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#Il canto del profeta
gregor-samsung · 4 months
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" Bailey manda giù un sorso di latte e chiede se il paese è ormai in guerra ed Eilish osserva i baffi bianchi sopra le labbra e l’interrogativo nei suoi occhi. Nei notiziari internazionali la definiscono una rivolta, dice Molly, ma se vogliamo dare alla guerra il nome giusto, dobbiamo chiamarla intrattenimento, ormai siamo spettacolo televisivo per il resto del mondo. Samantha posa forchetta e coltello accanto al piatto. Mio padre lo definisce terrorismo, secondo lui questi tizi non sono altro che terroristi e avranno quello che si meritano, lo sbraita sempre quando vede il telegiornale. Eilish guarda da un’altra parte e Molly resta in silenzio a fissare il proprio piatto. Questo agnello è venuto proprio bene, non ti pare?, dice Eilish, che peccato che Mark non sia qui. Muove il coltello sulla carne senza tagliarla, poi si alza e accende la luce, Bailey la guarda mentre si risiede. Insomma è là che è andato Mark, chiede, ad arruolarsi nell’esercito dei ribelli? Un’espressione di cupa angoscia attraversa il volto di Samantha, mentre Eilish finge di aggiungere sale e Bailey si pulisce la bocca con la manica. Non so di cosa stai parlando, dice la madre, t’ho già spiegato che Mark è andato su nel Nord a studiare. E allora come mai non ci posso parlare? Credi che sono stupido? Perché dici sempre stronzate?
Trafigge la carne con il coltello e poi se la porta alla bocca. Ho sentito dire che l’altro giorno tre disertori sono stati giustiziati per strada, un colpo alla nuca, bang, bang, bang, dice, mimando una pistola con il dito. Eilish mette giù forchetta e coltello e spinge indietro la propria sedia. Non voglio sentire un linguaggio simile, lo rimprovera, Bailey, tu riempi la lavastoviglie, Samantha, ti fermi per il dolce? Possiamo guardarci un film tutti insieme. Molly e Samantha si trasferiscono in soggiorno ed Eilish le segue, poi Molly sale di sopra per andare in bagno e Samantha guarda le foto appese. Non era mia intenzione… sa, dice, con voce vaga, è solo che mio padre non mi sta molto simpatico, secondo me è uno di quei complottisti matti. "
Paul Lynch, Il canto del profeta, traduzione di Riccardo Duranti, 66thand2nd (collana Bookclub n° 75), 2024¹; pp. 147-148.
[Edizione originale: Prophet Song, Oneworld Publications, London, UK, 2023]
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sandboy · 2 months
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profeta.
«Lei si definisce una scienziata eppure crede in diritti che non esistono, i diritti di cui parla non possono essere verificati, sono finzioni decretate dallo Stato e spetta allo Stato decidere in che cosa credere o non credere, secondo le proprie esigenze, questo lo capirà anche lei». illustrazione di Laurie Avon. La trama de Il canto del profeta di Paul Lynch (libro vincitore del Booker Prize…
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heartsbreath · 4 months
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“Lei si allontana dall'uomo vedendo solo tenebre, rimane perduta nelle tenebre, in piedi in un posto dove non si trova alcun posto.”
Paul Lynch - Il canto del profeta
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chez-mimich · 1 year
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JAMES BRANDON LEWIS: “FOR MAHALIA WITH LOVE”
Il titolo dell’ultimo straordinario lavoro di James Brandon Lewis e del suo “Quintet” lascia pochi dubbi e, se qualcuno ne avesse, potrà facilmente fugarli ascoltando questo disco. “For Mahalia with Love” è un magnifico omaggio di Brandon Lewis alla memoria della grandissima Mahalia Jackson, regina del Gospel, come fu soprannominata. Ma questo omaggio contiene in sè qualcosa di molto più intimo e profondo perché mediato dal ricordo che di Mahalia conservava la nonna di James Brandon Lewis e che è riportato nel retro della copertina, sotto forma di una struggente lettera del musicista a Mahalia. Scrive Brandon Lewis: “…Mahalia, mi sono innamorata di te dal giorno in cui mia nonna mi ha parlato di te, perché tutto ciò che la nonna menziona deve essere speciale. Le nonne occupano un posto speciale nel cuore e nella mente dei bambini. Ricordi tutto della nonna: cosa cucinava, cosa indossava, le sue parole di saggezza, l'odore della sua casa... “ Insomma un amore con salde radici e che viene da lontano. In questi casi, quando l’omaggio non è una occasione posticcia o una piccola convenienza, il risultato si sente subito nella musica ed é un meccanismo quasi automatico: così accade appena poggiato il dito sul tasto “play” e nelle cuffie si accendono le prime note di “Sparrow”, solenne introduzione e chiaro omaggio a “His Eyeis Is on the Sparrow”, composta da Charles H. Gabriel, e a “Even the Sparrow” dello stesso Brandon Lewis. La magia del sentire musicale di Mahalia Jackson sembra già manifestarsi forte e potente. “…Il suo occhio è sul piccolo passero…” diceva la canzone, riferito all’occhio di Gesù, e proseguiva “…Canto perché la mia anima è felice/Canto perché sono libera/Per il suo occhio sul piccolo vecchio passero/E so che sta vegliando su di me e su di te…” Come rendere al meglio la spiritualità e la profonda umanità di questi versi se non con l’amorevole sax di Brandon Lewis, accompagnato dalla cornetta di Kirk Knuffke e sostenuto dalla batteria di Chad Taylor? Anche in questa versione strumentale, con buona pace di De Gregori, gli uccellini non sono “soli nel sole”, ma sono protetti dal Signore e, senza un profondo senso religioso, se non si riesce a comprendere Mahalia Jackson, non si riesce nemmeno a comprendere la gioiosa religiosità nella musica di Brandon Lewis. Con “Swing low” potremmo percorrere un viale del Louis Armstrong Park di New Orleans dove si profila da lontano il “Mahalia Jackson Theater for the Performing Arts”; brano godibile e pieno zeppo di riferimenti allo swing e al vitalismo della black music. Cambiano i ritmi ma non cambiano le atmosfere sia con “Go Down Moses” fitto e dialogante, sia con “Wade in the Water”, con il suggestivo sottofondo delle percussioni di Taylor. “Calvary” è invece un dolente lamento religioso incentrato sulla sofferenza di Gesù che altro non è che la sofferenza del mondo. Chissà come sarebbe una Via Crucis con questo accompagnamento, dove il contorcimento degli animi e le inquietudini, come possono essere quelli dei sofferenti, prendono qui corpo nella musica. Orchestrazione completa e corposa dove trova spazio anche il violoncello di Chris Hoffman e il contrabbasso di William Parker. “Deep River” ci riporta a sonorità più intense e con tanto spazio per gli assoli, mentre la seguente “Eljia Rock” fa diretto riferimento al profeta Elia che, per la tradizione ebraica non morì, ma fu assunto in cielo con anima e corpo e quindi in diretto riferimento alla figura di Gesù tanto cara a Mahalia. L’immanenza del Signore (ma forse anche di Mahalia), è richiamata nel titolo di “Were You There”. Il lavoro si conclude con una magnifica versione rivisitata di “Precious Lord Take my Hand”, brano che la Jackson cantò all’insediamento di Kennedy alla Casa Bianca. Un disco che omaggia giustamente la regina del gospel, ricorda l’amata nonna di Brandon ma che, naturalmente, splende di luce propria e che non si smetterebbe mai di ascoltare.
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storieditramonti · 21 days
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Naturalmente sono in ritardo, giusto di un paio di mesi... Ok, let'see if I remember... Letti fra Giugno e Agosto, l'ordine non è esatto.
"Nella stanza dell'imperatore", di Sonia Aggio: ambientazione storica, fra Costantinopoli e l'Anatolia... bel libro, in cui l'aspetto storico non prende il sopravvento su quello romanzesco e fantastico ma è di grande supporto.
Sempre storico è anche il secondo, e sempre ambientato a Istanbul... "Parle-leur de batailles, de rois et d'éléphants", di Mathias Enard , in cui lo scrittore fantastica su una possibile commessa a Michelangelo Buonarroti proveniente dalla Sublime Porta. Letto in francese. Carino.
"Il canto del Profeta" di Michael Lynch , ambientato in un futuro distopico in cui un governo dittatoriale si afferma e comincia a dare la caccia a chiunque si opponga, provocando l'inizio di forme di resistenza... Bel romanzo: cupo, con sviluppi tristi, tiene agganciati dalla prima pagina all'ultima.
"Lucy davanti al mare", di Elisabeth Strout: non mi piace il tipo di scrittura, molto colloquiale, lineare, che la scrittrice, o la traduttrice, ha deciso di abbracciare. La storia "non storia", legata al venir fuori della minaccia Covid a metà del 2020 negli USA, è soprattutto una storia legata all'affrontare la terza età con tutte le sue implicazioni di salute traballante, figli che si allontanano, precedenti partners che come fantasmi emergono saltuariamente dal passato, sfera sentimentale e sessuale da adattare a una realtà diversa... Il romanzo scava nell'intimo della protagonista, nelle sue riflessioni e nei tentativi di destreggiarsi nella bolla creata a causa del Covid. Non male, ma in genere preferisco altro.
"Il canto dei cuori ribelli", di Thirty Umrigar, un bel romanzo ambientato in un'India rurale ancora profondamente spaccata dalla contrapposizione fra hindu e mussulmani. Storia d'amore inter-religioso che finisce male.
"Fuoco", di Shida Bazyar. Il caso ha voluto che lo leggessi prima e mentre ero in viaggio in Germania, e in un certo senso mi ha aperto gli occhi e la mente su un sistema sociale che all'apparenza sembra perfettamente funzionante. Non è sempre così facile, e il razzismo strisciante è una piaga che può roderti l'anima. Difficile scrivere della trama, perché tutto resta in bilico fra una possibile realtà e il desiderio della voce narrante di trovare una via d'uscita.
"La ricreazione è finita", di Dario Ferrari. A me è piaciuto un sacco, l'ho passato, credo lo regalerò in versione cartacea perché merita. Il libro passa da un registro buffo, umoristico, a uno più serio nella seconda parte, con scioltezza, senza risultare forzata, anzi dando concretezza al testo, con una credibile ricostruzione degli anni di piombo come potevano essere vissuti all'interno di una cittadina toscana. Mi ha fatto pensare a mio fratello in quel di Arezzo in quegli anni, e alle perquisizioni in casa: ecco, queste storie hanno quel genere di credibilità. Bello, bravo Ferrari, e mi stupisco che nel 2023 non sia rientrato nella sfera magica dello Strega.
"Il filo della tua storia", di Nikki Erlich. Ah beh, a parte la contrapposizione fra "filicorti" e "fililunghi", dimenticando che esistono un mare di lunghezze medie in mezzo a quelle estreme, e a parte che la cosa più semplice, se davvero capitasse di trovarsi davanti a una realtà fantastica come quella narrata, sarebbe di fottersene e non aprire la scatola, tanto quello che deve accadere accade lo stesso, il romanzo è sicuramente godibile e induce alla riflessione.
"Il silenzio", di Don De Lillo, un racconto praticamente, è brevissimo. Del tipo, "che succede se tutta questa tecnologia su cui ormai facciamo affidamento all'improvviso smettesse di funzionare?" Bella domanda, a cui De Lillo risponde con i vaneggiamenti di una serie di personaggi a cui è difficile dare molto credito. Non indimenticabile, di De Lillo ho letto sicuramente di meglio.
Finiamo con "The Midnight Library", di Matt Haigh, letto in inglese. Una trentacinquenne sfigata tenta il suicidio, ma si ritrova davanti alla possibilità di scoprire che tutte le svolte immaginate e lasciate fuggire nel corso della sua vita non avrebbero portato a nulla di buono, e che comunque ogni scelta, anche la più piccola, può avere un significato che va oltre a quanto è possibile immaginare. Molto bello, o almeno, a me è piaciuto tanto.
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cinquecolonnemagazine · 8 months
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Yemen: gli Houthi sono terroristi?
Il gruppo Houthi, nato nel nord dello Yemen, è nuovamente nel gruppo di "terroristi globali" designati dagli Stati Uniti. La decisione, resa nota dal consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, segue i continui attacchi e minacce da parte del gruppo armato ribelle. Non è la prima volta che il gruppo yemenita viene designato come terrorista. Possiamo davvero considerarli così? Chi sono gli Houthi, i ribelli dello Yemen Il termine Houthi è quello più comunemente usato per definire un gruppo armato yemenita, prevalentemente sciita, nato nel 1992 sotto la guida, appunto, di Ḥusayn Badr al-Dīn al-Ḥūth. Il vero nome del movimento è Ansar Allah, che in arabo significa "Partigiani di Dio". Deriva da un primo nucleo, chiamato "Gioventù credente", nato nel governatorato di Sa'ada, nello Yemen del Nord. L'obiettivo del gruppo era promuovere la rinascita dello zaydismo sciita nel Paese e l'autonomia delle regioni del nord. Come ben sappiamo, l'Islam non è un monolite ma al suo interno si consuma un'importante frattura tra sciiti e sunniti nata per questioni di successione alla morte di Maometto. I sunniti, il cui credo si basa sugli insegnamenti del Profeta, sono sempre stati la maggioranza rispetto agli sciiti che riconoscono gli imam come loro guida. L'Iran è l'unico Paese a maggioranza sciita e rappresenta un punto di riferimento per il mondo sciita. Lo Yemen, dal canto suo, è l'unico Paese del mondo musulmano a contemplare seguaci sciiti della variante dello zaydismo. Gli Houthi nella storia araba Con l'invasione Usa dell'Iraq, nel 2003, il gruppo Ansar Allah ha manifestato posizioni antiamericane e antiisraeliane tanto da entrare in conflitto con il regime yemenita di Ali Abdallah Saleh che ne ordinò la repressione. Durante la primavera araba in Yemen si ebbero molte manifestazioni di piazza contro Saleh alle quali parteciparono anche gli Houthi. In quel periodo assunsero il controllo di regioni strategiche del Paese. Da allora lo Yemen vive una situazione politica caratterizzata da una profonda divisione: da un lato ci sono gli Houti che conservano il controllo di una parte del Paese e godono del sostegno dell'Iran, dall'altro il governo sostenuto dal 2015 da una Coalizione internazionale con a capo l’Arabia Saudita e riconosciuto dalla comunità internazionale. Terroristi globali Gli Houthi hanno, ormai, preso il controllo del Golfo di Aden, punto di passaggio strategico per le navi mercantili che viaggiano tra l'Europa e l'Asia. Per i loro ripetuti attacchi a navi internazionale gli Stati Uniti di Biden hanno riconsiderato la designazione di terroristi globali. Nelle ultime settimane del suo mandato Donald Trump aveva già inserito gli Houthi nell'elenco dei terroristi e nel febbraio 2021, l'amministrazione Biden li aveva rimossi. Ora il nuovo cambio di passo anche se la decisione, come ha reso noto lo stesso consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, potrà essere revocata in mancanza di altri attacchi pirati. La designazione entrerà in vigore tra 30 giorni, il tempo necessario per garantire aiuti umanitari alla popolazione. Non dimentichiamo, infatti, che nello Yemen si sta consumando una delle crisi umanitarie più gravi del mondo. In copertina foto di jones814 da Pixabay Read the full article
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scienza-magia · 1 year
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Orfeo e Pitagora due filosofi maghi greci
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Si ritiene in genere che i maghi più famosi vissuti a cavallo tra l’età omerica e l’ellenismo siano stati Pitagora ed Empedocle a questi si dovrà aggiungere Orfeo sebbene quest’ultimo sia essenzialmente un personaggio mitologico. Ora dire questo significa affermare che i primi filosofi furono non solo grandi pensatori ma veri maghi o sciamani. Lo sciamano è una persona che appare dotato di poteri particolari come attestano i racconti di popoli molto lontani dal punto di vista geografico e culturale. Se noi ripercorressimo a ritroso il cammino della società giungeremmo al punto in cui non sapremmo di giungere la speculazione filosofica dai rituali magici dal mito e dalla religione. In verità religione mito magia si trovano riuniti negli Inni Orfici nati probabilmente in Asia minore testimonianza di una tradizione risalente al mitico Orfeo fondata sul culto del canto e dei suoi poteri pacificatori. Infatti col suo canto Orfeo metteva pace tre gli esseri umani edificava città insegnava cerimonie iniziatiche che promettevano all’iniziato una esistenza oltre la morte un rapporto diretto con le divinità. Quello dell’orfismo era uno sciamanesimo della parola. A tale riguardo Erik Dodds il primo a studiare la presenza dello sciamanesimo nella cultura greca ha definito Orfeo un vero e proprio sciamano. Oltre a ciò Dodds ha definito Orfeo:” magus, guida religiosa fonte di oracoli e profeta”. Orfeo è senza dubbio una figura molto affascinante e interessante del mondo dell’antica Grecia. Per quanto riguarda Pitagora dobbiamo dire che non tutti gli storici accettano di considerarlo alla stregua di un vero e proprio mago. Tuttavia Burger e altri hanno sostenuto che il grande filosofo matematico aveva il dono della profezia e la capacità di trovarsi in luoghi diversi in uno stesso momento. Secondo tali autori Pitagora era un efficacissimo sciamano in grado di guarire e guarirsi. Di lui la tradizione racconta che avesse origine divina istruito sin da piccolo nelle cose sacre dettava stupefatta ammirazione in tutti quelli che lo osservavano. Studiò con Anassimandro e Talete e quest’ultimo colpito dalla straordinaria personalità di Pitagora lo mandò in Egitto a incontrarsi coi sacerdoti di Menfi e di Ospoli. A Sidone venne iniziato ai misteri praticati in molte parti della Siria cosicché venne a conoscenza di quanto custodite nei riti arcani degli dei o nelle cerimonie misteriche era degno di essere appreso. Ma fu soprattutto in Egitto dove rimase 22 anni facendosi sempre più esperto di tutti i misteri divini che ebbe modo di approfondire la conoscenza delle pratiche magiche e sapienziali. Preso prigioniero e portato a Babilonia incontrò i Magi perfezionando così ulteriormente la propria istruzione. Tornato a Samo a 52 anni venne ricoperto di ogni onore ma troppo richiesto da tutti preferì andarsene in terra straniera allo scopo di ritrovare la pace necessaria alla meditazione e una pratica di vita consona al suo spirito. Giunse così a Crotone dove conquistò l’ammirazione di una moltitudine di persone disposte a seguirlo. A Crotone Pitagora fondò una vera e propria comunità sapienziale modellata sulle sue dottrine magico esoteriche e filosofiche. Gli adepti di tale gruppo magico esoterico filosofico dovevano conservare gelosamente i segreti dottrinali più importanti. Dobbiamo mettere in evidenza che per i suoi viaggi le sue molteplici conoscenze nonché la varietà della sua istruzione Pitagora costituiva una sorta di “summa “priva di limiti geografici o culturali della sapienza magico-religiosa sapienziale del suo tempo. Tuttavia un sapiente, un mago, uno sciamano come lui fu il primo a definirsi filosofo. La tradizione narra che Pitagora era un filosofo nonché la sua parola influiva anche sugli animali. Per fare un esempio si narra che Pitagora seppe ammansire un’ orsa la cui presenza aveva gettato scompiglio nella popolazione. Spesso poi Pitagora parlava ai discepoli degli auspici tratti dagli uccelli nonché dei presagi e dei segni che venivano dal cielo sostenendo che gli dei inviavano agli uomini che sono loro veramente cari dei messaggi e delle voci profetiche. Dotato di eccezionali organi sensoriali affermava di udire la musica delle sfere celesti e la utilizzava come elemento principe di un’autentica educazione dello spirito. Egli nello scrivere e nel parlare utilizzava un linguaggio simbolico che ai non adepti poteva sembrare inconsistente ma che se interpretato correttamente oltrepassando il velo costituito dal simbolo appariva analogo a quello di certe profezie e di certi responsi degli oracoli. La tradizione attribuisce a Pitagora la capacità di compiere cose straordinarie. Per fare un esempio si narra che egli fu nello stesso giorno a Metaponto e a Tauromenio parlando con diversi allievi ed ebbe la capacità di prevedere terremoti placare tempeste di vento e grandinate e placare acque marine. Ma al là di queste tradizioni bisogna mettere in evidenza che Pitagora si fece promotore di precetti che miravano all’accordo con la dimensione divina. Giambico afferma che il principio ordinatore dell’intero modo di vita dei pitagorici era quello di porsi al seguito della divinità. Secondo Giambico la caratteristica fondamentale del pensiero dell’agire di Pitagora era accordare le proprie pratiche sempre necessariamente “finite” a quella dimensione divina che solo poteva rendere tali pratiche sensate. Secondo Giambico Pitagora sapeva bene che nessuna azione poteva rivelarsi davvero efficace se non sapeva iscriversi in quell’ordine cosmico il cui principio la cui ragion d’essere non può che essere e non può che dirsi di natura divina. Inoltre Pitagora invitava tra i mali più pericolosi che esistano nelle abitazioni e nelle città la superbia la tracotanza la volontà di superare il limite. Per dirla in altro modo il mago filosofo greco condannava senza mezzi termini la “hybris “umana. Tra l’altro Pitagora sapeva molto bene che era molto difficile capire cosa era gradito agli dei. Per tale ragione diventava ai suoi occhi necessario ascoltare chi era in grado di percepire la voce divina ovvero chi avesse ottenuto di conoscere la volontà degli dei per volontà divina. Solo per mezzo dell’ispirazione divina che permetteva ad alcuni uomini di essere profeti degli dei era possibile per gli esseri umani interpretare e conoscere il pensiero degli dei. Ai suoi seguaci Pitagora imponeva determinati divieti comportamentali, ma tali divieti derivavano dal fatto che il filosofo greco era a conoscenza dei misteri divini. Seguace dell’orfismo profondo conoscitore dei misteri eleusini ma anche della sapienza dei Caldei e dei Magi Pitagora istituì per i suoi seguaci una serie di atti rituali che dovevano accompagnare gran parte delle loro azioni quotidiane. Inoltre il filosofo greco attribuì molta importanza alla musica nei vari settori della vita quotidiana servendosi della musica anche per curare alcune malattie. Tuttavia dobbiamo dire che non esiste solamente il Pitagora sapiente e mago ma esiste il Pitagora filosofo che in ogni caso occupa un posto molto importante nella storia del pensiero filosofico occidentale. Non dobbiamo tra l’altro dimenticare che egli si considerava il primo filosofo della storia e che pertanto costituisce un perfetto esempio dell’esistenza del binomio filosofie e magia. Nella persona di Pitagora magia e filosofia erano due aspetti di una stessa ansia di conoscenza e volontà di ricerca. Pertanto accanto alla sapienza magica pitagorica esiste una filosofia pitagorica. Il punto cardine di tale filosofia era costituito da una originalissima cosmologia che sarebbe forse più appropriato definire “numerologia”. Infatti per Pitagora tutto derivava dai numeri o per meglio dire dal quell’Uno. In sintesi per il filosofo greco dall’Uno derivavano i numeri e di conseguenza i punti, le linee e le figure. Da queste ultime derivavano le figure solide e quindi i corpi sensibili. Per dirla in maniera estremamente sintetica dall’immateriale derivava il materiale. Secondo il filosofo greco da un tale cuore matematico derivava la stessa “anima mundi” e dunque la vita di tutto ciò che esiste nell’universo e la sua sostanziale eternità. Infatti per Pitagora la vita non può morire ma può morire solamente quello che nella vita si manifesta. Per Pitagora l’anima infatti è immortale e può reincarnarsi in corpi sempre diversi. Per Pitagora tutto vive per l’azione di opposti che si mescolano secondo proporzioni dettate dalle leggi sacre del numero. Questi in maniera sintetica sono i capisaldi del pensiero filosofico di Pitagora. Concludiamo tale articolo mettendo in evidenza che l’influsso di Pitagora e del pitagorismo è stato notevolissimo nel mondo antico ed inoltre ha conservato al lungo una notevole influenza sul pensiero filosofico di tutti i tempi. Prof. Giovanni Pellegrino       Read the full article
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🔹III DOMENICA DI QUARESIMA - A 🔹 (Domenica della Samaritana) DOMÍNICA TÉRTIA IN QUADRAGÉSIMA 12 marzo 2023 Canto al Vangelo Cf Gv 4,42.15 Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria! Signore, tu sei veramente il salvatore del mondo; dammi dell'acqua viva, perché non abbia più sete. Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria! ♰ Vangelo Gv 4, 5-42 (forma breve: Gv 4,5-15.19-26) Sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna. ♦️ Dal vangelo secondo Giovanni [ In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». ] Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, [ vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il l (presso Tradizioni Barcellona Pozzo di Gotto - Sicilia) https://www.instagram.com/p/CpsY27DIaIE/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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iltrombadore · 2 years
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RENATO MAMBOR,  L'UOMO, L'OCCHIO E LE COSE NEL MONDO
 
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Essendo dati: l’uomo, l’occhio e le cose nel mondo, proviamo a separare e poi tenere uniti gli elementi principali della percezione visiva. Scontornare, suddividere e dissociare, mettere in evidenza tempi e tecniche della immagine perché l’occhio sia libero di ragionare a modo suo come se la coscienza si potesse sciogliere in una comunione fisica e psicologica. Nella tensione tra ordine e disordine Renato Mambor (Roma, 1936-2014) tiene fede al principio che vedere è un atto creativo. E propone l’opera come gesto fatto in pubblico : un' esperienza da condividere con altri, per attraversare, riconoscere e recitare la grammatica più intima del cosmo. 
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Il quadro concepito da Mambor è un teatro dello sguardo. Nel tentativo di “salvare il mondo” dalla confusione (entropìa della forma organizzata) l’esperienza estetica non blocca la corrente della vita. Mambor elabora un fitto gioco percettivo (armonie, disarmonie, dinamismi ed equilibri, stesure prescelte del colore e impulsi cromatici casuali) che invita a pensare esaltando la visione nelle sue componenti.  L’incanto di figure sagomate di profilo o di spalle, l’anestesia informativa del dettaglio, la ripetizione differente di immagini stereotipate, potenzia l’occhio che vuole “mettere a posto il mondo”.  L’artista propone un passaggio controcorrente dal complesso al semplice, verso una emozione originaria, in un cosmo dove la natura e il genere umano non siano più in contrasto tra loro.“Le più grandi verità del mondo sono le più semplici -ammoniva il sapiente induista Svami Vivekananda- semplici come la vostra esistenza”. Nel riassumere i fasti della percezione dentro il quadrato e il cerchio di un rituale e simbolico “mandala”, Mambor indica il tracciato di un viaggio immaginario oltre la “pelle delle cose”. 
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E allora andiamo pure tu ed io (“Let us go then, you and I”) come T.S.Eliot per una selva di simboli e allusioni, foresta di concetti diffusi come note di una melodia che attira e meraviglia... Sul ritmo del “Canto d’amore di J.Alfred Prufrock” mi appare il valore della segnaletica di Renato quando suscita lo stampo di una esperienza vissuta: messaggi introversi, tanto più evidenti come una etichetta imposta alla vita, stilemi di una esistenza risolta in metafora, oppure schema, misura d’ordine, accurata “pulizia dello sguardo”.  Renato compone freddi madrigali e ritaglia le figure che abbagliano lo spettro di una retina prensile e molto emotiva. Di quella intensa emozione iniziale egli fa trapelare giusto il più asciutto profilo: così vuole una comunicazione chiara e discreta che tocca come bulino d' orafo e lapidario detto di un profeta.  “Nella stanza le donne vanno e vengono/parlando di Michelangelo”(In the room the women come and go/talking of Michelangelo”) recita occhio ragionante di T.S.Eliot.  E allora andiamo tu ed io (“Let us go then,you and I”) a visitare il lungo viaggio nel tempo senza tempo , nello spazio che incide, rispecchia , riflette e compone le immagini dove memoria e indagine, dove osservazione e classificazione riescono miracolosamente a fare tutt’uno. E Renato dispone il ritmo di una pittura pronta a reagire, per enunciare il “semplice che è difficile a farsi”, proprio come dev’essere un quadro ben fatto, cioè che si rispetti.
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Renato ha il pregio di narrare favole dipinte con l’aria di chi invece fotografa e riproduce solo ciò che vede. C’ è una grazia particolare in questo stile maturato a Roma nel “clima felice” degli anni Sessanta, quando lo spirito scenografico della città sembrò rinascere da una originale situazione artistica (Mambor, Tacchi, Lombardo, Ceroli, Festa, Angeli e Schifano) affine al metodo procedurale del “nouveau roman” -ma anche di Duchamp, anche di Magritte- e pur sempre immerso nel vento teatrale della città eterna e di un' arte che tiene assieme lo spettacolo di Michelangelo e Bernini ( con Giorgio De Chirico, Gino Severini e Giacomo Balla a fare da scudieri).Allora Mambor giocava con le possibilità del linguaggio in una idea dell’arte quale finzione spettacolare. Di qui la passione per una pittura di sintomi ricavati dal luogo comune pubblicitario, dagli indicatori stradali, e dalla riduzione ideografica dell’umano a pantomima o negativo di sé stesso.   Date pure il nome che volete alla maniera di vedere che Mambor mette in forma con rigorosa continuità di stile: non dimenticate però di notare fino a qual punto il suo tabulario di cose viste distilla la poesia del modulo e della ripetizione.
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La “gente che conta” ripete con levità poetica l’elenco della “école du régard” e il motivo drammatico di Tadeusz Kantor : una “classe morta” rifilata in controluce sul piano a due dimensioni.  Ma adesso l’equlibrio visivo appare una struttura del probabile, una nota di diario, o un fotogramma velocemente sottratto al fluire dell’esperienza.  Anche l’idea dei “contatori” ( immaginarie figure davanti a fasce verticali di numeri procedenti in serie e in senso contrario) o dei “numeri pesanti” ( dove la cifra numeraria scopre di possedere nell’immagine un peso niente affatto virtuale) ci ricorda l’attonita corrispondenza di figura e verità, dove però “parole” e “cose” nel vuoto della pagina segnano la misura paradossale della loro distanza e differenza.
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Problemi di identità del fenotipo contemporaneo si affermano nell’atto del guardare quando una sagoma di fanciulla (o la sua ombra?) misura il tempo nel “conto alla rovescia”: e non lei o l’altra, questa o quella, ma lei e l’altra, questa e quella assieme, effettuano un terapeutico riconoscimento collettivo. Se il “mandala” è centro gravitazionale energetico, geometrica evocazione del divino, le sagome sono la superficie o la “pelle” dell’umano che Mambor delicatamente individua, separa e riassume nell’ordine della composizione visiva. Renato è un bimbetto paziente, fanciullino poeta del sentimento catafratto, educato a una scuola dello sguardo che romanza senza l’uso di punteggiature raffigurando i segmenti di un quadro totale, una visione senza fine che intende riassumere o meglio escogitare nella immagine l’intimo segreto della vita. Per questo egli osserva e fa osservare sempre mediante l’assoluto distacco dalla impressione sensibile: e si guarda, e ci invita a guardare, mentre si osserva nell’atto di osservare.I numeri, le silhouettes, le frange di pittura a pena toccate di fresco, le partiture monocrome della tela, gli stampi, i tipi e i controtipi di cui è popolato il suo campionario visivo, toccano l’esperienza estetica con l’effetto ricercato di una intensa e penetrante monotonia percettiva. Tu riconosci la città, il guscio babelico e disincarnato dell’uomo moderno , e tu senti lo scorrere del tempo (“in casa e fuori casa”) assai vicino al ritmo originario del pensiero come primo presentimento, nell’attimo che anticipa l’immediato esercizio della sua funzione: dare nomi, calcolare, suddividere e analizzare l’esperienza, costruire tutti i precari e presuntuosi “barocchismi dell’Io”. 
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Renato dipende quasi vitalmente dalle figure che incide o proietta sulla tela. E cerca una costante interdipendenza. Sagome, geometrie, contorni dai colori isolati, stesi con lo scrupolo di una patina omogenea, rinviano la eco di una muta ed intima espressione. Il segno della “classe morta” senza turbamenti o misteri allusivi dipana il filo della rappresentazione e si accoppia allo schema a volte burlesco a volte ironico nei prototipi senza volto, nelle presenze assenti degli oggetti d’uso, nei manichini convertiti nell’ombra dell’uomo della strada, nel sublime anonimato in cui si specchia il narcisismo contemporaneo. E così vaghe stelle polari dell’arte circolano nella memoria della messa in scena “fin troppo umana” sintonizzata dal progetto estetico di Mambor: certe sagome burattinesche e monocordi di Schlemmer, o il guanto di gomma di De Chirico, o meglio la locomotiva fumante di un metafisico pomeriggio mediterraneo che nel suo strano procedere sembra quasi fatta apposta per accompagnare il motivo di belle canzoni ancora in voga e molto popolari (“il treno dei desideri/dei miei pensieri/all’incontrario va”). Renato ha il fascino discreto del cantautore. La sua è un’ opera “cantabile” su ritmi e motivi che egli stesso concepisce e intende eseguire. 
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Qui la vocazione teatrale batte il suo pieno quando l’occhio dell’artista guarda un Sé proiettato e oggettivato nell’ atto di osservare: ed è il “tipo”, ma anche la “ombra chiara” sottratta al colore del fondo, o pure il “destino particolare” di un Renato-sagoma, di un Renato-indossatore, o di un Renato-in tuta da lavoro. Però l’esibizione che sempre dice “Io” in verità significa sempre “Noi”: e in questa singolare maieutica visiva (o di comune esperienza esistenziale) si precisa il senso profondo di un “discorso collettivo” che non sovrasta ma sollecita il coinvolgimento totale del pubblico osservante (“toi, hypocrite lecteur, mon semblable, mon frère”). E allora andiamo, tu ed io (“Let us go then,you and I”) ad incontrare la maschera degli uomini vuoti e degli uomini impagliati (“hollow and stuffed men”) per ripetere con il poeta che “fra l’idea / e la realtà / fra il gesto / e l’atto / cade l’Ombra” (“between the idea / and the / and reality / between the motion the act / falls the Shadow”).Nel dipinto immobile impaginato dalla sapienza di Mambor noi leggiamo la peripezia di partiture composte ed esposte alla evidenza analitica di linguaggi isolati e scontornati nella loro purezza: smalto, acrilico, tela grezza, invitano ad entrare e uscire dal quadro nell’ intento di mostrare come una totalità vivente l’artificio della immagine riprodotta. I numeri, come anche le sagome, vanno e vengono sulla tela che si espone come il segmento di una serie pronta a sconfinare nella esperienza della vita. Renato guarda ma l’occhio si vuole impersonale registratore di evidenze che sembrano la strisciante versione di un destino.
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Enigmatico ruolo dello sguardo che dissocia l’oggetto in una pratica informativa per consegnare alla pittura il titolo di “finestra sul mondo” e al tempo stesso di assoluta finzione.C’è un immediato senso architettonico in questa immagine proposta come didattica e maieutica della percezione visiva.  Renato ha un istinto teatrale che blocca il movimento nella composizione e però “mette in scena” immagini diversamente distribuite nel tempo.In ogni quadro vivono più storie disarticolate in situazioni spaziali e temporali. Dare forma vuol dire primaditutto mettere in evidenza il necessario, manifestare agli occhi la struttura. E la più efficace sintesi visiva di Mambor giunge a comporre una simile armonia di contrari. Sguardo impassibile ed emozione controllata, pensiero del “di fuori” e cartografia dell’anima, qualità dinamiche e schemi formali, immagine dell’uomo (dell’Io) diviso e figurazione della totalità: Mambor stenografa la complessa informazione del nostro essere nel mondo mentre dipana un filo d’Arianna come la sequenza di un filmato senza soluzione di continuità.Ne deriva così l’effetto a rete di meditazioni plurime sul modo estetico di pensare il mondo, ma non solo. Con le metodiche apparizioni di una simile pittura Renato vuole esporre anche il motore psichico della sua e della nostra “ri-creazione” e precisa il tratto di quella costante ed eccellente vocazione teatrale che vuole così tenere unita l’arte alla più intima esperienza della vita.
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diceriadelluntore · 4 years
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Storia Di Musica #161 - Mad Season, Above, 1995
La morte di Cobain fu lo spartiacque del movimento grunge. Per alcuni ne sancì la tragica fine. Nonostante l’evento colossale, era impossibile fermare l’onda musicale che si portava appresso, e se proprio vogliamo cercare un evento o degli eventi simbolo che ne sanciscono la fine, dobbiamo forse arrivare al 1996, quando i Soundgarden si sciolgono dopo il non eccezionale Down On The Upside, gli Alice In Chains suonano acustici all’MTV Unplugged e i Pearl Jam con No Code vogliono ormai far vedere che quell’etichetta grunge sta a loro stretta. Rimane un anno, il 1995, in cui escono due grandi album che per me sono l’estrema variante del Seattle sound: uno è un disco formidabile, uno dei più belli degli anni ‘90, ed è Mellon Collie And The Infinite Sadness degli Smashing Pumpkins (addirittura doppio, che esce nell’ottobre del 1995) e il disco di oggi, di un nuovo supergruppo, che nasce a Seattle con un preciso intento: evitare che qualcun altro faccia la fine di Cobain. Mike McCready, il funambolico chitarrista dei Pearl Jam, dopo Vitalogy (siamo a metà 1994) decide di disintossicarsi, e va ospite in una clinica in Minnesota. Li incontra e fa amicizia con John Baker Saunders, un bassista. Insieme decidono che una volta disintossicati, si sarebbero visti a Seattle e avrebbero messo su una band. E così successe: McCready e Saunders trovano l’entusiasmo del batterista e percussionista Barret Martin, già negli Skin Yard e batterista dei favolosi Screaming Trees di Mark Lanegan. I tre cercano un cantante, e McCready pensa ad un suo amico, in perenne lotta con l’abuso di sostanze, sperando che l’entusiasmo e il lavoro per questo progetto lo aiuti a superarle: Layne Staley degli Alice In Chains. Con questa formazione, solo con un paio di canzoni abbozzate, tengono uno storico concerto in uno dei locali storici di Seattle, il Crocodile Cafè, nell’ottobre del 1994. L’accoglienza è ottima, e il gruppo inizia a lavorare per un disco. Si scelgono come nome Mad Season, con riferimento alla stagione della crescita dei funghi che contengono psilocibina, comunemente conosciuti come funghi allucinogeni. Registrato ai Bad Animals Studios di Seattle, con la produzione di Brett Eliason, Above esce nel marzo del 1995: in copertina un disegno di Staley che lo ritrae con la sua fidanzata dell’epoca, Demri Lara Parrott. È caratterizzato da una qualità musicale che abbandona per lo più i ritmi e l’atmosfera aggressiva del grunge per influenze molto eleganti, che virano al jazz, al blues, persino alla musica di altre parti del mondo, e dai testi, scritti tuti da Staley, profondissimi e pregnanti, ispirati alla sua lettura, in quei tempi, de Il Profeta di Kahlil Gibran. Il trittico iniziale è magnifico: si parte con l’ipnotico e lunghissimo intro di Wake Up, dove il battito del basso apre alla voce, magnifica e dolente, di Stanley, che dice “Svegliati, ragazzo. È ora di svegliarsi. La tua relazione amorosa deve finire per dieci lunghi anni, dieci anni a raccogliere le foglie, un lento suicidio non è la strada da percorrere”. X-Ray Mind ha un ritmo delle percussioni quasi da danza tribale, da rito iniziatico, e vive tutto nel duello di fendenti tra la chitarra di McCready e la batteria di Martin. River Of Deceit è invece la ballata dolente del dolore, tema carissimo a Staley, che qui ne dà quasi una confessione: ”Il mio dolore è autoinflitto. Così diceva il profeta. Potrei bruciare o tagliare via il mio orgoglio per trascorrere un po' di tempo. Una testa piena di bugie è il peso da portare, legato alla cintura”. I’m Above è uno dei brani simbolo del disco (e ne dà il titolo): Staley è accompagnato alla voce da Mark Lanegan, che come una spalla saggia si alterna al canto. Il disco nella parte centrale più si avvicina al grunge “storico”: il blues dolente di Artificial Red, Lifeless Dead sembra presa dalla depressione allucinata di Dirt (capolavoro degli Alice In Chains del ‘93), I Don’t Know Anything è un brano quasi sperimentale, costruito su una serie di riff di McCready con il lavoro, stupendo, di Martin alla batteria e di Saunders al basso, per una canzone potentissima, che è la più granitica dell'intero disco. E dopo una così forte carica di impatto sonoro, c’è la sorpresa più grande del disco: Long Gone Day ha un ritmo jazz, acustico, che sa di samba, xilofoni, una atmosfera quasi da lounge bar che stride con il resto del disco. La voce di Mark Lanegan questa volta è la guida principale, mentre Staley canta nei cori e la seconda strofa, “È lungo il giorno trascorso, chi mai ha detto che siamo trascinati via con la pioggia”, con le incursioni di un sassofono, suonato da una delle figure principe dell’underground musicale di Seattle, Skerik (al secolo Nalgas Sin Carne), in uno dei brani più spiazzanti del periodo. L’atmosfera si rifà cupa poi nel lungo strumentale November Hotel, con chiarissimo tocco alla Pearl Jam di McCready, e si finisce con All Alone, poche parole su una nuvola di musica per definire in fondo come si sente Staley. Il disco non sarà mai un successo portentoso, ma rimarrà costante nel tempo, arrivando anche ad essere Disco D’oro certificato. McCready ritornerà ai Pearl Jam, Saunders si unirà ai The Walkabouts, Martin continuerà a suonare con gli Screeming Trees, Staley canterà ancora con gli Alice In Chains, in almeno altri due capolavori, Jar Of Flies e il toccante MTV Unplugged, dove canta già in condizioni preoccupanti. McCready proverà più volte a riunire il gruppo, anche mettendo mano a nuovo materiale con collaborazioni di peso (come Peter Buck dei R.E.M.) ma tutto diventerà inutile quando nel 1999 Saunders muore di overdose, seguito dopo 3 anni da Staley. A lui, Eddie Vedder, che alla fine è da considerarsi un sopravvissuto, dedicherà una canzone, una ghost track nel loro bellissimo disco Lost Dog del 2003, doppio album che raccoglie le canzoni scartate, quelle dei singoli, quelle pubblicate in altre compilation. La canzone si intitola 4/20/2002, la data della morte di Layne Staley. E contiene queste parole:
So all you fools Who sing just like him Feel free to do so now Cuz he's dead
Using, using, using The using takes toll Isolation Just so happy to be one Sad to, sad to think Sad to think of him all alone
Lonesome friend, we all knew Always hoped you'd pull through
No blame, no blame No blame, it could be you Using, you can't grow old using
So sing just like him, fuckers It won't offend him Just me Because he's dead
che è epitaffio perfetto alle storie che ho tentato di raccontare in questo mese, nate in una città che non è la prima cosa che si pensa alla parola USA, ma che ha regalato una delle ultime epopee del rock.
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heartsbreath · 4 months
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“Oh... dimmelo un po' tu, che fine ha fatto quell'amore, dimmelo, non mi ricordo più che fine fanno le cose, dove va a finire tutto quell'amore che una volta tenevamo in mano vivo e pulsante?”
Paul Lynch - Il canto del profeta
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aitan · 5 years
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⛓️📚 La catena dei libri
La BBC afferma che la maggior parte delle persone ha letto solo 6 dei 100 libri presenti nella seguente lista.
Istruzioni: copia questo messaggio nelle tue note. Metti X per i libri che hai letto interamente e con due barre // quelli che hai iniziato ma non hai finito.
⬇️
1. Orgoglio e Pregiudizio – Jane Austen
2. Il Signore degli Anelli – JRR Tolkien //
3. Il Profeta - Kahlil Gibran X
4. Harry Potter – JK Rowling //
5. Se questo è un uomo - Primo Levi X
6. La Bibbia //
7. Cime Tempestose– Emily Bronte X
8. 1984 – George Orwell X
9. I Promessi Sposi – Alessandro Manzoni X
10. La Divina Commedia - Dante Alighieri X
11. Piccole Donne – Louisa M Alcott //
12. Lessico Familiare – Natalia Ginzburg
13. Comma 22 – Joseph Heller
14. L'opera completa di Shakespeare //
15. Il Giardino dei Finzi Contini - Giorgio Bassani
16. Lo Hobbit – JRR Tolkien
17. Il Nome della Rosa - Umberto Eco X
18. Il Gattopardo - Tomasi di Lampedusa X
19. Il Processo – Franz Kafka X
20. Le Affinità Elettive – Goethe
21. Via col Vento – Margaret Mitchell
22. Il Grande Gatsby – F Scott Fitzgerald
23. Casa Desolata – Charles Dickens
24. Guerra e Pace – Lev Tolstoj
25. Guida Galattica per Autostoppisti – Douglas Adam's
26. Brideshead Revisited – Evelyn Waughn X
27. Delitto e Castigo – Fyodor Dostoevskj
28. Odissea - Omero //
29. Alice nel Paese delle Meraviglie –Lewis Carrol X
30. L'insostenibile leggerezza dell'essere - Milan Kundera
31. Anna Karenina – Leo Tolstoj
32. David Copperfield – Charles Dickens
33. Le Cronache di Narnia – CS Lewis
34. Emma – Jane Austen
35. Cuore – Edmondo de Amicis X
36. La Coscienza di Zeno – Italo Svevo X
37. Il Cacciatore di Aquiloni – Khaled Hosseini
38. Il Mandolino del Capitano Corelli – Louis De Berniere
39. Memorie di una Geisha – Arthur Golden
40. Winnie the Pooh – AA Milne
41. La Fattoria degli Animali – George Orwell X
42. Il Codice da Vinci – Dan Brown
43. Cento Anni di Solitudine – Gabriel Garcia Marquez XX
44. Il Barone Rampante – Italo Calvino X
45. Gli Indifferenti – Alberto Moravia
46. Memorie di Adriano – Marguerite Yourcenar
47. I Malavoglia - Giovanni Verga
48. Il Fu Mattia Pascal – Luigi Pirandello
49. Il Signore delle Mosche – William Golding
50. Cristo si è fermato ad Eboli - Carlo Levi X
51. Vita di Pi – Yann Martel
52. Il Vecchio e il Mare - Ernest Hemingway X
53. Don Chisciotte della Mancia – Cervantes XXX
54. I Dolori del Giovane Werther – J. W. Goethe
55. Le Avventure di Pinocchio – Collodi X
56. L'ombra del vento – Carlos Ruiz Zafon
57. Siddharta - Hermann Hesse X
58. Brave New World – Aldous Huxley X
59. Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte – Mark Haddon
60. L'Amore ai Tempi del Colera – Gabriel Garcia Marquez
61. Uomini e topi – John Steinbeck
62. Lolita – Vladimir Nabokov X
63. Il Commissario Maigret – George Simenon
64. Amabili resti – Alice Sebold
65. Il Conte di Monte Cristo – Alexandre Dumas
66. Sulla Strada – Jack Kerouac
67. La luna e i Falò - Cesare Pavese
68. Il Diario di Bridget Jones – Helen Fielding
69. Midnight’s Children – Salman Rushdie
70. Moby Dick – Herman Melville
71. Oliver Twist – Charles Dickens X
72. Dracula – Bram Stoker X
73. Tre Uomini in Barca - Jerome K. Jerome
74. Notes From A Small Island – Bill Bryson
75. Ulisse – James Joyce //
76. I Buddenbroock – Thomas Mann //
77. Il buio oltre la siepe - Harper Lee
78. Gérminal – Emile Zola
79. La fiera delle vanità – William Makepeace Thackeray X
80. Possession – AS Byatt
81. Canto di Natale – Charles Dickens X
82. Il Ritratto di Dorian Gray - Oscar Wilde //
83. Il Colore Viola – Alice Walker
84. The Remains of the Day – Kazuo Ishiguro
85. Madame Bovary – Gustave Flaubert X
86. A Fine Balance – Rohinton Mistry
87. Charlotte’s Web – EB White
88. Il Rosso e il Nero – Stendhal
89. Le Avventure di Sherlock Holmes – Sir Arthur Conan Doyle
90. The Faraway Tree Collection – Enid Blyton
91. Cuore di tenebra – Joseph Conrad
92. Il Piccolo Principe – Antoine De Saint-Exupery X
93. The Wasp Factory – Iain Banks
94. Niente di nuovo sul fronte occidentale - Remarque
95. Un Uomo - Oriana Fallaci
96. Il Giovane Holden – Salinger X
97. I Tre Moschettieri – Alexandre Dumas X
98. Amleto – William Shakespeare X
99. Charlie e la fabbrica di cioccolato – Roald Dahl
100. I Miserabili – Victor Hugo
🙄 [Però mi pare strano che la BBC abbia messo ben 17 libri italiani su 100 (e neanche dei più noti a livello internazionale); e che per Dickens abbia scelto Casa desolata; e che ci siano così pochi capolavori francesi; e che manchino opere come Le mille e una notte, i Frammenti di Eraclito, l'Antigone di Sofocle, L'Isola del Tesoro o Dottor Jekyll di Stevenson, L'Idiota di Dostoevskij, Casa di Bambola di Ibsen, Finzioni di Borges, tutto Proust (che io non ho letto), le poesie di Leopardi, il Libro delle Inquietudini di Pessoa, i racconti di Chekov, i romanzi di Verne e Salgari, il Diario di Anna Frank, le opere di Céline e Celan, Middlemarch di George Eliot e Cecità di Saramago; e che si parli di Harry Potter come di un solo libro; e che si citi una volta l'opera omnia di Shakespeare e poi il solo Amleto...
Insomma, il gioco è simpatico, ma NO, NON È LA BBC.]
🤓 [E comunque sarebbe bello che docenti e alunni approfittassero di questa pausa didattica forzata per leggerselo uno di questi 100 o di quegli altri 100mila capolavori della letteratura universale.]
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francesca-fra-70 · 5 years
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LETTERA DAL CROCIFISSO
Ho saputo che mi volete togliere dai muri della scuola.
Se volete farlo, non vi preoccupate, vi capisco. Neanche io mi piaccio ! Infatti. sono orribile a guardare. Io non sono degno di ricevere la vostra attenzione. Come di me ha scritto il profeta Isaia, non ho apparenza né bellezza per attirare i vostri sguardi, non splendore per provare in me diletto. Che esempio potrei infatti dare ai vostri figli? Io sono un fallito e un perdente. Sono stato disprezzato e reietto dagli uomini.
Certo, sono un uomo esperto nel soffrire, uomo dei dolori che ben conosce il patire. Ma tutto questo non vi serve, perché tanto a voi la sofferenza fa ribrezzo e paura e quando arriva fate a gara a chi scappa via per primo. Oppure, nelle situazioni estreme, chiedete aiuto fino anche a resuscitare quel Dio nella quale in fondo non avete mai creduto.
Fate bene a togliermi dalla vostra vista perché io in fondo sono un verme e non uomo. Sono uno davanti al quale ci si copre la faccia, e di cui non si può avere alcuna stima. Io non insegno a vincere ma a perdere. Infatti chi viene dietro a me rischia di grosso: sarà odiato anche lui, perseguitato, cacciato via dalla sua città. Non avrà né case né proprietà, ma forse solo il canto libero della propria autenticità, la trasparenza genuina della propria verità, il terreno puro della sua interiorità.
Io sono un esempio di abbandono totale. Infatti, mi hanno abbandonato tutti e sono rimasto solo. Lo hanno fatto gli amici, tra i quali uno mi ha anche venduto per trenta denari. Anche il Padre mio mi ha per un attimo abbandonato. Anzi, è stato Lui a consegnarmi a voi. Ma io ho avuto il coraggio di trasformare il mio abbandono in occasione di dono, perché vi ho chiamato amici. E si sa per gli amici si è disposti a dare anche la propria vita. Ho trasformato il mio patire in un atto generativo, per darvi vita e ridare bellezza al vostro essere uomo e donna.
E quelli ai quali ho fatto del bene con miracoli e guarigioni, alla fine, durante il processo, si sono rivoltati contro di me, gridando “crocifiggilo !”. Maltrattato, mi sono lasciato umiliare. Ero come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte a dei tosatori impietosi. Non ho aperto mai bocca e nessuno si è mai afflitto per la mia sorte. Nessuno ha avuto pietà di me. Ma io li ho perdonati perché l’uomo e la sua dignità sono molto delle proprie azioni e dei propri errori.
In quel momento ho impersonato tutti i crocifissi della storia; quelli prima di me e quelli che sarebbero venuto dopo di me. Quei crocifissi che io proprio morendo su questo legno maledetto ho cercato di rialzare ma che voi producete con il vostro egoismo.
Quindi vi do ragione. Io sono proprio uno scandalo e un paradosso. Scandalo per alcuni e stoltezza per altri. E lo sono sia per una certa ragione che assolutizza se stessa sia per un certo tipo di fede che trasforma Dio in un dogma. Sono una blasfemia che offende i vostri ragionamenti e i vostri idoli. Sono scomodo e do fastidio.
Perciò fate bene a togliermi dai muri della vostra scuola perché la mia cattedra è molto diversa da quella dei vostri professori. La mia cattedra è pericolosa e corrompe i giovani, perché insegna una verità il cui unico banco di prova è l’amore.
Io non insegno la sapienza ideologica del mondo che tende a trasformare il sapere in potere, il cui fine è sempre quello di dominare e prevaricare. Io insegno la sapienza del cuore, che è spesso sapienza della debolezza che sa scendere dai piedistalli per non lasciare indietro nessuno. Insegno la logica dell’amore di chi ama per primo per generare all’amore anche chi dall’amore non è stato mai amato.
Perciò se volete togliermi dalla vostra vista, non vi preoccupate, non farete nulla di nuovo, visto che già una volta mi avete tolto di mezzo. Non me la prendo, state tranquilli, tanto ci sono abituato. Uno scrittore russo mi ha anche ridefinito come l’Idiota del vostro tempo.
E poi non c’era posto per me quando sono nato, figuratevi ora che sono appeso a questo legno maledetto. Sono abituato ad essere trattato come uno straniero. Infatti, con ingiusta sentenza sono stato condannato innocentemente fuori le mura. Apolide, sradicato, senza un luogo dove posare il capo. Un mendicante.
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pangeanews · 5 years
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Ho visto per voi l’ultimo film su Muhammad Ali, il pugile che trasformò il ring nel foyer della Scala, che aveva gambe da Nureyev in un corpo da Teseo e portava la Terra Promessa nei guantoni. Ci ha fatto mangiare il suo corpo fino all’ultimo tremito
Chi fa la storia agisce in modo non lineare, arriva dalle ombre, abita l’inatteso, senza adornarlo. Ciò che sembrava inesatto fino a un attimo prima, immediatamente è la risposta lampante. Chi ha confidenza con la Bibbia sa che Dio gioca a eleggere re gli improbabili, gli incapaci, gli inadeguati – altrimenti, dove sarebbe la sua divinità? Mosè, il Suo portavoce, era balbuziente.
*
Muhammad Ali è un errore. Al posto di menare, balla; al posto di concentrarsi, blatera; al posto di avanzare, arretra; al posto di stare al suo posto, fa il Napoleone dei reietti. A sconcertare, per lo più – quando Ali era Cassius Clay, aveva un sorriso hollywoodiano e diceva “guardate che bel visino, nessuno riesce a picchiare questo bel visino” – sono le gambe, magre, agilissime, un Nureyev incapsulato sul corpo di Teseo, sterminatore di mostri – i pugili, in effetti, nei ‘massimi’, sono massimamente mostruosi, mentre lui è aitante, piacione, fuori luogo. Millenni di evoluzione celebrate in quelle gambe da ballerino, una danza sul sangue, lo sciamano del ring, il torero, che aspetta il corpo sacrificale per falciarlo, danzando, tra baccante e stregone del Sahel. Continenti e riscatto e esodo in quelle gambe: Ali non è un pugile, ma l’uomo che porta la Terra Promessa nei guantoni.
*
What’s My Name: Muhammad Ali, il documentario di Antoine Fuqua – presentato al Biografilm Festival di Bologna e da questa sera su Sky Arte – ha un netto pregio rispetto a pellicole simili – o al film oleografico, Ali, del pur bravissimo Michael Mann. Fa parlare i fatti. Accumula una piramide di fonti video – spesso inedite – senza commento. Il commento agiografico, semmai, sta nel montaggio. Ma Fuqua, che non è regista per intellettuali, bada al sodo e non al senso riposto. Così, Ali è lo screanzato smaliziato che divora la comunicazione, è un cannibale che inventa claim, spot, jingle, che atterra l’avversario con putiferio retorico. Ha usato il ‘personaggio’ per mettere al tappeto il pugile – ogni battaglia sul ring era, reiteratamente, “l’incontro del secolo”, con signori riccamente agghindati, come se il ring fosse il foyer della Scala.
*
Per questo gli sfottò, la provocazione, la prevaricazione di una ironia cinica: Ali ha bisogno di sentirsi solo. Solo contro tutti. Ha bisogno che tutti gli siano contro. Per convincere tutti che lui è il solo, il più grande.
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Quando lo sportivo espande il ring al mondo e decide di fare la Storia è chiaro che tutti – capi religiosi, politici, avversari – se ne approfittano. Ali lascia che si approfittino di lui, venite a mangiarmi, dice, ce n’è per tutti – si offre, senza sofferenza.
*
Che paradosso: orientato all’Africa, icona della liberazione – fisica e simbolica – del popolo nero dalle catene dei bianchi, Ali è una creatura del ‘sogno americano’. Una storia come la sua è tipicamente americana, non potrebbe venire da altrove.
*
Bisogna liberarsi di ogni cosa per ottenere l’altro mondo della fama. Ali si libera del nome, si libera dei cliché in cui è imprigionata la boxe, si libera della patria – gli Usa – per un’altra patria – la fede musulmana – reagisce al capitalismo, in puro stile beat, ritirandosi in campagna, senza elettricità, usando l’acqua del pozzo, costruendosi tavoli e sedie, come un Walden, un cercatore di quiete (in favore di telecamera). C’è sempre qualcosa di ambiguo negli atteggiamenti di Ali – ci è, ci fa, ci crede davvero? – d’altronde, egli spettacolarizza ogni scelta, ha capito che lo sport è uno show e fa teatro, la sua è una rivolta teatrale. Ha bisogno di occhi, del Ciclope della tivù da accecare di sguardi, flirta con il video, invade l’immaginario, è il Vitello d’Oro e l’agnello che vuole essere scannato – ce la fate?, scannatemi!
*
La questione è sempre il nome: qual è il tuo nome? Come vuoi essere chiamato? Quali lettere ti accerchiano? E come ti chiami, tu, nell’esatto della solitudine?
*
Senza sfinirci su ciò che già sappiamo – “The Rumble in the Jungle” contro George Foreman, ad esempio, o i legami con Malcolm X – il film non nega la fine del campione, guarda al tramonto, le gambe bloccate, il viso visibilmente gonfio, le botte prese da Leon Spinks, da Larry Holmes, da Trevor Berbick (nell’incontro del dicembre 1981, a Nassau, l’ultimo, battezzato “Drama in Bahama”). Ali, il profeta del corpo – perché la carne è l’esatto peso del vero –, della carnalità dilagante, dell’esuberanza biblica, cade, il corpo gli si torce addosso, e quel fenomeno di fermezza trema, e quell’uomo che ha ballato sotto i corpi rovesciati di falangi di pugili è martirizzato dal fremito, quel talento nell’arte sofistica non parla più. Eppure, indomito, continua a consegnare il corpo ai nostri occhi dentati, come a dire: hai visto?, guarda cosa sono diventato, squartami. Chissà se qualcosa danza ancora dentro quel corpo disfatto. Alle Olimpiadi di Atlanta, nel 1996, dimostra che è lui, fragile, menomato, infermo, la fiamma; diversi anni prima, alle Olimpiadi del 1960, a Roma, un ragazzo di 18 anni di nome Cassius Clay, dall’eleganza sopraffina e dall’agilità inaudita, nuda, una specie di Whitman del quadrato, cominciò il canto di se stesso sulla faccia torbida del polacco Zbigniew Pietrzykowski. Un altro polacco, Giovanni Paolo II, in quel giro di anni, fece la stessa scelta di Ali: mostrare al mondo la ferita del Parkinson, il licenziamento del corpo, preda di altro e non del sé, come grazia. Si incontrarono, il papa polacco e il pugile musulmano, nel 1982, era maggio, parlarono di boxe, entrambi combattenti indomati. L’uomo che fu acclamato come Cassius Clay e che decise di farsi chiamare Muhammad Ali muore nel giugno del 2016, tre anni fa. (d.b.)
L'articolo Ho visto per voi l’ultimo film su Muhammad Ali, il pugile che trasformò il ring nel foyer della Scala, che aveva gambe da Nureyev in un corpo da Teseo e portava la Terra Promessa nei guantoni. Ci ha fatto mangiare il suo corpo fino all’ultimo tremito proviene da Pangea.
from pangea.news http://bit.ly/2Y2vhFp
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Ho conosciuto un veggente che trascurava gli oggetti e i colori del mondo, i campi dell’arte e del sapere, i sensi, la gioia, per spigolare idoli.
Non mettere più nei tuoi canti, mi disse, l’enigma dell’ora o del giorno, non segmenti, non parti, metti prima del resto, luce per tutti e canto introduttivo, l’inno degli idoli.
Sempre l’oscuro inizio, sempre il crescere, il chiudersi del cerchio, sempre il culmine e infine il disfarsi (per un sicuro rinascere), Idoli! Idoli!
Sempre il mutevole, la materia, che cambia, si sbriciola e riaggrega, sempre i laboratori, le fabbriche divine, che producono idoli.
Osserva, tu o io, o uomo o donna, o stato, noti o sconosciuti, in apparenza creiamo solida ricchezza, forza, bellezza, in realtà creiamo idoli.
L’evanescente ostensione, la sostanza dei sentimenti dell’artista, dei lunghi studi del dotto, dei travagli del martire, dell’eroe, del guerriero, è di foggiarsi un idolo.
Di ogni vita umana (le unità riunite, evidenziate, non trascurando un fatto, un’emozione, un pensiero), L’intero, grande o piccolo, è sommato, addizionato Nel suo idolo.
L’antichissimo impulso, eretto su antichi pinnacoli, osserva: a nuovi e più alti pinnacoli, scienza e modernità tuttora spingono, l’antico impulso, idoli.
Il presente qui e ora, il brulicante, confuso, affaccendato turbinio dell’America, dell’aggregare e separare, perché solo da lì si diffondono, Gli idoli d’oggi.
Questi con quelli del passato, di nazioni sparite, di tutti i regni dei re di là del mare, antichi conquistatori, antiche guerre, antichi viaggi di navigatori, idoli che si uniscono.
Densità, crescita, apparenze, strati dei monti, suolo, rocce, alberi giganti, da tanto nati, da tanto morenti, viventi a lungo, sul punto di andare, idoli eterni.
Rapito, estatico, exaltè, visibile, utero da cui sono generati, tendenzialmente orbicolare per modellare e modellare e modellare il possente idolo della terra.
Tutto lo spazio e il tempo, (Le stelle, le tremende perturbazioni dei soli, che si dilatano, collassano, si estinguono, servendo a un uso più o meno lungo), gremiti solo di idoli.
Le silenziose miriadi, gli infiniti oceani dove si versano i fiumi, le separate, innumeri, libere identità, come la vista, le realtà vere, idoli.
Non questo il mondo, non questi gli universi, essi gli universi, significato e fine, sempre l’eterna vita della vita, idoli, idoli.
Oltre le tue lezioni, dotto professore, oltre il tuo telescopio o spettroscopio, acuto osservatore, oltre tutte Le matematiche, chirurgie, anatomie, oltre la chimica e i chimici, le entità, idoli.
Mobili eppure stabili, sempre saranno, sono, e sono stati, incalzando il presente verso il futuro indefinito, idoli, idoli, idoli.
Il profeta ed il bardo si reggeranno ancora, sopra un gradino ancora più alto, intermediari alla Modernità, alla Democrazia, per loro interpretati di Dio e degli idoli. E tu, anima mia, gioie, strenui esercizi, esaltazioni, appagati alla fine i tuoi desideri, preparati a incontrare, i tuoi compagni, idoli.
Il tuo corpo durevole, il corpo latente dentro il tuo corpo, solo significato della forma che sei, il reale me stesso, un’immagine, un idolo.
Non nei tuoi canti, i canti più veri, nessun canto speciale da cantare, nessuno per sé, ma che risulti dal tutto, che infine sorga e si libri, idolo al colmo della sua pienezza.
I M M A G I N I  1 8 7 6. W . WHITMAN
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corallorosso · 6 years
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I fascisti che cantano il suo inno sanno che Mameli era un rivoluzionario che voleva la giustizia sociale? Giancarlo Governi Fa una strana sensazione sentire il Canto degli Italiani (così si chiama l’Inno di Mameli, divenuto ora ufficialmente inno nazionale) sulla bocca di quelli di Casa Pound che si connotano con simboli fascisti e persino nazisti, come la croce runica. I neofascisti di Casa Pound urlavano le parole del poeta genovese a quei poveri disgraziati che la nave Diciotti aveva raccolto in mare, dove arrancavano su un gommone stipato fino all’inverosimile da mercanti di morte. “Stringiamci a coorte siam pronti alla morte l’Italia chiamò…” dicono le parole di Mameli e per fortuna quei disgraziati eritrei, che fuggivano da una guerra permanente, non potevano capirne il significato altrimenti avrebbero pensato che gli italiani, quelli lì, avevano deciso di dichiarare loro guerra. “Un’altra guerra…” avrebbero pensato “non bastavano le guerre in cui siamo cresciuti”. Mi sono domandato: questi prodi patrioti pronti a combattere contro quei poveri straccioni, contro quelle donne stuprate dagli scafisti, sanno chi era Goffredo Mameli? La risposta è ovvia, questi signori conoscono questo inno come un inno sovranista, un inno divisivo, un inno che pone i “fratelli d’Italia” contro lo straniero invasore che minaccia i confini d’Italia, la nostra patria, le nostre tradizioni, persino la nostra religione. Lo straniero invasore per Mameli era l’impero austro-ungarico, i Borboni mentre per costoro sono quei poveri straccioni in cerca di pace e di sopravvivenza, esposti alla pubblica carità di una Europa ricca che loro vedono come un miraggio. Goffredo Mameli a venti anni compose quel testo poetico, che fu poi musicato da Novaro, e un anno dopo lasciò la sua vita sulle barricate del Vascello, dove difendeva, nell’esercito di Garibaldi, la Repubblica Romana. Quella Repubblica Romana che si dette una costituzione che fu in vigore un solo giorno e che aveva dato il voto anche alle donne, un atto rivoluzionario e anticipatore. Mameli era mazziniano e aveva seguito gli insegnamenti di Mazzini il quale voleva unire i popoli, i popoli italiani prima e quello europei dopo, liberati dalla tirannide. Prima fondò la Giovane Italia e poi la Giovane Europa. Mameli poi aveva capito che Mazzini era il teorico, il profeta disarmato, e Garibaldi era il combattente, l’eroe dei due mondi sempre pronto a combattere per la libertà, la democrazia e la giustizia sociale. Mameli non era un sovranista, come credono gli ignoranti e coloro che deliberatamente vogliono ignorare, ma era piuttosto un internazionalista e, se lo avessero saputo quei poveri straccioni eritrei, probabilmente avrebbero avuto più diritto loro di cantare in faccia a quelli di Casa Pound le parole di quell’inno antico di cui si è perso il significato.
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