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COMPLESSA REALTÀ – Silvia De Angelis. Recensione di Alessandria today
Silvia De Angelis è una poetessa dalla scrittura incisiva e visionaria, capace di evocare atmosfere dense di significato attraverso immagini fortemente simboliche
Biografia dell’autrice.Silvia De Angelis è una poetessa dalla scrittura incisiva e visionaria, capace di evocare atmosfere dense di significato attraverso immagini fortemente simboliche. La sua poetica si distingue per una sensibilità profonda nei confronti della condizione umana e delle sue complessità, esplorando le dinamiche interiori dell’animo con un linguaggio raffinato e…
#Alessandria today#analisi poetica#complessità della realtà#creatività poetica#declino esistenziale#emozioni e poesia#emozioni in versi#espressione artistica#Google News#immaginario poetico#Incomunicabilità#introspezione#italianewsmedia.com#Letteratura e Poesia#lettura e poesia#linguaggio poetico#lirica evocativa#lirica moderna#metafore poetiche#Oscurità e luce#pensiero e metamorfosi#Pier Carlo Lava#Poesia#poesia contemporanea#poesia d’autore#poesia e psiche#poesia filosofica#Poesia introspettiva#poesia italiana#poesia sperimentale
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Da Draghi a Blair a Barnier: se l’Europa in declino prova a salvarsi resuscitando gli zombie
https://www.youtube.com/watch?v=IqJXRXQXaU0&t=1s L’Europa sull’orlo del collasso decide di accelerare il declino e di consegnarsi mani e piedi a dei morti viventi riesumati ad hoc dalla cripta. Mercoledì a Bruxelles è successo o’ miracolo; dall’oltretomba è riapparso lui, il superuomo che aveva scosso le coscienze di mezza Europa mettendoci di fronte al grande enigma esistenziale: volete la pace…
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Rettificare i nomi
Questa mattina leggevo gli accordi sulle nomine ai vertici Ue, sostanzialmente con Ursula Von Der Leyen riconfermata presidente della commissione, il socialista Antonio Costa al consiglio, e il liberale estone Kaja Kallas come “Alto Rappresentante” della politica estera.
Quanto Alto? direte voi…molto alto a quanto pare..
Quello che mi colpiva, aldilà dei dettagli, è il totale ormai scollegamento fra le parole e le cose. A livello giornalistico usiamo delle parole, come per esempio “popolare”, “socialista”, “liberale”, che non hanno più alcuna connessione con la realtà.
Che cosa c’è di popolare in Ursula Von Der Leyen? È popolare per esempio l’appoggio incondizionato alla Nato Sulla guerra in Ucraina?
Che cosa c’è di socialista in Antonio Costa? Di socialista nel senso che io ho imparato in quindici anni di studi.. In queste settimane mi sto leggendo, per esempio, “Il popolo degli abissi” di Jack London, quello era un vero socialista, che per esperire la condizione delle classi più misere e povere trascorse 80 giorni nell’East End di Londra, a inizio ‘900.
Da quell’esperienza, vedendo con i suoi occhi la realtà lavorativa ed esistenziale del cuore della “fabbrica del mondo”, scriveva parole infuocate e terribili come queste:
«Uomini, donne, bambini, in cenci e stracci, feroci e cupe intelligenze senza più sembianze umane nei volti, ma bestiali, tigri ormai, incarnati anemici e gran ciuffi di peli, volti pallidi a cui la società vampiro aveva succhiato la linfa vitale. Gioventù corrotta e vecchiaia cancrenosa, facce di demoni, asimmetriche e torve, corpi deformati dalla malattia e dal morso d’una eterna carestia, feccia e schiuma della vita, orde vociferanti, epilettiche, arrabbiate, diaboliche».
Oggi, in condizioni completamente mutate, questi cosiddetti popolari e socialisti, dovrebbero farsi un giro nelle periferie di Palermo o di Napoli o anche di Milano, nei luoghi oscuri che nessuno vede, invece di trascorrere il loro tempo in palazzi lisci e perfetti, che nascondono la violenza di una politica asservita al potere ubiquitario del denaro.
Trasmettere meno Gomorra in televisione, e andare maggiormente in quei luoghi..
Mentre leggevo queste nomine mi tornavano alla mente Le parole di uno degli insegnamenti fondamentali di Confucio.
Un giorno un discepolo chiese a Confucio:
«Maestro, se vi fosse affidato un regno da governare secondo i vostri princìpi, che fareste per prima cosa?» Confucio rispose: «Per prima cosa rettificherei i nomi».
A questa risposta il discepolo rimase molto perplesso: «Rettificare i nomi? Con tanti impegni gravi e urgenti che toccano a un governante voi vorreste sprecare il vostro tempo con una sciocchezza del genere?»
Confucio dovette spiegare: «Se i nomi non sono corretti, cioè se non corrispondono alla realtà, il linguaggio è privo di oggetto. Se il linguaggio è privo di oggetto, agire diventa complicato, tutte le faccende umane vanno a rotoli e gestirle diventa impossibile e senza senso. Per questo il primo compito di un vero uomo di Stato è rettificare i nomi».
Rettificare i nomi oggi vuol dire chiamare questi “presidenti”, “commissari”, come funzionari e operatori dell’oligarchia tecno-finanziaria a matrice ordo-liberale nel contesto Ue.
Una Unione Europea che assolve allo scopo politico Di erodere lo stato sociale, di impoverire la classe media, e di svuotare le sovranità nazionali del loro potere democratico.
Una Unione Europea incapace di politica vera, e piegata ormai Agli interessi atlantici di un impero in declino, che ci vuole trascinare In una guerra ormai de facto globale.
Essere veramente popolari, socialisti o liberali oggi Vuol dire essere semplicemente contestatori radicali di questo sistema. E lottare per rigenerare quelle parole donando loro nuova forza e vitalità.
Francesco Marabotti
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L'attività sportiva contrasta il declino cognitivo

Come allenare mente e memoria: a casa, in palestra e a tavola. Il declino cognitivo si può fermare. Con stile di vita e buone relazioni. Una delle conseguenze più evidenti e devastanti dell'invecchiamento è il declino della memoria. Non ricordare i nomi delle persone, perdere frequentemente gli occhiali o le chiavi della macchina sono fenomeni comuni che molto spesso colpiscono dopo gli “anta” e testimoniano una perdita di funzionalità del cervello che si può manifestare anche con una maggiore difficoltà a fare le cose o a trovare la concentrazione o le parole. Quando dobbiamo cominciare a preoccuparci? Cosa danneggia il nostro cervello? Possiamo fare qualcosa per rallentare il declino cognitivo legato al passare degli anni? Così come accade per il muscolo, anche il cervello con l’invecchiamento va incontro ad atrofia e si stima che dopo i 55 anni la riduzione del tessuto cerebrale progredisca più rapidamente fino ad arrivare mediamente ad una perdita di oltre il 15% del peso del cervello a 90 anni.

Secondo il National Institute of Health statunitense ci sono cinque sintomi critici che devono indurre a preoccuparsi e sono: - ripetere più volte le stesse domande, perché ci si dimentica la risposta; - perdere l’orientamento in luoghi conosciuti; - aver difficoltà a seguire indicazioni stradali, ma anche una prescrizione o una ricetta; - essere sempre più confusi riguardo a tempo, date e orari, luoghi e persone; - aver meno cura di sé stessi, in termini di alimentazione, cura e igiene del corpo. In questi casi un’accurata valutazione del geriatra, o del neurologo, può meglio definire il reale livello del deterioramento e le misure per ridurlo. La memoria racchiude l’essenza di una persona ed è lo specchio della propria vita senza il quale la vita stessa perde di significato e per questo è fondamentale cercare di proteggerla con strategie che sono tanto più efficaci quanto più sono attuate precocemente e praticate con costanza. Innanzitutto è fondamentale curare la salute cardiocircolatoria, adottando stili di vita salutari che favoriscano il mantenimento di una buona elasticità delle arterie, evitando la deposizione della placca aterosclerotica e calcifica e prevenendo o controllando la pressione alta e il diabete, grandi distruttori di cellule nervose e di memoria. Per ottenere ciò è di vitale importanza l’esercizio fisico quotidiano (prevalentemente quello di tipo aerobico, che fa sudare) il quale è in grado di promuovere il rilascio di fattori di crescita cerebrali come l’Ngf (fattore di crescita dei nervi) e il Bdnf (fattore neurotrofico del cervello) che sono in grado di riparare i danni che quotidianamente subiscono i neuroni. Inoltre l’attività fisica aerobica, come la corsa e la camminata, promuovono il rilascio di altri importanti ormoni fra cui le endorfine e la serotonina che hanno effetti sull’umore, mentre l’attività fisica anaerobica, come la palestra per rinforzare i muscoli, promuove il rilascio di dopamina che rende carichi e soddisfatti. L’attività fisica regolare ha anche l’importante funzione di ridurre lo stress - che è devastante per il cervello - e di migliorare la funzionalità dell'intestino regolando il microbiota intestinale che interviene potentemente anche sulla memoria. Ma il cervello va anche allenato come se fosse un muscolo, per evitare che si atrofizzi: e così lo studio, la lettura, imparare cose nuove come una lingua, uno sport, uno strumento musicale, giocare a carte o scrivere rappresentano un ottimo allenamento e migliorano la capacità del cervello di riparare i danni causati dall’età e da stili di vita sbagliati, creando nuove connessioni fra le cellule nervose, necessarie per ancorare memoria e autonomia esistenziale. Essenziale è anche curare l’alimentazione che deve essere sobria, ricca di cibi freschi e senza conservanti, coloranti e additivi, riducendo al minimo l’alcol, gli zuccheri semplici e i grassi saturi, che sono tossici per il sistema nervoso. Ci sono poi una serie di cibi e sostanze che fanno bene al cervello fra cui la colina, le vitamine del gruppo B, la vitamina E e la vitamina K, gli antiossidanti come i flavonoidi e i polifenoli, gli acidi grassi omega 3 e omega 6. Queste sostanze si trovano principalmente in molti tipi di frutta secca (noci, semi di zucca), verdure (pomodori, cavoli, spinaci e broccoli), pesce azzurro. Ma è utile anche il cioccolato fondente, ricco di flavonoidi che favoriscono una buona funzionalità cerebrale, cognitiva e mnemonica, le uova, fonte di colina, e il merluzzo, ricchissimo di colina e Omega 3. Fondamentali sono il sonno ed un corretto riposo che rallentano il deterioramento cognitivo: bisogna cercare di seguire i ritmi della luce naturale andando a letto presto alla sera ed alzandosi al sorgere del sole, dormire in camere silenziose e senza fonti luminose evitando tv computer e telefonini nelle ore che precedono il riposo notturno. Anche gli aspetti emotivi sono molto importanti per mantenere la memoria. Un cervello longevo è un cervello felice dove non esistono rabbia, frustrazioni, ansie e depressione, tutti aspetti che favoriscono l’invecchiamento non solo del cervello, ma anche del corpo in generale. L’ottimismo, l’autostima, un elevato grado di stabilità emotiva ed una vita sociale gratificante e vitale, in un mondo in cui la solitudine è crescente soprattutto fra gli anziani, sono ingredienti fondamentali per la salute del cervello e per preservare la memoria. Mantenere rapporti sociali e famigliari sereni, la fede ed un approccio spirituale alla vita, il volontariato, l’amicizia e la gentilezza sono aspetti che hanno un effetto profondo sia sulla longevità che sul benessere mentale delle persone. Read the full article
#cervelloumano#endorfine#eserciziofisico#microbiotaintestinale#rapportisociali#serotonina#sistemanervoso
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"Una volta credevo di essere buono, una persona che si preoccupava degli altri, con un'integrità. Le scelte difficili aprono la strada al declino: le cancelli dalla mente o provi anche solo ad evitarle per un secondo, ma senza accorgertene quel secondo diventa un'ora ed un giorno diventa un anno e presto, il bisogno di fare la cosa giusta, sfuma in un desiderio sordo che alla fine ti sfiora appena. Dopo poco tempo ti ritrovi sempre più a giustificare le decisioni prese, finché ti accorgi di non somigliare alla persona che pensavi di diventare. Postresti riuscire a relegare tutto in un angolo della tua mente, a ingoiare la delusione per la persona che sei diventato, ma se non ci riesci, rischi di svegliarti una mattina di anni dopo con un buco grande come un pallone nello stomaco e di porti una domanda esistenziale: continuare a fare quello che stai facendo o ribellarti e cambiare la tua vita."
-For life-
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Il quadro della mia situazione mentale, personale, spirituale ed esistenziale in questo momento storico della mia presenza corporea su questa terra può essere riassunto nel mio tentativo di studiare come sia possibile che sia secondo la teoria della fine della storia, sia secondo il Kali Yuga, questa sia l’era finale dell’umanità così come la conosciamo Secondo queste due teorie , la prima storiografica e la seconda filosofico-religiosa (induista), il processo di evoluzione sociale, economica e politica dell'umanità ha raggiunto il suo apice, snodo epocale a partire dal quale si starebbe aprendo una fase finale di conclusione della storia in quanto tale, l’uomo ha perso la connessione spirituale, un declino dell’anima che comporterebbe la difficile liberazione dalla corruzione e dall’ignoranza. Il desiderio di essere altro che ha la sua massima espressione nel consumismo estremo ci ha portato ad annullare i momenti universali a favore di momenti di soddisfazione effimera individuale e soprattutto materiale. Necessario per capire tutto ciò e approfondire le due teorie è lo studio della storia, della filosofia e della religione per lo più induista. E quindi adesso mentre che su Arrakis sta partendo la rivolta contro l’Impero io sto qui a capire cosa cristo sta succedendo intorno a noi e ad imparare a fare incantesimi e leggere tarocchi.
La lascio qui per la prossima volta che qualcuno mi chiede: come stai?
#quindi prima non ero pazza#ma aspettate n'artro po'#cose mie#di nuova me#di nuovissime cose#dentro#come stai?#guess#atarassia#desiderio liberami#e liberami dal desiderio#amen
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Leggevo questo dibattito sulla diminuzione della povertà globale. Credo sia un ottimo esempio del perché liberismo, marxismo e tutte le letture materialiste della storia siano in fondo identiche. Il discorso è che la condizione umana, misurata come accesso ai beni di prima necessità, alfabetizzazione, aspettativa di vita e così via migliora dalla rivoluzione industriale in poi. C’è chi dice che non migliora abbastanza, ma alla fine della fiera sono tutti d’accordo. Solo che no, la condizione umana non migliora. La condizione umana è stata devastata dalla modernità. L’unico modo in cui possiamo far passare la narrativa del progresso è ignorare tutto quello che non emerge da un’analisi quantitativa. Il peccato originale del materialismo è, del resto, l’eliminativismo, cioè l’idea che ciò che non può essere misurato non esiste. Per quanto la metodologia possa sembrare utile, posta di fronte all’esperienza umana ci si rende conto di come rappresenti una resa senza condizioni.
Quando ho avuto le prime crisi epilettiche mi hanno fatto due TAC, una risonanza magnetica e cinque o sei elettroencefalogrammi. Non c’è niente di strano nel mio cervello, a quanto pare. Ma il fatto è che io sono completamente disperato. La mia esperienza è un’esperienza di disperazione. Nessuna misurazione potrà mai rendere conto, per dire, della mia scrittura e del suo significato. Per le macchine, la mia disperazione non esiste. Ma per me sì, e anche per chiunque legga quello che scrivo.
Allo stesso modo, nessuna statistica sulla povertà globale potrà mai rendere conto di come si sentivano le persone. Una vaga, parziale idea dell’esperienza umana nel passato può derivare dalla storia della letteratura, della filosofia, del folklore, del mito: impresa ben più complessa e incerta del mettere insieme quattro dati e fare due conti. Ora, sarebbe facile ritenere che ricchezza, salute e quant’altro siano quantomeno correlate al benessere. Facile, e sbagliato: perché ignora la morte, il grande assente della narrativa progressista.
Pensiamo al digiuno dei Catari, alle esperienze di povertà degli ordini mendicanti, a società come gli Zuruaha, dove il suicidio ha un significato sciamanico. Sono tutti tentativi di negoziare con la morte, attraverso l’atto primigenio di relazione con l’aldilà: il sacrificio. La feticizzazione della materia - ricchezza, salute - che è il segno fondante della modernità priva l’uomo del potere sacrificale. Una vera ricchezza esistenziale non si trova nella quantità di beni posseduti, ma nella volontà di distruggere quei beni in nome di un ordine di significati superiore. Senza la possibilità di formulare ora, attraverso i gesti di questa vita, una relazione con il concetto di immortalità, ciascuno di noi vive in una povertà senza precedenti.
Se i beni di questa vita sono il massimo bene, infatti, come potremo offrirli all’aldilà? L’uomo moderno è completamente disarmato di fronte alla morte, e dunque non ha altra scelta che spingerla sul fondo della coscienza. Dove fermenta in silenzio, essuda disperazione. L’aver silenziato l’antichissima voce della morte, la sentenza di Sileno, è in effetti la base stessa di dibattiti del genere: altrimenti come potremmo considerare il declino della mortalità infantile, un evidente moltiplicatore della sofferenza umana, fra le grandi conquiste della modernità?
Tutto l’Esistenzialismo è la storia del tentativo di risolvere questo dilemma. Un tentativo fallito, perché il dilemma è irrisolvibile. Così ci siamo ritirati in questi surreali castelli d’oro, circondati dal mare della peste, a ripetere come Pangloss che meglio di così non poteva andare.
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- Mr. Chang, come esperto di Cina, che cosa ci può dire riguardo allo stato attuale dell’economia cinese? Al momento l’economia cinese è quasi certamente in uno stato di contrazione. Durante il mese di dicembre, un professore dell’Università Renmin ha destato molto scalpore in Cina affermando che l’economia cinese o si sta contraendo o comunque che non sta crescendo più del 1.67%. Questo giudizio mi sembra alquanto plausibile. (...) Pechino sostiene che le vendite al dettaglio sono cresciute del 8.2% in quel mese, ma questo è improbabile. L’indicatore di tendenza per le vendite di auto (...) segnano 6 mesi consecutivi di declino. Apple ha parlato di modesti volumi di vendita relativi al mercato cinese e anche Starbucks è stata oggetto di un avvertimento da parte di Goldman Sachs in merito alla Cina. Il colore che si addice all’economia cinese in questo momento è quello di una tonalità piuttosto cupa. - Che cosa ne pensa della rara ammissione del Presidente cinese Xi Jinping che esistono ‘gravi rischi’ per il governo continuativo del Partito Comunista Cinese? (...) Si potrebbe sostenere che tramite l' avvertimento (...) Xi Jinping stia semplicemente cercando di far cessare ogni tentativo di resistenza al proprio potere da parte degli alti dirigenti del Partito. Ciononostante, la situazione in Cina è così precaria—l’economia in via di fallimento, la crescente insofferenza popolare, il supporto straniero che va scemando—che Xi sembra essere sincero. Inoltre, non dimentichiamoci che Xi ha accumulato così tanto potere nelle sue mani che al momento non c’è più nessuno da incolpare per questo andamento negativo. Molto presto non sarà in grado di tingere i suoi capelli di nero abbastanza rapidamente da coprire quelli grigi - (...) il Presidente Trump sta considerando di (...) non permettere più a Huawei di vendere i propri dispositivi a compagnie americane. Se questa misura restrittiva fosse implementata, quali sarebbero le conseguenze iniziali e a lungo termine per Huawei? Huawei sta fronteggiando una crisi esistenziale proprio mentre il Presidente Trump, tra gli altri, gli si sta muovendo contro. La compagnia sarà comunque in grado di vendere i propri prodotti sui mercati dei paesi emergenti, ma probabilmente sarà costretta ad abbassare i prezzi (...). L’ordine esecutivo proposto da Trump, perciò, è solo uno tra i problemi di proporzioni sempre più vaste che questa compagnia deve fronteggiare. Huawei è accusata di aver costruito il suo successo sul furto della proprietà intellettuale e altri crimini. Il suo Chief Financial Officer, Meng Wanzhou, avrà presto tutto l’interesse a rivelare le cose di cui è al corrente alle forze dell’ordine americane. Huawei ha raggiunto il suo punto più alto e la sua caduta sarà più veloce della sua fenomenale ascesa. - Infine, occupiamoci del famoso progetto ‘La nuova via della seta’ (One Belt One Road). Nonostante i toni trionfali usati dai media cinesi, sembra che ‘la nuova via della seta’ si stia esaurendo in modo particolare in Asia dove molti governi si stanno stancando di partecipare a questo progetto. Ci può brevemente spiegare perché? L’Iniziativa ‘la nuova via della seta’ è un agglomerato di progetti che il settore privato (...) ha rigettato. Era solo una questione di tempo prima che la gente si rendesse conto dell’impossibilità dei progetti di Pechino. Da molto tempo a questo parte, la Cina ha promesso molto più di quanto potesse eventualmente garantire. Quando l’anno scorso l’orientamento dell’opinione pubblica riguardo alla Cina è cambiato, gli analisti hanno incominciato a fare i conti e si sono resi conto che Pechino non possiede il denaro per fare tutto ciò che voleva realizzare. Non versate lacrime per un piano mal concepito.
Intervista a Gordon Chang di Mattia Sisti della Oxford University Italian Society - https://www.oxforditaliansociety.org/
Finalmente qualcuno che affermi che il Re è nudo. E’ talmente raro che non m’importa d’essere prolisso. Con tanti saluti a tutti quelli che “l’America è finita, questo è il millennio della Cina” (a Obama fischieranno le orecchie).
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Terre rare di Sandro Veronesi: La fragilità della vita moderna raccontata attraverso il ritorno di Pietro Paladini. Recensione di Alessandria today
Un viaggio interiore tra ansia e ricerca della verità
Un viaggio interiore tra ansia e ricerca della verità. In Terre rare, Sandro Veronesi riprende le vicende di Pietro Paladini, protagonista del celebre romanzo Caos calmo. Questa volta, l’autore ci trasporta in una narrazione intensa e drammatica, dove, nel giro di sole ventiquattro ore, la vita di Paladini subisce un crollo totale. Un grave errore sul lavoro, la patente sospesa, l’ufficio…
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La parabola psichica del Re Lear è protagonista della controversa messa in scena di Lear (desaparecer) al Teatro Corral de Comedias de Alcalá de Henares.
[spoiler title=’Abstract castellano’]La compañía [los números imaginarios] lleva Lear (desaparecer) al Teatro Corral de Comedias de Alcalá de Henares. Nacida por unos seminarios entre actores profesionales y personas con diferentes grados de Alzheimer, Lear (desaparecer) es más una experiencia que un espectáculo teatral, pero lamentablemente muestra los límites tanto de una dirección naif como de una actuación inadecuada.[/spoiler]
La vicenda è nota. L’ormai anziato sovrano di Britannia decide di abdicare e, probabilmente per vanità, decide di spartire il proprio regno in relazione all’amore incondizionato (sic) che le sue figlie sapranno dimostrargli. Deluso da un evento inaspettato (il celebre nothing dell’adorata Cordelia) e accecato dalla rabbia per non aver ricevuto l’affetto che pensava di meritare, Lear si trova a covare odio – con la stessa intensità con cui voleva essere amato -fino a implodere in una fine tragica e senza alcuna possibilità di catarsi.
La questione è però più complessa di come appaia: l’amore di Cordelia è minuto ma assoluto nella sua sincerità e Shakespeare, intrecciando vicende familiari e politiche, le ragioni del cuore e la Ragion di Stato, diede il via a una drammatica e lucidissima sovrapposizione/contrapposizione tra natura e civiltà.
In Re Lear, l’essere umano vuole titanicamente l’assoluto, ma si scopre fatalmente destinato al nulla: ecco che l’amore – quale miglior simbolo di un’eternità possibile? – diventa profondamente contemporaneo nel presentarsi doppio in un intrinseco legame con il proprio opposto (l’odio), una tematica cara e trasversale a tanta produzione del Bardo.
Le possibili letture sono, come è evidente, vastissime e quello che interessa a [los números imaginarios] è utilizzare a pretesto il capolavoro shakespeariano – anche sacrificandone la valenza prettamente tragica – per condurre emotivamente il pubblico a una riflessione sul tempo nelle relazioni umane.
Pur essendo nato da momenti di creazione collettiva con finalità di inclusione sociale tra attori professionisti e persone con diversi gradi della malattia (Diálogo Posible con el Alzheimer) e pur prevedendo la partecipazione di quest’ultimi a invito durante le scene di ballo (invito, del resto, esteso a ogni spettatore), Lear (desaparecer) è un allestimento ibrido che non intende assumere una funzione terapeutica.
Quello che interessa alla compagnia [los números imaginarios] non è proporre una rivisitazione o riduzione del concetto di potere nella sua violenta relazione con la follia e l’amore, quanto guidare didatticamente la riflessione individuale, quindi potenzialmente originale a seconda di ogni astante, su una tematica ben precisa che Carlos Tuñón sintetizza in «¿Qué es desaparecer para nosotros? ¿Cómo acompañar al otro si deja de “ser”?» perché Lear (desaparecer) «no habla únicamente de la vejez, sino de cómo una sociedad se relaciona con la ancianidad y sobre cómo se establece el diálogo entre las diferentes generaciones. Shakespeare lo expuso en su momento a través de un rey al que repudian sus propias hijas cuando ya no les sirve para nada. Nosotros hemos pensado en el alzhéimer como el punto de partida que nos pone hoy sin remedio en ese disparadero».
Caratterizzato da una struttura drammatica libera con ampi momenti di improvvisazione e una modalità pseudo immersiva di interazione tra palco e platea, lo spettacolo si organizza fondamentalmente su due assi, il primo dei quali è relativo alla scomposizione dello spazio.
L’azione si svolge infatti in una sala liberata da sedie e poltrone e accerchiata dal pubblico (che alterna, senza soluzione di continuità, osservazione e partecipazione nei momenti in cui si danza) in cui i confini sono labili e onirici, sospesi tra realtà e fantasia, complice un disegno luce non particolarmente raffinato e musiche ricercate (da Alle prese con una verde milonga di Paolo Conte alla preghiera di Scott Walker Farmer in the city), comunque capaci di esaltare le naturalmente suggestive atmosfere interne del Corral de Comedias de Alcalá.
Il secondo asse è quello della prossimità al testo. Lo sviluppo della fedeltà corrisponde cronologicamente a circa la prima metà di spettacolo (la durata può variare a seconda del contributo del pubblico e delle improvvisazioni); va dall’ingresso in sala, quando ci si vede consegnato un quotidiano con la cronaca del giorno dell’abdicazione da sfogliare collettivamente e si viene invitati a completare al microfono la frase «en mi reino veo» (ognuno può decidere se e quando prendere parola, e cosa leggere), fino al momento in cui Lear interroga le figlie – e con esse il pubblico. Successivamente Lear (desaparecer) decide di oltrepassare lo specchio, di abbandonarsi totalmente alle suggestioni sensoriali, immaginifiche e ludiche ed entrare a gamba tesa sulla questione delle conseguenze e della condizione di chi, persa la memoria, rischia di vedere compromessa la propria dignità, se non fosse per l’intervento e la cura dei propri cari.
Alcune soluzioni appaiono intriganti, in particolare l’utilizzo plastico e scenografico della carta di giornale con cui il cast e il pubblico si troveranno a giocare dopo averlo lacerato in straccetti dando anche forma a una riuscita allegoria della crisi della memoria («la memoria para nuestro Lear no es algo compacto, sino fragmentado, es un conjunto de recuerdos a veces inconexos, un nido de palabras que el protagonista intenta desenredar»).
Altre rientrano nel canone di un allestimento che, posta sottotraccia la propria costruzione narrativa, si annuncia quale esperienza integrale attraverso la danza, la musica e la partecipazione provocata e non organizzata del pubblico. Da questo punto di vista, Lear (desaparecer) inizia a palesare pesanti segnali di fragilità drammaturgica e scenica, dunque tanto sul piano della scrittura quanto su quello dell’interpretazione.
La percezione di un utilizzo non coerente del testo originario non è ovviamente dovuta alle libertà che Carlos Tuñón propone, ma al modo in cui lo piega (il testo originario) all’esigenza di dilatare i tempi in una durata apparsa del tutto ingiustificata (ricordiamo meravigliosi esempi di teatro esperienziale di soli 7 minuti) e per poca la convinzione (forse qualità) con cui gli attori – non gestendo la dialettica tra l’essere persona e l’essere personaggio – danno luogo a una stucchevole sensazione di falso realismo intriso di un manierismo poetico in cui semplicemente si folleggia tra sguardi sognanti e si ricerca sarcasticamente la complicità con il pubblico.
Ma se Carlos Tuñón appare colpevole nel lasciar sovrastare la possibilità stessa di rappresentazione da un eccesso di meta-teatralità, è stata l’interpretazione forzatamente spontanea degli interpreti a risultare ben lontana dal saper plasmare nei toni e nei gesti l’auspicata composizione a-razionale di quello spazio-soglia vissuto da chi esperiesce simultaneamente una mancanza (ciò che si è perso e di cui ormai non ha più memoria) e una resistenza (ciò che si ha ancora ma chissà per quanto).
Lear (desaparecer) non è più la tragedia esistenziale del singolo (sconfitto in sé come sovrano e per sé come padre), purtroppo non è ancora la restituzione fenomenologica del declino dell’essere umano che, perso il passato, non intende rinunciare all’aspettativa del futuro e vuole aprirsi a una esistenza non ai margini nel presente, nella drammatica consapevolezza di quanto sia ardua la lotta per conservare il proprio anelito vitale fatto di affetti e solidarietà, vicinanza ed empatia.
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Lear 11
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Lear Desaparecer
Lear (desaparecer)
Teatro Corral de Comedias Plaza de Cervantes 15, Alcalá de Henares (Madrid) 21 y 22 de febrero, 2020, horas 19:00
Lear (desaparecer) versión y dirección Carlos Tuñón ayte. dirección Mayte Barrera reparto Nacho Aldeguer, Jesús Barranco, Enrique Cervantes, Irene Doher, Pablo Gómez-Pando, Marta Matute, Alejandro Pau, Gon Ramos, Patricia Ruz, Nacho Sánchez, Irene Serrano, Luis Sorolla adjunta dirección Paula Amor pieza Leviatán Luis Sorolla dramaturgia Gon Ramos y los intérpretes del Ensamble espacio y pllástica Antiel Jiménez vestuario Paola de Diego iluminación Miguel Ruz Velasco sonido Nacho Bilbao jefe técnico Jesús Díaz movimiento Patricia Ruz fotografía Luz Soria diseño gráfico Daniel Jumillas vídeo Ales Alcalde estudiante en prácticas Leyre Morlán coordinadora del taller Diálogo Posible con el Alzheimer Paula Amor terapeuta taller Diálogo Posible con el Alzheimer Alberto Sánchez familias taller Diálogo Posible con el Alzheimer Mercedes Ponce, Luis Bataller, Antonio Olmo, Carmen García López, José Luis Salán Gallego, María López, Jaime Pérez Lloret, María del Carmen de la Cruz, Javier Fernández Domínguez, Rosa Calatayud Ruiz de Zuazu, Consolación Alonso Herrero, Fernando Rojo López produce Bella Batalla y Teatros del Canal productor Nacho Aldeguer jefa producción Rosel Murillo ayte. producción Mayte Barrera comunicación Amanda H C (Proyecto Duas) prensa Josi Cortés distribución Isis Abellán
Memorie dal teatro o della scomparsa di Lear La parabola psichica del Re Lear è protagonista della controversa messa in scena di Lear (desaparecer)
#Alberto Sánchez#Alejandro Pau#Antonio Olmo#Carmen García López#Consolación Alonso Herrero#Enrique Cervantes#Fernando Rojo López#Gon Ramos#I dialoghi del cuscino#Irene Doher#Irene Serrano#Jaime Pérez Lloret#Javier Fernández Domínguez#Jesús Barranco#José Luis Salán Gallego#Luis Bataller#Luis Sorolla#María del Carmen de la Cruz#María López#Marta Matute#Mercedes Ponce#Nacho Aldeguer#Nacho Sánchez#Pablo Gómez-Pando#Patricia Ruz#Paula Amor#Recensione Re Lear#Rosa Calatayud Ruiz de Zuazu
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Libri di musica, sottoculture e stili di strada
Una lista di libri che potrebbero interessarti: dalla musica punk alla new wave, dallo ska al brit pop, dal madchester al reggae e le sue sottoculture correlate. Alcuni pubblicati recentementre, altri meno.
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Straight Edge. Storie, filosofia e racconti della scena hardcore punk
American Hardcore. La storia del punk americano 1980-1986. DVD. Con libro
California über alles. Le origini dei Dead Kennedys
Black flag. I pionieri dell'hardcore punk
Fashion sabotage. La moda controcorrente, dagli apaches agli hipster
Ribelli con stile. Un secolo di mode radicali
La rivolta dello stile
Vestire degenere. Moda e culture giovanili
Sottocultura. Il significato dello stile (di Dick Hebdige)
Roma brucia. Quarant'anni di musica capitale
Dov'eri tu nel ‘77?
Dritti contro un muro. L'hardcore punk italiano degli anni '80 raccontato da 140 protagonisti
Costretti a sanguinare. Racconto urlato sul punk
Lumi di punk. La scena italiana raccontata dai protagonisti
Come macchine impazzite. Il doppio sparo dei Kina
Negazione. Il giorno del sole. Con CD Audio
Gothic rock. Sister of mercy, Buhaus, Cure e l'epopea oscura della musica
Creature simili. Il dark a Milano negli anni Ottanta
Università della strada. Mezzo secolo di controculture a Milano
I pirati dei navigli (di Marco Philopat)
Gli altri ottanta. Racconti dalla galassia post-punk italiana
Desiderio del nulla. Storia della new wave italiana
Io sono la new wave. La storia di Federico Fiumani e dei Diaframma
Siberia. Storia illustrata del capolavoro dei Diaframma
Brindando coi demoni (di Federico Fiumani)
Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni Ottanta
No wave. Contorsionismi e sperimentazioni dal CBGB al Tenax
Please kill me. Il punk nelle parole dei suoi protagonisti
New York rock. Dalla nascita dei Velvet Underground al declino del CBGB
Oltre l'avenue D. Un punk a New York. 1972-1982
Storia vissuta del punk a Los Angeles
Viaggio al centro dei Cramps. Il più incredibile fenomeno del rock'n'roll
Stelle deboli. La storia di Sid Vicious e Nancy Spungen
Sid Vicious proibito
Post punk 1978-1984
Joy Division. Autobiografia di una band
Joy Division. Tutta la storia
Punk London, 1977 (libro fotografico di derek Ridgers)
78/87 London youth (libro fotografico di Derek Ridgers)
In the Eighties: Portraits from Another Time (libro fotografico di Derek Ridgers)
Paul Weller:L'uomo cangiante
Mod. Vita pulita in circostanze difficili
Britannica. Dalla scena di Manchester al britpop
Who I Am (di pete Townshend)
Set the boy free. L'autobiografia (di Johnny Marr)
America indie 1981-1991. Dieci anni di rock underground
Come ho resuscitato il brit rock. Alan McGee e la storia della Creation Records
Mister Smiths. Morrissey si racconta
Saint Morrissey. Psicobiografia dell'ultima popstar
Brit Rock (Atlanti musicali Giunti)
Brit rock. I classici
Brit Rock. I Moderni
Retromania. Musica, cultura pop e la nostra ossessione per il passato
Polvere di stelle. Il glam rock dalle origini ai giorni nostri
Hendrix 1968. The italian experience
A casa delle rockstar. Viaggio all'interno delle fantastiche dimore di Elvis, Ozzy, Dylan, Lennon, Page, Hendrix e di tante altre leggende del rock.
1968. Soul e rivoluzione
Original rude boy. Dalla Giamaica agli Specials, l'autobiografia dello ska inglese
Bass culture. La musica dalla Giamaica: ska, rocksteady, roots reggae, dub e dancehall
Solid foundation. Il reggae raccontato dai suoi protagonisti
Rave new world. L'ultima controcultura
Rave in Italy. Gli anni Novanta raccontati dai protagonisti
Once were ravers. Cronache da un vortice esistenziale
K. Ketamina. Il fattore k della psichedelia
Italia Skins. Appunti e testimonianze sulla scena skinhead, dalla metà degli anni '80 al nuovo millennio
Spirit of '69. La bibbia skinhead
Rabbia skinhead. Racconti di vita londinese
Le radici della rabbia. Origini e linguaggio della cultura skinhead
Essere skinhead. Birra, boots e oi!
Roma siamo n'Oi! Scatti e racconti dalla scena skinhead, punk e mod dell'ultimo decennio
Come rondini in gabbia. Punk e skin fotografati sul lavoro e nella vita quotidiana
Rituali di resistenza. Teds, Mods, Skinheads e Rastafariani. Subculture giovanili nella Gran Bretagna del dopoguerra
Ultrà. Le sottoculture giovanili negli stadi d'Europa
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Teppa. Storie del conflitto giovanile dal Rinascimento ai giorni nostri
Il derby del bambino morto. Violenza e ordine pubblico nel calcio
I ribelli degli stadi. Una storia del movimento ultras italiano
Tifo estremo. Storie degli ultras del Bologna
Congratulazioni. Hai appena incontrato la I.C.F. (West Ham United)
Millwall vs West Ham. Il derby della working class londinese
Non piacciamo, non importa. Storie vere da Millwall, la più famosa curva hooligans del Regno Unito
I ribelli degli stadi. Una storia del movimento ultras italiano
Ultras. I ribelli del calcio. Quarant'anni di antagonismo e passione
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Nota dell’autore La decisione di pubblicare un libro deve necessariamente rispondere a un’esigenza, a una motivazione, ad almeno un motivo principale tra altri che possono spingere a prendere tale decisione. Questo saggio non fa eccezione. Prevalentemente caratterizzato da analisi sociopolitiche, è maturato all’interno del lavoro della redazione di scienze sociali di Helios Magazine, nel periodo che va dal 2001 ad oggi. Ed è la successione naturale alla pubblicazione di È un mondo complesso, analisi bioantropologica dell’Occidente (Città del Sole Edizioni, 2001). Di quest’ultimo ho sentito l’esigenza di verificarne anno dopo anno la validità del quadro culturale e sociopolitico che in esso avevo approfondito e, per certi versi, anticipato. Quel saggio era uscito pochi giorni dopo l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 ma ovviamente era il frutto di un lungo lavoro durato circa due anni. Molte cose contenute in quel saggio si sono realizzate nella realtà sociale e politica dell’Occidente a cominciare dal clima di terrore, alla conseguente riduzione delle libertà personali, allo scontro tra civiltà, al dominio del mercato sull’individuo e sulle collettività e alla conseguente implosione dello stato di diritto che aveva caratterizzato l’Europa fino al 2000. Non solo queste cose erano già presenti nelle analisi del saggio del 2001 ma anche le azioni di denuncia, la divulgazione su stampa e televisione, l’impegno politico e sociale, che mi hanno visto coinvolto assieme a milioni di persone nel mondo. Azioni che non sono servite a impedire che una guerra inutile sconvolgesse prima 11 gli assetti politici degli Stati e poi le vite di ognuno di noi. E non sono servite a fermare il ritorno di una politica mediocre e corrotta, di cui l’Italia detiene il primato in Europa pur essendo in buona compagnia. Oggi viviamo in quelle condizioni di ricatto esistenziale e materiale che pure avevamo in tanti previsto e denunciato. C’è, quindi, una prima considerazione da fare nell’accingersi a pubblicare un libro: a che serve? Forse a mettere a fuoco con maggiore chiarezza le lacune dello studio passato; o anche per rivolgersi a chi aveva il compito di agire per il bene comune e non ha saputo o voluto farlo. Rivolgersi, quindi, alla politica e a un’opinione pubblica sempre più confusa e smarrita. In un primo momento mi sembrava opportuno rivolgermi a un pubblico che, per l’esperienza fatta nel campo degli studi sociologici e dell’impegno sociale, avesse condiviso una certa visione dei fatti politici e sociali con il background ideale e culturale in cui io stesso mi sono formato. Sono un uomo che ama definirsi “di sinistra” e in tale campo politico e sociale ho da sempre operato. Ma questo saggio con una tale impostazione, sarebbe stato solo un ulteriore contributo a un dibattito che da tempo sento non appartenermi più, ovvero di quale sia in Italia il ruolo della sinistra. Se non addirittura arrivare a porsi in forma assolutamente seria la domanda: esiste ancora la sinistra? Non era questa l’esigenza che sentivo e allora ho provato a continuare a fare quello che, più o meno bene, mi riesce di fare: studiare ed esporre fenomeni sociali, fare sociologia, in questo caso sociologia politica. E, facendo questa considerazione, mi sono accorto che un discorso del genere si ricollegava perfettamente alla questione della sinistra politica e sociale. Mi è venuto in mente l’atteggiamento che, fino agli anni ’80 del secolo scorso, la sinistra ha tenuto proprio nei confronti della 12 sociologia. Un atteggiamento perlomeno diffidente, essendo questa disciplina considerata dalla sinistra una scienza “borghese”. Questa etichetta è sempre stata stridente con la mia formazione culturale e lo è divenuta sempre di più mano a mano che avanzavo nei miei studi. Ho sempre considerato l’atteggiamento di gran parte della sinistra, nei confronti delle scienze sociali, non solo sbagliato ma addirittura miope e autolesionista. Uno dei motivi per cui oggi la sinistra si trova in una condizione di minoranza politica e sociale è senza dubbio il ritardo culturale che ha accumulato in questa branca di studi; che, tra l’altro, gli ha impedito di intercettare il punto di rottura tra il pensiero liberale e il pragmatismo liberista. Povera di strumenti di analisi adeguati ai mutamenti imposti dal liberismo, la sinistra si è limitata a denunciare ma non ha saputo affrontare e governare, nei tempi e nelle forme opportune, le trasformazioni che si vedeva scorrere davanti. Ai sociologi spetta il compito di studiare e di tentare di spiegare la realtà, ai filosofi di cercarle risposte esistenziali e alla politica di trovare strade per cambiarla. Ecco che, affrontando l’analisi degli avvenimenti politici e sociali verificatesi negli ultimi dieci anni e non solo in Italia, ho provato a darne una lettura in termini sociologici concentrandomi, soprattutto nella parte finale del testo, sulle dinamiche della comunicazione, strumento fondamentale non solo per capire la realtà ma anche per intervenire su di essa. Che il mio approccio metodologico si possa inquadrare in quel filone considerato un po’ eretico è un fatto, ma non dimentichiamo che siamo in Italia, paese di democrazia populista e confessionale (imposta dalla destra e ampiamente condivisa dalla sinistra!) che non ha mai conosciuto una vera epoca liberale e socialista. Il mio approccio eretico, perché laico e perché pone problemi inerenti al progressivo svuotamento del senso della democrazia, 13 credo di poterlo rivendicare, ma gli strumenti d’analisi adoperati sono quelli di una “scienza” che per me era e rimane semplicemente scienza sociale senza ulteriori aggettivi. In definitiva questo saggio si propone di offrire ancora strumenti di riflessione e di conoscenza, con l’auspicio che la risposta sia certamente critica e dialettica ma contestualizzata su analisi ragionate e non su semplici reazioni emotive agli eventi che subiamo spesso con un senso di impotenza. Riservo per ultimo il ringraziamento doveroso agli amici di Helios Magazine che, ormai dal 1996, condividono con me le loro esperienze e le loro qualità intellettuali e umane; tra essi un ringraziamento particolare a Katia Colica e Salvatore Romeo per il contributo fattivo e prezioso che hanno dato alla nascita di questo lavoro. 14 Prefazione Quali che siano le coordinate entro cui si svolge la parabola della nostra vita, il fattore psicologico più importante è costituito dalla possibilità di “sognare” opportunità future in grado di realizzare le più ambiziose aspettative personali e di migliorare la propria condizione. Il mondo fantasmatico costruito dal nostro inconscio è un serbatoio fondamentale dal quale attingiamo l’energia e l’immaginazione necessarie per costruire non solo la nostra personalità, ma anche il nostro domani. È in esso che si generano le speranze, le aspettative, le prospettive che orientano il nostro pensiero e il nostro agire. Oggi, però, sembra quasi che gli eventi che accadono intorno a noi siano indirizzati verso una direzione che frustra ogni possibilità di immaginare un futuro migliore e il declino degli ideali; il degrado ambientale, l’esaurimento delle risorse naturali, il fanatismo terroristico e lo svilimento del senso etico si affiancano alla precarietà occupazionale e all’incertezza economica per dipingere uno scenario dominato da tinte fosche e da sentimenti realisticamente pessimistici. Se a tutto questo aggiungiamo la percezione del vorticoso fluire del tempo e della mancanza di spazi ben definiti, riconosciuti e rassicuranti determinata dai moderni mezzi telematici, forse riusciremo a comprendere perché l’uomo moderno possa sentirsi, oggi più di ieri, smarrito e disorientato, prigioniero di un mondo instabile e indeterminato. 15 In questo contesto forse la sensazione più diffusa è quella dell’ineluttabilità, come se le cose che accadono non fossero esse stesse eventi determinati dalle nostre opere o dalle nostre omissioni, come se esse fossero delle conseguenze di scelte alle quali noi, piccoli elementi di un grande sistema, non possiamo nemmeno minimamente pensare di partecipare. Così tutto “accade”, tutto avviene sopra la nostra testa, tutto si svolge al di fuori delle nostre possibilità e a noi sembra di osservare una scena virtuale senza la consapevolezza di esserne al contempo non solo spettatori, ma soprattutto attori. Nessuno di noi può chiamarsi fuori dalla Storia che si sta scrivendo sotto i nostri occhi, nessuno può affermare di non partecipare agli eventi che stanno trasformando così convulsamente il mondo contemporaneo. Probabilmente in tutto questo possono giocare un ruolo importante dimensioni psicologiche legate ad archetipi profondi, che riattivano in noi angosce primordiali collegate alla paura dell’ignoto. Sia l’incertezza sul futuro, sia il presente vissuto sotto l’ombra della provvisorietà divengono rappresentazione dell’illusorietà e di quell’imprevedibilità che sfugge a ogni controllo razionale; e sappiamo bene che ognuno di noi ha bisogno, almeno, di illudersi di controllare l’ambiente in cui vive. Il sentimento di precarietà che scaturisce da queste considerazioni genera a sua volta confusione, contraddizioni e un diffuso pensiero di transitorietà alimentati, oltretutto, da un sistema di comunicazione strumentale e sottoposto alle esigenze del mercato e delle logiche dei poteri dominanti. La storicità, invece, rappresenta l’elemento comune di una Società, il filo temporale che ne collega l’esistenza, la materia che ne determina la continuità e l’identità, dimensione che in fondo le conferisce una forma ben definita, elevandola a creatrice di Civiltà. Ma l’epoca attuale sembra avere smarrito questo senso della memoria, distratta nel fare tesoro delle esperienze acquisite e 16 di un patrimonio che potrebbe essere un contenitore consolatore per il presente e una guida illuminata per il futuro. La Civiltà umana si protegge e si evolve in virtù della sua memoria storica, del suo ininterrotto progresso fatto sì di conquiste e di miglioramenti, ma disseminata anche di eventi negativi. Uno dei punti forti di questo saggio è certamente la volontà di focalizzare l’attenzione e quindi, di riconquistare la memoria storica, sugli eventi accaduti negli ultimi anni e sulle premesse che, se lette per tempo e tenute in considerazione, avrebbero potuto rappresentare probabilmente degli elementi da cui partire, se non altro, per limitare i danni. Molti capitoli analizzano le radici antropologiche di una crisi che è divenuta globale (oppure di una crisi globale che è implosa e ha generato tante altre crisi localizzate?), altri le ragioni politiche ed economiche, altri ancora quelle culturali e filosoficoreligiose, tenendo insieme avvenimenti in apparenza, e solo in apparenza, molto diversi tra loro. Siamo veramente sicuri che tutte queste prospettive non abbiano nulla in comune oppure, come ci ha insegnato l’esperienza della globalizzazione, dobbiamo pensare che non esistono più ambiti concepibili come concettualmente autonomi e indipendenti? Il saggio collega gli accadimenti, fornisce al lettore un prezioso grand’angolo col quale osservare un panorama ampio e gli offre elementi d’approfondimento essenziali per una comprensione critica di avvenimenti anche distanti nel tempo. L’ottica di osservazione non si esaurisce mai nella pura analisi o nella descrizione, come farebbe un mero sociologo, ma si sforza quasi sempre di individuare elementi critici, punti nodali e sostanziali dai quali ripartire per cercare di dare risposte e di incidere in modo fattivo sui “destini del mondo” come farebbe, invece, un sociologo-politico. 17 Il lavoro non è semplice, né facile, né, forse, concretamente palpabile, nel senso di offrire una percezione immediata dei risultati, ma sicuramente riesce a dare spunti di riflessione e a suggerire vie da percorrere. A cosa serve un saggio del genere, ci si potrebbe chiedere. Si potrebbe rispondere con le parole dell’Autore stesso: «anche per rivolgersi a chi aveva il compito di agire per il bene comune e non ha saputo o voluto farlo». Oppure ancora dicendo che è venuto il momento di “coagulare” le conoscenze, per usare un termine prezioso in alchimia. Così come sottilmente e continuamente la Cultura dominante, attraverso gli indirizzi forniti in maniera ora assordante ora silenziosi ma con altrettanta dirompente eco emotiva, è riuscita a condizionare la coscienza collettiva e a orientarla verso modelli di esistenza inadeguati, ove non aberranti (penso alle “guerre giuste”, per fare solo un esempio), il suggerimento che scaturisce dalle riflessioni che leggiamo in questo lavoro è quello di scuotere la coscienza degli “Intellettuali” verso una sempre maggiore e più viva presenza all’interno della Storia e della Società in cui vivono, poiché, come riporta l’Autore, si possa dire «Io forse ho perso, ma ho partecipato e non mi sono arreso». In un’epoca nella quale i più profondi valori cristiani che, credenti o non credenti accettiamo per la loro universalità, sembrano irrimediabilmente decaduti, allorché la violenza privata e collettiva sembra prendere il sopravvento sul bene della pace e della concordia, quando il più bieco individualismo sembra sopraffare i valori della solidarietà e l’interesse privato viene prima del bene pubblico, allorché l’egoismo soffoca l’altruismo, l’intolleranza uccide l’umiltà della condivisione e della comprensione, sono i concetti stessi di libertà, di giustizia sociale e di democrazia a venir meno. 18 Questo è un messaggio che deborda da ogni pagina, come da tutto il libro tracima con altrettanta forza l’esigenza di un “nuovo umanesimo” che rivaluti i beni della libertà e della giustizia e di cui gli Intellettuali dovrebbero farsi promotori visibili, probabilmente scendendo dalle loro torri d’avorio, uscendo dai loro santuari, schiarendosi la voce e sensibilizzando le menti, in modo che la coscienza divenga consapevolezza: solamente quando vi è consapevolezza si ha il coraggio di agire, la forza per tentare di modificare una situazione inaccettabile. Nella nostra epoca globale, senza spazi e senza tempi per riflettere, il compito dell’Intellettuale non è solo quello di valutare con saggezza i messaggi sociali, di contestualizzare gli eventi, di vagliare con spirito critico le conoscenze per renderle elaborabili dalla collettività, oppure quello di tramandare le esperienze acquisite ma dimenticate dal sistema. La sua funzione è anche quella di “urlare” contro le false suggestioni del profitto e della forza che ci vengono propinate dall’Establishment e di promuovere nuove e “vere” concezioni, assumendosi la responsabilità di riscrivere i princìpi del Terzo Millennio, alla luce di quella nuova umanità che ispira il loro autentico e segreto “sentire”. Salvatore Romeo, psicoterapeuta e saggista 19
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“Rendiamo la vita assurda da est a ovest”: Pessoa e le mille identità che finirono per divorarlo
Al liceo quel libro sembrava dire esattamente chi fossi, in quale estraneità a precipizio. La forma diaristica, di per sé, affascina il ragazzo che ha molto da confessare e poca voglia di leggere – i suoi tumulti amletici chiedono tomi esegetici, non più romanzi, la giovinezza di gettarsi nelle avventure altrui è finita, è ora di compiere la propria. Il titolo, però, fu molto. Il libro dell’inquietudine. Lo possedevo nell’unica edizione di allora, Feltrinelli, e fu, per quell’anno a spirale, la bibbia, il libro di culto, al netto di una ossessione monotematica e dell’inesausto grigiore epigrammatico. Poi Pessoa – che lì indossa Bernardo Soares, “aiutante contabile nella città di Lisbona” che “a Lisbona passò tutta la sua mediocre vita di piccolo impiegato” – diventò una moda. Eppure, quell’abracadabra dello spirito – Desassossego – continuò ad agire in me con formula incantatoria. Di recente ho preso l’edizione mondadoriana del Libro dell’inquietudine, più ‘aggiornata’ (“La storia del Libro dell’inquietudine è la storia di un libro che non c’è”, scrive, con formula conclusa, Valeria Tocco), nonostante il suo autore sia, per natura & per scelta, inarginabile, inattuale, infinito. Ho ripreso a sottolinearlo, manco avessi terrazzamenti d’abisso nel cuore.
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Mi piace questo: “È nobile essere timido, illustre non saper agire, grande non avere predisposizione per la vita… I fuochi fatui che esalano dalla nostra putrefazione sono almeno luce nelle nostre tenebre. Solo l’infelicità eleva”. Se fossi lo studente di allora, confinerei il mio diario, lo zaino, il corpo, con le agnizioni di Pessoa/Soares: “Rendiamo la vita assurda, da est a ovest”; “Non il piacere, non la gloria, non il potere: la libertà, unicamente la libertà”; “Trovare la personalità nella circostanza di perderla”; “Possiamo morire se soltanto abbiamo amato”. Anche quando appare ovvio, è ovvio che lo sia, Il libro dell’inquietudine, perché è il libro dell’estrema giovinezza. Pessoa conobbe quell’ennesimo se stesso, Bernardo Soares, “in una modesta trattoria di cui era cliente fisso, e fu proprio a uno di quei tavolini che Soares gli si rivelò scrittore”.
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Un po’ come tutti, sono entrato in Pessoa, lo scrittore che ha reso la letteratura una sublime truffa e il Portogallo la sfilettatura di un sogno, attraverso Antonio Tabucchi. Acquistai una delle tante edizioni di Una sola moltitudine, il primo volume di un dittico – ma il secondo, del 1984, è “temporaneamente non disponibile” – che riduce in antologia la molteplice mente di Pessoa. Fu una scoperta clamorosa. Ora che Adelphi, quarant’anni dopo – era il 1979 – riproduce il tomo in versione economica, l’effetto è un poco anacronistico. La mitica introduzione (allora) di Tabucchi (sia lode a lui), Un baule pieno di gente, è un tanto datata. Quarant’anni fa si poteva scrivere che “Una sistemazione soddisfacente di Pessoa come ‘intellettuale’… è ancora ben lontana dall’essere effettuata”; ora siamo al cospetto di un autore, fortunatamente, tra i più noti, sviscerati, tradotti (solo quest’anno sono uscite due edizioni del Libro dell’inquietudine, per Rusconi e per Foschi, e una edizione Passigli delle Poesie di Ricardo Reis). Si spera poi che le schifiltosità politiche (Tabucchi scriveva di “imbarazzo della critica di fronte a un personaggio scomodo come Pessoa”) siano sanate, senza strepiti (“Pessoa non ha niente in comune con certi mediocri personaggi, come ad esempio alcuni vociani di casa nostra, di cui è ricca la classe dei ‘cattivi’ del Novecento: appunto dalla voce troppo alta, beceri e aggressivi in gioventù, docili e conformisti in età matura, remissivi e folgorati dalle conversioni dopo la pensione”, scrive ancora Tabucchi). Non c’è editore che non abbia il ‘suo’ Pessoa, autore che ha pure il genio, postumo, di ‘vendere’; sono pubblici parecchi documenti altrimenti obliati (Bietti l’anno scorso ha pubblicato, per dire, Politica e profezia. Appunti e frammenti. 1910-1935). Ergo: forse al posto di ristampare un libro di quarant’anni fa, si poteva tentare una specie di ondivaga ‘opera completa’, con nuovi studi oltre a quello, miliare, di Tabucchi.
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La forza di Pessoa: avere un pensiero fisso fino a esaurirlo, metterlo in bocca all’ennesimo se stesso e infine perderlo. Lo scrittore non ha pensieri, ne ha infiniti, non ne difende nessuno, li spreca tutti.
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Pessoa ci induce a pensare che la vita è spettrale – perciò dobbiamo divenire spettro di fantomatiche identità. Ciascuna identità ha un volto, una statura biografica, un carattere, un modo di accarezzare. Lo ‘pseudonimo’ è puro vezzo – vizio narcisista. L’eteronimia sancisce legami biologici, per così dire: si dà la vita perché altre identità divorino la nostra, la sola. Fino a non sapere più chi sei. Pessoa è un spettro, Pirandello colloca specchi; Conrad ricama le ombre, Hemingway ambisce alla carne fino a dissiparla, Beckett ci porta al sopruso del grammaticale, all’uomo ridotto a singulto, singhiozzo.
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I Materiali di Una sola moltitudine – volume primo – sono utili, registrano “un primo censimento” delle svariate identità letterarie di Pessoa – compreso lo scrittore Pessoa. Alberto Caeiro era “schivo e solitario, riservato e contemplativo”, “biondo, pallido, con gli occhi azzurri, di media statura”, come se lo ricorda Pessoa, era poeta, per lo più bucolico; Alvaro de Campos, nato in Algarve, laurea a Glasgow “in ingegneria navale”, “alto, coi capelli neri e lisci divisi da un lato, impeccabile e un tantino snob, col monocolo”, viaggiò in Oriente nel 1914, fu avanguardista, poi pirandelliano, comunque poeta; Ricardo Reis praticò l’esilio brasiliano dal 1919, fu medico, educato dai gesuiti, eccellente nell’ode, figlioccio di Walter Pater; Alexander Search fu portoghese che si dilettava a scrivere in inglese, di lui si ricorda “un patto con Satana che reca data 2 ottobre 1907”; António Mora fu filosofo neopagano, “alto, imponente, lo sguardo vivo e altezzoso e la barba bianca”, finì i suoi giorni in manicomio; A.A. Crosse fu intimo di Pessoa, “visse per partecipare ai cruciverba e alle sciarade del Times”; Abilio Quaresma fu “autore di racconti gialli dei quali egli era anche protagonista (faceva l’investigatore privato)… come Auguste Dupin e Nero Wolfe risolveva i casi a distanza”. Ne esistono altrettanti, e altri, in cui fare catatonico ingresso.
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Del resto, è l’eccitabile umore retorico di Pessoa, l’invenzione dodecafonica che amo. Passa dal feroce Ultimatum (“Uomini, nazioni, intuizioni, è tutto annullato! Fallimento di tutto a causa di tutti! In un modo completo, in un modo totale, in un modo integrale: Merda! L’Europa ha sete di creazione, ha fame di Futuro! L’Europa vuole grandi Poeti, vuole grandi Statisti, vuole grandi Generali!”) alla lama dello spietato aforisma (“Il tuo corpo reale che dorme/ è un freddo nel mio essere”), dalla poesia esistenziale (“Grandi misteri abitano/ la soglia del mio essere,/ la soglia dove esitano/ grandi uccelli che fissano/ il mio tardivo andare aldilà di vederli”) all’ode tonante (“Vieni, Notte antichissima e identica,/ Notte, Regina nata detronizzata,/ Notte internamente uguale al silenzio, Notte/ con le stelle, lustrini rapidi/ sul tuo vestito frangiato di infinito”).
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Interessante: oggi rincorrono una ‘individualità’, corrono a fotografarsi fino a lacerare l’ultimo brandello di maschera (così disintegrando il viso nella mitragliata di selfie); lui rendeva milioni il proprio individuo, per sparire, cioè, per conservarsi integro.
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Non ha creatura, qui, l’abilità tecnica, ma l’estensione della fame, il barometro dei sensi, il Nord degli occhi. Ogni giorno ha il suo giogo verbale: un vocabolario è misero per dirne il desiderio, il demone, il declino. “Gli spigoli mi fissano… Sensazione di essere solo la mia spina… Le spade”. Della vita si è il taglio, l’opera è una ferita – e noi… già spariti.
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Che non ci sia ‘proprietà’, il sigillo del nome, ma l’inappropriato, amo di Pessoa. (d.b.)
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Sulla fine deprimente di Madonna. Nonostante l’uscita di un nuovo disco, la diva che ha spostato sempre più in là i limiti del lecito (e del sesso) è diventata una donna ordinaria, casalinga, patetica
Uno sposo femmina s’inchina, sfila la giarrettiera alla sua sposa, la ragazza alla sua sinistra, dai capelli corvini, pelle ambrata, e gambe sinuose. Questo sposo femmina si rialza, mette la lingua in bocca alla sua seconda sposa, la bionda alla sua destra, dalle curve generose, e labbra tumide; poi si gira di scatto, e cerca e ritrova la bocca della sposa mora, a cui passa e mischia sapori, e umori suoi, e della rivale. Era il 2003, 16 anni fa, un’eternità fa: l’ultima, vera provocazione di Madonna. I media si scatenarono, parlarono di ‘linguistico’ passaggio di testimone, invece era il calo del sipario, l’ultimo guizzo pop prima che Britney Spears entrasse e uscisse dai rehab, Christina Aguilera si sformasse, e Madonna venisse inghiottita dalla menopausa.
Tutto finisce, per carità, ma su una fine così deprimente, chi ci avrebbe scommesso? Dopo quella fiammata, sono seguiti sì altri dischi, altre tournée, ma nessuno ha acceso più niente, provocato critiche, smosso alcunché. Britney e Christina forse torneranno, lo spero ma ci credo poco, lei no, perché il problema di Madonna non è – come si è da poco lagnata con Vogue Uk – la sua età, no, il problema di Madonna si chiama internet, vedi alla voce social. Lei ha regnato come una tiranna sul mondo della musica finché eravamo analogici, e non connessi. Arrivato il web, dovendo fare i conti con una realtà sconosciuta, impalpabile e ingovernabile, Madonna è diventata una tra le tante e, complici scelte di vita mediocri, non degne di una star, si è imposta una gara con chi non le riconosce merito, gioca altri giochi, con regole inedite. Per chi è stata la più grande, ora è inutile postarsi sui social, suicida diventare come gli altri; inutile su un palco mimare sesso orale, e reclamare carne giovane a soddisfacimento di vampate senili; è inutile sfilare sul red carpet a chiappe scoperte, inutile iniettarsi botox su botox. È passato il suo tempo, non c’è nulla da fare, né da sperimentare, specie per chi è stata con valore in vetta.
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Il prossimo 14 giugno esce il suo nuovo album, Madame X, e per l’ennesima volta si parla di disco del ritorno, della resurrezione, di chissà che. S��, le premesse appaiono migliori delle precedenti, stavolta pare che Madonna vi abbia lavorato duro, costruendosi a traino e immagine un alter ego a più facce, a cardine di un progetto molteplice. Ma che cosa vuoi creare di nuovo, e migliore, e più intrigante di tutte le Madonne che hanno colorato gli anni ’80 e ’90 dominandoli, quando ogni sua nuova uscita, ogni nuovo singolo, segnava una (ri)nascita, un rinnovamento esistenziale, un intrigo, una battaglia verso l’autodeterminazione di lei e di te donna, di lei e di te etero/bisex/pansessuale, di lei e di te come persona unica, sacra, e irripetibile. Ce n’erano, al tempo, di tabù da infrangere, ce ne sono ancora ma Madonna non ha più voglia, capacità, inventiva. Non funziona più. Leggi l’intervista a Vogue Uk: appare una donna irriconoscibile, che si lamenta dell’età, e delle amarezze e delle delusioni che la vita e i figli le hanno dato, e le danno. Una Madonna che incolpa i social, ovvero – orrore degli orrori! – una Madonna disconnessa al presente. Lei che il presente lo modellava, lo guidava impostandogli ritmo e regole che gli altri dovevano seguire per essere qualcuno, dopo di lei. Oggi, invece, ecco una donna delusa dagli uomini, stufa di toyboy che non la capiscono (o è lei che non capisce loro?), rei di rapporti soddisfacenti eccome, a letto, ma improduttivi fuori.
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“Madonna Sex” è il libro fotografico provocatorio del 1992, realizzato da Steven Meisel
In un vile confronto col suo passato, Madonna appare il museo di se stessa, una donna che ha accumulato traguardi e vittorie incredibili, che ha segnato in lungo e in largo il costume, e c’è ben più da imparare, prendere a modello tra i suoi vecchi lavori, che in quello che oggi fa e farà. Quando da cattolica dedicava dischi blasfemi al papa e gli rompeva l’anima, alzando il dito medio ai valori familiari, e mimando indecenti masturbazioni; quando mostrava orgogliosa in retro copertina com’era brava a prenderlo in bocca tutto, fino in gola, e quando era al centro di saffiche orge; quando sfidava il sesso il più estremo e indicibile, in libri fotografici scrigni di fantasie morbose, sessualità esibite a molestia di vecchi, e si portava a letto Naomi Campbell, top model lesbiche, e nessun maschio poteva saziarla, fosse Prince, o Lenny Kravitz. Quando era sadomaso e legava Willem Dafoe a letto facendosi poi da lui sodomizzare sul pavimento, in una finzione cinematografica camp, kitsch, tutto quello che volete ma che vale oro se comparata all’annaspamento odierno; e quando in bianco e nero se ne andava in giro per le strade di Miami nuda, sfatta, bellissima, la regina di ogni sudicio desiderio, a chiederlo in bocca al primo che passa e a metterti in bocca ogni bestemmia, costringendoti a fare i conti coi tuoi limiti etici, di buon gusto, sociali. Ti stremava a furia di provocazioni e di asticelle del pudore programmaticamente alzate sempre più in alto, e però nessuno ce la faceva a starle dietro, nemmeno musicalmente, perché il trend lo dettava lei. Allora era dannatamente avanti, irraggiungibile, e si doveva prendere posizione su di lei, e su quello che faceva e diceva e il sesso che esibiva (The Madonna Connection, ne fu la prova: saggio sul fenomeno Madonna, icona di riferimento di una subcultura da cui cercare morale riparo).
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Poi, il declino: lento, eroticamente insopportabile. Guy Ritchie, le maternità, la fissa di credersi un’attrice, e una regista, (è stata un’ottima Evita, e lì avrebbe dovuto fermarsi, Oscar in mano); anni di vita ordinaria che artisticamente la prosciugano a forza di affrontare il patetico, casalingo quotidiano. Madonna si è così annoiata, tentando di trovare improbabili vie di uscita scrivendo libri di fiabe, e nella Kabbalah (ribattezzandosi Esther, se n’è accorto qualcuno?), e partorendo album scialbi, da dimenticare. Da tempo avrebbe dovuto optare per un furbo, opportuno ritiro, spassandosela con chi e come vuole, evitandoci questo tedio, questa delusione infinita per chi ha visto in lei, e giustamente, e doverosamente, come essere femmine libere e trasgressive, fiere di fot*ere il mondo, dopo esserselo messo sotto i piedi.
Esagero? Allora qualcuno mi faccia notare che c’è di diverso tra Medellín e qualsiasi altra canzonetta che gira in rete.
Barbara Costa
L'articolo Sulla fine deprimente di Madonna. Nonostante l’uscita di un nuovo disco, la diva che ha spostato sempre più in là i limiti del lecito (e del sesso) è diventata una donna ordinaria, casalinga, patetica proviene da Pangea.
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