corte d’assise di Treviso a 21 anni; prosciolto il 20 settembre 1950 dalla Corte d’assise di Ascoli Piceno, scriverà memoriali autobiografici: al suo decesso, nel 2009, verrà celebrato dai neofascisti come eroe).
[...]
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bicheco · 10 months
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Disertori
Come mai i giocatori della nazionale ucraina non stanno al fronte a combattere per la loro patria? Perché zompettano felici su un prato verde invece che strisciare in mezzo al fango con in braccio un fucile e la baionetta tra i denti?
Secondo me ci nascondono qualcosa.
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matapetre · 2 years
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ilmessaggero.it: Zelensky in crisi, rivolta in Ucraina: soldati furiosi dopo la nuova legge che reprime i disertori
ilmessaggero.it: Zelensky in crisi, rivolta in Ucraina: soldati furiosi dopo la nuova legge che reprime i disertori.
Zelensky: chi deserta.....
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colonna-durruti · 2 years
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AD UN ANNO DALL'INIZIO DELLA GUERRA IN UCRAINA: RIEMPIAMO LE PIAZZE CONTRO LA GUERRA E IL MILITARISMO
Contro tutte le guerre, per un mondo senza eserciti e frontiere.
È trascorso un anno da quando la guerra è tornata ad infuriare nel cuore dell’Europa, con un coinvolgimento diretto del nostro paese. Il governo italiano si è schierato in questa guerra inviando armi, moltiplicando il numero di militari impiegati in ambito NATO nell’est europeo e nel Mar Nero, aumentando la spesa bellica sino a toccare i 104 milioni di euro al giorno.
Dal quel 24 febbraio è partita una corsa al riarmo su scala globale, perché la guerra in Ucraina ha nel proprio DNA uno scontro interimperialistico di enorme portata.
Il rischio di una guerra devastante su scala planetaria è sempre più forte. Il prezzo di questa guerra lo pagano le popolazioni ucraine martoriate dalle bombe, dal freddo, dalla mancanza di medicine, cibo, riparo.
Lo pagano le popolazioni russe, sottoposte ad un embargo devastante. Lo pagano oppositori, sabotatori, obiettori e disertori che subiscono pestaggi, processi e carcere.
Lo paghiamo noi tutti stretti nella spirale dell'inflazione, tra salari e pensioni da fame, fitti e bollette in costante aumento.
La guerra in Ucraina è solo un tassello di un mosaico molto più complesso.
Lontano dai riflettori tante altre guerre investono vaste aree del pianeta, dove gli interessi scatenati dalla crisi energetica e dalla voracità per le materie prime innescano una sempre maggiore spirale di violenza. In Africa, dove l’Italia è impegnata in 18 missioni militari, la bandiera con il cane a sei zampe dell’ENI sventola accanto al tricolore.
Nel Mediterraneo la guardia costiera libica rifornita di mezzi e foraggiata dal governo italiano respinge i migranti in viaggio verso le frontiere chiuse dell’Europa. Le leggi varate dal governo Meloni contro le navi delle ONG servono a rendere più difficile il salvataggio dei naufraghi.
Mentre la guerra rende sempre più precarie le nostre vite, il business delle armi non va mai in crisi. Anzi. I profitti dell’industria bellica sono in costante aumento e si moltiplicano gli investimenti nella ricerca con un coinvolgimento sempre più forte delle università.
Giocano la carta del ricatto occupazionale, facendo leva su chi fatica ad arrivare a fine mese.
Occorre capovolgere la logica perversa che vede nell’industria bellica il motore che renderà più prospero il nostro paese. Un’economia di guerra produce solo altra guerra. Il benessere, quello vero, è altrove, nell’accesso non mercificato alla salute, all’istruzione, ai trasporti, alla casa fuori e contro la logica feroce del profitto.
Provate ad immaginare quanto sarebbero migliori le nostre vite se la ricerca e la produzione venissero usate per per la cura invece che per la guerra.
L’industria bellica è il motore di tutte le guerre.
In Russia e in Ucraina c’è chi rifiuta la guerra e il militarismo, chi getta la divisa perché non vuole uccidere e non vuole morire per spostare il confine di uno Stato.
Migliaia e migliaia di persone dalla Russia hanno attraversato i confini disobbedendo all’obbligo di andare in guerra, affrontando la via dell’esilio, rischiando anni di carcere.
Dal febbraio 2022 in Ucraina le frontiere sono chiuse per tutti gli uomini tra i 18 e i 60 anni. La debole legge sull’obiezione di coscienza in Ucraina è stata sospesa e le 5.000 domande di servizio civile respinte.
In Russia c’è un esodo che si è intensificato da quando il governo ha annunciato il richiamo dei riservisti.
Molti altri restano e lottano, nonostante la durissima repressione che colpisce antimilitaristi e pacifisti in entrambi i paesi.
In Ucraina c’è chi su posizioni non violente, anarchiche o femministe ha scelto di non schierarsi, di non combattere in questa guerra costruendo reti di solidarietà materiale con le vittime dei bombardamenti, con chi ha perso il lavoro o è obbligat* dalle leggi di guerra del governo Zelensky a turni massacranti spesso senza paga.
In Russia e in Ucraina c’è chi lotta perché le frontiere siano aperte per chi si oppone alla guerra.
Noi facciamo nostra questa lotta contro le frontiere, per l’accoglienza di obiettori, renitenti, disertori da entrambi i paesi.
Noi non ci stiamo. Noi non ci arruoliamo né con la NATO, né con la Russia.
Rifiutiamo la retorica patriottica come elemento di legittimazione degli Stati e delle loro pretese espansionistiche. L’antimilitarismo, l’internazionalismo, il disfattismo rivoluzionario sono stati centrali nelle lotte del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici sin dalle sue origini. Sfruttamento ed oppressione colpiscono in egual misura a tutte le latitudini, il conflitto contro i “propri” padroni e contro i “propri” governanti è il miglior modo di opporsi alla violenza statale e alla ferocia del capitalismo in ogni dove.
Le frontiere sono solo linee sottili su una mappa: un nulla che solo militari ben armati rendono tragicamente reali.
Nel nostro paese l’opposizione alla guerra è rimasta molto forte, nonostante la propaganda militarista martellante. C’è chi, pur avendo operato per la guerra cerca di intercettare i consensi persi nelle urne. Sono i pacifisti con l’elmetto, che in occasione del primo anniversario della guerra, torneranno a fare capolino nelle strade invocando il cessate il fuoco, senza opporsi all’invio delle armi, all’uso delle basi, alle missioni all’estero, all’aumento della spesa militare.
Noi non ci stiamo. Invocare il cessate il fuoco senza opporsi al militarismo è un mero esercizio retorico.
Opporsi alle guerre, all’aumento della spesa militare, all’invio di armi al governo Ucraino, lottare per il ritiro di tutte le missioni militari all’estero, per la chiusura e riconversione dell’industria bellica, per aprire le frontiere ai disertori, agli obiettori e a tutti i migranti, è un concreto ed urgente fronte di lotta.
Per fermare le guerre non basta un no. Bisogna mettersi di mezzo. A partire dai nostri territori, dove ci sono fabbriche d’armi, caserme, poligoni di tiro, porti ed aeroporti militari.
Gettiamo sabbia nel motore del militarismo!
Scendiamo in piazza il 24 e il 25 febbraio!
Sosteniamo le manifestazioni lanciate dagli antimilitaristi a Niscemi,
Pisa, Livorno, Torino…
Assemblea antimilitarista
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fuoridalcloro · 2 years
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I soli
I soli sono individui strani Con il gusto di sentirsi soli fuori dagli schemi Non si sa bene cosa sono, forse ribelli, forse disertori Nella follia di oggi i soli sono i nuovi pionieri
I soli e le sole non hanno ideologie A parte una strana avversione per il numero due Senza nessuna appartenenza, senza pretesti o velleità sociali Senza nessuno a casa a frizionarli con unguenti coniugali
Ai soli non si addice l'intimità della famiglia Magari solo un po’ d'amore quando ne hanno voglia Un attimo di smarrimento, un improvviso senso d'allegria Allenarsi a sorridere per nascondere la fatica
Soli, vivere da soli Soli, uomini e donne soli
I soli si annusano tra loro Son così bravi a crearsi intorno un'aria di mistero Son gli Humphrey Bogart dell'amore Son gli ambulanti, son gli dei del caso I soli sono gli eroi del nuovo mondo coraggioso
I soli e le sole ormai sono tanti Con quell'aria un po’ da saggi, un po’ da adolescenti A volte pieni di energia, a volte tristi, fragili e depressi I soli c'han l'orgoglio di bastare a se stessi
Ai soli non si addice il quieto vivere sereno Qualche volta è una scelta, qualche volta un po’ meno Aver bisogno di qualcuno, cercare un po’ di compagnia E poi vivere in due e scoprire che siamo tutti
Soli, vivere da soli Soli, uomini e donne soli
La solitudine non è malinconia Un uomo solo è sempre in buona compagnia.
- Giorgio Gaber -
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ideeperscrittori · 2 years
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DALLA PARTE DEI DISERTORI
Una delle cose più abominevoli della guerra è costringere qualcuno a uccidere o farsi uccidere.
Tempo fa leggevo un articolo sullo stress post-traumatico di tanti reduci del Vietnam ricoverati in reparti psichiatrici.
Una generazione è stata annichilita.
Dopo l'esplosione di una violenza istituzionalizzata e considerata presentabile nella buona società americana, molti reduci sono implosi, schiacciati dal peso dei loro incubi.
Il film Full Metal Jacket parla di Vietnam, ma è una finestra su tutte le guerre. È un racconto feroce di quello che ti aspetta durante l'addestramento e mentre infuria la battaglia. In quei contesti rimane a galla chi si rifugia nell'annullamento di sé per trasformarsi in una macchina. Chi non ci riesce sprofonda nel delirio. Ma anche i soldati che mantengono un precario e contraddittorio equilibrio perdono qualcosa per sempre, persino quando sopravvivono, persino quando riescono a immergersi in una disperata apatia. Magari tornano a casa, ma sono rassegnati alla brutalità del mondo.
Non entro nei dettagli per non rovinarvi il film. Va guardato.
Io l'ho visto tutto d'un fiato, malgrado qualche cedimento emotivo di fronte alle sequenze più crude.
La verità è che non sopporto l'idea di un'arma da fuoco nelle mie mani, neanche come astrazione confinata nell'iperuranio, nemmeno come riflessione filosofica durante in cineforum o come ipotesi enigmistica in un gioco di società. Ho già parlato di questa mia repulsione da qualche parte, perché è nella top ten delle mie ossessioni, ma ribadisco il concetto.
Non reggo l'idea di toccare fucili o pistole in nessuna situazione, anche se sto affrontando l'argomento proprio ora, in preda a un attacco di masochismo. Mentre scrivo, tento di sopprimere l'immagine dell'arma nel mio pugno, ma il mio flusso di coscienza è indisciplinato. Ricado nella condizione paradossale di chi cerca di non pensare al porpora e quel colore, come per dispetto, diventa lo scenario di qualsiasi parto della mente.
L'arma è l'antimateria che può farmi scomparire nel nulla.
Mi attengo al seguente precetto: io da una parte, l'oggetto che spara in un mondo parallelo. Così nessuno si farà male, letteralmente.
Vista la mia curiosa idiosincrasia per stragi e cose simili, posso vagamente intuire l'abissale sconforto dei giovani russi e ucraini mandati a combattere contro la loro volontà.
Al loro posto mi ubriacherei a morte durante il viaggio verso la prima linea. Se in simili circostanze mi offrissero una siringa caricata con oppioidi e Quaalude, potete scommettere che mi bucherei il braccio in meno di un nanosecondo per non pensare al mio destino. A furia di drogarmi, farei impallidire persino gente della pasta di John Belushi, prima di soccombere all'inevitabile overdose.
Le alternative esistono: scappare chissà dove oppure opporsi a viso aperto, subire un arresto e finire in carcere, per poi subire i soprusi di guardie poco compassonevoli in celle sovraffollate.
Nel caso di ribellione sono da mettere in conto anche le torture e le condanne a morte. Durante la guerra, la retorica patriottarda scorre a fiumi e la diserzione diventa il tradimento supremo. Non puoi aspettarti di essere trattato con i guanti, se getti il fucile in un fosso.
Avrei il coraggio di essere un oppositore che sfida il sistema a viso aperto e si prepara ad affrontare terribili conseguenze? Difficile rispondere. Non voglio conferire a me stesso premi e attestati di merito psichici per atti eroici che non ho commesso.
Forse, semplicemente, tenterei la fuga insieme a una moltitudine.
So solo che tante persone si oppongono, si sottraggono alle armi, disertano.
Ma al loro posto non saprei dove scappare, perché qualsiasi cartina geografica mostra con implacabile chiarezza che esistono stati e confini.
Dobbiamo offrire un rifugio a chi brucia la divisa, invece di raggiungere nuove vette di perfezione nel voltare la testa dall'altra parte.
Apriamo le nostre deplorevoli frontiere per proteggere i disertori russi e ucraini.
Facciamo risuonare il nostro barbarico yawp sui tetti del mondo per chiedere che ottengano lo status di rifugiati.
Finora questo tema è rimasto troppo ai margini del dibattito pubblico.
Portiamola avanti come si deve, senza dimenticare le basi, questa lotta antimilitarista.
[L'Ideota]
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Anni 1941,1943,1944,1945
*Nel 1939, all'età di dodici anni, si iscrive al seminario minore di Traunstein, in cui rimane fino al 1942, anno in cui il seminario fu chiuso per uso militare e gli studenti furono mandati a casa. Tornò allora al Gymnasium di Traunstein.
Dopo i quattordici anni, nel 1941, Ratzinger si iscrive nella Gioventù hitleriana, come previsto dalla legge *Gesetz über die Hitlerjugend* (Legge sulla gioventù hitleriana), emendata il 6 marzo 1939 e in vigore dal 25 marzo 1939 fino al 1945, che obbligava tutti i giovani di età compresa fra i quattordici e i diciotto anni ad arruolarvisi. Dopo la chiusura del seminario continua le sue presenze obbligatorie alla Gioventù hitleriana contro la sua volontà, per non ricevere sanzioni pecuniarie sulle tasse scolastiche del Gymnasium. Le sanzioni pecuniarie furono evitate grazie a un professore di matematica comprensivo, che gli permise di non partecipare alle riunioni. Nel libro Sale della terra, Ratzinger scrisse: "Grazie a Dio a scuola c'era un insegnante di matematica molto comprensivo. Era personalmente nazista, ma una persona onesta. Un giorno mi disse: «Vacci almeno una volta, così saremo a posto». Quando però si accorse che io non volevo, mi disse: «Ti capisco, sistemerò io la faccenda»
All'età di sedici anni, nel 1943, il giovane Joseph vienne assegnato al programma Luftwaffenhelfer (personale di supporto alla Luftwaffe, insieme a molti suoi compagni di classe. Dapprima fu inviato con la sua unità a Ludwigsfelde, a nord di Monaco e fu assegnato a un reparto di artiglieria contraerea esterno alla Wehrmacht, che difendeva gli stabilimenti della BMW. Fu assegnato per un anno a un reparto di intercettazioni radiofoniche.
Il 10 settembre 1944 la sua unità fu sciolta e poté fare ritorno in famiglia, ma già tornando a casa Ratzinger ricevette l'avviso di un nuovo progetto, nel Reichsarbeitsdienst. Fu quindi trasferito al confine ungherese dell'Austria, annessa alla Germania nell'Anschluss, nel 1938, e incaricato di costruire le difese anticarro in preparazione dell'attesa offensiva dell'Armata Rossa
Il 20 novembre 1944 la sua unità fu nuovamente sciolta e Ratzinger fece nuovamente ritorno a casa. Dopo tre settimane fu arruolato nell'esercito tedesco a Monaco e assegnato alla caserma di fanteria nel centro di Traunstein, la stessa città nelle cui vicinanze la sua famiglia viveva. Dopo l'addestramento di base nella fanteria fu inviato insieme alla sua unità a compiere marce in alcune città tedesche per sollevare il morale della popolazione. Non fu mai inviato al fronte e durante tutto questo periodo non ebbe mai necessità di sparare un colpo; non si trovò mai a partecipare a scontri armati.
Come egli stesso ricordò, nell'aprile del 1945, durante una di queste marce, disertò. Le diserzioni erano molto diffuse durante le ultime settimane di guerra, sebbene i disertori fossero soggetti a fucilazione se catturati. Ratzinger riuscì a evitare la fucilazione, prevista per i disertori, grazie a un sergente che lo fece fuggire*
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(via D.P. Season 2) Ahn Joon Ho e Han Ho Yeol continuano a svolgere la loro “mansione D.P.” cercando di catturare i disertori, ma Ahn Joon Ho deve sempre di più far i conti tra la sua empatia e l’obbligo di eseguire gli ordini.
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wintersnightsky · 1 year
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“[…] fuggì da quella parte di lui mai toccata dalla grazia, mai completamente libera, fuggì dal grido notturno quando non c'è nessuno in ascolto, dall'attimo e dall'eternità, fuggì lungo vie di polvere e colonne di marmo, incurante degli sguardi e dei turbamenti, fuggì dalla carie ideologica che aveva scavato una fenditura nel cemento dell'Italia, dalla rivoluzione e dalle atrocità, fuggì dallo sguardo del suo vicino ebreo e dalla pena dei suoi genitori, dai suoi ex compagni di scuola inseguiti e catturati come bestie, fuggì dai suoi amici dispersi, disertori fucilati. Fuggì dalla solitudine di un mondo in cui niente è mai risolto, e cinque minuti dopo era davanti all'ingresso della biblioteca, dove si rannicchiò per riprendere fiato e fiducia negli esseri umani.”
— Ferrovie del Messico
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gregor-samsung · 1 year
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“ Nelle ore di ginnastica Kantorek ci tenne tanti e tanti discorsi, finché finimmo col recarci sotto la sua guida, tutta la classe indrappellata, al Comando di presidio, ad arruolarci come volontari. Lo vedo ancora davanti a me, quando ci fulminava attraverso i suoi occhiali e ci domandava con voce commossa: “Venite anche voi, nevvero, camerati?”. Codesti educatori tengono spesso il loro sentimento nel taschino del panciotto, pronti a distribuirne un po’ ora per ora. Ma allora noi non ci si dava pensiero di certe cose. Ce n'era uno, però, che esitava, non se la sentiva. Si chiamava Giuseppe Behm, un ragazzotto grasso e tranquillo. Si lasciò finalmente persuadere anche lui, perché altrimenti si sarebbe reso impossibile. Può darsi che parecchi altri la pensassero allo stesso modo; ma nessuno poté tirarsi fuori; a quell'epoca persino i genitori avevano la parola “vigliacco” a portata di mano. Gli è che la gente non aveva la più lontana idea di ciò che stava per accadere. In fondo i soli veramente ragionevoli erano i poveri, i semplici, che stimarono subito la guerra una disgrazia, mentre i benestanti non si tenevano dalla gioia, quantunque proprio essi avrebbero potuto rendersi conto delle conseguenze. Katzinski sostiene che ciò proviene dalla educazione, la quale rende idioti; e quando Kat dice una cosa, ci ha pensato su molto. Per uno strano caso, fu proprio Behm uno dei primi a cadere. Durante un assalto fu colpito agli occhi, e lo lasciammo per morto. Portarlo con noi non si poteva, perché dovemmo ritirarci di premura. Solo nel pomeriggio lo udimmo a un tratto gridare, e lo vedemmo fuori, che si trascinava carponi; aveva soltanto perduto coscienza. Poiché non ci vedeva, ed era pazzo dal dolore, non cercava affatto di coprirsi, sicché venne abbattuto a fucilate, prima che alcuno di noi potesse avvicinarsi a prenderlo. Naturalmente non si può far carico di questo a Kantorek: che sarebbe del mondo, se Già questo si dovesse chiamare una colpa? Di Kantorek ve n'erano migliaia, convinti tutti di far per il meglio nel modo ad essi più comodo. Ma qui appunto sta il loro fallimento. Essi dovevano essere per noi diciottenni introduttori e guide all'età virile, condurci al mondo del lavoro, al dovere, alla cultura e al progresso; insomma all'avvenire. Noi li prendevamo in giro e talvolta facevamo loro dei piccoli scherzi, ma in fondo credevamo a ciò che ci dicevano. Al concetto dell'autorità di cui erano rivestiti, si univa nelle nostre menti un'idea di maggior prudenza, di più umano sapere. Ma il primo morto che vedemmo mandò in frantumi questa convinzione. Dovemmo riconoscere che la nostra età era più onesta della loro; essi ci sorpassavano soltanto nelle frasi e nell'astuzia. Il primo fuoco tambureggiante ci rivelò il nostro errore, e dietro ad esso crollò la concezione del mondo che ci avevano insegnata. Mentre essi continuavano a scrivere e a parlare, noi vedevamo gli ospedali e i moribondi; mentre essi esaltavano la grandezza del servire lo Stato, noi sapevamo Già che il terrore della morte è più forte. Non per ciò diventammo ribelli, disertori, vigliacchi - espressioni tutte ch'essi maneggiavano con tanta facilità; - noi amavamo la patria quanto loro, e ad ogni attacco avanzavamo con coraggio; ma ormai sapevamo distinguere, avevamo ad un tratto imparato a guardare le cose in faccia. E vedevamo che del loro mondo non sopravviveva più nulla. Improvvisamente, spaventevolmente, ci sentimmo soli, e da soli dovevamo sbrigarcela. “
Erich Maria Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale, Mondadori (collana Oscar n° 30), 1965; pp. 15-17.
NOTA: Il testo apparve dapprima sui numeri di Novembre e Dicembre del 1928 del giornale berlinese Vossische Zeitung, quindi in volume dal titolo Im Westen nichts Neues il 29 gennaio 1929 per l'editore Propyläen Verlag ottenendo un immediato successo internazionale.
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