#questioni sociali
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(via D.P. Season 2) Ahn Joon Ho e Han Ho Yeol continuano a svolgere la loro “mansione D.P.” cercando di catturare i disertori, ma Ahn Joon Ho deve sempre di più far i conti tra la sua empatia e l’obbligo di eseguire gli ordini.
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Questo uomo no, #141 - Quello che secondo lui il patriarcato non esiste più
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Premessa importante: questo testo non è "contro" un ministro ignorante che dice ingiuste e violente inesattezze in una sede istituzionale intervenendo neanche di persona a sproloquiare di cose che non sa, in modo quantomeno inopportuno. Quanto successo alla presentazione della Fondazione Giulia Cecchettin in Senato è già successo innumerevoli volte, e succederà ancora per molto tempo. Questo testo è l'ennesima ripetizione di cose già sapute e stabilite scientificamente da chi studia le questioni di genere e i femminismi da decenni, e che ripete a ogni occasione perché questo è il suo lavoro: la ricerca e l'azione volte a dare strumenti per risolvere problemi sociali gravi e inderogabili e a puntualizzare concetti importanti per quella ricerca e quell'azione.
"Il patriarcato è finito nel 1975, con la riforma del diritto di famiglia" non è una opinione nuova, è una vecchia ignoranza che in molte forme diverse va in giro appunto dal 1975, sostanzialmente per due motivi. 1) Un punto temporale indietro nel tempo - il '75 è cinquant'anni fa! - fa sembrare questo argomento vecchio, datato, superato, e insieme a lui i femminismi che lo combattono. La realtà è che se intendiamo il patriarcato come modello politico-sociale che informa le leggi del nostro paese, è nel 1981 che viene abolito il delitto d'onore, è nel 1996 che lo stupro è classificato reato contro la persona e non contro l'onore. In più, se anche per le questioni di violenza possiamo fermarci al 1996, il patriarcato è presente nelle leggi del nostro paese in molti altri luoghi dei codici: le leggi sulla cittadinanza basate sul sangue sono leggi patriarcali, le leggi che regolano l'eredità sono patriarcali, la presenza nei nostri codici dell'espressione "buon padre di famiglia" con valore regolativo è patriarcato. Nel '75 sono finite tante cose nelle leggi italiane, ma il patriarcato no. 2) Il secondo motivo riguarda la strumentalizzazione del termine patriarcato, che da questione culturale si cerca di chiuderlo a questione legislativa. Questo è l'esempio di uno dei modi tipici di invalidare le critiche femministe e gli studi di genere: delimitare la complessità della parola patriarcato a un significato, a un solo ambito disciplinare. Si usa l'antropologia per dire che il patriarcato è un modello familiare ormai scomparso dalle nostre società; si usa la storia per rinchiuderlo in tempi lontani e civiltà remote; si usa l'etimologia per sostenere la sua inconsistenza, dato che la figura paterna ha perso potere rispetto a quella materna, la maschile rispetto a quella femminile; si usa la linguistica per sostenere che il termine è inadeguato alla complessità e alle trasformazioni della famiglia e della società contemporanee. E così via, pur di limitarne l'unico uso sensato in queste questioni: l'uso che ne fanno, da qualche secolo, i femminismi e gli studi di genere.
Il patriarcato è il nome di una relazione di potere tra esseri umani o tra istituzioni umane basata su valori sociali comunemente e tradizionalmente associati a ciò che, in una determinata cultura, viene considerato maschile. Questo è il motivo per cui: - il patriarcato non è un modo di "attaccare" o "accusare" gli esseri umani maschi, perché come forma di potere può essere usato (e nei fatti viene usato) da persone di qualsiasi genere; - il patriarcato non è il nome di una struttura sociale, di una relazione o di una forma espressiva (parola, locuzione, testo, opera d'arte), ma il nome del potere che viene usato - anche insieme ad altri - in quelle situazioni o in quelle espressioni. Quindi non esistono parole o azioni "patriarcali" da vietare, ma usi patriarcali di espressioni e situazioni che andrebbero evitate. - il patriarcato non è la "causa" della violenza di genere subita dagli esseri umani, ma il potere usato in tutte le forme di violenza di genere subite dagli esseri umani in maniera differente a seconda dei loro corpi e del loro genere. A questo proposito varrà la pena ricordare che questo è il motivo per cui non esiste alcuna "simmetria" tra la violenza di genere subita dalle donne rispetto a quella subita dagli uomini, e poi tra etero e non etero, e così via. Ogni particolarità di genere subisce forme di violenza di tipo patriarcale; 350 anni e più di femminismi permettono oggi di identificare e parlare con certezza di quelle subite da qualsiasi genere non sia l'uomo eterocis, mentre quest'ultimo genere continua, in tantissimi casi che capitano nella vita dei suoi membri, a non saperla neanche riconoscere, data l'assenza di una competenza diffusa proprio su questo aspetto specifico degli studi di genere: la maschilità. Ecco anche detto il perché in nessun senso il patriarcato è una ideologia, o può essere assimilato a un atteggiamento ideologico: il patriarcato è un fatto sociale esistente e funzionante nelle nostre società, e la sua esistenza è oggetto di studi e ricerche scientifiche da moltissimi anni, in tutte le sue forme (linguistiche, sociali, filosofiche, economiche, storiche). Può essere certamente ideologica, e di fatto lo è, la scelta di non occuparsene oppure sì, di non riconoscerlo oppure sì, di discuterne come fatto sociale del quale occuparsi nelle proprie vite oppure no.
Oppure ancora, come è stato fatto di recente seguendo un andazzo molto in voga tra le persone ignoranti e schierate contro i femminismi di ogni tipo, si può dichiarare che il patriarcato è finito e che ci sono in giro "solo" forme di maschilismo - ignorando il legame tra i due, che non sono sinonimi - e che la violenza di genere diffusa è dovuta anche all'immigrazione.
Dalle mie parti fare così si chiama "buttàlla in caciara", ed è il tipico atteggiamento di chi è ignorante e/o vuole ottenere credibilità e consenso spostando le argomentazioni altrove. Questo uomo no.
Probabilmente anche io, che studio queste cose a livello accademico dalla metà degli anni '90 e che da più di un decennio ne ho fatto un lavoro apprezzato e un'opera di divulgazione che ha aiutato moltissime persone, vengo considerato "ideologicamente schierato". Evidentemente, sapere le cose e usarle per il bene comune anche professionalmente adesso qualcunə preferisce chiamarlo così, sperando che ne possa rimanere fuori. Invece, anche se da diversi posizionamenti, o si conosce e affronta il problema, o si è parte del problema. Buon patriarcato a tuttə. P.S. per chi è più esigente, qui una mia bibliografia aggiornata a fine '23. Ci metto solo quello che leggo, studio e ho usato con risultati, quindi non ci sono pubblicazioni troppo recenti.
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" «Con la cultura non si mangia» ha dichiarato […] Tremonti il 14 ottobre 2010. Poi, non contento, ha aggiunto: «Di cultura non si vive, vado alla buvette a farmi un panino alla cultura, e comincio dalla Divina Commedia». Che umorista. Che statista. Meno male che c’è gente come lui, che pensa ai sacrosanti danè. E infatti, con assoluta coerenza, Tremonti ha tagliato un miliardo e mezzo di euro alle università e otto miliardi alla scuola di primo e secondo livello, per non parlare del Fus, il Fondo unico per lo spettacolo e altre inutili istituzioni consimili. Meno male. Sennò, signora mia, dove saremmo andati a finire?
In questi ultimi anni, però, l’ex socialista Tremonti non è stato il solo uomo politico a pronunciarsi sui rapporti tra cultura ed economia. Per esempio, l’ex ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Maurizio Sacconi, ha sostenuto che per i laureati non c’è mercato e che la colpa della disoccupazione giovanile è dei genitori che vogliono i figli dottori invece che artigiani. Sapesse, contessa… E il filosofo estetico Stefano Zecchi, in servizio permanente effettivo nel centrodestra, ha chiuso in bellezza, come del resto gli compete per questioni professionali: ha detto che in Italia i laureati sono troppi. Insomma, non c’è dubbio che la destra italiana abbia sposato la cultura della non cultura e (chissà?) magari già immagina un ritorno al tempo dell'imperatore Costantino, quando la mobilità sociale fu bloccata per legge e ai figli era concesso fare solo il lavoro dei padri. (Non lo sapeva, professor Sacconi? Potrebbe essere un’idea…) E la sinistra o come diavolo si chiama adesso? Parole, parole, parole. Non c’è uno dei suoi esponenti che, dal governo o dall'opposizione, non abbia fatto intensi e pomposi proclami sull'importanza della cultura, dell'innovazione, dell'istruzione, della formazione, della ricerca e via di questo passo, ma poi, stringi stringi, non ce n’è stato uno (be’, non esageriamo: magari qualcuno c’è stato…) che non abbia tagliato i fondi alla cultura, all'innovazione, all'istruzione, alla formazione, alla ricerca e via di questo passo. Per esempio, nel programma di governo dell'Unione per il 2006 si diceva: «Il nostro Paese possiede un’inestimabile ricchezza culturale che in una società postindustriale può diventare la fonte primaria di una crescita sociale ed economica diffusa. La cultura è un fattore fondamentale di coesione e di integrazione sociale. Le attività culturali stimolano l’economia e le attività produttive: il loro indotto aumenta gli scambi, il reddito, l’occupazione. Un indotto che, per qualità e dimensioni, non è conseguibile con altre attività: la cultura è una fonte unica e irripetibile di sviluppo economico». Magnifico, no? Poi l’Unione (o come diavolo si chiamava allora) vinse le elezioni e andò al governo. La prima legge finanziaria, quella per il 2007, tagliò di trecento milioni i fondi per le università. Bel colpo. Ci furono minacce di dimissioni del ministro per l’Università e la Ricerca, Fabio Mussi. Ma le minacce non servirono. Tant’è che, nella successiva legge di bilancio, furono sottratti altri trenta milioni dal capitolo università a favore… degli autotrasportatori. E inoltre, come scrivono Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi, nel 2006 con il governo Prodi «c’è stato un calo del trenta per cento circa dei finanziamenti, cosicché il già non generoso sostegno alla ricerca di base è diminuito, da circa centotrenta a poco più di ottanta milioni di euro, proprio nel periodo in cui al governo si è insediato lo schieramento politico che, almeno a parole, ha sempre manifestato un grande interesse per la ricerca». Certo, dopo quanto avevano scritto nel programma, non sarebbe stato chic e «progressista» avere la faccia tosta di dire che bisognava sottrarre risorse alla scuola e all'università, e allora non l’hanno detto. Però l’hanno fatto, eccome. "
Bruno Arpaia e Pietro Greco, La cultura si mangia, Guanda (collana Le Fenici Rosse), 2013¹ [Libro elettronico]
#Bruno Arpaia#Pietro Greco#La cultura si mangia#saggistica#intellettuali italiani#economia#Giulio Tremonti#industria culturale#scritti saggistici#produzione creativa#libri#Italia contemporanea#scuola#ricerca scientifica#educazione#economia della conoscenza#artigianato#formazione#Maurizio Sacconi#Stefano Zecchi#centrodestra#centrosinistra#Fabio Mussi#Francesco Sylos Labini#Stefano Zapperi#Romano Prodi#Fondo unico per lo spettacolo#Divina Commedia#lavoro#società italiana
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Prendo una pausa dallo studio per incazzarmi fugacemente; questa roba che nel 2024 considerate gli psicofarmaci come parte di un grande piano malvagio degli psichiatri brutti e cattivi che vi vogliono sedare per rendervi “servi” del sistema è una stronzata così colossale e approssimativa che può generarla solo chi ha avuto il privilegio di non dover ricorrere ad ausili di questo tipo.
1) Non c’è alcun piano malvagio dietro perché se sono depressa in culo non riesco a cambiare o sovvertire nel mio piccolo il sistema e non mi tange neanche un conflitto mondiale che si consuma davanti ai miei occhi; viceversa, con un antidepressivo in corpo, riesco a essere più lucida, determinata e costante nei miei obiettivi e sicuramente più proattiva; ne consegue che non sono gli psicofarmaci ad inebetirmi, ma la patologia.
2) “Eh ma chi può dire cosa sia patologia o cosa no, magari tu non hai niente che non vada ma è questa società che te lo fa credere!” Sì Gianfranco sono pure d’accordo però t’assicuro che questa argomentazione sull’interrogarsi se sia nato prima l’uovo o la gallina in relazione a questioni così complesse porta a un vicolo cieco senza risoluzione da cui comunque esco depresso e comunque t’assicuro che società o meno le mie psicopatologie me le porto dietro dagli 0 anni di età, quindi facciamo che, come per tutto, la smettiamo di interrogarci in maniera inutile sulla questione e adottiamo la filosofia del “basta che funzioni”, cioè la filosofia che nella vita dovrebbe portarti a viverla, tipo, nel migliore dei modi possibili, cercando di essere un umano decente; e che se mi aiutano 10 gocce di xanax ben venga se in loro assenza e preda delle pippe mentali di cui sopra trucido dieci persone.
3) Il fatto che esistano psichiatri di merda che rifilano farmaci con dosaggi sbagliati o non imbroccano proprio la cura non rende lo psicofarmaco di per sé un problema (spoiler: ogni sostanza che ingeriamo, ogni farmaco che assumiamo, agisce sul cervello e su specifiche aree di quest’ultimo).
4) Per quanto l’introspezione e l’analisi critica della società sia fondamentale - anche - per guarire, fino a quando non mi trovate una soluzione alla depressione maggiore, al disturbo bipolare, alle varie disfunzioni chimiche cerebrali, all’insonnia e via dicendo che non siano discorsi alla Basaglia usciti però un po’ peggio continueremo a prenderci gli psicofarmaci che ci impediscono di buttarci sotto un treno davanti i vostri occhi.
5) Nelle tribù, per dirne una, dalla notte dei tempi si utilizzano sostanze psicotrope perché l’essere umano evidentemente ne sente l’esigenza pure quando vive in mezzo alla giungla e si gratta il sedere dalla mattina alla sera senza che ci siano questioni capitalistiche di mezzo, quindi figurati se io che vivo una vita di merda tra lo smog, la freneticità, le crisi mondiali, i conflitti, le disparità sociali e la precarietà esistenziale non devo assumere il Valium, ma va là.
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+++Breaking DIgital Identidy News+++
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L’accordo tra il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea sul portafoglio di identità digitale dell’UE è soggetto ad abusi e dà a Bruxelles la capacità di negare i diritti delle persone e di controllarli.
Secondo la nuova normativa europea, i portafogli, che per ora saranno volontari, conterranno le versioni digitali di tutte le carte d'identità, patenti di guida, certificati di laurea e documentazione medica. la mossa minaccia di fatto i valori europei, come sostenuto da 504 accademici ed esperti di 39 paesi che hanno firmato una lettera aperta che mette in guardia sui pericoli per la sicurezza e la libertà online delle persone.
Avere tutti i documenti in un unico posto significa che possono essere confiscati con un clic. Ciò è stato fatto dall’amministrazione Trudeau in Canada quando, durante il Covid, ha negato l’accesso ai propri conti a coloro che rifiutavano il vaccino e in seguito ha rimosso i diritti assicurativi agli automobilisti che partecipavano al blocco di protesta della capitale Ottawa. Significa anche che gli Stati membri iniziano a perdere il diritto esclusivo di revocare la documentazione rilasciata. Anche Bruxelles potrà farlo. Bruxelles e il commissario Breton vogliono andare ancora oltre introducendo la valuta digitale dell’euro. ( Breton è il commissario che cerca di censurare i social media).
Se le questioni finanziarie finiscono in questo portafoglio, sarà facilitato un maggiore controllo sulla vita delle persone con la possibilità di introdurre un sistema di crediti sociali o di sanzioni elettroniche per coloro che partecipano alle proteste.
Un sistema di questo tipo consentirà inoltre alle autorità di controllare il modo in cui le persone spendono i propri soldi , come è accaduto in Canada e Brasile. La valuta digitale semplifica gli affari, ma è anche uno strumento per eliminare i nostri diritti alla privacy.
La completa centralizzazione digitale delle transazioni rimuove il diritto all'anonimato. Quest’ultima mossa dell’UE è anche legata alle proposte di modifica del trattato, che includono l’eliminazione graduale di tutte le valute nazionali a favore dell’euro.
Non ci sono dubbi sul fatto che gli eurocrati vogliano creare un regime liberale in cui i cittadini siano sempre più controllati dalle autorità con sede a Bruxelles.
Tutto quello che puoi fare può esserti impedito con un click. Può essere visto, analizzato, usato. Mai dimenticarlo
Uso pratico Con questi portafogli i cittadini potranno dimostrare, in tutta l'UE, la propria identità quando necessario per accedere a servizi online, condividere documenti digitali o semplicemente dimostrare un attributo personale specifico, come ad esempio l'età.
Essere utilizzata in molti casi diversi, ad esempio per: -usufruire di servizi pubblici, come richiedere un certificato di nascita o certificati medici oppure segnalare un cambio di indirizzo - aprire un conto in banca -presentare la dichiarazione dei redditi -iscriversi a un'università, nel proprio paese o in un altro Stato membro - conservare una ricetta medica utilizzabile ovunque in Europa - dimostrare la propria età noleggiare un'automobile usando una patente di guida digitale - fare il check-in in albergo.
Usare l'identità digitale dell'UE per chiedere un prestito bancario Il portafoglio europeo d’identità digitale è un progetto che potrebbe arrivare già nella prima metà del 2024 e metterà a disposizione dei cittadini uno spazio accessibile da qualunque dispositivo, dallo smartphone al pc, rendendo ancora più facile l’interazione con le Pubbliche Amministrazioni, locali o nazionali.
Sarà possibile continuare ad accedere all’App IO sia tramite identità digitale SPID sia tramite CIE, cioè la carta d’identità digitale. All’interno dell’applicazione si potrà poi accedere all’IT Wallet cioè il portafoglio digitale che conterrà i documenti già citati e altri che saranno aggiunti negli stadi successivi del processo, tra cui, ad esempio, la Carta europea della disabilità e attestati come il titolo di studio.
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Vi racconto una cosa di Twitter.
Almeno di quando ci lavoravo, anche se non penso che le cose siano cambiate. Non potrei farlo per via di una questione contrattuale, non potrei neanche dire che ho lavorato su twitter per contratto, comunque. C'è, o c'era ma vi ripeto certe cose non cambiano, una policy che si chiama 'gloryfication of violence' dove chi inneggia ad una qualsiasi violenza facendola passare come una cosa buona va punito, di solito cancellando il tweet ma se è a livello profilo anche il profilo va eliminato, per esempio se io scrivo che il baffetto stava facendo una cosa buona con gli ebrei cado in questa policy. Però mi capitò un caso dove la polizia, americana, uccise un tizio perché gli aveva tirato una molotov nella macchina e il tweet recitava tipo "hanno fatto bene ad ucciderlo sto tizio", levando il fatto che mi sono beccato un errore (ma questo è un altro discorso) e che l'analista mi fece rileggere a voce alta alcuni punti della policy, fastidio, tale policy non è applicabile "alle violenze che la polizia perpreta sui civili", al che ho fatto notare all'analista che non è una cosa buona perché così facendo, cioè lasciando le malefatte dei poliziotti sulla piattaforma si istiga all'odio verso la pula, l'analista era d'accordo con me ma siccome il lavoro era quello di seguire le policy mi sono beccato sto errore e sono dovuto stare zitto nonostante sia una cosa assurda. Questo perché come vi ho già detto in passato la piattaforma, come anche le altre made in usa, sono soggette al volere del governo americano, se il governo ti dice che devi seguire una linea tu lo fai se no ti fanno chiudere. Perché vi racconto sta cosa? Perché oggi ho letto un articolo su Ansa che parla di un assalto da parte di ragazzi ad una macchina della polizia, nel giornalino c'è scritto bene e diverse volte 'antagonisti', ma anche anarchici dei centri sociali, che c'azzecca?, perché nell'articolo si dice che non è tollerabile, perché manganellare dei ragazzi inermi è tollerabile? Poi c'è anche scritto che la dirigente di Pisa la spostano a Pescara, un pò come fa la chiesa con i preti pedofili invece di punirli li sospende per un pò e li sposta in un'altra chiesa, così si allarga il danno. Questa è una deriva regalataci dagli amici yankee? Oppure è solo emulazione da parte del governo attuale verso un sistema che fa gola per via del nazi/fascio che hanno intriso dentro? Sempre gli americani ah! Stiamo andando in quella direzione, o come negli stati uniti, dove poliziotti razzisti picchiano i ragazzini di colore malamente? Visto un video sempre su twitter per lavoro e ho dovuto lasciarlo perché non potevo cancellarlo grazie alla policy sopracitata, quindi le forze dell'ordine saranno usati sempre più per punire comportamenti che non piacciono al governo? Portandoli così ad essere odiati e di conseguenza quando succede qualcosa non li chiami perché potrebbero prendersela con te che in realtà ne hai bisogno. Sempre perché il governo attuale ha bisogno di cani rabbiosi, proprio come gli americani hanno bisogno che i sudditi siano cattivi e seguano una linea che porta al disordine e al caos.
Tutto questo accade dopo le dichiarazioni di ursula sul riarmo europeo, sulla guerra, sulle questioni spinose che in questo momento il vecchio continente sta affrontando, sempre grazie ai nostri alleati tossici. Qualcuno dice che sono mosse politiche pre elezioni, può essere, secondo me Ursula sta cercando di prendersi il posto dello stoltonberg a capo della NATO, quindi deve dimostrare di essere in linea con quegli psicopatici paranoici, perché io che sono europeo, come tutti voi, non la volevo questa guerra, non avrei mai voluto una guerra se pur per procura, non è la nostra guerra, se gli stati uniti vogliono distruggere la russia che vadano loro dalla parte dell'Alaska e non vengano qua a rompere i coglioni a noi che abbiamo già da doverci difendere da politici inutili che minano la nostra società. Nessuno vuole che l'Europa sia libera e indipendente per il fatto che una superpotenza con un grande passato e un futuro roseo potrebbe creare problemi a livello mondiale, quindi gli amichetti yankee non potrebbero fare le loro merdate in giro per il mondo, ma direi che è anche ora di levarci di torno sti adolescenti bulli che sanno solo roteare le loro pistole.
Mi fermo qua, perché potrei anche andare all'infinito e ho tante cose da fare oggi.
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LUI
Stavo pensando a una cosa. Prima del femminicidio di Giulia Cecchettin abbiamo seguito sui giornali il caso di Giulia Tramontano.
Ho fatto uno sforzo per richiamare alla mente quella vicenda. Ho scritto qui il nome della donna uccisa, ma devo confessare che non lo ricordavo. Mi è servita una ricerca su Google per farlo riemergere dalla nebbia. Eppure è passato poco tempo. Eppure per qualche giorno quel nome era rimasto impresso nella mia mente. Ma l'avevo dimenticato.
Invece ricordavo perfettamente il nome di lui. Ma perché la memoria mi ha fatto questo scherzo?
Forse perché dopo il delitto si parla della vittima all'inizio, ma poi il vero protagonista diventa lui. C'è un racconto mediatico a più voci che sommerge ogni cosa e mette lui al centro dell'inquadratura: cos'ha fatto, cos'ha detto, come si comporta, le sue giustificazioni, le sue ricerche su Google, la sua vita, le sue azioni, la sua freddezza, le strategia difensiva, le dichiarazioni dell'accusa, l'intervista al vicino, il collega di lavoro che non ha notato niente di particolare, la ricerca di qualcosa di strano nella sua vita (perché qualcosa di strano deve pur esserci), la nostra rabbia nei suoi confronti, la gente che chiede la pena di morte, le lettere che lui riceve, i giornalisti che intervistano sua madre, la madre che lo perdona, la madre che non lo perdona.
Lui riempie lo schermo e oscura tutto. Non c'è spazio per la vittima e neppure per analisi sociologiche. E ho la sensazione che nell'interesse per lui ci sia il desiderio di guardarlo in faccia per cercare quell'anomalia psichica (o addirittura fisica, sulla scia di Lombroso) capace di farlo apparire come una creatura completamente diversa dalle altre. Ci piace l'idea di un difetto di fabbrica a cui si può porre rimedio eliminando il prodotto difettoso.
Per una curiosa coincidenza (che coincidenza forse non è), in molte affermazioni che respingono riflessioni sul patriarcato troviamo proprio questo concetto, chiaro e tondo, espresso alla luce del sole. Ci dicono che non bisogna parlare di questioni sociali e mentalità da combattere, perché non è quello il problema: il problema è lui, solo lui.
Ci dicono: non parliamo della condizione femminile, parliamo di lui.
Ci dicono: non diamo spazio alle dichiarazioni di Elena Cecchettin, parliamo di lui.
Voltare pagina è una preoccupazione diffusa. Si cerca di preparare il terreno per dimenticare tutto e parlare d'altro, prima che a qualcuno venga la tentazione di guardare oltre la finestra (o addirittura dentro di sé) e notare cose che non vanno per il verso giusto.
Dicono che non c'è nessun problema, a parte lui. Ma ora lui è in gabbia. Tutto risolto. La palla passa ai collegi giudicanti. Perché lui è l'eccezione, è l'anomalia.
L'idea che trasforma lui nella rara aberrazione di un sistema quasi perfetto è stranamente rassicurante, ti rimbocca le coperte prima di dormire sonni tranquilli. Lui non è come il nostro vicino. Non ha niente in comune con noi. I problemi sociali non esistono. Esiste lui, ma a questo si può porre rimedio. Non dobbiamo farci domande. Non dobbiamo cercare di cambiare.
Ecco ciò che tanta gente vuole sentirsi dire.
[L'Ideota]
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L'importanza della lotta per i diritti delle donne, in particolare per la loro emancipazione, ricordando le conquiste sociali, economiche, politiche e portando l'attenzione su questioni come l'uguaglianza di genere, i diritti riproduttivi, le discriminazioni e le violenze contro le donne.
Questa è la riflessione che ha portato all'istituzione di una Giornata Internazionale dei Diritti delle Donne.
Che si traduce in una parità sostanziale nelle opportunità in ogni ambito sociale, nella non discriminazione di genere, nel maggior supporto dello stato sociale in situazioni specifiche.
Significa anche la fine di stereotipi sulle capacità intellettuali e fisiche di ogni donna.
Non prendiamocela con la mimosa
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Tanto terronismo per nulla
Il testo di legge sulle Autonomie, approvato in prima lettura al Senato e ora in votazione alla Camera, composto di undici articoli, introduce tali e tante condizioni da rappresentare la tomba dell’autonomia più che la sua attuazione. Vediamo quali.
1) Lo strumento costituzionale era pronto ma è stato artatamente complicato.
La Costituzione, all’art. 116 comma 3, regola le "forme e condizioni particolari dell'autonomia", prevedendo che tre materie attualmente di competenza statale e venti materie definite "di competenza concorrente" tra Stato e Regioni, possano essere richieste dalle Regioni per renderle di propria esclusiva competenza; stabilisce che il procedimento da adottare per questo trasferimento sia quello dell’intesa, già previsto in altri due casi nella Costituzione (l’approvazione degli accordi internazionali e la regolazione dei rapporti con le confessioni religiose).
Quando, nel febbraio 2018, furono stipulate le intese tra Governo e tre Regioni (Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto), il procedimento fu esattamente quello costituzionale ex Art.116; prevedeva l’attribuzione di tutte e ventitré materie disponibili e il voto delle Camere sull’intesa raggiunta. Ma nessun Governo da allora l'ha mai portato in Parlamento.
(L'attuale legge sulle Autonomie complica tale quadro e lo rende) incostituzionale, introducendo lo strumento della legge di attuazione.
2) I LEP chiudono la strada all'Autonomia
i fautori del centralismo assistenzialista hanno escogitato un ulteriore sistema per vanificare il regionalismo e l’efficientamento del servizio pubblico,(...) ottenendo che l’attribuzione dell’autonomia fosse posposta all’attuazione di un’altra previsione costituzionale, quella che riguarda i livelli essenziali delle prestazioni o LEP.
L’art. 117 della Costituzione prevede che tra le materie di esclusiva competenza dello Stato vi sia la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Questa parte è diventata preminente nel disegno di legge sull’autonomia approvato in prima lettura al Senato. (E' un compito esclusivo dello Stato, ci pensasse da solo: che ci azzecca come prerequisito per negoziare le autonomie regionali?)
Non solo i LEP devono essere individuati su tutto il territorio nazionale (...) ma devono anche essere finanziati prima che possa avvenire qualsiasi trasferimento alla Regione della materia richiesta. Quindi, oltre ai tempi estremamente lunghi e articolati, intervengono questioni finanziarie: se (si scegliesse di adottare) costi e fabbisogni standard elevati di alcune Regioni, questo impedirà il loro completo finanziamento e chiuderà la strada all’autonomia. (...)
3) Nessuna riduzione dei trasferimenti fiscali
(...) Anche superato l’insormontabile ostacolo di cui al punto precedente, quando finalmente iniziasse l’iter per l’attribuzione di autonomia, il procedimento sarà tutto in mano dello Stato ed eventuali modifiche sulle proposte regionali dovranno essere accettate senza alcuna trattativa. Non solo, nel disegno di legge è presente una lunga serie di norme perequative a favore delle Regioni che non chiedono l’autonomia e la possibilità di ridurre la compartecipazione ai tributi della Regione richiedente nel caso si verificasse un surplus a suo favore (ciò non vale, invece, nel caso contrario). In conclusione non è prevista alcuna, seppur minima, riduzione del residuo fiscale. Il quale era il primo motivo della richiesta dell'Autonomia.
4) Autonomia a scadenza.
Il disegno di legge scrive: l’intesa prevede inoltre i casi, i tempi e le modalità con cui lo Stato o la Regione possono chiedere la cessazione della sua efficacia (...). Oltre a questo è stato introdotto un comma che si commenta da solo: il Presidente del Consiglio dei ministri (…) può limitare l’oggetto del negoziato ad alcune materie o ambiti di materie individuate dalla Regione nell’atto d’iniziativa. (...)
Paolo Franco, via https://www.serenissima.news/paolo-franco-il-disegno-di-legge-calderoli-approvato-al-senato-e-la-tomba-dellautonomia/
I terronisti si agitano come al solito solo per facite ammuina: ci han pensato i nazionalisti, altra forma di frateme statalisti, a depotenziare le Autonomie e mantenere i carrozzoni rom ben agganciati alle "locomotive".
Chi ci rimette, oltre ai "tasi e tira" sono quelli che come sempre non troveranno né servizi né aiutini, furnuti tutti ai cacicchi locali.
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Ok mo parto.
Qualche altra persona che parla italiano, di sinistra, pro-LGBTQIA e pro-Palestina qui sopra? Oppure spero nel nulla?
Solo per sapere eh... É inutile cercare persone che non dicono slur, che non insultano "i gay", e che non chiamano qualcuno "disabile" perché ha dei comportamenti inusuali oppure, come spesso succede, "per scherzare"... Almeno, mi é inutile nel luogo dove vivo ora, o al di fuori dei social. Oppure ho delle chance? Che ne so, parliamone... Ormai sto perdendo le speranze 🥹🤣😭.
Uso solo Tumblr. Mi piacciono vari manga ma non ho mai letto Naruto e ho droppato Berserk perché ha smesso di piacermi oltre a un certo punto. Al momento mi interessano Demon Slayer, Gachiakuta, Fire Force, e sono da molto tempo fan di Fullmetal Alchemist Brotherhood, anche se uso questo blog soprattutto per reblog su questioni sociali e potrebbe non emergere.
Uso il pronome "lei" e mi sento parte della community LGBTQIA+, in particolare mi ritrovo con le esperienze di persone asessuali e aromantiche, ma mi sento più asessuale che aromantica, perché posso provare attrazione romantica per le persone, ma svanisce molto facilmente soprattutto se non mi fido appieno della persona; anche se vorrei avere una relazione sessuale, non provo moltissima attrazione sessuale, pure la mia abilitá di sentire quest'ultima fluttua in maniera irregolare. Non ho mai avuto una vera e propria "cotta", anche se potrebbe essere perché tutti coloro a cui ho confessato mi hanno riso in faccia, o dietro le spalle. Boh, non lo so sinceramente... In quei momenti in cui provo attrazione sessuale e romantica, é principalmente verso gli uomini, trans o cis che siano. Per questo mi definisco aroaceflux/aceflux sex-favourable, e bisessuale con forte preferenza per gli uomini.
Per coloro che magari non conoscono bene i termini LGBTQIA, vi prego di non farvi intimidire dai termini, possiamo parlare di tante altre cose oltre alla mia identitá. Anche di gatti carini e coccolosi o di draghi, anzi mi piacerebbe tanto. O di videogiochi. Anche quello é molto interessante per me.
Sono nel range d'etá dai 18 anni in poi. Se mi si vuole conoscere più a fondo, potrei dire esattamente quanti anni ho, ma per ora no. Potete chiedermi varie cose, ma se mi scrivete cose esplicite potrei non rispondere e bloccarvi. Chiedete, prima di scrivere cose esplicite, ma rispondo di no nella maggior parte dei casi, o alternativamente, che vorrei conoscere meglio che tipo di personalitá avete prima di accettare un certo tipo di dinamica.
Detto questo, spero che il mio messaggio raggiunga qualcuno. Non ho mai navigato la parte italiana di Tumblr e ho paura di farlo, visto quello che ho giá letto, ma questo potrebbe essere l'inizio. Evitate di contattarmi se siete neo fascisti o neo nazisti, anti-femministi, omofobici, transfobici, islamofobici, xenofobici, razzisti e abilisti grazie. Non parlatemi se siete contro la determinazione della Palestina come Stato libero da Israele, o se siete contro la resistenza dell'Ucraina agli attacchi russi.
Foxy saluta!
For all non italian readers, I basically presented myself in this post. 18/18+, she/her. I spoke of my sexual orientation (aroaceflux), fluctuating sex repulsion, and the manga I have read (not Naruto, haven't completed Berserk, Demon Slayer, FMA:B, Gachiakuta, Fire Force). Also that I like to talk about cats, videogames, dragons. I wrote to be aware that explicit messages may be met with no response, blocking, or inquiry to know more about the sender. And basically that I don't like homophobic, transphobic, xenophobic, neo nazifascists, anti-feminists, islamophobic, racists and ableists.
Foxy says hi!
#italy#free palestine#free gaza#palestine#sono un po' stanca di parlare solo in inglese#non so neanche con che tag scrivere sto post#lgbtqia#lgbtq#lgbtq community#pro palestine#acespec#arospec#aroaceflux#italian#about me#aro#ace#aroace
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(via D.P.) Un giovane ragazzo si arruola nel servizio militare obbligatorio, riceve l'incarico di catturare i disertori dell'esercito, e questo lo porta a vedere la realtà vissuta da ogni recluta durante la chiamata alle armi.
#DP#D.P.#desert pursuit#diamanta#diversamente intelligente#dp dog's day#drama#drama coreani#kdrama#gu gyo hwan#jung hae-in#kim sung kyun#militare#questioni sociali#son seok koo
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Questo uomo no, #136 - Quello che lui è l'erede di Giulio Cesare
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Impazza la solita inutile ipocrita polemica su un libro scritto da un generale dell'esercito e pieno delle opinioni più discriminanti che si possano immaginare. E non è difficile immaginarle, visto che buona parte dell'opinione pubblica italiana le condivide. Ovviamente "condannare" l'autore di questa autopubblicazione non serve a nulla; uno vale l'altro, e di gente che la pensa in questo modo è piena l'Italia. È molto più difficile, come diceva una nota condottiera di persone che non aveva bisogno di divisa, "chiamare le cose col loro nome".
Gli stralci del libro che i giornali fanno a gara a pubblicare non si soffermano molto a lungo nell'analisi, né il più delle volte hanno gli strumenti per farla - o il coraggio di portarla fino in fondo. Come sa bene chi lavora con le questioni di genere e le discriminazioni, l'uso violento che si fa nel libro della parola "normale" è uno degli strumenti discriminanti più noti, longevi ed efficaci: confondendo il normale con il generale (la cosa si tinge di un sinistro umorismo) i più confondono "quello che è giusto che accada" con "quello che accade più di frequente". Se lo fanno o meno in malafede è un loro problema morale, ma che questa confusione ancora regni sovrana nella pubblica opinione è un problema etico.
Prendiamo a esempio l'omosessualità. In natura le specie fanno, riguardo il genere, la qualunque: sono ormai accertate scientificamente omosessualità e transgenderismo in numerose specie; in più, per molte specie è del tutto naturale avere individui che cambiano genere durante la loro vita, anche più volte a seconda delle condizioni ambientali, come sono naturali ogni tipo di comportamento e organizzazione sociale, dalla monogamia a vita al branco indistinto nel sesso e nell'accudimento. Quindi, per quanto certamente comportamenti non generali, sono certamente naturali. Il fatto che alcuni di questi comportamenti non siano numericamente la maggioranza, in natura non conta nulla: alla natura interessa mantenere alto un tasso di diversità, quindi anche se certamente l'omosessualità (e, già che ci siamo, il transgenderismo) non è il comportamento di maggioranza, è una naturale costante presenza. Esattamente come accade nella specie umana.
La parola normale - dovrebbe bastare il vocabolario - significa invece che c'è una norma, una regola; e questa regola, com'è oramai scientificamente accertato, in natura non c'è. Nessuno nega che, per molte specie, l'eterosessualità è necessaria alla riproduzione della specie, e infatti rimane il comportamento della maggioranza; ma questa non è una regola, e soprattutto non elimina né discrimina gli altri casi riguardo il genere. In nessuna specie non umana è stato osservato accanimento di qualsiasi tipo contro gli individui non etero. Che esistano individui non eterosessuali, o che non siano interessati alla riproduzione, non ha finora mai compromesso l'esistenza di nessuna specie. Per quello che scientificamente sappiamo, le specie scompaiono per violente o coatte modificazioni dell'habitat naturale o perché altre specie (di solito quella umana) le sterminano per i loro motivi privati. Di norma in natura ce n'è una sola: preservare le diversità e farne sempre accadere un certo numero, non maggioritario ma necessario. Un po' come in quel comportamento sociale che si è inventato la specie umana e che ha chiamato democrazia.
Socialmente le norme, le regole che descrivono cosa è normale e cosa non lo è, sono invenzioni del tutto umane che cambiano molto frequentemente, come qualsiasi storico o sociologo non in malafede può confermare. Non sono affatto naturali ma sociali: vengono usate dalle organizzazioni umane, grandi e piccole, per mantenersi nel tempo. Il normale è quindi ciò che serve a preservare nel tempo un certo gruppo sociale in una posizione di potere, o quantomeno rilevante e identitaria; ignorando, più o meno consapevolmente, che la normalità cambia continuamente proprio per adeguarsi ai continui cambiamenti sociali, e che il perenne atteggiamento nostalgico di valori e mondi che realmente non sono mai esistiti è il sintomo di una completa inadeguatezza - eufemismo per ignoranza - di sé e dell'idea del mondo che si ha.
Chi pensa, com'è scritto in quel libro autoprodotto di cui in questi giorni si parla tanto, che il comportamento non etero (un esempio tra i tanti) sia non normale, mostra diverse cose: 1) ignoranza di fronte a come funziona la natura, compresa la specie umana; 2) ignoranza dei comportamenti sociali più efficaci che, in natura come nelle situazioni non naturali costruite dall'uomo, prescrivono sempre la salvaguardia delle diversità e delle differenze; 3) una sostanziale debolezza ideologica di fondo, nel sentirsi attaccati dalla presenza di queste minoritarie diversità che, pur avendo gli stessi diritti di qualsiasi altro gruppo sociale, non sono una minaccia né per la specie né per le istituzioni artificiali create dalla specie umana; 4) una profonda debolezza personale, nel creare la figura immaginaria di "eroe" di valori del passato con illustri predecessori, fingendo o non rendendosi conto che: 4a) non c'è nessun eroismo nell'appartenere alla maggioranza delle persone etero, e in più in una posizione sociale di grande rilevanza e potere; 4b) non c'è nessun eroismo nel professare "valori" antiscientifici, antistorici e antisociali come quelli descritti e sostenuti nel libro autoprodotto di cui si parla tanto; 4c) quelli di cui si parla sono "valori" che la società ha rigettato innumerevoli volte nella sua storia, essendo appartenuti periodicamente a ideologie genericamente appellabili come autoritarie (dai vari colori, dal nero al rosso al verde all'arancione) e che hanno tutte perso irrimediabilmente le loro guerre - visto che parliamo di un autore di libro che ha un altissimo grado militare - e i cui attuali esponenti politici devono continuamente fare acrobazie per non farsi rinfacciare l'adesione a quei valori - visto che un ministro di destra è stato costretto a destituire l'autore di questo libro autoprodotto e a dissociarsene pubblicamente.
Queste debolezze, queste opinioni fragili come la maschilità che le produce, sono alla base di quella imbarazzante credenza che caratterizza le persone più ignoranti e impaurite (se non in malafede) di fronte alle questioni di genere sollevate da soggettività che reclamano i loro sacrosanti diritti umani: la dittatura delle minoranze. Un ridicolo ossimoro che è la giusta sintesi di secoli di varie ideologie di gruppi politicamente o ideologicamente conservatori o reazionari, che per giustificarsi hanno sempre bisogno di raccontarsi sotto attacco di qualcosa, di instillare paure invece di diffondere consapevolezze.
In più, visto che sono soprattutto le persone più convinte di questi "valori" sostanzialmente disumani a sostenersi con serietà, è quasi inevitabile che personaggi come l'autore di questo libro autoprodotto si coprano di ridicolo: l'autore si professa infatti, tra le altre cose, erede di un Giulio Cesare che, oltre a scrivere molto meglio di lui, oltre a essere militarmente decisamente più preparato ed esperto di lui, sessualmente tutto era tranne che quello che oggi intendiamo - e l'autore del libro autoprodotto intende - con "uomo etero". Giulio Cesare probabilmente, di un uomo che professa queste opinioni deboli e ignoranti ne riderebbe di gusto, anche perché saprebbe che al rango di generale, nel suo mondo, non arriverebbe mai. Noi invece, suoi contemporanei, ce ne preoccupiamo, perché a quel rango ci è arrivato ed è ben spalleggiato da molte altre persone. Cosa che è sintomo di altri fenomeni sociali molto preoccupanti.
Questo uomo no.
P.S. per chi volesse una bibliografia in merito, può cominciare da questa. Buone letture.
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L'altro giorno parlavo con amico che fa l'educatore. L'ha messa giù con una certa delicatezza, dicendo che il suo è un mestiere che dovrebbe estinguersi, perché se devi costringere la gente a farlo di merda è meglio non farlo proprio e ufficializzare che la gestione dei cinni al di fuori degli istituti scolastici è appaltata a scappati di casa senza formazione e che se l'unico metro dell'offerta educativa è l'impatto economico è meglio stare senza. Mi ha raccontato di una sfilza consistente di suoi colleghi che hanno cambiato lavoro come poi sta cercando di fare lui, e poi ha fatto un sospirone e ha detto che però è quello il lavoro per cui ha studiato e che vorrebbe fare. Ha aggiunto una bestemmiuccia perché per me si stava per commuovere e non lo voleva dar a vedere.
Fra le tante cose pesanti di questo scambio c'è stato un parallelismo un poco sinistro con una chiacchierata che avevo fatto qualche mese prima con un’amica medica ospedaliera; pur con una serie di distinguo aveva fatto più o meno lo stesso discorso, su un'aziendalizzazione ospedaliera che non riusciva più a reggere, emorragia di colleghi che cambiano lavoro, eccetera. Manco si lamentava più di quella che secondo me continua ad essere un'aberrazione negli ospedali, la quotidianità lavorativa fatta di turni di 12 ore per gente che ha letteralmente potere di vita e di morte su di te.
Chiariamoci, non ci vogliono gli amici miei per scoprire che istruzione e sanità sono alla canna del gas; però in una scala da vivo a morto un servizio che fa scappare gli operatori di cui avrebbe più bisogno è abbastanza prossimo alla tomba.
E non vorrei che questo sembrasse un pistolotto da scuola di eloquenza bolscevica per incitare le masse alla rivolta, nasce da questioni prettamente egoistiche prima che sociali: il desiderio di servizi adeguati per i miei figli che crescono e per il mio corpo che invecchia e (possibilmente) amici felici. Cose così.
Poi, sì, se volessi trarre qualche somma sociologica da bar su una sinistra inesistente che ci ha fatto arrivare fin qui e un governo di destra che ha eletto gli anarchici a spauracchio verrebbe da dire che ne sta uscendo la miglior campagna acquisti per i circoli anarchici di sempre.
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Direi che almeno ci ha provato, per tutta la sera, a portare un bel messaggio
Come ho scritto sotto il mio post (di due anni fa) non lo guardo Sanremo, non per snobismo ma perché ho cose più importanti che devo fare in questi giorni.
Ho visto la foto del suo abito con la scritta "PENSATI LIBERA" stamattina sulle news e mi ha incuriosito perché è la stessa scritta che vedevo anni fa in giro per i muri di Bolo, ovviamente in questo caso male attribuita a Claire Fontaine per questioni di marketing (sciacallaggio in questo caso).
C'è un bellissimo articolo di Serenadoe nel quale sostiene che un discorso sulle tutele andrebbe fatto da chi tutela a sua volta (cosa che i suoi figli marionetta da social non possono dire).
Il messaggio per quanto buono -seppur paraculo- e autoreferenziale è privato della sua potenza dalla marchetta che sta vendendo, in questo caso capi d'abbigliamento con slogan politico/sociali venduti a 600 euro cadauno.
Vedi, io quando c'è da ascoltare un buon messaggio tendo ad ascoltarlo, ma da uno che mi vuole insegnare qualcosa di nuovo e accrescere la mia cultura, non da qualcuno che mi vuole vendere spazzatura.
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Ludo sto adorando il meta commento sulle questioni sociali all’epoca dei social tramite la storyline di Carola
#everyone say thank you Ludovico bessegato#però poi mi devi dire sotto effetto di quale droghe hai scelto di dare a Nina quella storyline#prisma la serie
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“ Vedo Akiko alla mensa, è seduta a un tavolo con due amiche e chiacchiera animatamente. Ha sciolto i capelli che le arrivano a metà schiena, mentre prima, quando è venuta nel mio studio, li aveva legati sulla nuca. Risatine, espressioni di marcato stupore, dinieghi sconcertati, le vivaci reazioni delle tre ragazze lasciano pensare che la conversazione verta su un argomento appassionante: deve trattarsi di qualche vicenda personale, escluderei la possibilità che stiano discutendo di problematiche sociali o grandi questioni esistenziali, considerato lo scarso interesse che le une e le altre riscuotono fra i giovani. Vista al di fuori del contesto formale della classe o del colloquio con me, che sono la sua sensei, la sua insegnante, Akiko mi sembra più disinvolta e rilassata. Ha una gestualità un po’ affettata ma espressiva, un atteggiamento vivace. Tutt’a un tratto entra il suo ragazzo insieme a uno studente che non conosco. Avanzano con i vassoi del pranzo, strascicando i piedi, si guardano intorno, poi vanno a sedersi con aria indolente al tavolo delle ragazze, le quali non si scompongono più di tanto e continuano la loro infervorata conversazione. I due ultimi arrivati ogni tanto interloquiscono, ma ben presto si disinteressano delle ragazze e cominciano a parlare tra di loro. Manca ancora un quarto d’ora all’inizio delle lezioni, ma Akiko e le sue amiche a un certo punto si alzano e se ne vanno, solo lei si attarda ancora un momento accanto al tavolo per dire qualcosa al suo ragazzo, poi raggiunge le altre che sono già sulla porta. Dopo cinque minuti anche i due maschi, che nel frattempo hanno finito di mangiare, se ne vanno. Non fossi stata informata da Akiko poco prima, non avrei mai sospettato in quel gruppo di cinque persone la presenza di una coppia. L’apparente indifferenza dei due non deve però trarre in inganno, potrebbero essere perdutamente innamorati l’uno dell’altra, se non lo dànno a vedere è perché in Giappone non si fa, non si mostrano in pubblico gli affetti privati, tanto meno negli ambienti che si frequentano per studio o per lavoro. Nell’università dove insegno, le storie d’amore fra studenti sono all’ordine del giorno, ma raramente l’atteggiamento esteriore degli interessati le lascia indovinare. Però non se ne fa mistero, e quando se ne presenta l’occasione se ne parla senza falsi pudori. Altre volte ne sono venuta a conoscenza anni dopo, ricevendo un cartoncino che mi annunciava le nozze fra due ex studenti che per quattro anni erano rimasti seduti uno a un angolo della classe e l’altra a quello opposto. Il massimo dell’intimità che le coppie più giovani si concedano davanti a terzi è tenersi per mano. Una volta, tornando dall’Italia, mi sono per caso trovata a viaggiare nello stesso aereo con un mio studente che non vedeva la sua ragazza da due mesi, ed era letteralmente esasperato per un ritardo di un paio d’ore. Ebbene, quando i due si sono finalmente rivisti all’aeroporto, si sono salutati con un mezzo inchino impacciato; morivano palesemente dalla voglia di buttarsi l’uno nelle braccia dell’altra, ma per farlo hanno dovuto aspettare di essere soli. Tanto più appassionate e profonde sono le relazioni affettive, in questo popolo, tanto meno vengono esibite, tanto più intensa è l’emozione, tanto meno le si lascia libero sfogo in pubblico. Mi è successo di assistere all’aeroporto all’incontro di persone che non si vedevano da anni – madre e figlia, o fratello e sorella – e si salutavano con un cenno del capo, un sorriso, una pacca sulla spalla. Belle frasi e grandi dichiarazioni, sia di gioia che di dolore, sono di solito riservate alle relazioni formali e poco sentite. Come in tutti i fenomeni, anche negli affetti in Giappone la facciata è diversa dalla realtà che si cela dietro di essa, e può essere molto fuorviante dedurre la seconda dalla prima. “
Antonietta Pastore, Nel Giappone delle donne, Giulio Einaudi, 2004. [Libro elettronico]
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