«Potrei essere confinato in un guscio di noce e stimarmi re di uno spazio infinito, se non fosse che faccio brutti sogni.»
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alle 5:41 del mattino penso che forse trovo imbarazzante scrivere narrativa, perché significherebbe ammettere di avere avuto quelle fantasie. come giustificarle? come reggere l’idea che un adulto possa fantasticare così tanto? e poi perché perdere tempo per far sì che che i propri ricami sulla realtà funzionino sotto forma di narrativa? ma la mia mente sembra avere una fantasia propria: mi risveglio da un sogno vivido, di una complessità narrativa e architettonica che mi chiedo da dove siano uscite, visto che io stesso nego e respingo quei ricami sulla realtà che penso improvvisamente, e ripetutamente, mentre semplicemente vivo la giornata.
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ma cosa ho fatto di male nella vita per ricevere nel giro di pochi giorni tre e dico ben tre notifiche da Amazon per segnalarmi questo orrore, questa specie di personificazione della morte della bellezza, questa tracolla per cinquantenni single. c’è stato un periodo in cui cercavo una borsa quotidiana, ma visto lo stile medio di quelle maschili mi ero deciso su una deliziosa borsa femminile, fino a cambiare idea e non acquistare proprio nulla. ora queste notifiche, perché Amazon, perché
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arrivato a casa ho avuto paura di aver dimenticato alla cassa del supermercato di imbustare il pacco di pasta invece è successo di peggio, poiché appesa alla spalla oltre alla borsa della spesa avevo anche quella che porto quotidianamente e la pasta era proprio in quest’ultima, quindi L’HO RUBATA. sono molto tentato di tornare indietro per spiegare il malinteso e pagare i cinquanta centesimi ma sono stanco. oggi in gelateria è entrata una mandria di vecchietti spagnoli venuti direttamente da uno ospizio e mi hanno fatto vivere una mezz’ora che non dimenticherò facilmente.
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diario del giorno
• appena rientrato a casa chissà come mi sono convinto di fare alcune cose da adulto. ho sistemato nell’armadio tutti quei vestiti che negli ultimi giorni avevo accumulato sia sulla sedia sia sul cesto dei panni sporchi. qualcosa mi costringeva a non rimetterli via ma ero comunque spinto a piegarli in modo ordinato. ho addirittura cucinato il pranzo da portare a lavoro domani, poiché già so che domani mattina non avrò tempo di mettermi ai fornelli. non ho ancora messo in coppia i calzini tolti dallo stendino qualche giorno fa, perché sembra un lavoro meticoloso che sento di non avere le energie per fare. colpa anche della delusione dell’ultima volta, quando un calzino era rimasto solo.
• ci sono rimasugli di noi ovunque e io vorrei soltanto poterli raccontare così come li ricordo, quando mi ritornano in mente bell’e buono, senza la paura di annoiare chi mi ascolta. ho ricordato improvvisamente che nel ripiano in cucina ci sono ancora i biscotti che avevamo comprato insieme per quando avremmo avuto fame nei pomeriggi che avremmo passato a casa. vorrei rivederci quel giorno, durante la scelta dei biscotti giusti davanti lo scaffale del supermercato e ritrovare l’espressione del nostro amore bello e ingenuo.
• ripenso a un bambino che ho servito oggi, un cosino alto così che sembrava assai sveglio. mi parlava direttamente e non tramite i genitori come fanno quasi tutti i bambini, bisbigliandogli i gusti dei gelati perché li dicano a me. questo no, mi ha detto i gusti in modo deciso, mentre la mamma faceva altro al cellulare. mentre gli porgevo il gelato ho notato che aveva un cartellino sul petto con su scritto “ciao, mi chiamo matteo”, forse rimasto lì dopo una festa. così gli ho detto, “goditi il tuo gelato, matteo”. lui mi ha guardato sorpreso, era incuriosito e non spaventato. mi ha chiesto “e tu come fai a sapere il mio nome?”. la mamma è scoppiata a ridere. mi sono piegato sul banco e gli ho bisbigliato “sono un mago”. un bambino così sveglio eppure così teneramente scemo. spero comunque che la mamma gli abbia detto il trucco, altrimenti avrò creato un trauma nel piccolo matteo. poi è tornato per chiedermi dell’acqua e mi ha detto che il gelato era buono.
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non so quando né soprattutto perché, o non so perché né soprattutto quando, ho pensato potesse essere una buona idea leggere il romanzo d’esordio di Claudio Bisio Il talento degli scomparsi dopo il monumentale M. Il figlio del secolo, soprattutto, non so come allenare il mio cervello in modo da permettermi di abbandonare un libro a metà lettura senza sentirmi un poco di buono che lascia le cose a metà. però non me lo meritavo un libro che utilizza termini come “strizzacervelli” ma soprattutto “GATTABUIA”.
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Non ci sentiamo più da anni, ormai, ma ti penso sempre con tanto tanto affetto, abbi cura di te, un abbraccio, Rob.
mi viene in mente una citazione: “sono impossibile da dimenticare, ma difficile da ricordare” :)
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il problema con i personaggi famosi che entrano in gelateria sta nel fatto che non ricordo i loro nomi. oggi ho riconosciuto Diana Del Bufalo, ma non avevo la minima idea di come si chiamasse. tra noi ci è stato uno scambio imprevisto, una sorta di empasse da cui ci siamo sbloccati con divertimento. con Lundini invece mi si seccarono i pensieri e gli dissi “ma tu sei tu!”, e lui, che mi aveva appena detto di stare male e per questo mi chiedeva qualcosa che contenesse il limone, mi rispose “sì, e tu sei tu!”. quando gli diedi la granita al limone gli disse “se trovi un cadavere dentro puoi portarmela indietro”, ma lui disse “sai che non ricordo questo sketch? eppure ricordo tutto”.
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improvvisamente mi cala sugli occhi un bruciore di stanchezza che mi ricorda quanto questa giornata sia stata emotivamente pesante. la causa è soltanto una: la seduta dalla psicoterapeuta. una seduta che non è durata un’ora ma sessanta minuti pieni e un numero incalcolabile di secondi e silenzi. una seduta dove la dottoressa mi ha tempestato di domande, ripentendo più volte quanto fossero necessarie. alla fine mi ha ringraziato per aver condiviso la mia intimità, per aver avuto tanto coraggio. le ho risposto “mi scusi, provo per lei un sincero rispetto professionale, ma penso che abbia detto una sciocchezza e non sono d’accordo”. la seduta è finita con il suono ripetuto di un clacson provenire dall’esterno romano che ci ha fatto sorridere e ci ha reso intimamente grati per aver spezzato una tensione emotiva che altrimenti non avremmo saputo come congedare. dopo sono andato a fare la spesa e mi ha fatto sorridere che la radio del supermercato trasmettesse “complicated” di Avril Lavigne, un’ironia che nessun altro nel supermercato ha compreso. tornato a casa ho provato gli stivali che mi sono arrivati oggi, li ho provati per venti minuti buoni perché non mi convincevano. alla fine mi sono chiesto: in un negozio, una volta provati, li spenderesti i soldi che hai già speso per comprarli? a quel punto è stato facile avviare il reso. poi ho approfittato della febbre e del giorno libero: ho letto, ho dormito, ho persino riso guardando un film. finché non è ripiombata la sera.
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Saremo uniti per sempre, anche se le cose ti dovessero fare assente, e avremo un letto nostro, un lume nostro, un angolo un po' caldo dove passare insieme un'ora di riposo e dove poter dire, con serenità, ti ricordi?
da una lettera di Velia Titta scritta a suo marito Giacomo Matteotti
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ci sono dei modi di dire entrati nella terminologia comune del linguaggio giornalistico che mi creano un profondo senso di fastidio. il primo che mi viene in mente è l’uso di 007 per indicare i servizi segreti. mi è bastato fare una veloce ricerca su google per trovare un esempio imbarazzante risalente a sole 18 ore fa. cito testualmente il titolo del Fatto Quotidiano: “lo scandalo MeToo travolge anche la Cia: 007 condannati per violenze sulle colleghe”. a parte il fatto che CIA è un acronimo e andrebbe scritto con le lettere maiuscole, 007 è un personaggio di fantasia, il doppio zero è un codice che indica la sua licenza di uccidere. vorrei inventare degli esempi ma la mia mente non è così creativa (“gli indiana jones ritrovano un reperto che si credeva perduto”?). la lista dei termini che mi infastidiscono potrebbe essere infinita. capisco che alcune siano terminologie entrate ormai nell’uso comune, però la loro esistenza nel mondo del giornalismo è soltanto colpa di un ricerca maldestra di trovare un linguaggio veloce che sia diretto per i lettori, che sono per lo più svogliati. se sia nato prima l’uno o l’altro non ci è dato saperlo. comunque, sono due gli ultimi esempi che mi hanno spinto alla bestemmia in questi giorni. il primo è “bomba d’acqua”, traduzione pure sbagliata del termine inglese cloudburst. trovo la parola italiana nubifragio molto più bella di bomba d’acqua, sinceramente. il secondo non è un termine usato spesso come 007 o bomba d’acqua ma si collega alla svogliatezza di un certo giornalismo italiano, quel giornalismo che utilizza un concetto noto nella cultura popolare anziché ideare un titolo che sia sì comunicativo ma di buon senso. stamattina repubblica scrive: “premio nobel. il dilemma: superstar o “famolo strano”.” tutto ciò mi snerva in modo esagerato, lo ammetto.
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Cerrar los ojos (Víctor Erice, 2023)
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The Holdovers - Lezioni di vita (The Holdovers, Alexander Payne, 2023)
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