#capitiny
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Poor king
They are a lot, too much for a lonely father
#drawing#my art#genshin impact#capitano genshin#fatui#capitano fatui#capitano#capitiny#a lot of kids#and a cat#and a snail#and a cell?#funny#weh#i like this man too much
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" È noto quale tormento sia entrato nella coscienza di Claude Eatherly, uno dei superpiloti che bombardarono Hiroshima: egli non ha pace, fa anche stranezze. Il filosofo Günther Anders gli ha indirizzato una lettera, che tra l'altro dice*: «Per noi il fatto che lei non riesce a "venire a capo" dell'accaduto, è consolante. E questo perché ci mostra che lei cerca di far fronte, a posteriori, all'effetto (che allora non poteva concepire) della sua azione: e perché questo tentativo, anche se dovesse fallire, prova che lei ha potuto tener viva la sua coscienza, anche dopo essere stato inserito come una rotella in un meccanismo tecnico e adoperato in esso con successo. E serbando viva la sua coscienza ha mostrato che questo è possibile, e che dev'essere possibile anche per noi.» Un esempio della grande ripercussione che può avere un atto di noncollaborazione, compiuto anche da una sola persona, ce lo offre il racconto che lo stesso filosofo Anders fa di un insegnante elementare americano, James Council. Nelle scuole dello Stato di Nuova York si svolgono esercitazioni antiatomiche, come addestrare i fanciulli a tenere le mani sopra la testa per proteggersi dalla nube radioattiva e dai calcinacci, addestrarli a rifugiarsi rapidamente nelle cantine o nelle soffitte degli edifici scolastici. Quando Council ricevette l'ordine di queste esercitazioni, rifiutò di prendervi parte. Disse che quegli esercizi non avevano altro scopo che di abituare i ragazzi all' "inevitabilità della guerra atomica", alla "probabilità di un attacco improvviso," al "carattere diabolico del nemico", le frasi fatte di certa propaganda bellicistica. E che i rifugi non sarebbero stati in grado di proteggere nessuno. La sua coscienza gli impediva di collaborare ad una cosa falsa e tendenziosa. Le autorità scolastiche, sorprese e indignate, lo licenziarono. Un altro insegnante dichiarò che non avrebbe partecipato alle esercitazioni. Si ebbe una reazione a catena. Associazioni di genitori, insegnanti e allievi, invitarono i due insegnanti a parlare davanti a loro. Altri gruppi offrirono il loro appoggio. Il caso ha raggiunto la Corte suprema dello Stato di Nuova York. C'è stato un grande dibattito tra giudici e avvocati. Se la Corte suprema è potuta diventare una tribuna dove la realtà dell'era atomica e l'assurdità della campagna per i rifugi sono state esposte e discusse apertamente, il merito va a quell'insegnante che ha compiuto il primo passo. Anche se la battaglia non è ancora vinta, è stato conquistato un terreno di lotta. L'associazione dei genitori di Nuova York, che rappresenta 300.000 persone, ha deciso di chiedere una discussione pubblica sul problema, che li interessa profondamente. ”
* G. Anders, in "Quaderni piacentini", n° 16.
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Aldo Capitini, Le tecniche della nonviolenza, Linea D'Ombra Edizioni (collana Aperture n° 4), Milano, novembre 1989; pp. 64-65.
[1ª Edizione originale: Feltrinelli, 1967]
#Aldo Capitini#nonviolenza#nonmenzogna#pacifismo#libri#Le tecniche della nonviolenza#Hiroshima#Giappone#letture#seconda guerra mondiale#Günther Anders#Claude Eatherly#intellettuali italiani del XX secolo#antifascismo#pace#leggere#bombardamenti atomici#coscienza#tecnologia#tecnocrazia#noncollaborazione#6 agosto 1943#James Council#tecnofilia#obiezione di coscienza#insegnanti#propaganda#bellicismo#disarmo#antimilitarismo
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"Una pace funziona quasi sempre quando le speranze sono superiori ai rimpianti"
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L'insegnante cattolica che nel 1941 ad Orvieto ascoltava la clandestina Radio Italia
Diario Ada Alessandrini, 17 luglio 1940, in FAA, s. 1, b. 2, sottofasc. 2. Fonte: Elisabetta Salvini, op. cit. infra Ada Alessandrini fu una cattolica praticante, ma anche una pacifista e una convinta sostenitrice della democrazia. La sua vita fu caratterizzata da scelte politiche alquanto discusse e controcorrente. Scelte mai definitive, ma in continuo mutare. La sua esistenza fu segnata prima…
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#1940#1941#Ada Alessandrini#Aldo Capitini#antifascista#archivio#Assisi#Camilla Ravera#Carmela Rossi#cattolica#clandestina#DC#Elisabetta Salvini#fascismo#Giovanni Battista Montini#Giuseppe Di Vittorio#guerra#Ida D’Este#Italia#Marisa Rodano#Orvieto (TR)#pacifista#Palmiro Togliatti#Pietro Calamandrei#Pietro Nenni#provincia#radio#Resistenza#Terni
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L'insegnante cattolica che nel 1941 ad Orvieto ascoltava la clandestina Radio Italia
Diario Ada Alessandrini, 17 luglio 1940, in FAA, s. 1, b. 2, sottofasc. 2. Fonte: Elisabetta Salvini, op. cit. infra Ada Alessandrini fu una cattolica praticante, ma anche una pacifista e una convinta sostenitrice della democrazia. La sua vita fu caratterizzata da scelte politiche alquanto discusse e controcorrente. Scelte mai definitive, ma in continuo mutare. La sua esistenza fu segnata prima…
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#1940#1941#Ada Alessandrini#Aldo Capitini#antifascista#archivio#Assisi#Camilla Ravera#Carmela Rossi#cattolica#clandestina#DC#Elisabetta Salvini#fascismo#Giovanni Battista Montini#Giuseppe Di Vittorio#guerra#Ida D’Este#Italia#Marisa Rodano#Orvieto (TR)#pacifista#Palmiro Togliatti#Pietro Calamandrei#Pietro Nenni#provincia#radio#Resistenza#Terni
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Tratto da: Urbano Grandier, Facebook
Come dato dell'importanza della noncollaborazione, sappiamo che esiste il rimorso della collaborazione data. È noto quale tormento sia entrato nella coscienza di Claude Eatherly, uno dei superpiloti che bombardarono Hiroshima: egli non ha pace, fa anche stranezze. Il filosofo Günther Anders gli ha indirizzato una lettera, che tra l'altro dice:
- Per noi il fatto che lei non riesce a "venire a capo" dell'accaduto, è consolante. E questo perché ci mostra che lei cerca di far fronte, a posteriori, all'effetto (che allora non poteva concepire) della sua azione: e perché questo tentativo, anche se dovesse fallire, prova che lei ha potuto tener viva la sua coscienza, anche dopo essere stato inserito come una rotella in un meccanismo tecnico e adoperato in esso con successo. E serbando viva la sua coscienza ha mostrato che questo è possibile, e che dev'essere possibile anche per noi. -
Un esempio della grande ripercussione che può avere un atto di noncollaborazione, compiuto anche da una sola persona, ce lo offre il racconto che lo stesso filosofo Anders fa di un insegnante elementare americano, James Council. Nelle scuole dello Stato di Nuova York si svolgono esercitazioni antiatomiche, [su] come addestrare i fanciulli a tenere le mani sopra la testa per proteggersi dalla nube radioattiva e dai calcinacci, addestrarli a rifugiarsi rapidamente nelle cantine o nelle soffitte degli edifici scolastici. Quando Council ricevette l'ordine di queste esercitazioni, rifiutò di prendervi parte. Disse che quegli esercizi non avevano altro scopo che di abituare i ragazzi all' "inevitabilità della guerra atomica", alla "probabilità di un attacco improvviso," al "carattere diabolico del nemico", le frasi fatte di certa propaganda bellicistica. E che i rifugi non sarebbero stati in grado di proteggere nessuno. La sua coscienza gli impediva di collaborare ad una cosa falsa e tendenziosa. Le autorità scolastiche, sorprese e indignate, lo licenziarono. Un altro insegnante dichiarò che non avrebbe partecipato alle esercitazioni. Si ebbe una reazione a catena. Associazioni di genitori, insegnanti e allievi, invitarono i due insegnanti a parlare davanti a loro. Altri gruppi offrirono il loro appoggio. Il caso ha raggiunto la Corte suprema dello Stato di Nuova York. C'è stato un grande dibattito tra giudici e avvocati. Se la Corte suprema è potuta diventare una tribuna dove la realtà dell'era atomica e l'assurdità della campagna per i rifugi sono state esposte e discusse apertamente, il merito va a quell'insegnante che ha compiuto il primo passo.
(Aldo Capitini, "Le tecniche della nonviolenza", Milano, Feltrinelli, 1967, pagg. 75-76).
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LA PROSSIMA OFFENSIVA RUSSA SARÀ DECISIVA? ANALISI con GEN. CAPITINI e L...
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Grande distribuzione, sabato e' sciopero: flashmob all'OBI di Ellera Rottura al tavolo di trattativa per il rinnovo del Contratto nazionale della Distribuzione Moderna Organizzata, scaduto nel lontano 2019 e atteso da o...
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Dare nuove gambe alla nonviolenza in cammino.
Mao Valpiana e Daniele Taurino (Mov. Nonviolento) Ho partecipato sabato 24 febbraio – in rappresentanza del MIR Italia – al XXVII Congresso nazionale del Movimento Nonviolento, che si è tenuto a Roma dal 23 al 25 presso lo Spazio Pubblico- FP CGIL. Il Movimento – fondato nel 1964 da Aldo Capitini – si è riunito, dopo una lunga parentesi dovuta anche al periodo della pandemia, per portare il…
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La Galleria Nazionale dell'Umbria apre i depositi al pubblico
Ieri si è insediato il nuovo direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria d’Orazio e già ha proposto alcune novità in vista per i prossimi mesi. A partire da febbraio fino a maggio 2024 i visitatori potranno accedere per la prima volta ai depositi del quinto piano, mediante visite guidate e agli spazi delle Stanze Capitini che si trovano nella Torre Campanaria del palazzo dei Priori. Sarà lo…
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#antonietta bandelloni#art#artblogger#arte#artepertutti#artinfluencer#english#inartwetrust#Michelangelo Buonarroti#Musei e Mostre#rinascimento#storytelling
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Donazione sangue, gli studenti dell'Itet Capitini per la solidarietà from Umbria Journal TV on Vimeo.
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Yes i love drawing Capitano and capitiny together✨
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“ [N]essuna società può durare nella continua violenza, e si appiglia a qualsiasi soluzione pur di farla finire; perciò la violenza, anche rivoluzionaria, prepara la strada ai tiranni. Altra cosa è la rivoluzione permanente nonviolenta, perché essa non bagna le strade e le case di sangue, ma unisce gruppi e moltitudini di persone (perfino i cinquecento milioni di indiani per l'indipendenza) nelle loro campagne rinnovatrici, ora per una parte, ora per l'altra, della società; e posto anche che questo porti, pur nell'uso delle tecniche nonviolente, talvolta qualche disagio esso sarà infinitamente minore di quello che può portare un "governo" con una sola mezz'ora di guerra. Si pensa che sia utopia non questa sintesi, ma piuttosto il credere di potere usare la violenza in piccolo. Con i potenti mezzi di armi chimiche e militari, concepire la violenza in piccolo è veramente antiquato, assurdo. Se si scelgono i mezzi violenti, bisogna arrivare ad usarli possibilmente tutti, non usare il fucile e rifiutare il mitra, usare il cannone e non l'aereo che bombarda, la bomba piccola e non la bomba H, e il napalm, e i gas e, conseguentemente, la tortura per avere notizie utili, e anche il terrorismo per impaurire improvvisamente i civili. È una catena di violenze conseguenti, e una volta preso il primo anello della catena, si prendono gli altri; oppure... si butta tutta la catena, e si scelgono le tecniche nonviolente. E un altro vantaggio viene dalla scelta dell'apertura nonviolenta: che l'individuo impara ad esigere un compenso, per la sua inferiorità e mancanza di potere, che non sia per lui solo, come un immenso potere di cui sia insignito da Dio come individuo isolato, ma che sia cooperativo: egli desidera il potere insieme con tanti altri, un potere dal basso e complesso o collegiale, nel quale c'è l'individuo e c'è la realtà che lo unisce intimamente agli altri. Si tratta poi di vedere, caso per caso, le soluzioni migliori, più efficienti, per l' articolazione e il decentramento del potere e del controllo, penetrando in tutti i campi, in tutti gli enti pubblici e privati, e sempre in forma associata e col metodo nonviolento.“
Aldo Capitini, Le tecniche della nonviolenza, Linea D'Ombra Edizioni (collana Aperture n° 4), Milano, novembre 1989; pp. 34-35.
[1ª Edizione originale: Feltrinelli, 1967]
#Aldo Capitini#nonviolenza#nonmenzogna#pacifismo#libri#intellettuali italiani del XX secolo#antifascismo#letture#pace#marcia Perugia-Assisi#antifascisti#leggere#etica#morale#obiezione di coscienza#resistenza#disarmo#antimilitarismo#rivoluzione permanente#società#rinnovamento#educazione#potere dal basso#cooperativismo#utopia#libertà#cultura#democrazia diretta#pedagogia#dialogo
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Da Perugia appello per 'due stati per due popoli'
Un appello per fermare la guerra in Medio oriente è stato lanciato da Perugia, la città di Aldo Capitini e della Marcia della pace che proprio nel 1987 per prima a livello internazionale andò a Gerusalemme con la PerugiAssisi. I manifestanti hanno chiesto lo stop immediato del conflitto tra Israele e Palestina per rilanciare la soluzione dei “due Stati per due popoli”. L’Umbria, con le…
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CULTURA COME INTIMIDAZIONE: L'INTELLETTUALE ITALIANO E I SUOI ANTIDOTI (2019)
Si sa che per l’intellettuale italiano, e s’intende in particolare per il letterato o il filosofo, un atteggiamento violentemente clericale è divenuto nei secoli una specie di seconda natura. Ancora oggi, è attraverso l’intimidazione così ben dipinta da Manzoni che l’erede di questo intellettuale riconosce i suoi veri simili. La cerca, la fiuta da lontano con infallibile istinto belluino, e l’ammira prima di ogni altro carattere anche nei suoi maggiori (i Contini, i Sanguineti, gli Eco, i Mengaldo…): nella sua testa fa tutt’uno non solo con l’erudizione ma con la cultura. Professore o pedagogo editoriale, lo riconoscerai da un tratto: gentilissimo con i maestri indiscussi e con gli allievi ben disposti, cioè quelli che a prescindere dalle opinioni riconoscono la sua autorità nel tono deferente, scoppia di stizza appena qualcuno che non può schiacciarlo col suo potere gli muove una buona critica alla pari. Questo intellettuale rifiuta la conversazione spregiudicata e imprevedibile di cui pure ha studiato i più luminosi esempi ateniesi e parigini. Crede di poter amministrare in esclusiva una liturgia che non è tale: perciò non tollera d’intrattenere rapporti con persone indisponibili a stare al quia dei ruoli di “superiore” o “inferiore” (o al massimo di “ambasciatore” di settori lontani, cioè per lui non minacciosi). Così, dopo la prima reazione scomposta davanti alla critica, il nostro personaggio sfodera di solito un ghigno sadico, e anziché rispondere nel merito fa notare all’interlocutore un errore di accento, un’imprecisione lessicale, una disparità di curriculum. «Guardi, secondo me sbaglia, perché…», «Sta’ zitto che hai le scarpe slacciate»: questa, più o meno, la sintesi del dialogo più tipico. Se esiste un’etica intellettuale, oltre che umana, universalizzabile senza controindicazioni, è senz’altro quella che esige di non permettersi un’arroganza del genere; il che, quando ci si trova in posizioni di forza, può richiedere un’autodisciplina niente affatto facile, se per l’atteggiamento sopra descritto non si prova una ripugnanza istintiva dovuta a ferite antiche. In ogni caso, riconoscere la differenza tra il valore delle questioni che solleva «chi sta in basso» e le ingenuità retoriche che ne offuscano il nocciolo è il primo passo da compiere. Fa bene, a questo proposito, ricordare una pagina che Cesare Cases ha inserito nelle "Confessioni di un ottuagenario" (2000). Dopo avere accennato alla sua inutile difesa, nella Bonn del ‘68, di uno studente «semianalfabeta», «fortemente dialettizzato» ma dotato di un’intelligenza che scintillava nei seminari e ne faceva la «bestia nera degli assistenti», Cases torna al suo periodo d’insegnamento a Cagliari, «quando era ancora in vigore l’esame scritto di ammissione alla Facoltà di Magistero», e racconta l’aneddoto seguente: «Il tema, di sapore rousseauiano, era all’incirca: credete che i mezzi di comunicazione di massa (cinema, radio, TV) abbiano contribuito o no a migliorare la cultura? Io non facevo parte della commissione, ma un assistente di Capitini mi portò un tema che voleva difendere dalle ire del suo ordinario. Le quali erano più che giustificate dai numerosi e imperdonabili errori di ortografia e di grammatica. D’altra parte la risposta negativa era sostenuta con tanta intelligenza e lucidità da fare impallidire Horkheimer e Adorno, che la fanciulla evidentemente ignorava. Io consigliai di ammetterla e di tenerla d’occhio, perché chi ha tanta intelligenza può bene investirne una particella nelle regole della lingua italiana. Aldo Capitini, che non era certo un filisteo, decise di non ammetterla, e chi può dargli torto? Tanto più che il mio consiglio era puramente platonico, perché a quei tempi era molto probabile che quello rimanesse l’unico compito scritto della candidata, sempre per le strutture assurde dell’università italiana. Non so se le cose vadano meglio oggi, ma temo che il divario tra cultura e intelligenza naturale si sia piuttosto ampliato». Che sia venuto il momento di ripescare il compito della fanciulla?
Matteo Marchesini
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Il primo obiettore di coscienza in Italia per motivi politici
Il primo obiettore di coscienza in Italia per motivi politici è stato Pietro Pinna. Gli orrori della Seconda Guerra Mondiale lo avevano profondamente segnato e, quando, fu richiamato alle armi, si rifiutò di indossare la divisa. Prima di lui, durante la Prima Guerra Mondiale, diversi uomini si distinsero per la scelta della non violenza, subendo processi e condanne. Chi è stato il primo obiettore di coscienza in Italia per motivi politici? Pietro Pinna è uno dei simboli del movimento non violento in Italia. Il suo antimilitarismo maturato durante la Seconda Guerra Mondiale, lo portò, nel 1948, a rifiutare di prestare il servizio militare di leva. Le sue non erano motivazioni religiose com'era accaduto, per esempio, per Remigio Cuminetti durante la Prima Guerra Mondiale. Le sue convinzioni avevano una matrice laica e politica alimentata anche dalla frequentazione con il filosofo Aldo Capitini. Politico, poeta e antifascista, Capitini fu uno dei primi a diffondere in Italia il pensiero pacifista di stampo gandhiano. Pietro Pinna ebbe due condanne: la prima a dieci anni di reclusione, la seconda a otto. Tuttavia, la sua vicenda si concluse con un provvedimento di riforma per "nevrosi cardiaca". La sua difesa fu assunta dall'avvocato Bruno Segre che divenne uno degli avvocati più famosi in Italia in materia di obiezione di coscienza. L'obiezione di coscienza nel secondo dopoguerra Prima che fosse approvata la legge sull'obiezione di coscienza, in Italia, gli obiettori erano considerati alla stregua dei disertori e venivano perseguitati con dure sanzioni penali. In alcuni casi erano puniti con la prigione, il confino o la deportazione in campi di lavoro forzato. In altri, furono anche sottoposti a un processo militare e condannati a morte. La società italiana dell'epoca era fortemente militarizzata e nazionalista, quindi gli obiettori di coscienza erano spesso considerati traditori della patria e subivano ostracismo sociale e discriminazione. Ciò nonostante, non mancarono casi di solidarietà e sostegno verso gli obiettori di coscienza in Italia, soprattutto tra i circoli religiosi e pacifisti. Il sacerdote don Lorenzo Milani, fondatore della scuola di Barbiana, durante la Seconda Guerra Mondiale incoraggiò i giovani a non iniziare alla guerra e a disertare, offrendo loro un rifugio sicuro nella sua scuola. Quando è stata riconosciuta l'obiezione di coscienza in Italia? Il riconoscimento dell'obiezione di coscienza in Italia ha seguito un percorso lungo iniziato negli anni Settanta. La prima legge in materia risale al 1972 (Legge n. 772 detta anche Legge Marcora) e prevedeva la possibilità di scegliere il servizio civile sostitutivo di quello militare. Il servizio civile, però, durava otto mesi in più rispetto a quello militare. In più agli obiettori era negata la possibilità di impiegarsi presso la pubblica amministrazione. Nel 1989, una sentenza della Corte Costituzionale dichiarò incostituzionale la diversa durata tra servizio civile e servizio militare per cui le due opzioni furono equiparate. In seguito, la legge n. 130 del 2007 ha dato la possibilità di rinunciare allo stato giuridico di obiettore. Con questa rinuncia i soggetti possono impiegarsi nella difesa, nelle forze armate, avere il porto d'armi. In copertina foto di Pexels da Pixabay Read the full article
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