#Pietro Paladini
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Terre rare di Sandro Veronesi: La fragilità della vita moderna raccontata attraverso il ritorno di Pietro Paladini. Recensione di Alessandria today
Un viaggio interiore tra ansia e ricerca della verità
Un viaggio interiore tra ansia e ricerca della verità. In Terre rare, Sandro Veronesi riprende le vicende di Pietro Paladini, protagonista del celebre romanzo Caos calmo. Questa volta, l’autore ci trasporta in una narrazione intensa e drammatica, dove, nel giro di sole ventiquattro ore, la vita di Paladini subisce un crollo totale. Un grave errore sul lavoro, la patente sospesa, l’ufficio…
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La ceramica di S. Pietro “degli Imbrici” (in Lama) prima della Manifattura Paladini.
interno di una bottega ceramica in San Pietro in Lama
di Valentina Pagano e Riccardo Viganò
Il territorio di San Pietro in Lama è stato da sempre vocato alla lavorazione e produzione di manufatti ceramici in quanto ha saputo sfruttare la conformazione geomorfologica del territorio in cui insiste, un’area del Salento nota come Valle della Cupa. Qui la presenza di terreni fertili, unita alla facilità di reperimento di argilla e d’acqua, ha incoraggiato la frequentazione e lo sfruttamento del territorio da parte dell’uomo sin da tempi antichissimi. La propensione alla produzione ceramica è insita nel DNA di questo centro produttivo. La sua importanza sul territorio salentino la possiamo dedurre in già “antiquo” dal nome con cui San Pietro in Lama era noto in passato, vale a dire “degli Imbrici”. Nel 1580 il domenicano Egnazio Donati, su commissione di Papa Gregorio XIII, realizza le Tavole Geografiche d’Italia e nella sezione dedicata alla Sallentina Peninsula il paese viene denominato come “San Pietro dell’Imbrice”.
Osservando la carta si denotano errori legati alla corretta ubicazione del centro ; tuttavia è importante sottolineare che all’autore interessa evidenziare, a scapito dell’esattezza geografica, l’attività prevalente degli abitanti, vale a dire la produzione su vasta scala di laterizi. Un’ industria questa che caratterizzava ed interessava non solo il tessuto ma anche il disegno del centro abitato tanto che i camini delle fornaci sono ben evidenziati nella tela del XVII secolo, conservata sull’altare maggiore della chiesa della Madonna dell’Immacolata o della Croce, in cui si raffigura S. Irene che protegge dai fulmini il piccolo casale con la città di Lecce . L’aspetto geomorfologico del territorio viene evidenziato da due cartografie, eseguite nel 1567 e nel 1595 dal cartografo veneziano Jacopo Gastaldi, dove il centro di San Pietro viene definito una prima volta di “Busi”, forse un richiamo all’attività di estrazione dell’argilla attraverso gallerie, e nella seconda stesura “Buli”, per la presenza di bolo.
La materia prima, l’argilla, veniva estratta nei terreni vicini all’abitato che si è sviluppato su sabbioni tufacei addossate ad argille giallastre e turchine. I banchi di argilla sono documentati in località S Anna e Cave dove, fino alla metà del ‘900, si potevano osservare gallerie sotterranee dalle quali si estraevano zolle di argilla giallastra che venivano, successivamente, lavorate nelle botteghe dei figuli.
Un’altra area di estrazione era sita in località Purtune Russu: qui vi erano cave di argilla azzurrina e bolo . In assenza di dati provenienti da scavi archeologici, una fonte preziosa per la ricostruzione del passato recente del nostro centro sono le ricerche eseguite alla fine degli anni sessanta dello scorso secolo, dagli studiosi tedeschi Hampe e Winter, i quali si recano nei vari centri produttori presenti nel Salento, tra cui San Pietro in Lama, per studiare le tipologie di fornaci e i tempi di cottura del materiale ceramico prodotto nelle botteghe tradizionali ancora efficienti.
Da essi veniamo a conoscenza che nelle botteghe erano attive delle fornaci di tipo verticale, presenti anche a Cutrofiano, definite dagli stessi studiosi di tipo “salentino” . Oggi, tuttavia, di questa tipologia di fornace a San Pietro in Lama non sembra esserci più traccia. Solo negli atelier appartenenti ad antiche manifatture site nella periferia nord ovest del paese, in località Purtone Russu, sono ancora attive fornaci a combustione simili a quelle antiche, ma tipologicamente diverse dal primo esemplare in quanto costruite con una forma ed una tecnica che richiamano quelle di origine grottagliese, importate nel basso Salento da figuli proveniente da Grottaglie nella prima metà dell’800. Le botteghe, in passato, erano concentrate nel cuore dell’attuale centro storico, con Nardò, quasi un unicum in Puglia. Ogni quartiere aveva nel suo interno uno o più atelier ceramici.
Il centro storico coincide con lo sviluppo urbanistico che il paese aveva già ben definito agli inizi del Seicento. In questo periodo si possono riconoscere i seguenti quartieri: isola di S. Antonio Abate, protettore dei ceramisti, il quartiere più antico; l’isola di S. Nicola, così chiamata per la presenza dell’omonima chiesa abbattuta sul finire dell’800 per favorire l’ampliamento di piazza del Popolo; l’isola delle Amendole; l’isola di S. Giovanni e l’isola di S. Stefano. In generale, le botteghe erano prossime alla casa in cui il figulo abitava, di solito confinanti ed in simbiosi con laboratori di conciatori di pelli e saponari per via della grandissima facilità di reperire a poco prezzo la cenere. A causa dell’interdipendenza di botteghe di diverso utilizzo ed altamente inquinanti a volte accadevano disordini, legati alla carenza di igiene, che davano fastidio alla comunità e che portavano a delle soluzioni abbastanza drastiche.
Accadde, ad esempio, che nel 1753 a ridosso della festività patronale, per porre fine a questi continui “litigi, disturbi e pubbliche irrequietudini”, l’Universitas di Lecce decise di demolire alcune di queste botteghe inviando sul posto l’ingegnere ebreo Mosè per far eseguire quanto stabilito. Dai documenti sappiamo che le botteghe demolite erano di proprietà della famiglia Andriolo e di Vito Pascali, ed erano ubicate lungo la strada che collegava la piazza con la chiesa della Madonna della Croce, vicino alla piazza del mercato . Ad un esponente della famiglia Pascali, il maestro Pietro, si deve la realizzazione di uno dei manufatti più noti della produzione di S. Pietro in Lama. Si tratta del boccale a sorpresa, il cosiddetto “bevi se puoi”, oggi esposto nella Pinacoteca Barocca “Antonio Cassiano” del Museo Provinciale Sigismondo Castromediano di Lecce. Il boccale, rispetto ad altri esemplari della stessa tipologia conosciuti, si distingue per una filastrocca che accompagna il gioco della passatella, scritta e firmata dallo stesso Pascali nel 1750. Il testo dice: “Da qui sopra entra il vino Lo vedete e lo sentite E se bevere volete bisogna fatigar Cercate e provate quell’ingegno bello e caro Ma se io non vi la imparo Solo viento e ci escerà. IO M. PIETRO PASCALI SAN PIETRO IN LAMA – 1750.”
il “bevi se puoi” di Pietro Pascali esposto nella Pinacoteca Barocca “Antonio Cassiano” del Museo Provinciale Sigismondo Castromediano di Lecce
Grazie a questo esemplare e ad antichi documenti riguardanti l’antico Monastero di S. Chiara di Nardò sappiamo che San Pietro in Lama non era specializzato solamente nella produzione di laterizi, come mattoni, tegole e coppi, appunto “imbrici”, ma anche di ceramica d’uso e da dispensa. Si producevano, infatti: “mortai”, “catini” e “limbe per fare la colata” etc., piatti e boccali smaltati e decorati come il nostro “bevi se puoi”. La produzione, nonostante il basso numero di botteghe presenti, e la diversificazione di fatture, riusciva a soddisfare non solo le esigenze della vicinissima città di Lecce, ma anche quella di altri importanti centri vicini, come la città di Nardò e Copertino . È bene evidenziare che l’elenco dei ceramisti qui dato, per il periodo compreso tra il Seicento ed il secolo successivo, data l’alta mobilità di manodopera specializzata, potrebbe risultare incompleto perché non tutti i ceramisti esistenti ed operativi a S. Pietro in Lama sono registrati come tali nella documentazione ufficiale in nostro possesso. La contestualizzazione delle botteghe dei secoli passati viene mantenuta anche nell’Ottocento.
Dallo studio dello Stato dei Patentati di questo centro produttivo, redatto durante il periodo napoleonico a cavallo degli anni 1811 – 1815, non solo la distribuzione delle botteghe rimane invariato, ma anzi da una lettura complessiva di questo elenco, si evince come a San Pietro in Lama ci fosse uno dei centri con più manodopera specializzata registrata, dopo i centri di Cutrofiano e Grottaglie in Terra d’Otranto. La decadenza degli atelier ceramici, se di decadenza possiamo parlare, comincia quando Angelantonio Paladini imprenditore già Sindaco di Lecce nel 1866, fondò nel 1872 nella sua villa esistente nel territorio di San Pietro in Lama una manifattura ceramica che dava lavoro a più di 150 impiegati, (agli inizi reclutati dall’area napoletana) e nella quale si fabbricavano, tra l’altro, maioliche artistiche (firmate Manifattura Paladini- Lecce).
Fu un esperimento questo destinato ad avere breve durata, difatti si concluse solo nel 1896, quando la fabbrica chiuse i battenti a seguito della morte del fondatore . A questa quasi feroce industrializzazione alla quale sopravvive si aggiunge la crisi del settore avvenuta con l’introduzione dei materiali plastici i quali a partire dagli anni cinquanta del secolo scorso, fecero decadere usi poveri e tradizioni pluristratificati da secoli, a favore di una più agiata “modernità”.
A tutt’oggi nonostante le crisi di settore, e la mancanza di vocazioni all’arte, questa tradizione fatta di argilla acqua e fuoco, viene portata avanti dagli oramai rari discendenti di queste famiglie che da secoli con Orgoglio si trasmettono da padre in figlio segreti alchemici di quest’arte millenaria.
#Angelantonio Paladini#Manifattura Paladini#Riccardo Viganò#San Petro in Lama#San Pietro dell’Imbrice#terracotta#Valentina Pagano#Artigianato di Terra d'Otranto#Spigolature Salentine
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*** Dal 16 luglio il muro dell’Ex Fabbrica Mira Lanza ospiterà i lavori di 13 artisti tra fotografia, illustrazione e collage. Linguaggi e tecniche differenti messi insieme dall’unica voce di INDIA EXHIBITION: dallo spazio architettonico e urbano al tema del viaggio, sia esso fisico o interiore, l’occasione per scoprire nuovi talenti, rendere ancora più piacevole l’aperitivo al tramonto nell’area relax e attendere gli spettacoli in programma fino a tarda notte. Ad esporre le loro opere saranno: - Alice Castello - Andrea Vaduva - Antonis - Cinzia Franceschini - Cristina Paladini - Dumitru Alexandru - Eleonora Alviti - Fabio Martino - Francesca Moretti - Futura Tittaferrante - Martina Tomassini - Pietro Romitelli - Susanna D’Alessa #polaroid#instaxfilm#polaroidsx70#polaroidoriginals#impossibleprojects#urbanlandscape#color#instantfilm#surrealismo#analog#instaxphotography#architecture#rome #city #buildings #skyscraper #urban #design #minimal #cities #town #street #art #arts #architecturelovers #abstract#lines#instagood#indiaestate#estateromana2018
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Opinione: I Quattro Regni, di Pietro Tulipani
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Gli orchi, antichi nemici degli uomini, nani ed elfi, stanno effettuando una corsa agli armamenti. Il re, allarmato, cerca alleati, i quali nominano un’ambasciata composta dai loro guerrieri più abili e fidati e da uno dei paladini, saggi guerrieri custodi della pace. Tra loro ci sarà anche un abile cacciatore dal passato misterioso, appartenente a un’antica razza ormai quasi del tutto estinta. Con il benestare del re degli uomini, si aggiungerà alla spedizione anche una giovane ragazza, Aisling, figlia di un nobile generale del regno. Intanto Déltan, un giovane contadino orfano di padre, conduce la sua esistenza tranquilla in una piccola città del regno, sognando un giorno di esplorare il mondo. Una sera, la sua città viene attaccata da mostruose creature anfibie. I cittadini e i soldati resistono all’attacco, ma buona parte della città è data alle fiamme. Déltan non riesce a salvare sua madre e il giorno seguente, decide di unirsi all’ambasciata di Aisling.
° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° °
Un fantasy dalle tinte "old", che ricorda vagamente Tolkien. Un enorme regno diviso fra quattro Re, tra Orchi, Uomini, Elfi e Nani; ma tante altre creature lo popolano, come scopriremo. Dopo un'antica guerra gli orchi sembrano ritornare a minacciare gli altri regni, ma non c'è certezza in questo, costringendo i regnanti a trovarsi per discuterne. Ma durante questo viaggio Nathelon, Re degli Uomini, viene attaccato da un gruppo di orchi, portandoli ad una decisione difficile: mandare un gruppo di ambasciatori fin dal Re degli Orchi per parlare e cercare di capire che intenzioni abbia; ma in caso di guerra, ucciderlo per evitare ulteriori sofferenze e morti nei regni. Scelgono i più abili esponenti di ogni razza: l'elfo Fàlenthes, il nano Orith, l'umano Verghen con la sua protetta Aisling, Edwar il paladino dell'ovest e Arezor, uno degli ultimi rimasti di un'antica razza. Nel frattempo entreremo anche nella vita di Déltan, un giovane contadino che sogna di poter viaggiare ed esplorare, anche se si è quasi rassegnato alla vita tranquilla in campagna con la madre. Istruito dal padre, sia in una base del combattimento che della cultura, prima della sua morte prematura, è diventato un uomo coraggioso, buono ed intelligente. Tutto cambia quando il suo villaggio viene attaccato da delle creature anfibie, che distruggono e portano morte nel villaggio. Gli ambasciatori sono lì nella cittadina quando accade e aiutano la gente, salvando molte vite. Durante la battaglia anche Déltan si distingue, ma tornando a casa scopre che la madre è stata uccisa. Non avendo nulla per cui rimanere, decide di partire, chiedendo di unirsi alla spedizione. Rifiutato, non si arrende e li insegue, dando inizio alla sua avventura insieme a loro. Viaggeranno lungo queste terre e (ri)scopriranno molte cose, tante credute dimenticate, e durante questo percorso impareremo molto anche noi riguardo la storia di quel mondo: popoli creduti scomparsi, luoghi inaspettati, guerre antiche. Vedremo crescere i due giovani, sia individualmente che insieme, perché attratti l'un l'altra, ma troppo diversi (come estrazione sociale) per poter sperare in un futuro. Ricco di piccoli insegnamenti, si chiude con qualcosa su cui riflettere. Una storia abbastanza scorrevole, che ricorda i fantasy di stampo vecchio, con qualche aggiunta a renderlo interessante e nuovo. Una lettura non male, che mi è piaciuta molto. Se vi piace il genere, segnatevelo. from Blogger http://ift.tt/2u4eAv4 via IFTTT
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An Act Of Love from Riccardo Pittaluga on Vimeo.
AN ACT OF LOVE directed and produced/ Riccardo Pittaluga minimalzero.com
casting - location - management - assistant / Dalila Romeo set assistant / Marcello Olivari driver / Christian Leonardo Cristalli makeup / Cristina Massimiliani
arm wrestler 1 / Paolo Cupido arm wrestler 2 / Antonio Paladini bear 1 / Piero Maccagnani bear 2 / Antonino Giordano judge / Federico Floris bookmaker / Marco B. Bucci
extras / Greta Bassini, Alessandro Bonettini, Aura Cadeddu, Salvatore Cavera, Christian Leonardo Cristalli, Maria Grazia Di Fraia, Alessandro Filograna, Gea Gaudiello, Pietro Guermandi, Nicole Guerzoni, Gianluca Mariani, Ettore Marrani, Costanzo Marro, Emy Mastroeni, Silvia Musi, Ivana Saccone, Tiziana Saraca Volpini, Kai Trevisan, Chiara Zuin
shooted at/ Bar De' Marchi/ Bologna
thanks to/ Valeria Roberti
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FESTA DELLA MADONNA DELLA RIVA AD ANGERA
Torna la festa della Madonna della Riva, al cui culto è dedicato il santuario alle spalle del porto asburgico, sulle sponde del Lago Maggiore.
LA COMMEMORAZIONE RELIGIOSA DEL MIRACOLO Nel 360° anniversario del Miracolo della Madonna della Riva e della memoria di Sant’Arialdo, una processione con le barche fino all’isolino Partegora ha sottolineato il martirio del santo. Ma domenica 2 luglio la comunità religiosa angerese celebrerà la festa del santuario con una messa solenne alle ore 11 celebrata dal parroco don Pietro Bassetti, che ricorderà il suo 30° anniversario di consacrazione sacerdotale. In serata poi, alle 21, i fedeli potranno ricevere la benedizione con il bacio della reliquia e lunedì prendere parte ad una speciale celebrazione eucaristica per i defunti alle 21.
LA FIERA Accanto alle celebrazioni religiose nel corso della giornata festiva non mancheranno attrazioni per bambini (truccabimbi) e le bancarelle dei Mercanti dei Sette Laghi, associazione varesina impegnata nella tutela dei prodotti italiani. Nella cittadina sul Verbano ci saranno una cinquantina di espositori con le loro bancarelle che proporranno ai clienti e ai visitatori merce di qualità, prodotti tipici e specialità gastronomiche lombarde. “Vogliamo riportare la tradizione in piazza” spiega Carlo Belletta, presidente territoriale ANVA Confesercenti Varese e presidente dei Mercanti dei Sette Laghi “e offrire alla clientela prodotti nostrani e di alta qualità. I nostri operatori italiani sono tutti selezionati”.
RINGRAZIAMENTI I Mercanti dei Sette Laghi ringraziano per l’opportunità l’amministrazione comunale, il sindaco Alessandro Paladini Molgora, l’assessore al Commercio Lorenza Marzetta e il comandante della Polizia Locale Claudio Furiga, oltre che il tecnico fieristico Sandro Proviniper la disponibilità dimostrata e l’ottima pianificazione della fiera. Un grazie anche ai commercianti locali per la loro piena collaborazione.
#angera#ANVA#carlobelletta#confesercentivarese#madonnadellariva#mercantideisettelaghi#Eventi#La redazione#Turismo
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9 Attrazioni Top-Rated turistiche Verona, PlanetWare
Il teatro è la casa della stagione estiva Verona Jazz Festival. Castelvecchio, l'Arena, la Casa di Giulietta, Piazza delle Erbe, la cattedrale, e diverse chiese con opere d'arte a raggrupparsi in questo centro storico. Anche se non è il più grande, si è classificato tra i migliori giardini rinascimentali in Italia. La bella facciata principale degli strati di mattoni e tufo bianco alternata è affiancata da una torre slanciata Campanile romanico (1045-1178) e il 14 ° secolo merlata torre difensiva di un'antica abbazia benedettina.
Una chiesa gotica della fine del 13 ° secolo, San Oggi ospita diverse collezioni importanti, tra cui dipinti, sculture greche e romane, la scultura medievale e rinascimentale, e arazzi realizzati su cartoni di Raffaello. Appena dentro, un paio di grottesche scolpite nel marmo tenere acquasantiere, quello lasciato da Gabriele Caliari, il padre del pittore Paolo Veronese. Sul lato nord della Piazza dei Signori si trova la Loggia del Consiglio, uno dei più belli edifici del Rinascimento in Italia.
Esso si trova sul sito del foro romano, ed è ora un mercato di frutta e verdura. Il capoluogo di provincia di Mantova fu la residenza dei Gonzaga dal 1328 fino al 1707, e hanno reso Mantova uno dei più raffinati e coltivata di capitali principeschi, un grande centro d'arte e di apprendimento. Del teatro stesso, è possibile vedere i resti di mura e pietre di tufo del palazzo palco nella fossa palco con i fori in cui le corde sono state disegnate per aprire e chiudere le tende.
Sul bel portale principale della cattedrale sono due figure di paladini di Carlo Magno, Roland e Oliver, eseguiti tra il 1139 e il 1153. accede attraverso un arco da Piazza delle Erbe. Più visibili sono i resti della sala, che è stato costruito sul fianco della collina in gallerie e terrazze, tra cui il piano della seduta orchestra con marmi intarsiati geometrica. Il Ponte Romano, Ponte Pietra, è stato fatto saltare in aria durante la seconda guerra mondiale, come lo erano i ponti tutti di Verona, ma dopo la guerra, le pietre sono state recuperate dal fiume e accuratamente selezionati e riassemblati nel ponte che attraversa qui oggi. Nelle navate laterali sono affreschi dal 13 ° al 15 ° secolo.
A nord di esso è una fontana del 1368 con la Madonna di Verona. un antiche statue di marmo che è stato riutilizzati in epoca medievale. Il suo reliquiario si trova nella cripta, che è abbastanza insolito in quanto è uguale per dimensioni e risalto al presbiterio sopra di esso. Piazza dei Signori e Loggia del Consiglio non perdere il fresco San Marco, emblema della ex governanti veneziani di Verona.
Soprattutto nella calura estiva, è un rifugio tranquillo dalla città. Un altro sentiero conduce dalla parte posteriore, la ripida scarpata a un meno giardino formale con una grotta e una vista sulla città incorniciato da bellissimi cipressi. Recenti scavi hanno portato alla luce qui un romano di strada, mosaici, e altri resti al di sotto del livello della strada attuale, che è possibile esplorare da un ingresso al largo della grande cortile adiacente. Il primo San Fermo Maggiore è stata costruita nel secolo ottavo in memoria dei santi Fermo e Rustico, che si ritiene al momento di have been martirizzato nell'arena. Le principali attrazioni di Verona, con poche eccezioni, si trovano all'interno del tornante nel fiume Adige, dove i romani costruirono la loro città.
San Fermo Maggiore Anche se si entra attraverso l'elegante chiostro romanico attraverso un cancello a lato, essere sicuri di vedere le porte di bronzo sul portale anteriore, con spettacolari rilievi romanici di scene bibliche e profane. Indirizzo: Piazza San Zeno, Verona
12 Attrazioni turistiche Top Viaggi Verona Easy Day
Basilica di San Zeno Maggiore Indirizzo: Regaste Redentore 2, Verona Sopra la porta della chiesa sono il sarcofago e una copia di una statua equestre di Cangrande della Scala, che morì nel 1329 (l'originale è splendidamente visualizzato Castelvecchio). Il Palazzo della Ragione (Municipio), sul lato sud della piazza fu iniziata nel 1193 ma rimaneggiata nei secoli successivi. Cercare il loro simbolo: la scala (scala) era l'emblema araldico della famiglia e ricorre frequentemente nelle ringhiere in ferro battuto elaborati. Particolarmente suggestive sono le colonne di marmo rossa e marmo coro a schermo. Nel coro è una figura di marmo, pensato per essere del 14 ° secolo, di San Come molte case qui, è adornato con affreschi rinascimentali. Dall'altra parte del ponte romano di Ponte Pietra, adagiato sul pendio sottostante Castel San Pietro. il Teatro Romano è stato costruito nel primo secolo durante il regno di Augusto e scavato tra il 1904 e il 1939. Zeno, vescovo di Verona del IV secolo. Sull'altare maggiore è un 15 ° secolo Madonna e Santi del Mantegna. Nel cortile sono scalone gotica 1446-50 e l'ingresso al Torre dei Lamberti. La grande Basilica 11-12 secolo di San Zeno Maggiore è considerato il migliore edificio romanico nel nord Italia. Questi vengono visualizzati nelle camere opulente decorate con affreschi, dipinti sul soffitto, e soffitti riccamente scolpiti. La bella chiesetta di Di Santa Maria Antica E 'stato completato nel 12 ° secolo e divenne la chiesa di famiglia dei principi Scala Della, che governarono Verona nei secoli 13 ° e 14 °. Indirizzo: Piazza Duomo 21, Verona La cattedrale è una basilica romanica del 12 ° secolo con una nave gotica del 15 ° secolo. porta della città romana costruita nel I secolo dC e restaurato nel 265. Il fronte principale dell'edificio è rinascimentale, risalente al 1524. Ecco alcune alberghi con rating elevato a Verona: Anastasia sovrasta una piccola piazza nel cuore di Verona. Adiacente è una campana su una base romanica, progettato dal Sanmicheli, ma non completata fino al 1927. A sinistra sono il monumento murale di John, morto nel 1359, e il sarcofago del Mastiff dal 1277. Verona Mappa - Attrazioni in centro della piazza è il salone 16 ° secolo, un baldacchino su quattro colonne, un tempo utilizzato per le elezioni. Il loro sontuosa residenza, la massiccia Palazzo Ducale. domina la città ed è ancora uno dei più splendidi palazzi d'Italia. Agata, dal 1353. Giorgio e la principessa di Pisanello. L'attuale chiesa mantiene il suo 11 ° secolo in stile romanico parte inferiore, con una sezione superiore gotico del 13 ° 14 ° secolo. Indirizzo: Via Arche Scaligeri, Verona Piazza dei Signori è circondato da palazzi, e nel mezzo si erge un monumento a Dante eretto nel 1865. La facciata è splendidamente decorato in marmo. Dietro il 16 ° secolo Palazzo Giusti è il bel giardino, Giardino Giusti, con percorsi tra i suoi parterre formali, statue del passato, e un labirinto di siepi. All'interno, sul primo altare a sinistra, è punto culminante principale della chiesa, Tiziano 1525 Assunzione. e alla fine della navata destra si trova la tomba gotica di S. E 'decorato con bellissimi affreschi e stucchi. sorge di fronte al 84 metri di altezza Torre dei Lamberti. con una campana medievale, El Rengo. È stato sostituito nel 11 ° secolo, con l'attuale struttura, e la cripta è la parte unico superstite di quella originale. Cattedrale di Santa Maria Matricolare (Cattedrale) Indirizzo: Via San Fermo, Verona A sinistra della cattedrale è un chiostro romanico costruita nel 1123, con un primo pavimento a mosaico cristiana al livello inferiore. Al nord-est angolo si trova la Casa Mazzanti. originariamente costruito dagli Scaligeri. Anche in piazza sono una torre merlata e il Palazzo dei Tribunali. convertito in 1530-1531 da un palazzo Scaligero e con un portale rinascimentale di Michele Sanmicheli. La caratteristica centrale del centro storico di Verona è la forma rettangolare Piazza delle Erbe, una delle piazze più suggestive d'Italia. Scaligero (Scaliger Tombs) Mark, Corso Porta Borsari è interrotta da di Porta Borsari. Fortunatamente per i turisti, così faccio diversi alberghi, e altri sono a pochi minuti di distanza. Indirizzo: Via Giardino Giusti 2, Verona L'interno ha un insolito tetto in legno del 14 ° secolo e splendidi capitelli romanici. Nel corso della sua portale sono scene della vita di San Anche nel centro di Mantova, il chiesa di Sant'Andrea è un capolavoro di architettura Primo Rinascimento costruito da Leon Battista Alberti nel 1472-1494, con transetto e del coro dal 1600. Teatro Romano e Stone Bridge E 'stato costruito da Fra Giocondo 1486-1493, ed è coronata da statue dei cittadini illustri Verona. La Casa dei Mercanti, all'angolo di Via Pellicciai è stata ricostruita nel 1878 nella sua forma originale nel 1301. All'interno delle ringhiere, sotto un baldacchino, sono i sarcofagi e statue equestri di Mastino II e Cansignorio, che è morto nel 1351 e il 1375 respectively. Indirizzo: Piazza Sant'Anastasia, Verona La chiesa ospita un crocifisso ligneo del 14 ° secolo e Alessandro Turchi di Adorazione dei pastori. Cercare gli affreschi Pisanello Brenzoni sopra il monumento, e più gli affreschi che circondano il pulpito ornato. terza maggiore attrazione di Piazza delle Erbe di Mantova è il solo piano Palazzo del Te. costruito per i Gonzaga tra il 1525 e il 1535 da Giulio Romano. Sul lato est della piazza è il Governament Palazzo. originariamente un altro palazzo Scaligero e contenente anche una porta del Sanmicheli. Le loro tombe gotiche imponenti quasi passare in secondo piano che, sormontato da loro effigi in armatura completa. Peter scolpito nella pietra, e sopra di loro, un 15 ° secolo fresco. Sul lato nord della piazza si trova il barocco Palazzo Maffei dal 1668, e alla sinistra di questo, il 1370 torre Gardello. Dalla fine vicino al leone di San Un ascensore dal lato del cortile vi porta fino in cima per una delle migliori viste a volo d'uccello della città vecchia. All'estremità nord della piazza, una colonna di marmo tiene il leone di San
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Ancora una violenza nei confronti dei bambini ....e nessuno parla
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Ancora una violenza nei confronti dei bambini ....e nessuno parla

Dopo anni di guerra (chiamarla “missione di pace” non cambia la realtà), in Afganistan, la situazione, sotto molti aspetti, non è migliorata. “Democrazia”, “pace” e diritti umani e sociali sono ancora delle mere chimere. Lo dimostrano fenomeni come quello della pedofilia: in un paese dove le relazioni omosessuali sono punite severamente, la pedofilia che ancora oggi è praticata e tollerata. Eppure molti anni fa le autorità avevano promesso che avrebbero penalizzato questi reati.
Nel paese sono ancora moltissimi i Bacha-bazi (“bambini per gioco”). Anzi questa piaga, negli ultimi anni, si è diffusa in tutto il paese anche grazie all’indifferenza (ma il termine più corretto, forse, sarebbe “connivenza”) di molti.
Ragazzini in età pre-puberale (tra gli otto e i quattordici anni sono venduti a uomini ricchi e potenti per “intrattenerli” e “compiacerli sessualmente”: spesso questi bambini vengono adescati per strada e negli orfanotrofi. E rapiti. Poi sono costretti ad indossare abiti femminili, a ballare e cantare nelle feste per intrattenere uomini molto più grandi di loro e finiscono per essere abusati sessualmente e molto spesso uccisi.
Già nel 2010, un documentario denunciava questo stato di cose: “The dancing boy of Afghanistan” del giornalista Najibullah Quraishi, riportava questa forma di abuso sui minori e indicava chiare responsabilità da parte dei comandanti militari e dell’élite del paese. Avere un proprio “harem” di Bacha-bazi era considerato uno status sociale, un simbolo di potere e influenza. “Le donne sono per crescere i figli, i ragazzi sono per il piacere”, recita un detto comune in molte parti dell’Afghanistan.
Poi, nel 2015, fu il portavoce dell’Unicef in Italia, Andrea Iacomini, a denunciare che “I ‘proprietari’, chiamiamoli così, dei Bacha-bazi approfittano della condizione di povertà in cui vivono questi bambini e le loro famiglie, sapendo che i genitori non posso rifiutarsi o denunciarli, perché sono troppo potenti e influenti e nessuno avrebbe il coraggio di opporsi”.
Un’inchiesta del New York Times del 20 settembre 2015 (*), parlava di militari americani che avevano imposto alle truppe di non intervenire né denunciare gli abusi sessuali, neanche quando gli alleati afghani abusavano dei ragazzini nelle stesse basi militari. Eppure nessuno ha fatto niente per fermare tutto ciò. Tutti hanno fatto finta di non vedere e di non sapere. Una indifferenza che ha permesso che questa pratica continuasse a non essere punibile neanche legalmente. Le autorità locali sovente chiudono un occhio.
È questo il lato peggiore di questa vicenda: questa orribile pratica di sottomissione e di pedofilia è possibile perché nessuno di questi bambini osa denunciare i propri aggressori (a che scopo denunciare un reato non punibile dalla legge?). Ma non basta: chi lo facesse rischierebbe di essere accusato di omosessualità (che, al contrario, in Afghanistan è considerata un reato punibile anche con la pena di morte). L’indifferenza ha fatto sì che questa forma di brutalità si diffondesse a macchia d’olio in tutto il paese: a dicembre del 2016, la Commissione indipendente per i diritti umani dell’Afghanistan (Aihrc) ha rilevato un aumento significativo dei casi di Bacha-bazi.
Oggi i Bacha-Bazi sono diventati un’arma nella guerra senza fine che sta distruggendo il paese: l’agenzia France Presse ha rivelato che i talebani, sfruttando questa pratica diffusa anche tra i ranghi della polizia, addestrano ragazzi per compiere stragi tra comandanti delle forze di sicurezza.
A nessuno fino ad oggi è importato granchè delle conseguenze sulla vita di questi adolescenti: “Le vittime soffrono gravi traumi psicologici “, ha confermato un rapporto della Commissione per i diritti umani in Afghanistan. “Nella mente dei ragazzi – prosegue la relazione – si instaura un sorta di disperazione e un sentimento di ostilità e vendetta, con il rischio che, una volta adulti, diventino a loro volta carnefici ripetendo il ciclo degli abusi”.
Solo recentemente, Hayatullah Amiri, a capo della Aihrc, ha sollecitato il Parlamento afgano affinchè prendesse provvedimenti. Per la prima volta, le autorità hanno presentato una proposta di legge che introduce severe sanzioni contro il “Bacha Bazi”. Le pene prevedono dai sette anni di carcere per violenza sessuale fino alla condanna a morte per i “casi gravi”, come gli abusi su di più di un ragazzo. “C’è un intero capitolo sulla criminalizzazione della pratica (Bacha Bazi, ndr) nel nuovo codice penale”, ha detto Nader Nadery, un consulente del presidente Ashraf Ghani, per il quale “il codice dovrebbe essere adottato a breve. Questo sarà un passo significativo verso la fine di questa brutta pratica”.
“Essere un “bambino danzante” – ha detto Andrea Iacomini – vuol dire subire un forte danno psicologico, dovuto al cambio di personalità, essere picchiato e vittima di ripetute violenze carnali da parte del proprio padrone o dei suoi amici”.
Stupri, omicidi, violenze di gruppo su minori che ai paladini della democrazia che da anni agiscono in Afganistan sembrano importare poco.
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Surbo e la sua “Madonna vestita d’Oro”
Surbo e la sua “Madonna vestita d’Oro”: un patrimonio di fede e tradizioni
Il Martedì dell’Ottava di Pasqua, Surbo festeggia la Madonna di Loreto, sua celeste Patrona
di Vincenza Musardo Talò
La Puglia, da sempre terra di incontro di luminose civiltà e naturale avanporta dell’Oriente, fin dal sec. XV vanta una consolidata tradizione del culto della Madonna di Loreto e dell’insigne reliquia della Santa Casa. In aggiunta, per il suo essere fin dall’alto medioevo meta di pellegrinaggio verso i numerosi santuari regionali (quello micaelico in primis) e luogo di raduno dei crociati in partenza per la Terra Santa, questa regione ha veicolato in numerosi centri demici del suo esteso territorio il suggestivo narrato della traslazione lauretana e dato testimonianza degli eventi prodigiosi ad essa afferenti. E così, più insistentemente lungo la costa adriatica (divenuta una sorta di baluardo contro i turchi frontalieri, soprattutto a partire dai fatti di Otranto del 1480), dalla Terra di Capitanata all’estremo lembo della Terra d’Otranto, da subito essa ha documentato momenti altissimi di devozione. Numerosi sono i santuari, gli altari di parrocchie o le cappelle urbane e rurali che riferiscono della dedicatio alla Vergine di Loreto, la cui diffusione non appare condizionata da mirate scelte insediative, tanto la rete di simili luoghi di culto mostra una sorta di omogeneità sull’intero territorio regionale, sia pure con una insistenza lungo i litorali dell’Adriatico, da Manfredonia a Santa Maria di Leuca. Il fenomeno cultuale tra i secoli XV e XVII si lega anche a una fioritura dei rituali del pellegrinaggio da parte dei devoti pugliesi.
Di tanto è dato sapere dai Registri dei Doni, conservati presso l’Archivio storico del Santuario lauretano, in cui si attesta un nutrito elenco di doni votivi, offerti dai pellegrini di Puglia o inviati da noti membri delle famiglie feudatarie del tempo, non escluse le commende dei cavalieri di Malta o le Domus dei templari, sommamente devoti alla Madonna di Loreto.
Tralasciando, per ovvi motivi, un più esteso e puntuale tracciato storico delle vicende pugliesi legate a tale indirizzo devozionale, ecco che nel primo Seicento, nei pressi dell’attigua cinta muraria a borea di Lecce, si origina il culto della Vergine di Loreto, praticato da quanti vivevano nel minuscolo casale di Surbo (suburbum), per secoli casale de corpore della città di Lecce.
Un culto che poi si è radicato e alimentato nel tempo; già nel 1724, è attestato che fosse il clero di Surbo e non quello di Lecce a festeggiare, il Martedì dopo Pasqua, presso il vicino santuario di S. Maria di Arurìo, la Gran Madre di Dio venerata non più sotto l’antico titolo di S. Maria di Aurìo ma come S. Maria di Loreto.
Invece, per quel che attiene il titolo di patrona, pare che la comunità di Surbo abbia preso a invocare il suo patrocinio a partire dal 1838. Non a caso la sua prima solenne celebrazione nel casale di Surbo, si tenne all’indomani della ricomposizione di una contesa, sorta nel 1837 tra il clero della parrocchia di S. Maria del Popolo di Surbo e quello della Chiesa di S. Maria della Porta di Lecce (per inciso, proprio quest’anno ricorre il 180.mo anniversario di quella storica, prima festa della Vergine lauretana a Surbo).
Tuttavia, per trovare l’incipit di tale devozione dei surbini, bisogna rifarsi alla tradizione locale, la quale riferisce di un prodigioso rinvenimento in un fondo vicino alla chiesa di Santa Maria (sec. XI), ubicata nel diruto casale medievale di Aurìo, nato dopo l’arrivo di una comunità di monaci basiliani e spopolatosi intorno al sec. XVI. Il toponimo Aurìo rimanda al termine greco layrion, laura (proprio dei tanti minuscoli cenobi bizantini del Salento greco) e compare per la prima volta in un diploma di epoca normanna, quando nel 1180, Tancredi d’Altavilla ne fa donazione al monastero benedettino dei Santi Niccolò e Cataldo di Lecce.
Stando alla tradizione, ai primi del ‘600, proprio in un fondo limitrofo alla chiesa di S. Maria di Aurìo, un contadino di Surbo rinvenne, in un tronco cavo d’ulivo, una piccola statua in legno scuro, che effigiava una Madonna in apparenza priva delle braccia, col divino Infante. Senza indugio, l’uomo lasciò la campagna e tornò in paese, portando la statua nella chiesa matrice di S. Maria del Popolo, dove accorsero i fedeli, toccati da quell’evento straordinario. Ma con grande sconcerto del popolo, il giorno seguente il prezioso simulacro era scomparso, per poi essere ritrovato nel medesimo luogo, da cui era stato asportato il giorno precedente.
Da subito, le fattezze di quel simulacro richiamarono nei fedeli surbini una certa somiglianza con la Vergine lauretana, giù venerata in tutto il Salento. Ma a Surbo, il culto della Madonna di Loreto nasce – a dire di alcuni studiosi – dalla somiglianza e dalla commistione fonetica tra layrion e Loreto, generando così la successiva assimilazione del culto della Madonna di Aurìo a favore di quello della Madonna lauretana, pur mantenendone la festa nella data antica, il Martedì dopo Pasqua. Tanto, in considerazione del fatto che nel casale basiliano di Aurìo, secondo il Sinassario bizantino, la festa della Madonna cadeva il Martedì dell’Ottava di Pasqua. E parimenti i devoti di Surbo vollero mantenere – e mantengono – in quella data la festa della Madonna di Loreto, che nel tempo si è denominata “Madonna vestita d’Oro”.
Pur tenendo in debito conto queste ipotesi, da parte mia, invece, depongo a favore di un dato più probante, afferente al già consolidato culto lauretano nella cristianissima Lecce del primo ‘600, sotto la cui amministrazione municipale cadeva pure il casale di Surbo. Tra i suoi trenta conventi, erano attivi due monasteri di donne claustrali, che andavano sotto il titolo di Santa Maria di Loreto: quello delle Carmelitane scalze, fondato sul finire del ‘500, e l’altro più tardo delle Cappuccine francescane. In aggiunta, l’influenza devozionale che arrivava da Lecce e l’opera di un qualche zelante predicatore venuto a Surbo, potrebbero aver concorso più verosimilmente a mutare l’antico indirizzo del culto mariano di Aurìo in quello della Vergine di Loreto, di cui vi è traccia materiale anche nei seicenteschi Registri dei Battezzati della Matrice, col dato certo dell’imposizione alle nuove nate del nome Auritana, Auretana, Lauretana e Lauria.
E sempre intorno alla metà del ‘600 o appena dopo è da datarsi una anonima tela, conservata presso la chiesa della Madonna di Loreto in Surbo, il cui tema iconografico tratta del miracolo della traslazione della Santa Casa. Il dipinto, visionato da P. Giuseppe Santarelli – come riferisce O. Scalinci – è da ritenersi posteriore al 1638, anno in cui il re di Francia Luigi XIII donò alla Vergine del Santuario di Loreto una preziosa corona, simile a quella effigiata nella tela di Surbo; mentre in precedenza, la Vergine esibiva una corona a forma di triregno, donata nel 1498 dai devoti di Recanati e che compare sulle teste della Vergine e del Bambino di Loreto fino al 1642.
Ma è dal 1838, che a Surbo partono i primi festeggiamenti della Madonna di Loreto, curati dalla erigenda Confraternita della Beata Maria Vergine Lauretana, che fin dal ‘700 si era embrionalmente costituita con un gruppo di devoti, un Corpo morale. Questa viene giuridicamente istituita nel 1858, con il Regio placet di Ferdinando II, re di Napoli e approvata con la bolla dell’ordinario di Lecce, mons. Nicola Caputo, in data 22 maggio del 1858. Primo priore fu Pietro P. Paladini. In aggiunta, nel 1860, sempre con decreto di Francesco II, viene ordinato al Comune di Surbo di concedere gratuitamente alla Congrega della SS. Vergine di Loreto, un suolo pubblico, destinato all’ampliamento della chiesa-oratorio, che portava il medesimo titolo. Questo periferico edificio di culto, già dedicato a S. Stefano, è attestato fin dal 1610 nei verbali di Santa Visita di mons. Scipione Spina, vescovo di Lecce. Più volte chiusa e poi riaperta al culto, nell’Ottocento perde l’antica intitolatio e prende il titolo mariano. Tanto è certificato nel 1882, quando l’ordinario diocesano, mons. Luigi Zola, visita la chiesa, che si presenta con due altari: quello centrale dedicata alla Madonna di Loreto e l’altro, in cornu Epistulae, dedicato a S. Stefano, primo titolare della chiesa. Al suo interno si custodiva l’antica statua della Madonna bruna e la tela del ‘600, raffigurante il viaggio – da Nazareth a Loreto – della Santa Casa. La Vergine e il Bambino, incoronati, mostrano fattezze celestiali; la Madre appare vestita di un abito rosso con decori dorati e preziosi ricami floreali. Dopo la reale approvazione giuridica del 1858, la locale Confraternita mariana prenderà in custodia detta chiesa, in cui fissa anche il suo oratorio.
In questo luogo sacro abita la statua della bella Madonna vestita d’Oro. E a tal proposito va detto che questa è una riproduzione della statua storica del ‘600, che ebbe in sorte quella di bruciare, quasi un comune destino con quella lauretana, la quale venne pure distrutta nel 1921 da un incendio. Si era negli anni dolorosi della prima guerra mondiale e per l’insistenza di tante famiglie, che avevano i loro cari al fronte, la statua venne tolta dalla teca dell’altare ed esposta alla devozione dei fedeli. La presenza abnorme di candele e lumi votivi fu la causa dell’incendio che distrusse la venerata icona. La riproduzione di un primo manufatto non simigliante a quello distrutto, portò a una seconda statua, bella come l’antica ma di colore chiaro, come oggi è dato osservare. Non una foto rimane a ricordare le fattezze della statua delle origini; pare che una devota avesse messo in salvo sola una manina del Bambinello, che poi custodì sotto campana, ma di cui oggi non vi è traccia.
Venendo all’oggi, caleidoscopica e ricca di rituali segnici è la festa della Madonna vestita d’Oro, che si tiene, ab antiquo il Martedì dell’Ottava di Pasqua, una data simbolica, ricca di riferimenti storici, di fede e di consolidate tradizioni.
I festeggiamenti si aprono il Lunedì dell’Angelo con la spettacolare fòcara serotina, un rito che mi ricorda i falò lauretani della notte del 10 dicembre, accesi a memoria della Venuta della Vergine a Loreto. Nel passato, erano i confratelli che andavano alla questua della legna e accendevano il falò sullo spazio antistante la chiesa, ancora fuori dal centro urbano. Poi, prima dell’alba del Martedì (alle ore tre), i confratelli e alcune pie donne o delle religiose (perché mai avrebbero potuto farlo le mani di uomini), compiono il devoto rito della vestizione della Vergine e del Bambino, che si mostrano integralmente coperti del corredo di monili, mentre la presenza di alcuni carabinieri vigila il prezioso cofanetto degli ori votivi, ogni anno più ricco, perché segno di una consolidata e continua donazione dei devoti.
Dopo il rito quasi privato della vestizione, all’Angelus mattutino, la chiesa della Madonna di Loreto si apre dinanzi a una folla di fedeli in attesa di entrare e rivedere, dopo un anno, la Madonna vestita d’Oro. Con l’arrivo del vescovo, salutata da spari di mortaretti, inni e ovazioni corali e la musica delle bande, ha inizio la processione. Alla folla, alle autorità cittadine e alla Congrega, si uniscono i bambini ���vestiti”, le donne devote – scalze e con un cero – che pubblicamente esprimono alla Vergine il loro bisogno di una grazia o di una intercessione; e non mancano segni o gesti di commossa pietà popolare. In questo particolare momento della giornata (bello o brutto che sia il tempo prima e dopo la processione), da sempre, quasi un prodigio, i surbini hanno testimoniato la presenza del sole, che mostra la straordinaria bellezza della Gran Madre di Dio, adorna di una sorta di dalmatica luccicante, fatta di ori, perle e pietre preziose di vario colore. Portata poi nella Chiesa parrocchiale, prima e dopo la celebrazione eucaristica, la Vergine riceve il filiale omaggio del popolo tutto; quindi, la sera del Mercoledì, giorno riservato ai festeggiamenti civili, la statua viene riportata nella sua Chiesa, dove si ripete il rito inverso a quello della vestizione. I confratelli, deposti in luogo sicuro gli ori della loro Madonna, pensano già alla festa dell’anno dopo.
Un ultima riflessione ci viene dal considerare il caso raro, se non unico, della spettacolare dote di gioielli votivi posseduta dalla Madonna lauretana di Surbo. Per noi resta un esempio il Gesù Bambino dell’Aracoeli a Roma (miseramente trafugato) o l’esempio di altre madonne dotate, ma mai in maniera tale da ricoprirle integramente e tanto riccamente di preziosi come la Madonna surbina.
E’ da credere che tali donativi debbano riferirsi a simbolismi profondamente stratificati nell’immaginario collettivo. Oltre che tributi di ringraziamento, questi – e a me sembra essere il caso di Surbo – sono fondamentalmente chiara manifestazione di una forma di preghiera materializzata, quasi il desiderio di ognuno e di tutti di accorciare le distanze col sacro, calandosi in un rapporto ravvicinato, di devozione diretta con la divinità stessa, tanto è forte il senso di intima appartenenza, a cui pure non è estraneo, ma non preminente, il rito dell’ex voto. Dunque, per il popolo di Surbo, simile corredo di preziosi donativi sarebbe il segno di un (conscio o inconscio) desiderio individuale e corale di stretta e materiale vicinanza con la sua Madonna.
Un atteggiamento collettivo che trova la sua legittima e più alta espressione nella continuità del suo prezioso e delicato omaggio alla Patrona, che si rende visibile nella plurisecolare devozione e soprattutto nella festa più attesa e più bella dell’anno. Ed è questo il momento in cui la devota Surbo condivide, rafforza e rivive i miti antichi delle sue radici, della sua storia e della sua granitica identità comunitaria civile e religiosa insieme.
#Aurio#Madonna di Loreto#S. Maria della Porta di Lecce#S. Maria di Aurìo#Surbo#Vincenza Musardo Talò#Spigolature Salentine#Tradizioni Popolari di Terra d’Otranto
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sede: Musei Reali di Torino (Torino).
La mostra offre al pubblico la possibilità di ripercorrere un momento straordinario per la nascita delle collezioni di Casa Savoia. Tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento si forma il primo ricchissimo nucleo delle raccolte di pittura, scultura e oggetti preziosi, che da subito godettero di grande fama internazionale. Il 30 agosto 1580 moriva il duca Emanuele Filiberto e saliva al trono il figlio diciottenne, Carlo Emanuele I, regnante per ben cinquant’anni, fino al 1630. Ambizioso, colto, amante delle lettere, delle arti e delle scienze, il giovane duca – sulla scia delle scelte intraprese dal padre, che nel 1563 aveva trasferito la capitale sabauda da Chambéry a Torino – si prodiga per un importante rinnovamento culturale ed artistico della città. Attraverso l’imponente lavoro dell’erudito Emanuele Filiberto Pingone, il duca assicura alla propria famiglia una tradizione di ascendenza sassone che si fa risalire al mitico antenato Beroldo, presunto padre di Umberto Biancamano e nipote di Ottone II di Sassonia (955-983) e punta a consolidare il ruolo dei Savoia come paladini della fede, grazie anche alla presenza, a Torino, della Santa Sindone. In questo contesto, la nuova capitale sabauda doveva assumere un’immagine in grado di competere con i principali centri europei, puntando innanzitutto l’attenzione sulla “zona di comando”, dove nel 1584 si ponevano le fondamenta del Palazzo ducale.
L’ESPOSIZIONE Squali di carta lunghi tre metri, oltre 800 dipinti, 14.000 volumi conservati in armadi, ognuno dei quali dedicato a un aspetto del sapere, busti romani, gioielli, armature, arazzi, carte geografiche: sono tutte le meraviglie del mondo raccolte dall’ambizioso e carismatico duca di Savoia Carlo Emanuele I nella seconda metà del Cinquecento. Oggi parte di questa straordinaria collezione rivive ai Musei Reali di Torino nella mostra Le meraviglie del mondo. Le collezioni di Carlo Emanuele I di Savoia, presentata in Galleria Sabauda e alla Biblioteca Reali. Le meraviglie del mondo presenta al pubblico uno straordinario momento del collezionismo sabaudo: quando, tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, con il duca Carlo Emanuele I si forma il primo ricchissimo nucleo delle raccolte di pittura, scultura e oggetti preziosi che da subito godettero di grande fama internazionale. In mostra sono esposte 250 opere alle quali si aggiungono 80 album di acquerelli e numerosi prestiti internazionali: per la prima volta la magnifica collezione di Carlo Emanuele I viene riunita in un’unica esposizione, come forse non accadeva dai tempi del duca. Il 30 agosto 1580 moriva il duca Emanuele Filiberto e saliva al trono il figlio Carlo Emanuele I (detto Il Grande), appena diciottenne, che regnerà per ben cinquant’anni, dal 1580 al 1630. Protagonista della vita di corte, attraverso la sua straordinaria collezione di meraviglie il duca afferma l’importanza dello Stato sabaudo, mettendolo al pari delle grandi potenze dell’epoca. Ambizioso, colto, amante delle lettere, delle arti e delle scienze, il giovane duca – in continuità con le scelte del padre che nel 1563 aveva trasferito la capitale sabauda da Chambéry a Torino – si prodiga per un importante rinnovamento culturale e artistico della città. Eredita da Emanuele Filiberto la visione strategica e l’attitudine militare; dalla madre, Margherita di Valois, figlia di Francesco I re di Francia, l’attenzione per la cultura e il gusto del bello. La moglie, Caterina Michela d’Asburgo, Infanta di Spagna, contribuisce ad ampliare i suoi orizzonti portando a corte la cultura spagnola. La mostra si apre con la storia del duca, ritratto in varie opere dalla sua fanciullezza all’età adulta. Sin da piccolo immerso nell’arte (Raffaello, Mantegna, codici miniati di grande bellezza) grazie alle raccolte del padre Emanuele Filiberto, il giovane duca esprime fin da subito il suo più profondo desiderio: creare un compendio di tutte le cose straordinarie del mondo. Ed ecco che nascono così le raccolte di oggetti antichi, le preziose collezioni librarie, il compendio delle meraviglie naturali, la raccolta di armi ed armature, la straordinaria quadreria, l’arredo scultoreo moderno, i ritratti. La passione per l’arte classica è uno dei cardini della politica culturale di Carlo Emanuele I, che non risparmia energie per accaparrarsi importanti opere di antichità. Nel 1583 acquista a Roma la collezione di Girolamo Garimberti, antiquario di fiducia di Cesare Gonzaga, consulente di Alessandro Farnese, di Rodolfo Pio da Carpi e del duca di Baviera Alberto V. Arrivano così a Torino circa duecento opere: teste di marmo e statue di varie dimensioni, oltre a tavole e colonne di marmi policromi. Nel 1610 è la volta di un’altra celebre raccolta romana: quella del banchiere Bindo Altoviti. Una parte delle sculture è destinata alla Galleria, ma le statue di grandi dimensioni vanno a decorare le fontane e i giardini del nuovo Palazzo Ducale e contribuiscono a trasformare il Casino di caccia del Viboccone, ora scomparso, in un raffinato luogo di svago, con un cortile ellittico popolato di sculture antiche. Un favoloso patrimonio parzialmente giunto fino a noi e ora custodito in gran parte tra i tesori dei Musei Reali di Torino, oggetti che trovano un profondo significato nella unitarietà generale della raccolta del duca. La collezione, per la prima volta, verrà in parte ricomposta al primo piano della Galleria Sabauda e nei caveaux della Biblioteca Reale, grazie a importanti prestiti di Musei e Istituti non soltanto torinesi, ma anche nazionali e stranieri.
La mostra è a cura di Annamaria Bava ed Enrica Pagella con la collaborazione di Gabriella Pantò e Giovanni Saccani. Il percorso nella Biblioteca Reale è curato da Pietro Passerin d’Entrèves e Franca Varallo.
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Le meraviglie del mondo. Le collezioni di Carlo Emanuele I di Savoia sede: Musei Reali di Torino (Torino). La mostra offre al pubblico la possibilità di ripercorrere un momento straordinario per la nascita delle collezioni di Casa Savoia.
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L'Arcadia salentina (Tommaso Perrone, Ignazio Viva, Pasquale Sannelli, Pietro Belli e Lucantonio Personè) e la peste di Messina (1/2)
di Armando Polito
Della tragedia che si abbattè su Messina dal 20 febbraio 1743 fino al 23 febbraio 1745 (data in cui la città ricevette la certificazione dalla liberazione dal morbo dopo che erano passati nove mesi senza che si registrasse un solo caso di contagio) una relazione dettagliata è nella memoria di Orazio Turriano, della quale riproduco di seguito il frontespizio.
Com’era naturale, il flagello destò preoccupazione anche in continente e sul comportamento del governo centrale ecco quanto scrive il Turriano a p. 4: Lodevolissima intanto è stata la condotta del Monarca Carlo Borbone, e de’,suoi Ministri pietosissimi, che non solo scandalizzati non si mostrarono per lo fatal’avvenimento di Messina, ma più tosto ritrassero motivo d’usar seco maggiore pietà, e compassione. La soccorsero a maraviglia, tantochè fu effetto, dopo il Divino aiuto, della reale Munificenza, il non essere rimasta totalmente distrutta come più appresso diremo.
Anche se il Turriano ricopriva la carica di segretario della città e la mia diffidenza nei confronti dei gestori del potere (dal più al meno importante nella scala gerarchica, anche, forse soprattutto, nel settore burocratico) rimane sempre attiva, tuttavia, debbo credergli sulla fiducia, non avendo da esibire prove in contrario.
Se, dunque, il sovrano verosimilmente si preoccupava dei sudditi e si occupava dei loro bisogni (oltretutto il duplice cordone sanitario per impedire che l’epidemia si diffondesse in Calabria funzionò), altrettanto si può dire dei sudditi, almeno quelli leccesi, nei suoi confronti. Infatti il sindaco dell’epoca, Angelo Antonio Paladini in nome della città aveva offerto al sovrano ed a tutta la casa reale di ricoverarsi in Lecce, come Città, che con tutta la Provincia, sotto la Protezione del Gloriosissimo S. ORONZO Primo Vescovo di Lecce, era stata sempre esente dal morbo contagioso, come si legge in un rapporto sulla risposta del sovrano stilato da Francesco Saverio De Blasi Consolo dell’Accademia dei signori Spioni di Lecce a nome della medesima ed indirizzato al sindaco. Tale rapporto, del quale di seguito riproduco il titolo, è all’inizio del secondo volume del Saggio istorico della città di Lecce di Pasquale Marangio, uscito a Lecce per i tipi di Marmi nel 1817 e ristampato da Giuseppe Saverio Romano, sempre a Lecce, nel 1858.
Il volume è importante perché una sezione intitolata Componimenti in loda di S. Maestà l’invittissimo Carlo Borbone Re delle due Sicilie comprende versi di autori salentini, tra i quali alcuni soci conosciuti della famosa accademia romana dell’Arcadia (che era stata fondata nel 1690) ed altri molto probabilmente ignorati fino ad ora non solo da me, tanto più che il loro nome non compare in nessuno dei cataloghi della detta accademia. Certo, avrei preferito parlare di loro ad integrazione, sempre provvisoria, della collana Gli Arcadi di Terra d’Otranto fin qui pubblicata in 20 puntate su questo blog, non in coincidenza della tragedia sanitaria che stiamo vivendo; ma le poesie che presenterò, in cui la celebrazione del sovrano prende quasi il sopravvento sulla tragica esperienza di quel tempo col riferimento, direi apotropaico, a s. Oronzo, possano essere di buon, anzi migliore auspicio per tutti, ma in particolare per coloro che invocano l’aiuto divino dopo aver violentato l’ordine naturale delle cose.
Comincio da TOMMASO PERRONE, del quale, nell’ambito della collana citata, mi ero già occupato in https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/03/gli-arcadi-di-terra-dotranto-10-x-tommaso-perrone-di-lecce/.
Le pagine 50-53 e 59 ospitano di lui, rispettivamente, un carme (A) ed un sonetto (B).
A
Questa, che miri ogn’or memoria Augusta
e tanto al suo splendor chiarore aggiunge,
città, che l’ortoa da Malenniob avesti.
è ben dover, c’alla futura etade
passi de’ Figli tuoi. Perché i tuoi Figli,
premendo l’ormec de’ Maggiorid loro,
sieguanoe ad illustrartif in ogni tempo.
Che bel misto di glorie in lei traluce!
Glorie, che vanno a terminare al Santo
tuo Difensorg da questa Terra al Cielo,
ad emularh quella verace gloria,
ond’Eii fruisce in sì stupende guise.
Il tuo gran Santo ha in Ciel la gloria vera,
che gli cagiona la vision di Dio,
vista soave, che Beato il rende
pe ‘l diffuso piacer, che sempre abbonda.
__________
a nascita
b Secondo la tradizione, discendente di Minosse, fondò Lecce. Ebbe un figlio di nome Daunio e una figlia, Euippa, che andò sposa ad Idomeneo re di Creta.
c seguendo l’esempio
d antenati
e continuino
f darti fama
g S. Oronzo, protettore della città.
h tentare di uguagliare
i Egli (s. Oronzo)
Ved’egli Dio, com’è in sè stesso. Vede,
che l’unità della Divina essenza
non contraddica all’esser Uno, e Trino.
Vede ingenito il Padre ed il Figliuolo
dal solo Padre generato e d’Ambo
(come da un sol Principio) procedente
lo Spirtossantok e tutto quel che sempre
a lui dispensa della gloria il lume
in quell’abisso d’infinito Bene.
Ma dalla Terra ha un’altra gloria il Divol,
gloria, c’accidental da noi si noma.
Nasce da quell’onor, dal sacro culto,
c’assi di lui, da’ Templi e sacri Altari,
dalle Colonne, dagli Archi e Colossi
eretti al nome suo: da’ dì festivi
a lui sacrati, dalle molte cere,
da’ lieti fuochi, da’ notturni lumi,
c’ardon per lui, dalle diverse lodi
che gli si danno e dall’immenso Stuolo
c’accorre ad onorarlo. Ei tutto accoglie
in lieto aspetto, e ne dimostra i segni
dal Ciel, donde largisce in copia i doni.
Quindi, se Iddio, per vendicar le offese
che l’uomo ingrato ogn’or gli fa peccando,
scuota la terra, ovver di strage l’empia,
che dal contagio, o dalla guerra nascam,
Ei supplice lassù, pregando, il placa
____________
k Ricorre, invece di Spirito Santo (quasi una resa grafica del concetto di uno e trino), anche in opere in prosa dei secoli scorsi. Qui, però, la scelta era obbligata per motivi metrici.
l divino (S. Oronzo).
m Viene qui ripresa la concezione medioevale del Dio punitore con sciagure di ogni tipo.
in tuo favore; e tu sicura osservi
da lungi il colpo dell’ultriceo destra
altrove con furor di già vibrato.
S’avvien che il Ciel da lungo tempo nieghi
l’umor vitalep alle tue piante e accorri
divota all’Ara a lui sacrata, tosto
benigno manda lor l’attesa pioggia.
Se mai le mandre del tuo gregge assalga
spiacevol morbo, che le uccida, basta
che tu le segni con fiducia ferma
del pingue umorq che dalle olive spremi,
che sempre arde in su’ onor presso l’Altare,
e in simil guisa ne riporti lieta
grazie, e favori allor, c’a lui ricorri.
Ma la parte miglior di questa gloria,
c’or dalla Terra al tuo gran Santo ascende,
è quella, che dal Regio onor diriva.
Il Re, accogliendo con pietoso affetto
l’Olio del Santo in auree Ampolle accolto,
che il provido tuo Padre in don gli porse,
baciolle e in sacri accenti il labbro sciolse,
per onorarlo, in sì divote forme,
che degli Astantir umoris dagli occhi estrasse,
allor che parte del Sicaniot suolo
era di peste nel malore involta.
E a te si espresse, che se il mal seguisse
ad infestar questo bel Regno, il seno
____________
o vendicatrice
p la pioggia
q l’olio, simbolo della grazia divina (oleum divinae gratiae)
r presenti
s lacrime
t siciliano; i Sicani, insieme con i Siculi e gli Elimi errano antichi popoli della Sicilia.
del tuo ricinto ad onorar verrebbe,
come di tanto mal sicuro asilo.
Or chi sa dunque se invitato e mosso
dall’innata pietà, che in lui risplende,
non porti il culto del tuo Santo dove
bagna il Betiu, la Vistolav e Garonnaw,
non che al vicin suo Regno di Trinacriax?
O chi sa ancor, che non l’avesse un giorno
per la Città Regale, ov’Ei dimora,
ad ottenere in suo Padrone, e Donnoy,
che ben può farlo? e sì a tal gloria aggiunga
gloria maggiore, a sè medesmo ancora?
Ma chi di sì bel fatto e sì bell’opra
ne porta il vanto? Egli è il tuo Padre, e Duce,
che ti governa, e regge. Il Duce, e Padre
è quegli, c’or da Sindaco presiede,
vegghiando in tuo vantaggio. Ei basta solo
che sia dal sangue Paladinz disceso,
per dir che sia di nobiltade adorno.
di generosi spirti, di prudenza,
di senno, di valore e di pietade.
Viva egli dunque il tuo gran Santo in Cielo.
Viva egli in Terra dentro il cuor di Tutti,
e nella lingua. Viva il tuo gran Rege,
che tanta gloria a Lui divoto accresce
e di tal gloria la cagion pur viva.
_____________
u Fiume della Spagna; da Baetis, nome latino del Guadalquivir.
v Il principale fiume della Polonia.
w Fiume della Francia.
x Sicilia. Trinacria è l’antico nome, dal greco τρινακρία (γῆ)=(terra) a tre punte.
y signore, dal latino dominu(m).
z La nobile famiglia Paladini, della quale parecchi rappresentanti eccelsero nelle armi (d’altra parte, con quel cognome, sembravano predestinati …)
B
Sia principio il gran Carlo, e fine al canto
di nostre rime, o bei cignia d’Idumeb.
Da lui prendiam, nel dir, vigore e lume,
che largo spande oltre i confin del vanto.
Cantiam com’Ei, divoto al nostro Santoc,
renda più Santo il suo Regal costume,
poiché, qual fiamma, ch’altra fiamma allumed, accresce a sua pietà pietade ahi quanto!
Per ciò, benigno, a noi volgendo il petto,
le prove del suo amor ne ha rese contee.
Or quale onor può compensarlo appieno?
Escano a schiere dall’ondoso letto,
e ‘l Regio piè per noi gli bacin pronte
Ninfe e Tritonif onor del bel Tirreno.
____________
a poeti
b Fiume leccese; vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/04/18/alle-fonti-dellidume-idronimo-inventato/
c S. Oronzo
d illumina; francesismo, da allumer.
e cognite, note.
f creature fantastiche, metà uomo e metà pesce.
Passo ora ad IGNAZIO VIVA, integrando quanto già registrato in https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/11/gli-arcadi-di-terra-dotranto-ignazio-viva-di-lecce-11-x/
Alle pagine 62 e 93 ii due sonetti (A e B) che seguono.
A
De’ più be’ fiori ornando il crine, e ‘l seno
surge il Sebetoa in fra gli eletti cori
dell’Almeb Ninfe e in mezzo alli splendori
di CARLO passa al mar lieto, e sereno.
Mira intorno le sponde del Tirreno
cinte di Palme, e di veraci Allori;
mira de’ Gigli d’oroc i nuovi onori
sul Po, la Dorad, e sulla Mosae e ‘l Renof.
Mira di CARLO il forte invitto Brando,
che strinse in sua difesa, e per suo vanto
là sul Tebrog in quel Giorno memorando.
Poi si riposa dolcemente a canto
(l’alte Ghirlande dell’Eroe membrandoh)
all’ombra del Reale inclitoi Manto.
_____________
a Fiume di Napoli.
b che danno vita
c I tre gigli dello stemma.
d Nome generico di due affluenti del Po (Dora Baltea e Dora Riparia).
e Fiume che nasce in Francia e scorre attraverso il Belgio e i Paesi Bassi.
f Tra i più lunghi fiumi europei, attraversa sei stati (Svizzera, Liechtenstein, Austria, Germania, Francia, Paesi Bassi).
g Tevere, dal latino Tibri(m). Allude ai fatti primavera del 1736, quando una serie di gravi abusi commessi a Roma dagli arruolatori napoletani e la violenta reazione popolare portarono a un punto di rottura i rapporti con la Chiesa: ne seguirono l’espulsione del nunzio da Napoli e duri provvedimenti militari contro le popolazioni laziali dalle truppe spagnole di stanza nello Stato pontificio.
h illustre
B
A S. Eccellenza il Signor Marchese di Salasa
Non perché in te, Signor, l’alto splendore
del Nome Illustre è di sè pago e degno,
sdegnar tu dei che ogni divoto ingegno
del nostro Idumeb offra il suo puro Amore.
Non giugnec, è ver, tanto alto un parco onore
del nostro umile Amor verace segno;
ma pur si appaga di un sincero pegno
di rispetto, e di fede il tuo gran Core.
Movesi il bel desiod che ne conduce
a spiegar l’opre eccelse e in van fa mostra
di giugnere là dove Virtù ti adduce.
Ma godiamo in pensar che l’età nostra,
or che di Astreaf tu sei la guida e il Duce
coll’età degli Eroi si agguaglia, e giostrag.
___________
a Giuseppe Gioacchino di Montealegre, Segretario di Stato e di Guerra.
b Vedi la nota b al componimento B di Tommaso Perrone.
c giunge
d desiderio
e giungere
f Dea greca dell’innocenza e della purezza. Scesa sulla terra nell’età dell’oro, diffuse i sentimenti di bontà e di giustizia ma, disgustata dalla degenerazione morale del genere umano si rifugiò nelle campagne e sopraggiunta l’età del bronzo, scelse di ritornare in cielo dove oggi risplende nell’aspetto della costellazione della Vergine
g gareggia
Nella seconda parte passerò in rassegna gli arcadi salentini dei quali fino ad ora ignoravo l’esistenza, anche se, ribadisco, sarebbe stato opportuno che ben altre circostanze me ne avessero propiziato la “scoperta”. L’augurio è che, tra voglia di conoscere, tenacia, intuito, circostanze magari fortuite ma fortunate ben altri ricercatori giungano presto a conoscere completamente ed a consegnare, cancellandola, alle pagine della storia della medicina la minaccia che incombe.
CONTINUA)
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*** Dal 16 luglio il muro dell’Ex Fabbrica Mira Lanza ospiterà i lavori di 13 artisti tra fotografia, illustrazione e collage. Linguaggi e tecniche differenti messi insieme dall’unica voce di INDIA EXHIBITION: dallo spazio architettonico e urbano al tema del viaggio, sia esso fisico o interiore, l’occasione per scoprire nuovi talenti, rendere ancora più piacevole l’aperitivo al tramonto nell’area relax e attendere gli spettacoli in programma fino a tarda notte. Ad esporre le loro opere saranno: - Alice Castello - Andrea Vaduva - Antonis - Cinzia Franceschini - Cristina Paladini - Dumitru Alexandru - Eleonora Alviti - Fabio Martino - Francesca Moretti - Futura Tittaferrante - Martina Tomassini - Pietro Romitelli - Susanna D’Alessa #polaroid#instaxfilm#polaroidsx70#polaroidoriginals#impossibleprojects#urbanlandscape#color#instantfilm#surrealismo#analog#instaxphotography#architecture#rome #city #buildings #skyscraper #urban #design #minimal #cities #town #street #art #arts #architecturelovers #abstract#lines#instagood#indiaestate#estateromana2018
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Consiglio del Giorno: I quattro regni
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Titolo: I quattro regni Autore: Pietro Davide Tulipano Editore: Astro (E-sordisco) Data di uscita: 27 marzo 2017 Pagine: 364 Prezzo: 1, 99 (ebook) ASIN: B06XVWQNYT Gli orchi, antichi nemici degli uomini, nani ed elfi, stanno effettuando una corsa agli armamenti. Il re, allarmato, cerca alleati, i quali nominano un’ambasciata composta dai loro guerrieri più abili e fidati e da uno dei paladini, saggi guerrieri custodi della pace. Tra loro ci sarà anche un abile cacciatore dal passato misterioso, appartenente a un’antica razza ormai quasi del tutto estinta. Con il benestare del re degli uomini, si aggiungerà alla spedizione anche una giovane ragazza, Aisling, figlia di un nobile generale del regno. Intanto Déltan, un giovane contadino orfano di padre, conduce la sua esistenza tranquilla in una piccola città del regno, sognando un giorno di esplorare il mondo. Una sera, la sua città viene attaccata da mostruose creature anfibie. I cittadini e i soldati resistono all’attacco, ma buona parte della città è data alle fiamme. Déltan non riesce a salvare sua madre e il giorno seguente, decide di unirsi all’ambasciata di Aisling. from Blogger http://ift.tt/2tg2gX0 via IFTTT
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