#Orazio Turriano
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L'Arcadia salentina (Tommaso Perrone, Ignazio Viva, Pasquale Sannelli, Pietro Belli e Lucantonio Personè) e la peste di Messina (1/2)
di Armando Polito
Della tragedia che si abbattè su Messina dal 20 febbraio 1743 fino al 23 febbraio 1745 (data in cui la città ricevette la certificazione dalla liberazione dal morbo dopo che erano passati nove mesi senza che si registrasse un solo caso di contagio) una relazione dettagliata è nella memoria di Orazio Turriano, della quale riproduco di seguito il frontespizio.
Com’era naturale, il flagello destò preoccupazione anche in continente e sul comportamento del governo centrale ecco quanto scrive il Turriano a p. 4: Lodevolissima intanto è stata la condotta del Monarca Carlo Borbone, e de’,suoi Ministri pietosissimi, che non solo scandalizzati non si mostrarono per lo fatal’avvenimento di Messina, ma più tosto ritrassero motivo d’usar seco maggiore pietà, e compassione. La soccorsero a maraviglia, tantochè fu effetto, dopo il Divino aiuto, della reale Munificenza, il non essere rimasta totalmente distrutta come più appresso diremo.
Anche se il Turriano ricopriva la carica di segretario della città e la mia diffidenza nei confronti dei gestori del potere (dal più al meno importante nella scala gerarchica, anche, forse soprattutto, nel settore burocratico) rimane sempre attiva, tuttavia, debbo credergli sulla fiducia, non avendo da esibire prove in contrario.
Se, dunque, il sovrano verosimilmente si preoccupava dei sudditi e si occupava dei loro bisogni (oltretutto il duplice cordone sanitario per impedire che l’epidemia si diffondesse in Calabria funzionò), altrettanto si può dire dei sudditi, almeno quelli leccesi, nei suoi confronti. Infatti il sindaco dell’epoca, Angelo Antonio Paladini in nome della città aveva offerto al sovrano ed a tutta la casa reale di ricoverarsi in Lecce, come Città, che con tutta la Provincia, sotto la Protezione del Gloriosissimo S. ORONZO Primo Vescovo di Lecce, era stata sempre esente dal morbo contagioso, come si legge in un rapporto sulla risposta del sovrano stilato da Francesco Saverio De Blasi Consolo dell’Accademia dei signori Spioni di Lecce a nome della medesima ed indirizzato al sindaco. Tale rapporto, del quale di seguito riproduco il titolo, è all’inizio del secondo volume del Saggio istorico della città di Lecce di Pasquale Marangio, uscito a Lecce per i tipi di Marmi nel 1817 e ristampato da Giuseppe Saverio Romano, sempre a Lecce, nel 1858.
  Il volume è importante perché una sezione intitolata Componimenti in loda di S. Maestà l’invittissimo Carlo Borbone Re delle due Sicilie comprende versi di autori salentini, tra i quali alcuni soci conosciuti della famosa accademia romana dell’Arcadia (che era stata fondata nel 1690) ed altri molto probabilmente ignorati fino ad ora non solo da me, tanto più che il loro nome non compare in nessuno dei cataloghi della detta accademia. Certo, avrei preferito parlare di loro ad integrazione, sempre provvisoria, della collana Gli Arcadi di Terra d’Otranto  fin qui pubblicata in 20 puntate su questo blog, non in coincidenza della tragedia sanitaria che stiamo vivendo; ma le poesie che presenterò, in cui la celebrazione del sovrano prende quasi il sopravvento sulla tragica esperienza di quel tempo col riferimento, direi apotropaico, a s. Oronzo, possano essere di buon, anzi migliore auspicio per tutti, ma in particolare per coloro che invocano l’aiuto divino dopo aver violentato l’ordine naturale delle cose.
Comincio da TOMMASO PERRONE, del quale, nell’ambito della collana citata, mi ero già occupato in  https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/03/gli-arcadi-di-terra-dotranto-10-x-tommaso-perrone-di-lecce/. 
Le pagine 50-53 e 59 ospitano di lui, rispettivamente,  un carme (A) ed un sonetto (B).
  A
Questa, che miri ogn’or memoria Augusta
e tanto al suo splendor chiarore aggiunge,
città, che l’ortoa da Malenniob avesti.
è ben dover, c’alla futura etade
passi de’ Figli tuoi. Perché i tuoi Figli,
premendo l’ormec de’ Maggiorid  loro,
sieguanoe ad illustrartif in ogni tempo.
Che bel misto di glorie in lei traluce!
Glorie, che vanno a terminare al Santo
tuo Difensorg da questa Terra al Cielo,
ad emularh quella verace gloria,
ond’Eii fruisce in sì stupende guise.
Il tuo gran Santo ha in Ciel la gloria vera,
che gli cagiona la vision di Dio,
vista soave, che Beato il rende
pe ‘l diffuso piacer, che sempre abbonda.
__________
a nascita
b Secondo la tradizione, discendente di Minosse, fondò Lecce. Ebbe un figlio di nome Daunio e una figlia, Euippa, che andò sposa ad Idomeneo re di Creta.
c seguendo l’esempio
d antenati
e continuino
f darti fama
g S. Oronzo, protettore della città.
h tentare di uguagliare
i Egli (s. Oronzo)
  Ved’egli Dio, com’è in sè stesso. Vede,
che l’unità della Divina essenza
non contraddica all’esser Uno, e Trino.
Vede ingenito il Padre ed il Figliuolo
dal solo Padre generato e d’Ambo
(come da un sol Principio) procedente
lo Spirtossantok e tutto quel che sempre
a lui dispensa della gloria il lume
in quell’abisso d’infinito Bene.
Ma dalla Terra ha un’altra gloria il Divol,
gloria, c’accidental da noi si noma.
Nasce da quell’onor, dal sacro culto,
c’assi di lui, da’ Templi e sacri Altari,
dalle Colonne, dagli Archi e Colossi
eretti al nome suo: da’ dì festivi
a lui sacrati, dalle molte cere,
da’ lieti fuochi, da’ notturni lumi,
c’ardon per lui, dalle diverse lodi
che gli si danno e dall’immenso Stuolo
c’accorre ad onorarlo. Ei tutto accoglie
in lieto aspetto, e ne dimostra i segni
dal Ciel, donde largisce in copia i doni.
Quindi, se Iddio, per vendicar le offese
che l’uomo ingrato ogn’or gli fa peccando,
scuota la terra, ovver di strage l’empia,
che dal contagio, o dalla guerra nascam,
Ei supplice lassù, pregando, il placa
____________
k Ricorre, invece di Spirito Santo (quasi una resa grafica del concetto di uno e trino), anche in opere in prosa dei secoli scorsi. Qui, però, la scelta era obbligata per motivi metrici.
l divino (S. Oronzo).
m Viene qui ripresa la concezione medioevale del Dio punitore con sciagure di ogni tipo.
  in tuo favore; e tu sicura osservi
da lungi il colpo dell’ultriceo destra
altrove con furor di già vibrato.
S’avvien che il Ciel da lungo tempo nieghi
l’umor vitalep alle tue piante e accorri
divota all’Ara a lui sacrata, tosto
benigno manda lor l’attesa pioggia.
Se mai le mandre del tuo gregge assalga
spiacevol morbo, che le uccida, basta
che tu le segni con fiducia ferma
del pingue umorq che dalle olive spremi,
che sempre arde in su’ onor presso l’Altare,
e in simil guisa ne riporti lieta
grazie, e favori allor, c’a lui ricorri.
Ma la parte miglior di questa gloria,
c’or dalla Terra al tuo gran Santo ascende,
è quella, che dal Regio onor diriva.
Il Re, accogliendo con pietoso affetto
l’Olio del Santo in auree Ampolle accolto,
che il provido tuo Padre  in don gli porse,
baciolle e in sacri accenti il labbro sciolse,
per onorarlo, in sì divote forme,
che degli Astantir umoris dagli occhi estrasse,
allor che parte del Sicaniot suolo
era di peste nel malore involta.
E a te si espresse, che se il mal seguisse
ad infestar questo bel Regno, il seno
 ____________
o vendicatrice
p la pioggia
q l’olio, simbolo della grazia divina (oleum divinae gratiae)
r presenti
s lacrime
t siciliano; i Sicani, insieme con i Siculi e gli Elimi errano antichi popoli della Sicilia.
  del tuo ricinto ad onorar verrebbe,
come di tanto mal sicuro asilo.
Or chi sa dunque se invitato e mosso
dall’innata pietà, che in lui risplende,
non porti il culto del tuo Santo dove
bagna il Betiu, la Vistolav e Garonnaw,
non che al vicin suo Regno di Trinacriax?
O chi sa ancor, che non l’avesse un giorno
per la Città Regale, ov’Ei dimora,
ad ottenere in suo Padrone, e Donnoy,
che ben può farlo? e sì a tal gloria aggiunga
gloria maggiore, a sè medesmo ancora?
Ma chi di sì bel fatto e sì bell’opra
ne porta il vanto? Egli è il tuo Padre, e Duce,
che ti governa, e regge. Il Duce, e Padre
è quegli, c’or da Sindaco presiede,
vegghiando in tuo vantaggio. Ei basta solo
che sia dal sangue Paladinz disceso,
per dir che sia di nobiltade adorno.
di generosi spirti, di prudenza,
di senno, di valore e di pietade.
Viva egli dunque il tuo gran Santo in Cielo.
Viva egli in Terra dentro il cuor di Tutti,
e nella lingua. Viva il tuo gran Rege,
che tanta gloria a Lui divoto accresce
e di tal gloria la cagion pur viva.
_____________ 
u Fiume della Spagna; da Baetis, nome latino del Guadalquivir.
v Il principale fiume della Polonia.
w Fiume della Francia.
x Sicilia. Trinacria è l’antico nome, dal greco τρινακρία (γῆ)=(terra) a tre punte.
y signore, dal latino dominu(m).
z La nobile famiglia Paladini, della quale parecchi rappresentanti eccelsero nelle armi (d’altra parte, con quel cognome, sembravano predestinati …)
  B
Sia principio il gran Carlo, e fine al canto
di nostre rime, o bei cignia d’Idumeb.
Da lui prendiam, nel dir, vigore e lume,
che largo spande oltre i confin del vanto.
Cantiam com’Ei, divoto al nostro Santoc,
renda più Santo il suo Regal costume,
poiché, qual fiamma, ch’altra fiamma allumed, accresce a sua pietà pietade ahi quanto!
Per ciò, benigno, a noi volgendo il petto,
le prove del suo amor ne ha rese contee.
Or quale onor può compensarlo appieno?
Escano a schiere dall’ondoso letto,
e ‘l Regio piè per noi gli bacin pronte
Ninfe e Tritonif onor del bel Tirreno.
____________  
a poeti
b Fiume leccese; vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/04/18/alle-fonti-dellidume-idronimo-inventato/
c S. Oronzo
d illumina; francesismo, da allumer.
e cognite, note.
f creature fantastiche, metà uomo e metà pesce.
  Passo ora ad IGNAZIO VIVA, integrando quanto già registrato in https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/11/gli-arcadi-di-terra-dotranto-ignazio-viva-di-lecce-11-x/
Alle  pagine 62 e 93 ii due sonetti (A e B) che seguono.
A
De’ più be’ fiori ornando il crine, e ‘l seno
surge il Sebetoa in fra gli eletti cori
dell’Almeb Ninfe e in mezzo alli splendori
di CARLO passa al mar lieto, e sereno.
Mira intorno le sponde del Tirreno
cinte di Palme, e di veraci Allori;
mira de’ Gigli d’oroc i nuovi onori
sul Po, la Dorad, e sulla Mosae e ‘l Renof.
Mira di CARLO il forte invitto Brando,
che strinse in sua difesa, e per suo vanto
là sul Tebrog in quel Giorno memorando.
Poi si riposa dolcemente a canto
(l’alte Ghirlande dell’Eroe membrandoh)
all’ombra del Reale inclitoi Manto.
 _____________
a Fiume di Napoli.
b che danno vita
c I tre gigli dello stemma.
d Nome generico di due affluenti del Po (Dora Baltea e Dora Riparia).
e Fiume che nasce in Francia e scorre attraverso il Belgio e i Paesi Bassi.
f Tra i più lunghi fiumi europei, attraversa sei stati (Svizzera, Liechtenstein, Austria, Germania, Francia, Paesi Bassi).
g Tevere, dal latino Tibri(m). Allude ai fatti primavera del 1736, quando una serie di gravi abusi commessi a Roma dagli arruolatori napoletani e la violenta reazione popolare portarono a un punto di rottura i rapporti con la Chiesa: ne seguirono l’espulsione del nunzio da Napoli e duri provvedimenti militari contro le popolazioni laziali dalle truppe spagnole di stanza nello Stato pontificio.
h illustre 
  B
A S. Eccellenza il Signor Marchese di Salasa
 Non perché in te, Signor, l’alto splendore
del Nome Illustre è di sè pago e degno,
sdegnar tu dei che ogni divoto ingegno
del nostro Idumeb offra il suo puro Amore.
Non giugnec, è ver, tanto alto un parco onore
del nostro umile Amor verace segno;
ma pur si appaga di un sincero pegno
di rispetto, e di fede il tuo gran Core.
Movesi il bel desiod che ne conduce
a spiegar l’opre eccelse e in van fa mostra
di giugnere là dove Virtù ti adduce.
Ma godiamo in pensar che l’età nostra,
or che di Astreaf tu sei la guida e il Duce
coll’età degli Eroi si agguaglia, e giostrag.  
___________ 
a Giuseppe Gioacchino di Montealegre, Segretario di Stato e di Guerra.
b Vedi la nota b al componimento B di Tommaso Perrone.
c giunge
d desiderio
e giungere
f Dea greca dell’innocenza e della purezza. Scesa sulla terra nell’età dell’oro, diffuse i sentimenti di bontà e di giustizia ma, disgustata dalla degenerazione morale del genere umano si rifugiò nelle campagne e sopraggiunta l’età del bronzo, scelse di ritornare in cielo dove oggi risplende nell’aspetto della costellazione della Vergine
g gareggia
Nella seconda parte passerò in rassegna gli arcadi salentini dei quali fino ad ora ignoravo l’esistenza, anche se, ribadisco, sarebbe stato opportuno che ben altre circostanze me ne avessero propiziato la “scoperta”. L’augurio è che, tra voglia di conoscere, tenacia, intuito, circostanze magari fortuite ma fortunate ben altri ricercatori giungano presto a conoscere completamente ed a consegnare, cancellandola, alle pagine della storia della medicina la minaccia che incombe.
CONTINUA)
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