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«Potrei essere confinato in un guscio di noce e stimarmi re di uno spazio infinito, se non fosse che faccio brutti sogni.»
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unmatto · 9 hours ago
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“Sembrava che si accontentasse di affrontare tutto ciò che le capitava con padronanza e senza agitarsi. O forse, semplicemente, dentro di lei accadevano delle cose, delle cose terribili, inimmaginabili per chiunque altro, e quindi le era impossibile occuparsi contemporaneamente della vita di tutti i giorni. In tal caso era naturale che non le rimanesse un briciolo di forza, non solo per manifestare curiosità o interesse, ma per qualsiasi reazione sensata a tutte le banali inezie che accadevano in superficie.”
La vegetariana, Han Kang
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unmatto · 2 days ago
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io che esco dalla seduta con la psicologa in uno stato affranto. vorrei passeggiare, andare ovunque ma non so più camminare senza una meta. mi dirigo lentamente verso casa, le mani in tasca, passi lentissimi che sembrano sforzi dolorosi. mi fermo sulle strisce, aspetto che un’auto rallenti per farmi attraversare. penso a come sono arrivato a questa situazione, a cosa avrei potuto fare di diverso, a cosa potrei cambiare. mi sforzo di vedere qualcosa di buono dentro di me. passo davanti un bar. fuori ci sono quattro anziani, uno dice “AHO ma porco dio quella canzone deli cuoricini me fa spaccà, me entra in testa e nun SE-NE-ESCE”. sorrido.
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unmatto · 6 days ago
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recensione della settimana
zerozerozero, roberto saviano - ho scelto un libro per la lettura di questa settimana e avrei voluto completarlo senonché nelle mie intenzioni c'era anche il desiderio di godermi la vita. conclusione: non ho finito di leggere il libro e la vita non me la sono goduta. anyway. saviano è una figura pubblica e credo che bene o male chiunque ne abbia sentito parlare ha un'opinione su di lui, ma mi chiedo: in quanti lo hanno letto? perché penso che saviano sia uno dei migliori scrittori italiani contemporanei, sicuramente tra i migliori dialoghisti (la saga la paranza dei bambini contiene vette artistiche incredibili). quando ho letto gomorra mi sono chiesto perché non fosse crollato l'intero sistema capitalista occidentale in seguito alle rivelazioni che faceva. con zerozerozero, dove racconta le diramazioni che il mercato della cocaina ha ormai instaurato in ogni aspetto socio-economico delle società mondiali, mi chiedo lo stesso. la bravura di saviano sta in due aspetti: in quello giornalistico, capace di fare ricerche, raccogliere dati - e in quello da scrittore, capace di dare un ordine drammaturgico a quei dati ma anche nell'essere capace di coinvolgere il lettore in qualsiasi storia. ho capito il suo incredibile talento anche quando ho letto la noiosa e confusionaria concorrenza (mala, di francesca fagnani). voto: ancora lo devo finire ma sono pronte le cinque stelle su goodreads.
five guys - potevo esimermi dal provare uno dei fast food più famosi di uno dei miei cibi preferiti? mortacci loro five guys è sicuramente costoso: solo il panino costava quanto un intero menu dal mc donalds (commento copiato pari pari da una donna al tavolo accanto al mio che probabilmente aveva trascinato con sé due suoi colleghi). ho preso anche le patatine (a cinque euro in più) ma non me la sono sentita di prendere la bibita, anche se aveva il refill infinito che mi incuriosiva (tuttavia, dopo dovevo passeggiare e avevo paura di dovermi fermare ogni cinque metri in qualche bar per fare pipì infinita). il panino è buono, ricorda per sapore quelli che faccio io a casa, quindi okay, però tredici euro. è un prezzo abbordabile che ci si può permettere se uno lavora, però mentre mangiavo mi dicevo: tutto questo li vale 18 euro? ma come si fa a misurare la soddisfazione di un'esperienza attraverso i soldi? quanta soddisfazione vale un euro? e poi c'è da chiedersi, penso che in futuro mi verrebbe mai la voglia di mangiare quel panino specifico? troppe domande per un critico culinario affermato, lo so (purtroppo non mi sono venute freddure divertenti riguardo il fatto che la parola culinario contiene anche la parola culi, sorry). però le patatine fritte erano salate. una sapidità minore al salato è inaccettabile. voto: sei e mezzo su dieci dai.
il cambio della diagnosi - uno dei motivi che mi hanno spinto a non partire durante questa settimana di ferie è (il fatto che non sapessi dove andare, con chi andare, e volessi risparmiare i soldi) l'appuntamento che avevo con il binomio psicologa-psichiatra, appuntamenti che si sono succeduti di un giorno. la seduta dalla psicologa è durata ben un'ora e dieci minuti ed è stata parecchio impegnativa. la psicologa (ogni volta l'ho scritto in modo diverso e sbagliato e ogni volta mi è stato segnalato l'errore, questa volta era psicolga) ha detto che secondo lei non sono un semplice caso di depressione maggiore. saperlo mi ha tirato su di morale, perché da mesi prendevo gli antidepressivi per combattere la depressione ma il mio umore non cambiava, anzi. ero arrivato al punto di prendere male i medicinali, avevo un rifiuto. il giorno seguente ho visto la psichiatra, che tra l'altro solleva da mesi dubbi riguardo al fatto che in me qualcosa non le quadra. quindi siamo arrivati tutt'e tre alla stessa conclusione ma attraverso strade diverse. quindi non più depressione maggiore ma depressione da disturbo post-traumatico da stress. cambio di prescrizione: un antidepressivo inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina e un antipsicotico (comunque la parola serotonina mi fa troppo ridere, mi fa pensare una piccola serata tra amici, "oh ieri sera una serotonina!"). sono contento. basta insistere per mesi su una diagnosi e sperare che i farmaci facciano effetto. domani inizio la nuova prescrizione. voto diesci.
balatro - il videogioco della settimana è stato sicuramente uno, balatro. balatro è un roguelike basato sul poker. i roguelike sono il mio genere preferito. sono quei giochi che si basano sul fatto alla fine di ogni partita si perde tutto tranne i bonus speciali che sono stati conseguiti, e quei bonus possono essere conseguiti soltanto se si raggiungono i livelli avanzati. insomma, si riparte ogni volta da zero e non ci sono veri e propri bonus permanenti ma soltanto ulteriori bonus da trovare lungo il cammino per andare sempre più avanti. balatro si basa sui punti del poker e ogni mano assegna dei punti e ogni stage ha un punteggio da raggiungere. ma ci sono i joker da usare come una specie di specialità. faccio un esempio: lo stage chiede 300 punti per raggiungere quello successivo e una coppia dà 20 punti moltiplicato per 2, più da aggiungere i valori delle carte. quindi: una coppia di 10 dà 20 * 2 + 20 = 60. ma magari hai un joker che aggiunge 4 moltiplicatore se giochi una coppia. quindi: 20 * 6 + 20 = 140. le possibilità sono infinite, combinando il potere delle carte joker, quello delle carte speciali, e così via. si possono raggiungere punteggi di miliardi con una singola coppia. è un videgioco infinito basato su un concetto semplicissimo ma applicato con intelligenza e astuzia. è una droga. voto: numeri elevati a cose.
capelli ricci - diciamoci la verità roberto mio, hai speso quaranta euro per il taglio da un parrucchiere che ha tagliato poco. ero scettico, ma non mi sentivo preso in giro (com'è capitato altre volte, quando ho speso molto meno uscendo dal salone con tagli improbabili). anche perché l'esperienza è durata un'ora (allora al prezzo dell'esperienza va aggiunta la durata, quindi?), un'or(d)a di consigli sui capelli ricci, su tecniche da seguire, e compagnia bella. mi ha asciugato i capelli a testa in giù. non lo so perché ma chi sono io per contraddire il re dei ricci? mi ha messo sulla testa tipo tre prodotti, roba che avrebbe fatto suonare qualsiasi metal detector. prima di farmi lo shampoo ho aspettato quel giorno in più perché non volevo rovinare l'impalcatura, e anche perché sapevo che la vera sentenza sarebbe venuta a shampoo fatto, senza prodotti e pozioni magiche, e avevo paura. alla fine ho scoperto che quei taglietti alle punte che ha fatto qui e lì erano più che sensati perché, anche se ha tagliato pochissimo, esiste un taglio. non so come abbia fatto, ma un taglio c'è. ora devo aspettare mi crescano. nel frattempo però ho chiesto a chatGPT di partire da una mia foto e generare dei capelli lunghi e ricci. è uscito fuori un signore che non ho mai visto ma che ha un taglio che forse mi sarebbe stato utile quando il parrucchiere mi ha chiesto come volessi i capelli, anziché di fare scena muta. voto: contiamo insieme tutti i ricci.
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unmatto · 10 days ago
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Sembri un uomo molto affascinante.
le prime impressioni sono importanti, o forse sono importanti le impressioni. comunque grazie. anche se “molto” è davvero tanto.
ma a proposito di uomo, ieri in farmacia il farmacista ha detto al signore che mi precedeva in fila “ora servo il ragazzo” e quel “ragazzo” ero io. gliel’ho detto al farmacista: non mi chiamavano ragazzo da anni. ormai ero “signore”. (oggi da ragazzo sono diventato uomo.)
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unmatto · 10 days ago
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stamattina sono andato da un parrucchiere specializzato in capelli ricci. la mia è stata una specie di resa, poiché non riesco a capire i miei capelli e sinceramente vorrei fossero diversi. il parrucchiere però è stato chiaro: i miei capelli tendono a gonfiarsi e in testa mi tocca avere una specie di funghetto. a quanto pare in una scala di ricci da 1 a 4, dove 4 sono i capelli i capelli afro, i miei sono 3 e quindi direi prc mdn. gli ho detto insomma fai come ti pare, dicendogli che mi arrendo, voglio provare a farmeli crescere. lui ci ha mezzo tipo un'ora per sistemarli e mezzo secolo per asciugarli e alla fine i miei ricci hanno tipo cantato finalmente vittoria. lui poi tutto felice dei miei capelli. ha detto che sono crespi perché i capelli bianchi tendono a esserlo di più, che lui li porterebbe a funghetto. nel salone eravamo gli unici uomini e le parrucchiere avevano tutti i riccioni in testa.
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unmatto · 10 days ago
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settimana scorsa mentre alla fermata aspettavo il notturno per tornare a casa ho notato una coppia. erano giovanissimi, vestiti con stili simili, abiti larghi e abbinamenti di colori bizzarri. grazie alla magnifica efficienza dei mezzi pubblici romani, il bus non passava e io ho avuto modo di osservarli per un po'. erano teneri, parlavano in modo fitto, ogni tanto si cercavano a vicenda per darsi dei baci o scambiarsi effusioni. poi il bus è passato e mi sono dimenticato di loro come mi capita di dimenticare di tante cose che osservo. finché qualche giorno dopo, di pomeriggio, vado verso la metro e mentre mi osservo in giro ho la sensazione di aver visto qualcosa di familiare. rieccoli, la stessa coppia. questa volta sono imbronciati, camminano velocemente e mi superano, in un attimo sento lei che dice seria "non ti sopporto quando fai così". si tengono la mano e dopo qualche passo e dopo qualche battuta che non riesco a sentire lei si appoggia su di lui e avvinghiati continuano a camminare.
è passato quasi un anno da quell'intervento sul diario che iniziava con "mi ha lasciato". non scrivo più niente - né qua, né sul diario - perché sono ormai diventato un grumo di dolore e il dolore dopo un po' diventa noioso. infatti scorgo la noia anche in chi mi ascolta, forse compresa la mia psicologa - alla quale però cerco di parlare di lei il meno possibile, perché sinceramente mi sento patetico. dopo un anno, dai. eppure sono ancora qui, provo dolore, sono deluso, sono amareggiato, però sono anche arrabbiato, perché a differenza di quella giovane coppia, lei ci ha persino negati la possibilità di litigare sui nostri problemi. si è tenuta tutto dentro e mi ha presentato soltanto il conto finale. ma le coppie sono così, no? si confrontano, litigano persino, poi però fanno pace. infatti quel giorno dell'intervento sul diario parlammo a cuore aperto per ore e dopo infatti stavamo meglio. ci eravamo lasciati (mi aveva lasciato? avevo capito da solo che voleva lasciarmi?) ma dopo qualche giorno mi scrisse che senza di me non riusciva a starci. riproviamoci, capiamoci. fu soltanto allora che, dopo un anno di incomunicabilità, mi disse che il problema non erano soltanto i suoi fantasmi ma eravamo noi. "come hai fatto a non capirlo?". dopo un anno piango ancora quasi tutti i giorni. e se la gente dice che è passato tanto tempo ed è ora di rifarsi una vita, che non vale la pena stare ancora male, eccetera, sento ancora male, come se io potessi decidere da quando stare meglio. e in effetti sto meglio: mesi fa pensavo di morire di crepacuore. ma ancora oggi provo amarezza per come abbia gestito tutto e le scelte che ha preso pur sapendo quali conseguenze potessero avere su di me. perché sapete, l'amore finisce, le persone si lasciano, va bene, fa male, però poiché neanche lei aveva le idee chiare, le cose le ho capite da solo, finché all'improvviso non mi sono ritrovato contro una persona che non riconoscevo: incazzata, freddissima, forse persino gratuitamente ostile. un'amica una volta mi ha detto "è il suo modo di comunicare, lo devi accettare". però se ci pensate che follia, che sforzo disumano, accettare i comportamenti improvvisamente irrazionali di una persona che meno di un anno fa diceva di amarmi. ho dovuto capire da solo che in realtà fosse finita da tempo, ho domande irrisolte, ho capito da solo che dopo pochi mesi ha iniziato a frequentare un nostro conoscente. e quindi, cosa di tutto questo fa male? o fa male tutto? mi fa male la sua lontananza, ho ancora ricordi di noi insieme, la sua bellezza, la sua intelligenza, la sua tenerezza nei miei confronti. mi fa male il modo in cui ha scelto di comunicarmi i suoi sentimenti. mi fa male il fatto che ormai sia stato bollato come qualcuno che non è più affar suo, nonostante i grumi di dolore che provo siano una conseguenza di tutto questo. mi sembra assurdo, e con la sensibilità che provo addirittura disumano, decidere di trattare improvvisamente così una persona a te cara. il legame che avevamo costruito è stato soppiantato da un improvviso risentimento che lei ha covato segretamente nei miei confronti e che io ho scoperto soltanto quando le ho costretto a parlarmene perché ormai la situazione era diventata insostenibile. e di fronte a questo dolore ingiusto a volte mi sento impazzire di malinconia. penso, davvero un taglio così netto e brutale era la scelta migliore? davvero tagliare ogni nostro legame era l'unico modo per separarci? possibile che ci si possa comportare così tra persone che si sono amate?
però ecco, dopo mesi e mesi di dolore, ormai ora vivo soltanto le conseguenze di quello che c'è stato, una specie di miscuglio di malinconia e risentimento (perché? non me lo meritavo). ma vivo le conseguenze perché questa situazione, che poteva essere affrontata in modi diversi, con maturità emotiva, con consapevolezza, con più sincerità, mi ha portato a una completa sfiducia nelle persone e nell'amore. affrontavo una depressione maggiore che ovviamente è peggiorata e in realtà sto ancora cercando di capire come restare a galla (mi ha lasciato perché sono una persona triste o sono triste perché mi ha lasciato?), nel mentre il mio dolore ovviamente mi ha isolato, sono diventato soltanto il mio dolore, nella musica che ascolto, in quello che vorrei scrivere, in quello che vorrei rispondere quando mi chiedono come sto. non parlo di colpe, neanche di responsabilità, ma di conseguenze. dopo qualche mese da quel momento in cui ha deciso di riprovarci, ancora una volta da solo ho capito che lei stava cercando di comunicarmi altro. e oddio, in questa storia sembro un santarellino, ovviamente non lo sono. lei è una persona buonissima e gentile. ed è proprio qui che non me ne capacito, in effetti. perché comportarsi in questo modo con me? cosa le ho fatto di male? perché in tutto questo suo atteggiamento evitante, dove iniziò inspiegabilmente a essere gratuitamente impersonale nelle comunicazioni (attualmente il mio ultimo messaggio non è stato visualizzato - e non si pensi che le abbia scritto ripetutamente, tutto il contrario, perché ho capito subito che davanti avevo un muro e che ogni cosa sarebbe stata inutile), non so se ho trovato una persona che era diventata così per chiudere ogni ponte o che era uscita fuori una personalità che covava da tempo. ma poi non capisco, i social, io che la tolgo da letterboxd per non vedere mentre guarda i film con lui, lei che mi blocca su instagram, la sua amica che mi toglie inspiegabilmente il follow. improvvisamente sono diventato appestato. e non si tratta più di una storia finita ma un nemico da combattere. come si fa a non impazzire in una situazione del genere? come faccio a non morire di malinconia? perché nonostante tutto, mi manca molto. eppure da quella persona che mi manca ho ricevuto atteggiamenti inspiegabili. le persone (me compreso) sono irrazionali, incomprensibili. ma sono davvero io quello strano, che dopo un anno sta ancora qui a piangere e provare dolore, davanti a un atteggiamento così irrazionale da una persona che mi voleva bene?
eppure in tutto questo mi sento soltanto patetico a parlarne ancora dopo tutti questi mesi. la penso tutti i giorni, a volte per ore e ore, lei si è rifatta una vita, ha un altro. non voglio fare confronti, sarebbe inutile. però le conseguenze della fine della nostra relazione mi soffocano ancora dopo mesi, fanno parte delle mie giornate, a volte di meno altre volte ancora troppo. come dico sopra, a un certo punto non conta più ciò che è successo perché ormai vivo soltanto le conseguenze di quel dolore: una persona che mi voleva bene mi ha provocato un trauma. è quello che dico per far capire come mi sento: immaginate di subire un incidente, dopo mesi state meglio ma ne riportate comunque le conseguenze.
in questa stessa stanza, in una giornata lontana simile a questa per luce e atmosfera, forse un giorno ero insieme a lei a parlare di cose futili, forse lei mi ha interrotto per baciarmi le guance, forse. quel pomeriggio cosa pensava davvero? forse ci ha negato un litigio? forse non mi ha detto "non ti sopporto quando fai così" per paura che non avremmo fatto pace?
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unmatto · 15 days ago
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se già mia mamma è campionessa di incomunicabilità quando in chat sfodera pollici in su fuori contesto, il livello raggiunto da mio padre supera ogni barriera del linguaggio.
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unmatto · 29 days ago
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ci ha messo un po’ a spedirmelo ma okay.
salve dottoressa, è successo pressappoco questo. ho aperto instagram e ho visto che oggi è in uscita l'edizione economica di un libro che vorrei acquistare da mesi. vista la mia recente riscoperta improvvisa del mercato dell'usato, rifiorita soltanto attraverso delle ricerche di prodotti casuali nei momenti più disparati, mi son detto, sai cosa, ora cerco per curiosità questo titolo su vinted e vedo cosa trovo. a quel punto ho trovato una copia del libro venduta a soli cinque euro, quando non solo il prezzo di listino si aggira sui venticinque o giù di lì, ma anche gli altri annunci partivano da prezzi uguali o superiori ai quindici euro. una truffa? ma chi cercherebbe di truffare su vinted vendendo un libro nemmeno troppo ricercato? ho visitato il profilo del venditore, ho visto che la sua proposta era per lo più di prodotti completamente casuali, di quelli che si potrebbero trovare per casa in una passeggiata durante un momento caratterizzato da una voglia improvvisa di sbarazzarsi di cianfrusaglie. il mio primo istinto è stato quello di scrivere al venditore e dirgli, oh, guarda che questo libro vale di più! però, dottoressa, ho fatto una cattiva azione e ho comprato quel libro a soli cinque euro. cinque euro, pochissimi. ma non è finita qui. sento di meritarmi di essere truffato per aver tentato di fregare a mia volta un venditore sprovveduto, inconsapevole di aver venduto un libro deprezzandolo. o forse sono buono, offrendo alla povera copia non voluta di un libro che sembra assai bello una seconda vita?
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unmatto · 1 month ago
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salve dottoressa, non ci vediamo da due settimane e stupidamente non ho preso appunti su quello che avrei voluto dirle. intanto, una soddisfazione: un giorno di due settimane fa sono stato felice. la mattina avevo una riunione a lavoro. già immaginavo che dopo noi colleghi avremmo passeggiato ma non pensavo che la passeggiata si sarebbe estesa a un pranzo fuori e a un’altra passeggiata prima di attaccare al turno di chiusura. credo che la felicità siano momenti temporanei e quel giorno ho passeggiato, ho fotografato, sono stato tra le persone. non so quali tra queste cose mi abbia portato a sentirmi bene, magari lo sono state tutt’e tre, o magari una cosa che non capisco (forse la bontà dei ravioli?). da allora si sono succedute altre giornate alquanto cupe. provo dolore, lo sento. a volte mi commuovo all’improvviso. in questi momenti cerco di capirne il motivo, mi aiuta a distrarmi. in realtà i momenti in sé in cui piango sono anche divertenti: mentre sono in dispensa per scegliere che pasta cucinare, oppure alla fine di un trailer di una serie tv. in dispensa c’era un sugo pronto, una volta lo comprammo insieme per provarlo. quello che avevo era piccante, ricordo quando a pranzo fuori assaggiava i piatti prima di me per vedere quanto fossero piccanti, poiché non potevo mangiare piccante. e la serie tv è tratta da un videogioco che stavamo giocando insieme. ma vede, ci ho messo un po’ a collegare le lacrime a queste motivazioni: certe volte all’improvviso mi commuovo. poi quando mi calmo ritorno a quel momento e cerco di capire. penso sia “normale” provare dolore in certi casi, no dottoressa? che devo fare, aspetto con pazienza che le lacrime sgorgano via. comunque capisco che parlare ancora di lei sia patetico e fuori tempo massimo. però la penso tutti i giorni e spesso pensarla mi fa anche stare bene per un po’: con lei stavo bene. ma immagino che questo sentimento di leggerezza non faccia che peggiorare tutto perché dopo mi sconforto a pensare che quei momenti non torneranno più.
dottoressa, l’ho pensata ieri. in queste settimane due persone mi hanno chiesto “come stai?” come fa lei all’inizio di ogni seduta: una era un’amica, l’altra una sconosciuta. la breve storia dietro questa sconosciuta è buffa. è una cliente. ieri un collega mi chiede “chi era quella?”, e io “ma chi?”. mi ha raccontato che ha assistito a una scena. una cliente che viene di frequente era venuta ad accompagnare un’amica a prendere il gelato. arrivano alla cassa, lei mi riconosce, ormai lo fa sempre, e mi saluta. mi dice che è venuta ad accompagnare l’amica e mentre mi parla sorride. le chiedo se non vuole il gelato, lei dice di no. dice che sarà per un’altra volta. c’era poca fila in cassa e pochi clienti in attesa. io penso che tra poco finirò di fare gli scontrini e dovrò iniziare a servire i clienti ma che non voglio servire la sua amica, non mi va di parlare, voglio evitarla. c’è un cliente prima di lei, così vado più lontano possibile da lei per servire il cliente ma, per una coincidenza sfortunata, in quel momento un collega finisce di servire e si accaparra lui il cliente. nel frattempo, però, la ragazza si è spostata e mi ha seguito, finendo di fronte a me dall’altra parte del banco rispetto a dove stavamo prima. mentre faccio il gelato all’amica non alzo lo sguardo, a quel punto mi chiede “come stai?”. non sapevo cosa rispondere. cosa si risponde in questi casi? “sto bene, dai. un po’ stanco ma bene”. non l’ho guardata, volutamente non ho cercato di continuare il discorso. ho finito il cono all’amica e le ho salutate. pensavo fosse una sciocchezza che sarebbe finita lì, ma il mio collega ha visto la scena. “mi sono preso il cliente così tu servivi lei”, “ma perché?”, “hai visto che ti ha seguito?”, “e che doveva fare? stavo lontano da lei, doveva per forza spostarsi”, “non è la prima volta che viene”, “le piacerà il gelato”. mettiamo, dottoressa, che magari le sto pure simpatico, ebbene, anche il vago sospetto mi fa attuare un piano di fuga. appena la rivedrò entrare, troverò qualcosa da fare in laboratorio per allontanarmi. a parte che mi infastidisce quasi la malizia del collega, non riesco e non voglio creare alcun tipo di contatto. tra l’altro non mi sembra il caso: è una cliente che viene per prendere il gelato e come tale voglio trattarla, con professionalità. però cosa chiedi come sto. comunque no.
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unmatto · 1 month ago
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guida pratica per comprare un gelato. due punti.
allora. sappiate che a noi banconisti non annoia affatto che voi siate indecisi su quali gusti prendere. entrate in gelateria per godervi qualche minuto di relax, comprate un gelato, sappiamo che per voi è un cibo quasi speciale anche se fa parte della nostra quotidianità (la risposta alla domanda “quanti gelati mangi a settimana?” è “molto meno di quello che potreste pensare”). situazione tipo: orario di pranzo, in gelateria ci sono in tutto cinque clienti già serviti (uno studente che ha comprato una coppetta piccola pur di giustificare le sue trentasette ore di studio in sala, una coppia di turisti tedeschi, una donna in pausa pranzo e un netturbino a cui non piace lavorare), quindi è praticamente vuota, entrate, rispondete al saluto con un sorriso, iniziate a leggere i gusti anche se vi dico che bisogna fare prima lo scontrino, tutto molto tranquillo. ci siete solo voi, se impiegate due tre cinque minuti a scegliere i gusti, a ma non importa. anzi, vi faccio assaggiare qualcosa, ci si scambia qualche chiacchiera. non fatevi mettere a disagio da me che sto dietro al banco che aspetto - che devo fa? me ne vado? mi inginocchio per nascondermi? con calma, con molta calma.
tutto però cambia di domenica. la gelateria di domenica è l’inferno. tutte le tipologie di clienti che si intervallano durante la settimana (dal gruppo di amici che viene a concedersi un dolce dopo cena alla famiglia che fa una passeggiata al parco) si presentano di domenica, perché sono TUTTI liberi. si aggiunge la categoria speciale di quelli ospiti da qualcuno che vogliono presentarsi con una torta o una vaschetta di gelato (che, di solito, in settimana si presentano solo la sera). per ore prepariamo la gelateria alla battaglia che sta per avvenire, perché anche se verso pranzo la situazione sembra fin troppo tranquilla, sappiamo che da dopo pranzo fino a sera avverrà il delirio. situazione tipo una domenica pomeriggio: la fila per la cassa arriva fino a fuori il locale e comprende circa 15 scontrini (con ordini differenti: dalla famiglia con cinque gelati piccoli al tizio che vuole la vaschetta di un chilo), al bancone ci sono altre quaranta persone facciamo divise per 20 scontrini, la fila per le crêpes è di 10 persone (le crêpes sono lunghe da fare, vanno cotte, inoltre ciò significa una persona in meno al banco) la sala è gremita da facciamo cinquanta persone già servite (la cosa più fastidiosa: l’inquinamento acustico), ci sono due ordini glovo da fare e due corrieri che attendono altri due ordini già fatti, dietro al bancone oltre te ci sono altri quattro banconisti con cui combattere a colpi di gomiti per accaparrarsi i propri spazi, ti guardi intorno e vedi spazzatura lasciata sui tavoli dai clienti che sono andati via, nel frattempo tieni d’occhio il nuovo arrivato e fai in modo di proteggerlo e intervenire nel caso un cliente vedesse la medaglia “scusa, sto imparando” e volesse approfittarne (storia vera, quotidiana). l’ho detto: un inferno.
in questi casi da noi è richiesta praticità, sia dal responsabile sia - be’, dal cliente. la fila deve scorrere velocemente, l’ingranaggio “fare lo scontrino e servire” deve essere una macchina che non si deve fermare mai (ho perso il conto delle volte in cui ho servito un bicchiere d’acqua mentre io ero assetato - badate bene: mi trattano benissimo e potrei perfettamente assentarmi per bere, però in quel momento non ci penso, non voglio staccare il ritmo, non voglio lasciare soli i miei colleghi). tutto molto stressante, però è il mio lavoro e mi piace e so che la domenica è così, l’ho accettato. ciò che però mi riesce difficile accettare sono una tipologia di clienti che si presenta soltanto di domenica, quella che sinceramente detesto di più. i gusti sono in alto, leggibili da ogni parte della sala (spesso vengono letti anche dai passanti prima che decidano di entrare). ecco, non puoi, e dico non puoi, vedere questo delirio, aspettare chissà quanto per fare prima lo scontrino e poi essere servito, arrivare al banco e dirmi “ah scusa, non ho ancora letto i gusti”, per poi iniziare a leggerli soltanto adesso e iniziare, lentamente, a decidere. a quel punto vi dico cosa succede: i clienti dietro di voi sbuffano e vi guardano male, altri invece guardano me con pietà mentre attendo con pazienza che tu legga tutti i gusti e decida.
l’indecisione è sempre giusta, per carità, però mi chiedo perché il cliente pretende praticità senza intuire che in questi casi il suo comportamento fa parte del meccanismo. la maggior parte dei clienti domenicali arriva al banco con lo scontrino pronto da mostrare e i gusti già scelti. spesso anzi ci sono genitori che se la prendono con i figli indecisi, poveracci, perché “stai facendo perdere tempo al signore” (i bambini restano i miei clienti preferiti, lasciateli stare, un bambino in una gelateria vive il suo momento magico). altri, educatissimi, si scusano e pongono domande nette e veloci: cosa contiene quel gusto, posso assaggiare questo gusto, cosa mi consigli accanto a questo gusto. ma il cliente (e ce ne sono tanti) che pensa “io ho pagato, tu stai lavorando per me (ehm, no), me ne frego della fila” è insopportabile. per lavoro sono gentile con tutti, anche se davanti a certe meccaniche mi incazzo internamente.
l’altra sera. in settimana chiudiamo alle 23, questo significa che già dalle 22 iniziamo alcune operazioni per la chiusura. dalle 22:50 però la sala viene chiusa e si può prendere solo gelato da asporto (che non significa solo vaschette, ma che prendi il gelato e lo mangi fuori). alle 22:56 (ventidue e cinquantasei) entra un gruppo di otto donne. volevo già piangere. però nonostante abbia detto loro che eravamo in chiusura, almeno la metà ha voluto assaggiare tutti i gusti del mondo. che lo capisco: non solo il gelato per i comuni mortali è sacro, ma tecnicamente eravamo aperti e avevano pagato per un servizio (qui potrei scrivere un capitolo a parte del modo gentile con cui mi rivolgo a tutti, anche con quello che mi mandò a fanculo). però è snervante vedere che: entri in un locale senza vedere l’orario di chiusura, ti dico che chiudo tra quattro minuti e non accenni la minima comprensione (se chiudo tra quattro minuti significa che sto lavorando da sette ore, di sera, che appena chiudo al pubblico devo finire di fare cose che mi prenderanno almeno un’altra mezz’ora) e anzi, c’era una che diceva “vabbè ma devo leggere tutti i gusti”. manco fossero i promessi sposi. ovviamente quella sera abbiamo fatto tardissimo e io ho ingoiato qualche rospo.
i miei clienti preferiti sono quelli che non si dimenticano che io sono una persona e che lo sono pure loro. quelli che quando chiedo chi è il prossimo e alzano la mano insieme a un altro, e quest’altro è un coglione che inizia ad alzare subito la voce e dire che c’era prima lui, fanno passare il coglione avanti (in questi casi se siete sicuri e volete impuntarvi chiedere di vedere il numero di scontrino, quello non mente). quelli che quando vanno via ti salutano. quelli che ti dicono che sei una persona sacra perché in quel momento stai lavorando e li stai servendo. quelli che ti augurano un buon lavoro. tutte queste cose non passano inosservate, anzi. in una giornata settimanale (settimanale!) facciamo in media 800 gelati e circa 100 crêpes, oltre tutte le altre cose che offriamo. a noi cambia lo stato mentale se trattiamo con quello che non ci saluta nemmeno e ci dice “fammi un gelato” e quello che sorride, porta pazienza, è gentile, ti dice di non preoccuparti. che poi è proprio la base delle relazioni interpersonali, i consigli base per stare al mondo e vivere ogni giorno nella società, e infatti proprio non capisco certi atteggiamenti.
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unmatto · 1 month ago
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salve dottoressa, è successo pressappoco questo. ho aperto instagram e ho visto che oggi è in uscita l'edizione economica di un libro che vorrei acquistare da mesi. vista la mia recente riscoperta improvvisa del mercato dell'usato, rifiorita soltanto attraverso delle ricerche di prodotti casuali nei momenti più disparati, mi son detto, sai cosa, ora cerco per curiosità questo titolo su vinted e vedo cosa trovo. a quel punto ho trovato una copia del libro venduta a soli cinque euro, quando non solo il prezzo di listino si aggira sui venticinque o giù di lì, ma anche gli altri annunci partivano da prezzi uguali o superiori ai quindici euro. una truffa? ma chi cercherebbe di truffare su vinted vendendo un libro nemmeno troppo ricercato? ho visitato il profilo del venditore, ho visto che la sua proposta era per lo più di prodotti completamente casuali, di quelli che si potrebbero trovare per casa in una passeggiata durante un momento caratterizzato da una voglia improvvisa di sbarazzarsi di cianfrusaglie. il mio primo istinto è stato quello di scrivere al venditore e dirgli, oh, guarda che questo libro vale di più! però, dottoressa, ho fatto una cattiva azione e ho comprato quel libro a soli cinque euro. cinque euro, pochissimi. ma non è finita qui. sento di meritarmi di essere truffato per aver tentato di fregare a mia volta un venditore sprovveduto, inconsapevole di aver venduto un libro deprezzandolo. o forse sono buono, offrendo alla povera copia non voluta di un libro che sembra assai bello una seconda vita?
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unmatto · 1 month ago
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"roberto, la smetti di comprare i panini al supermercato?? così facendo mensilmente spendi un sacco di soldi". allora. parliamone. (attenzione: post noioso sulla finanza personale, pieno di dati e cose così) io OVVIAMENTE segno ogni spesa. perché sarebbe da sconsiderati ricevere uno stipendio e dire, okay, ora ho questo potere d'acquisto. non funziona così. (l'educazione sulla finanza personale è così arretrata che mi verrebbe quasi da giustificare questa mia parsimonia analitica. non sono pazzo, comunque - almeno non sotto il profilo clinico) so che alla voce "pasti lavoro" a febbraio ho speso 29,75 euro. in questa voce rientrano tutti quei pasti che acquisto, appunto, per lavoro - che vanno dai paninetti del supermercato (che mi faccio comporre sul momento oppure che prendo dal cesto dei paninetti già fatti, evitandomi così le battute di circostanza della signora dei paninetti che ormai mi riconosce e mi saluta con insistente garbo) alle pizzette in una delle pizzerie nei pressi del locale dove lavoro. (è un peccato che nei dintorni ci siano soltanto pizzerie che fanno pizze al taglio e manchino completamente altri tipi di locali, la varietà della mia dieta ne risente) quasi trenta euro non sono tantissimi, pensando che un panino lo pago massimo tre euro e in pizzeria spendo circa sei euro. questo perché riesco quasi sempre a organizzarmi con un pasto portato da casa. (al contrario, di pasti consumati fuori casa ho speso tantissimo, circa 98 euro - in questi sono compresi i vari fast food, pranzi fuori con colleghi e amici, le volte in cui vado al pub di mio fratello - insomma, quei pasti completi che consumo fuori casa) ora arrivano i conti. sono appena tornato dal supermercato e ho speso quella che ritengo essere una spesa costosa, rapportata ovviamente a quello che ho acquistato. (ci ho incluso mezzo pollo intero cotto arrosto accompagnato con patate dalla forma sferica molto carine che mi concederò per pranzo) ho comprato il necessario per fare un panino, quindi vorrei effettivamente capire quanto risparmio portandomi un panino fatto in casa. (in ogni caso, vedendo la differenza tra la spesa e i pasti fatti per lavoro, l'equilibrio che ho trovato tra voglia di cucinare, senso di colpa di spendere soldi e la necessità di spendere soldi per sfogare le mie frustrazioni, mi pare già quasi perfetto, anche se parliamo di una perfezione migliorabile) prenderò come esempio un paninetto preso dal cesto dei paninetti, costo fisso 2,50 euro e che contiene cose - nel senso vero, non si capisce sempre benissimo cosa contenga e bisogna farsi un'idea guardando i colori quando è ancora confezionato e assaporando i gusti una volta morso (in una sfida che ricorda vagamente quelle a scatola chiusa di MasterChef) (è capitato che i miei colleghi mi vedessero addentare un panino e mi chiedessero cosa stessi mangiando e io rispondessi "non lo so") diciamo che parliamo di: un salume, un formaggio e un'insalata. è un panino soddisfacente, anche se a volte, una volta finito, me ne mangerei almeno altri due, nonostante non siano panini, anzi, paninetti piccoli. qua in realtà trovo il primo problema del mio confronto: sullo scontrino prestampato non c'è il peso del panino né del suo contenuto. però mi è capitato più volte di farmi fare il paninetto sul momento dalla signora sopra citata e ne venisse fuori un panino soddisfacente con un contenuto ragguardevole alla medesima cifra, più o meno. dall'altra parte, vediamo il panino che mi porterò oggi a lavoro.
panino ciavattina: 120 grammi pagati 0,45 centesimi sottilette senza lattosio: 2,45 euro per 7 sottilette lattughino: 1 euro per 80 grammi prosciutto cotto (in offerta, senza lattosio, senza cose eccetera): 3,99 euro per 2 confezioni da 100 grammi l'una
quindi, presupponendo che nel panino ci metterò due fettine di prosciutto, che sono metà di una confezione, quindi 50 grammi (in effetti sono pochi, ora che ci penso), e vista la lunghezza del panino userò due sottilette (ogni sottiletta costa 0,35 centesimi), e metterò una manciata di lattughino (40 grammi?), il panino mi costerà 2,65 euro. stiamo là insomma. MA. ci sono punti pro e contro a ogni alternativa. per esempio, lo sbatti di uscire, fare la spesa, comporre il panino. però c'è da dire che il panino che porto da casa è più buono, anche perché se trovo la maionese in frigo ne aggiungo uno strato (il prezzo sarebbe incalcolabile per la mia mente matematicamente limitata). al contrario, il paninetto del supermercato è più comodo, ma anche questo richiede organizzazione (uscire prima di casa). tutto questo per dire: quando vedete un vostro collega mangiare, fatevi i cazzi vostri.
p.s. in questo ragionamento è stato completamente esclusa la possibilità di portarsi della pasta a lavoro, poiché non ho confronti di tavole calde in zona. in ogni caso qua il confronto economico sarebbe stato netto a favore della pasta portata da casa.
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unmatto · 1 month ago
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roma 26/02/25
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unmatto · 2 months ago
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non vado al cinema dal 13 maggio 2024. era il mio primo giorno di lavoro. alla fine del turno, lei si fece trovare all’uscita, andammo insieme al cinema e poi a cena fuori per festeggiare la mia assunzione. il film era civil war di alex garland. entrammo in ritardo in sala, ci perdemmo un pochino dell’inizio ma da allora non ho voluto recuperarlo. a entrambi non piacque e durante il viaggio di ritorno ne parlammo inconsapevoli che non saremmo più tornati al cinema insieme, che non ci saremmo più organizzati sugli orari degli spettacoli, che non avremmo più organizzato un pomeriggio al cinema per poi cambiare idea all’ultimo e passare un pomeriggio a letto. da quel giorno non riesco più a tornare al cinema. ci hanno provato a farmi tornare, però nel momento di vedere gli orari, scegliere il film, vengo sopraffatto da una sensazione di tristezza e non riesco a proseguire. ci sono tante, piccole crepe come queste che devo riparare - non per tornare quello di prima, so già che non potrò mai tornare quello di prima; ma per non vivere tutto con tutta questa tristezza, tutta questa pesantezza nel cuore. il cinema una volta lo amavo follemente, era la mia passione, era oggetto dei miei studi e dei miei progetti. in questi mesi in cui l’ho messo da parte, in cui lo sto ignorando, respingendo, mi sto chiedendo se mi sia mai piaciuto. la verità è che non provo più interesse a guardare film anche perché non posso parlarne con lei. mi sforzo di recuperare i titoli di maggiore successo ma in realtà non mi provocano alcuna emozione. sicuramente la rottura ha amplificato un’anedonia che provavo già da tempo. la frattura che sento ancora dentro è una conseguenza della separazione di una relazione con una persona con cui condividevo tutto, anche i commenti sui film. mi ascoltava sempre con interesse, la sua preparazione sull’argomento è gigantesca. mi manca molto. mi manca la sua intelligenza, la sua ironia pungente, il suo modo di camminare, il sorriso che faceva da lontano quando mi vedeva andarle incontro, le sue guance. l’elenco sarebbe infinito. era la mia persona preferita, spero di averglielo fatto capire, spero di averglielo dimostrato. perché a prescindere dal fatto che stessimo insieme, ero felice di averla accanto e di averla nella mia vita, di essere testimone della sua visione del mondo, così affine alla mia ma anche così diversa, così battagliera, politica, critica. è in questa parte del ragionamento in cui mi sento come se fossi stato la sua zavorra, con la mia negatività, la mia stanchezza verso il mondo, la mia apatia. avrei voluto che superassimo insieme tutto questo. avrei voluto vederla come mia moglie (come dice una canzone), e in realtà la figuravo già così mentre condividiamo una casa insieme, un futuro infinito, una vita intera. scendo di casa e passo dall’incrocio dove l’aspettavo nei pomeriggi in cui ci vedevamo, faccio la spesa dove facevamo la spesa. forse in tutto questo, passare davanti al suo portone tutti i giorni e sussultare nel caso qualcuno dovesse aprirlo proprio mentre sono lì è la cosa meno peggio. perché vivevo di lei ed era entrata in ogni angolo della mia vita, ho ricordi con lei in ogni stanza della casa, in ogni luogo che devo frequentare. ho ricordi con lei di ogni aspetto della mia vita, compreso il cinema, le sale, tutto il mondo che ci gira attorno. ora per me ha perso tutto d’interesse perché non c’è lei e non posso condividerlo con lei. devo ricostruirmi, anzi dovrei farlo. lo sto facendo a passi piccolissimi (dove ho letto di recente: in periodo di crisi anche un passo al giorno può considerarsi un obiettivo da raggiungere?), però rimane dentro di me questo senso di vuoto, questo lutto nero per la mancanza di una persona magnifica.
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unmatto · 2 months ago
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unmatto · 2 months ago
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“Alla fine dei conti non è nemmeno l'amore
Il punto della questione
È quasi un’ostinazione
A tenere in piedi un sogno, un ideale
Mentre tutto intorno va a puttane
O forse è solamente un bacio prima di partire
La ragione per tornare”
Brunori Sas, Per non perdere noi
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unmatto · 2 months ago
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pensavo alle apparenze, al fatto che nei turni sono quello che dovrebbe intimorire eventuali disturbatori, gestirli con la propria stazza. sono alto 189 cm ma credo di avere il fisico del grissino spezzato dopo aver perso la battaglia contro il tonno. eppure incuto timore, sono grosso, dicono. l’ultima volta l’altra sera, quando un tizio stava seguendo una cliente, le abbiamo chiesto se lo conosceva e lei ha detto no. quando è uscito mi sono messo all’ingresso e il tizio non è rientrato (non se l’è sentita?). se solo sapesse che da un paio di giorni giro con l’indice steso che indica cose perché ho un minuscolo taglietto sulla punta e quando me ne scordo e col taglietto ci tocco cose sento una sensazione che non mi piace.
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(questo pensiero sulle apparenze mi ha distratto, ho portato con me alla stazione la spazzatura anziché buttarla via in uno dei tanti bidoni che ho incrociato sul tragitto.)
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