#buio e luce tra cielo e terra
Explore tagged Tumblr posts
annalisalanci · 1 year ago
Text
La filosofia dell'esoterismo
La filosofia dell'esoterismo
Tumblr media
La filosofia dell'esoterismo
La psicologia esoterica, condivide gran parte del terreno della filosofia. Essa è un diverso progetto di verità che ritrova la sua peculiarità all'interno delle filosofie che hanno animato l'esoterismo, ma anche soprattutto vuole ricostruire un rapporto oltre che con il passato della filosofia, in cui il <<discorso>> sulla psiche era appunto di pertinenza filosofica e non scientifica, anche con il presente della filosofia. 
Tra le filosofie contemporanee in cui la psicologia esoterica può trovare il suo innesto, abbiamo quella particolare forma di esistenzialismo formulata da Heidegger e dai filosofi che hanno portato avanti il suo pensiero. Fu lo stesso Heidegger ad offrire un nuovo terreno di sviluppo alla metafisica e un senso nuovo alla filosofia come discorso sull'essere e sull'esistere relativo in particolare alla posizione dell'uomo rispetto all'uno e all'altro ambito. 
L'uomo come <<esserci>>, presenza nel mondo, diventa, infatti, la cosa unica, dove questa distinzione è annullata per realizzare il mistero umano in cui l'essere non può essere distinto dal suo <<ci>>. Nei vangeli della rivoluzione scientifica abbiamo inseguito il paradosso si un soggetto puro separato dal suo mondo che poteva diventare un oggetto di studio, un soggetto sopra e un mondo sotto. 
L'uomo esiste perchè partecipe dell'essere, ma esiste anche in quanto presente nel mondo e non possiamo immaginarci altrimenti. Essere e mondo diventano quindi nell'uomo cosa unica, l'esserci (il dasein). 
E' sotto questa luce che la psicologia esoterica trova il suo riferimento filosofico, poiché ogni scienza si propone di conoscere l'ente e niente altro, essa non si chiede che cosa sia questo niente altro, il niente. L'esperienza del niente non è però un'esperienza <<comprensibile>>, ma piuttosto emotiva dell'uomo percorso dall'angoscia: essa è un'emozione, un'esperienza psichica e per certi versi un'esperienza mistica di enso contrario quando si fa pura, quando cioè l'angoscia come esperienza del nulla si fa così profonda da non consentire all'ente di apparire e di significare, l'abisso contro l'assoluto, non coglibile razionalmente, ma solo attraverso il sentimento: l'anima ha però la capacità di illuminare l'ente, essa ha in sé la luce che rende possibile la rivelazione dell'ente dal niente in quanto ente per l'essere esistenziale dell'uomo. Il niente quindi è la condizione per cui l'ente si svela ad un essere aperto alle cose. Per vedere le cose occorre che siano illuminate, l'apertura dell'uomo alle cose è questa luce. 
La verità, in greco a-l'éteia (non-nascondimento), è manifestazione , svelatezza, tutta la Cabala è un'interpretazione simbolica di questo svelarsi del non manifesto (ain soph aur). Appare appunto lampante che se c'è un non-nascondimento esiste anche un <<nascondimento>> (léte) che sta dietro alla manifestazione. 
Alla verità come manifestazione si contrappone la non verità del nascondimento, cioè l'immanifesto, e la non verità come errore. 
Se la verità è non-nascondimento, il nascondimento appare essenziale alla verità, proprio come l'immanifesto alla manifestazione, nell'albero cabalistico. Esso è in realtà quell'orizzonte cui volgono lo sguardo il misticismo, la Cabala e la stessa magia che si riferiscono a questa fonte sotterranea, che come nascondimento precede ogni svelamento, il mistero che precede il disvelarsi del manifesto. 
Una psicologia esoterica che voglia dirsi tale deve riportare l'attenzione dell'anima sul mistero, senza tuttavia distoglierla completamente dall'ente manifesto, ma trovando invece un equilibrio ideale, come abbiamo visto per esempio parlando dell'ecospiritualità. Per fare questo l'anima come presenza nel mondo, ha bisogno innanzitutto di comprendersi e di conoscersi, prima di andare ad esplorare i rapporti con il circostante, e quindi necessita di un modello della psiche che sarà naturalmente esotericamente orientato. 
6 notes · View notes
un-antropologo-nel-mondo · 12 days ago
Text
CAPITA.
 Capita mentre cammini a quest'ora a lato delle strisce pedonali guardando in terra e pensando come funziona il tuo cuore. capita che un rivolo di lacrima scenda e ti racconti una parte di vita che sembrerebbe egoisticamente perfetta solo per l desiderio di avere al tuo fianco la persona che ami. Capita perché sognare non costa nulla, ma in qualche modo fa male e allora gridi da solo il nome al cielo e vorresti che lei, quell'amore che ti sta cambiando l'esistenza, fosse al tuo fianco già da ora. La felicità si assorbe a cubetti come si assorbe il ghiaccio dentro ad un cocktail; quella sensazione di fresco che se non impari a respirare in fretta, finisce per annacquare l'alcol e ti cambia il sapore. A quel punto il mondo diventa buio e si rapprende proprio come queste poche piante che incontro per strada e che raccontano di avere freddo. Capita che vorresti partire anche con qualsiasi mezzo si abbia a disposizione, andare a prendere il tuo amore e portarlo via. Incenerire i tempi di percorso e andarsene insieme non so dove. Capita di camminare lungo i binari come faccio tutti i giorni in orari stabiliti e per evitare la gente per strada. Perché la gente per strada ti resta indifferente quando la incontri, ma hai sempre il timore che possa leggerti negli occhi. Capita di pensare al tuo amore durante la notte e di parlare ad un gatto che resta indifferente ma che sembra capire la tua sofferenza  il vuoto che hai dentro. Capita di sperare in un risveglio migliore che faccia sorridere entrambi e racconti quei “Ti amo” come accade sempre e come vorresti che fosse ogni giorno nonostante tutto. Capita mentre sei in una parte di luogo che non ti appartiene e che non vedi l'ora di cambiare per vivere a fianco di chi hai atteso per sempre. Capita, mentre vedi le persone indaffarate a cercare regali per altre persone e pensare che sotto al tuo albero c'è in attesa il regalo per chi ami e che quella notte rimarrà lì, anche lui come te, in attesa di arrivare tra le sue mani. Lo guarderai, ti guarderà. Penserai a lei e a lei verrai in mente te e la tua solitudine in attesa. Capita quando la luce comincia a crescere in una insolita mattina distratta come questa, dove fatichi a dettarti da solo su un telefono cose che hai registrato come sempre e che nel loro piccolo rumore ti aiutano a non camminare solo. Capita, quando guardi un barbone che incontri per strada e che dorme avvolto in coperte di fortuna; che quando sente i tuoi passi si spaventa e ti chiede di non mandarlo via da lì, ma poi si tranquillizza quando gli allunghi una banconota dove sopra hai scritto a penna il nome di lei seguito da un "ti amo per sempre" con la speranza che arrivi nelle sue mani e non importa in quanto tempo. Perché i per sempre sono così; non hanno date, ma respiri di ogni tipo e ogni tempo. Poi, seduto su una panchina nel centro, dove a quest'ora nemmeno i netturbini sono presenti, tutto questo diventa speranza e lo puoi toccare. Lo puoi fare arrivare anche al suo cuore e lei riuscirà a respirare ciò che provi per lei. Capita anche a te. Capita a tutti di desiderare che il tempo si accorci; che faccia arrivare in fretta quella "prossima volta" e immaginare già da ora la cosa talmente forte, da sentire il suo calore addosso e sentirti sussurrare "sono qui, non temere"
5 notes · View notes
frammenti--di--cuore · 6 months ago
Text
I noiosi bilanci che mi tocca fare ogni tanto (e che a voi tocca leggere)
La mia vita è cambiata così tanto nell'ultimo periodo e stava cambiando anche quando credevo di essere ferma, stava cambiando anche quando io mi sentivo sempre la stessa (inutile) persona di sempre, anche quando ho passato pomeriggi interi a cercare soluzioni e a non trovarne neanche una, anche quando ho fatto passi indietro, anche quando ero incazzata, schifata, delusa, anche quando dicevo di volermi fermare e non andare più avanti. La mia vita e già mi basta dire "la mia vita" per sentirmi le lacrime agli occhi...la mia vita è perfetta così, anche se non è perfetta e non è sempre come la vorrei e delle volte mi fa piangere, delle volte mi ferisce ma la mia vita...vedi, la mia vita mi regala emozioni, sensazioni forti sulla pelle, mi fa sentire il cuore leggero e pesante, mi fa toccare il cielo e mi fa precipitare per terra ed io in quei momenti sono felice e soffro e oggi mi sento finalmente grata per entrambe le cose. Oggi so che la vita è sentire che sei vivo e, per sentire che sei vivo, devi vivere e, vivere, è una cosa bella e brutta allo stesso tempo, è freddo e caldo, è buio e luce...e queste sono tutte cose di cui nessuno di noi può fare a meno, perché la vita è vita solo così.
Oggi sono qui a scrivere questo, tra qualche giorno potrei rileggere tutto ciò e pensare che sono tutte cazzate...e mi sta bene così.
Oggi non so ancora chi sono e mi sta bene così, perché significa che dovrò fare ancora infinite esperienze per scoprirlo e non vedo l'ora di viverle.
Oggi mi affaccio ad un nuovo anno e mi fa paura come mi fanno sempre paura i nuovi anni, ma oggi i miei occhi sono in grado di guardare indietro ed avanti e il mio cuore è in grado di essere grato per quello che mi lascio dietro e per quello che mi aspetta da adesso in poi.
Non ho solo un anno in più, ho mille esperienze in più dentro e sono più vicina ad altre mille esperienze che mi aspettano più avanti lì fuori.
zoe, sì sempre io
8 notes · View notes
missfreija · 1 year ago
Text
title: /// (mi rifiuto di dare un titolo lol)
fandom: vampire chronicles
pairing: armand/marius
romance, fluff, venice era
Il pennello intinto di nero scorreva veloce nello spazio della tela, stretto tra le dita sottili di Marius che, in piedi tra le pieghe del suo abito ampio, dipingeva la fine dell'umanità per mano del Dio cristiano. Le sue labbra si increspavano in un guizzo di nervosismo, mentre gli occhi, ombreggiati dai capelli biondi, gli conferivano un’ espressione assorta. Tra le mura del palazzo echeggiò un lontano rimbombo di passi. “Maestro, non dovrebbe affaticarsi troppo, è da più di una settimana che non stacca le mani da quel lavoro.” Gli occhi pensosi erano mutati in pozze colme di beatitudine non appena il giovane umano dai capelli ambrati ebbe varcato la soglia. “Dovresti sapere che non ti è permesso entrare in questa stanza senza il mio consenso, Amedeo" mormoró il vampiro, accennando un lieve sorriso indulgente. Amedeo si avvicinò alla composizione con curiosità, mentre Marius si accingeva a riprendere la sua meravigliosa opera, dopo aver ripulito frettolosamente le macchie di pittura disseminate sul pallido braccio. “Che concetto si cela alla base della vostra nuova creazione?” domandò il giovane. “È scaturito da un mio sogno.” Precisò. “Devi sapere, Amedeo, che ciò che per gli umani pare molto tempo, dal calar del sole al sorger della luna, per una qualsiasi divinità equivale a meno di un secondo. Così, il sole si abbassa sulla terra sfumando di rosa aranciato il cielo e le nuvole per poi scomparire, lasciando il palcoscenico alla luna ed accendendo le costellazioni davanti agli occhi di Dio. Rifulgono i bianchi marmi dei templi nella notte, colonne scanalate dai capitelli fioriti d'acanto sostengono fregi rappresentanti imprese eroiche e miti del passato. Bassorilievi muti fissano le tenebre della terra sovrastate dalle splendenti stelle accompagnate dal chiaro volto di Proserpina. E un soffio da oriente, vento ormai debole, adagia una corona intrecciata di fiori, in via di appassire, sulla gradinata di fronte all'alta ed imponente statua del Cristo. Io mi trovavo in questo scenario e piangevo, come morte, persone ancora in vita, guardando l'oro delle nuove città bagnarsi del sangue causato dalle guerre e i cadaveri dei morti venir risucchiati nel regno degli inferi, ove si nasconde il più profondo male dell'uomo, nutrimento demoniaco o forma del demonio stesso. Mi trovavo, in questa illusoria macchinazione febbrile, proprio nel cuore della strage, dove gli arcangeli sterminavano le creazioni dell’umanità. Desideravo scomparire, chiudere gli occhi e tornare a dipingere: illuminare il cielo nella raffigurazione per cancellare la notte che tentava invano di rammentarmi tele e dipinti passati, mai dimenticati nel mio cuore.” Il signore del palazzo veneziano sorrise amaramente, posò il pennello e premette una mano sulla schiena di Amedeo, attonito, in un invito a precederlo. Si avviarono lungo un buio porticato che si affacciava sul cortile. Gocce di pittura nera rigavano i volti di cento angeli nel cielo al tramonto.
Marius entrò nella stanza e i suoi occhi non ebbero bisogno di attendere qualche istante per abituarsi alla nuova atmosfera dalla scarsa luminosità. Il tenue bagliore sprigionato dalle poche candele sul tavolo era più che sufficiente per illuminare il suo mondo circostante. Pian piano andò notando la radiosa ed armoniosa figura che rimaneva semi sdraiata sull'ampio letto dai cuscini di prezioso velluto. Era abbastanza longilinea e sorrideva verso il vampiro, il ritratto della paziente attesa. La pelle chiara rifletteva la luce soffusa delle candele che sprigionavano profumi delicati di spezie e di sandalo, le gambe distese sui soffici cuscini erano leggermente piegate per dare una postura eretta al bacino. Marius mosse un passo verso l'oggetto del suo desiderio. Un sottile velo di seta, che copriva le spalle del giovane ucraino, era scivolato lentamente di lato nascondendo in parte i capezzoli che risaltavano più scuri nella sua trasparenza. Un braccio in tensione, il sinistro, reggeva il busto affondando la mano tra i cuscini mentre l'altro si scaricava rilassato su di un fianco mostrando l'avambraccio. Il giovane portava al dito un onice di piccole dimensioni. Lo sguardo limpido di Amedeo pareva ebbro di gioia, le sue palpebre inondate di una misteriosa polvere dorata che scuriva il contorno dell' occhio dando un' apparenza di intensa profondità. Le mani statuarie sul suo bacino fecero perdere l'equilibrio a quella postura precaria; il suo corpo si distese sui cuscini e la pelle fremette a quel contatto, bramando una connessione più penetrante e appagante. Il capo era reclinato sulla spalla sinistra, gli occhi ora semichiusi e ombreggiati dalle ciglia scure. ''Siete finalmente tornato, Maestro'' mormorò il cherubino. Quell'amore rendeva completa e significativa tutta la sua esistenza di giovane ragazzo umano, e Marius in qualche modo lo sapeva. Posó baci morbidi come petali sulle gote e sui capelli di Amedeo, con immensa gentilezza mentre il giovane si metteva a sedere e reclinava il capo in avanti per accogliere quel gesto, lottando contro le lacrime che minacciavano di rigargli le guance e contro l'emozione che gli serrava la gola. Le sue mani cercarono il petto ricoperto dalla tunica di Marius. Era troppo forte il desiderio di far scorrere le labbra sulla pelle marmorea del suo signore, in una scia di baci adoranti. Le labbra rosee si socchiusero in un respiro più profondo degli altri; il giovane alzò la testa con un movimento quasi felino, trascinante, e incontrò lo sguardo di Marius. Le iridi brune simili a granato parevano celare arcani antichi ed impenetrabili. Il potere insito in quello sguardo lo sopraffece. Armand serrò gli occhi al socchiudersi delle labbra fredde sulle proprie, baciando con trasporto il suo signore. Sotto il peso del corpo del vampiro, l'umano alzò involontariamente una gamba e la seta strusciò contro il suo fianco. La mano destra di Amedeo corse a sistemare una ciocca dei capelli chiari del maestro dietro l'orecchio; erano setosi e parevano vivi, sciogliendosi fino alle spalle in una morbida cascata color miele. Le sue labbra lasciarono intravedere visibili per un attimo i bianchi denti in un sorriso, la lingua rossa per un istante passò ad inumidire il labbro superiore, ma fu fermata, come animale intrappolato, tra canini aguzzi. Marius scoprì le parti nascoste di quel corpo che aveva imparato a conoscere; con adorazione, passò le dita tra i capelli profumati che giacevano sparsi sulla superficie morbida delle lenzuola. ''Esprimi i tuoi desideri, Amedeo''
Marius parlò con inflessione melodiosa, quasi vibrante, e con una punta di decisione nel tono, ma parve infinitamente dolce alle orecchie rapite di Amedeo. Gli attimi di felicità che aveva condiviso con lo scomparso Andrei gli restarono nei ricordi.
14 notes · View notes
thegianpieromennitipolis · 1 year ago
Text
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Da: SGUARDI SULL'ARTE LIBRO TERZO - di Gianpiero Menniti
L'IDEA IMPRECISA
La suggestione dell'idea come espressione della razionalità, come codice che fornisce identità comune alla comunità degli esseri umani, è molto antica. Il pensiero occidentale è debitore a Platone il quale seppe cogliere nel concetto di "anima" l'incontrovertibile della verità che viene in luce, in opposizione alla doxa delle sensazioni e delle espressioni soggettive: nell'anima, entità invisibile ma generatrice del pensiero, l'idea è "ἀλήθεια", svelamento, uscita dall'oblio, chiarezza, evidenza. Si comprende quale valore abbia la relazione tra luce e tenebre, non solo come metafora dell'incessante ricerca del significato: è la luce la condizione della "forma", del fenomeno, dell'apparire, del reale. "Ιδέαι" sono dunque le entità eterne costitutive della realtà, ne rappresentano l'essenza. Eppure, fuori dalle espressioni matematiche, dei numeri e delle forme geometriche, le idee circolano se fanno storia: si affermano qualora divengano una narrazione condivisa. Se con sant'Agostino l'anima platonica entra a pieno titolo nella dimensione teologica di una religione dei "corpi" - senza il concetto di corpo è impossibile capire il cristianesimo - il riflesso dell'idealismo primigenio che si porta dietro, induce a ritenere la razionalità delle idee il marchio della loro autenticità, del loro ancoraggio saldo alla verità. Così, il pensiero occidentale, da Platone in avanti, ha proseguito nel solco dell'idea come atto generativo, della creazione che ha un'origine rispetto al nulla. Il buio è il nulla. La luce è il primo atto. «In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte.» - Genesi, capitolo primo - Dunque, l'occidente crede nell'essere e nel nulla, nella creazione e nel significato. Ma l'occidente cristiano. Non quello greco. Che non a caso, dimenticando la lezione di Parmenide, ha espresso, magistralmente, l'inquietudine di trovarsi di fronte al baratro del "nulla" nella tragedia. Ecco perché noi siamo cristiani e non più greci: abbiamo risolto la terribile percezione di un'assenza del significato, nella fede in un atto di creazione che ogni essente ha tratto dalle tenebre. Non importa che quest'idea sia imprecisa, non trovi fondamento in un'evidenza: l'idea stessa del rimedio alla morte nel nulla, per quanto inesplicabile, indefinibile, inconsistente sul piano materiale, ha conquistato il mondo e costituito la sua direzione storica. Ecco perché Nietzsche definì questa concezione il "colpo di genio del cristianesimo". Idea imprecisa quanto contraddittoria: Dio non è luce, ma è ciò che non può essere mai svelato. Altrimenti, Dio diverrebbe un concetto, una "cosa" come le altre cose del mondo. Per questa ragione, l'occidente designa il malefico con il termine "Lucifero", colui che porta la luce, colui che vuole svelare, colui che vuole "reificare" il Dio creatore. Idea imprecisa, dunque. Perché la perfezione dell'idea possiede qualcosa di luciferino, in sé. Mentre il dubbio e la ricerca, contengono una tensione vitale che spesso si dimentica o volutamente si tralascia. L'esperienza del viaggio ha più valore della meta. Presunta. Forse inutile.
- Gaetano Previati (1852-1920): "La creazione della luce" - 1913 circa, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma - In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto" 1975, collezione privata
13 notes · View notes
sophiaepsiche · 2 years ago
Text
Le profondità di San Charbel
Tumblr media
Il silenzio interiore era il suo regno, l’anello di congiunzione con Cristo.
La purificazione spirituale inizia senza una fine: dura finché l’anima non si riempie della divina sapienza.
Aveva sempre lo sguardo fisso per terra, non guardava, non parlava con nessuno se non quando richiesto.
Charbel in questo modo ha cercato di escludere le emozioni e di superarle, per fare di se stesso un’offerta a Dio con amore puro.
Di fronte alla fugacità del mondo sente il bisogno di raddoppiare lo spirito di abbandono di tutto per Dio.
Ogni cosa esterna scompare, rimane solo la grazia che gli permette di entrare nel mondo di Dio.
Padre Charbel vuole stare solo con il Solo.
Non proverà mai una consolazione umana ma solo quella proveniente da Dio.
Il suo desiderio di non distogliere lo ‘sguardo da Dio’ era la sua preoccupazione principale.
Lascia tutto per possedere il ‘Tutto’.
Charbel conosce tutta l’ambiguità interiore ed esteriore della sua mente.
Aspetta la luce di Dio mentre medita sulla natura umana. Sondando in profondità il suo animo.
Solo con il silenzio incondizionato Padre Charbel acquistava maggiore consapevolezza dell’amore reciproco tra lui e Dio, amore santificante con il quale interagire per essere trasfigurato interiormente
Charbel continuò il suo viaggio profondo immergendosi nel suo deserto interiore, necessario per l’ascesa verso Dio. 
Allontanarsi da se stesso, scoprirsi immensamente povero faceva sì che potesse avvicinarsi a Dio, riempirsi di Dio, diventando un tutt’uno con Lui.
In qualsiasi luogo si trovasse, stava in meditazione nel più assoluto silenzio. 
Solo così poteva raggiungere la pace interiore e quell’umiltà necessaria per avvicinarsi a Dio e comunicare con Lui.
L’atmosfera ascetica lo manteneva in unione con il Cielo, purificando continuamente e incessantemente il suo cuore e la sua mente.
Charbel lottò con il buio umano perché solo così sarebbe riuscito a purificarsi interiormente.
Qualsiasi preoccupazione, qualsiasi sbaglio, anche la più semplice disattenzione, lo incoraggiarono a proseguire e a cercare Dio nella sua pienezza.
Egli faticava a liberarsi totalmente di sé, né riusciva a vivere pienamente nella luce di Dio, ma si aggrappava a tutto ciò che gli permetteva di avvicinarsi ad essa.
Cercava continuamente di uscire dalle tenebre, proprie dell’uomo, non tanto per liberarsi dalla sofferenza interiore, quanto per trovare la pienezza interiore di Dio.
- citazioni sulla vita del monaco eremita San Charbel tratte da “San Charbel - Itinerario nelle profondità” di Padre Elias al Jamhoury
5 notes · View notes
gregor-samsung · 2 years ago
Text
“ Il paese s'era messo a vivere la sua curiosa vita invernale: le giornate e le notti si confondevano, l'ombra e il buio nascevano senza violento contrasto. Il mattino spruzzava un po' di chiaro nell'ombra con la pigrizia annoiata di un compito eterno: il paese pareva disabitato, radi i passanti, piú radi i capannelli dei contadini che avvolti nei mantelli, il viso sprofondato nei baveri, passavano ore, talvolta, a guardarsi taciturni, o ad ascoltare la narrazione di un fatto a cui nessuno credeva. Ma nell'interno delle case la vita acquistava un suo piacevole andamento; gli uomini attirati dal tepore del camino uscivano poco e si mischiavano con sempre maggiore intimità alla vita delle donne e dei ragazzi. Perciò, gente d'ordinario taciturna, non faceva che parlare, parlare; l'immobilità nello spazio trovava il suo correttivo nella mobilità della fantasia. Era il periodo dei racconti, delle favole, del ricordo di motti arguti, delle elencazioni delle genealogie. L'intreccio inestricabile delle parentele veniva dipanato dai piú vecchi che si compiacevano di questa funzione di cronisti e, senza volerlo, con quell'operazione naturale della mente che è volta a rendere armoniche le disarmonie del passato davano ai semplici fatti narrati un ritmo di favolosa invenzione. Gl'interventi delle persone venivano posti nelle congiunture che piú necessariamente li richiedevano: gl'incontri erano miracolosi e scioglievano agevolmente i contrasti. Il passato cosí inconsapevolmente composto e armonizzato si coloriva di bellezza. Il presente con le sue inquietudini appariva alla mente come provvisorio, come qualcosa che avendo termine doveva dar luogo al lontano ordine perduto. Le vicende locali passate li orientavano nei rapporti con gli altri membri della comunità che erano tutti caratterizzati con virtú e difetti che, a detta degli anziani, venivano loro da fonti lontane. Rimontando di generazione in generazione quelle virtú e quei difetti acquistavano coerenza e continuità. Nel vasto dramma che ognuno si veniva componendo nella mente gli attori erano disegnati a tutto rilievo e agivano secondo la necessità interna della tradizione. La terra intanto, sotto la pioggia e la nebbia, riposava quietamente; i contadini l'avevano abbandonata al suo riposo. Cosí, nera, fumigante di vapori, era misteriosa e diabolica. Il seme gettato nel suo grembo germinava segretamente secondo una legge che nessuno poteva comprendere. Solo quando le prime foglie tenerissime avevano compiuto il prodigio di aprirsi un varco tra le zolle tutto si faceva chiaro. Allora interveniva l'idea di Dio, il crescere, il verzicare avvenivano nella luce, nel regno delle cose evidenti che la ragione raggiungeva. Per le piante e il grano cresciuti si potevano invocare i santi, scongiurare con preghiere il fulmine e la grandine, ma la vita segreta della terra sfuggiva ai certi poteri del cielo: non si poteva influire su di lei come sul ventre gravido delle donne che con gesti di oscura magia. Ma la terra piú che il cielo aveva una legge ferrea, il grano nasceva sempre, Dio e il cielo potevano, talvolta, non mandare la spiga. “
Francesco Jovine, Signora Ava, Einaudi, 1958; pp. 102-104.
[1ª edizione originale: 1942]
9 notes · View notes
mypickleoperapeanut · 9 months ago
Text
Tumblr media
"Il faro di Punta Trak"
da Favole & dintorni
Questo è il racconto in prima persona di un marinaio di terra, atipico e anticonvenzionale, che pur non navigando per mare, tocca tanti porti.
Il grande faro di Punta Trak, così alto, imponente e con in cima, proprio sotto la sua lanterna, la stretta terrazza circolare, tutta delimitata da una robusta ringhiera di ferro, è il mio riferimento giornaliero, sulla strada che mi porta al lavoro, mi capita spesso di vederlo nelle fredde e umide mattine invernali, quando ancora il buio predomina e le prime luci dell’alba stentano non poco a farsi strada, molto spesso è quasi del tutto immerso nella nebbia, talmente fitta da non lasciar scorgere niente e nessuno alla sua base, dandomi così l’impressione che quella sua luce rotante sia sospesa nel cielo.
Il faro si lascia comunque scorgere facendo capolino fra le basse nuvole cariche di pioggia, sono le sue tre larghe fasce rosse orizzontali che si alternano al bianco, proprio in alto, a renderlo visibile e inconfondibile anche senza luce.
Punta Trak è una grande area alla periferia nord est della città, il faro che ne prende il nome è nella sua parte più estrema.
Una zona con tanti vecchi edifici, grandi capannoni, magazzini di stoccaggio, motrici di treni che spingono o trainano decine di carrozze merci, container, cisterne e un’infinità di enormi camion, sempre in arrivo o in partenza per le strade d’Europa, che caricano e scaricano senza pausa, pallet e merci di ogni genere.
C’è la dogana, la stazione degli autobus, un moderno centro commerciale ed un continuo brulicare di gente che viene e che va.
Ci sono vecchie costruzioni in disuso e nuovi stabili con tanti uffici, un insieme eterogeneo in cui degrado e sofisticate tecnologie creano forti contrasti che, in disarmonica continuità tra loro contribuiscono a creare quel tipico sapore, che identifica e contraddistingue, ma soprattutto accomuna tutte le vaste zone periferiche delle città destinate a grandi movimenti di genti e di merci.
Io lavoro nella zona del faro, tutti i giorni le mie narici avvertono fortemente quel suo inconfondibile acre profumo, sul mio viso e non solo su quello sento continuamente arrivare gli spruzzi d’acqua, la mia pelle è abbronzata come quella di un marinaio, perché proprio come un vero marinaio con la mia lancia, con qualunque tempo, sono sempre in mezzo all’acqua.
Ma Punta Trak non è come Punta Penna in Abruzzo o Punta Secca in Sicilia, non è un caratteristico lembo di terra che si spinge nel nostro bel mare mediterraneo, ma una piatta area, di Olomouc città al centro d’Europa, il cui vero nome è quello di area Csad, in questa area non ci sono né scogli né mare, né tanto meno navi o rimorchiatori.
Il grande faro di Punta Trak altri non è che una enorme ciminiera che vedo dal piazzale dove vengono a farsi lavare camion, autobus e quanto altro viaggi su ruote.
Questo improbabile porto senza banchine, senza transatlantici né passeggeri transoceanici non è che il lavaggio per automezzi pesanti dove lavoro.
Il forte profumo che avverto non è certamente il meraviglioso profumo di mare, ma è quell'insieme di fatto di gas di scarico dei motori, di fumo delle motrici dei treni, di legno delle traverse dei binari intrise di catrame, di carbone e gli schizzi d’acqua che mi bagnano, non solo il viso, spesso anche tutto il resto, non sono quelli delle onde che si infrangono sugli scogli, ma il getto d’acqua riciclata e maleodorante che fuoriuscendo a forte pressione dalla mia lancia, che non è la veloce imbarcazione che fa la spola tra le navi e la banchina del porto, ma l’attrezzo che spruzza con forza l’acqua che si infrange sulle ruote o sui teloni dei grandi automezzi.
Sono gli autisti, i loro camion e le rispettive merci, gli unici a partire e tornare in questo porto senza mare.
Per noi che siamo qui, ma soprattutto per me, la stanzialità in questo luogo, con un lavoro sempre uguale fatto dagli stessi movimenti, dalle stesse operazioni che si susseguono quotidianamente con una ripetitività e una ovvietà sconcertante, è molto pesante da accettare, molto duro, faticoso e stancante da fare.
Mentre sono qui che lavo e rilavo decine di camion, autobus, cisterne, immagino che la ciminiera sia un faro ed io un viaggiatore di mare che torna da un lungo viaggio pieno di avventure ed esperienze fantastiche, come peraltro fantastica è la mia vita.
Tornare nei luoghi natii, tornare a casa, tornare dove c’è chi ti aspetta è sicuramente il desiderio più grande per un viaggiatore, ma ancor più affascinante per un esploratore di professione come me è il partire, il ripartire per un nuovo viaggio, una nuova avventura, una nuova impresa che appaghi totalmente la mia voglia di nuovo, il mio desiderio di scoprire cose sconosciute e percorrere nuove strade, fantasticare, progettare un futuro fatto di spazi dove la mia mente possa, senza limiti, liberare i suoi pensieri.
Nel frattempo resto qui nel piazzale del lavaggio, mentre le luci artificiali soppiantano lentamente la luce del giorno, io continuo a lavare tutto quello che c’è da lavare e guardo il mio faro e immagino di ripartire presto per uno dei miei viaggi che mi porterà lontano verso una nuova destinazione e mi farà vivere nuove esperienze, nuove avventure, nuove emozioni.
Il faro di Punta Trak Olomouc Česká republika 2011
Favole & dintorni
https://lefavolediriccardo.blogspot.com/?m=1
0 notes
annalisalanci · 1 year ago
Text
Ragnatele nvisibili
Ragnatele kinvisibili
Tumblr media
Annalisa Lanci
Tumblr media
Demone giapponese
Ragnatele invisibili. "In vari testi esoterici, la negatività, che assorbe la nostra energia vitale, viene descritta, come larve psichiche, le quali, sviluppandosi, costruiscono ragnatele che si nutrono del nostro spirito e della nostra mente… è evidente, che le lacune sono alla base dell'esistenza umana; la loro causa, non sono altro che i costruttori di queste strutture invisibili, i quali si nascondono come ragni nei buchi." Invisibile cobwebs. "In various esoteric texts, negatività, which absords our vital energy, is describeb as psychic larvae, which as they develop, construct cobwebs that feed on our spirit and our mind… It Is evident that gaps are at the basis of human existence: their cause, are none other than the builders of these invisibile structures, who hide like spiders in holes."
2 notes · View notes
Text
Tumblr media
ALBERI SACRI
"Gli indiani Hidatsa del Nord America credono che ogni oggetto naturale abbia il suo spirito o, meglio, la sua ombra. A queste ombre si deve una certa considerazione, o rispetto. Si crede che alcuni grandi alberi abbiano un'intelligenza che, se convenientemente avvicinata, può aiutare in varie imprese.
L'abbattere questi giganti è considerata una cattiva azione, e quando c'era bisogno di grandi travi, usavano soltanto gli alberi già caduti. I più anziani dicevano che molte disgrazie del loro popolo erano causate dalla moderna mancanza di rispetto per i diritti dei grandi alberi.
Anche gli Irochesi credono che ogni specie di alberi, piante ed erbe abbiano il loro spirito. Era costume rendere grazie a questi spiriti.
Fra gli abitanti di lingua ewe della Costa degli Schiavi (Africa) il dio Huntin dimora in alcuni alberi giganti della foresta. Gli alberi in cui egli abita vengono circondati da una cintura di foglie di palma, e ad esso vengono offerti sacrifici di galline, e a volte anche di esseri umani, che vengono legati al tronco o deposti ai piedi dell'albero.  Anche gli alberi che non contengono la dimora di un Huntin non possono essere tagliati senza che il boscaiolo offra un sacrificio per purificarsi dal sacrilegio che stà commettendo. Omettere il sacrificio è un'offesa che può essere punita anche con la morte.
Tempo fa tra i monti Kangra del  Punjab si soleva sacrificare una fanciulla a un vecchio cedro, e le famiglie del villaggio fornivano a turno la vittima.
Quando si abbatte una quercia, essa emette delle strida o dei lamenti, che si possono udire lontano un miglio, come se il genio della quercia si lamentasse. Alcuni stregoni affermano di aver udito il pianto degli alberi sotto la scure. Alberi che sanguinano o emettono grida di dolore o d'indignazione quando sono colpiti dall'ascia o bruciati, si incontrano spesso nei libri o nei racconti, in tutte le culture."
- da Magia e culto degli alberi di J.G.Frazer -
Anche senza offrire alcun sacrificio umano, e neppure di galline, portiamo rispetto a queste magnifiche creature, spiriti viventi che mettono in comunicazione la Terra con il Cielo, il Buio con la Luce, lo Spirito con la Materia. Gli antichi hanno saputo coglierne l'essenza, la maggior parte di noi invece passano distratti e veloci senza nemmeno accorgersi di essi. Solo qualche tempo incontrai una signora nel bosco che si soffermava davanti ad ogni grande albero, lo toccava e recitava una breve preghiera. Io rimango sempre affascinato da queste creature meravigliose e a volte stravaganti, ogni volta che entro nel bosco, mi sembra di entrare in una fiaba. 
Questa bellimma queerca campeggia all'ingresso dell'abitato di Viazzano, sulla strada che costeggia il fiume Ceno tra Fornovo e Varano Melegari.
.......
"The Hidatsa Indians of North America believe that every natural object has its own spirit or, rather, its shadow. To these shadows we owe some consideration, or respect. Some large trees are believed to have intelligence which, when conveniently approached, can aid in various feats.
Cutting down these giants is considered a bad deed, and when large beams were needed, they only used trees that had already fallen. The elders said that many of their people's misfortunes were caused by modern disrespect for the rights of large trees.
The Iroquois also believe that every species of trees, plants and herbs have their own spirit. It was customary to give thanks to these spirits.
Among the Ewe-speaking inhabitants of the Slave Coast (Africa) the god Huntin dwells in some giant trees of the forest. The trees in which he lives are surrounded by a belt of palm leaves, and sacrifices are offered to him from hens, and sometimes even human beings, who are tied to the trunk or placed at the foot of the tree. Even trees that do not contain a Huntin's abode cannot be cut down without the lumberjack offering a sacrifice to purge himself of the sacrilege he is committing. Omitting the sacrifice is an offense that can also be punished with death.
Long ago in the Kangra Mountains of Punjab it was customary to sacrifice a girl to an old cedar, and the families of the village took turns providing the victim.
When an oak is felled, it makes screams or moans, which can be heard a mile away, as if the genius of the oak were complaining. Some sorcerers claim to have heard the weeping of the trees under the ax. Trees that bleed or cry out in pain or indignation when struck by the ax or burned are often encountered in books or stories, in all cultures."
- from Magic and Tree Cult by J.G.Frazer -
Even without offering any human sacrifice, or even chickens, we respect these magnificent creatures, living spirits who put the Earth in communication with Heaven, Dark with Light, Spirit with Matter. The ancients were able to grasp its essence, but most of us pass by distracted and fast without even noticing them. Only some time I met a lady in the woods who pausing in front of every big tree, she touched it and said a short prayer. I am always fascinated by these wonderful and sometimes extravagant creatures, every time I enter the woods, it seems to me to enter a fairy tale.
0 notes
psicologoestroverso · 1 year ago
Text
Tumblr media
CAPITOLO # 1
Eccoci qui, come state? Spero bene. Io sono abbastanza stanco, sono appena uscito da un turno al lavoro. Stavo spulciando la mia galleria sul telefono e mi sono imbattuto in questa foto. L'ho scattata a Pian paradiso in provincia di Viterbo. È l'alba del giorno in cui siamo andati, con il campo della cmt, ad Assisi.
L'alba a me affascina molto di più del tramonto. L'alba è simbolo di inizio. Di un nuovo giorno, che si le scelte le parole e i gesti che abbiamo fatto il giorno prima...possono influenzare questo nuovo giorno. Ma comunque la mettiamo... è sempre un nuovo giorno. Ho sempre visto la vita come una sfida a scacchi tra noi ( persone) e il destino.
A volte siamo cechi e pensiamo che le cose fatte nel passato, si ripercuoteranno nel presente e nel futuro. È vero. Ma come in ogni partita a scacchi che si rispetti....se sbagli una mossa il tuo avversario se ne approfitta ( ovvio si chiama competizione), ma non dobbiamo mai dimenticare che poi TOCCA A NOI. La mossa dopo quella del nostro avversario, può sistemare il problema ( affrontando il problema) o può essere passato in secondo piano....perché tanto se ho fatto un torto ad un mio amico " non mi riguarda". Quante volte ci prendiamo gioco delle persone che ci amano, si fidano e ci vogliono bene? Quante?. Succede sempre volontariamente o involontariamente.
Ma quello che voglio dirvi è che la natura ci insegna a vivere. Il TRAMONTO: ci si sta avvicinando alla notte, la stella che illumina tutta la nostra galassia, scende e scompare lasciando spazio ad una luna che non risplende come il sole. Un celo buio, la notte....per alcuni vuol dire pace, serenità e silenzio....per altri inizia veramente la sofferenza. Ma poi arriva lei L'ALBA la luce dopo l'oscurità. Un bagliore che squarcia l'oscurità dando luce...e si sa....senza luce non c'è vita. Per ogni periodo brutto che passiamo ci sarà sempre prima o poi un raggio di sole che ci dà speranza. Citando un film "non può piovere per sempre".
Ma vi chiederete...come faccio a vedere la luce se sono seduto in un tunnel buio? È questo il problema SEI SEDUTO. Alzati cammina, corri, striscia....perché la soluzione, la felicità e l'amore non cadono dal cielo in una 24 ore. No devi combattere e creare l'habitat per far si che queste cose accadono....e non succederà mai stando fermi immobili.
E se ti senti senza forza, intrappolato al terreno e impossibilitato a muoverti....urla CHIEDI AIUTO, a volte le persone sono delle stronze, ed è vero anche io vivo questo pensiero tutti i giorni. Ma poi trovi delle persone con occhi dolci, voci gentili e gesti veri. Non disperare perché troverai anche tu tutto questo. Perché nella vita non c'è una scadenza fissa in cui le cose arrivano. Come ho detto prima...devi lottare per far si che certe cose accadano...i romani dicevano sempre "si vis pacem, para bellum". Perché si a volte devi combattere una guerra eterna per trovare la pace.
Vi lascio con due domande, potete anche non rispondermi...basta che veramente accendete quel cervello che tutti noi abbiamo e che questa società ci ha bloccato, TU DOVE SEI, NEL TRAMONTO? NELLA NOTTE? NELL'ALBA?. COSA TI STA TENENDO IN PIEDI NEL COMBATTERE? COSA TI STA BUTTANDO A TERRA E TI IMPEDISCE DI STARE UP?
Auguro a tutti voi buona notte
0 notes
lestreghedifenix · 2 years ago
Text
Tumblr media
Festività Pagane
18 maggio festa di Aradia
Tutto ebbe inizio.
Milioni di anni fa.....
In principio, l'universo era vuoto, una grande manto nero.
Le uniche creature esistenti erano, il Padre e la Madre, i Fondatori.
Un giorno, questi Fondatori, decisero di creare i pianeti.
Il primo pianeta creato fu la Terra.
Non come la conosciamo noi, inizialmente era una grande massa di roccia, come un grande sasso.
Poi si misero a modellare questa roccia, come un'opera d'arte,
iniziarono col creare il cielo e il mare.
Crearono le montagne, i prati, gli alberi e tante altre cose, come se stessero dipingendo un quadro.
Finito il lavoro, crearono i primi esseri viventi, gli animali.
Ne crearono di molti tipi, e di diverse misure, li misero nel mare, nelle montagne, nei prati e persino in cielo.
Finiti gli animali, pensarono di creare 4 spiriti,
per proteggere il loro creato ed aiutare gli esseri viventi.
Questi 4 spiriti erano il fuoco, l'acqua, la terra e l'aria, che sono ancora in mezzo a noi ,ma i Fondatori, gli hanno dato il potere di essere invisibili.
Poi crearono la prima Dea, Diana, aveva il compito di gestire il funzionamento dei mari, della terra, dei prati e di tutto il creato.
Per riuscire a controllare al meglio la Terra, decisero che lei non doveva abitarci, quindi crearono un pianeta dove farla vivere, la Luna.
La Madre guardò la loro opera, ormai la Terra era finita e Diana controllava tutto ,ma mancava ancora qualcosa, la luce.
Così i Fondatori decisero di creare un Dio, Lucifero, il portatore di luce.
Aveva il compito di illuminare la Terra e di riscaldare i suoi abitanti, crearono un pianeta dove farlo vivere, il Sole.
I fondatori decisero di fare l'ultimo ritocco al loro capolavoro e crearono gli esseri umani, che dovevano procreare e vivere in pace e armonia con la natura e gli animali.
Diana e Lucifero erano come fratelli, lavoravano insieme per dare la luce e l'oscurità alla terra,
per far cambiare il tempo e aiutare la natura e tutti gli esseri viventi.
Lei era molto attratta dalla luce di lui e un giorno decise di andare a trovarlo, spostò la Luna verso il Sole e quel giorno ci fu la prima eclissi.
Quando Diana si incontrò con Lucifero, fu amore a prima vista, restarono assieme solo poco tempo, per non creare difficoltà sulla Terra.
Prima di andarsene la Dea diede un bacio al Dio, si udì una grossa esplosione, un evento mai visto prima: come dei fuochi d'artificio, si crearono dei puntini luminosi in tutto l'universo, le stelle.
Da quel giorno Diana e Lucifero hanno continuato a fare i loro brevi incontri e li fanno tutt'ora.
In uno di questi incontri i due Dei si sono uniti, tra il buio dell'eclissi si poté vedere un grande bagliore in cielo, una stella con una scia di luce, che attraversò tutta la Terra, era una Cometa, annunciava l'arrivo della loro figlia, Aradia.
Passarono anni e anni, la Terra era ormai già popolata da tantissimi esseri viventi, tanti uomini, che col passare del tempo iniziarono a sfruttare la natura e gli animali per le loro comodità.
Gli umani infine si misero anche a sfruttare i loro simili, i più ricchi e benestanti, opprimevano i poveri e le donne.
Il Dio e la Dea decisero di chiamare i Fondatori, li aggiornarono sulla situazione e gli chiesero il permesso di mandare Aradia sulla Terra, per mettere a posto la situazione.
I Fondatori decisero che era la cosa migliore da fare, mandarono Aradia sulla terra, una immortale in mezzo ai mortali, con il compito di assoldare degli umani a cui insegnare la magia per poter migliorare la loro situazione.
Aradia così fece, arrivò sulla Terra, iniziò a parlare con delle contadine, oppresse dagli umani di sesso maschile, raccontando loro chi era e quale fosse la sua missione.
Cominciarono quindi ad incontrarsi nei boschi di notte, per non farsi scoprire, si radunavano formando un cerchio e tenendosi per mano.
Aradia era in mezzo a loro e con il suo aiuto, riuscivano a contattare il Dio e la Dea, successivamente, riuscirono a farlo anche senza il suo aiuto.
Le contadine impararono ad usare la magia e a fare pozioni e medicine con le erbe, e con queste a
proteggersi dai soprusi.
In seguito Aradia ha continuato a contattare altre persone per diffondere la sua sapienza, le sue seguaci erano sempre più numerose anche se rimanevano nascoste.
La figlia degli Dei aveva il potere di distruggere tutti gli oppressori e i potenti sfruttatori, ma non lo fece, preferì mettere i poveri e gli oppressi in condizione di difendersi e vivere per il meglio le loro vite.
Aradia fu così chiamata, la prima Strega, le sue discepole, le streghe, si riunivano in coven ed erano sempre più numerose.
Curavano le malattie, parlavano con gli Dei e facevano incantesimi e pozioni per migliorare il proprio stile di vita.
Tutt'ora ci sono ancora tante Streghe in giro per il mondo, si riuniscono per celebrare le feste Pagane
e per i vari rituali.
La leggenda di Aradia è ancora viva nei loro pensieri, colei che scese sulla Terra per difendere gli oppressi e i poveri.
Quando guardate in cielo, ricordatevi degli Dei che ci guardano da lassù e di Aradia
che veglia su di noi.
#streghedifenixwitchcraft
#lestreghedifenixtarot
0 notes
espritbleutee · 2 years ago
Text
scarsa visibilità, poca percezione.
non riesco a ritrovare la strada,
credo di essermi persa
tra sentieri, colline, montagne.
sono molto stanca, le gambe cedono.
interrompo la scalata,
ho bisogno di riposarmi.
la paura scorre nelle mie vene.
è notte fonda, non c’è anima viva qui
e neanche io lo sono.
esistere o sopravvivere?
improvvisare.
siedo a terra, poggiandomi ad un albero.
mi guardo intorno, oscurità.
mi guardo dentro, stessa cosa.
una voce pronuncia flebilmente il mio nome;
sento i battiti del mio cuore aumentare.
chi sei? che cosa vuoi?
silenzio.
chi vuoi che io sia?
non ho il coraggio di rispondere.
sono ciò che sarai, ciò che sei e ciò che eri
sono tutto e sono niente
sono i pensieri, i sentimenti e le parole di ieri
sono il tuo cuore e la tua mente
sono il mostro da cui provi a scappare
la tua interiorità frammentata
sono ciò che ti può consolare
o un’emozione dimenticata
dove mi trovo? ti chiederai
non son fuori, io sto dentro
ascolta bene e capirai
è arrivato ora il momento
c’era una volta una bambina
spensierata e assai felice
poi di colpo è ragazzina
permanente cicatrice
ciò che dimentichi sono io
nulla è mai perduto e vive in me
catalogo ogni saluto ed ogni addio
come nelle librerie di un antico caffè
il mondo gira, il tempo passa
sopra di noi le vecchie arpie
e in fondo il cuore è solo una cassa
in cui riecheggiano le melodie
di pensieri e vecchi amori
di bellezze e novità
di speranze e di dolori
che tu sempre dovrai affrontar
vedo grigio e poi anche blu
la mia bussola è impazzita
sono io e sei anche tu
riprendi in mano questa vita
guarda bene, sì, con attenzione
lo strapiombo è uno scalino
non sei intrappolata nell’afflizione
la via d’uscita è lì vicino
alza la testa, osserva il cielo
liberati dalle catene che ti trattengono
non ti ha mica uccisa quel veleno
perché le mie mani ancor ti tengono
cosa sono? cosa voglio?
ero, sono e sarò te
starai bene, è solo un sogno
ogni cosa ha il suo perché
mi ritrovo come pietrificata,
riesco a muovere solo le pupille.
osservo freneticamente il buio che mi avvolge,
ma niente,
non c’è niente,
non c’è nessuno.
d’improvviso, sorge il sole,
irradiando la sua luce ovunque.
chiudo gli occhi e li riapro,
sono senza parole.
dove sono? dove mi trovo? cos’è successo?
sono io, distesa su un letto,
tra il calore delle coperte.
confusa, ruoto il mio sguardo
tentando di assimilare il luogo in cui mi trovo,
che poi è la mia camera,
la mia casa.
respiro affannoso, tachicardia,
timore ingiustificato.
una vecchia foto sul cassettone
richiama la mia attenzione.
ritrae me da bambina.
eppure quella foto la ricordavo diversa,
appare cambiata.
la vecchia me sembra sorridere, adesso,
e proprio in mia direzione.
guardo fuori dalla finestra,
sono le sette del mattino.
il cielo è di un bell’azzurro chiaro,
gli uccellini cinguettano.
sento il profumo dei fiori che sbocciano,
che addolcisce ogni mio sentimento negativo.
chi ero, chi sono e chi sarò?
cosa mi fa male e cosa no?
questo non lo so, ma non fa niente.
l’importante è essere consapevoli
e ricordarsi che
dopo ogni inverno
verrà sempre una primavera.
0 notes
il-dottor-stranamore · 2 years ago
Text
PER TESS
Scritto da:
Matteo Ducceschi
Liberamente tratta dalla poesia:
Per Tess – Raymond Carver (1999)
INT. APPARTAMENTO UOMO GIORNO
In un appartamento asettico e minimale, un uomo (40) seduto sulla sua scrivania riflette. Osserva fuori dalla finestra alla sua destra. Scruta la città dall’alto. Immensi grattacieli si ergono imponenti fino ad arrivare al grigio cielo. La pioggia picchia contro la finestra, e nel silenzio si fanno avanti i suoni vivi della città.
La malinconia di quello che vede fuori dalla finestra si manifesta a poco a poco sul suo volto, come se si sentisse soffocato dalla solitudine.
Con grande frenesia, prende in mano il suo telefono cellulare. E con una minuziosa attenzione scorre tra i suoi contatti cercandone uno in particolare. Lo trova. Dopo aver dato un ultimo sguardo fuori dalla finestra, comicia a registare un audio a questo contatto.
UOMO (V.O.) Giù nello Stretto le onde schiumano
come dicono qui. Il mare è mosso e meno male che non sono uscito.
Nel granitico volto dell’uomo, si scolpisce un leggero sorriso.
EXT. PONTE SULLA - SPIAGGIA GIORNO
L’uomo è seduto su un piccolo ponte di legno vicino ad una spiaggia, con le gambe immerse nell’acqua. Osserva il mare, accanto a sé a una canna da pesca.
UOMO (V.O.) Sono contento d’aver pescato tutto
il giorno a Morse Creek, trascinando avanti e indietro un Daradevil rosso. Non ho preso niente. Neanche un morso. Ma mi sta bene così. È stato bello!
L’uomo si alza portando con sé la canna da pesca.
EXT. SPIAGGIA GIORNO
Lo sguardo dell’uomo punta in basso, per poi lentamente guardarsi alle spalle e vedere delle piccole orme sulla sabbia.
UOMO (V.O.) Avevo con me il temperino di tuo
padre e sono stato seguito per un po’ da una cagnetta che i padroni chiamavano Dixie.
L’uomo continua il suo cammnino fino a giungere in un prato pieno d’erba, per ripararsi dal sole sotto un albero, al confine con la spiaggia.
EXT. PRATO GIORNO
L’uomo si distende e osserva corci di cielo attraverso gli albero che ha davanti.
UOMO (V.O.) A volte mi sentivo così felice che
dovevo smettere di pescare. A un certo punto mi sono sdraiato sulla sponda e ho chiuso gli occhi per ascoltare il rumore che faceva l’acqua e il vento che fischiava sulla cima degli alberi.
L’uomo chiude delicatamente gli occhi.
UOMO (V.O.) Lo stesso vento che soffia giù
nello Stretto, eppure è diverso.
INT. STANZA BUIA NOTTE
L’uomo riapre gli occhi. Si accorge di essere circondato dal nulla. Tutto è nero intorno a lui. Non c’è più nessun rumore. L’uomo è bloccato a terra e non riesce a muoversi. Ha delle radici nere che lo legano a terra.
UOMO (V.O.) Per un po’ mi son lasciato
immaginare che ero morto e mi stava bene anche quello, almeno per un paio di minuti, finché non me ne sono ben reso conto: Morto.
Un bagliore bianco appare. Una lampada si accende. Seduta su un tavolo con una lampada accesa c’è una donna (35).
UOMO (V.O.) Mentre me ne stavo lì sdraiato a
occhi chiusi, dopo essermi immaginato come sarebbe stato
(MORE)
2.
UOMO (V.O.) (CONT'D) se non avessi davvero potuto più
rialzarmi, ho pensato a te.
L’uomo con una ritrovata forza sovraumana, spezza con una mano la radice che la bloccava. Poi quella che bloccava l’altra mano. Quella delle gambe e infine quella del collo.
UOMO (V.O.) Ho aperto gli occhi e mi sono
alzato subito e son ritornato a esser contento.
L’uomo corre nel buio, verso la lampada accesa, mentre avanza la luce si fa sempre più accecante, fino a divorare l’intera stanza buia e non mostrare più niente.
INT. APPARTAMENTO UOMO GIORNO L’uomo riapre gli occhi. È nel suo appartamento.
UOMO (V.O.) È che te ne sono grato, capisci. E
te lo volevo dire.
L’uomo invia il messaggio vocale. Poi blocca il telefono. Guarda fuori dalla finestra, vede che il cielo si sta diradando. Sorride.
0 notes
thegianpieromennitipolis · 2 years ago
Photo
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO TERZO - di Gianpiero Menniti 
L'IDEA IMPRECISA 
La suggestione dell'idea come espressione della razionalità, come codice che fornisce identità comune alla comunità degli esseri umani, è molto antica.  Il pensiero occidentale è debitore a Platone il quale seppe cogliere nel concetto di "anima" l'incontrovertibile della verità che viene in luce, in opposizione alla doxa delle sensazioni e delle espressioni soggettive: nell'anima, entità invisibile ma generatrice del pensiero, l'idea è "ἀλήθεια", svelamento, uscita dall'oblio, chiarezza, evidenza. Si comprende quale valore abbia la relazione tra luce e tenebre, non solo come metafora dell'incessante ricerca del significato: è la luce la condizione della "forma", del fenomeno, dell'apparire, del reale.  "Ιδέαι" sono dunque le entità eterne costitutive della realtà, ne rappresentano l'essenza.  Eppure, fuori dalle espressioni matematiche, dei numeri e delle forme geometriche, le idee circolano se fanno storia: si affermano qualora divengano una narrazione condivisa.  Se con sant'Agostino l'anima platonica entra a pieno titolo nella dimensione teologica di una religione dei "corpi" - senza il concetto di corpo è impossibile capire il cristianesimo - il riflesso dell'idealismo primigenio che si porta dietro, induce a ritenere la razionalità delle idee il marchio della loro autenticità, del loro ancoraggio saldo alla verità.  Così, il pensiero occidentale, da Platone in avanti, ha proseguito nel solco dell'idea come atto generativo, della creazione che ha un'origine rispetto al nulla. Il buio è il nulla.  La luce è il primo atto. 
«In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte.» Genesi, capitolo primo. 
Dunque, l'occidente crede nell'essere e nel nulla, nella creazione e nel significato.  Ma l'occidente cristiano.  Non quello greco.  Che non a caso, dimenticando la lezione di Parmenide, ha espresso, magistralmente, l'inquietudine di trovarsi di fronte al baratro del "nulla" nella tragedia.  Ecco perché noi siamo cristiani e non più greci: abbiamo risolto la terribile percezione di un'assenza del significato, nella fede in un atto di creazione che ogni essente ha tratto dalle tenebre.  Non importa che quest'idea sia imprecisa, non trovi fondamento in un'evidenza: l'idea stessa del rimedio alla morte nel nulla, per quanto inesplicabile, indefinibile, inconsistente sul piano materiale, ha conquistato il mondo e costituito la sua direzione storica.  Ecco perché Nietzsche definì questa concezione il "colpo di genio del cristianesimo".  Idea imprecisa quanto contraddittoria: Dio non è luce, ma è ciò che non può essere mai svelato.  Altrimenti, Dio diverrebbe un concetto, una "cosa" come le altre cose del mondo. Per questa ragione, l'occidente designa il malefico con il termine "Lucifero", colui che porta la luce, colui che vuole svelare, colui che vuole "reificare" il Dio creatore.  Idea imprecisa, dunque.  Perché la perfezione dell'idea possiede qualcosa di luciferino, in sé.  Mentre il dubbio e la ricerca, contengono una tensione vitale che spesso si dimentica o volutamente si tralascia.  L'esperienza del viaggio ha più valore della meta.  Presunta.  Forse inutile. 
Gaetano Previati (1852-1920): "La creazione della luce" - 1913 circa, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma
In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto" 1975, collezione privata
9 notes · View notes
sciatu · 3 years ago
Photo
Tumblr media
UNA BALERA SUL MARE
“Qui va bene, grazie” Guardò il numero dell’ombrellone e vide che era il 104. “Il dieci di aprile, quando è nato mio figlio” Pensò felice della coincidenza perciò ripeté a Bruco, il bagnino del bagno Maracaibo un rassicurante. “Va bene qui, mi piace” Bruco, senza commentare appoggiò la sua borsa su una sdraietta e aprì l’ombrellone, più per abitudine che per necessità. Il giorno prima aveva piovuto e il cielo era ancora incerto con grandi nuvole che passavano veloci e un sole spento, tipico di fine estate. Bruco se ne andò con la sua andatura dondolante e lei si allungò sulla sdraietta, stringendosi il giaccone per proteggersi dal vento e tenendo gli occhiali scuri anche se aveva chiuso gli occhi per godersi il debole tepore del sole. Aveva sonno. Finito di lavorare al ristorante era rientrata nel suo piccolo appartamento il più tardi possibile perché da quando lui se ne era andato, non riusciva più a dormire. Le prendeva l’ansia e l’inquietudine come se il buio la soffocasse, schiacciandola tra le lenzuola quasi fosse la terra che ricopriva la bara di carne dentro cui la sua anima era rinchiusa. Restava così finchè non si alzava e fumava una sigaretta sul balcone osservando l’orizzonte sbiancarsi per la prossima alba, per poi tornare a letto e addormentarsi di colpo come se il suo corpo non ce la facesse più a sopportare quel suo non aver pace e, distrutto dalla stanchezza, si spegnesse lasciando la testa a ripensare continuamente, alla assenza di lui, al vuoto che la circondava, al buio che l’opprimeva facendola sfogare in sogni senza capo ne coda, in cui non vi era ne luce ne gioia. Anche quando c’era lui aveva queste sensazioni di soffocamento ma bastava abbracciarsi al suo corpo e il suo calore scioglieva le sue gelide ansie, avanzi di vite precedenti che non avrebbe voluto vivere ma che aveva subito a torto o a ragione. Ma ora, non poteva far altro che stringere un cuscino freddo come la sua anima e tutto quello che aveva spinto nel buio della sua coscienza tornava a galla, come relitti di altri naufragi e la soffocavano. Per questo, appena sveglia era uscita di casa, girando per il paese fino a trovare Bruco che aveva aperto lo stabilimento balneare più per abitudine e per sistemare quelle cose che durante l’estate si erano rotte, piuttosto che per i rari turisti che erano rimasti sulla riviera. Stava pensando che magari avrebbe bevuto qualcosa, così avrebbe affrontato la giornata un po’ più swing, più rilassata e serena. Ultimamente però beveva troppo. Se ne era accorta anche lei che dove era era, le serviva sempre un po’ alcool per andare avanti ed accettare il mondo con il suo freddo e la sua indifferenza. Avrebbe bevuto dopo. Ora doveva riposare se no la sera sarebbe stata una minchia morta e l’unica giornata in cui lavorava solo la sera l’avrebbe passata rincoglionita di fronte la tivù. “Piano, piano, di qua, vieni avanti Maestro, ecco qui, mettiti qui, a lato c’è una signora, così parlate un po’ e vi fate compagnia”. Aprì un occhio per vedere con chi stava parlando Bruco e lo vide che stava facendo sedere un ragazzo con degli occhiali da sole scurissimi e un bastone bianco in mano con cui toccava il bordo della sdraietta mentre si sedeva. “Grazie Pizzigalli, grazie mille” Ripeteva il ragazzo mentre si sedeva mettendo le sue cose sul piccolo tavolo che circondava il bastone dell’ombrellone. “un cieco – pensò seccata – sarà uno di quelli che attacca bottone e non la finisce più.” Pensò di alzarsi ed andarsene ma ormai Bruco gli aveva già detto che era li. Magari, se stava zitta, lui non l’avrebbe disturbata. Chiuse gli occhi e tornò in quella zona neutra in cui dormiva anche se era sveglia. “buongiorno - sentì la voce di lui gridare nella sua direzione. - Buongiorno, io mi chiamo Mario e lei?” “Io no – penso lei seccata perchè aveva già incominciato a rompere e a voce alta continuò – Buongiorno, mi scusi mi ero appisolata” “Oh scusi, non volevo disturbarla” “Non si preoccupi, ormai sono sveglia. Mi chiamo Ludovica” “Ah piacere, è un bel nome il suo. -  restò qualche secondo zitto e poi continuò -  non volevo disturbarla, ma lei ha un buon profumo e le persone con un buon profumo sono sempre buone” Lei si sorprese. Alzò il braccio per sentire se era vero o se la giacca avesse preso la puzza di naftalina dell’armadio. No, era vero, aveva un buon profumo. Come aveva fatto a sentirlo così distante?” “il vento! Il vento me lo sta portando ed è proprio un buon profumo - continuò lui sorridendo -  mi scusi se l’ho disturbata, ma volevo chiederle di che colore è  il mare” “E’ blu” rispose subito lei seccata ma lui restò ancora con la testa un po’ alzata come se aspettasse di sentire qualche cos’altro. “E’ blù in fondo, dove c’è l’orizzonte. Qui davanti, dove finisce la spiaggia, è un color fango da cui di tanto in tanto appaiono delle alghe nere che fanno impressione.” Lui abbassò la testa quasi deluso dalla descrizione. “Il cielo invece verso San Marino è scuro, quasi nero poi verso il mare è di un blu intensissimo, mi ricorda gli zaffiri blu poi, verso l’orizzonte il blu si addolcisce e diventa color Blu Hawaiian  -  si fermò un secondo a pensare – lo ha mai assaggiato il Blue Hawaiian??” “No, veramente no” “è la versione azzurra della pina colada” “Si questa l’ho assaggiata ma non sapevo che c’era la versione azzurra” “Si è un azzurro lieve e delicato come è il cielo adesso” “Lei è un barman?” “No lavoro nei ristoranti o nei bar o nelle discoteche, dove serve qualcuno che serva gli altri mentre si divertono” “Deve essere bello allora, far felici gli altri” Lo guardò come se lo vedesse per la prima volta. Se fosse stato una persona come gli altri avrebbe pensato che la prendeva per il culo, ma a sentire il tono e a vederlo guardare lontano, dove il cielo diventava Blu Hawaiian, gli sembrò di sentire una nota di tristezza, come se lui, per come era, non avrebbe mai potuto far felice qualcuno. “ Anch’io lavoro nei bar – disse Mario tornando a sorridere felice –  suono in una specie di balera sulla spiaggia. Quando è successo – disse tornando a guardare la sabbia su cui faceva rimbalzare il suo bastone – mi sono trovato con molto tempo libero, allora ho deciso di usarlo per fare quello che non avevo mai fatto prima e ho imparato il pianoforte. Ora insegno musica nelle scuole, organizzo le loro recite e la sera suono dove capita” Lei sorrise “anche mio figlio studia pianoforte!” “Sarà sicuramente bravo, lei è così felice per questo” “Si è vero – disse contenta – mi ha dato sempre tante soddisfazioni” “E anche lui suona da qualche parte?” “ Si quando capita” “Se vuole le presento il mio agente, lui troverebbe lavoro anche ad un cane, senza nessun riferimento a suo figlio” Lei sorrise. “ ora deve studiare, però mi ricorderò di lei quando finisce la scuola” “ Ci conti. Ah me la musica ha salvato la vita e sarò felice di aiutare qualcuno” Si sentì felice. Suo figlio sarebbe stato contento di incontrare un vero musicista. “Dove ha detto che suona?” Ma Mario non rispose, alzò gli occhi verso il cielo e improvvisamente lei sentì in testa una grossa goccia d’acqua arrivarle in testa. Alzò gli occhi e vide una nuvola nera scivolare verso il mare dal lato monte, guardò intorno a lei e vide la sabbia punteggiata di punti scuri. Si alzò di scatto, andò verso l’uomo facendolo alzare bruscamente “Venga” Gli ordinò decisa prendendolo e raccogliendo le sue cose e avviandosi verso il bar del Bagno. Contemporaneamente incominciò una pioggia intensa con gocce che potevano riempire un bicchiere tanto sembravano grosse e fitte. Lei se lo tirò dietro mentre lui si teneva stretta contro il petto la maglietta e le cose che si era portato in spiaggia. Lungo la strada incontrarono Bruco con la metà di sotto di un ombrellone e velocemente si diressero verso il bar già pieno di bagnanti. Bruco fece strada e li fece sedere in un angolo ad un tavolo vuoto. “ Vi prendo due tovaglie per asciugarvi” Lei vide che Mario era come disorientato e il volto tutto bagnato con gocce che scendevano lungo il volto come se piangesse. Notò anche che tremava per il freddo. Si tolse il giaccone e glielo mise sulle spalle e lui ringraziando se lo strinse addosso Arrivò Bruco con due tovaglie “portaci qualcosa di caldo … due thè … nel mio mettici un po’ di rum” Gli disse Ludovica. Bruco vedendo Mario tremare, andò subito verso la macchina del caffè e si mise ad armeggiare per preparare la bevanda calda. Lei prese una delle tovaglie portate da Bruco ed incominciò ad asciugargli i capelli “ ci siamo bagnati tutti – si sentì un fragore assordante tanto che Mario si portò le mani sulle orecchie – questo è caduto vicino! L’estate è proprio finita!” “Grazie, grazie mille – fece Mario sorridendo – la pioggia mi  fa perdere ogni riferimento, ogni suono, ogni profumo: sono come una foglia rubata dal vento” “immagino “ rispose lei  mentre finiva di asciugargli gli occhiali Lui restò in silenzio pochi secondi mentre offriva il volto alla tovaglia con cui lei lo asciugava “ hai delle mani grandi … forti” “ Quando devi portare una fila di piatti a mano, le dita ti diventano come quelle di un muratore. “eppure hai una voce gentile, delicata, non è quella di un muratore” “ Devi sentirmi quando mi arrabbio, allora si, che faccio esplodere i vetri delle finestre.” Sorrise e in quel mentre arrivò Bruco con tue tazze e una grande teiera. “ Ecco qua ragasuoli, un bel the caldo  vi scalderà per bene.- poi rivolgendosi a Mario – Maestro ti ho messo un po’ di miele così la voce non se ne andrà” Lei bevve un sorso bollente e sentì forte il sapore del rum. Bevve un altro sorso e a sentire i vapori di alcool che le riempivano la bocca si sentì già meglio. “ci voleva - Si disse contenta e poi indicando Bruco continuò – certo che ti tratta meglio di come tratta suo figlio” Mario sorrise “È uno dei miei fan più sfegatati alla balera, suono sempre quello che gli piace” “Davvero? Non riesco a immaginarlo la sera che invita le vecchiette a fare un lento” “A lui piacciono i balli brasiliani, li si scatena! Il suo sogno era andare a vivere in Brasile….” “Hai capito Bruco …..! - Fece lei stupita - Io ho lavorato un estate in questo bar e non mi ha mai detto di questa cosa” Mario alzò le spalle. “Tutti nascondiamo qualcosa di noi…” Lei bevve un lungo sorso. Fuori c’era una pioggia insistente che stava lentamente scemando; ormai la mattinata era persa, tanto valeva starsene nel bar a finire il thè e a parlar di nulla “ dimmi una cosa, come hai trovato l’Agente? Con internet o il passaparola…” Lui sorrise “No, è un mio ex compagno di classe che lavora qui come rappresentante di vini e super alcoolici. Quando ha saputo che ero qui mi ha voluto vedere e, saputo che suonavo il piano, mi ha organizzato un audizione con il padrone di un bar e da li ho incominciato. Ora lui quando visita bar e ristoranti cerca sempre di piazzarmi qualche serata. Lo fa per farmi uscire di casa perché qui sono solo e non avendo nessuno con cui andare in giro resterei sempre a casa” “Ma non avevi qualcuno che poteva venire con te? I tuoi genitori….“ “loro sono vecchi, non volevo stravolgere la loro vita di paese, poi per loro il nord è sempre stato un posto invivibile. Per questo invece di Milano o Torino hanno insistito che venissi qui in riviera” “e la tua ragazza?” “ Che vuoi, una cosa è stare con il primo della classe bello e divertente, un'altra cosa è dover servire un handicappato, con mille problemi e nessun avvenire. Alla fine l’ho lasciata: essere cieco mi ha portato a vivere dell’essenziale, ad esempio a sentire meglio i toni della voce e a sentire quando qualcuno dice le cose perché le sente o perché semplicemente le deve dire come quando si recita” “ O mamma mia allora devo stare attenta a come parlo” “No – fece lui sorridendo – tu sei sincera e si capisce se sei scocciata o preoccupata o quello che provi dentro.” Lei rimase un attimo imbarazzata “ E’ che oggi è una giornata nata così e ci metto un nanosecondo a mandare affanculo le persone” “l’ho capito. Ma preferisco una come te che è sempre sincera a chi ti fa il sorrisino di circostanza e dentro di se ti manda a quel paese. E tu cosa fai? come mai non sei con le altre massaie a casa a preparare il pranzo domenicale?” Lo disse sorridendo, tra un sorso e l’altro di thè “perché io non sono mai stata una massaia. Ho sempre dovuto lavorare fuoricasa per tirare avanti” “scusa, non volevo farmi i cavoli tuoi” “Tu non mi conosci e non puoi sapere. Ho avuto un figlio quando ero alle superiori e da allora tanti morosi che come la tua ragazza dicevano solo cose di circostanza. L’ultimo se ne è andato qualche giorno fa dicendo che lui era uno spirito libero e che doveva vivere “la sua vita” – bevve l’ultimo sorso di te dove il rum era ormai quasi tutto evaporato – peccato che “la sua vita” era una polacca che per l’età che ha può essere sua figlia” Lui sorrise “Allora anche tu cercati la tua vita no?” “Io la mia vita l’ho già vissuta – rispose lei seccata – e alla fine ho sempre scoperto che non era la mia vita che vivevo ma quella di qualchedun altro!” “Siamo tutti la vita di qualchedun altro – sottolineò lui con il suo sorriso da bambino – ma insieme a questo qualchedun altro siamo la nostra vita”. Lei l’osservò “ Stai dicendo una cosa troppa complicata per me.” “ non è vero, hai capito cosa volevo dire – le restituì la giacca – tieni, per un attimo mi sono sentito come se una donna mi stesse abbracciando con tutto il suo profumo” Le disse alzandosi e dandole la giacca “ Deve essere rimasto quando con il mio ex siamo andati ad una festa” “ Stai andando?’ Chiese Bruco apparso dal nulla “Si vado a casa, ormai la mia giornata al mare è finita” “Lulù perché non lo accompagni? Ancora la strada per casa sua mica l’ha capita: ieri l’ho trovato che girava intorno al parco…!” “ Stavo studiando la strada …” “ vhè vhè che ti eri perso…..” “ Dai ti accompagno, così torno a casa e faccio qualcosa” Gli chiese dove abitava e lo prese sottobraccio uscendo dal locale. Bruco era così contento che lei se ne occupasse che non gi fece pagare neanche il thè Dopo la prima curva lui insistette “ Mi puoi lasciare qui che la so la strada per casa” “ Sei matto, qui c’ è il fosso se mi cadi dentro Bruco mi viene a cercare a casa” “ Bruco è esagerato: non ho bisogno di nessuno” “detto da un cieco in un paese che non conosce mi sembra una minchiata bella grossa” “ Va bhè a me non piace dipendere  da qualcuno: per favore lasciami!” disse seccato liberandosi dalla stretta del suo braccio. Lei pensò che era capriccioso più di suo figlio. Si vide davanti i tavolini di una pasticceria e si sentì dentro un buco nello stomaco che il rhum aveva inacidito. “ Va bene, ci sediamo qui un minuto così ti calmi e poi te ne vai dove vuoi” Lo fece sedere in un tavolo della pasticceria ed entrò dentro prendendo due bomboloni alle crema Tornando gli mise davanti un bombolone, gli prese una mano e glielo fece toccare “ Mangialo, questo è il bombolone più buono della riviera” Ed afferrato il suo gli diede un morso enorme. Lui prese il dolce e dopo averlo annusato diffidente gli diede un morso, incominciando a masticarlo con sempre maggiore soddisfazione. Lo finì prima di lei e pulendosi le labbra disse semplicemente “buono! Molto buono” “Te l’ho detto” “Ma al paese mio li fanno meglio” “e perché non fe ne sei stato lì?” “ Perché tutti mi trattavano da handicappato “ Lei lo guardò tutta seria “ ma tu hai un handicap” “ e non ho bisogno che tutti me lo ricordino! Si vede che ho problemi, non c’è bisogno che tutti me lo sottolineino con la loro gentilezza di circostanza e pietà di facciata” Lei si pulì la bocca “ Il tuo problema non è che non vedi, è che non accetti che gli altri ti vogliono aiutare!!!” “non lo fanno per me, lo fanno perché si deve fare, come toccare ferro quando vedono una cassa da morto, o toccarsi le palle quando un gatto nero attraversa la strada. Mi aiutano perché è una cosa che si fa, come la stai facendo tu, ma di me, di quello che provo e sento, non gliene frega niente a nessuno!!!Servo solo a farsi sentire buoni e a mettersi a posto con la coscienza! Ecco perché me ne sono andato dal mio paese: non volevo essere la scorciatoia per il paradiso per i miei compaesani, farli sentire a posto con la coscienza solo perché mi facevano attraversare la strada. Poi se stavo bene o male non gliene fregava niente. Io ero pieno di angosce e paure e tutti a chiedermi se dovevo andare in bagno, se dovevo attraversare la strada. Nessuno sapeva leggere dentro di me, nessuno era interessato se volevo un bacio o fare l’amore” Fece tutto il discorso arrabbiato, tutto di un fiato e concluse “ tu ad esempio mi tratti come un bambino, ma tu avresti mai il coraggio di fare l’amore con un handicappato?” “e tu faresti l’amore con una con le tette cadenti e che nella vita è stata sempre usata e  lasciata? - Rispose lei di botta con la sua stessa veemenza - ognuno di noi ha i suoi problemi, le sue paure, siamo tutti andicappati, chi nell’anima, chi nelle amicizie, chi nel vivere!” Restò un secondo in silenzio stupita da quanto diceva e continuò “Tu hai avuto coraggio a cambiare città, hai sfidato la vita, ma nessuno sopravvive da solo, anche tu hai bisogno di qualcuno, come ne ho bisogno io che divento vecchia e lo divento da sola, senza nessuno a cui abbracciarmi per vincere la paura del domani o con cui parlare per capire me stessa!” Restarono qualche secondo in silenzio, lui ragionando su quello che lei aveva detto, lei pensando che aveva detto anche troppo di se e che aveva bisogno di bere per non pensarci “Ho freddo – disse lui ad un certo punto – mi accompagni a casa?” “Andiamo, disse lei quasi seccata, fra un po’ devo andare a lavorare e non ho fatto ancora niente” Lo prese sottobraccio e lentamente si avviarono “ Stasera suono alla capannina sulla spiaggia  a Valverde, perché non vieni?” “ Non lo so finisco tardi al ristorante” “Noi andiamo avanti fino alle due, hai tempo. Vieni, beviamo qualcosa, mi insegni a ballare, parliamo un po’: io di notte non riesco a dormire” Lei restò in silenzio per qualche secondo. “ va bene, provo a fare un salto” Disse alla fine “Ci conto” “Ma non farti strane idee, io da sola ci sto bene” “Anch’io ci sto bene, ma hai appena detto che non è una cosa naturale” “Non lo è se stai da solo come ci siamo finiti noi, come le alghe strappate dal mare e buttate sulla spiaggia. Ma se hai qualcuno da ascoltare o con cui parlare, allora puoi essere sola a letto, ma hai sempre qualcuno” Aveva bisogno di bere; tutta la discussione l’aveva fatta innervosire, perché aveva detto la verità: e che dentro e fuori dal letto, a parte suo figlio, lei non aveva nessuno. Ed era questo quello che la tormentava: camminare da sola nel deserto della sua vita e non aver nessuno a cui mostrare l’anima, con cui fare sesso per fare sesso e non perché aveva paura che scomparisse. Doveva bere, se beveva questi pensieri li perdeva e tutti le sembravano meno indifferenti e più simpatici. Camminarono in silenzio per qualche isolato poi d’improvviso lui si fermò “ma dimmi una cosa, solo per curiosità, ma tu faresti l’amore con me: sii sincera” “ma ti sembra che sono cose da chiedere ad una signora che hai incontrato due ore fa?” “Io con te lo farei” Disse lui sorridendo “Certo che lo faresti, sei cieco, se ci vedessi poco poco, non avresti il coraggio di chiedermelo. E poi si vede che come tutti i giovani sei solo ormoni e che faresti l’amore anche con il tuo bastone” Lui sorrise rumorosamente e lei sentì che la stringeva più forte come se avesse paura che lei se ne andasse e la cosa le fece passare il bisogno di bere.
14 notes · View notes