#atarassia
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" Sopportava il dolore da irriducibile, e non chiedeva aiuto a nessuno, aiuto morale intendo. Una volta citò a nostro beneficio, rapide come se ce le dettasse, parole che ritrovo in uno dei miei quaderni di appunti: «Le cose sono di due maniere; alcune in potere nostro, altre no. Sono in potere nostro l’opinione, il movimento dell’animo, l’appetizione, l’aversione, in breve tutte quelle cose che sono nostri propri atti. Non sono in poter nostro il corpo, gli averi, la riputazione, i magistrati, e in breve quelle cose che non sono nostri atti. Le cose poste in nostro potere sono di natura libere, non possono essere impedite né attraversate. Quelle altre sono deboli, schiave, sottoposte a ricevere impedimento, e per ultimo sono cose altrui. Ricòrdati adunque che se tu reputerai per libere quelle cose che sono di natura schiave, e per proprie quelle che sono altrui, t’interverrà di trovare quando un ostacolo, quando un altro, essere afflitto, turbato, dolerti degli uomini e degli Dei. Per lo contrario se tu non istimerai proprio tuo se non quello che è tuo veramente, e se terrai che sia d’altri quello che è veramente d’altri, nessuno mai ti potrà sforzare, nessuno impedire, tu non ti dorrai di niuno, non incolperai chicchessia, non avrai nessuno inimico, niuno ti nocerà, essendo che in effetto tu non riceverai nocumento veruno.»* Immagino che, leggendo Epitteto per la prima volta, le sue verità le siano sembrate palesi piú che rivelatorie. "
*Tratto dalla traduzione dal greco di Giacomo Leopardi (1825) del Manuale (Enchiridion) di Epitteto.
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Julian Barnes, Elizabeth Finch, traduzione di Susanna Basso, Einaudi, 2024¹, pp. 23-24.
[Edizione originale: Jonathan Cape publishing, London, UK, 2022]
#Julian Barnes#Elizabeth Finch#Susanna Basso#letture#leggere#libri#letteratura inglese contemporanea#Regno Unito#romanzi#narrativa#XXI secolo#stoicismo#Epitteto#Lucio Anneo Seneca#Marco Aurelio#filosofia antica#antichità#etica#disciplina#virtù#Zenone di Cizio#età ellenistica#Impero Romano#atarassia#autocontrollo#dominio sulle passioni#Giacomo Leopardi#saggezza#laicità#Enchiridion
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Atarassia #02 - Magico algoritmo - Entity N° 16022
Pennarelli e biro su carta A4 (21 x 29,7 cm , 350 gr.)Disponibile sul mio art shop: bananartista.etsy.com
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Il concetto di imperturbabilità alla Winckelmann: “nobile semplicità e quieta grandezza”
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Atarassia Grop - 04 - "Ad ogni passo" dall'album "Non si può fermare il vento
Una delle canzoni che cantavo a mia figlia quando era piccina.
Nella mano una matita che danza scrive parole che non sa pronunciare Le mette in ordine sul foglio che avanza per non farle scappare Prima del giorno in cui potrai camminare saprai già molto di quest'uomo normale Delle sue braccia tese verso qualcosa che non riesce a toccare E riderai perché non sa raccontare tutte le storie che vorresti ascoltare Non si ricorda come vanno a finire e da che punto iniziare Ma starà lì davanti a tutti i tuoi perché Canterà le sue canzoni per farti addormentare Già il vento mi parla di noi Mi porta la voce che avrai Di tempo ne avremo e ne avrai E ad ogni passo, ad ogni tuo passo voltandoti mi incontrerai Strappando gioie ai miei giorni futuri vedrò il tuo viso quando avrai la mia età E dentro al sogno non saprò rinunciare a volerti speciale Con la paura di aver poco da dire e la speranza che ti possa servire Ti insegnerò che dietro ad ogni sconfitta c'è un traguardo che aspetta E che non basterà una brutta caduta per farti scendere dalla bicicletta Perché è più forte chi ha imparato a rialzarsi di chi non cade mai...
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Ok I actually got asked to make a list of my favourite italian bands! I'll divide them into genres and add one song for each 😁
Punk and subgenres
Banda Bassotti - Mockba 993
Erode - Stalingrado
66cl - Ragazzo dei 2000
Autodifesa Proletaria - I compagni che sparano non sono criminali
Azione Diretta - Siamo Tempesta
Atarassia Groep - L'Oltretorrente
Redska - La Rivolta
Prozac+ - Acida
Rap & trap
P38 - Moda Italiana
Assalti Frontali - Avere Ventanni
Do Your Thang - Company
99 Posse - Guai A Chi Ci Tocca
Prog Rock
Premiata Forneria Marconi - Impressioni di Settembre
Stormy Six - Stalingrado
Area - Luglio, Agosto, Settembre (nero)
Il Banco del Mutuo Soccorso - R.I.P.
(Combat) Folk
Bandabardò - Lo Sciopero del Sole
Casa del Vento - La Canzone di Carlo
I Ratti della Sabina - La Morale dei Briganti
Modena City Ramblers - I Ribelli della Montagna
New Wave
Diaframma - Siberia
Pop and subgenres
Subsonica - Nuova Ossessione
Negrita - Che Rumore Fa La Felicità
Colla Zio - Tanto Piove
Il Pagante - Settimana Bianca
Matia Bazar - Ti Sento
Negramaro - Mentre Tutto Scorre
#hoping i got all the links correct. im not double checking#also some of these arent necessarely favourite bands but have songs i really really like so i put them anyway#also i feel like i forgot someone.....
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Fantasy adventure game Altheia: The Wrath of Aferi announced for PS5, Xbox Series, Switch, and PC
Gematsu Source
Publisher Neon Doctrine and developer MarsLit Games have announced fantasy adventure game Altheia: The Wrath of Aferi for PlayStation 5, Xbox Series, PlayStation 4, Xbox One, Switch, and PC (Steam, Microsoft Store). A release date was not announced.
Here is an overview of the game, via Neon Doctrine:
About
Experience a thrilling fantasy adventure inspired by the works of Studio Ghibli and Studio Chizu, where reluctant duo Lili and Sadi must learn to work together to survive the journey ahead. After losing her mother to an ancient evil, Lili doesn’t want anything to do with her mother’s legacy of being a Guardian. However, when Lili rescues a Monk-in-training named Sadi, the latter urges her to revive the traditional partnership of Guardians and Monks and help him save their home from the mysterious corrupting Void. But the world of Atarassia is a dangerous place, filled with monsters and obstacles spawned from the Void, all deadly to a reluctant and unprepared hero. Lili and Sadi will need to combine their wits, their wills, and their strength of arms and magic to defeat the Void’s corruption, and finally confront the god that took their families from them. Take on dungeons full of mechanical puzzles to be solved, Void monsters to battle, and friendly spirits to rescue as Lili and Sadi discover what it means to truly be partners, and to assume their heroic destinies as Guardian and Monk.
Key Features
Combine the powers of a martial Guardian and a magical Monk to take on enemies and puzzles that can’t be beaten alone.
Explore winding dungeons inspired by the classic Zelda games, made up of beautiful but corrupted temples and shrines dotted all around the world of Atarassia, and befriend the spirits that live within.
Battle giant monsters in places that have been deeply corrupted by the Void and defeat them to free the surroundings at last.
Watch the announcement trailer below. View the first screenshots at the gallery.
Announce Trailer
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SIGNORINELLA
ATTO QUINTO “Negli occhi tuoi passavano una speranza, un sogno e una carezza, avevi un nome che non si dimentica, un nome lungo e breve: Giovinezza.” Occhi, specchio del Nulla contingente ed eterno, Giacono e Friedrich, Arturo e Jean Paul, gemme da vetrinetta in radica nel salotto di mia madre, uomo senza speme, maschio senza sogno, corpo senza pelle, oblio del nirvana, atarassia dello stoico…
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Carla Ferraris - Vita Nuova LA CALMA MENTALE
©Wieslster Witold
Nel corso degli articoli comparsi nei precedenti numeri della rivista, abbiamo usato alcune volte l'espressione
"serenità", "calma mentale", "calma interiore".
Sono espressioni assimilabili, il cui significato appare chiaro, evidente, ma che forse meritano un approfondimento per quanto attiene il loro contenuto
reale.
Nell'ambito della Meditazione intesa comò pratica benefica per il nostro equilibrio psicofisico, ma ancor più nell'ambito della Meditazione quale intesa e
praticata da un Movimento Spiritico, la calma interiore è una componente irrinunciabile per raggiungere e verificare una comunione e una comunicazione
reali e sicure con il piano spirituale, una comunione e una comunicazione esenti da interferenze personali o estranee.
Una delle prime indicazioni che vengono date a chiunque decida di accostarsi alla Meditazione, comunque intesa, è quella di "praticare la serenità".
Cosa significa essere sereni? A parole è molto semplice: saper attraversare tutte le contingenze che la vita dispone
sul nostro cammino con animo imperturbabile, con la consapevolezza profonda che nulla è essenziale tranne
l'amore, che nulla è così coinvolgente da poter essere fonte di turbamento per uno spirito forte, nulla è così pesante da non poter essere sopportato.
A coloro che hanno una certa dimestichezza o reminiscenza della filosofia classica potrà sembrare che quanto cercheremo di esporre richiami i predicati
dello stoicismo e dell'epicureismo di Zenone ed Epicuro, particolarmente per quanto riguarda i concetti di "apatia"
(assenza di passioni) e di "atarassia"
(imperturbabilità). Ciò è solo apparentemente
vero, in quanto tali filosofie fanno dipendere tali stati di quiete, di tranquillità da una accettazione
fatalista delle situazioni.
Secondo Epicuro, infatti, nessun evento si produce in vista di un fìne, ma solo in conseguenza del movimento degli atomi che in diversa combinazione compongono noi e l'universo.
Soltanto quando l'anima, per un suo spontaneo moto fortunato o anche per influenza di una dottrina, sia giunta a rendersene conto, si sarà liberata da molte angosce, timori, rimorsi e potrà accogliere quella felicità che l'universo, preso per il suo giusto verso, dispensa in misura maggiore del dolore.
Zenone, dal canto suo, fonda la propria etica sulla "vita secondo natura" per sviluppare l'azione di quella particella di fuoco che costituisce la nostra
"ragion seminale"; essendo tutto determinato,
è impossibile deviare il corso della natura; bisogna perciò riconoscere accettare il corso inevitabile della stessa e assumersi la parte che in esso ci tocca come nostra, perchè soltanto così riusciremo a identificarci con quel fuoco, o ragione, che opera.
Allora il nostro operare sarà razionale e libero, e di esito immancabilmente felice, perchè andrà nell'identico senso del fatto; altrimenti saremo semplicemente trascinati. Ciò si esprime nel celebre adagio: "Fata volentem ducunt,
nolentem trahunt".
Secondo le nostre guide spirituali, invece, il conseguimento della calma mentale, di quella serenità di fondo che sola mette in grado l'essere razionale di non essere travolto dalle situazioni, a volte oggettivamente drammatiche, che si trova a dover affrontare, dipende da un'azione consapevole e determinante della volontà che esercita un controllo altrettanto consapevole e determinante su tutto quanto si ripercuote, in un modo o nell'altro su di noi.
Tutti quanti abbiamo notato quanto sia faticoso operare quando siamo svogliati, preoccupati, oppressi da un dolore fisico o spirituale e quanto invece ci riesca facile e leggero il lavoro quando lo affrontiamo e lo svolgiamo in serenità, in letizia, lasciandocene prendere, abbandonandoci ad esso con tranquillità, senza frapporre inutili ostacoli.
Questi ostacoli, che molto spesso opponiamo in modo inconsapevole, oltre a rendere pesante qualsiasi tipo di lavoro, possono rendere assai difficili i rapporti interpersonali, sia che questi rapporti coinvolgano noi, esseri umani, sia che li si voglia instaurare con il piano spirituale. Quando il nostro spirito è turbato, creiamo delle interferenze che rendono meno facile, meno scorrevole qualsiasi tipo di lavoro, qualsiasi tipo di rapporto.
Se ci pensiamo bene, la nostra vita è fatta per buona parte di comunicazione, dato che tutti viviamo in un contesto sociale piuttosto affollato. Ora, se, mentre parliamo con qualcuno, anticipiamo una sua parola, una sua conclsione, frapponiamo un ostacolo che il più delle volte non ha conseguenze,trattandosi di anticipazioni dettate dalla logica, ma quando tali anticipazioni sono in contrasto con ciò che il nostro interlocutore vuole esprimere, la comunicazione ne risulta inficiata, non è più attendibile, non riusciamo più a distinguere il nostro apporto personale,
magari emotivo, nervoso, insofferente, dal pensiero del nostro interlocutore.
Come si inserisce tutto questo nel discorso più ampio e globale della Meditazione, che abbiamo incominciato a trattare sulle pagine di questa rivista?
Abbiamo già discusso alcuni concetti di base, alcuni dei presupposti essenziali per accedere efficacemente alla Meditazione; richiamiamoli un attimo: apertura mentale, controllo del pensiero, educazione della volontà.
Essi costituiscono anche i presupposti essenziali per raggiungere la calma interiore.
Come abbiamo già avuto occasione di dire a proposito dell'apertura mentale, la calma interiore non è un atteggiamento che si assume di volta in volta, con un'azione della volontà puntuale e temporanea.
Essa è una condizione morale che si conquista poco a poco con un'azione continua e costante, vigile e determinata della volontà, una condizione che ci consentirà di agire con coerenza, con senso di responsabilità, senza tentennamenti, senza timori, senza remore di sorta, che ci aprirà la strada di nuove e più complete conoscenze, che ci aiuterà a stabilire rapporti basati non sulla contingenza, ma sull'essenza.
Essa infine costituisce il presupposto imprescindibile per raggiungere la capacità di "esprimere la forza del proprio pensiero".
Cosa significa questa frase? Lo spirito è sorgente di energia, e tale energia ha, come sua manifestazione precipua, il pensiero.
Normalmente la forza del pensiero si estrinseca nei comandi dati al nostro corpo fisico, nell'azione svolta razionalmente e così via.
Se impariamo ad usare la forza della nostra mente non a livello di pensiero elaborato, ma unicamente sotto forma di energia, cosa otteniamo? Otteniamo di poterla indirizzare ed utilizzare volontariamente per riequilibrarci, oppure per dare un apporto energetico a chi, per qualsiasi motivo ne abbia bisogno, o per stabilire una comunicazione per quanto possibile sicura con il piano spirituale.
Ed è proprio la calma mentale, con la sua assenza di "pensieri pensati", che rende possibile la concentrazione necessariaad esteriorizzare, a portare fuori di noi la nostra energia mentale, la nostra forza-pensiero, e quindi ad indirizzarla con un'azione volontaria e per il tempo necessario.
Possiamo aggiungere, senza tuttavia trattenerci sull'argomento, che anche il pensiero creativo, dall'intuizione geniale al semplice miglioramento di un procedimento operativo, prendono l'avvio dalla calma mentale.
Per raggiungere uno stato di calma interiore è necessario un certo distacco, una certa capacità di valutazione, per poter affrontare le situazioni con una visione globale più obiettiva.
D'altro canto, per arrivare a questo distacco, che non è nè senso di superiorità, nè superbia, nè mancanza di partecipazione, per arrivare a questa capacità obiettiva di valutazione è necessaria la calma.
Il cerchio quindi si chiude. La calma è l'elemento determinante per un cammino di crescita interiore, così come la crescita interiore è un elemento determinante per raggiungere la calma mentale, altrimenti tutto si ingarbuglia e ricomincia quel lavorio mentale che crea soltanto agitazione.
Questo lavorio mentale è insieme il punto di partenza e il punto di arrivo di tutti gli stati d'animo negativi. Si nutre e si alimenta di sè.
Quindi è il primo punto da combattere se si vuole arrivare a quella serenità di fondo di cui stiamo parlando e che sola consente di vivere in positivo, razionalmente e non emozionalmente, ogni situazione. E non è soltanto ai grandi eventi che dobbiamo fare attenzione, ma alle piccole cose, quelle che ci punzecchiano in ogni istante della giornata, dalle quali ci lasciamo cogliere alla
sprovvista, impreparati, dalle quali ci lasciamo coinvolgere e sopraffare: una macchina che ci schizza mentre attendiamo di poter attraversare la strada, una persona che si dilunga in spiegazioni inutili, un qualsiasi coritrattempo o impedimento che viene a sovvertire i nostri piccoli programmi e le nostre relative sicurezze.
Soltanto quando sapremo vivere tuttequeste situazioni minime con quel distacco che non è mancanza di partecipazione, ma capacità obiettiva di valutazione, potremo dire di essere sulla buona strada.
Dobbiamo dunque imparare a reagire positivamente alle sollecitazioni che ci giungono dall'esterno e dall'interno, perchè non è certo soggiacendo a tali sollecitazioni che riusciremo a percorrere la strada della calma interiore.
Non stiamo ad analizzare troppo se ciò che ci rende inquieti è scontento, paura, disagio o altro. Mettiamo da parte noi stessi e il nostro stato d'animo in modo completo.
Infatti se, invece di vivere i fatti, viviamo i turbamenti che i fatti possono produrre, le nostre risposte emotive vengono esaltate e veniamo ripresi dalla spirale dell'insoddisfazione, del dubbio, dell'abulia.
Certamente uno psicologo potrebbe meglio spiegare i collegamenti psicofisici di questi stati d'animo. Noi possiamo soltanto dire che, ricorrendo ancora e sempre al controllo del pensiero, continuando l'opera di educazione della volontà, agendo consapevolmente su noi stessi con determinazione, possiamo superare i dubbi, gli ostacoli reali e immaginari che incontriamo
sulla nostra strada: soprattutto quelli immaginari, che ci giungono dall'interno e che sono determinati da una consuetudine annosa di introspezione, di auto controllo, di condiscenza colpevole.
Introspezione, auto controllo e condiscenza.
Sono solo tre fattori, ma riassumono in sè molti atteggiamenti sbagliati che devono essere chiariti e corretti.
Infatti, il loro impiego errato o indiscriminato
può portarci all'inazione completa, alla complicità.
Analizzando un po' più in dettaglio le nostre affermazioni, possiamo dire che, se è vero che l'introspezione può portarci ad una migliore conoscenza della realtà più profonda della nostra essenza, è altrettanto vero che questa conoscenza è unilaterale, soggettiva, non trova spesso riscontro nella realtà esterna 'e finisce per isolarci da essa, chiudendoci in noi stessi e facendoci vivere in un mondo tutto nostro, che rifiuta il contatto con gli altri.
Anche qui, come in ogni cosa, ci vuole moderazione, equilibrio. L'ascolto interno, l'ascolto di quanto ribolle e lievita nel nostro intimo è certamente introspettivo, ma diventa costruttivo quando viene portato all'esterno, oggettivato, esteriorizzato, in modo da consentire una analisi oggettiva, comparata, circostanziata.
Autocontrollo, altro termine che deve essere ben delimitato, definito.
L'autocontrollo ci consente indubbiamente di evitare reazioni sproporzionate alla provocazione, di tenere un comportamento confacente alla convivenza sociale e civile e via discorrendo; è anche vero, però che chiude al nostro interno tensioni e pulsioni che, alla lunga, si accumulano e ci disturbano.
D'altro canto, se eliminiamo l'autocontrollo, corriamo il rischio di assistere all'esplosione di tutte le passioni che covano al nostro interno.
È quindi necessario non l'auto controllo, bensì il controllo delle situazioni che agiscono su di noi, un controllo oggettivo, al fine di valutare la sollecitazione prima che essa abbia agito emotivamente su di noi, che ci consenta cioè non di sdrammatizzarla aposteriori, ma di riportarne l'impatto alle giuste proporzioni.
È una tecnica difficile, ma non impossibile.
Se qualcuno ci lancia contro un sasso, solitamente non rimaniamo immobili ad aspettare che esso ci colpisca.
Spontaneamente ci scansiamo per evitare l'urto. Valutiamo, cioè, a priori, la potenza del lancio, la distanza, la traiettoria, la possibile forza dell'impatto e agiamo automaticamente di conseguenza.
Non ci limitiamo quindi a lasciarci colpire e a valutare, a posteriori, potenza del lancio, distanza, traiettoria e forza d'impatto sulla base del bernoccolo che il sasso ci ha procurato.
La stessa cosa vale per le sollecitazioni cui siamo sottoposti: normalmente le valutazioni a priori avvengono naturalmente, automaticamente; qualche volta ciò non succede.
Quando tale valutazione non avviene, ecco che la sollecitazione non solo ci colpisce ma, dopo averci colpiti, rimane al nostro interno, ci penetra e ci
pervade in modo totale, diventa il nostro pensiero dominante, si ingigantisce, si alimenta di sè, ci rende vulnerabili a qualsiasi altra sollecitazione; in altre parole ci consegnamo disarmati allo stress che ne consegue.
Ora, pur ammettendo che, come è stato affermato da alcuni, lo stress sia una spinta all'apprendimento, uno stimolo all'azione, un elemento vitale che ci consente di procedere, l'accumulo di stress ci riduce ad un fascio di nervi tesi, ci rende incapaci di qualsiasi valutazione
oggettiva, di quel distacco prospettico che ci permette la partecipazione evitando un coinvolgimento emotivo troppo intenso, che ci consente cioè di conservare la nostra capacità di reazione, di controllo e anche di scarico.
E infme la condiscendenza colpevole.
Molto spesso tutto ciò che siamo capaci di mettere in atto per limitare i danni di una sollecitazione troppo forte, reale o immaginaria, proveniente dall'interno o dall'esterno, è una condiscendenza colpevole, uria sorta di complicità.
Cerchiamo di tenerci fuori da una situazione, scivoliamo in una sorta di abulia intellettuale ed emotiva che permette un apparente distacco.
Si tratta però di un di'stacco che, non essendo prospettico ma soltanto contingente, determinato dalla sollecitazione del momento, diventa alla lunga un estraniamento, una alienazione.
Non riconosciamo più come nostri tutti gli stimoli che ci colpiscono e quindi ci autoescludiamo, ci isoliamo.
Il risultato è che siamo ugualmente colpiti dalle sollecitazioni, accumuliamo ugualmente stress, ma non impariamo niente, passiamo per il mondo senza lasciar traccia, ascoltiamo spesso senza sentire, guardiamo spesso senza vedere, coltivando ed alimentando un senso di superiorità che un giorno o l'altro, se e quando ci scontreremo con una realtà che ci coinvolga direttamente, in prima persona, andrà in pezzi e ci farà andare in pezzi.
Concludendo, possiamo dire che la serenità, la calma mentale ci aiutano ad andare oltre l'apparente per giungere al reale, ci danno quell'allegrezza che non si esprime certo in risate e baldorie, ma in un sorriso, in una parola da cui gli altri traggono forza, in un viso chiaro, in due occhi aperti e franchi, in una mano tesa.
Il nostro viso troppo spesso è scuro, i nostri occhi cupi, la nostra mano contratta.
Ciò significa che il nostro impegno nei confronti della vita non è completo, stiamo eludendo le clausole di un contratto, non sappiamo elevarci al di sopra del particolare per vivere l'essenziale.
In questo la Meditazione ci aiuta, ma pretende da noi un impegno completo,vincolante, appunto, come una sorta di contratto.
Richiede studio, approfondimento e volontà di mettere in pratica, di vivere quanto si va apprendendo.
Abbiamo già parlato della Meditazione in generale, quale intesa e praticata nell'ambito di un centro spiritico.
A questo punto vorremmo soltanto aggiungere alcune parole dettate da uno degli Spiriti Istruttori di Vita Nuova:
''Non dimenticate mai che tutti abbiamo bisogno di chiarezza, di imparare a vedere le cose con chiarezza.
Quando sapremo guardare il mondo con gli occhi bene aperti, senza chiuderli davanti allo spirito che è in noi, sapremo affrontare la realtà con serenità, consapevoli che tale realtà non è circoscritta dalle quattro pareti che ci circondano, non è limitata a ciò che tocchiamo con le mani, a ciò che percepiamo con i nostri occhi e le nostre orecchie; vivremo una dimensione più dilatata, con tutto il nostro essere teso a captare l'impulso dell'altro da sè e a rispondere con amore; lasceremo lo spirito libero di esprimersi, non gli imporremo confini artificiali.
In questo modo avremo imparato a vivere.
Imparare a vivere significa essere aperti verso qualsiasi possibilità.
Non dite mai "è impossibile". Studiate quali sono le vie per rendere possibile l'impossibile.
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Carla Ferraris - Vita Nuova LA CALMA MENTALE
©Wieslster Witold
Nel corso degli articoli comparsi nei precedenti numeri della rivista, abbiamo usato alcune volte l'espressione
"serenità", "calma mentale", "calma interiore".
Sono espressioni assimilabili, il cui significato appare chiaro, evidente, ma che forse meritano un approfondimento per quanto attiene il loro contenuto
reale.
Nell'ambito della Meditazione intesa comò pratica benefica per il nostro equilibrio psicofisico, ma ancor più nell'ambito della Meditazione quale intesa e
praticata da un Movimento Spiritico, la calma interiore è una componente irrinunciabile per raggiungere e verificare una comunione e una comunicazione
reali e sicure con il piano spirituale, una comunione e una comunicazione esenti da interferenze personali o estranee.
Una delle prime indicazioni che vengono date a chiunque decida di accostarsi alla Meditazione, comunque intesa, è quella di "praticare la serenità".
Cosa significa essere sereni? A parole è molto semplice: saper attraversare tutte le contingenze che la vita dispone
sul nostro cammino con animo imperturbabile, con la consapevolezza profonda che nulla è essenziale tranne
l'amore, che nulla è così coinvolgente da poter essere fonte di turbamento per uno spirito forte, nulla è così pesante da non poter essere sopportato.
A coloro che hanno una certa dimestichezza o reminiscenza della filosofia classica potrà sembrare che quanto cercheremo di esporre richiami i predicati
dello stoicismo e dell'epicureismo di Zenone ed Epicuro, particolarmente per quanto riguarda i concetti di "apatia"
(assenza di passioni) e di "atarassia"
(imperturbabilità). Ciò è solo apparentemente
vero, in quanto tali filosofie fanno dipendere tali stati di quiete, di tranquillità da una accettazione
fatalista delle situazioni.
Secondo Epicuro, infatti, nessun evento si produce in vista di un fìne, ma solo in conseguenza del movimento degli atomi che in diversa combinazione compongono noi e l'universo.
Soltanto quando l'anima, per un suo spontaneo moto fortunato o anche per influenza di una dottrina, sia giunta a rendersene conto, si sarà liberata da molte angosce, timori, rimorsi e potrà accogliere quella felicità che l'universo, preso per il suo giusto verso, dispensa in misura maggiore del dolore.
Zenone, dal canto suo, fonda la propria etica sulla "vita secondo natura" per sviluppare l'azione di quella particella di fuoco che costituisce la nostra
"ragion seminale"; essendo tutto determinato,
è impossibile deviare il corso della natura; bisogna perciò riconoscere accettare il corso inevitabile della stessa e assumersi la parte che in esso ci tocca come nostra, perchè soltanto così riusciremo a identificarci con quel fuoco, o ragione, che opera.
Allora il nostro operare sarà razionale e libero, e di esito immancabilmente felice, perchè andrà nell'identico senso del fatto; altrimenti saremo semplicemente trascinati. Ciò si esprime nel celebre adagio: "Fata volentem ducunt,
nolentem trahunt".
Secondo le nostre guide spirituali, invece, il conseguimento della calma mentale, di quella serenità di fondo che sola mette in grado l'essere razionale di non essere travolto dalle situazioni, a volte oggettivamente drammatiche, che si trova a dover affrontare, dipende da un'azione consapevole e determinante della volontà che esercita un controllo altrettanto consapevole e determinante su tutto quanto si ripercuote, in un modo o nell'altro su di noi.
Tutti quanti abbiamo notato quanto sia faticoso operare quando siamo svogliati, preoccupati, oppressi da un dolore fisico o spirituale e quanto invece ci riesca facile e leggero il lavoro quando lo affrontiamo e lo svolgiamo in serenità, in letizia, lasciandocene prendere, abbandonandoci ad esso con tranquillità, senza frapporre inutili ostacoli.
Questi ostacoli, che molto spesso opponiamo in modo inconsapevole, oltre a rendere pesante qualsiasi tipo di lavoro, possono rendere assai difficili i rapporti interpersonali, sia che questi rapporti coinvolgano noi, esseri umani, sia che li si voglia instaurare con il piano spirituale. Quando il nostro spirito è turbato, creiamo delle interferenze che rendono meno facile, meno scorrevole qualsiasi tipo di lavoro, qualsiasi tipo di rapporto.
Se ci pensiamo bene, la nostra vita è fatta per buona parte di comunicazione, dato che tutti viviamo in un contesto sociale piuttosto affollato. Ora, se, mentre parliamo con qualcuno, anticipiamo una sua parola, una sua conclsione, frapponiamo un ostacolo che il più delle volte non ha conseguenze,trattandosi di anticipazioni dettate dalla logica, ma quando tali anticipazioni sono in contrasto con ciò che il nostro interlocutore vuole esprimere, la comunicazione ne risulta inficiata, non è più attendibile, non riusciamo più a distinguere il nostro apporto personale,
magari emotivo, nervoso, insofferente, dal pensiero del nostro interlocutore.
Come si inserisce tutto questo nel discorso più ampio e globale della Meditazione, che abbiamo incominciato a trattare sulle pagine di questa rivista?
Abbiamo già discusso alcuni concetti di base, alcuni dei presupposti essenziali per accedere efficacemente alla Meditazione; richiamiamoli un attimo: apertura mentale, controllo del pensiero, educazione della volontà.
Essi costituiscono anche i presupposti essenziali per raggiungere la calma interiore.
Come abbiamo già avuto occasione di dire a proposito dell'apertura mentale, la calma interiore non è un atteggiamento che si assume di volta in volta, con un'azione della volontà puntuale e temporanea.
Essa è una condizione morale che si conquista poco a poco con un'azione continua e costante, vigile e determinata della volontà, una condizione che ci consentirà di agire con coerenza, con senso di responsabilità, senza tentennamenti, senza timori, senza remore di sorta, che ci aprirà la strada di nuove e più complete conoscenze, che ci aiuterà a stabilire rapporti basati non sulla contingenza, ma sull'essenza.
Essa infine costituisce il presupposto imprescindibile per raggiungere la capacità di "esprimere la forza del proprio pensiero".
Cosa significa questa frase? Lo spirito è sorgente di energia, e tale energia ha, come sua manifestazione precipua, il pensiero.
Normalmente la forza del pensiero si estrinseca nei comandi dati al nostro corpo fisico, nell'azione svolta razionalmente e così via.
Se impariamo ad usare la forza della nostra mente non a livello di pensiero elaborato, ma unicamente sotto forma di energia, cosa otteniamo? Otteniamo di poterla indirizzare ed utilizzare volontariamente per riequilibrarci, oppure per dare un apporto energetico a chi, per qualsiasi motivo ne abbia bisogno, o per stabilire una comunicazione per quanto possibile sicura con il piano spirituale.
Ed è proprio la calma mentale, con la sua assenza di "pensieri pensati", che rende possibile la concentrazione necessariaad esteriorizzare, a portare fuori di noi la nostra energia mentale, la nostra forza-pensiero, e quindi ad indirizzarla con un'azione volontaria e per il tempo necessario.
Possiamo aggiungere, senza tuttavia trattenerci sull'argomento, che anche il pensiero creativo, dall'intuizione geniale al semplice miglioramento di un procedimento operativo, prendono l'avvio dalla calma mentale.
Per raggiungere uno stato di calma interiore è necessario un certo distacco, una certa capacità di valutazione, per poter affrontare le situazioni con una visione globale più obiettiva.
D'altro canto, per arrivare a questo distacco, che non è nè senso di superiorità, nè superbia, nè mancanza di partecipazione, per arrivare a questa capacità obiettiva di valutazione è necessaria la calma.
Il cerchio quindi si chiude. La calma è l'elemento determinante per un cammino di crescita interiore, così come la crescita interiore è un elemento determinante per raggiungere la calma mentale, altrimenti tutto si ingarbuglia e ricomincia quel lavorio mentale che crea soltanto agitazione.
Questo lavorio mentale è insieme il punto di partenza e il punto di arrivo di tutti gli stati d'animo negativi. Si nutre e si alimenta di sè.
Quindi è il primo punto da combattere se si vuole arrivare a quella serenità di fondo di cui stiamo parlando e che sola consente di vivere in positivo, razionalmente e non emozionalmente, ogni situazione. E non è soltanto ai grandi eventi che dobbiamo fare attenzione, ma alle piccole cose, quelle che ci punzecchiano in ogni istante della giornata, dalle quali ci lasciamo cogliere alla
sprovvista, impreparati, dalle quali ci lasciamo coinvolgere e sopraffare: una macchina che ci schizza mentre attendiamo di poter attraversare la strada, una persona che si dilunga in spiegazioni inutili, un qualsiasi coritrattempo o impedimento che viene a sovvertire i nostri piccoli programmi e le nostre relative sicurezze.
Soltanto quando sapremo vivere tuttequeste situazioni minime con quel distacco che non è mancanza di partecipazione, ma capacità obiettiva di valutazione, potremo dire di essere sulla buona strada.
Dobbiamo dunque imparare a reagire positivamente alle sollecitazioni che ci giungono dall'esterno e dall'interno, perchè non è certo soggiacendo a tali sollecitazioni che riusciremo a percorrere la strada della calma interiore.
Non stiamo ad analizzare troppo se ciò che ci rende inquieti è scontento, paura, disagio o altro. Mettiamo da parte noi stessi e il nostro stato d'animo in modo completo.
Infatti se, invece di vivere i fatti, viviamo i turbamenti che i fatti possono produrre, le nostre risposte emotive vengono esaltate e veniamo ripresi dalla spirale dell'insoddisfazione, del dubbio, dell'abulia.
Certamente uno psicologo potrebbe meglio spiegare i collegamenti psicofisici di questi stati d'animo. Noi possiamo soltanto dire che, ricorrendo ancora e sempre al controllo del pensiero, continuando l'opera di educazione della volontà, agendo consapevolmente su noi stessi con determinazione, possiamo superare i dubbi, gli ostacoli reali e immaginari che incontriamo
sulla nostra strada: soprattutto quelli immaginari, che ci giungono dall'interno e che sono determinati da una consuetudine annosa di introspezione, di auto controllo, di condiscenza colpevole.
Introspezione, auto controllo e condiscenza.
Sono solo tre fattori, ma riassumono in sè molti atteggiamenti sbagliati che devono essere chiariti e corretti.
Infatti, il loro impiego errato o indiscriminato
può portarci all'inazione completa, alla complicità.
Analizzando un po' più in dettaglio le nostre affermazioni, possiamo dire che, se è vero che l'introspezione può portarci ad una migliore conoscenza della realtà più profonda della nostra essenza, è altrettanto vero che questa conoscenza è unilaterale, soggettiva, non trova spesso riscontro nella realtà esterna 'e finisce per isolarci da essa, chiudendoci in noi stessi e facendoci vivere in un mondo tutto nostro, che rifiuta il contatto con gli altri.
Anche qui, come in ogni cosa, ci vuole moderazione, equilibrio. L'ascolto interno, l'ascolto di quanto ribolle e lievita nel nostro intimo è certamente introspettivo, ma diventa costruttivo quando viene portato all'esterno, oggettivato, esteriorizzato, in modo da consentire una analisi oggettiva, comparata, circostanziata.
Autocontrollo, altro termine che deve essere ben delimitato, definito.
L'autocontrollo ci consente indubbiamente di evitare reazioni sproporzionate alla provocazione, di tenere un comportamento confacente alla convivenza sociale e civile e via discorrendo; è anche vero, però che chiude al nostro interno tensioni e pulsioni che, alla lunga, si accumulano e ci disturbano.
D'altro canto, se eliminiamo l'autocontrollo, corriamo il rischio di assistere all'esplosione di tutte le passioni che covano al nostro interno.
È quindi necessario non l'auto controllo, bensì il controllo delle situazioni che agiscono su di noi, un controllo oggettivo, al fine di valutare la sollecitazione prima che essa abbia agito emotivamente su di noi, che ci consenta cioè non di sdrammatizzarla aposteriori, ma di riportarne l'impatto alle giuste proporzioni.
È una tecnica difficile, ma non impossibile.
Se qualcuno ci lancia contro un sasso, solitamente non rimaniamo immobili ad aspettare che esso ci colpisca.
Spontaneamente ci scansiamo per evitare l'urto. Valutiamo, cioè, a priori, la potenza del lancio, la distanza, la traiettoria, la possibile forza dell'impatto e agiamo automaticamente di conseguenza.
Non ci limitiamo quindi a lasciarci colpire e a valutare, a posteriori, potenza del lancio, distanza, traiettoria e forza d'impatto sulla base del bernoccolo che il sasso ci ha procurato.
La stessa cosa vale per le sollecitazioni cui siamo sottoposti: normalmente le valutazioni a priori avvengono naturalmente, automaticamente; qualche volta ciò non succede.
Quando tale valutazione non avviene, ecco che la sollecitazione non solo ci colpisce ma, dopo averci colpiti, rimane al nostro interno, ci penetra e ci
pervade in modo totale, diventa il nostro pensiero dominante, si ingigantisce, si alimenta di sè, ci rende vulnerabili a qualsiasi altra sollecitazione; in altre parole ci consegnamo disarmati allo stress che ne consegue.
Ora, pur ammettendo che, come è stato affermato da alcuni, lo stress sia una spinta all'apprendimento, uno stimolo all'azione, un elemento vitale che ci consente di procedere, l'accumulo di stress ci riduce ad un fascio di nervi tesi, ci rende incapaci di qualsiasi valutazione
oggettiva, di quel distacco prospettico che ci permette la partecipazione evitando un coinvolgimento emotivo troppo intenso, che ci consente cioè di conservare la nostra capacità di reazione, di controllo e anche di scarico.
E infme la condiscendenza colpevole.
Molto spesso tutto ciò che siamo capaci di mettere in atto per limitare i danni di una sollecitazione troppo forte, reale o immaginaria, proveniente dall'interno o dall'esterno, è una condiscendenza colpevole, uria sorta di complicità.
Cerchiamo di tenerci fuori da una situazione, scivoliamo in una sorta di abulia intellettuale ed emotiva che permette un apparente distacco.
Si tratta però di un di'stacco che, non essendo prospettico ma soltanto contingente, determinato dalla sollecitazione del momento, diventa alla lunga un estraniamento, una alienazione.
Non riconosciamo più come nostri tutti gli stimoli che ci colpiscono e quindi ci autoescludiamo, ci isoliamo.
Il risultato è che siamo ugualmente colpiti dalle sollecitazioni, accumuliamo ugualmente stress, ma non impariamo niente, passiamo per il mondo senza lasciar traccia, ascoltiamo spesso senza sentire, guardiamo spesso senza vedere, coltivando ed alimentando un senso di superiorità che un giorno o l'altro, se e quando ci scontreremo con una realtà che ci coinvolga direttamente, in prima persona, andrà in pezzi e ci farà andare in pezzi.
Concludendo, possiamo dire che la serenità, la calma mentale ci aiutano ad andare oltre l'apparente per giungere al reale, ci danno quell'allegrezza che non si esprime certo in risate e baldorie, ma in un sorriso, in una parola da cui gli altri traggono forza, in un viso chiaro, in due occhi aperti e franchi, in una mano tesa.
Il nostro viso troppo spesso è scuro, i nostri occhi cupi, la nostra mano contratta.
Ciò significa che il nostro impegno nei confronti della vita non è completo, stiamo eludendo le clausole di un contratto, non sappiamo elevarci al di sopra del particolare per vivere l'essenziale.
In questo la Meditazione ci aiuta, ma pretende da noi un impegno completo,vincolante, appunto, come una sorta di contratto.
Richiede studio, approfondimento e volontà di mettere in pratica, di vivere quanto si va apprendendo.
Abbiamo già parlato della Meditazione in generale, quale intesa e praticata nell'ambito di un centro spiritico.
A questo punto vorremmo soltanto aggiungere alcune parole dettate da uno degli Spiriti Istruttori di Vita Nuova:
''Non dimenticate mai che tutti abbiamo bisogno di chiarezza, di imparare a vedere le cose con chiarezza.
Quando sapremo guardare il mondo con gli occhi bene aperti, senza chiuderli davanti allo spirito che è in noi, sapremo affrontare la realtà con serenità, consapevoli che tale realtà non è circoscritta dalle quattro pareti che ci circondano, non è limitata a ciò che tocchiamo con le mani, a ciò che percepiamo con i nostri occhi e le nostre orecchie; vivremo una dimensione più dilatata, con tutto il nostro essere teso a captare l'impulso dell'altro da sè e a rispondere con amore; lasceremo lo spirito libero di esprimersi, non gli imporremo confini artificiali.
In questo modo avremo imparato a vivere.
Imparare a vivere significa essere aperti verso qualsiasi possibilità.
Non dite mai "è impossibile". Studiate quali sono le vie per rendere possibile l'impossibile.
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" – Goethe, di cui pochi di noi possono sperare di vivere un’esistenza piú piena e interessante, dichiarò sul letto di morte – aveva ottantadue anni – di aver provato in vita sua non piú di un quarto d’ora di felicità –. Nessuna alzata di sopracciglio fisica da parte sua – quel gesto non apparteneva al suo repertorio –, ma senz’altro metaforica, per non dire morale. Perciò l’intera classe acquisí il dato e cominciammo a discutere chiedendoci se essere un grande – o anche un modesto – intellettuale significava votarsi all’infelicità, e se le persone sul letto di morte pronunciassero frasi come quella (cosa che a noi pareva palesemente improbabile) perché non ricordavano, o perché sminuire un aspetto cosí rilevante della vita poteva renderli meno restii ad accettare la morte. A quel punto Linda, che non temeva mai di esprimere idee che il resto di noi trovava ingenue, se non imbarazzanti, suggerí: – Forse Goethe non aveva trovato la donna giusta. In presenza di un altro docente, ci saremmo sentiti autorizzati a ridacchiare. Ma EF, per quanto rigorosa nell’esposizione del proprio pensiero, non si mostrava mai sprezzante riguardo ai nostri contributi seppur miseri, o sentimentali, o penosamente autobiografici. Al contrario, trasformava la paccottiglia delle nostre idee in concetti degni di interesse. – È certamente doveroso considerare, non solo nel nostro corso, ma anche fuori di qui, nelle nostre vite turbolente e burrascose, l’elemento casualità. Il numero di persone che arriviamo a conoscere nel profondo è curiosamente esiguo. La passione ci può portare violentemente fuori strada. E la ragione può fare lo stesso. Il nostro patrimonio genetico ci può tarpare le ali. Come pure il nostro passato. Non capita solo ai reduci di soffrire di disturbo da stress post-traumatico. Spesso è la conseguenza inevitabile di un’esistenza sublunare apparentemente ordinaria. A queste parole Linda non poté non assumere un’espressione vagamente compiaciuta. "
Julian Barnes, Elizabeth Finch, traduzione di Susanna Basso, Einaudi, 2024¹, pp. 17-18.
[Edizione originale: Jonathan Cape publishing, London, UK, 2022]
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Carla Ferraris - Vita Nuova LA CALMA MENTALE
©Wieslster Witold
Nel corso degli articoli comparsi nei precedenti numeri della rivista, abbiamo usato alcune volte l'espressione
"serenità", "calma mentale", "calma interiore".
Sono espressioni assimilabili, il cui significato appare chiaro, evidente, ma che forse meritano un approfondimento per quanto attiene il loro contenuto
reale.
Nell'ambito della Meditazione intesa comò pratica benefica per il nostro equilibrio psicofisico, ma ancor più nell'ambito della Meditazione quale intesa e
praticata da un Movimento Spiritico, la calma interiore è una componente irrinunciabile per raggiungere e verificare una comunione e una comunicazione
reali e sicure con il piano spirituale, una comunione e una comunicazione esenti da interferenze personali o estranee.
Una delle prime indicazioni che vengono date a chiunque decida di accostarsi alla Meditazione, comunque intesa, è quella di "praticare la serenità".
Cosa significa essere sereni? A parole è molto semplice: saper attraversare tutte le contingenze che la vita dispone
sul nostro cammino con animo imperturbabile, con la consapevolezza profonda che nulla è essenziale tranne
l'amore, che nulla è così coinvolgente da poter essere fonte di turbamento per uno spirito forte, nulla è così pesante da non poter essere sopportato.
A coloro che hanno una certa dimestichezza o reminiscenza della filosofia classica potrà sembrare che quanto cercheremo di esporre richiami i predicati
dello stoicismo e dell'epicureismo di Zenone ed Epicuro, particolarmente per quanto riguarda i concetti di "apatia"
(assenza di passioni) e di "atarassia"
(imperturbabilità). Ciò è solo apparentemente
vero, in quanto tali filosofie fanno dipendere tali stati di quiete, di tranquillità da una accettazione
fatalista delle situazioni.
Secondo Epicuro, infatti, nessun evento si produce in vista di un fìne, ma solo in conseguenza del movimento degli atomi che in diversa combinazione compongono noi e l'universo.
Soltanto quando l'anima, per un suo spontaneo moto fortunato o anche per influenza di una dottrina, sia giunta a rendersene conto, si sarà liberata da molte angosce, timori, rimorsi e potrà accogliere quella felicità che l'universo, preso per il suo giusto verso, dispensa in misura maggiore del dolore.
Zenone, dal canto suo, fonda la propria etica sulla "vita secondo natura" per sviluppare l'azione di quella particella di fuoco che costituisce la nostra
"ragion seminale"; essendo tutto determinato,
è impossibile deviare il corso della natura; bisogna perciò riconoscere accettare il corso inevitabile della stessa e assumersi la parte che in esso ci tocca come nostra, perchè soltanto così riusciremo a identificarci con quel fuoco, o ragione, che opera.
Allora il nostro operare sarà razionale e libero, e di esito immancabilmente felice, perchè andrà nell'identico senso del fatto; altrimenti saremo semplicemente trascinati. Ciò si esprime nel celebre adagio: "Fata volentem ducunt,
nolentem trahunt".
Secondo le nostre guide spirituali, invece, il conseguimento della calma mentale, di quella serenità di fondo che sola mette in grado l'essere razionale di non essere travolto dalle situazioni, a volte oggettivamente drammatiche, che si trova a dover affrontare, dipende da un'azione consapevole e determinante della volontà che esercita un controllo altrettanto consapevole e determinante su tutto quanto si ripercuote, in un modo o nell'altro su di noi.
Tutti quanti abbiamo notato quanto sia faticoso operare quando siamo svogliati, preoccupati, oppressi da un dolore fisico o spirituale e quanto invece ci riesca facile e leggero il lavoro quando lo affrontiamo e lo svolgiamo in serenità, in letizia, lasciandocene prendere, abbandonandoci ad esso con tranquillità, senza frapporre inutili ostacoli.
Questi ostacoli, che molto spesso opponiamo in modo inconsapevole, oltre a rendere pesante qualsiasi tipo di lavoro, possono rendere assai difficili i rapporti interpersonali, sia che questi rapporti coinvolgano noi, esseri umani, sia che li si voglia instaurare con il piano spirituale. Quando il nostro spirito è turbato, creiamo delle interferenze che rendono meno facile, meno scorrevole qualsiasi tipo di lavoro, qualsiasi tipo di rapporto.
Se ci pensiamo bene, la nostra vita è fatta per buona parte di comunicazione, dato che tutti viviamo in un contesto sociale piuttosto affollato. Ora, se, mentre parliamo con qualcuno, anticipiamo una sua parola, una sua conclsione, frapponiamo un ostacolo che il più delle volte non ha conseguenze,trattandosi di anticipazioni dettate dalla logica, ma quando tali anticipazioni sono in contrasto con ciò che il nostro interlocutore vuole esprimere, la comunicazione ne risulta inficiata, non è più attendibile, non riusciamo più a distinguere il nostro apporto personale,
magari emotivo, nervoso, insofferente, dal pensiero del nostro interlocutore.
Come si inserisce tutto questo nel discorso più ampio e globale della Meditazione, che abbiamo incominciato a trattare sulle pagine di questa rivista?
Abbiamo già discusso alcuni concetti di base, alcuni dei presupposti essenziali per accedere efficacemente alla Meditazione; richiamiamoli un attimo: apertura mentale, controllo del pensiero, educazione della volontà.
Essi costituiscono anche i presupposti essenziali per raggiungere la calma interiore.
Come abbiamo già avuto occasione di dire a proposito dell'apertura mentale, la calma interiore non è un atteggiamento che si assume di volta in volta, con un'azione della volontà puntuale e temporanea.
Essa è una condizione morale che si conquista poco a poco con un'azione continua e costante, vigile e determinata della volontà, una condizione che ci consentirà di agire con coerenza, con senso di responsabilità, senza tentennamenti, senza timori, senza remore di sorta, che ci aprirà la strada di nuove e più complete conoscenze, che ci aiuterà a stabilire rapporti basati non sulla contingenza, ma sull'essenza.
Essa infine costituisce il presupposto imprescindibile per raggiungere la capacità di "esprimere la forza del proprio pensiero".
Cosa significa questa frase? Lo spirito è sorgente di energia, e tale energia ha, come sua manifestazione precipua, il pensiero.
Normalmente la forza del pensiero si estrinseca nei comandi dati al nostro corpo fisico, nell'azione svolta razionalmente e così via.
Se impariamo ad usare la forza della nostra mente non a livello di pensiero elaborato, ma unicamente sotto forma di energia, cosa otteniamo? Otteniamo di poterla indirizzare ed utilizzare volontariamente per riequilibrarci, oppure per dare un apporto energetico a chi, per qualsiasi motivo ne abbia bisogno, o per stabilire una comunicazione per quanto possibile sicura con il piano spirituale.
Ed è proprio la calma mentale, con la sua assenza di "pensieri pensati", che rende possibile la concentrazione necessariaad esteriorizzare, a portare fuori di noi la nostra energia mentale, la nostra forza-pensiero, e quindi ad indirizzarla con un'azione volontaria e per il tempo necessario.
Possiamo aggiungere, senza tuttavia trattenerci sull'argomento, che anche il pensiero creativo, dall'intuizione geniale al semplice miglioramento di un procedimento operativo, prendono l'avvio dalla calma mentale.
Per raggiungere uno stato di calma interiore è necessario un certo distacco, una certa capacità di valutazione, per poter affrontare le situazioni con una visione globale più obiettiva.
D'altro canto, per arrivare a questo distacco, che non è nè senso di superiorità, nè superbia, nè mancanza di partecipazione, per arrivare a questa capacità obiettiva di valutazione è necessaria la calma.
Il cerchio quindi si chiude. La calma è l'elemento determinante per un cammino di crescita interiore, così come la crescita interiore è un elemento determinante per raggiungere la calma mentale, altrimenti tutto si ingarbuglia e ricomincia quel lavorio mentale che crea soltanto agitazione.
Questo lavorio mentale è insieme il punto di partenza e il punto di arrivo di tutti gli stati d'animo negativi. Si nutre e si alimenta di sè.
Quindi è il primo punto da combattere se si vuole arrivare a quella serenità di fondo di cui stiamo parlando e che sola consente di vivere in positivo, razionalmente e non emozionalmente, ogni situazione. E non è soltanto ai grandi eventi che dobbiamo fare attenzione, ma alle piccole cose, quelle che ci punzecchiano in ogni istante della giornata, dalle quali ci lasciamo cogliere alla
sprovvista, impreparati, dalle quali ci lasciamo coinvolgere e sopraffare: una macchina che ci schizza mentre attendiamo di poter attraversare la strada, una persona che si dilunga in spiegazioni inutili, un qualsiasi coritrattempo o impedimento che viene a sovvertire i nostri piccoli programmi e le nostre relative sicurezze.
Soltanto quando sapremo vivere tuttequeste situazioni minime con quel distacco che non è mancanza di partecipazione, ma capacità obiettiva di valutazione, potremo dire di essere sulla buona strada.
Dobbiamo dunque imparare a reagire positivamente alle sollecitazioni che ci giungono dall'esterno e dall'interno, perchè non è certo soggiacendo a tali sollecitazioni che riusciremo a percorrere la strada della calma interiore.
Non stiamo ad analizzare troppo se ciò che ci rende inquieti è scontento, paura, disagio o altro. Mettiamo da parte noi stessi e il nostro stato d'animo in modo completo.
Infatti se, invece di vivere i fatti, viviamo i turbamenti che i fatti possono produrre, le nostre risposte emotive vengono esaltate e veniamo ripresi dalla spirale dell'insoddisfazione, del dubbio, dell'abulia.
Certamente uno psicologo potrebbe meglio spiegare i collegamenti psicofisici di questi stati d'animo. Noi possiamo soltanto dire che, ricorrendo ancora e sempre al controllo del pensiero, continuando l'opera di educazione della volontà, agendo consapevolmente su noi stessi con determinazione, possiamo superare i dubbi, gli ostacoli reali e immaginari che incontriamo
sulla nostra strada: soprattutto quelli immaginari, che ci giungono dall'interno e che sono determinati da una consuetudine annosa di introspezione, di auto controllo, di condiscenza colpevole.
Introspezione, auto controllo e condiscenza.
Sono solo tre fattori, ma riassumono in sè molti atteggiamenti sbagliati che devono essere chiariti e corretti.
Infatti, il loro impiego errato o indiscriminato
può portarci all'inazione completa, alla complicità.
Analizzando un po' più in dettaglio le nostre affermazioni, possiamo dire che, se è vero che l'introspezione può portarci ad una migliore conoscenza della realtà più profonda della nostra essenza, è altrettanto vero che questa conoscenza è unilaterale, soggettiva, non trova spesso riscontro nella realtà esterna 'e finisce per isolarci da essa, chiudendoci in noi stessi e facendoci vivere in un mondo tutto nostro, che rifiuta il contatto con gli altri.
Anche qui, come in ogni cosa, ci vuole moderazione, equilibrio. L'ascolto interno, l'ascolto di quanto ribolle e lievita nel nostro intimo è certamente introspettivo, ma diventa costruttivo quando viene portato all'esterno, oggettivato, esteriorizzato, in modo da consentire una analisi oggettiva, comparata, circostanziata.
Autocontrollo, altro termine che deve essere ben delimitato, definito.
L'autocontrollo ci consente indubbiamente di evitare reazioni sproporzionate alla provocazione, di tenere un comportamento confacente alla convivenza sociale e civile e via discorrendo; è anche vero, però che chiude al nostro interno tensioni e pulsioni che, alla lunga, si accumulano e ci disturbano.
D'altro canto, se eliminiamo l'autocontrollo, corriamo il rischio di assistere all'esplosione di tutte le passioni che covano al nostro interno.
È quindi necessario non l'auto controllo, bensì il controllo delle situazioni che agiscono su di noi, un controllo oggettivo, al fine di valutare la sollecitazione prima che essa abbia agito emotivamente su di noi, che ci consenta cioè non di sdrammatizzarla aposteriori, ma di riportarne l'impatto alle giuste proporzioni.
È una tecnica difficile, ma non impossibile.
Se qualcuno ci lancia contro un sasso, solitamente non rimaniamo immobili ad aspettare che esso ci colpisca.
Spontaneamente ci scansiamo per evitare l'urto. Valutiamo, cioè, a priori, la potenza del lancio, la distanza, la traiettoria, la possibile forza dell'impatto e agiamo automaticamente di conseguenza.
Non ci limitiamo quindi a lasciarci colpire e a valutare, a posteriori, potenza del lancio, distanza, traiettoria e forza d'impatto sulla base del bernoccolo che il sasso ci ha procurato.
La stessa cosa vale per le sollecitazioni cui siamo sottoposti: normalmente le valutazioni a priori avvengono naturalmente, automaticamente; qualche volta ciò non succede.
Quando tale valutazione non avviene, ecco che la sollecitazione non solo ci colpisce ma, dopo averci colpiti, rimane al nostro interno, ci penetra e ci
pervade in modo totale, diventa il nostro pensiero dominante, si ingigantisce, si alimenta di sè, ci rende vulnerabili a qualsiasi altra sollecitazione; in altre parole ci consegnamo disarmati allo stress che ne consegue.
Ora, pur ammettendo che, come è stato affermato da alcuni, lo stress sia una spinta all'apprendimento, uno stimolo all'azione, un elemento vitale che ci consente di procedere, l'accumulo di stress ci riduce ad un fascio di nervi tesi, ci rende incapaci di qualsiasi valutazione
oggettiva, di quel distacco prospettico che ci permette la partecipazione evitando un coinvolgimento emotivo troppo intenso, che ci consente cioè di conservare la nostra capacità di reazione, di controllo e anche di scarico.
E infme la condiscendenza colpevole.
Molto spesso tutto ciò che siamo capaci di mettere in atto per limitare i danni di una sollecitazione troppo forte, reale o immaginaria, proveniente dall'interno o dall'esterno, è una condiscendenza colpevole, uria sorta di complicità.
Cerchiamo di tenerci fuori da una situazione, scivoliamo in una sorta di abulia intellettuale ed emotiva che permette un apparente distacco.
Si tratta però di un di'stacco che, non essendo prospettico ma soltanto contingente, determinato dalla sollecitazione del momento, diventa alla lunga un estraniamento, una alienazione.
Non riconosciamo più come nostri tutti gli stimoli che ci colpiscono e quindi ci autoescludiamo, ci isoliamo.
Il risultato è che siamo ugualmente colpiti dalle sollecitazioni, accumuliamo ugualmente stress, ma non impariamo niente, passiamo per il mondo senza lasciar traccia, ascoltiamo spesso senza sentire, guardiamo spesso senza vedere, coltivando ed alimentando un senso di superiorità che un giorno o l'altro, se e quando ci scontreremo con una realtà che ci coinvolga direttamente, in prima persona, andrà in pezzi e ci farà andare in pezzi.
Concludendo, possiamo dire che la serenità, la calma mentale ci aiutano ad andare oltre l'apparente per giungere al reale, ci danno quell'allegrezza che non si esprime certo in risate e baldorie, ma in un sorriso, in una parola da cui gli altri traggono forza, in un viso chiaro, in due occhi aperti e franchi, in una mano tesa.
Il nostro viso troppo spesso è scuro, i nostri occhi cupi, la nostra mano contratta.
Ciò significa che il nostro impegno nei confronti della vita non è completo, stiamo eludendo le clausole di un contratto, non sappiamo elevarci al di sopra del particolare per vivere l'essenziale.
In questo la Meditazione ci aiuta, ma pretende da noi un impegno completo,vincolante, appunto, come una sorta di contratto.
Richiede studio, approfondimento e volontà di mettere in pratica, di vivere quanto si va apprendendo.
Abbiamo già parlato della Meditazione in generale, quale intesa e praticata nell'ambito di un centro spiritico.
A questo punto vorremmo soltanto aggiungere alcune parole dettate da uno degli Spiriti Istruttori di Vita Nuova:
''Non dimenticate mai che tutti abbiamo bisogno di chiarezza, di imparare a vedere le cose con chiarezza.
Quando sapremo guardare il mondo con gli occhi bene aperti, senza chiuderli davanti allo spirito che è in noi, sapremo affrontare la realtà con serenità, consapevoli che tale realtà non è circoscritta dalle quattro pareti che ci circondano, non è limitata a ciò che tocchiamo con le mani, a ciò che percepiamo con i nostri occhi e le nostre orecchie; vivremo una dimensione più dilatata, con tutto il nostro essere teso a captare l'impulso dell'altro da sè e a rispondere con amore; lasceremo lo spirito libero di esprimersi, non gli imporremo confini artificiali.
In questo modo avremo imparato a vivere.
Imparare a vivere significa essere aperti verso qualsiasi possibilità.
Non dite mai "è impossibile". Studiate quali sono le vie per rendere possibile l'impossibile.
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E rimetti a noi i nostri dati. L'autodigestione della cosa umana immersa negli algoritmi
Touch, touch
I remember touch
(DAFT PUNK, Touch, Random Access Memories, 2013)
Eccomi tornato. Ero solo andato a comprare le sigarette.
In questi anni è successo di tutto: ho viaggiato, perduto moltissimo, amato, come mai prima nella mia vita, subito molte violenze, capito che la vita che mi appartiene veleggia in direzioni tutte loro, non sempre comprensibili, amato, amato e ancora amato, nel meccanismo stellare della notte, nel buio delle finestre del cranio, ho lottato e ho provato a tatuare anche l'anima.
Le ricerche sui segni tribali, stanno giungendo a un buon punto. Ieri ho scoperto una certa continuità nella rappresentazione tra uno dei segni più antichi, che ha come significato "figura umana" e quello che significa, nelle lingue-figurative di Puglia, incise nel tufo o in attestazioni più tarde sui trulli, "preghiera che dalla terra e dagli inferi si eleva al cielo". L'uomo, d'altronde, vive una costante tensione tra due grandi abissi:
Noi siamo nature vaste, karamazoviane, […] capaci di riunire in sé tutti i contrasti possibili e di contemplare contemporaneamente tutti e due gli abissi, l’abisso che è al di sopra di noi, cioè quello dei supremi ideali, e l’abisso che è sotto di noi, cioè quello della più abietta e più fetida degradazione.
(F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, GARZANTI)
Ma al di là di tutto, anche se ho quasi rischiato burnout, sono contento di aver deciso di continuare a condividere e di essermi riappropriato di questo strumento, che va a passo d'uomo. Qui ci si può prendere il lusso di fermarsi a pensare, e con calma scrivere qualcosa.
Il problema non è più quello di fare in modo che la gente si esprima, ma di procurare loro degli interstizi di solitudine e di silenzio a partire dai quali avranno finalmente qualcosa da dire. Le forze della repressione non impediscono alla gente di esprimersi, al contrario la costringono a esprimersi. Dolcezza di non aver nulla da dire: è questa la condizione perché si formi qualcosa di raro o di rarefatto che meriti, per poco che sia, di essere detto.
(G. Deleuze, Gli intercessori, in "Pourparler")
FRAMMENTI DEL MESE:
1) E anche la violenza subita, nera, travestita da necessità inventata, da scopo che ti sei tirato su fin nel cervello, fin nel tuo ideale tradito e nel male inflitto agli altri con così lacerante innocenza. Anche la violenza diventerà dato. In pasto alle tue architetture in rovina. Nel grande apparato digerente, che tutto inghiotte. La cosa e il suo opposto.
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2) Atarassia Gröp, La preghiera dei banditi, Non si può fermare il vento, 2006, Kob Records:
youtube
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3) Schegge di sonno, cunei,
conficcati nel nulla:
noi restiamo gli stessi,
la stella rotonda che
punta-intorno
è d’accordo con noi.
Paul Celan da Die Gedichte aus dem Nachlaß (Poesie inedite, 1948-1969)
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4) L’io come progetto, che crede di essersi liberato da obblighi esterni e costrizioni imposte da altri, si sottomette ora a obblighi interiori e a costrizioni autoimposte, forzandosi alla prestazione e all’ottimizzazione. Viviamo una fase storica particolare, in cui la stessa libertà genera costrizioni. La libertà di potere (Können) produce persino piú vincoli del dovere (Sollen) disciplinare, che esprime obblighi e divieti. Il dovere ha un limite: il potere, invece, non ne ha. Perciò, la costrizione che deriva dal potere è illimitata e con ciò ci ritroviamo in una situazione paradossale. La libertà è, nei fatti, l’antagonista della costrizione, essere liberi significa essere liberi da costrizioni. Al momento, questa libertà – che dovrebbe essere il contrario della costrizione – genera essa stessa costrizioni. Disturbi psichici come depressione e burnout sono espressione di una profonda crisi della libertà: sono indicatori patologici del fatto che spesso oggi essa si rovescia in costrizione. Il soggetto di prestazione, che si crede libero, è in realtà un servo: è un servo assoluto nella misura in cui sfrutta se stesso senza un padrone. Nessun padrone lo fronteggia e lo costringe a lavorare. Il soggetto assolutizza la nuda vita e lavora. Nuda vita e lavoro sono le due facce di una stessa medaglia: la salute rappresenta l’ideale della nuda vita.
(Byung-Chul Han, Psicopolitica, Nottetempo)
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5) Yma Sumac, Tumpa:
youtube
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6) Pucho And The Latin Soul Brothers, Super Freak (1972)
youtube
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7) Igor, Hallelujah
youtube
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E poiché in questa società tutto deve diventare dato: in culo ai potenti!
F.
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COLETTE presenta il singolo "Dove pericolo non corre"
Il suo percorso inizia nel 2018 quando pubblica su Youtube la canzone “ Ragazza Monumento”, un brano acustico che racconta l’immobilità emozionale di una donna bellissima che, tuttavia, è rinchiusa in un’ atarassia rassicurante e allo stesso tempo spav
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Carla Ferraris - Vita Nuova LA CALMA MENTALE
©Wieslster Witold
Nel corso degli articoli comparsi nei precedenti numeri della rivista, abbiamo usato alcune volte l'espressione
"serenità", "calma mentale", "calma interiore".
Sono espressioni assimilabili, il cui significato appare chiaro, evidente, ma che forse meritano un approfondimento per quanto attiene il loro contenuto
reale.
Nell'ambito della Meditazione intesa comò pratica benefica per il nostro equilibrio psicofisico, ma ancor più nell'ambito della Meditazione quale intesa e
praticata da un Movimento Spiritico, la calma interiore è una componente irrinunciabile per raggiungere e verificare una comunione e una comunicazione
reali e sicure con il piano spirituale, una comunione e una comunicazione esenti da interferenze personali o estranee.
Una delle prime indicazioni che vengono date a chiunque decida di accostarsi alla Meditazione, comunque intesa, è quella di "praticare la serenità".
Cosa significa essere sereni? A parole è molto semplice: saper attraversare tutte le contingenze che la vita dispone
sul nostro cammino con animo imperturbabile, con la consapevolezza profonda che nulla è essenziale tranne
l'amore, che nulla è così coinvolgente da poter essere fonte di turbamento per uno spirito forte, nulla è così pesante da non poter essere sopportato.
A coloro che hanno una certa dimestichezza o reminiscenza della filosofia classica potrà sembrare che quanto cercheremo di esporre richiami i predicati
dello stoicismo e dell'epicureismo di Zenone ed Epicuro, particolarmente per quanto riguarda i concetti di "apatia"
(assenza di passioni) e di "atarassia"
(imperturbabilità). Ciò è solo apparentemente
vero, in quanto tali filosofie fanno dipendere tali stati di quiete, di tranquillità da una accettazione
fatalista delle situazioni.
Secondo Epicuro, infatti, nessun evento si produce in vista di un fìne, ma solo in conseguenza del movimento degli atomi che in diversa combinazione compongono noi e l'universo.
Soltanto quando l'anima, per un suo spontaneo moto fortunato o anche per influenza di una dottrina, sia giunta a rendersene conto, si sarà liberata da molte angosce, timori, rimorsi e potrà accogliere quella felicità che l'universo, preso per il suo giusto verso, dispensa in misura maggiore del dolore.
Zenone, dal canto suo, fonda la propria etica sulla "vita secondo natura" per sviluppare l'azione di quella particella di fuoco che costituisce la nostra
"ragion seminale"; essendo tutto determinato,
è impossibile deviare il corso della natura; bisogna perciò riconoscere accettare il corso inevitabile della stessa e assumersi la parte che in esso ci tocca come nostra, perchè soltanto così riusciremo a identificarci con quel fuoco, o ragione, che opera.
Allora il nostro operare sarà razionale e libero, e di esito immancabilmente felice, perchè andrà nell'identico senso del fatto; altrimenti saremo semplicemente trascinati. Ciò si esprime nel celebre adagio: "Fata volentem ducunt,
nolentem trahunt".
Secondo le nostre guide spirituali, invece, il conseguimento della calma mentale, di quella serenità di fondo che sola mette in grado l'essere razionale di non essere travolto dalle situazioni, a volte oggettivamente drammatiche, che si trova a dover affrontare, dipende da un'azione consapevole e determinante della volontà che esercita un controllo altrettanto consapevole e determinante su tutto quanto si ripercuote, in un modo o nell'altro su di noi.
Tutti quanti abbiamo notato quanto sia faticoso operare quando siamo svogliati, preoccupati, oppressi da un dolore fisico o spirituale e quanto invece ci riesca facile e leggero il lavoro quando lo affrontiamo e lo svolgiamo in serenità, in letizia, lasciandocene prendere, abbandonandoci ad esso con tranquillità, senza frapporre inutili ostacoli.
Questi ostacoli, che molto spesso opponiamo in modo inconsapevole, oltre a rendere pesante qualsiasi tipo di lavoro, possono rendere assai difficili i rapporti interpersonali, sia che questi rapporti coinvolgano noi, esseri umani, sia che li si voglia instaurare con il piano spirituale. Quando il nostro spirito è turbato, creiamo delle interferenze che rendono meno facile, meno scorrevole qualsiasi tipo di lavoro, qualsiasi tipo di rapporto.
Se ci pensiamo bene, la nostra vita è fatta per buona parte di comunicazione, dato che tutti viviamo in un contesto sociale piuttosto affollato. Ora, se, mentre parliamo con qualcuno, anticipiamo una sua parola, una sua conclsione, frapponiamo un ostacolo che il più delle volte non ha conseguenze,trattandosi di anticipazioni dettate dalla logica, ma quando tali anticipazioni sono in contrasto con ciò che il nostro interlocutore vuole esprimere, la comunicazione ne risulta inficiata, non è più attendibile, non riusciamo più a distinguere il nostro apporto personale,
magari emotivo, nervoso, insofferente, dal pensiero del nostro interlocutore.
Come si inserisce tutto questo nel discorso più ampio e globale della Meditazione, che abbiamo incominciato a trattare sulle pagine di questa rivista?
Abbiamo già discusso alcuni concetti di base, alcuni dei presupposti essenziali per accedere efficacemente alla Meditazione; richiamiamoli un attimo: apertura mentale, controllo del pensiero, educazione della volontà.
Essi costituiscono anche i presupposti essenziali per raggiungere la calma interiore.
Come abbiamo già avuto occasione di dire a proposito dell'apertura mentale, la calma interiore non è un atteggiamento che si assume di volta in volta, con un'azione della volontà puntuale e temporanea.
Essa è una condizione morale che si conquista poco a poco con un'azione continua e costante, vigile e determinata della volontà, una condizione che ci consentirà di agire con coerenza, con senso di responsabilità, senza tentennamenti, senza timori, senza remore di sorta, che ci aprirà la strada di nuove e più complete conoscenze, che ci aiuterà a stabilire rapporti basati non sulla contingenza, ma sull'essenza.
Essa infine costituisce il presupposto imprescindibile per raggiungere la capacità di "esprimere la forza del proprio pensiero".
Cosa significa questa frase? Lo spirito è sorgente di energia, e tale energia ha, come sua manifestazione precipua, il pensiero.
Normalmente la forza del pensiero si estrinseca nei comandi dati al nostro corpo fisico, nell'azione svolta razionalmente e così via.
Se impariamo ad usare la forza della nostra mente non a livello di pensiero elaborato, ma unicamente sotto forma di energia, cosa otteniamo? Otteniamo di poterla indirizzare ed utilizzare volontariamente per riequilibrarci, oppure per dare un apporto energetico a chi, per qualsiasi motivo ne abbia bisogno, o per stabilire una comunicazione per quanto possibile sicura con il piano spirituale.
Ed è proprio la calma mentale, con la sua assenza di "pensieri pensati", che rende possibile la concentrazione necessariaad esteriorizzare, a portare fuori di noi la nostra energia mentale, la nostra forza-pensiero, e quindi ad indirizzarla con un'azione volontaria e per il tempo necessario.
Possiamo aggiungere, senza tuttavia trattenerci sull'argomento, che anche il pensiero creativo, dall'intuizione geniale al semplice miglioramento di un procedimento operativo, prendono l'avvio dalla calma mentale.
Per raggiungere uno stato di calma interiore è necessario un certo distacco, una certa capacità di valutazione, per poter affrontare le situazioni con una visione globale più obiettiva.
D'altro canto, per arrivare a questo distacco, che non è nè senso di superiorità, nè superbia, nè mancanza di partecipazione, per arrivare a questa capacità obiettiva di valutazione è necessaria la calma.
Il cerchio quindi si chiude. La calma è l'elemento determinante per un cammino di crescita interiore, così come la crescita interiore è un elemento determinante per raggiungere la calma mentale, altrimenti tutto si ingarbuglia e ricomincia quel lavorio mentale che crea soltanto agitazione.
Questo lavorio mentale è insieme il punto di partenza e il punto di arrivo di tutti gli stati d'animo negativi. Si nutre e si alimenta di sè.
Quindi è il primo punto da combattere se si vuole arrivare a quella serenità di fondo di cui stiamo parlando e che sola consente di vivere in positivo, razionalmente e non emozionalmente, ogni situazione. E non è soltanto ai grandi eventi che dobbiamo fare attenzione, ma alle piccole cose, quelle che ci punzecchiano in ogni istante della giornata, dalle quali ci lasciamo cogliere alla
sprovvista, impreparati, dalle quali ci lasciamo coinvolgere e sopraffare: una macchina che ci schizza mentre attendiamo di poter attraversare la strada, una persona che si dilunga in spiegazioni inutili, un qualsiasi coritrattempo o impedimento che viene a sovvertire i nostri piccoli programmi e le nostre relative sicurezze.
Soltanto quando sapremo vivere tuttequeste situazioni minime con quel distacco che non è mancanza di partecipazione, ma capacità obiettiva di valutazione, potremo dire di essere sulla buona strada.
Dobbiamo dunque imparare a reagire positivamente alle sollecitazioni che ci giungono dall'esterno e dall'interno, perchè non è certo soggiacendo a tali sollecitazioni che riusciremo a percorrere la strada della calma interiore.
Non stiamo ad analizzare troppo se ciò che ci rende inquieti è scontento, paura, disagio o altro. Mettiamo da parte noi stessi e il nostro stato d'animo in modo completo.
Infatti se, invece di vivere i fatti, viviamo i turbamenti che i fatti possono produrre, le nostre risposte emotive vengono esaltate e veniamo ripresi dalla spirale dell'insoddisfazione, del dubbio, dell'abulia.
Certamente uno psicologo potrebbe meglio spiegare i collegamenti psicofisici di questi stati d'animo. Noi possiamo soltanto dire che, ricorrendo ancora e sempre al controllo del pensiero, continuando l'opera di educazione della volontà, agendo consapevolmente su noi stessi con determinazione, possiamo superare i dubbi, gli ostacoli reali e immaginari che incontriamo
sulla nostra strada: soprattutto quelli immaginari, che ci giungono dall'interno e che sono determinati da una consuetudine annosa di introspezione, di auto controllo, di condiscenza colpevole.
Introspezione, auto controllo e condiscenza.
Sono solo tre fattori, ma riassumono in sè molti atteggiamenti sbagliati che devono essere chiariti e corretti.
Infatti, il loro impiego errato o indiscriminato
può portarci all'inazione completa, alla complicità.
Analizzando un po' più in dettaglio le nostre affermazioni, possiamo dire che, se è vero che l'introspezione può portarci ad una migliore conoscenza della realtà più profonda della nostra essenza, è altrettanto vero che questa conoscenza è unilaterale, soggettiva, non trova spesso riscontro nella realtà esterna 'e finisce per isolarci da essa, chiudendoci in noi stessi e facendoci vivere in un mondo tutto nostro, che rifiuta il contatto con gli altri.
Anche qui, come in ogni cosa, ci vuole moderazione, equilibrio. L'ascolto interno, l'ascolto di quanto ribolle e lievita nel nostro intimo è certamente introspettivo, ma diventa costruttivo quando viene portato all'esterno, oggettivato, esteriorizzato, in modo da consentire una analisi oggettiva, comparata, circostanziata.
Autocontrollo, altro termine che deve essere ben delimitato, definito.
L'autocontrollo ci consente indubbiamente di evitare reazioni sproporzionate alla provocazione, di tenere un comportamento confacente alla convivenza sociale e civile e via discorrendo; è anche vero, però che chiude al nostro interno tensioni e pulsioni che, alla lunga, si accumulano e ci disturbano.
D'altro canto, se eliminiamo l'autocontrollo, corriamo il rischio di assistere all'esplosione di tutte le passioni che covano al nostro interno.
È quindi necessario non l'auto controllo, bensì il controllo delle situazioni che agiscono su di noi, un controllo oggettivo, al fine di valutare la sollecitazione prima che essa abbia agito emotivamente su di noi, che ci consenta cioè non di sdrammatizzarla aposteriori, ma di riportarne l'impatto alle giuste proporzioni.
È una tecnica difficile, ma non impossibile.
Se qualcuno ci lancia contro un sasso, solitamente non rimaniamo immobili ad aspettare che esso ci colpisca.
Spontaneamente ci scansiamo per evitare l'urto. Valutiamo, cioè, a priori, la potenza del lancio, la distanza, la traiettoria, la possibile forza dell'impatto e agiamo automaticamente di conseguenza.
Non ci limitiamo quindi a lasciarci colpire e a valutare, a posteriori, potenza del lancio, distanza, traiettoria e forza d'impatto sulla base del bernoccolo che il sasso ci ha procurato.
La stessa cosa vale per le sollecitazioni cui siamo sottoposti: normalmente le valutazioni a priori avvengono naturalmente, automaticamente; qualche volta ciò non succede.
Quando tale valutazione non avviene, ecco che la sollecitazione non solo ci colpisce ma, dopo averci colpiti, rimane al nostro interno, ci penetra e ci
pervade in modo totale, diventa il nostro pensiero dominante, si ingigantisce, si alimenta di sè, ci rende vulnerabili a qualsiasi altra sollecitazione; in altre parole ci consegnamo disarmati allo stress che ne consegue.
Ora, pur ammettendo che, come è stato affermato da alcuni, lo stress sia una spinta all'apprendimento, uno stimolo all'azione, un elemento vitale che ci consente di procedere, l'accumulo di stress ci riduce ad un fascio di nervi tesi, ci rende incapaci di qualsiasi valutazione
oggettiva, di quel distacco prospettico che ci permette la partecipazione evitando un coinvolgimento emotivo troppo intenso, che ci consente cioè di conservare la nostra capacità di reazione, di controllo e anche di scarico.
E infme la condiscendenza colpevole.
Molto spesso tutto ciò che siamo capaci di mettere in atto per limitare i danni di una sollecitazione troppo forte, reale o immaginaria, proveniente dall'interno o dall'esterno, è una condiscendenza colpevole, uria sorta di complicità.
Cerchiamo di tenerci fuori da una situazione, scivoliamo in una sorta di abulia intellettuale ed emotiva che permette un apparente distacco.
Si tratta però di un di'stacco che, non essendo prospettico ma soltanto contingente, determinato dalla sollecitazione del momento, diventa alla lunga un estraniamento, una alienazione.
Non riconosciamo più come nostri tutti gli stimoli che ci colpiscono e quindi ci autoescludiamo, ci isoliamo.
Il risultato è che siamo ugualmente colpiti dalle sollecitazioni, accumuliamo ugualmente stress, ma non impariamo niente, passiamo per il mondo senza lasciar traccia, ascoltiamo spesso senza sentire, guardiamo spesso senza vedere, coltivando ed alimentando un senso di superiorità che un giorno o l'altro, se e quando ci scontreremo con una realtà che ci coinvolga direttamente, in prima persona, andrà in pezzi e ci farà andare in pezzi.
Concludendo, possiamo dire che la serenità, la calma mentale ci aiutano ad andare oltre l'apparente per giungere al reale, ci danno quell'allegrezza che non si esprime certo in risate e baldorie, ma in un sorriso, in una parola da cui gli altri traggono forza, in un viso chiaro, in due occhi aperti e franchi, in una mano tesa.
Il nostro viso troppo spesso è scuro, i nostri occhi cupi, la nostra mano contratta.
Ciò significa che il nostro impegno nei confronti della vita non è completo, stiamo eludendo le clausole di un contratto, non sappiamo elevarci al di sopra del particolare per vivere l'essenziale.
In questo la Meditazione ci aiuta, ma pretende da noi un impegno completo,vincolante, appunto, come una sorta di contratto.
Richiede studio, approfondimento e volontà di mettere in pratica, di vivere quanto si va apprendendo.
Abbiamo già parlato della Meditazione in generale, quale intesa e praticata nell'ambito di un centro spiritico.
A questo punto vorremmo soltanto aggiungere alcune parole dettate da uno degli Spiriti Istruttori di Vita Nuova:
''Non dimenticate mai che tutti abbiamo bisogno di chiarezza, di imparare a vedere le cose con chiarezza.
Quando sapremo guardare il mondo con gli occhi bene aperti, senza chiuderli davanti allo spirito che è in noi, sapremo affrontare la realtà con serenità, consapevoli che tale realtà non è circoscritta dalle quattro pareti che ci circondano, non è limitata a ciò che tocchiamo con le mani, a ciò che percepiamo con i nostri occhi e le nostre orecchie; vivremo una dimensione più dilatata, con tutto il nostro essere teso a captare l'impulso dell'altro da sè e a rispondere con amore; lasceremo lo spirito libero di esprimersi, non gli imporremo confini artificiali.
In questo modo avremo imparato a vivere.
Imparare a vivere significa essere aperti verso qualsiasi possibilità.
Non dite mai "è impossibile". Studiate quali sono le vie per rendere possibile l'impossibile.
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l’avanguardia del recruiting
Ultimamente, che poi tradotto sarebbe “negli ultimi anni”, succede sempre più spesso di trovare in giro offerte di lavoro un po’ controverse, soprattutto quando si tratta di cercare un lavoro che sia più creativo che manuale, tipo copywriter, ux designer, grafico, community manager, insomma quei lavori di comunicazione in cui le competenze sono un misto di preparazione e creatività.
Le modalità di recruiting dapprima erano tradizionali, del tipo colloquio conoscitivo, poi colloquio di competenze, poi colloquio finale e decisione, al massimo le domande erano un po’ ficcanti per capire anche padronanza di inglese e conoscenza del ruolo, ma da un po’ invece la situazione è diventata del tipo:
COPYWRITER: - Sei un articolista su una famosa rivista di cucina, scrivi un testo di 3000 caratteri, spazi inclusi, sulla carbonara, ma usa un modo originale per parlare del piatto, non la solita ricetta!!!
- Scrivici un articolo sulle dieci cose da vedere assolutamente a Palermo! Non ci sei mai stato? Scegli una città a tuo piacere!
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MARKETING ASSISTANT: - Il Vaticano sta per lanciare una nuova card turistica che comprende ingressi museali e mezzi pubblici in un unico biglietto. Crea un piano di marketing che presenti il prodotto e un piano di comunicazione per lanciarlo.
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Fai un lavoro per loro, un progetto, pensando di essere sotto valutazione e nel frattempo stai lavorando per loro a gratis. Se il recruiting è di questo tipo fidatevi che mai e poi mai queste realtà daranno un loro feedback nè con te nè con nessun altro, chiedetevi come mai cercano perennemente delle risorse? E perchè i lavori sono fatti di merda di solito? Per esempio gli articoli sul web?
Fidatevi di me e smettete di lavorare a gratis credendo di cercare lavoro. Fatevi e fateci sto piacere. Anzi quando vedete in giro sti uncle sam del tipo “we want you” come and die for us, perdete un po’ di tempo per insultarli, vi sentirete meglio.
#cose mie#atarassia#di nuiova me#uncle sam#we want you#recruiting 2.0#il nuovo sfruttamento#se cerchi ti usano
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