#decadenza moderna
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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Tedio invernale: l'intenso lamento di Giosuè Carducci sulla perdita del passato. Recensione di Alessandria today
Un canto malinconico tra memoria e desolazione
Un canto malinconico tra memoria e desolazione. “Tedio invernale”, poesia di Giosuè Carducci, è un’opera che riflette il profondo senso di disillusione e malinconia di fronte alla percezione di un passato glorioso ormai irrecuperabile. Carducci, con la sua abilità lirica, dipinge un quadro emotivo intenso, in cui il contrasto tra il ricordo di tempi luminosi e la cruda realtà presente genera un…
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crazy-so-na-sega · 5 months ago
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Lettera aperta - Olimpiadi
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La cerimonia inaugurale delle Olimpiadi di Parigi è la rappresentazione plastica di come certi eventi di caratura internazionale siano un’operazione di indottrinamento delle masse, volta ad attuare una riformattazione dei costumi, se non antropologica, delle cosiddette società occidentali.
Malgrado il dietro front di chi lancia il sasso per poi nascondere la mano con l’incalzare delle polemiche, alludendo a margine delle scuse ufficiali che la disposizione attorno a un tavolo di transessuali agghindati ad arte per l’occasione, manco le Olimpiadi siano il Carnevale di Rio de Janeiro, non sia una caricatura blasfema dell’Ultima Cena rappresentata dal Da Vinci, ma secondo la direttrice della comunicazione delle Olimpiadi Anne Descamps e Thomas Jolly, il direttore artistico (se così possiamo definirlo) della cerimonia, si voleva invece educare alla tolleranza e alla comunione.
Le Olimpiadi quali giochi che si svolgevano in Grecia iniziavano con celebrazioni religiose in favore di Zeus e si concludevano con la premiazione degli atleti vincitori, vennero riprese in epoca moderna a fine ‘800, ma sempre hanno conservato un universo estetico e simbolico arcaico proprio di quella civiltà ellenica che ha permeato l’Europa: dalla fiamma olimpica alla traslazione in altre nazioni a testimoniarne l’universalità.
E con la competizione insita nella natura dell’essere umano di confrontarsi con avversari al proprio pari, si veicolava un’immagine di sé salubre, forte ed atletica. E quindi indiscutibilmente bella. Perché nonostante le infezioni culturali contemporanee che propinano un relativismo tout court, esiste un canone oggettivo della bellezza, che la classicità ci suggerisce da tempi immemori che è rappresentato dall’armonia delle forme e da un ordine che è sintesi dell’unità che domina la diversità.
Bellezza, ordine, sostanza e FORMA. Ciò che abbiamo interpretato e riprodotto in tutti gli ambiti e in ogni epoca. Fino ad oggi. Perché noi siamo europei e proveniamo da una Civiltà.
Di contro, ciò che più di ogni altra cosa mina l’esistenza di una civiltà è l’informe. Perché l’assenza di Forma genera una sostanza malata. E là dove la sostanza è malata, la bellezza non può trovare posto e si finisce inesorabilmente per imbruttirsi. Prima nel singolo, poi nella moltitudine e infine nella società. E quindi si avvia il declino di una civiltà in decadenza.
E quando una società è decadente si può arrivare ad assistere all’esibizione della cerimonia inaugurale delle Olimpiadi con un personaggio come Barbara Butch investita dal ruolo di frontman. 
Conferitole recentemente il premio di personalità LGBT dell’anno per via della moltitudine di battaglie coraggiosissime a difesa delle minoranze arcobaleno condotte temerariamente al fianco di pressoché tutte le multinazionali, dei magnati della finanza e del mainstream globale. Allora comprendiamo perfettamente che il concetto di Forma quale riflesso di bellezza e di un ordine superiore suggeritoci dalla classicità dei greci, quegli europei che hanno dato vita alle Olimpiadi nel 776 a.C., difficilmente possa attecchire su chi come Barbara Butch conduce audacemente crociate in difesa de “l’accettazione dei grassi”. 
Perché l’immagine della cerimonia inaugurale in salsa woke è la più fulgida rappresentazione di come sia ripugnante l’esaltazione delle devianze promosse da chi essendo informe per natura, ha in spregio tutto ciò che essendo bello e giusto secondo natura, costituisce saldezza e ancoraggio: la famiglia e la Nazione, la Cultura e l’identità.
L’agenda cosmopolita della società aperta in fase di consolidamento mira alla distruzione di questi cardini e opera attraverso il condizionamento sociale di una propaganda che si fa sempre più spinta e pervasiva.
Nell’industria dell’intrattenimento, quella cinematografica, musicale o sportiva come in questo caso, ormai è prassi ordinaria rendere espliciti aspetti occulti di un certo misticismo sinistro: dall’ostentazione di modelli devianti per giungere all’esposizione di immagini sempre più spesso esplicitamente sataniste.
Ci chiediamo se eventi come Eurovision, Berlin Fashion Show e Super Bowl ad esempio attraverso performance altamente simboliche, non siano rivelatrici di un retroterra “esclusivo” che rappresenta egregiamente Sodoma e Gomorra: costumi BDSM, ballerini vestiti da donna in perizoma, cantanti che si esibiscono nudi, sesso omosessuale di gruppo praticato in un bagno sporco, croci rovesciate, streghe e demoni che si accoppiano al centro di un pentagramma, adulti che posano davanti alle cineprese con genitali esposti in presenza di bambini.
Vorremmo esimerci anche solo dal pronunciare certe oscenità per via della natura scabrosa di certi contenuti, se non fosse che vengono trasmesse in mondovisione sintonizzando centinaia di milioni di ascoltatori, sdoganando e normalizzando un passo alla volta le più infime degenerazioni dell’uomo mascherate da creatività, arte e inclusività.
Una poderosa macchina di propaganda mondiale che aspira a cancellare le identità nazionali e sovvertendo le religioni, i costumi e le tradizioni dei popoli, mira a scalzare ciò a cui siamo profondamente legati con lo squallore di una “cultura” globale indifferenziata che si esibisce in tutta la sua ripugnanza.
Ferocemente
-Kulturaeuropa
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multiverseofseries · 1 month ago
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Il Gladiatore II: Un Viaggio Epico tra Politica e Cinema
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Sangue, rabbia e una narrazione epica per un sequel potente e, a tratti, visionario. Un film che può essere letto anche alla luce delle problematiche contemporanee. Sullo schermo, Paul Mescal, Pedro Pascal e un magistrale Denzel Washington sono i protagonisti.
Il titolo stesso, Il Gladiatore II, ha un impatto gigantesco. Un film che mira a riportare sul grande schermo un tipo di cinema spettacolare, emotivo e maestoso, che sembra essere scomparso, ormai rivolto solo a un pubblico più distratto. Ma, sin dalla prima scena, Ridley Scott ci trasporta in un universo che richiama i grandi kolossal del passato: Ben-Hur, Quo vadis? e Spartacus, con tanto di omaggi. Eppure, nonostante l’omaggio al passato, Il Gladiatore II non è solo un grande seguito, ma un progetto che guarda anche al futuro, pur mantenendo il legame con la tradizione del cinema epico.
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Le premesse erano alte, eppure il risultato non ha solo soddisfatto le aspettative, ma le ha superate. Creare un seguito per un film leggendario come Il Gladiatore - che ha segnato una generazione - non era certo facile, ma Ridley Scott è riuscito a mantenere intatto lo spirito originale, pur dando vita a un film indipendente, contemporaneo e quasi visionario. Inoltre, con la sceneggiatura di David Scarpa, il film risulta essere uno dei più politici del regista, un'opera che, soprattutto in un'epoca in cui pochi autori osano esprimere opinioni forti, si propone come una dichiarazione di intenti chiara e potente.
Il Gladiatore II: Il Testimone di Massimo Decimo Meridio
Tra vendetta, redenzione e un viaggio che tocca anche dimensioni spirituali, Il Gladiatore II si fa portatore di un messaggio forte. Pur essendo ambientato in un mondo antico, la storia è un riflesso critico di un mondo moderno, in cui il potere e la guerra sono il terreno fertile di una politica corrotta e amorale. È un mondo che, sfortunatamente, somiglia molto al nostro. In questo contesto, la Roma che viene ritratta nel film è sull’orlo del collasso, e la trama riesce a rendere tangibile questa sensazione di decadenza.
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A vent'anni dalla morte di Massimo Decimo Meridio, l'eredità del leggendario gladiatore viene raccolta da Lucio Vero (Paul Mescal), un uomo ridotto in schiavitù dopo essere stato deportato dalla Numidia (l'antico nome del Nord Africa) dalle legioni di Marco Acacio (Pedro Pascal), sotto il dominio degli imperatori Caracalla e Geta. Arrivato a Roma, Lucio viene costretto a combattere come gladiatore per il crudele Marcrinus (Denzel Washington), uno schiavista senza scrupoli che trama per raggiungere il potere.
Il sogno di Roma e il crollo dell'Occidente
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Ciò che distingue Il Gladiatore II da tanti altri sequel è la sua forte componente politica, che va oltre la trama e si intreccia perfettamente con la narrazione storica e i temi trattati. La storia, infatti, si presta a una lettura che richiama le analogie tra l'Impero Romano e gli Stati Uniti moderni. Il sogno di Roma, incarnato da Lucio e poi da Marco Acacio, è il medesimo sogno tradito dell'“American Dream” – una promessa di libertà e giustizia ormai svuotata di significato.
Con una regia impeccabile, che riesce a catturare l'essenza del passato con grande maestria, Scott affronta temi come la democrazia, l'oppressione, la civiltà, la rivoluzione e la resistenza. La scenografia, la fotografia (firmata da John Mathieson) e la colonna sonora (di Harry Gregson-Williams, che si fa portavoce della grande tradizione musicale di Hans Zimmer e Lisa Gerrard) accompagnano lo spettatore in un viaggio visivo che fa vibrare ogni singola scena. Eppure, un avviso: non cercate una riproduzione storicamente fedele; il cinema, come sempre, è prima di tutto un'arte, non una lezione di storia.
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In questo contesto, Lucio, interpretato da Paul Mescal, emerge come una figura potente e moderna, ancora più incisiva di quella di Massimo Decimo Meridio (Russell Crowe), che pur non essendo presente, si fa comunque sentire. Lucio è l'emblema di un eroe che cerca giustizia e libertà, ma che si scontra con la realtà di un mondo ormai corrotto. La sua lotta per il sogno di Roma è una riflessione sulla fine di un impero e sulla ricerca di un ideale che ormai è sfocato. In qualche modo, Lucio rappresenta un tentativo di riscatto in un’epoca che sembra incapace di cambiare. È la rivalutazione del sogno di Roma, ormai svuotato di significato e destinato a crollare sotto il peso della sua stessa corruzione. Una riflessione che si estende anche al nostro presente, dove le stesse dinamiche di potere e paura sembrano prevalere.
Conclusioni
Il Gladiatore II di Ridley Scott è un sequel che non solo rispetta, ma espande l'eredità del film originale. È un'opera cinematografica potente e significativa, che si distingue per il suo spirito politico e la sua visione. Con ogni scena, Scott ci regala un'esperienza che mescola perfettamente spettacolarità e riflessione profonda, facendo di questo sequel una delle migliori esperienze cinematografiche recenti.
👍🏻
Una regia imponente e maestosa.
L'approfondimento politico e sociale.
La performance di Denzel Washington.
Il sequel che mantiene lo spirito dell'originale.
👎🏻
Inaspettatamente, il film potrebbe sembrare durare meno rispetto alla sua ambizione narrativa.
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lunamarish · 1 year ago
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Quanto è potente Anselm Kiefer?
Credo che la potenza dell'arte sia un connubio perfetto tra soggettività e interpretazione, per cui la domanda è: cosa vogliamo leggerci nelle sue opere? La decadenza o la rinascita? La distruzione o la costruzione che ne viene dopo? Il fatto che usi materiali "naturali", cioè che provengono dalla natura, rende la sua arte più vicina alla concretezza, collegando fantasia e realtà, oppure è solo una sua interpretazione moderna del mondo?
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Everyone Stands under His Own Dome of Heaven rappresenta la figura dell'artista inserita in un vasto campo innevato, isolato da un emisfero trasparente. Il saluto nazista della figura è visibile ma schermato dalla cupola. Kiefer ha spiegato che la posa agisce come un "parafulmine" per la nostra attenzione, mentre la cupola ne limita il potere; questa combinazione dimostra la convinzione dell'artista che non esiste un unico sistema teleologico di credenze, come il cristianesimo o il marxismo, adatto a tutti gli esseri umani. Parlando di quest'opera, l'artista ha dichiarato: "Ogni uomo ha la sua cupola, le sue percezioni, le sue teorie. Non esiste un dio unico per tutti. Ognuno ha la sua, e a volte si sovrappone o si interseca con quella di un altro".
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thegianpieromennitipolis · 2 years ago
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO PRIMO - di Gianpiero Menniti 
CADONO LE UTOPIE DELL'UMANESIMO - Seconda Parte
Iconologia, iconografia e stile della "Deposizione di Volterra" sono quelle del paradigma rinascimentale dei tre grandi Maestri?  Per nulla.  Il modello è ormai quello del rinascimento idealizzato e poi tradito.  Il XVI secolo avverte sé stesso come l’impero romano percepì la sua caduta: è un secolo che sente la decadenza.  Il Rinascimento appare, in questo senso, come l’affannarsi teso a nascondere il dramma delle “albe incompiute” dell’umanesimo: si tratta di un’espressione del filosofo italiano Massimo Cacciari, il quale vede nel “Rinascimento”, soprattutto nel passaggio tra ‘400 e ‘500, un’epoca di straordinaria crisi che segue alla caduta delle utopie dell’umanesimo. Quali erano queste utopie?  Sostanzialmente una: l’utopia della virtù che sconfigge la fortuna, l’uomo padrone del proprio destino.  Con essa, cade anche l’utopia della combinazione armonica tra filosofia medievale e filosofia moderna e l’utopia della pace politica che, specialmente in Italia, corrisponde al venir meno, al collassare dei Comuni a vantaggio delle Signorie, ma in tale frammentazione e debolezza da far diventare la penisola italiana facile terra di conquista per le potenze nazionali europee, in particolare Spagna e Francia.  La caduta dell’impero romano, dicevo.  Sì, questo sente del suo mondo l’uomo rinascimentale.  E come sempre accade nel clima di  consapevolezza della decadenza, le corti della misera Italia, corti debolissime dal punto di vista politico e militare, sono invece, per contrasto, i centri dai quali promana florido il prestigio artistico e culturale.  Al secolo delle utopie, segue, dunque, il secolo della crisi e questo porta con sé il rifugio nell’arte e nella speculazione libera da congetture e dogmi, direttamente tratta dall’osservazione del reale.  Che non è un bel reale.  E che ha quindi bisogno del richiamo al classico, all’armonia, alla misura.  È illusione: sarà la visione del Laocoonte scaturito dalle viscere della terra romana a dare il senso di un confine superato che artisti come Rosso Fiorentino avvertono con chiarezza fin dai loro esordi dopo l’esperienza di bottega presso Andrea del Sarto vissuta in comune con il suo alter ego, il Pontormo, divisi anche dalla fede politica: con Savonarola il primo, mediceo il secondo.  Quella di Rosso Fiorentino è dunque una maniera nuova di rappresentare l’umano ed il soprannaturale: i corpi, le figure, i gesti, sono congeniali all’espressione di un occhio che vuole scrutare i reconditi magmatici anfratti dell’anima.  Nelle immagini che propone si avverte la rude, durissima pietà arcaica dei Piagnoni seguaci di Savonarola, la vocazione austera della breve repubblica fiorentina sul dorso dei due secoli.  In quel 1521 tutto è ormai perduto e Rosso ha iniziato il suo lungo peregrinare tra piccoli e grandi centri d’Italia, un vagare decennale che, dopo il “Sacco” del 1527 lo condurrà, nel 1530 a stabile dimora in Francia, alla corte di Francesco I a fare da apripista a quella che verrà definita la “maniera internazionale” della cosiddetta scuola di Fontainebleau.  Fino alla morte sopraggiunta dieci anni dopo in circostanze drammatiche tutt’ora poco chiare, in linea con lo spirito profondo ed inquieto di quest’artista ribelle. Ma se facendo queste affermazioni si possa declinare verso l’idea che Rosso appartenga ad un filone artistico classificabile, valga a togliere ogni equivoco la personale tendenza a disconoscere una qualunque codificazione della “maniera” che non sia quella tracciata dal Vasari.  Il resto è libera interpretazione, sensibilità artistiche molto variegate che non sono accomunabili in un profilo unitario denominabile.  Per certi versi, il “manierismo” che si contrappone al classicismo della maniera “vasariana”, non esiste se non in una molteplicità di anime e di filoni culturali e stilistici irriducibili ad un’impronta comune. 
- Rosso Fiorentino (1495 - 1540): "Pietà",1537-1540, Louvre, Parigi
- In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto", 1975, collezione privata
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claudiotrezzani · 2 months ago
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Onore a Roberto Morosetti.
Perchè c'informa che la fotografia a corredo di questo brano è di Rui Palha, non di Henri Cartier-Bresson.
Infatti la scritta sul muro recita "subida", salita in portoghese.
Penso ad una antica metropolitana come quella monumentale moscovita.
Mannò, qui siamo a Porto.
La metropolitana lì c'è, ma è moderna.
Queste scale invece, conducono al secondo piano del mercato coperto in Rua de Fernandes Tomas, là.
Una neoclassica delizia, per l'architettura oltre che pel cibo
Attaccheranno la signora, i piccioni?
No, non lo fanno.
Sazi, elegantemente la schivano.
Del resto sono piccioni, mica corvi.
Non sono i corvi di Alfred Hitchcock, ed insomma.
Quelli del praeclaro film "The birds", quelli che uccidono. 
No, contribuiscono all'architettura, loro.
Sono tanti, ma non sopraffacenti, loro.
Preferiscono disporsi ordinatamente nell'ottocentesca modanatura, a destra.
O formare una avvolgente coreografia, intorno.
Profumo di Belle Epoque, sentore di decadenza.
La cangiante immutabilità - se mi concedete l'ossimoro - della condizione organica (umani, ed altre specie).
La lenta mutazione dell'inanimato.
Un bianconero di tonale sapienza.
Un momento, una inquadratura, di sottile sensibilità e resa.
All rights reserved
Claudio Trezzani
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ilprossimosecolo · 7 months ago
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LA GENERAZIONE DI MEZZO
Quanto era bello quando…
Si stava meglio quando si stava peggio, quando non c’era niente e c’era tutto, quando ci si divertiva con poco, quando esisteva il rispetto per le persone e si poteva giocare liberamente nelle strade, liberi da un cattivo utilizzo di smartphone e da una società dove diventa sempre più importante l’apparire piuttosto che l’essere.
Quanti ricordi appartenenti a generazioni che hanno goduto del benestare economico e sociale creato dai predecessori, generazioni decantatori di cotanta stima del passato, i primi a ricordare e primi a dimenticare, primi ad avviare quel processo di decadenza, che tutt’oggi ci schiaccia come mosche, generazione che ha goduto delle gesta delle generazioni precedenti e che tutt’ora predicano bene e razzolano male, generazioni che avrebbero dovuto cambiare il mondo e che invece ci hanno guidato verso lo sfascio.
Generazione dopo generazione abbiamo preso quella folle abitudine di predicare di come di stava meglio negli anni passati e nello stesso tempo complici di un cambiamento che tanto ripudiamo.
Quante volte abbiamo sentito da nonni e genitori l’insulsa (per quanto veritiera) frase “Io alla tua età già lavoravo”, senza riflette sul fatto che proprio grazie a queste generazioni di “frasologi” nonché precoci lavoratori, ci ritroveremo ancora a lavorare quando avremo raggiunto l’età pensionabile di queste generazioni di pensionati che non fanno altro che predicare bene e razzolare male.
Ma com’è stato possibile arrivare fino a questo punto
Senza nemmeno rendersene conto sono proprio questa generazione di mezzo che ha dato inizio un lento processo di decadenza.
Con l’avanzare generazionale si tende sempre più ad ammorbidirsi e afflosciarsi, aprendosi un varco in mezzo alla superficialità che domina l'era moderna, e che non ci rappresenta più.
Le generazioni passate hanno creduto ai nuovi onesti, a chi doveva liberarci da quella corruzione e così da coerenti onesti educati e presi da esempio, abbiamo fatto nuovi bugiardi e venditori di fumo che hanno messo le radici nei terreni più importanti ci siamo cascati come piselli e pensare che le vecchie generazioni sono state anche le ultime ad avere attraversato la leva obbligatoria, un lungo anno che nella sua inutilità bellica, avrebbe avuto il compito di formare il carattere.
Generazione dopo generazione abbiamo fallito come genitori e come figli, i nostri genitori hanno fatto la rivoluzione, hanno goduto delle conquiste fatte per poi sentirsi in dovere di dimenticare tutto, quindi dopo di loro non si è combinato più nulla.
Più le generazioni avanzavano, più diventavano amici dei propri figli piuttosto che educatori, per questo non hanno saputo essere severi come la generazione precedente e alla fine sono stati fatti solo danni.
L’educazione basata sui divieti e sulle punizioni è stata bandita, quando invece c'era ancora bisogno di genitori autorevoli, sono i giovani che non hanno fatto il 68 non hanno attraversato gli anni di piombo non hanno mai usato un telefono a gettoni, le moderne generazioni si erano promesse di dare ai nostri figli tutto ciò che non hanno mai avuto.
Ci ostiniamo tutt’ora a percorrere strade dissestate, che generazione dopo generazione siamo riusciti a rovinare, pretendiamo rispetto ma non lo insegniamo, pretendiamo lavoro e non lo creiamo, possediamo nuove tecnologie e tendiamo ad avere ancora un sistema arretrato, siamo diventati una società superficiale, che fonda le proprie radici sulle comodità, nello svago e nel pettegolezzo, puntando sempre il dito verso gli altri e mai contro se stessi, nascondendo i propri difetti ed esaltando quelli del prossimo, pratica che non darà mai la possibilità di migliorarci intraprendendo un percorso di autocritica che possa portare a vivere meglio.
Impariamo a guardarci ogni tanto allo specchio e fare un resoconto di come ci stiamo comportando, impariamo a diventare un po’ più obiettivi e soprattutto costruttivi con noi stessi, impariamo a capire ciò che è giusto e ciò che potrebbe portarci alla rovina, altrimenti errore dopo errore, generazione dopo generazione, potremo trovarci a raggiungere l’estinzione dei buoni propositi e del benessere della propria persona.
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bergamorisvegliata · 8 months ago
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I LUOGHI DELL'ANIMA
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In questo numero scopriremo un piccolo borgo posto sopra la città moderna di Caserta, un luogo che nemmeno il più accanito dei turisti non immaginerebbe di prendere in considerazione ma che invece è uno dei borghi più ameni d'Italia, dove tranquillità, calma ma soprattutto bellezza per dei numerosi vicoli, e dei palazzi che compongono questo centro storico, che contraddistinguono questo angolo raro di una provincia e di una regione poco considerate.
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Casertavecchia (frazione di Caserta) è un borgo medievale che sorge alle pendici dei monti Tifatini a circa 401 metri di altezza e a 10 km di distanza in direzione Nord-Est da Caserta.
Le origini di Casertavecchia sono ancora incerte, ma secondo alcune informazioni estrapolate da uno scritto del monaco benedettino Erchemperto, già nell'anno 861 d.C. esisteva un nucleo urbano denominato "Casahirta" (dal latino casa che significa villaggio e hirta che significa aspra). Il borgo ha subito nel corso della storia varie dominazioni. Originariamente appartenente ai Longobardi, fu ceduto nel 879 al Conte Pandulfo di Capua. A seguito delle incursioni saracene e alle devastazioni di Capua, gli abitanti e il clero delle zone circostanti trovarono in Casertavecchia, protetta dalle montagne, un rifugio sicuro. In questo periodo la popolazione aumentò in modo così considerevole da determinare il trasferimento della sede vescovile all'interno del borgo. Nel 1062 ebbe inizio la dominazione normanna che portò il paese al massimo livello di splendore con la costruzione dell'attuale cattedrale, consacrata al culto di San Michele Arcangelo. Con alterne vicende il borgo passò sotto la dominazione sveva con Riccardo di Lauro (1232-1266), il quale accrebbe l'importanza del borgo anche da punto di vista politico. Nel 1442 il borgo passò sotto la dominazione aragonese, iniziando così la sua lunga e progressiva decadenza: a Casertavecchia restarono solo il vescovo e il seminario. Con l'avvento dei Borboni e la costruzione della Reggia, Caserta diventa il nuovo centro di ogni attività a scapito di Casertavecchia, alla quale, nel 1842, viene tolto il vescovado, anch'esso trasferito a Caserta. Il borgo di Casertavecchia è meta di interesse turistico per via del Duomo, del campanile, dei resti del castello e delle strade dell'intero borgo che ricordano lo splendore di un tempo che fu. Lo splendido panorama fruibile in molti punti del borgo, i numerosi locali e pizzerie fanno si che spesso gli abitanti dei dintorni vadano a trascorrere il sabato sera nelle vie del borgo. Manifestazioni folkoristiche come Il ritorno dei cavalieri nel Borgo e Settembre al Borgo, che si svolgono annualmente nel periodo estivo, hanno contribuito alla rivalutazione del territorio.
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Caserta Vecchia conserva una straordinaria cattedrale medievale, nella quale si fondono lo stile siculo-arabo, quello delle chiese romaniche della Puglia e lo stile benedettino di Montecassino. Dedicata a San Michele e iniziata dopo il 1113 dal vescovo Rainulfo, i lavori sono proseguiti sotto il suo successore Nicola, per essere terminati nel 1153, come ricorda un'iscrizione all'interno dell'architrave Il campanile, che domina l'intera Caserta Vecchia, è stato costruito qualche decennio più tardi (la costruzione è stata terminata nel 1234) e mostra già delle influenze gotiche. Come quella di Gaeta e di Amalfi, culmina in una torre ottagonale che poggia su due piani di bifore, ed è decorato da arcate cieche e da torri agli angoli. sotto l'arco che scavalca la strada che dà accesso alla piazza del vescovado da sud, quattro lapidi ricordano altrettante visite di Papa Benedetto XIII, il beneventano Vincenzo Maria Orsini. La cupola ottagonale è a sua volta decorata da due piani di archi ciechi intrecciati, ed è resa particolarmente elegante dall'alternarsi di pietre gialle e bigie, che compongono dei motivi floreali e geometrici stilizzati. L'arco del portale centrale, il più grande, poggia su due leoni ed è decorato da un toro, quello del portale destro poggia su due animali simili a cavalli, il sinistro su due centauri. Più in alto sono due monofore, e gli archi e le colonnine del timpano. Il fianco più imponente è il destro, sorvegliato dal campanile e a sua volta decorato da monofore e archi.
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Altre notizie su Casertavecchia potrete consultarle al link,
dal quale sono stati estratti i passaggi che avete letto in questo articolo, e al link
https://www.borgando.it/campania/casertavecchia/
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personal-reporter · 1 year ago
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Le mostre d'Arte da non perdere a settembre 2023 in tutta Italia
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Settembre è un mese ricco di eventi culturali in tutta Italia. Tra le tante mostre in programma, ecco alcune delle più imperdibili: Arte contemporanea "Robert Capa. L'opera 1932-1954", Fondazione Magnani-Rocca, Mamiano di Traversetolo (Parma), dal 9 settembre al 10 dicembre 2023 Questa mostra presenta una selezione di oltre 200 fotografie di Robert Capa, uno dei più importanti fotografi del XX secolo. Le immagini, scattate in tutto il mondo, documentano i principali eventi storici e sociali del periodo, tra cui la guerra civile spagnola, la seconda guerra mondiale, la guerra di Corea e la guerra del Vietnam. "Tina Modotti. Il mito", Palazzo Roverella, Rovigo, dal 16 settembre al 12 febbraio 2024 Questa mostra ripercorre la vita e l'opera di Tina Modotti, fotografa e attivista politica italiana. Le immagini, scattate in Messico, negli Stati Uniti e in Italia, documentano la sua passione per la fotografia, il suo impegno sociale e la sua lotta per la giustizia. "Carsten Nicolai. Strahlen / Raggi", FMAV Palazzina dei Giardini, Torino, dal 15 settembre al 14 gennaio 2024 Questa mostra presenta una serie di opere recenti di Carsten Nicolai, un artista tedesco noto per le sue installazioni multimediali. Le opere, realizzate con suoni, luci e immagini, esplorano i temi della percezione, del tempo e della memoria. Arte classica "I Promessi Sposi. Il romanzo di una nazione", Museo di Roma, Roma, dal 14 settembre al 29 gennaio 2024 Questa mostra celebra i 200 anni dalla pubblicazione dei "Promessi Sposi" di Alessandro Manzoni. L'esposizione presenta un percorso multimediale che racconta la storia del romanzo, dalla sua genesi alla sua fortuna critica e letteraria. "Nero e oro. Il barocco napoletano da Caravaggio a Luca Giordano", Museo e Real Bosco di Capodimonte, Napoli, dal 15 settembre al 29 gennaio 2024 Questa mostra presenta una selezione di opere del barocco napoletano, uno dei periodi più floridi della storia dell'arte italiana. Le opere, di artisti come Caravaggio, Luca Giordano e Francesco Solimena, testimoniano la ricchezza e la varietà di questo stile. "Venezia e la sua laguna. Un racconto per immagini", Museo Correr, Venezia, dal 16 settembre al 29 gennaio 2024 Questa mostra racconta la storia di Venezia e della sua laguna attraverso immagini, dipinti, mappe e documenti. L'esposizione ripercorre i principali eventi che hanno caratterizzato la città, dalla sua fondazione alla sua decadenza. Altre mostre "Il mondo di Hayao Miyazaki", Museo Nazionale del Cinema, Torino, dal 17 settembre al 26 marzo 2024 Questa mostra celebra il lavoro di Hayao Miyazaki, uno dei più importanti registi di animazione del mondo. L'esposizione presenta una selezione dei suoi film più famosi, tra cui "La città incantata", "Ponyo sulla scogliera" e "La principessa Mononoke". "Le meraviglie della natura", Museo Egizio, Torino, dal 22 settembre al 25 marzo 2024 Questa mostra presenta una selezione di oggetti di arte egizia che raffigurano la natura. Le opere, provenienti da musei di tutto il mondo, testimoniano l'importanza della natura nella cultura egizia. "La storia del fumetto italiano", Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea, Roma, dal 24 settembre al 28 marzo 2024 Questa mostra racconta la storia del fumetto italiano, dalla sua nascita alla sua evoluzione. L'esposizione presenta una selezione di fumetti di tutti i generi, da quelli classici ai più recenti. Queste sono solo alcune delle tante mostre da non perdere a settembre 2023 in tutta Italia. Per scoprire tutte le altre, vi invitiamo a visitare i siti web dei vari musei e gallerie. Read the full article
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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“Colore di pioggia e di ferro” di Salvatore Quasimodo: una riflessione sulla solitudine e l’incomunicabilità
Salvatore Quasimodo, in “Colore di pioggia e di ferro”, affronta il tema dell’incomunicabilità umana e della distanza dalla verità assoluta, utilizzando immagini forti e simboliche che evocano un senso di solitudine e disillusione.
Salvatore Quasimodo, in “Colore di pioggia e di ferro”, affronta il tema dell’incomunicabilità umana e della distanza dalla verità assoluta, utilizzando immagini forti e simboliche che evocano un senso di solitudine e disillusione. Una poesia intensa che scava nell’animo umano, tra le contraddizioni della vita e la ricerca di un senso nel dolore e nel silenzio. La poesia: un viaggio tra dolore e…
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micro961 · 2 years ago
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Helle - Il nuovo concept album “La Liberazione”
Presentato in anteprima nella sede del Club Tenco a Sanremo
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Il secondo disco della cantautrice e producer bolognese si ispira alla storia di un amore perduto.
Helle si fa narratrice, attraverso un folk essenziale ed un linguaggio diretto, del ritorno all’istinto e alla libertà primordiale; una storia in cui amore, natura e debolezze umane si incontrano e si separano. Una decisa virata sonora e stilistica rispetto al pluripremiato disco d’esordio “Disonore”, ma capace di coniugare nuovamente in maniera moderna e urban il songwriting, senza tralasciare del tutto la vena poetica di “Carovane”, la raccolta di poesie appena pubblicata dalla stessa cantautrice.
La vaga ispirazione letteraria di questo concept album è la tragica vicenda di Ofelia, raccontata nell’Amleto di Shakespeare. Le canzoni raccontano la storia di una ragazza che decide di gettarsi in un fiume dopo una delusione amorosa. Mentre affoga, l’acqua che scorre rievoca il suo passato, cullandola e trasportandola nei ricordi che l’hanno spinta a compiere quella decisione. Nella conclusione, l’ascoltatore non saprà se la donna sia passata oltre, se si sia salvata o se abbia del tutto perso il senno, ma vi stiamo già svelando il finale: lei ha trovato la pace!
Il tema dell’infanzia, dell’amore come ridicolezza e innocenza bambina, capace di appropriarsi solo di chi lo vive veramente, è il protagonista della copertina dell’album. Questo concetto, ovvero il ritorno all’istinto, alla libertà primordiale dell’uomo (e dunque una visione dionisiaca) si lega alla scelta del genere musicale scelto per la raccolta, ovvero un folk estremamente spoglio, essenziale. Il linguaggio è quasi sempre diretto e conciso, semplice. Con il rivelarsi del finale, l’aspetto dionisiaco va indubbiamente a farsi più evidente. Il tema della libertà viene affrontato su tre diversi fronti: la droga, l’amore e la natura.
La raccolta si può dividere in due parti: la prima e successiva alla canzone introduttiva, racconta il passato della narratrice su uno sfondo prettamente urbano, mentre la seconda parte si concentra sulle considerazioni riguardo il senso della vita e del proprio io, e vi è un’immersione nella natura. Con l’apertura “Nessuno mi ha vista pt. 1”, la ragazza si tuffa nel fiume. “Cani Liberi”, il secondo brano, segna l’inizio dei ricordi interrotti solo alla fine dalla voce narrante della protagonista, che ricorda a se stessa, e al fiume, dove ha incontrato l’amore. “Baby!” introduce la personalità di quell’uomo, un uomo con dei problemi di dipendenza, solitario, indomabile. Con “Orme” ecco le strade immorali e pericolose imboccate con lui per il solo sfizio di sentirsi liberi, una libertà che la narratrice non sente interamente propria, giusta, o vera. Nella conclusione di questo brano incontriamo la descrizione del popolo della droga, un popolo giovane e schiavo di una guerra tragica e silente. A proposito di questo, nella canzone “Simone”, la ragazza cercherà di parlargli un’ultima volta, ma inutilmente. “Visto e passa” è la prima delle canzoni riflessive. Combattuta col dolore della perdita, la narratrice è pronta a fare i conti con la sua natura romantica. “Lisù” affronta un’ultima volta il senso della mancanza, dell’amore vero come fede in un’inutile attesa. Una volta raggiunto il fondo, il vicolo cieco, insomma, la ragazza portata dall’acqua si sente improvvisamente avvolgere nuovamente dalla stretta della “Gioia”, parola che si fa titolo della canzone stessa successiva. Questa gioia non è, però, data dall’amore, o dal successo, o dallo sciocco bisogno di farsi giusti cavalieri della propria esistenza: come vediamo approfondito nella canzone che seguirà, “Natura”, sarà l’esistenza stessa, ovvero affondare i piedi nel fango della Madre Terra, a farsi Dio della protagonista. Qui prenderà coscienza della sua natura romantica, e dunque accetterà la decadenza di quel suo credo, e - conseguentemente - di ogni credo possibile. Ofelia è citata indirettamente nella canzone “Visto e passa”, o in “Gioia”, quando viene menzionata la ghirlanda. L’ultimo brano, “Nessuno mi ha vista pt. 2”, descrive la beffa della narratrice: «Nessuno mi ha vista passare!», dice, ridendo di se stessa e del mondo.
Lisa Brunetti, in arte Helle, nasce a Bologna nel giugno 1994. Comincia a scrivere poesie ad 11 anni, a suonare la chitarra dall’adolescenza. Ha lavorato per quattro anni in Fonoprint, dove ha avuto l’opportunità di conoscere e collaborare con Bruno Mariani. Negli stessi anni ha suonato con Ricky Portera. Nel 2016 partecipa ad Area Sanremo arrivando fra i 70 finalisti del concorso. Dopo la pubblicazione di vari singoli in inglese e in italiano, arriva per Helle il momento di intraprendere una nuova fase della sua carriera artistica. Il 19 maggio 2020 esce in radio il singolo “Tra le strade della mia città”, il 27 novembre 2020 arriva il nuovo singolo “Al Pacino”, entrambi prodotti, suonati e arrangiati dalla stessa Helle.
 Seguono questa uscita i brani “Carovane” e “Rispetto”. Il 25 giugno 2021 pubblica l’album “Disonore”, disco electro pop che caratterizza il nuovo corso artistico e professionale di Helle, cantautrice e producer bolognese, che a poche settimane dall’uscita (giugno 2021) ha vinto il PREMIO SPECIALE assegnato dal MEI «Per aver affrontato con sonorità spiccatamente elettro-indie e liriche dal forte peso sociale, il tema della Libertà attraverso l’analisi delle sfumature dell’animo umano, soprattutto quello femminile».
 Successivamente pubblica “2, 107”, brano con il quale vince il PREMIO LUNEZIA NUOVE PROPOSTE NEW MOOD «Per aver offerto nel brano 2, 107 una visione delicata e cruda con tappeti sonori moderni e sperimentali sulla morale delle donne».  
Proprio di recente poi ha vinto il PREMIO DELLA CRITICA all’interno della rassegna del Premio InediTo 2022 per la sezione “Testo canzone” ed è stata finalista del Premio Bindi 2022. “Tu mi volevi bene”, “Chimere” e "Tom" sono gli ultimi singoli estratti dal disco d'esordio.
 Il 13 gennaio 2023, dà alle stampe in versione cartacea ed ebook, il libro di poesie "Carovane" (ZONA Contemporanea), in contemporanea con l'uscita del singolo “Oggi è già ieri, il domani è eterno” realizzato e prodotto dalla stessa autrice. Le poesie di Helle – fuori dal disincanto, ma mai con distacco – poggiano sulla forza della parola e su immagini che si prestano alla metafora e all'allegoria, rivelando una scrittura consapevole, complessa come la realtà che descrive.
A febbraio è partito da Bologna il Carovane Tour che la vede impegnata in numerose date: una doppia esperienza live che porta nelle librerie e nei club uno spettacolo intimo e al contempo intenso ed energico, in cui vengono presentate le canzoni di Helle e le poesie di “Carovane” attraverso un file rouge che le lega.
 Etichetta: Volume!
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schizografia · 3 years ago
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Civilizzazione o militarizzazione della scienza?
Se la verità è ciò che è verificabile, la verità della scienza contemporanea è, più che l’ampiezza di un progresso, quella delle catastrofi tecniche da essa provocate.
Trascinata per circa mezzo secolo nella corsa agli armamenti dell’era della dissuasione tra Est e Ovest, la scienza si è evoluta unicamente nella prospettiva della ricerca di performance limite, a scapito della scoperta di una verità coerente e utile all’umanità.
Divenuta progressivamente TECNO-SCIENZA, prodotto della confusione fatale tra strumento operativo e ricerca esplorativa, la scienza moderna si è separata dai suoi fondamenti filosofici e si è sviata, senza che nessuno fosse contrariato per questo, a eccezione di alcuni responsabili ecologici o religiosi.
Di fatto, se “l’esperienza del pensiero” è all’origine delle scienze sperimentali, come non notare oggi il declino di questa procedura mentale e analogica, a vantaggio di procedure strumentali e digitali capaci, si dice, di stimolare il sapere?
Realtà operativa dello strumento tecnico, verità risolutiva del pensiero scientifico, due aspetti fondamentalmente distinti della conoscenza che tuttavia si sono appena fusi, senza che nessuno sembrasse allarmarsene.
Meno attaccata alla “verità” come un tempo, che all’“efficacia” immediata, la scienza va ormai alla deriva, verso il proprio declino, la propria decadenza civica… Fenomeno panico dissimulato dal successo dei suoi apparecchi, dei suoi attrezzi, la scienza contemporanea si perde nell’eccesso dei suoi presunti progressi. Un po’ come l’offensiva strategica si esaurisce nell’estensione delle sue conquiste tattiche, la tecnoscienza distrugge via via le sapienti risorse di ogni conoscenza.
Come uno sport olimpico in cui i prodotti eccitanti e altri anabolizzanti rovinano il senso dello sforzo degli atleti con l’abuso della farmacopea, la scienza dell’estremo si allontana dalla sua paziente ricerca della realtà per partecipare a un fenomeno di virtualizzazione generalizzata.
Dopo essere stata trascinata suo malgrado nella corsa alla morte planetaria con l’“equilibrio del terrore”, la scienza “postmoderna” si avventura ormai in un nuovo tipo di competizione altrettanto delirante: una corsa alle performance limite nei campi della robotica o del genio genetico, la quale trascina a sua volta i differenti saperi verso un “estremismo postscientifico” che li esilia definitivamente dalla ragione.
Ambito rigoroso alimentato da avventure intellettuali, la scienza s’impantana oggi in un avventurismo tecnologico che la snatura. “Scienza dell’eccesso”, dell’esagerazione, scienza limite o limite della scienza?
Lo sanno tutti, se ciò che è eccessivo è insignificante, “una scienza senza coscienza non è altro che distruzione dell’anima” e una tecnoscienza che non abbia coscienza della sua prossima fine non è altro che uno sport che non sa di essere tale!
“Sport dell’estremo”, quelli in cui si rischia deliberatamente la morte, col pretesto di realizzare una performance record.
“Scienza dell’estremo”, quella che assume il rischio incalcolabile della sparizione di ogni scienza. Fenomeno tragico di una conoscenza diventata improvvisamente CIBERNETICA, questa tecnoscienza diviene allora, in quanto tecnocultura di massa, l’agente non dell’accelerazione della Storia come era ancora non molto tempo fa, ma della vertigine dell’accelerazione della realtà, e ciò a scapito di ogni verosimiglianza!
Solo alcuni secoli dopo essere stata, con Copernico e Galileo, scienza dell’apparizione di una verità relativa, la ricerca tecnoscientifica diventa ormai una scienza della sparizione di questa verità, grazie all’avvento di un sapere cibernetico più che enciclopedico, il quale nega ogni realtà oggettiva.
Così, dopo aver ampiamente contribuito ad accelerare i diversi mezzi di rappresentazione del mondo, con l’ottica, l’elettroottica, fino alla recente realizzazione dello spazio della realtà virtuale, le scienze contemporanee s’impegnano a contrario nell’eclissi del reale, nell’estetica della sparizione scientifica.
Scienza della verosimiglianza ancora legata alla scoperta di una verità relativa? Oppure scienza dell’inverosimiglianza, impegnata oggi nella ricerca e nello sviluppo di una realtà virtuale aumentata? È questa l’alternativa proposta.
Di fatto, l’unico orizzonte scientifico è l’autenticità, il rigore sperimentale dei ricercatori e si conoscono, ahimè, gli abusi mediatici che circondano certe “scoperte”, il carattere pubblicitario del lancio prematuro dei risultati di questa o quell’esperienza, mentre si tratta solamente di una procedura di condizionamento dell’opinione pubblica da parte di una scienza estremista, la quale è interessata meno alla verità che all’effetto prodotto dall’annuncio di una trovata e non s’interessa più, come accadeva fino a poco tempo fa, a un’autentica scoperta utile al bene comune.
Per illustrare queste parole disincantate, sembra opportuno denunciare la confusione accuratamente mantenuta tra lo scienziato e il campione, l’avventuriero che si spinge con violenza all’estremo dei propri limiti fisici e l’uomo di laboratorio che si avventura invece fino ai limiti etici, colui che prova l’esaltazione di mettere in gioco, più che la propria morte, quella del genere umano!
Paul Virilio
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superfuji · 3 years ago
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L'esperta di diritti umani Hanna Hopko: "L’Occidente sanzioni il patriarca Kirill"
di Hanna Hopko
Di recente, ho accompagnato una delegazione di attivisti a Washington per informare i membri del Congresso delle atrocità commesse dalla Russia in Ucraina. Parlando con la speaker Nancy Pelosi, abbiamo visto che teneva in mano dei rosari che le erano stati dati da un prete ucraino. Abbiamo colto l'occasione per suggerirle una mossa schietta, ma necessaria: sanzionare il leader della Chiesa ortodossa russa.
Alcuni potrebbero considerare l'idea di prendere di mira i leader religiosi come una trasgressione che va oltre la politica. Ma il patriarca Kirill, o per usare il suo nome secolare Vladimir Mikhailovich Gundyaev, è ben lontano dall'essere un servitore di Dio: è diventato il braccio guerrafondaio dei crimini di guerra commessi dal Cremlino in Ucraina. Il leader settantenne ha definita l'"operazione militare speciale nel Donbass" di Mosca (il termine ufficiale orwelliano per la sua campagna omicida in tutto il Paese) giustificata e persino santa e dichiarò che la vittoria alle elezioni del 2012 di Vladimir Putin era "un miracolo di Dio". In poche parole, è uno dei politici di più alto rango del Paese.
Il 10 aprile, Gundyaev ha invitato i suoi seguaci ad assistere le autorità per aiutare a respingere i nemici, esterni e interni. Inoltre, in un sermone del 6 marzo, ha descritto la guerra come parte di una battaglia metafisica tra apparenti valori tradizionali orientali e decadenza e immoralità occidentali. Secondo Gundyaev, stupri, omicidi e saccheggi inflitti ai civili ucraini disarmati sono giustificati, perché una volta all'anno si tiene il gay pride a Kiev. Ha anche affermato che è "verità di Dio" che Russia e Ucraina condividano un'eredità nazionale e spirituale, facendo un chiaro riferimento alle convinzioni di Putin secondo cui l'Ucraina non è una nazione sovrana.
La società russa non sta solo credendo alla storia favorevole alla guerra contro un mitico "governo nazista" a Kiev, ma sta diventando assetata di sangue contro tutti gli ucraini. In un discorso sconvolgente, poco prima dell'invasione, Putin ha definito l'Ucraina "una parte inalienabile della nostra storia, della cultura e dello spazio spirituale". Il Cremlino incanala questo messaggio attraverso Gundyaev e altri sacerdoti che hanno benedetto missili diretti in Crimea e in Siria, per rendere tutta la società russa complice dei loro crimini di guerra.
Gundyaev non dovrebbe essere autorizzato a viaggiare liberamente per diffondere il messaggio di odio del Cremlino. I suoi beni, che i giornalisti russi ed internazionali ritengono siano stati depositati in banche e sperperati in attività all'estero, dovrebbero essere esaminati e sequestrati. In qualità di capo cheerleader del regime russo, è inaccettabile che fino ad oggi sia sfuggito alle sanzioni. Americani ed europei dovrebbero valutare bene se vogliono continuare a consentire agli uffici della Chiesa ortodossa russa, a lungo utilizzati come base per spie e attività sovversive, di operare nel loro territorio.
È una coincidenza che il nuovo Stato membro della Nato, il Montenegro, abbia assistito a crescenti proteste di piazza e tensioni promosse dalla chiesa sostenuta da Mosca? Molti credono che ci sia una relazione tra chierici e servizi di intelligence che hanno resistito nel tempo. Questa non è solo una denuncia ucraina.
Nel 2019, il patriarca ecumenico Bartolomeo, capo della Chiesa ortodossa mondiale, ha riconosciuto la Chiesa ortodossa ucraina come indipendente dal patriarca di Mosca. Il 27 febbraio Bartolomeo ha condannato la guerra di Putin definendola una "violazione dei diritti umani" e una "violenza brutale contro i nostri simili". Il 16 marzo papa Francesco ha ammonito la retorica bellicosa di Gundyaev dicendo: "Una volta anche nelle nostre chiese si parlava di guerra santa o di guerra giusta, ma oggi non si può più parlare così". La moderna chiesa ortodossa russa funge da agenzia di comunicazione per il regime di Putin, vendendo ai fedeli l'assalto di Mosca all'Ucraina come strumento di soft power. Chiesa e stato vanno di pari passo, e spesso anche gli oligarchi. Nel gennaio 2014, Gundyaev era accompagnato da Konstantin Malofeyev, un alleato di Putin ultra-conservatore e fondatore di Tsargrad Tv, una stazione televisiva ortodossa. Malofeyev disse a un giornalista: "Era una preghiera di tutto il popolo: che Sebastopoli tornasse a far parte della Russia. Il volere di Dio". Il dipartimento di Giustizia ha ora incriminato Malofeyev per violazione delle sanzioni in relazione al finanziamento del separatismo in Crimea.
In epoca sovietica, innumerevoli chiese furono distrutte e decine di migliaia di sacerdoti giustiziati. Oggi, le forze russe bombardano le nostre chiese e uccidono i nostri sacerdoti. Lo scopo è distruggere la nostra identità, ma la nostra fede resta salda. Sicuramente molti ortodossi russi saranno disgustati dalle buffonate di Gundyaev, e in effetti, nelle ultime settimane, un gran numero di religiosi ha criticato apertamente la guerra russa. Ma l'Occidente deve inviare un segnale potente affinché chiunque faciliti le azioni senza Dio delle forze russe in Ucraina, compreso chi pretende di servire Dio, non rimanga impunito. Gundyaev è chiaramente un tirapiedi di Putin, pertanto il suo stile di vita e i suoi beni dovrebbero essere presi di mira.
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thegianpieromennitipolis · 4 years ago
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SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
CADONO LE UTOPIE DELL'UMANESIMO - seconda parte
Iconologia, iconografia e stile della "Deposizione di Volterra" sono quelle del paradigma rinascimentale dei tre grandi Maestri?  Per nulla.  Il modello è ormai quello del rinascimento idealizzato e poi tradito.  Il XVI secolo avverte sé stesso come l’impero romano percepì la sua caduta: è un secolo che sente la decadenza.  Il Rinascimento appare, in questo senso, come l’affannarsi teso a nascondere il dramma delle “albe incompiute” dell’umanesimo: si tratta di un’espressione del filosofo italiano Massimo Cacciari, il quale vede nel “Rinascimento”, soprattutto nel passaggio tra ‘400 e ‘500, un’epoca di straordinaria crisi che segue alla caduta delle utopie dell’umanesimo. Quali erano queste utopie?  Sostanzialmente una: l’utopia della virtù che sconfigge la fortuna, l’uomo padrone del proprio destino.  Con essa, cade anche l’utopia della combinazione armonica tra filosofia medievale e filosofia moderna e l’utopia della pace politica che, specialmente in Italia, corrisponde al venir meno, al collassare dei Comuni a vantaggio delle Signorie, ma in tale frammentazione e debolezza da far diventare la penisola italiana facile terra di conquista per le potenze nazionali europee, in particolare Spagna e Francia.  La caduta dell’impero romano, dicevo.  Sì, questo sente del suo mondo l’uomo rinascimentale.  E come sempre accade nel clima di  consapevolezza della decadenza, le corti della misera Italia, corti debolissime dal punto di vista politico e militare, sono invece, per contrasto, i centri dai quali promana florido il prestigio artistico e culturale.  Al secolo delle utopie, segue, dunque, il secolo della crisi e questo porta con sé il rifugio nell’arte e nella speculazione libera da congetture e dogmi, direttamente tratta dall’osservazione del reale.  Che non è un bel reale.  E che ha quindi bisogno del richiamo al classico, all’armonia, alla misura.  E’ illusione: sarà la visione del Laocoonte scaturito dalle viscere della terra romana a dare il senso di un confine superato che artisti come Rosso Fiorentino avvertono con chiarezza fin dai loro esordi dopo l’esperienza di bottega presso Andrea del Sarto vissuta in comune con il suo alter ego, il Pontormo, divisi anche dalla fede politica: con Savonarola il primo, mediceo il secondo.  Quella di Rosso Fiorentino è dunque una maniera nuova di rappresentare l’umano ed il soprannaturale: i corpi, le figure, i gesti, sono congeniali all’espressione di un occhio che vuole scrutare i reconditi magmatici anfratti dell’anima.  Nelle immagini che propone si avverte la rude, durissima pietà arcaica dei Piagnoni seguaci di Savonarola, la vocazione austera della breve repubblica fiorentina sul dorso dei due secoli.  In quel 1521 tutto è ormai perduto e Rosso ha iniziato il suo lungo peregrinare tra piccoli e grandi centri d’Italia, un vagare decennale che, dopo il “Sacco” del 1527 lo condurrà, nel 1530 a stabile dimora in Francia, alla corte di Francesco I a fare da apripista a quella che verrà definita la “maniera internazionale” della cosiddetta scuola di Fontainebleau.  Fino alla morte sopraggiunta dieci anni dopo in circostanze drammatiche tutt’ora poco chiare, in linea con lo spirito profondo ed inquieto di quest’artista ribelle. Ma se facendo queste affermazioni si possa declinare verso l’idea che Rosso appartenga ad un filone artistico classificabile, valga a togliere ogni equivoco la personale tendenza a disconoscere una qualunque codificazione della “maniera” che non sia quella tracciata dal Vasari.  Il resto è libera interpretazione, sensibilità artistiche molto variegate che non sono accomunabili in un profilo unitario denominabile.  Per certi versi, il “manierismo” che si contrappone al classicismo della maniera “vasariana”, non esiste se non in una molteplicità di anime e di filoni culturali e stilistici irriducibili ad un’impronta comune. 
- Rosso Fiorentino (1495-1540): "Pietà",1537-1540, Louvre, Parigi
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il-gufetto · 4 years ago
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Pico della Mirandola fu amico del frate domenicano Savonarola e si lasciò convincere da quest'ultimo della necessità di una riforma morale della Chiesa. Savonarola, infatti, profetizzò una serie di sciagure per tutta l'Italia a causa della decadenza dei costumi e delle violenze perpetrate dai potenti.
Organizzò anche un falò delle vanità, nel quale vennero dati alle fiamme molti oggetti preziosi e quadri famosi, ma fu scomunicato dal papa Alessandro VI Borgia. Nonostante la scomunica, Savonarola continuò la sua campagna contro i vizi e fu, per questo, bruciato sul rogo come eretico.
Infatti, nonostante i roghi siano spesso associati al medioevo furono molto più frequenti nell'epoca rinascimentale e moderna.
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annalisalanci · 3 years ago
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La Wicca manuale della strega buona. Introduzione
La Wicca
Manuale della strega buona
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Introduzione
In questo periodo la stregoneria <<è di moda>>, e spesso si vedono cose aberranti fatte passare per culti pagani.
Questo libro si rivolge soprattutto alle donne, ma anche a quegli uomini che non disdegnano il loro lato femminile e sono aperti ad accogliere i misteri della Dea.
La stregoneria è un cammino lungo e difficile, solitario e meditativo, che richiede impegno, rispetto e amore, ma è ricco di soddisfazioni e gioia.
La stregoneria è sì un viaggio iniziatico, ma per ogni persona questo viaggio ha connotati diversi, pause, mete, soste, percorsi alternativi. Ogni persona ha il suo destino, la sua vita, e io posso solamente fornire indicazioni per il cammino, ma il cammino stesso spetta a te. Essere una strega significa essere a contatto con la Natura, vivere in lei e di lei, rispettare i suoi ritmi e le sue leggi. Questa è la vera stregoneria, non quella che si vede nei film o si legge nei libri. Essere una strega significa lavorare per il bene del nostro pianeta e di tutta l'umanità.
Chi sono le streghe?
Nell'immaginario collettivo quando si parla di streghe, tutti pensano a megere brutte e vecchie con il naso gobbo, come la strega di Biancaneve, pericolose donne perdute che mangiavano i bambini, che rubavano i piccoli nelle culle per poi cuocerli nel calderone e farci un unguento con il quale volare al Sabba, fatali donne sessualmente attraenti come la Circe di Ulisse o altre maghe dell'antichità, misteriose creature della notte che si trasformavano in gatte e altri animali, che adoravano il demonio sotto forma di caprone, pericolosi esseri che vivevano ai limiti fra il visibile e l'invisibile e lanciavano maledizioni sul bestiame, facevano tempestare e causavano aborti e sterilità, sataniste dai morbosi gusti sessuali che si univano carnalmente con i diavoli contro natura, fanciulle perdute che facevano le prostitute per condurre sulla via del peccato uomini retti, o vampire che succhiavano il sangue dei bambini e degli innocenti.
Le streghe sono sempre esistite nelle paure dell'uomo perché rappresentano il lato oscuro dell'anima, quello che Jung chiama Ombra.
Qualcuno ha voluto vedere il lato positivo delle cosiddette <<schiave di Diana>> e le ha considerate sciamane, curatrici, sacerdotesse dell'antichissimo culto della Grande Madre Terra, donna-medicina, erboriste, illuminate, sagge. Ed è proprio questo che siamo, ma molto altro ancora.
Il termine italiano, strega deriva dal latino strix, che sta a indicare un uccello notturno, che con il tempo finì per indentificare la strega.
E' il potere di creare e distruggere che appartiene alla Grande Dea, e che ha sempre terrorizzato gli uomini. Già le religioni latina e greca inventarono leggende e miti per creare figure spaventose agli occhi del popolo, come per esempio Circe, Medea, Medusa.
La parola inglese witch, che significa strega nell'accezione moderna, deriva invece da wicca, poi mutato in wicca, che significa saggia. Nella mitologia anglosassone o comunque nordica le streghe riescono a mantenere un ruolo se non proprio positivo, almeno non totalmente negativo.
Nelle mitologie nordiche la presenza di una fata/strega è obbligatoria nei castelli dei re, nei villaggi, fra i capi: i druidi, il corrispondente maschile delle sacerdotesse della Dea Madre Terra, sono descritti come sapienti e sacerdoti, capaci di curare le malattie del corpo, lenire i dolori dell'anima, consigliare e sanare qualsiasi malanno. Quindi le streghe nordiche non sono prevalentemente incantatrici ma sciamane e medichesse, temute e rispettate per i loro incomprensibili poteri.
Le streghe, avversate dalla Chiesa e dal potere politico laico, continuarono nella clandestinità la loro opera di aiuto alle persone e al mondo: soprattutto per quanto riguarda l'aspetto medico e psicologico, offrirono, nei periodi bui, qualche lampo di libertà e di speranza a chi non ne aveva, soprattutto alle persone del popolo, oppresse dai potenti, che potevano rivolgersi a loro per farsi curare e aiutare. Depositarie delle arti magiche ed erboristiche, sagge dalle parole importanti e di potere, o incantatrici, le streghe hanno mantenuto viva la fede nella potenza, grandiosità e bontà della Natura, dato una speranza, un sogno, un aiuto materiale, ma soprattutto spirituale.
Quello che la maggior parte delle persone ignora è che lo fanno ancora, poiché le streghe non sono mai scomparse, si sono nascoste, si sono camuffate, ma dovunque nel mondo vi era una donna che aiutava a partorire, che consigliava l'uso di un'erba medicamentosa o portava una parola di conforto a chi era disperato, lì viveva il respiro della Dea, lì continuava la vera antica Religione della Natura.
Wicca, la moderna stregoneria
Ognuno è libero di vivere la propria vita, non esiste una verità assoluta e immutabile. Per qualcuno può essere la Wicca, per altri il Cristianesimo, il Buddhismo, l'Islam, o altre religioni rivelate, o ancora sette, gruppi come i Testimoni di Geova o gli Hare Krishna. Ognuno ha le proprie visioni del mondo, ognuno è libero di scegliere ciò che crede più adatto per se stesso, a patto che il suo credo non danneggi gli altri.
Ovviamente, ci sono distinzioni fondamentali tra la religione delle streghe e le altre, la prima riguarda la divinità.
In molte religioni monoteiste vi è un unico dio, maschio, che guida il mondo. La Wicca è diversa, è una religione politeista. Il divino viene visto in tutti gli esseri umani, le piante, gli animali, le pietre, nel cielo e nell'acqua, nel vento o nelle stelle. E in tutto ciò che possiamo vedere e toccare. Nessuno può definire con precisione cosa sia la Wicca, poiché essa ha una sola certezza: tutta la Natura è sacra, poiché è il corpo della Dea.
Nella Wicca non esistono testi sacri e ognuno la vive in modo diverso a seconda delle proprie emozioni e del rapporto che riesce a instaurare con la Dea; è evidente che il rapporto con la Natura che può avere una persona che vive in una metropoli sarà necessariamente diverso da chi ha la fortuna di passeggiare nei boschi incontaminati o pregare in riva all'oceano.
Il primo principio della Religione delle Figlie della Dea è quello dell'amore per la Natura e per la vita ed è espresso nel comandamento:
<<Se non danneggi nessuno, fai ciò che vuoi>>.
E' un sentimento che si crea tra un individuo che decide di intraprendere la strada della Wicca e altri esseri naturali, visibili e invisibili. Danneggiare gli altri può derivare non solo da azioni, ma anche da pensieri e parole, e quando si dice di non danneggiare nessuno, intendiamo prima di tutto noi stessi.
La persona che aderisce alla Wicca deve riconoscere le forze dell'universo e armonizzarsi con loro. La divinità suprema è la Natura, che chiamiamo comunemente la Dea.
La persona che aderisce alla Wicca adora e si pone in relazione con il divino della Natura in base all'archetipo della Grande Madre, come era al tempo del matriarcato, prima religione dell'umanità. L'armonia, suprema conquista di chi segue la Wicca, deve riconoscere le forze della Natura.
La persona che aderisce alla Wicca opera secondo la legge di causa ed effetto: ogni azione ha una reazione, e ogni effetto ha la sua causa. Tutte le cose accadono secondo questa legge, per cui se opereremo il bene ci tornerà il bene, mentre se danneggeremo qualcuno a nostra volta ne verremo danneggiati.
I poteri della Natura esistono anche in ogni persona, sebbene solitamente gli uomini non ne siano più coscienti e questi poteri sono solamente latenti, in attesa di essere risvegliati. I poteri e le abilità possono essere risvegliati e usati a scopi benefici, se non praticate le tecniche corrette. La Wicca insegna che l'universo è la manifestazione fisica della Dea, non può esserci niente nell'universo che non faccia parte della natura della Grande Madre. Da Lei derivano i nostri poteri. Essendo l'universo il corpo della Dea, possiede gli stessi attributi della Dea, quindi i suoi poteri, ai quali noi possiamo attignere.
Noi sappiamo che tutto nell'universo è in movimento continuo e ciclico, tutte le cose crescono e calano seguendo il moto della Luna e delle maree. Perciò la Wicca celebra, si armonizza e fa uso delle maree e delle lunazioni, del ciclo delle stagioni e del moto del sistema solare. Queste fasi si ritualizzano nelle Feste dell'Anno. Inoltre, la Sacerdotessa wicca lavora con le forze e le maree della Luna, per questo il suo corpo è lo strumento per attingere alle energie della Terra.
Nella Natura non esiste la morte, vi è solamente la trasformazione. Il grande poeta cinese Lao Tzu sosteneva che quello che per un bruco è la fine del mondo, per gli altri è la nascita di una farfalla.
Nella Natura le creature esistono, mutano, sorgono a nuova forma. Il seme muore per divenire germoglio, il fiore muore per divenire frutto, il frutto muore per divenire seme e ricominciare il ciclo della vita che non si esaurisce mai.
In quest'ottica la Sacerdotessa wicca sa che non esiste la morte, solo il cambiamento da una condizione di esistenza a un'altra.
La morte non è seguita da nessuna punizione né ricompensa, ma dalla vita che si rinnova nelle forme decise dalla Dea.
z legato alle fasi della Luna, e quindi al misterioso mondo interno delle donne, fatto di ovulazione, fertilità, decadenza, mestruazione. Il momento di maggiore potere è nel periodo dell'ovulazione e in generale in Luna crescente, ovvero nel cosiddetto periodo fertile.
Un percorso solitario
In alcuni paesi, soprattutto negli Stati Uniti, per diventare Wiccan, cioè colui o colei che professa la Wicca è necessario far parte di un coven, cioè di una congrega di iniziati, di un gruppo di studio, di un cerchio di streghe, bisogna essere istruiti e iniziati, dedicando tempi prefissati, energie e soprattutto denaro. All'iniziazione, si riceve una copia del <<Libro delle Ombre>> del coven, scritto da altri, contenente formule prefissate, e si fa attivamente parte di un gruppo, rispettando orari e obblighi di presenza alle riunioni.
La strada della Figlia della Dea è solitaria, la Sacerdotessa deve essere libera di scegliere se unirsi ad altre persone che hanno le stesse idee e comunità di intenti o lavorare in modo autonomo e indipendente.
La pratica in un coven per alcuni è stimolante, poiché permette il confronto con altre persone e lenisce il senso di solitudine che molte Figlie della Dea provano, a volte vi sono personalità forti che finiscono per influenzare con le loro idee gli altri, i quali non riescono a sviluppare appieno le loro potenzialità.
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